Sei sulla pagina 1di 2

Concorsi addio

Il sistema dei concorsi indirizzati al reclutamento dei pubblici funzionari stato inventato in Cina la pi antica meritocrazia del mondo. In Italia, al metodo dei concorsi sancito dalla Costituzione della Repubblica, come fisiologica modalit daccesso alle carriere pubbliche si pervenuti solo nel 1948 e da allora le cose sono assai cambiate. Oggi in Italia se ne discute molto, soprattutto riguardo il dilemma dellaccesso alle professioni intellettuali pi prestigiose, la docenza universitaria su tutte. Sembra che lo stato delle cose sia deplorevole, che il nepotismo e la negazione del merito la facciano da padroni. Non si pu dire che la situazione susciti, quanto ai possibili rimedi, prese di posizione univoche. Lattonito ascoltatore della trasmissione Radio tre mondo dello scorso otto dicembre ha potuto seguire lo squadernarsi di opinioni differenti quasi per ogni intervento telefonico. La cosa ha avuto un effetto tragicomico irresistibile. Un autorevole esponente politico proponeva concorsi nazionali limpidi e trasparenti, tra i sospiri degli astanti, udibilissimi se pur dissimulati. A questo punto giungeva folgorante la telefonata di un anziano cattedratico che proponeva di sottrarre lUniversit alla gestione dei professori universitari, spezzandone la tradizionale e secolare autonomia. Ci eravamo appena rimessi da questa altalena di emozioni che da Antonio Polito, senatore e gi direttore de Il riformista nonch dal conduttore, Paolo Messa arrivava il colpo di grazia. I concorsi sono un ferrovecchio? Benissimo. Aboliamoli. Non cos in tutto il dominante mondo anglosassone ? Basta con la tremarella, la febbre degli esami, i sudori freddi. Basta con le ceralacche e altri vecchiumi. Via tutto. Lo propone anche Pietro Ichino sul Corriere della sera del 21 Novembre. Ma allora non sarebbe meglio, dice Ichino, l dove possibile attivare un sistema di controllo rigoroso dei risultati,

abbandonare questo ferro vecchio, eredit di un sistema amministrativo superato? Cos, almeno, chi continuer a praticare il clientelismo baronale, politico o sindacale, rischier lo stipendio. [In] un sistema universitario nel quale sia abolito il valore legale della laurea (dove cio siano abrogate tutte le norme che richiedono quel titolo di studio per accedere a qualsivoglia posto, funzione o beneficio) e nel quale lo Stato non finanzi direttamente gli atenei [] potremmo lasciare altrettanto libera ogni facolt di assumere il personale docente e amministrativo secondo le procedure che essa preferisce: se sceglier male, gli studenti andranno altrove ed essa dovr chiudere. Forse, paradossalmente, sar la prima volta che vedremo dei concorsi veri: magari con minor dispendio di verbali e ceralacca, ma con un impegno sostanziale assai maggiore a selezionare le persone pi capaci e pi adatte, rispetto alle specifiche esigenze effettive. Rimane solo da chiedersi perch avendo sottomano un sistema di controllo rigoroso dei risultati, da attivare con relativa facilit, si sia preferito cos a lungo sprecare masochisticamente tempo e denaro con i concorsi. Quanto allabolizione del valore legale del titolo di studio, se ne discute dalle Prediche inutili di Luigi Einaudi. In paesi di tradizione completamente diversa, vero, il sistema sostanzialmente funziona. Ma si tratterebbe di trapiantare presso di noi stili di vita, atteggiamenti etici e costumi che qui non hanno radici. Per tacere che il presupposto fondamentale su cui tutto ci si basa un articolo di fede. Che le scelte umane siano sostanzialmente razionali e fondate su un altrettanto razionale calcolo dei propri fondamentali interessi. Questo come articolo fede non si discute. Ma noi che a tale fede non aderiamo, possiamo solo sommessamente domandarci cosa accadrebbe se, una volta liberalizzato il mercato dellistruzione come vuole Ichino, proseguissero tranquillamente le nequizie di oggid, in attesa che la mano invisibile rimetta le cose a posto, nel ragionevole lasso di qualche secolo?

Potrebbero piacerti anche