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Antologia

Scritti di Paolo Giuseppe Alessio Gabriella Cuscin Andrea Icardi Nicolangelo Lisco Marzio Di Mezza Melisanda Massei Autunnali Romano Pitaro Stefano Ricca Marco Saya Joseph Selin

Presentazione Questa antologia avrebbe dovuto vedere la luce nel 2002 per i tipi di Araba Fenice, poi, per vari motivi, non se ne fatto nulla. Adesso per, approfittando delle nuove tecnologie, cogliamo l'occasione per riproporla, convinti che la buona letteratura non invecchia mai.

Scritti di Paolo Giuseppe Alessio Gabriella Cuscin Andrea Icardi Nicolangelo Lisco Marzio Di Mezza Melisanda Massei Autunnali Romano Pitaro Stefano Ricca Marco Saya Joseph Selin

Cari amici, confesso che scrivere anche solo poche parole per presentare me stesso mi mette in imbarazzo. Non credo davere molto da dire, se non che mi sono laureato nel febbraio 2000 in Filosofia Teoretica allUniversit di Torino, con una tesi sulla lettura data da Emanuel Lvinas al Libro di Giobbe, che lavoro presso un centro di formazione professionale e ho molti amici; questo della mia vita privata quasi tutto. Aggiungo che scrivo dallet di sei anni e che il mio primo racconto, se ricordo bene, avrebbe dovuto narrare un viaggio sul deserto di Libia a bordo di un minuscolo aeroplano. Si vede che ho sempre provato il gusto per lerranza e il vagabondaggio. Di quel racconto, ovviamente, non mai stato scritto nemmeno lincipit. La novella che invio per la Vostra Antologia fa parte di una raccolta ormai ampia in cui sviluppo il tema del ritorno a casa. Ho intitolato la silloge Racconti della Familiarit. Nulla vieta di immaginare la casa in senso architettonico, come mura domestiche magari adorne dei disegni di bambini e scaldate da una presenza femminile, ma io ho in mente qualcosa di pi metafisico. Penso, insomma, a quella specie di porto interiore nel quale ogni tanto bello ritornare. Spesso capita che la via del ritorno sia difficile, segnata da incontri affascinanti e vicende belle e brutte. Capita che la via del ritorno duri una vita Nel racconto Lisola, in particolare, cerco di descrivere lo stato di alienazione in cui ci si pu trovare quando vengono a mancare rapporti diretti e vivi con il mondo esterno e le persone, quando, in altre parole, ci si chiude nel pi completo isolamento. Lidea del racconto mi venuta leggendo un articolo di giornale in cui era descritto il modus vivendi del bel mondo a Capri, negli anni 20.

Lisola Arriv sullisola senza far rumore, dallapprodo di servizio, riservato al trasporto delle merci, dei generi alimentari e degli oggetti di lusso, dei pani, dei pesci e dellavorio di Zanzibar. Scese sentendosi pi acuminato e nobile di una zanna delefante, ma vestito male e con la bocca tirata, assomigliando in questo alla pi umile ciabatta. Piccolo di statura, asciutto ma robusto nelle membra, con una strana inquietudine nello sguardo nero, ironico e preciso, lo accompagnava una bambina di circa dieci anni, assorta e sorridente, bianca e lunare. Tacevano, distratti dal sole, dal rollio dellimbarcazione e dalla sagoma alta e accigliata dellisola, che vista da quellapprodo sembrava la nuca sensibile e nervosa di un rapace. Sbarcarono nellacqua bassa e camminarono a lungo sul fondo pietroso del mare, inzuppando sandali e piedi. Ad un tratto, senza distogliere lo sguardo vago e sognante dallisola, la ragazzina disse: Emanuele, che ci siamo venuti a fare quaggi? Il giovane uomo sorrise e, accarezzandole la spalla, rispose: Siamo venuti a cacciarci nei guai, cosa credevi? Ah, ecco, volevo solo esserne certa, sorrise la piccola. I due amici si sistemarono in una spelonca di pescatori. La piccola

Caterina non si era ancora stesa sul letto a riposare, che la notizia del loro arrivo era gi corsa per tutta lisola, diffondendo un fremito tra le penne pietrose del rapace. Laquila di pietra pot osservare, sotto il becco adunco e ghignante, il frenetico via vai degli abitanti il lato nobile di quel mondo sospeso in mezzo al mare. Come una vecchia pettegola e ansiosa, la notizia trotterell tra i tavolini dei caff del corso e del lungomare, allombra delle foglie di agave. I sorridenti gentiluomini seduti tra ombrelloni, belle donne e coppe di champagne incresparono il loro sorriso, e un moto di fastidio percorse le loro labbra tumide, mai sazie di piacere. Le signore si chiusero un istante nei preziosi scialli e qualcuna chiese: Caro, ci che abbiamo lo continueremo ad avere? Molte non ottennero risposta, e solo le pi desiderate si sentirono dire: S, ma dobbiamo agire in fretta: domani potrebbe essere tardi Al tempo della nostra storia lisola era il rifugio fluttuante della parte migliore del genere umano. I suoi abitanti davano prova di s sulla terra ferma, negli affari, nelle libere professioni e nello spettacolo e sullisola si rifugiavano per distendere i nervi e per godere il riposo di un mondo immobile. Restando ore ed ore con le mani in mano, o accarezzando le belle forme di una statua, di un cane o del preferito tra i propri simili, gli uomini forti radunati sullisola tentavano di sottrarre al divenire e alla metamorfosi il 5

