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Francesco Lamendola

Una pagina al giorno: Pre Celest di Antonio Bellina


Sono ben poche - crediamo - le persone, fuori del Friuli, che hanno mai sentito il nome di Antonio Bellina. Viceversa, in Friuli, sono ben poche quelle che non lo hanno mai sentito nominare; anzi, che non hanno mai sentito fare il nome di pre Toni Beline, dove pre sta per l'italiano don in senso ecclesiastico, e indica un sacerdote, generalmente il parroco di un paese. Con i suoi quarantasette libri pubblicati, tutti rigorosamente in lingua friulana - dalle riflessioni sulla pastorale e sulla friulanit, alla traduzione delle favole di Esopo e di Fedro, alle avventure di Pinocchio, passando per un numero imprecisato di saggi, di racconti, di poesie, e, infine, per la gigantesca fatica (insieme, almeno all'inizio, a un altro sacerdote, Francesco Placereani) di tradurre integralmente la Bibbia in lingua friulana - egli stato uno straordinario animatore della cultura friulana, al punto che devono essere ben poche le case di quella regione in cui non vi sia almeno uno dei suoi libri. Diciamo subito, d'altra parte, che pre Toni Beline era - come lo sono quasi tutti i figli di quella terra - un uomo schivo, non amante della pubblicit. Scriveva sul giornale diocesano La Vita Cattolica, sul mensile dell'Associazione Friulana Donatori del Sangue, Il Dono, e su una rivista di cultura friulana, La Patrie dal Fril; ma non andava mai in televisione, o quasi mai (fa eccezione una lunga intervista per una stazione carnica, svolta in forma di conversazione, registrata all'aria aperta sullo sfondo della verdeggiante campagna estiva);. E non teneva conferenze: le sue conferenze erano, in un certo senso, le prediche che da anni e anni faceva nella chiesa del paese di cui era stato nominato cappellano e poi parroco: Basagliapenta di Basiliano, alle porte di Udine (per chi viene da Venezia; in friulano, Visepente), seguitissime dalla comunit dei fedeli. Eppure, la sua modestia e la sua ritrosia non bastano a spiegare la vistosa distrazione della cultura ufficiale nei suoi confronti, particolarmente fuori dal Friuli. Il fatto che Antoni Beline era un prete scomodo (come lo era stato don Placereani); un prete molto vicino alla gente, ma poco propenso a strusciarsi lungo le scale e i corridoi del palazzo; e che, in alcuni suoi libri particolarmente in La fabriche dai predis, del 1999, che fu censurato dall'autorit religiosa e fatto scomparire dalle librerie - non aveva esitato a criticare un certo conformismo diffuso negli ambienti della curia vescovile. Di preti scomodi, in effetti, il Friuli - terra di profondo radicamento religioso - ne ha prodotto pi d'uno; basti ricordare David Maria Turoldo, poeta e coautore del bellissimo film Gli ultimi, insieme al regista Vito Pandolfi, e del quale ci siamo gi occupati nella serie Un film al giorno; oppure, su un versante completamente diverso (anche in senso ideologico e politico), quello scomodissimo sacerdote che stato don Luigi Cozzi, parroco di Solimbergo (Pordenone), del quale ci proponiamo di dire qualcosa, una volta o l'altra. Preti di sinistra, preti di destra: ma sempre preti animati da una profonda vocazione, da un amore bruciante per la Chiesa e per la loro terra natale, da un senso di fedelt indefettibile verso la propria missione e verso la propria gente. Abbiamo gi sfiorato l'argomento in un precedente saggio, Il decollo dell'economia friulana: un compromesso riuscito fra tradizione e modernizzazione? (consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice).
