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P&V

QUANDO VIGEVANO
faceva le scarpe a tutti
VIGEVANO HA SEMPRE VANTATO un artigianato le cui antiche origini si coniugavano con una produzione quantitativamente e qualitativamente di rilievo. La creativit della popolazione non ha mai conosciuto limiti: le attivit lavorative sono state esercitate in ogni settore che la fantasia possa suggerire: dalle attrezzature e macchine agricole alla selleria, dalle lavorazioni meccaniche non escluse armi e armature alla edilizia, dalle arti tipografiche alla arazzeria eccetera. per possibile affermare che per secoli avevano avuto la prevalenza le lavorazioni tessili, dapprima laniere (senza escludere una peraltro molto minore produzione coltivazione e lavorazione del lino) poi, dallet sforzesca, seriche. Allalba della rivoluzione industriale erano ancora lasse portante delleconomia locale. Un poco pi tardi, prima della met dellOttocento, a esse si aggiunse una intensa attivit cotoniera. Intanto, negli stessi decenni, in citt and affermandosi una lavorazione in assoluto non nuova per labitato ducale: quella delle calzature. Ottimi ciabattini non erano mai mancati nellantico borgo, ma ora la lavorazione della scarpe pass gradualmente dalle piccole produzioni individuali alla organizzazione di piccoli laboratori che, grazie ai maggiori volumi produttivi, iniziarono a formare il primo nucleo di quella che, nel volgere di un secolo, sarebbe diventata lattivit dominante e avrebbe consentito a Vigevano di fregiarsi del titolo di capitale mondiale della scarpa. LA NASCITA UFFICIALE della prima azienda industriale per la produzione di scarpe datata 1872. In quellanno i fratelli Luigi e Pietro Bocca (ai quali si aggiunse in un secondo tempo il cognato di Luigi, Madonini) avevano fondato a Vigevano il primo stabilimento industriale per la produzione e

il commercio allingrosso di calzature. Cinque anni dopo i tre soci si separarono, dando vita a tre nuove e distinte aziende. Il successo di queste prime ancora timide iniziative industriali gener il fenomeno dellemulazione.Altri imprenditori avviarono loro fabbriche; operai esperti lasciarono progressivamente le aziende dove avevano imparato il mestiere e impiantarono personali piccoli laboratori. Piccoli e grandi opifici inziarono a sorgere un poco dovunque; ben presto la tradizionale creativit della nostra gente si rese conto che sarebbe stato un buon affare fabbricare in loco non soltanto le calzature vere e proprie, ma anche le attrezzature, le macchine e tutto quanto serviva per disegnarle, produrle, finirle, imballarle e venderle. La meccanica, ovvero la fabbricazione di macchine per calzature, divenne la seconda, per importanza, delle attivit lavorative vigevanesi. Pi tardi, nel secondo dopoguerra, il settore si ampli con la produzione dei piccoli accessori, dei prodotti chimici, di scatole e imballaggi. La citt tale titolo le era stato conferito fin dal lontano 1530, per volere di Francesco II Sforza che laveva ottenuto dallimperatore e dal pontefice Clemente VII, insieme con lerezione del borgo a sede di diocesi divenne un fiorente centro industriale, con unalta densit lavorativa, incrementata dallinurbamento della popolazione del circondario (a danno dellagricoltura, che vedeva inesorabilmente diminuire il numero degli addetti) e dai primi timidi flussi immigratori provenienti da altre regioni della Penisola. Limmigrazione assunse dimensioni massicce dagli anni Cinquanta in poi; labitato urbano si ingrand a dismisura e in proporzione aument il benessere degli abitanti. Grande rilievo, in questi anni, assunse lesportazione, sia per quanto riguarda la calzatura sia per il settore delle macchine. LA SMISURATA ESPANSIONE produttiva, economica e abitativa di Vigevano aveva per in s i germi dellautodistruzione. I risultati dellampliamento delle attivit nella direzione di una copertura totale della produzione diretta e dellindotto furono la creazione di una struttura economico-produttiva detta area-sistema. Oltre tre quarti della popolazione erano impegnati nellmbito calzaturiero. Allorch il settore, verso la fine degli anni Sessanta, diede segni di flessione, tutta larea vi-