potere sul loro tempo. Celebri artisti e musicisti, con lunghi sforzi di concentrazione e con laiuto di molti bicchieri, riuscivano a udire applausi scroscianti e lunghi settimane intere. I pi fanatici arrivavano a credere che il fragore del mare applaudisse per loro. Gli uomini daffari potevano, con il piccolo aiuto del laudano, gustare allinfinito il sapore forte e inebriante della vittoria. Gli amanti trascorrevano ore languidamente abbracciati, troppo stanchi e fiacchi per muovere insieme i loro corpi, e ad occhi chiusi ricordavano con nostalgia il primo scambio di sguardi damore. Ma era pi la fatica di ricordare che il piacere del ricordo. Tutti cercavano di imbalsamare o conservare in formalina la parte migliore della propria vita; a nessuno passava per la mente che il meglio fosse ancora di l da venire e che i loro ricordi, come tutta lacqua nella scia del passato, fossero anchessi mutevoli e soggetti al divenire. La prima notte i due amici dormirono indisturbati. Caterina sogn qualcuna delle mille avventure vissute insieme. Rivisse i lunghi pomeriggi trascorsi a Parigi, dalle parti delle Halles, a suonare lorganetto e a far roteare nel cielo plumbeo della Capitale i birilli e le mazze colorate da giocoliere. Le capitava spesso di ritornare in sogno alla Ville Lumire e sebbene Emanuele fosse sempre al suo fianco, sempre ironico e assorto nei propri pensieri, i palazzi e le vie della citt erano talmente 6

diversi di sogno in sogno da far sorgere nella sua testolina poetica il dubbio che esistesse davvero, quella citt meravigliosa. Lindomani ricevettero la prima visita. Alle nove di mattina, quando Emanuele leggeva sul giornale dellisola le notizie del giorno, attento e concentrato come se quei fatti minimi lo riguardassero, e mentre Caterina si divertiva con le avventure illustrate di Sinbad il Marinaio, un buffo omino pass a trovarli. Sbuc allimprovviso dallangolo di una casa. E difficile dire se fosse appostato l dietro da secoli o se avesse lasciato da poco la sua comoda casetta sul lato opposto dellisola. Cari amici, un vero piacere fare la vostra conoscenza. Permettete che mi presenti: sono Regolo, il borgomastro. Abbiamo saputo del vostro arrivo e cos sono venuto a darvi il benvenuto. Emanuele e Caterina, vero? Dovete sapere che ho sempre avuto un intuito fenomenale per i nomi. Vi prego, tuttavia, di informarmi se per caso mi sono sbagliato. Non vorrei perseverare e radicami nellerrore. Sarebbe diabolico, non vi pare? Immagino che siate parenti Perdonate la mia curiosit, ma la carica di borgomastro mimpone di conoscere a fondo i costumi degli abitanti dellisola, siano pur essi ospiti di passaggio. Nessun grado di parentela? Una semplice amicizia tra un uomo e una bambina? Una bambina, gi Nulla di scabroso, voglio sperare. Con i tempi che corrono non si pu escludere nulla. Impossibile formalizzare il vostro rapporto? Bene, quand cos vi prego di 7

limitare allo stretto necessario il soggiorno sullisola: fate qualche bagno di sole, visitate magari le grotte marine, e poi tornate a casa. Noi non amiamo le innovazioni sociali... Nulla di personale, sia chiaro. Siete invitati a tornare tra qualche anno, uniti dal sacro vincolo del matrimonio. Concluso il suo bel monologo, il borgomastro spar dietro allangolo dal quale era sbucato e i due amici non seppero pi nulla di lui. Udirono solo i rumori del suo corpo nellallontanarsi, il battito pesante dei passi, i borbottii dellenorme stomaco sazio di piaceri, straripante di vita. Non videro pi, se non in qualche incubo, il viso stupido delluomo che sullisola era andato per primo incontro al pericolo. Bene Caterina, il momento di fare il nostro famoso giro dellisola Famoso, perch?, chiese la ragazzina, con il viso attento. Perch famoso? Perch lo diventer, che domande! Li faremo talmente impazzire che ci vorranno anni perch si dimentichino di noi! Ma Emanuele, come puoi saperlo, nemmeno li conosci! Emanuele pens che la domanda di Caterina fosse pi che giustificata, e allora le raccont di essere gi stato sullisola, anni prima, e di avervi soggiornato come membro riverito del mondo dei forti. Poi, qualcosa - ma questo non lo raccont alla giovane amica - lo aveva condotto lontano. Emanuele ricordava che il suo 8

non era stato un rifiuto morale: aveva ingannato e truffato anche lui, traendone piacere. Semplicemente, ad un certo punto non era pi riuscito a vivere sullisola e un senso di vuoto lo aveva afferrato alle spalle. Cos aveva rinunciato allimpiego di prestigio, ai benefici della sua posizione, agli inchini e alle riverenze. Non si era pentito di passare da uno stipendio da sogno ad una paga da sussistenza. Aveva accettato la cosa, come si accettano i fenomeni naturali. Nessuno, del resto, s mai dannato lanima per aver preso pioggia il giorno del proprio matrimonio Ma allora, aggiunse Caterina, mentre il trenino a scartamento ridotto li portava dallaltra parte dellisola, ma allora perch ci vuoi tornare? Per rinfrescarmi la memoria. Solo per questo I due amici visitarono per prima la sede del quotidiano locale. Dietro alla scrivania, barocca e sfarzosa, ma di pessimo gusto, scarabocchiava, come sempre la mattina, il direttore del giornale. Toh, chi non muore si rivede, disse il direttore, levando solo per un istante gli occhi da un fogliaccio tutto ricoperto della sua zampettatura da gallina. A vedere il foglio, Emanuela pens ai tristi calcoli di un ragioniere da strapazzo o al conto del macellaio. Non ho tempo per te, Emanuele! Cosa sei tornato a fare? Non ti ancora venuto il vizio di lavorare? Io sono in piedi dalle cinque per sistemare questo articolo. A proposito, leggi le prime righe e dimmi se c qualche errore. Sai che la grammatica non mai 9

