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CHIARA LONGO

QUESTIONARIO SUL CAPITOLO XXI

1. La vecchia sporgendosi col mento sullo sportello della carrozza, guardando Lucia diceva:”
venite, la mia giovine; venite, poverina, venite con me, che ho ordine di trattarvi bene e
di farvi coraggio”.
2. Il bravo fa il suo rapporto sull'azione compiuta, sottolineando che tutto si è svolto
secondo i piani, anche se, ammette, avrebbe preferito uccidere Lucia anziché vederla in
viso e sentirla parlare: l'innominato chiede spiegazioni e il Nibbio afferma che la giovane
gli ha ispirato compassione, cosa che stupisce non poco il padrone secondo cui il suo
sgherro non dovrebbe sapere di che cosa si tratta.
3. Gli atteggiamenti di Lucia che hanno generato compassione nel Nibbio furono il suo
piangere, pregare, far certi occhi per poi diventare bianca come una morta, singhiozzare
e pregar di nuovo.
4. “Non l’ho mai capito così bene come questa volta: è una storia la compassione un poco
come la paura: se uno la lascia prender possesso, non è più uomo”.
5. Il primo ordine istintivo dell’Innominato fu quello di mandare di corsa il Nibbio a casa
del signorotto per annullare tutto.

6.Rimasto solo, il bandito inizia a rodersi e a chiedersi quale demonio protegga quella
ragazza che ha sconvolto a tal punto il suo uomo, ripromettendosi di mandarla via il mattino
dopo e pensando che ha servito don Rodrigo perché lo ha promesso e perché questo in fondo
è il suo destino, mentre medita di chiedere al signorotto una ricompensa scabrosa a
compenso di questa inquietudine che lo tormenta.

6. Lucia vedendo l’Innominato lo prega in nome di Dio di spiegarle il motivo per il quale
stesse patendo una pena del genere.
7. L’innominato interrompe lo sproloquio di Lucia, per ribattere contro quel Dio che lui
non riconosceva e che veniva messo in campo quando gli oppressi avevano bisogno di
forza.
8. “Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia”.
9. L'innominato si rammarica del fatto che Lucia non sia figlia di uno dei suoi nemici.
10. Ella chiede a Maria di salvarla da questo pericolo facendola tornare dalla madre,
promettendo in cambio di restare vergine e di rinunciare a sposare Renzo, proposito per
il quale pronuncia un voto solenne.
11. Le imprese del passato gli appaiono mostruoso in quanto ha il pensiero fisso su una Lucia
tremante e le parole che la giovane gli ha rivolto continuano a tormentarlo.
12. Afferra una pistola dalla parete accanto al letto ed è sul punto di uccidersi.
13. Egli pensa a quando il suo cadavere verrà trovato il giorno dopo e allo scompiglio nel
castello, alla gioia dei suoi nemici e di chi gli sopravvivrà.
14. “Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia”.
CAPITOLO XXII

Il capitolo si apre con i bravi che riferiscono all’ Innominato della visita del cardinale Federigo
Borromeo, arcivescovo di Milano. E da qui nasce la sua prima reazione e le sue considerazioni
premature: “Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! cos’ha
quell’uomo, per rendere tanta gente allegra? Perché non vado anch’io? Perché no?... Anderò,
anderò; e gli voglio parlare: a quattr’occhi gli voglio parlar. Cosa gli dirò? Ebbene quello che,
quello che…Sentirò cosa sa dir lui, quest’uomo!”

