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IV

Scrittori italiani
HANS TUZZI, IL BIBLIOFILO IN GIALLO

Una marchesa nel fosso


= Inizia con una celebre citazione letteraria l'ultimo
giallo di Hans Tuzzi, L'ora incerta fra il cane e il lupo (Bollati Boringhieri, pp. 165, 15), La marchesa usc alle cinque, con cui Valry stigmatizzava la convenzionalit delle trame da romanzo ottocentesco. Del resto, lo stesso pseudonimo usato dall'autore, il bibliofilo Adriano Bon, tratto da un personaggio de L'uomo senza qualit di Musil. Il cadavere di una marchesa viene rinvenuto in un fosso vicino all'abbazia di Chiaravalle, nei dintorni di Milano, con il volto maciullato da una chiave inglese. Si chiama Elisabetta Crimoli ed una giornalista free lance giovane

e bella. Come nei precedenti romanzi di Tuzzi, a indagare sul mistero di questo delitto il vicequestore Melis, un tranquillo ma cocciuto quarantenne che convive con Fiorenza, redattrice editoriale. In questo caso per, contrariamente al solito, la fidanzata non lo aiuta nelle indagini perch parte per un lungo week-end in Val Gardena. Melis interroga le persone pi vicine all'uccisa: l'ingegnere Roberto Ballo, ex fidanzato di Elisabetta, un arrogante faccendiere trentenne, Maurizio Biolchini, l'attuale fidanzato, un dirigente d'azienda brutto come Woody Allen e certo non altrettanto divertente, una vecchia zia nostalgica del passato e dei balli mondani, unica erede, il cartomante Enrico Caviglia, un professore di greco e latino

in pensione che si dedica al commento critico dell'Odissea. L'inchiesta segna il passo, s'intrappola in vicoli ciechi finch Melis, durante un sopralluogo nella casa della morta, non trova dei dischetti che contengono un'inchiesta sui traffici mafiosi a Milano. Non sveliamo altro e lasciamo al lettore il piacere di scoprire il mistero del giallo, ben condotto e infarcito di citazioni, per fortuna in misura pi limitata del solito, da Musil, Dante, Tomasi di Lampedusa, Simenon e Chesterton. Non ci sono colpi di scena sensazionali e il meglio del romanzo nasce dalla malinconia di Melis che, mentre si gingilla con le sue pipe, prende atto della disgustosa banalit del male. Massimo Romano

IL MANUALETTO
CARLA MARELLO

MASSIMO RAFFAELI

Intingi la penna nellepizeusi


Bice Mortara Garavelli spiega il buon uso delle figure retoriche

i fanno pi figure retoriche in un giorno di mercato che in molti giorni di assemblee accademiche, sosteneva Du Marsais. Al mercato forse si fanno senza saperlo, questattacco invece consapevolmente costituito da una figura detta sentenza o massima. Bice Mortara Garavelli ha voluto iniziare la premessa al suo manualetto di figure retoriche Il parlar figurato (Laterza, pp. 179, 12) con una dissimulazione. Dichiara infatti: Per un testo che contiene nozioni antiche la disposizione della materia lunica operazione che possa aspirare a un briciolo di novit. Dire che il modo in cui le figure retoriche sono spiegate appena innovativo certamente sminuirne limportanza con ostentazione di umilt, definizione data da Mortara Garavelli per una delle forme di dissimulazione o attenuazione. Il libro infatti non aiuta solo a capire che cosa significano i termini con cui si indicano le figure retoriche a partire da accumulazione per arrivare allo zeugma - aveva sedici anni e una moto - passando per lepizeusi o ripetizione multipla cammina, cammina, cammina -, figura sommamente cara al parlato televisivo di Sgarbi, o per il polittoto, figura sempre di ripetizione ma pi raffinata, come in Il potere di opporti al potere o come in Tasso anzi