gevanasca entr in crisi. Le difficolt divennero tangibili nel decennio successivo; la recessione fu inevitabile e inarrestabile. Fabbriche piccole e grandi, nomi storici e marchi gi assurti a fama internazionale via via chiusero i battenti. Vigevano divenne un abitato grigio, in crisi di lavoro, di finanze e di identit. Lombra della capitale della scarpa di soltanto pochi lustri prima. Le vicissitudini che hanno caratterizzato la vita della citt negli ultimi tre decenni son ben note e non necessario ripercorrerle in questa sede. Per ritrovare un trend economico positivo sono occorsi molti anni e una trasformazione quasi totale della mentalit cittadina. Oggi la situazione bench non sia il caso di lasciarsi andare a eccessivi entusiasmi lascia spazio a moderato ottimismo, ancorch rintuzzato dalla recente, e non ancora superata, crisi internazionale. CHE COSA RIMANE, OGGI, a Vigevano, di cotanto passato? Poco o nulla. Da quando la produzione calzaturiera, che era stata il fiore allocchiello delleconomia cittadina, andata tramontando, si ripetutamente tentato di fare di Vigevano una citt turistica, cercando di destare, intorno a essa, un interesse pi approfondito per quanto di bello in grado di proporre. Peccato che, per quasi un secolo, si sia perseguito un obiettivo antitetico. Per troppo tempo il tessuto storico cittadino stato progressivamente distrutto, prima per erigere fabbriche fabbrichette e fabbriconi, poi per costruire nuovi e migliori complessi abitativi che fossero il segno evidente di un raggiunto benessere. Il risultato sotto gli occhi di tutti: il centro storico, a eccezione di qualche angolo miracolosamente sfuggito alla furia rinnovatrice degli anni del boom, stato irrimediabilmente guastato e gran parte del patrimonio architettonico stato inopinatamente alterato. Per contro, ci che sembrava costituire la maggiore ricchiezza del borgo i complessi produttivi, le fabbriche, le ciminiere eccetera nel frattempo in gran parte scomparso, ingoiato da una situazione economica che andava sempre pi deteriorandosi. Ci si cos ritrovati una citt che non n carne n pesce. Non pi una citt industriale (e, per fortuna, i maggiori complessi industriali oggi esistenti sono stati nel frattempo decentrati e spinti sempre pi verso lestrema periferia), ma non pu nemmeno essere definita una citt darte poich, eccettuato larcinoto complesso Piazza Ducale-Duomo-

Castello, il pur rilevante residuo patrimonio storico-architettonico-artistico troppo sparso e quasi nascosto nella citt per poter costituire un vero polo dinteresse turistico. Ben diversa era la situazione che, dagli inizi del secolo xx, si protrasse fino agli avanzati anni Sessanta. Vigevano era un coacervo di strutture produttive di ogni genere. Stabilimenti, fabbriche, manifatture, capannoni, opifici di ogni genere sorgevano ovunque, in pieno centro storico e ai margini dellabitato. Le foto depoca mostrano un tessuto urbano, forse eccessivamente grigio e poco attraente, su cui le ciminiere regnavano sovrane, sentinelle avanzate di un progresso pi apparente che reale, ma sufficientre a illudere i vigevanesi che il secolo in corso fosse quello che avrebbe definitivamente confermato la positiva evoluzione della citt verso il benessere e la ricchezza materiale. DOVEROSO RIVOLGERE UN RICORDO alle maestranze, che dei fasti della Vigevano industriale sono stati i veri protagonisti. inutile chiedersi se fossero migliori gli operai di un tempo o gli attuali; probabilmente, come avviene in tutte le cose che riguardano la vita umana, oggi come ieri ci sono i buoni operai e i cattivi operai. Certo, un tempo erano ben diversi i rapporti che intercorrevano tra operai e datori di lavoro e anche tra gli operai stessi. Ma forse anche questa unaffermazione discutibile. Erano diversi i valori che ispiravano le relazioni umane, perch erano diversi i tempi, era diverso il mondo. Che, a sua volta, era diverso da quello di oggi perch erano diversi i rapporti interpersonali, dai quali erano inscindibili i rapporti tra i popoli e le culture. O, forse, tutto i tempi, il mondo, le ralazioni umane uguale, sempre; cambiano soltanto le sfumature di colore secondo langolazione con cui si osserva linsieme o il particolare. Coloro che linesorabilit del tempo ha costretto a vivere altri tempi, altre et, altre situazioni avranno, in virt dellesperienza diretta, una visione del passato diversa, se non antitetica, di quella focalizzabile da chi quello stesso tempo non ha vissuto. Questo potrebbe spiegare la nostalgia mostrata dai sopravvissuti di epoche ormai lontane nel tempo. Ai loro occhi le immagini riprodotte in ingiallite fotografie acquisiscono un rilievo particolare che, nella visione di oggi, appare tridimensionale, quasi facendo assurgere i personaggi e le situazioni a nuova vita, sradicandoli dalla piatta e