E così l’Innominato, questa volta senza seguito, si avventurò in una lunga passeggiata per
raggiungere il Cardinale (pur portando con sé, sotto la casacca, le armi della vecchia vita-due
pistole, un pugnale, e una carabina-). E quando finalmente il cappellano crocifero annuncia al
Cardinale- con una curiosità inquieta- la richiesta da parte dell’Innominato di avere un incontro
personale, il Manzoni si sente in dovere di sospendere la narrazione “ come il viandante, stracco
e tristo da un lungo camminare per un terreno arido e salvatico, si trattiene e perde un po’ di
tempo all’ombra d’un albero, sull’erba, vicino a una fonte d’acqua viva”, per fornire ampie
informazioni di carattere storico e morale sul Cardinale offrendo un modello alto di vita
cristiana e sacerdotale, nonché di coraggioso impegno civile nell’ insegnare la dottrina cristiana
ai più rozzi e derelitti del popolo, e di visitare, servire, consolare e soccorrere gli infermi. Il suo
essere si trova però diametralmente in opposizione al gusto del Seicento: “la sua vita è come un
ruscello che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo
corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume. Tra gli agi e le pompe, badò fin dalla
puerizia a quelle parole d'annegazione e d'umiltà, a quelle massime intorno alla vanità de'
piaceri, all'ingiustizia dell'orgoglio, alla vera dignità, e a' veri beni, che, sentite o non sentite, né
fuori, vengono trasmesse da una generazione all'altra, nel più elementare insegnamento della
religione". Per Federigo, tanto più quando viene nominato arcivescovo nel 1595 da papa
Clemente VIII, egli provvide al mantenimento suo e a quello della servitù con i propri mezzi
personali. Volle una tavola piuttosto povera che frugale, usò un vestiario piuttosto povero che
semplice; dal momento che aveva il desiderio di destinare la maggior quantità di denaro
possibile ai bisognosi, ma anche da una personale tendenza alla sobrietà. Il suo atteggiamento
virtuoso si realizza testimoniando la sua intelligenza sia la sua profonda spiritualità. Tra queste
opere è ricordata la costituzione della Biblioteca Ambrosiana, che doveva essere aperta al
pubblico al fine di diffondere il sapere e la cultura; allo stesso tempo volle che la struttura
rimanesse in contatto con gli uomini più colti d’Europa, in modo tale da garantirne il costante
aggiornamento. Oltre alla premura di elemosinare i propri beni, egli si prodigò in azioni di
giustizia che suscitarono la venerazione di tutti. Ammirato per la sua pacatezza di porsi, si adirò
solo di rado, con quei sacerdoti rei di avarizia o di negligenza nei loro doveri verso i fedeli. Fu
titolato dai suoi contemporanei quello d’uomo dotto; lasciando ai posteri una moltitudine di suoi
monumenti (la maggior parte di essi dimenticati dai posteri). In chiusura del capitolo Manzoni
ammette alcune scrittore del Cardinale potrebbero far arricciare il naso, ma indagare le cause
profonde di tali errate convinzioni allontaneranno troppo il lettore dal filo della storia, a cui ora
conviene ritornare per vedere l’uomo in azione.

DESCRIZIONE DEL CARDINALE BORROMEO

Nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, il Cardinale Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano ha
ruolo sia di personaggio sia di fonte storica.

Il Cardinale per il Manzoni, è il modello del pastore buono, diversamente da don Abbondio, che offre la
sua vita per le pecore, mai preoccupato di sé o del suo tornaconto, ma solo proteso al bene delle persone,
specialmente quelle più povere e sofferte. Le informazioni sul carattere del Cardinale, offrono un
modello alto di vita cristiana e sacerdotale, nonché di coraggioso impegno civile. Manzoni lo fa secondo
il noto modello narrativo di Svetonio, suddividendo l'esistenza del Cardinale nelle diverse età della vita,
dalle quali si intuisce il suo carattere umile e santo, e opposto al gusto del Seicento: “ La sua vita è come
un ruscello che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso
per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume. Tra gli agi e le pompe, badò fin dalla puerizia a quelle
parole d'annegazione e d'umiltà, a quelle massime intorno alla vanità de' piaceri, all'ingiustizia
dell'orgoglio, alla vera dignità, e a' veri beni, che, sentite o non sentite, né fuori, vengono trasmesse da
una generazione all'altra, nel più elementare insegnamento della religione".