stata il mio forte! Ora non ne ho voglia, Enzo. In ogni caso, noto subito che manca un apostrofo. Hai sempre avuto bisogno dei grammatici, Enzo, ma non li hai mai amati. Sar meglio che vada, o non finirai il tuo articolo Nulla di personale, Emanuele. Ti ho solo trovato troppo inquieto per fare il nostro lavoro. Tutto qui. Spero che tu abbia di meglio dalla vita. Ti consiglio di lasciare lisola, non posto per te. E un consiglio paterno, credimi. La bambina figlia tua? In ogni caso, non ha alcuna importanza. I due amici sinoltrarono per i carruggi e i vicoli stretti. Ad Emanuele sembr di essere tornato indietro nel tempo, a quando, da bambino, camminava in compagnia di sua madre per i budelli liguri, ed era convinto che la vita avesse la ricchezza di una fiera di paese. Giunsero ai piedi di un palazzotto barocco. Qualcuno, da una casa accanto, rovesci un pitale, ma di certo si tratt di un caso. Si sentirono sbattere gli scuri a molte finestre. Nemmeno ai tempi delle pestilenze gli abitanti dellisola erano stati cos sospettosi e diffidenti. Quale dei tuoi amici andiamo a trovare ora, Emanuele?, chiese Caterina. Oh, ti far conoscere il pi matto di tutti. Ti voglio presentare nientemeno che uno scrittore di successo! Chiss che non abbia 10

qualche lavoretto per noi Salirono dallo scrittore di successo. Emanuele sapeva che forse proprio di successo non era il caso di parlare. Allattivo dello scrittore erano appena tre racconti, di cui il secondo era limitazione del primo e il terzo ladattamento del secondo. Tuttavia, poich lautore, alla pubblicazione delle sue opere, si era sentito subito un granduomo e una persona importante, lattributo di scrittore di successo ci pu anche stare. Lo scrittore di successo viveva in un paio di stanze foderate di libri, un quartierino ottimo per uno scapolo, piazzato proprio in centro citt, ad una ventina di metri dai banchi di frutta e verdura durante giorno e dalle puttane nelle ore della notte. Accanto alle opere dei classici e dei contemporanei, che aveva letto per lo pi in riduzioni e compendi, lo scrittore aveva raccolto infinite copie dei suoi tre racconti. Per distinguerli, visto che era impossibile riuscirvi dal contenuto, aveva chiesto che i volumi, oltre che per il titolo, differissero per il colore dei dorsi. Cos le due stanze erano tutte unarlecchinata di giallo, verde e blu. Osservando i libri, a volte nello scrittore nasceva il desiderio di fuggire in Brasile, a godere le sue miniere doro, le foreste e il mare blu. Poi pensava che anche laggi il suo sarebbe stato un successo privato e lasciava perdere. Le due camerette ricolme di libri non erano tutto. Esisteva una terza stanza, oscura e misteriosa, chiusa da una pesante porta nera, disseminata di pesanti borchie e foderata di cuoio, lucido e 11

levigato come la pelle di un uomo in salute. La porta si apriva con uno scricchiolio sinistro, cigolando sui cardini. Nelle notti dinverno, quando il vento gelido spazzava le vie desolate dellisola, percorse solo da qualche gatto, molti sonni erano turbati e popolati da incubi dallagghiacciante dischiudersi dei cardini. In quelle notti, molto pi che nella bella stagione, lo scrittore dal successo privato entrava nella stanza, richiudeva la porta infernale dietro di s, e urlava alle quattro mura il dolore della sua solitudine. Quando la nera cagna della disperazione lo azzannava con pi ferocia, il pover uomo cercava di ferirla e ucciderla straziando se stesso con i mille oggetti acuminati nascosti nelle tenebre. Poi, placato il mostro, si trascinava a letto, e riposava come un sasso. A volte era cos fiero della lotta sostenuta che, dal fondo del suo sonno solitario, germogliava, bianco tenero e candido, il giglio del sorriso di una donna, conosciuta chiss dove. Se non scriveva, lo scrittore trascorreva le ore del giorno seduto alla preziosa scrivania, e palpava con mani avide il piano ricoperto di cuoio pregiato, ornato in oro zecchino. A parte le palpate, non faceva assolutamente nulla. Non pensava a racconti da scrivere, ma fissava il proprio viso riflesso nello specchio di fronte a s. Lo fissava cos a lungo da non distinguere, infine, i lineamenti. Assente ogni espressione, il suo diventava un viso bianco, 12

confuso e lattiginoso, non raffigurabile. Come era diverso il suo sguardo da quando, catturato dallispirazione e dalla tenace volont di scrivere qualcosa di originale, lo scrittore vergava i fogli di carta con la sua grafia minuta, libera e nervosa. Allora s!, allora il suo sguardo era luminoso come quello di un bambino di fronte ad unaltissima cascata. Scriveva per lo pi opere comiche, tratte dalla vita quotidiana. Definiva il suo stile neorealismo, incurante dessere anacronistico. Osservava gli abitanti dellisola e ne descriveva linvolontario ridicolo. Quello era il suo modo di sopravvivere e di resistere al pensiero dominante. Nei discorsi pubblici era ossequioso e riverente, non una delle sue parole andava mai contro lisola e i suoi vanesi abitanti. Il mondo dei forti era irriso solo nei racconti che scriveva per il suo successo privato. Peccato che in anni di fatica solo tre racconti fossero davvero usciti dalla sua fantasia, e che dei tre il secondo fosse la copia del primo e il terzo ladattamento del secondo. Peccato che nessuno potesse leggere i racconti scritti solo nella sua fantasia e ridere delle scene di vita quotidiana che li popolavano. Tutti gli incredibili personaggi che la sua arte toglieva dalla strada per depositare nellimmaginazione, nellimmaginazione rimanevano, come note mai suonate di un pentagramma. Per alcuni di essi, forse, era meglio cos. Che avrebbero fatto nel mondo reale? Era meglio cos per la vecchia e oscena moglie del gerarca dellisola, talmente viziata dal cibo e dal 13