ristretta collocazione cartacea per permettere loro di ripresentarsi vividi e attivi al cospetto dellosservatore. Il fenomeno si evidenzia maggiormente quando si tratta di immagini di lavoro o di situazioni analoghe; in questo caso altri fattori intervengono ad alimentare il meccanismo ideale: non soltanto la giovent perduta, ma anche una forza fisica che non c pi, sono gli amici scomparsi, i luoghi non pi riconoscibili, il ricordo di eventi. Sono le associazioni mentali che portano alla ricostruzione di frammenti di vita dimenticata, tessere piccole ma non trascurabili di quel grande mosaico che lesistenza umana. Losservatore di oggi non pu avvalersi che di questi ricordi, di questo rivivere il vissuto delle generazioni a lui precedenti, nelle cui testimonianze la realt lavorativa di un tempo, bench dura, spesso durissima, era improntata a serenit e distensione molto maggiori di quanto avvenga ora. La conflittualit era alta, le condizioni di lavoro, nonostante gli indubbi miglioramenti sociali intervenuti nel corso dei decenni, ancora pesanti e precarie. Gli atteggiamenti dei datori di lavoro nei confronti del personale erano paternalistici, di sufficienza, con unarroganza di fondo mascherata da pelosa partecipazione alla misera esistenza e ai problemi vitali dei dipendenti. Ma, a quanto sembra, lapparenza bastava a creare, tra padroni e operai, e tra operai e operai, un rapporto armonico quanto bastava perch le fabbriche funzionassero e il lavoro avesse un corso fluido e regolare.

NOTA la sequenza delle immagini suddivisa pur in assenza di confini rigorosi per argomenti, rappresentati, nellordine, da: strutture operative, personale e maestranze, luoghi di lavoro, la Mostra delle Calzature, la pubblicit, i sopravvissuti.

Manifesto per la seconda edizione della Settimana Vigevanese. La rassegna espositiva era stata organizzata per la prima volta lanno precedente, 1931.

Il maggiore tra i simboli dellattivit calzaturiera vigevanese: lUrsus Gomma. Il grande complesso produttivo, affacciato su via San Giacomo, era stato completato nel 1931.

Gli stabilimenti lineari, con tetti a shed del calzaturificio Rossanigo, costruito nel 1930 in via Eleonora Duse.

Il pi classico complesso a sviluppo verticale del calzaturifico Argo, in via Madonna degli Angeli.

Laspetto originario del calzaturificio Mainardi, in corso Novara. Si osservino, nellangolo in basso a sinistra, le rotaie del tramway.

Il calzaturificio Fontana, in via del Carmine, in una foto dei tardi anni Venti.

La elegante facciata tardo liberty del calzaturificio Ursus Cuoio, in via Mulini.

Abitazione civile con annesso stabilimento calzaturiero in corso Cavour. Una situazione molto comune in citt fino agli anni Sessanta.

Abitazione civile (casa Ottobrini) con annesso opificio in via Andrea de Bussi.

Ancora un efficiente connubbio tra casa dabitazione e complesso produttivo in angolo tra via Camilla Rodolfi e via Lucrezia De Bastici.

Il calzaturificio Sibilia, in angolo tra le vie Egidio Sacchetti e Casimiro Ottone.

