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L'Unit 2 dicembre 1999

La sinistra e il nuovo proletariato

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Caro direttore, permetta anche a me di proporre alcune riflessioni sulla linea d i quelle di Giorgio Ruffolo uscite l'altro ieri su questo giornale, e di quelle, altrettanto stimolanti, di Paolo Sylos Labini pubblicate da La Repubblica di ie ri. In vista del congresso DS, ma soprattutto per ridare un po' di fiato a una p olitica gravemente degradata dalla necessit di polemizzare con Berlusconi o addir itttura con il pregiudicato Dell'Utri suo principale collaboratore, necessario " ripassare" le buone ragioni della nostra scelta di sinistra, prendendo atto di c io' che vivo e di cio' che morto, come direbbe Croce, in questa scelta. E' certa mente vivo, nella sinistra, l'ideale basilare di stare dalla parte di chi non co ntento di come va il mondo, e specificamente di come va, in esso, la societ itali ana. Questi "scontenti" sono quelli che Marx chiamava il proletariato, che oggi certo non si definisce pi negli stessi termini, n rivendica pi le virt "apocalittich e" che Marx gli attribuiva. Resta pero' vero che di sinistra chi ha un progetto di trasformazione sociale che non guarda solo alla propria individuale posizione nella societ com'. Che la destra sia stata spesso, anche se non sempre, razzista non mi pare solo un caso disgraziato della sua storia. Il fatto che, dalla fede nella mano misteriosa del mercato all'insistenza sulla concorrenza come motore d ello sviluppo, la destra sempre stata fondamentalmente naturalista. Anche le dif ferenze razziali, dunque, possono divenire, per essa, strutture da rispettare e da far valere come fattori di differenziazione sociale. Dal canto suo, nonostant e tutti gli errori e gli orrori che i suoi progetti rivoluzionari hanno generato - orrori che pero' erano legati a una filosofia metafisica della storia, cio anc ora una volta alla pretesa di corrispondere a un ordine oggettivo scritto nella natura delle cose -la sinistra si sempre legittimamente presentata come progress ista: la scelta politica di chi vuole e crede di poter cambiare le cose, per ese mpio e anzitutto correggendo le disuguaglianze naturali in modo da poter mettere tutti in condizioni quanto pi possibile di parit nella competizione sociale, che certo non potr mai scomparire, ma che deve essere spogliata dai caratteri di viol enza che assume se pura lotta di forze naturali per la sopravvivenza. Certo, qui siamo al livello delle pi remote basi filosofiche della differenza tra destra e sinistra. Ma importante risalirvi perch dalla definizione del nuovo "proletariato " che dipendono anche i contenuti concreti di una politica di sinistra. Il nuovo proletariato non pi sicuramente, almeno nel mondo industriale, quello dei poveri privi dei mezzi elementari della sussistenza. La scontentezza che accomuna il " popolo di sinistra" certo fatta anche di difficolt economiche, ma implica in misu ra almeno eguale se non addirittura superiore, l'insoddifazione per una esistenz a individuale e sociale tanto scarsa di contenuti da rendere insignificante anch e la sopravvivenza. Anche senza esagerare nel moralismo, forse questo che ci ins egnano i giovani dello sballo e delle overdosi mortali in discoteca; ma lo stess o si puo' leggere nella vicenda, anch'essa tranto spesso deprecata con toni mora listici, dei disoccupati che rifiutano lavori non gratificanti che pure potrebbe ro risolvere i loro pi immediati problemi economici, che non sono nemmeno risolvi bili, per le stesse ragioni, con i "lavori socialmente utili". Una sinistra che abbia messo da parte definitivamente, insieme all'utopia della societ perfetta, a nche il materialismlo economicistico di Marx deve avere un progetto per vincere

queste ingiustizie sociali. Certo, anche costruendo le condizioni per una inizia tiva economica pi aperta e libera - anche se non sar trasformando tutti gli italia ni in piccoli imprenditori del Nord Est (come credono i radicali) che si rinnove r davvero la nostra societ. Si tratta soprattutto di pensare il problema dell'occu pazione in termini che chiamerei "esistenziali", il diritto al lavoro, cio, come diritto ad avere un'esistenza densa di progettualit. Puo' esser tale anche se il lavoro che si svolge ha caratteri ripetitivi e frustranti; qui puoaiutare una rid uzione degli orari, o, come suggeriva Sylos Labini nel suo articolo di ieri, "la partecipazione dei lavoratori alle proposte e alle decisioni concernenti l'orga nizzazione del lavoro e le nuove tecnologie". E piu' in generale anche i lavori "peggiori" si sopportano se perlatro ci si sente coinvolti in un processo social e denso di altre gratificazioni. Qui, semmai, entrano in gioco tematiche "radica li" meno banali di quelle recentemente abbracciate da Bonino e Pannella: l'affer mazione di una societ dei diritti, a cominciare dalla lotta ai tanti proibizionis mi che ancora ci soffocano. Insomma, i proletari di cui la sinistra puo' e deve essere la voce sono oggi, piuttosto che i morenti di fame, i tanti che sono stuf i di essere solo "consumatori" - di merci imposte dalla pubblicit, di programmi t elevisivi berlusconiani o no, di sballi momentanei che in realt contribuiscono so lo a mantenere i fortunati che non ne muoiono nei limiti di una disciplina socia le che spegne ogni progettualit. Proletariato siamo tutti noi anche in quanto non desideriamo vivere in una societ opulenta ma barricata entro frontiere sempre pi militarizzate, per difenderci da un terzo e quarto mondo che escluso dai nostri esagerati consumi. E' in questa ultima specie di insoddisfazione, pi che nella re torica dello sviluppo, che si radica l'apertura imprescindiubile della sinistra a una solidariet di dimensioni mondiali, la sua alleanza con quell'altro proletar iato, pi vicino al modello marxiano, che ancora lotta per la sopravvivenza in tan ta parte del mondo. GIANNI VATTIMO

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