vino da scendere a fatica, a soli cinquantanni, gli scalini della chiesa. Che bella finzione!, diceva la vecchiaccia, con un lapsus grottesco. Come ha parlato bene il parroco di mio marito! Gliele ha cantate soavi ai soliti disfattisti, a quelli che preferiscono le gite e le scampagnate al sudore della fronte. Ecco l uno, invece, che non esce mai!, e la donna indicava lo scrittore di successo, appartato sotto lombrellone di un caff a gustarsi in silenzio luscita fragorosa dei devoti dalla messa. Dicono che scriva, che scriva sempre!, si scaldava la donna, dimenando i cumuli di grasso del gran culone e vacillando pericolosamente sulle zampette gottose. Si lasciava andare ad una grassa risata e aggiungeva: Ma che cosa scriva, oh signore!, non lo sa nemmeno lui! Da ragazzo, ancora ai tempi dellUniversit, lo scrittore aveva pubblicato un articolo di fuoco contro gli abitanti dellisola su di un foglio clandestino del continente. La moglie del gerarca, che ricordava a stento il nome della piazza del paese, non aveva dimenticato laffronto. Spesso la sera, prima di prendere sonno, rileggeva il vecchio ritaglio di giornale, e grugniva alloscurit della stanza. Poi spegneva la luce, abbracciava il marito, e per miracolo gli regalava momenti destasi, fresca e infiammata come la prima notte di nozze. Lo chiamava cucciolo mio e mio eroe e dopo lamore pregava la Madonna di conservarlo sempre al suo fianco. Peccato che il successo dello scrittore fosse unicamente privato e 14

che trovasse alimento solo nella fiducia dellautore nelle proprie doti letterarie. Ma peccato fino ad un certo punto Scrivere dava allo scrittore un tale piacere che egli avrebbe desiderato, letteralmente, vivere scrivendo. Il suo desiderio sarebbe stato abbandonare la vita e lo scorrere bizzoso dei giorni per dedicare tutto se stesso, come in una preghiera, al tempo immutabile del racconto. Un tempo facile da azzerare a piacere, ricominciando da capo la lettura. In una vita abbastanza lunga di successo privato, lo scrittore era riuscito a concepire solo queste piccole riflessioni sul tempo e sullarte di scrivere. Tentando di affinarle passava i giorni, e non era molto diverso dagli altri abitanti dellisola. Come tutti loro era terrorizzato dai cambiamenti. Emanuele e Caterina bussarono alla sua porta senza preavviso, battendo tre volte il battente sul legno pregiato. Il padrone di casa prese tempo, disse di trovarsi en deshabill, corse allo specchio a controllare di essere presentabile, avvolse un foulard di seta intorno al collo tirato per la tensione, si chiuse un minuto nella stanza degli urli a sfogare lansia invincibile. Lesse per farsi coraggio alcune righe di un suo ultimo lavoro, le sole che avesse scritto nellultimo anno. Diede la stura alla sua completa follia; quindi, pallido come un cencio, and ad aprire. Siamo venuti a trovarti, Stefano, speriamo di non disturbare, disse Emanuele, alzando il mento per fissare negli occhi laltissimo scrittore. La fama del tuo successo giunta sul 15

continente, ma noi non siamo venuti per questo. Ci fai entrare? Prego, siate i benvenuti! Lo scrittore fece accomodare i due scocciatori nello studio: Emanuele sedette su di una vecchia ma comodissima poltrona di pelle verde e Caterina, leggera come una piuma, si accomod sulla bracciolo ampio e accogliente. Stai bene, Stefano, chiese Emanuele. Perch me lo domandi? Non mi vedi da dieci anni e la prima cosa che mi dici se sto bene? Mi sento violato, abbi pazienza! No, che prima che aprissi abbiamo sentito delle urla. Tieni qualche bestia feroce con te? Bestia feroce? Non so di cosa tu stia parlando. E poi, la bestia feroce potrei anche essere io Non abbiamo paura, se per questo, vero Caterina? Verissimo, disse la bambina, e una luce abbagliante le si accese negli occhi. Lo scrittore se naccorse, trem e subito chiese: Sei venuto per la tua vendetta? Dopo tanti anni pensavo che te ne fossi dimenticato Ti riferisci al plagio? Di cosa dovrei vendicarmi? Lunico racconto originale lo hai scritto copiando me. Nel secondo hai plagiato te stesso e nel terzo beh, nel terzo non sai nemmeno tu cosa hai scritto, ma di sicuro hai copiato anche quello! Non sei gentile, Emanuele, ma dici la verit Quindi, lo scrittore deglut, per riuscire a parlare, quindi non sei venuto ad uccidermi? 16