Federigo, pur nobile e agiato, non vuole però ripercorrere il costume del proprio tempo, al contrario
opporsi decisamente a quella mentalità impegnandosi con carità per gli altri, soprattutto se appartenenti
ai ranghi più bassi della società, e adoperandosi a diffondere in ogni modo la dottrina cristiana: “Persuaso
che la vita non è già destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego,
del quale ognuno renderà conto, cominciò da fanciullo a pensare come potesse render la sua utile e santa…
applicandosi assiduamente alle occupazioni che trovò prescritte, due altre ne assunse di sua volontà; e
furono d'insegnar la dottrina cristiana ai più rozzi e derelitti del popolo, e di visitare, servire, consolare e
soccorrere gl'infermi".

Per Federigo, tanto più quando viene nominato arcivescovo nel 1595 da papa Clemente VIII, la vita è il
paragone delle parole, nel senso che il suo cristianesimo deve sempre far seguire le opere alle parole e ai
convincimenti di fede, soprattutto in relazione ai beni terreni e materiali. Questo atteggiamento virtuoso si
realizza in Federigo grazie ad alcune scelte concrete, che testimoniano sia la sua intelligenza e la sua
accortezza, sia la sua profonda spiritualità. Tra queste scelte ed opere viene ricordata la costituzione della
Biblioteca Ambrosiana, che per volontà di Federigo deve essere aperta al pubblico e non solo ad una
cerchia ristretta di intellettuali, in modo da favorire la diffusione del sapere e della cultura, in un secolo che
guarda soprattutto alle apparenze e allo sfarzo del potere e in cui dettano legge i galantuomini che non si
scomodano a far qualcosa per gli altri.

Manzoni lo dipinse come un esempio di santità e di saggezza. Eppure vi è un libro, basato su documenti
storici, che sostiene che il cardinale era fatto di tutt’altra pasta. Questo scritto appartiene a Armando Torno,
studioso e prezioso conoscitore dei testi latini e greci. Torno ha scoperto un testo seppellito tra i
manoscritti della Basilica Ambrosiana di Milano:” De pestilentia quae Mediolani” e pubblicato sotto il nome
di “la peste di Milano”. Dopo numerose biografia su di lui, neppure gli studiosi del Manzoni si sono
preoccupati di andare a vedere chi fosse veramente questo personaggio chiave. Per prima cosa, e qui non si
tratta di supposizioni, era un nevrotico. Non riusciva mai a rimanere tranquillo, aveva l’angoscia della
pulizia. E poi ancora, odiava gli umili, non compiva le visite pastorali, scriveva come un pazzo centinaia di
opere per lo più incomprensibili, si vantava di poter comprare gli uomini con il denaro e aveva una poco
chiara passione per le monache di clausura. Ma dove si rivela ancora con maggiore incisività la vera
personalità del cardinale è proprio al momento della peste di Milano. Viaggiava solo in “lettiga serrata
d’ogni intorno con vetri”. Ma non è tutto. Secondo quanto risulta da un manoscritto inedito e riservato
conservato all’ Ambrosiana, al tempo in cui Federigo fu cardinale a Milano vii furono 9 processi di
stregoneria. In realtà i motivi per una falsificazione del personaggio risultano comprensibili, dal momento
che i primi a raccontare il falso furono gli storici ecclesiastici. E con la ridipintura della sua biografia, gli
storici tolsero l’attenzione sulla sua mancata Beatificazione. In tutto ciò però Manzoni era ben a
conoscenza della realtà, in quanto aveva copiato delle parti del “De pestilentia”, e sia perché alla fine del
XXII capitolo dei Promessi Sposi si domanda come mai il cardinale, con tutte quelle virtù non fosse stato
ricompensato da fama e considerazioni equivalenti.
” La domanda è ragionevole senza dubbio, e la questione, molto interessante; perché le ragioni di questo
fenomeno si troverebbero con l’osservar molti fatti generali: e trovate, condurrebbero alla spiegazione di
più altri fenomeni simili. Ma sarebbero molte e prolisse: e poi se non v’andassero a genio? se vi facessero
arricciare il naso?”

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