la pugna de la pugna i patti. Questo manualetto, diminutivo anchesso attenuante, strumento adatto ad essere interrogato da chi, trovando in un discorso o in una poesia unespressione che gli pare bella o comunque degna di nota, voglia sapere di che si tratta, con quali altri artifici si apparenta per raggiungere lo scopo. Lautrice, che ha al suo attivo un ben pi corposo manuale di retorica ormai giunto alla undicesima edizione, ha organizzato i contenuti sotto intitolazioni come drammatizzare il discorso, cambiare lordine delle parole e delle idee, parlare in breve, parlare per sentenze, giocare con le parole. La figura che ho appena fatto, lenumerazione, ad esempio, sta nel capitolo forme dellaccumulazione. Raggruppandole secondo le loro caratteristiche pi evidenti e secondo la loro funzione, definendole chiaramente e con begli esempi, Bice Mortara Garavelli rende le figure retoriche pi facili da riconoscere e, volendo, da usare. E un libro che induce a intingere la penna nei tropi, che ci fa capire come sia vuota retorica solo la cattiva retorica. Chi prova la fatica del parlare e scrivere con figure non troppo trite, apprezza poi maggiormente il lavoro di lima che sta alla base di ogni comunicazione ben fatta, dallapparente naturalezza dei grandi autori, alla studiata efficacia degli slogan pubblicitari o dei titoli di giornale.

Detesta la parola radici, Luigi Di Ruscio, e nelle rare interviste in cui uscito dal suo esilio di Oslo ha infatti dichiarato di non appartenere al mondo vegetale bens di assecondare l'innato nomadismo degli esseri umani. Anche se a lui toccato un nomadismo pressoch coatto. Nato a Fermo (1930) in una famiglia di proletari antifascisti, giovane indocile e spiantato, aderente al Pci di Palmiro Togliatti con una vena di anarchismo che lo rende subito sospetto ai suoi stessi compagni, a ventisette anni Di Ruscio ha alle spalle soltanto lavori saltuari di bracciante e muratore ma ha gi firmato una plaquette in pieno neorealismo, Non pos-

Di Ruscio Un memoriale sullemigrazione


del poeta-ex operaio da decenni in Norvegia

Dispacci di fuoco dallesilio di Oslo


Luigi Di Ruscio nato a Fermo (1930) in una famiglia di proletari antifascisti Esord in pieno neorealismo con la plaquette Non possiamo abituarci a morire

L autore caro a Fortini e ai giovani critici continua a sentirsi un nomade a vita, un perfetto clandestino
siamo abituarci a morire (Schwarz 1953), dove Franco Fortini riconosce un'inventiva sorprendente. Non pu affatto immaginare, in quel 1957, che a Oslo lo aspettano decenni di lavoro da operaio in una fabbrica metallurgica, il matrimonio con Mary, sua musa norvegese e luterana, infine quattro figli che, pari alla madre, si rifiutano di apprendere la minima parola di italiano. In totale solitudine, il poeta vivr dunque il paradosso di parlare una lingua straniera che in realt non sa scrivere e di scrivere invece nella lingua materna che non sa pi parlare. L'italiano che ne ordisce i libri di poesia, una decina, e le prose narrative (da Palmiro, 1986, a Cristi polverizzati, Le Lettere 2009), non pi riferibile a un luogo ma ad una condizione storica e di classe: qui l'operaio migrante rappresenta l'essere stico fermano l'ho trapiantato ad Oslo mentre a Fermo a causa delle infinite comunicazioni di massa spariva. Il trasporto stato facilitato dal fatto che tutto questo universo linguistico occupa pochissimo spazio []l' universo linguistico l'anima mia, le anime trapassano le frontiere come niente fosse. Thomas Mann quando i nazisti gli tolsero la cittadinanza tedesca dichiar in una intervista che dove era lui era anche la Germania. Dove il sottoscritto anche tutta la nostra italianitudine. Veloce, percussivo, miracolosamente prossimo al parlato, l'italiano di questo memoriale autobiografico che Angelo Ferracuti definisce nella prefazione il pi bello e il pi lirico, pulsa al centro di un cosmo esistenziale che pu essere ovunque senza che, tuttavia, se ne vedano i confini precisi; perci si tratta di una scelta contromano, seccamente

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Luigi Di Ruscio LA NEVE NERA DI OSLO prefazione di Angelo Ferracuti EDIESSE, pp. 164, 10

umano tout court, testimonia la nuda verit degli individui subalterni e messi al margine. Ora, nel memoriale in cui Di Ruscio torna alla vicenda della propria emigrazione, La neve nera di Oslo , gli capita persino, duplicando il paradosso, di riconoscersi in un doppio proletario e periferico di Thomas Mann: Tutto l'universo lingui-

anti-identitaria, la stessa in cui l'ultima generazione di critici oggi riconosce un grande poeta, come nel recente fascicolo di Nuova Prosa (n. 52, Greco&Greco Editori) denota la corposa sezione di Omaggio a Luigi Di Ruscio con i contributi, oltre a quello di Walter Pedull, di Andrea Cortellessa, Giorgio Falco, Gilda Policastro, Linnio Accorroni e Andrea Cavalletti. Quanto a Di Ruscio medesimo, non ha mai smesso di inviare i suoi dispacci incandescenti, in prosa come in poesia, da un quarto piano della periferia di Oslo; fa sempre finta di essere un autodidatta illetterato ma cita volentieri Hegel quando scorge nello scintillare della propria lingua l'inversione necessaria di un coscienza disgregata. Ha ottant'anni oramai e ha da tempo il passaporto in regola, ma continua a sentirsi un emigrante a vita, anzi un perfetto clandestino.