Uccidere te? Ma ti pare che andrei in giro con una bambina, a commettere omicidi? E io cosa ne so? La piccola potrebbe essere langelo della morte Anche questo vero, non ci avevo pensato. Ma io non sono langelo della morte, mi dispiace deluderla!, disse Caterina. Ascolta Stefano, la verit che io e Caterina siamo venuti a trovarti per capire meglio come lavora uno degli scrittori pi famosi del paese. Da dove trai lispirazione, quale genere prediligi, e cos via Oh, ma io ho parlato abbastanza! Tocca a te, Caterina! La piccola salt gi dal bracciolo e and a sedere di fronte allo scrittore, come in un esame scolastico. Una goccia di sudore freddo col sulla fronte dellinterrogato. Cosa ti piace scrivere?, domand la bambina. Lo scrittore rest qualche minuto in silenzio e si domand dove la domanda volesse parare. Poi, credendo che non nascondesse particolari pericoli, rispose: Scrivo per me stesso, piccola mia, per arricchirmi. Nei miei racconti parlo delle persone che ho conosciuto. Mi piace metterle sulla carta e farle parlare con le parole che mi sembra stiano meglio sulle loro labbra. Hai mai notato, piccola, come alcune persone dicano cose che stanno malissimo sulle loro labbra? Ho conosciuto, ad esempio, donne dal viso dolcissimo, pieno damore, che avevano sulla bocca solo 17

parole di disprezzo e di freddezza per me. Non lo trovi ingiusto, piccola? Emanuele mi ha insegnato che a questo mondo c libert di parola!, rispose la piccola, pronta e attenta. Ah, cos le hai insegnato tu?, disse lo scrittore, tendendo i muscoli della gola in una smorfia. Le ho insegnato a dire sempre ci che pensa lei ha un po esagerato. E una bambina ottimista, Stefano. Negli occhi dello scrittore fiammeggi un lampo. Vorresti essere il personaggio di un mio racconto?, chiese a Caterina, sporgendo in avanti il lungo e scarno busto. La piccola sent il fiato delluomo sul viso e quellodore le ricord la corsia di un ospedale. Nel mio racconto avresti tutto ci che desideri, le altre bambine ti guarderebbero con ammirazione e invidia. Farebbero la fila per venire a giocare con te! E poi ti farei crescere bella! S, nel mio racconto saresti una donna bellissima, amata dagli uomini e temuta dalle altre. E non invecchieresti mai, non invecchieresti mai, sussurr luomo, passandosi la lingua sulle labbra scarne, consumate dalla solitudine e da mille baci al muro. Nel tuo racconto sarei molto sola, disse la bambina, sorridendo con leggerezza. No, non voglio essere il personaggio di un tuo racconto. Emanuele, portami via I due amici uscirono dal palazzo dello scrittore di successo, lasciarono la cittadina e tornarono senza fretta dallaltra parte dellisola, per riprendere il mare dallapprodo di servizio. 18

Tacevano. Emanuele pens che non sarebbe mai pi tornato in quel posto sospeso in mezzo allacqua e al tempo. Per la prima volta, cap che solo il gusto dellorrido avrebbe potuto ricondurlo nel regno decaduto dellaquila di pietra. Perch godere delle disgrazie altrui? Non sarebbe carino! A notte fonda, mentre Caterina dormiva appoggiata alla spalla dellamico, cullata dalle onde materne del mare, lo scrittore di successo era chiuso nella sua stanza, davanti a un foglio di carta di Cina. Con il sorriso sulle labbra, scriveva e riscriveva un verso che aveva sempre saputo, ma che per qualche strano motivo si era pietrificato scomparendo dal suo cuore. Era il verso di John Donne: Nessun uomo unisola. Caterina glielo aveva ricordato. Paolo Giuseppe Alessio Scritto il 31 luglio 2002

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Nata a Trapani il 22/09/1949, sposata senza figli, Gabriella Cuscin, vive a Palermo dove, da oltre ventanni, insegna lettere nella scuola media statale. Laureata in lettere classiche, ama viaggiare per il mondo, curiosa e attratta da ci che diverso e bello. Da sempre appassionata lettrice di libri, ha scoperto la sua vocazione a scrivere grazie ad un computer portatile e ha cominciato quindi a scrivere quasi per gioco. Sul lago Dahl Un bus stracarico di uomini, avvolti nei loro turbanti, arrancava per una strada impervia della regione del Kashmir indiano. I poveretti erano stipati dentro un malandato veicolo ed alcuni sedevano pure sul tetto. Ad una curva, le ruote slittarono sulla fanghiglia ed il conduttore perse il controllo del mezzo. Si ud il sibilo dei freni, poi uno sferragliare meccanico. Al di sotto della strada, un burrone scendeva verso le rive del lago Dahl. Impennandosi di fianco, il bus si capovolse ed inizi a precipitare in quella scarpata. Urla, gente schizzata fuori, rumori raccapriccianti. Poi niente. Solo un silenzio di morte, interrotto ogni tanto da qualche esile lamento. Con la sua jeep, in quel momento, si trovava a passare il tenente italiano Mauro Bei, del gruppo 20

Osservatori delle Nazioni Unite. Era un ufficiale di carriera e sera arruolato nellONU per allontanarsi dal reggimento ove prestava servizio e soprattutto da Gianni, suo amico di sempre. Quanta invidia, quanta acrimonia avevano rovinato la loro solidariet! Facevano entrambi lo stesso mestiere di militari abituati alla disciplina, al senso del dovere. Ma la rivalit e il desiderio di primeggiare sono come lacqua che, prima o poi, corrode i ponti. Ed avevano corroso i loro rapporti. Adesso Mauro era sereno, lontano migliaia di chilometri e sempre a contatto con della gente completamente diversa da quella che aveva mai conosciuto. Gente povera, ma dalle antiche tradizioni, che il progresso aveva scalfito appena. Gente dallo sguardo dolce e rassegnato. Con il suo gruppo di ufficiali Osservatori, viveva lavorando molto spesso alla radio, da cui comunicava, in lingua inglese, tutto ci che poteva aiutare a mantenere la pace tra due popoli fratelli, ma divisi da due religioni diverse, in quel lembo del mondo, in quella terra tormentata sulla linea del <cessate il fuoco> tra lIndia e il Pakistan. Nei giorni di riposo, aveva viaggiato ed aveva conosciuto posti incantevoli. Aveva fatto esperienze nuove ed aveva iniziato ad abituarsi alle usanze, al cibo, alla lingua di quelle persone. Che paesaggi affascinanti! Nei suoi occhi, quanti monumenti antichi che affondavano le loro radici 21