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La terra friulana, storicamente, sempre stata caratterizzata da uno stretto legame fra popolo e Chiesa, fin dai tempi del Patriarcato di Aquileia (il pi esteso Stato italiano dell'epoca precomunale). Con Dio si pu anche litigare, bestemmiando a tutto spiano (noi stessi abbiamo visto dei bambini piccolissimi, ancora in carrozzella, cui era stato insegnato dal nonno a bestemmiare sonoramente); ma nessun Friulano capace di ignorarlo. Anche quando ci litiga, diceva Turoldo, lo riconosce: e la bestemmia, cos diffusa da non farci quasi pi caso, anch'essa, in fondo, una preghiera rovesciata. Fra tutti i libri di Antonio Bellina, abbiamo scelto di proporre al pubblico questo breve racconto intitolato Pre Celest (Don Celeste), che fa parte del volume Fantasticant (ossia Fantasticando, Udine, Ribis Editore, 1990, pp. 22-24), per la sua schietta freschezza e per quel candore cos disarmante, quasi naf, che lo rende simile a una fiaba d'altri tempi; ma che, per il contenuto morale, lo avvicina a un apologo francescano (pur con qualche tollerabilissima sfumatura di zolfo). E ci piace pensare che, scrivendo questa pagina, il Nostro abbia provato un certo qual gusto nel descrivere le disavventure di quel vescovo potente e prepotente; immedesimandosi invece, lui semplice prete del popolo, nella simpatica figura di pre Celeste, un sacerdote che amava Dio di tutto cuore, ma che, a sua volta, era poco amato dalla Curia episcopale, e velenosamente invidiato da tanti suoi colleghi. Poich tradurre una pagina di questo autore vorrebbe dire ammazzarla (Antonio Bellina considerato, giustamente, uno dei maggior scrittori moderni in lingua friulana), abbiamo ritenuto indispensabile riprodurla cos com', con tutte le saporose sfumature dell'originale (e non si dica del dialetto, perch il friulano non un dialetto, ma una lingua: non una versione locale dell'italiano, come il veneto, ma un idioma a s stante, derivato direttamente dal latino, come lo il romancio della Svizzera). Il lettore non friulano, tuttavia, non si scoraggi: non affatto una lingua incomprensibile; con un po' di pazienza e di buona volont, e - magari, con l'aiuto di un vocabolario friulano-italiano (come l'ottimo Pirona), lo scoglio superato pi facilmente di quel che non si pensi, e - crediamo - con notevole soddisfazione di chi pu accostarsi direttamente all'originale di un testo come questo, peraltro facile e discorsivo. Ad ogni modo, per fornire un aiuto a chi non se la senta di provare da solo, diamo una traduzione della parte iniziale del racconto, o, per dir meglio, della novella; con il suggerimento di provare, comunque, a leggere prima il testo originale, per entrare nello spirito della lingua friulana. Se non ci cerca di penetrare lo spirito di una lingua, non si riesce neppure ad entrare nell'anima di quel determinato popolo. PRE CELEST Pre celest al vivt chenti prin dal nestri ricuart e nol segnt tai libris parceche lu vevin mandt provisori.Al ere un sant predi, bon come il bon pan, ma nol veve n teologhie n siense, ch'al veve stentt che mai a impar ancje chel sbit di latin del Messe, e par chel nol veve fate ferade. La curie lu mandave mo ca mo l a strop bsis e lui, chel no veve supierbiis di sorte, al veve passt duc' i borcs e i pas dal cjanl cence mai lamentsi di nuje.Cu la int, po, al veve une bontt e un trat ch'al rivave a tir dongje ancje i plui resiastics. [Traduzione: Don Celeste vissuto assai prima di quanto pu spingersi il nostro ricordo, e il suo nome non compare sui registri parrocchiali, perch lo avevano mandato a titolo provvisorio. Era un santo prete, buono come pu esserlo il buon pane; ma non possedeva n teologia, n scienza: al punto che aveva faticato come non mai ad imparare perfino quel poco di latino per dire la Messa, e per questo non aveva fatto strada. La curia lo mandava ora di qua, ora di l, a tappare buchi; e lui, che non era per nulla superbo, era passato per tutti i borghi e i paesi della vallata, senza lamentarsi di niente. Con la gente, poi,