GIANNI BONINA

Passato attraverso una decina di stesure e un lavoro di lima cominciato negli Anni Cinquanta, poi abbandonato e finalmente portato a compimento, La doppia seduzione di Francesco Orlando un romanzo proustiano nella ricerca formale, nel flusso coscienziale che priva il testo di ogni dialogo (i pochi personaggi non parlano mai, l'autore avendo avocato a s il controllo totale del racconto) e nei temi: l'amicizia, la nobilt, la bellezza, l'omosessualit, la letteratura. Ma anche un romanzo che porta il segno di un retaggio decadentista, incrociando soprattutto Thomas Mann. Ci spiega perch fosse piaciuto a Tomasi di Lampedusa che ne lesse la prima stesura, allo stesso modo in cui Orlando fu il primo a leggere Il Gattopardo manoscritto e a ricopiarlo: gi degnato di essere il suo unico allievo privato e destinato a diventare ordinario

Orlando La doppia seduzione


nel dopoguerra decadente di Palermo

Sono malati questi fantasmi


di letteratura francese e raffinato teorico della letteratura. il motivo della malattia a ispirare il romanzo, dentro un' aria di svenevole derelizione che, depurata da derive dannunziane, manda un retrogusto dmod, rischiera telefoni bianchi, esuma estenuati giovani glabri su opalescenti fondali veneziani: una malattia che per interiore anzich fisica, non pi individuale, di tipo pirandelliano, ma collettiva, brancatiana, sintomo di un'epoca che, nel momento in cui esce dal fascismo, si trova in stato confusionale. In una Palermo postbellica richiamata per scorci riconoscibilissimi, Ferdinando e Mario si conoscono da scolari e crescono aspirando a legami affettivi diversi: il primo con un coetaneo dal corpo scultoreo, Giuliano, il secondo con una inquieta ragazza dell'aristocrazia, Dolly; ma non si perdono mai di vista per poi ritrovarsi e scontrarsi in un duello psicologico esiziale. Sono figure sradicate, sull'orlo del cedimento, al-

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Francesco Orlando LA DOPPIA SEDUZIONE Einaudi pp. 153, 13

Francesco Orlando

la ricerca del pieno della vita, ma disorientate: nati e cresciuti nel fascismo, sono ora privi di identit e soprattutto di personalit. Sono senz'altro i nipotini di Des Esseintes. Soprattutto Ferdinando, che chiaramente trasposizione a distanza dell'autore: soffre dello stesso mal di vivere dell' antieroe di Huysmans; ma la sua una nevrosi che lo porta alla tomba anzich restituirlo alla so-

ciet alla quale si sottratto. Il suo suicidio interpreta uno spirito inetto che si rivela soprattutto incapace di dare veste narrativa al proprio insuccesso e trovare un modello, letterario o operistico che sia, cui conformare la propria storia, ci che forse gli salverebbe la vita. Gli altri comprimari sono ordinati secondo ruoli sociali: Mario il piccolo borghese che vuole

superare le strettoie della sua classe e che, preda dei fantasmi che lo demonizzano, deciso a liberarsi del passato a costo di rendersi strumento della morte altrui; la sua ragazza, Dolly, figlia di una casta nobiliare che avvicina la borghesia cos come media tra condizioni antitetiche quali omosessualit e eterosessualit; Giuliano, il ragazzo di cui inizialmente Ferdinando si innamora, allegoria dell'attivismo epicureo, tutto corpo e niente cervello; Sandra la ragazza comune che pi di ogni altro comprende Ferdinando, anche sulla base della condivisione di elitari interessi letterari. Pi che una doppia seduzione, quella che Orlando sottende un gioco di seduzioni sostenuto da una trama evanescente e circolare entro un libro arrivato forse fuori tempo massimo, ma ancora oggi capace, rinverdendo una classicit fine e ricercata, di instillare suggestioni ormai rare quanto soprattutto al dettato formale.

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