nel cuore dellumanit! Aveva preso ad amare quei luoghi, a scoprirli sempre con rinnovato piacere. Gli ufficiali alloggiavano molto spesso case galleggianti sul fiume Dahl. In quel periodo, Mauro occupava una house-boat, insieme ad alcuni colleghi. Ricevevano ospiti importanti e avevano a servizio un personale costituito da Kashmiri di nazionalit indiana, ma di fede musulmana e cuore pakistano. Settimanalmente, un piccolo aereo da trasporto canadese, atterrando nel vicino aeroporto, depositava per loro tante varie ed abbondanti derrate alimentari ed ogni altro genere di necessit. Una sera, erano arrivati da Srinigar degli uomini anziani e gli ufficiali li avevano invitati a cena. Mentre mangiavano, uno dei pi vecchi aveva cominciato a narrare una antica leggenda del Kashmir. Quando guardi le stelle aveva detto e in una di loro intravedi una persona cara, ma non ne sei sicuro a causa della distanza, volgi lo sguardo dalla tua house- boat verso le acque del lago Dahl. Se quella persona ti vuol bene, la vedrai rispecchiare nelle sue dolcissime acque. Cos nelle notti successive, Mauro cominci a guardare gli astri stando seduto sul terrazzino della sua casa galleggiante. I riflessi della luna sulle sponde del lago creavano unatmosfera irreale, di sogno. In lontananza, 22

sintravedevano le ombre di alcune antiche pagode, gli alberi stagliavano contro il cielo le loro fronde come tante braccia protese in preghiera. Sar stata la suggestione o quel paesaggio da fiaba, ma il tenente aveva proprio limpressione di scorgere, nelle stelle, il viso di Gianni. Con quel ragazzo aveva condiviso tutta una vita! Erano stati amici per la pelle, confidenti, complici in tante avventure. Poi il lavoro li aveva divisi, ma lamicizia dura a morire quando si cresce, si studia, si gioca assieme. Gianni! Ricordava le risate, i divertimenti, gli scherzi. Ancora nessuno dei due aveva trovato la ragazza adatta cui vincolare la propria libert. In vero ci avevano provato spesso, ma con scarsi risultati. Mauro aveva conosciuto suor Priscilla, in una Missione cattolica, un po scuola un po ospedale. Faceva parte della congregazione fondata da Madre Teresa di Calcutta. Era una oscura suorina, ma santa anche lei. Giovane, alta e slanciata, sempre sorridente e pronta a sacrificarsi per i suoi poveri. Proveniva dallItalia come lui e laveva subito affascinato con i suoi occhi di un azzurro intenso. Alla dogana, suor Priscilla contrabbandava oggetti utili per i suoi assistiti. Laveva scoperta un giorno mentre diceva che, nel pacco ricevuto, cera solo Holy Mary. 23

Laveva ammirata per il suo coraggio e ne era divenuto complice. Adesso, quando poteva, sindustriava per aiutarla nel suo lavoro dassistenza ai poveri e agli ammalati. Quindi, il senso della sua vita aveva acquistato un valore diverso. Si sentiva utile e soddisfatto. Quando rivedeva la suora, il cuore subiva un arresto. La guardava estasiato. Avrebbe voluto curare quelle mani tutte sciupate da umili lavori. Nelle stelle, sul lago Dahl, vedeva il volto soave di Priscilla, ma se si volgeva alle acque, non lo vedeva riflettersi. E sapeva bene il perch. Il suo era un amore impossibile! Una volta alla dogana, sera accorto che la suora sera messa nei guai. Era prontamente intervenuto e si era fatto garante per lei, in qualit di ufficiale delle Nazioni Unite. Grazie tenente, gli aveva detto in seguito non scorder mai la sua bont! Quegli occhi che lo guardavano erano pi azzurri di ogni cielo azzurro. Non laveva pi rivista da parecchi giorni e sapeva che era andata a soccorrere un gruppo di disperati senza tetto, che volevano trovare rifugio in qualche luogo. La jeep dellONU, guidata da un caporale indiano, procedeva celermente lungo la strada che costeggiava il lago, quando era avvenuto il disastro. Mauro, a poche centinaia di metri, aveva assistito 24

allincidente. Ordin di frenare ed allistante balz gi dallauto. Si affacci sullorlo della scarpata e scorse uno spettacolo tremendo. Un fumo denso si alzava dal bus ridotto in rottami e corpi inerti e lacerati erano sparsi ovunque. Si precipit gi nel burrone per dare aiuto ai malcapitati e ai sopravvissuti. Dun tratto, si sent chiamare: Tenente! Venga mi aiuti! Si volse e dietro un grosso sasso, vide suor Priscilla china, accanto ad un moribondo. Sorella! Lei qua! Oh per carit, come sta, cosa si fatta? La sua voce era allarmata, ansiosa. Mi aiuti a trasportare questo poveretto. Vede, ancora vivo, bisogna portarlo allospedale. Ce ne saranno altri. Chiami soccorso alla radio. La prego! S, ma lei come si sente, pu alzarsi? Io sono illesa. Il buon Dio mi ha protetta, ma dobbiamo darci da fare per tutti gli altri. Era ricoperta di polvere ed aveva labito talare strappato, ma si alz repentinamente. Mauro savvicin al ferito e, con sua enorme meraviglia, ravvis in quel viso agonizzante unincredibile rassomiglianza. I capelli lisci e neri incorniciavano un viso bruno assai bello. Era un viso molto simile a quello di Gianni. Com strana la vita! Non era lui, ma lo ricordava in maniera straordinaria. Non pensava pi a Priscilla, guardava il ferito 25