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possedeva una bont e un modo di fare tali, che arrivava ad attirare la simpatia anche dei pi refrattari.] Tun ml, tune disgracje, tune conseguense, tun cavl, lui si prontave tanche il Signr e al semeave dome ps e confuart e buine armonie. Par chel la int lu puartave in ecelsis; e simpri par chel, i predis, rassate invidiose, no podevin conceplu. E stant ch'al bateve lis cjasis e ch'al ere libar cun duc', onps e feminis, j meterin fr une brute cjcare sul onr, fasint in mt che j rivas drete al vescul. [Segue traduzione: Per un male, per una disgrazia, per una conseguenza, per un cavillo, lui si prodigava come avrebbe fatto il Signore, e seminava solo pace e conforto e buona armonia. Per cui la gente lo teneva in altissima considerazione; e, sempre per lo stesso motivo, i preti, brutta razza invidiosa, non potevano sopportarlo. E, dal momento che egli visitava le case e si comportava familiarmente con tutti, uomini e donne, essi sparsero una brutta diceria sul suo onore, facendo in modo che arrivasse dritta fino al vescovo.] Si sa de storie e de' speriense che i vescui s'impensin dai predis dome cuanche a sintin cjcaris e che, tun scandul, a crodin simpri a di chel ch'al semene la sinsnie. E cuss pre Celest si cjat di cum a dibot segnt sul libri neri e condant, cence nancje la pussibilitt di sclar la s inocense. Il danp nol ere dome tal cr, ma ancje tal stomi. Parceche, tornant un pont indar, pre Celest non vevin mai volt flu plevan par vie che ur semeave masse a la buine par front la cjame di un pas e al veve dome ch'i de messe, e messis di puars che ben s'intint. Cuanche j gjavarin ancje chi cuatri, al plonb tal aviliment plui font e al clam la muart. [Segue traduzione: Si sa, tanto dalla storia che dall'esperienza, che i vescovi si preoccupano dei preti solo quando sentono delle chiacchiere e che, in uno scandalo, prestano sempre fede a colui che ha seminato la zizzania. E cos Don Celeste si trov, da un momento all'altro, segnato sul libro nero e condannato, senza neanche la possibilit di dimostrare la sua innocenza. Il danno, per, non era solo nel cuore, ma anche nello stomaco. Infatti, tornando un poco indietro, Don Celeste non avevano mai voluto farlo parroco, perch sembrava troppo alla buona per affrontare il carico di un paese; e poteva contare solo sulle entrate relative alle messe, e messe di poveri, beninteso. Allorch gli tolsero anche quei quattro soldi, egli piomb nella pi profonda desolazione, e giunse ad invocare la morte.] Ma il Signr nol bandone mai il just tes grifis dal trist, e j mand une ispirazion tremende. Tun armarat dut carult dal cjamarn, pre Celest al veve une tassute di libris inproibz, che j ai veve lassz puar so barbe predi e j veve racomandt di no doprju mai, dome tune streme. Jenfri di chesc' libris, and'ere un, par latin, cun miegis peraulis roseadis des tarmis, ch'al ere il plui periculs. E pre Celest, cu la fede de disperazion, al spiet il moment ch'al ere dibessl in cjase e, cun doi ceris e un Crist, si sier cul clostri e al tir fr chest libri. J clopavin i geni come ch'al ves vude la fiere batcule, ma si fas il cr fuart e al lej ds pagjnis di file cence dibot nancje tir flt. Podopo si sent te cort, solevt. La gnove che il vescul al ere cjamt di pedi e che nol podeve lass il pala, e fas il gr tun battdi voli [Segue traduzione: Ma il Signore non abbandona mai il giusto nelle grinfie del malvagio, e gli mand una terribile ispirazione. In un vecchio armadio tutto tarlato della sua stanza, Don Celeste aveva una raccolta di libri proibiti, che gli erano stati lasciati da un suo zio prete, il quale gli aveva raccomandato di non adoperarli mai, tranne che in situazioni estreme. In mezzo a questi libri ce n'era uno, scritto in latino, con met delle parole rosicchiate dalle tarme, che era il pi pericoloso. E Don Celeste, con la forza della