La elegante cancellata in ferro battuto e la portineria degli stabilimenti ILCE Gomma in corso Genova.

Casa dabitazione in elegante stile liberty, con annesso opificio, in corso Genova.

Una immagine famosa, ascrivibile a fine Ottocento e assurta a simbolo dellantica tradizione dellartigianato calzaturiero vigevanese: i savat a bancht.

Ancora savat al lavoro intorno al bancht, il caratteristico deschetto quadrato, basso, con la superficie suddivisa in tanti compartimenti adatti a contenere i chiodi (le semenze).

Con lavanzare della bella stagione, il personale delle piccole aziende artigiane si trasferiva, armi e bagagli, allaperto, in cerca di aria fresca e pulita. Ma anche per risparmiare sui costi dellilluminazione

Maestranze di un non identificato calzaturificio vigevanese nel 1900.

Le maestranze del calzaturificio Bertolini nel 1909. Si osservi, in questa cos come nellimmagine precedente, il numeroso personale in et minore.

Un non identificato calzaturificio vigevanese di fine Ottocento. Tutti i soggetti sono in posa, immobili. Sembrano finti

Un altro sconosciuto gruppo di maestranze di un calzaturificio, questa volta nel primo Novecento.

Il titolare, la sua famiglia e i dipendenti del calzaturificio Sacchi in una fotografia del 1911.

Titolari, famiglie e maestranze del calzaturificio Fratelli Dondi nel 1933.

Titolari e maestranze del calzaturificio Santo Morone nel primo Novecento. Si osservino le ricercate pettinature femminili, accuratamente realizzate per la posa fotografica.

1935. Il personale dellUrsus Gomma riunito in occasione della inaugurazione (come duso allepoca) del gagliardetto del Dopolavoro dellazienda.

Maestranze e rappresentanti di aziende lomelline riunite in Piazza Ducale a Vigevano in occasione di una visita delle autorit fasciste provinciali, nei tardi anni Trenta.

Il personale dellUrsus Gomma durante il pasto di mezzogiorno nel funzionale refettorio allestito allinterno del Dopolavoro.

Operai al lavoro in un calzaturificio industriale vigevanese negli anni Trenta. In piedi, al centro, il capo fabbrica.

Siamo ancora negli anni Trenta e di nuovo alla Ursus. In alto, il reparto orlatura, con i giuntr solo per un istante distratte dal loro lavoro; in basso, il reparto tagliatura.

Il calzaturificio Pampuri nei primi decenni del secolo scorso. Si noti la sfilata dei carrelli, troppo ordinata per essere casuale, e probabilmente sistemata a bella posta per la fotografia.

Scarpe, carrelli e macchine nel calzaturificio Bonomi nei primi decenni del secolo scorso. Si osservino le cinghie di collegamento allalbero centrale di trasmissione dellenergia motrice.

1935 Il calzaturificio Ursus era, nel settore, unazienda allavanguardia nellintera Penisola e si distingueva per la modernit e la funzionalit dei suoi ambienti di lavoro e delle sue attrezzature.

Ancora Ursus Gomma: il reparto tranceria. Gran parte del personale impiegato nellazienda vigevanese era femminile.

Un altro reparto dellUrsus Gomma e ancora unalta percentuale di personale femminile.Vigevano era allavanguardia anche nel campo dellemancipazione della donna, nel lavoro e non solo.

Il reparto modellismo dellUrsus Cuoio. La copertura dei tetti a shed consentiva grande luminosit agli ambienti di lavoro.

Limperativo sembrava essere funzionalit. Anche nelle strutture accessorie. Qui il parcheggio sotterraneo dellUrsus.

Un calzaturificio industriale negli anni Sessanta. Si osservi la manovia, specie di piccola ferrovia con piccoli carrelli metallici che venivano fatti scorrere manualmente.

I titolari e il personale di un finissaggio vigevanese intorno alla fine degli anni Cinquanta.

Primi anni Ottanta. Le donne continuano a vantare una presenza molto rilevante allinterno delle aziende produttrici anche quando la meccanizzazione interessa ormai gran parte delle lavorazioni.