come inebetito. Tenente! Presto! Non bisogna perdere tempo! Se lo caric sulle spalle e cominci la salita della scarpata con quel peso non indifferente. Arrancava e ad ogni passo che compiva, aveva limpressione davere una montagna addosso e questo perch doveva procedere in salita. Quando era disceso non sera accorto di quanto fosse ripida. Il caldo era terribile e riusciva a stento a respirare per la fatica. La suora gli stava dietro e cercava daiutarlo in qualche modo. Quando finalmente arriv stremato alla jeep, adagi sui sedili il ferito che si lament e pronunci qualche parola sconnessa. La voce! La stessa voce di Gianni! Doveva essere proprio vero quellantico adagio secondo cui, nel mondo, siamo in sette ad essere quasi identici. Mauro accese la radio e cominci a chiedere soccorso ai suoi colleghi designando il punto preciso dellincidente. Di l a breve sarebbero sopraggiunti in forze per recare aiuto ai sopravvissuti. La suora si sedette accanto a lui e savviarono verso il pi vicino ospedale. Quando vi arrivarono, compresero che per quel poveraccio vi erano poche speranze. Fu praticato ogni intervento necessario e suor Priscilla gli rest sempre accanto per alleviargli le sofferenze. 26

Come ti chiami? Hai famiglia? gli aveva chiesto. Mohamed, aveva detto in un bisbiglio. Aveva lo sterno e lo stomaco fracassato. Sera lamentato in preda a dolori atroci e lei gli aveva stretta la mano, gli aveva bagnato la fronte, lo aveva carezzato, aveva fatto tutto il possibile per non farlo soffrire troppo. Aveva finanche chiesto che gli somministrassero della morfina. Mauro non sera mai allontanato ed aveva profondamente ammirato lo spirito dabnegazione di quella donna. Suor Priscilla aveva un unico scopo nella vita: servire gli altri. In specie gli ultimi degli ultimi, i sofferenti e i moribondi. Mohamed aveva esalato lultimo respiro e lei laveva aiutato a morire in pace. Che impressine per! Era stato un po come veder morire il suo Gianni. Dopo qualche ora, erano sopraggiunte le station wagon dellONU che recavano gli altri feriti, e i giornalisti locali che chiedevano notizie sullincidente. Gli avevano domandato come si chiamasse, ma non aveva voluto rispondere. Aveva fatto ritorno alla sua house-boat, accompagnato solo da una grande tristezza. Il giorno dopo, come anonimo Osservatore delle Nazioni Unite, aveva provato lintima soddisfazione di leggere, sul giornale locale, di un ufficiale italiano che aveva soccorso invano il fu Mohamed. Il lago Dahl continuava a rispecchiare un volto: il 27

volto di Gianni. La malinconia aveva cominciato ad aleggiare sul sorriso di Mauro. Ma un giorno, segno di quella Provvidenza Divina che tutto vede e che consola, come diceva un grande scrittore, una telefonata gli giunse da lontano: Hallo Sir. A call from Italy. Hold the line. Pronto, sono il tenente De Cesari. Sono Gianni De Cesari e vorrei parlare con il tenente Bei. La sua voce! Dun tratto, Mauro ricord quando al liceo avevano studiato Aristotele che, interrogato su cosa fosse un amico, aveva risposto che unanima che vive in due corpi. Sono io! Gianni sono Mauro! Le due voci attraversavano LAsia e LEuropa, ma in quel momento erano vicinissime poich i cuori battevano allunisono. Ehi scemo! Come va!? Per un corpo ammalato occorre il medico, ma per lanima ci vuole lamico. E si sentiva gi meglio. Gianni dove sei? Come stai? Sto bene, ma mi va di rivederti. Senti, siccome da domani sono in ferie, ho pensato che potrei venire come turista in Kashmir. Che ne pensi? Come comportarsi con gli amici? Semplice: come vorremmo che loro si comportassero con noi! E Gianni stava facendo proprio come lui avrebbe voluto. Che eccitazione! Quanta gioia inespressa! Quando arrivi, a che ora, dove, con quale volo? 28

Dove atterri? Era una raffica di domande convulse. Ah ah ah ah ah. Arrivo domani laltro a Srinigar. Verrai a prendermi? Ci puoi giurare.

Gabriella Cuscin

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GENESI DI UN PASSATO C'era una sacco di gente al funerale del padre di Marco. Era un uomo importante in paese: uno dei pochi laureati. Per il vecchio Mario, invece, neppure un'anima per bene, solo vecchi curiosi che contavano chi mancava all'appello. L'idea della morte mi rendeva terribilmente triste e confuso. Ogni incubo, ogni ragionevole dubbio sulle conseguenze che essa avrebbe potuto avere sul mio spirito, serravano il mio orizzonte della felicit in modo sempre pi oscuro. Concordavo con gli amici sul fatto che la mia dipartita non avrebbe suscitato il minimo squilibrio nell'ordine mondiale, ma il punto non era il dopo per gli altri, ma il dopo per me. Costantemente, se la libert d'immaginazione me lo concedeva, riflettevo sulla sostanza di quel mondo che gi aveva accolto il sonno eterno dei miei avi. Dal punto di vista estetico credevo che l'aldil rispecchiasse la soggettivit di ogni individuo trapassato, che il suo ordine o disordine materiale dipendesse essenzialmente dal modo in cui ognuno ha immaginato la propria vita. Ma i sentimenti, gli incontri, quel non so che di astratto che fa di ogni persona un essere unico, come poteva manifestarsi in quel mondo che inconsciamente mi apparteneva, ma che alla luce del Sole non riusciva mai a svelarsi del tutto, lasciandomi sempre l'inquietudine di un deja-v?