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disperazione, attese il momento in cui sarebbe stato solo in casa; poi, con due ceri e un Crocifisso, si chiuse con il catenaccio e tir fuori proprio quel libro. Gli tremavano le ginocchia come se avesse avuto la febbre da burla, tuttavia si fece coraggio, e lesse due pagine di fila, senza nemmeno tirare il fiato. Da ultimo si sedette in cortile, sollevato. La notizia che il vescovo era infestato dai pidocchi e che non poteva lasciare il palazzo, fece il giro in un batter d'occhio. A partire da questo punto ci fermiamo, e lasciamo che il volonteroso lettore si sforzi di proseguire da solo nella traduzione del testo. Pu darsi che, se non possiede un vocabolario, gli sfugga il significato di una o due parole; ma il senso complessivo della storia non potr sfuggirgli, a patto che legga lentamente e rifletta bene su ogni frase.] La massrie j fas boli tune munture, ancje ch sot, ma dibant. I cjalunis a provarin cun tune messe a part, in dmo, e nuje. Lis muiniis, spirtadis de digracie che j ere capitade al vescul, j puartarin peoz e peotuz di pojlu su la part sniade, ma nuje nancje chel. I frris a tirarin fr un vues di un lr sant, muart cjamt di pedi e di glandons e di cragne, e lu platarin sot dal cjavel ch'al durmive il vescul ma la gracie no riv. Par dutis lis glesiis oremus e letaniis "per il pronto ristabilimento dell'Angelo della Diocesi", ma nond'ere rimiedis. Il vescul si ere ridust dut une gruse a sun di gratsi e al veve il vf. Al faseve ancje pene, cun dut ch'al ere trist. Viodint che no ovavin n prejeris n lissivis, al scugn rindisi e ricognossi ch'al ere un spieli e un cjastic pal ml che j veve fat a pre Celest lant dar des cjcaris a pote vie. Lu mand a cjoli biro plui fin ch'al veve e j domand perdon de s inicuitt. Alore pre Celest, che nol ere mai stt stils cun nissun, al tir fr il libri e j giav il striament. Il vescul, par palesj il so agrt, lu distin plevan tun pas grant, cun samence di siet vacjs, e i predis a vevin ancjm plui invidie, ma no levin dal vescul parceche a savevin ch'al ere scjartert e ch'al veve une pore santissimade des maludizions di pre Celest. Concludiamo con pochi, scarni cenni biografici. Antonio Bellina nasce a Venzone (ma da madre carnica) l'11 febbraio del 1941, e muore a Basagliapenta di Basiliano il 23 aprile del 2007. Ordinato sacerdote nel 1965, svolge la sua missione in diversi paesi prima di arrivare a Villaorba e poi a Basagliapenta, di cui diviene parroco e dove stata scoperta, nel 2008, una targa alla sua memoria. La sua produzione letteraria, come abbiamo detto, sterminata: sono quasi cinquanta libri, pi un numero imprecisato di articoli, apparsi nelle riviste sopra ricordate. Di tutti questi libri, uno solo stato - finora - tradotto in italiano: La fatica di credere, del 2007. Antonio Bellina era una persona schietta e profondamente religiosa, che ha lasciato un ricordo assai vivo in quanti l'hanno conosciuta (e non erano in pochi a recarsi appositamente a Basagliapenta, la domenica, per poter ascoltare le sue prediche, durante la messa festiva). Il ritratto dell'uomo emerge con forza da questa sua caratteristica affermazione: Il vero pastore di un paese non il parroco, ma il Signore. Se manca il parroco, non cade il mondo. Se manca il Signore, il mondo non si regge.

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