Reparti inguarnitura e finitura in calzaturifici contemporanei, nei tardi anni Settanta. Sono gli ultimi fuochi dellattivit calzaturiera vigevanese.

In alto: le maestranze del calzaturificio Barbero & Biffignandi nel 1915.

In basso: il gi numericamente rilevante personale del calzaturificio Ursus nel 1924.

Inizia nel 1931 lavventura della Settimana Vigevanese, rassegna delle attivit produttive cittadine. Fino al 1938 la manifestazione si svolger nei locali delle Scuole Elementari Regina Margherita in piazza Vittorio Veneto. In alto: lingresso al parco espositivo nel 1933; in basso: uno scorcio dellinterno in una delle prime edizioni.

Grazie al successo incontrato (e al sostegno delle autorit fasciste) la Settimana Vigevanese si afferma negli anni successivi soprattutto come rassegna della produzione vigevanese di calzature e affini. Nelle immagini, scorci di stand di aziende produttrici di macchine.

Lingresso al parco espositivo, ancora nei locali della Scuole Elementari Regina Margherita, nel 1936.

Lo stand della Eco Gomma in una delle edizioni anteguerra della rassegna vigevanese.

Lo stand del calzaturificio dei fratelli Rossanigo. In origine il marchio della vivace azienda vigevanese era Smart (in inglese, elegante, alla moda); dopo linstaurazione del regime autarchico che coinvolse anche la lingua italiana il logo dovette essere italianizzato in Smarta!

Nel 1939 viene inaugurato il nuovo Palazzo Esposizioni (popolarmente noto come palazzo dellImpero), eretto sul piazzale della Fiera su progetto dellingegnere magiaro Eugenio Faludi, e la Settimana Vigevanese nella foto, linaugurazione della edizione dello stesso 1939 si appresta a diventare Mostra Mercato della Calzatura.

Intorno alla fine degli anni Trenta, la situazione economica incerta e il futuro precario. Ci nonostante nel piazzale antistante il Palazzo Esposizioni, in occasione dellapertura della rassegna espositiva vigevanese, le automobili sono gi numerose.

Manifesto per ledizione 1948 della annuale rassegna calzaturiera vigevanese, che si fregia ora del titolo Mostra - Mercato Nazionale delle Calzature.

Nel 1947, dopo la forzata interruzione dovuta gli eventi bellici (nel corso dei quali il Palazzo Esposizioni aveva anche subto qualche danno), la rassegna espositiva che i vigevanesi chiamano

ormai, semplicemente e affettuosamente, la Mostra riapre i battenti. Si osservi, alla estrema sinistra dellimmagine, il massiccio piedistallo su cui troneggia il gigantesco stivale simbolo della Ursus Gomma.

In occasione dellapertura della edizione 1953 della Mostra viene inaugurato, nel piazzale antistante Palazzo Esposizioni, il monumento al Calzolaio dItalia, opera dello scultore vigevanese Giovan Battista Ricci. Lo stesso piazzale acquisir in seguito lo stesso titolo del monumento.

Gli anni Cinquanta e Sessanta sono i pi vitali e vivaci per la Mostra. Numerosi sono gli ospiti, nazionali e internazionali, che nobilitano la rassegna vigevanese. In alto: il soprano Maria Callas, a cui fu attribuita la Scarpina doro nel 1956; in basso: il soprano Renata Tebaldi storica antagonista della Callas, a sua volta gratificata dallo stesso riconoscimento nel 1958.

In occasione della Mostra venivano organizzate numerose manifestazioni di contorno.Tra esse, grandi seguito e successo avevano le sfilate di moda, bench di solito venissero affidate a indossatrici non certo di livello internazionale.

La Officine Meccaniche Ferrari, considerata la prima azienda produttrice di macchine per calzature e calzaturifici. Aveva sede nel tratto terminale di via Cairoli, presso la Stazione Ferroviaria.

Linterno di una officina vigevanese per la produzione di macchine per calzaturifici negli anni Trenta.

Ancora due scorci di interni di officine per la produzione di macchine per calzaturifici. Nella seconda immagine si pu osservare come, sul finire degli anni Settanta, lautomazione abbia gi un ruolo molto rilevante.

1964. Sono gli anni del boom economico anche per Vigevano. Ma la maggior parte degli operai impiegati nelle aziende cittadine usa ancora, per i suoi spostamenti, le due ruote, con o senza motore.

Una elegante bench non priva di retorica imperiale pubblicit del calzaturificio Aquila, apparsa su una pubblicazione del 1935.

Altre pubblicit del settore calzaturiero pubblicate su una Guida di Vigevano del 1935. Si osservino i numeri di telefono ove indicati, costituiti da tre sole cifre.

Ancora una inserzione pubblicitaria di un calzaturificio, datata 1935. In questo simpatico bozzetto, invece dellindirizzo segnalata lintera topografia della zona in cui ha sede lazienda.

Sono trascorsi alcuni decenni e la pubblicit ha ormai una presenza massiccia nella vita quotidiana. Qui si osservano alcune inserzioni pubblicitarie di aziende vigevanesi negli anni Cinquanta.

Unaltra serie di trafiletti pubblicitari di aziende vigevanesi operanti nel settore calzaturiero. Come si pu osservare, in citt viene prodotto tutto quanto alle scarpe pertinente: macchine, scatole, tacchi e suole, forme, stampi, prodotti chimici eccetera.

Con il trascorrere del tempo non solo aumentano i volumi della pubblicit ma viene anche continuamente estesa e approfondita la ricerca formale: le grafiche sono pi complesse, disegni e immagini sono pi attraenti e accattivanti. Siamo nel 1957.

Vigevano, in questi anni, meritava ampiamente il titolo di capitale della scarpa. La citt primeggiava non solo per la produzione dal punto di vista quantitativo e qualitativo delle calzature vere e proprie, ma anche per la grande professionalit delle aziende dellindotto. Prima al mondo era anche la produzione di macchine e accessori.

Ovviamente, anche gli stilisti ma ancora si chiamavano pi semplicemente modellisti vigevanesi erano allavanguardia; le loro realizzazioni dettavano le linee della moda calzaturiera in tutto il mondo.

La produzione di macchine per calzature e per calzaturifici non copriva solo il fabbisogno locale ma veniva ampiamente esportata. Anzi, quando il mercato internazionale della scarpa inizi a contrarsi, il settore meccanico conserv a lungo un trend positivo.

Ancora due inserzioni pubblicitarie del 1957. triste dover costatare che delle innumerevoli aziende presenti in quegli anni nellarea vigevanasca nessuna sopravvissuta fino a oggi.

Arrivano gli anni Ottanta. Per la ex capitale della scarpa giunto il tramonto. Il settore in profonda crisi, n riuscir pi a rialzarsi. Le grandi aziende di un tempo scompaiono una a una. Sopravvive qualche nostalgico artigiano, deciso pi che mai a non lasciare morire la tradizione vigevanese del savat a bancht.

Anche in tempi di esasperate meccanizzazione e automazione quali sono i giorni nostri alcune operazioni dovevano devono essere eseguite ancora a mano.

Unaltra tradizione vigevanese sopravvissuta a lungo: la presenza del personale femminile in tutte le fasi della lavorazione calzaturiera.

Una bellissima immagine che insieme simbolo e documento di un mondo ormai scomparso.Vi si riconoscono il ciabattino, il suo caratteristico banchetto, il martello dalla forma curiosa, il fornello per sciogliere le cere, i treppiedi, le forme rigorosamente in legno, lattrezzo per applicare borchie e occhielli, lisse e lissotti e tutta la serie di strumenti necessari alla produzione artigianale delle calzature.

Nel secondo dopoguerra grande rilievo assunse la produzione di calzature sportive in gomma. Al tempo erano genericamente chiamate scarpe da tennis; tale produzione era stata introdotta a Vigevano per la prima volta negli anni Venti dal calzaturificio Rossanigo. Nellimmagine, un manifesto del 1948.

Un gradevole manifesto pubblicitario del 1950, che non manca di riflettere il clima politico e sociale dellepoca.

Il Palazzo Esposizioni e il monumento al Calzolaio dItalia in una cartolina della met degli anni Cinquanta.

Le tracce di ieri
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