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Avete presente il montaggio cinematografico, il metodo attraverso il quale le sequenze di un film vengono legate l'una all'altra, affinch la storia possa risultare comprensibile? Ecco, la mia vita ricordata non era altro che un film montato in maniera affrettata, in cui, come messaggi subliminali, alcune immagini erano state sbadatamente inserite in situazioni alle quali erano del tutto estranee. E ci che maggiormente tormentava il veloce fluire delle mie esperienze, era il vuoto lasciato da queste immagini. Se, infatti, consideriamo che ogni istante di realt unico ed irripetibile, quelli sottratti alla mia vita futura per essere immessi nella mia realt presente, non potevano che creare dei salti vuoti. Ed era proprio in quei momenti di sospensione che il regista della mia vita mi regalava uno sguardo sull'anima del mondo. Cogliere l'essenza delle cose, al di l del loro ruolo materiale, significava incorporare una dimensione che ancora non riuscivo a decifrare, ma che sicuramente mi apparteneva, poich da l provenivano i miei sogni e l si dirigevano i miei dubbi. Convivere con tale inconfessabile segreto fin dall'infanzia, un buon motivo per sentirsi costantemente sull'orlo di un precipizio, al fondo del quale regnano i fantasmi della psiche. La direzione della mia vita era verticale, a differenza di quella di mio cugino, decisamente orizzontale. Io sostenevo che l'unico modo per interiorizzare le esperienze della vita fosse quello di concentrarsi 31

sul proprio spirito, mentre Luca affermava che il mondo avrebbe dovuto essere esplorato fisicamente, fino alle pi sperdute periferie della realt, dove la vita si fermata al tempo di Cristo e la natura ancora l'unica fonte di chiarezza. Quando Luca part davvero per conoscere la vita, mi promise che al suo ritorno ogni singolo evento di quell'esperienza sarebbe stato anche mio, perch imparare a vivere senza insegnarlo anche agli altri non sarebbe servito a nulla. Lo aspettai per anni, finch un giorno d'autunno d'inizio millennio, un uomo irruppe nella mia esistenza per consegnarmi le chiavi della vita. Tanta insicurezza doveva nascere con tutta probabilit dal suo passato di eremita contadino. Il suo abbigliamento scombinato lasciava trasparire una trascuratezza interiore ed uno strano sentimento di malessere sociale, che ricordavano vagamente l'inquietudine giovanile degli artisti di strada. Credo non fosse mai andato oltre Santo Stefano Belbo, neppure con la mente, come un marito fedele che teme di ardere in eterno al solo pensiero di tradire la moglie. Nel gesticolare delle sue mani era racchiuso un segreto capitale. Le teneva quasi sempre unite, con le dita incrociate all'altezza del cuore, ed appena le lasciava libere sembrava invaso da una forza ultraterrena e cercava, con movimenti involontariamente comici, di riportale all'ordine. 32

Lo osservai statuario in un bar affollato ed intriso di fumo, del tutto indifferente alla sua presenza. Non credo fosse a conoscenza del motivo per cui era uscito di casa quella sera e neppure perch avesse indossato quella vecchia giacca azzurra sopra un maglione di lana a righe colorate in una calda serata di settembre. A tratti scuoteva la testa come se un pensiero lubrico si fosse insinuato nel suo cervello e lo avesse costretto a censurare prontamente la voglia di concretizzarsi. strano come, alle volte, gli esseri umani esternino inconsapevolmente il loro lavoro inconscio, il loro incessante moto spirituale che, come una catena di montaggio, elabora, sostituisce, sublima e censura i prodotti della loro psiche. Sposato non lo era di sicuro e non penso avesse un'approfondita conoscenza del mondo femminile, esperienza che lo avrebbe reso meno timoroso del prossimo e dotato di maggiore autostima, sebbene alle volte le donne rivelino un talento innato nel distruggere la personalit di un uomo. Forse si era innamorato, questo s, ma era stato respinto, per colpa di quella sua presenza precaria e poco rassicurante, che lasciava presagire un futuro incerto e poco gratificante. Riflettei tutta la sera su quell'uomo cos insignificante che pareva uscito da un romanzo di Dostoevskj, tanto apatico e squilibrato da poter commettere un delitto da un momento all'altro 33

con l'unico fine di darsi un'identit, entrando di diritto nella cerchia degli assassini. Doveva pur esserci una chiave per risolvere quell'enigma, una porta da aprire nel labirinto del suo passato che avrebbe lasciato filtrare un po' di luce sul suo presente, liberandolo dal dolore che si portava dietro da sempre. Il cielo fuori era stellato e l'aria confermava anche ai pi nostalgici il volgere al termine dell'estate. Del resto da queste parti impossibile non rendersi conto dello scadere delle stagioni, poich ogni cambiamento scandito dall'inizio di una nuova attivit nei campi. L'estate veniva salutata col sopraggiungere della vendemmia e code di trattori colmi d'uva e mosto occupavano gran parte del traffico cittadino. E poi le Langhe, in autunno, sono inconfondibili, sembrano farsi carico di tutti i sagrini e le malattie dello spirito dei loro abitanti, le colline si gonfiano d'umidit che pare evaporare come nebbia, e le vallate trasudano rancore come ai tempi della Malora, quando la gente si chiudeva in casa per nascondere la paura. Avevo assolutamente bisogno di chiarire il mistero di quell'uomo, consapevole del fatto che penetrare nel dramma di un essere umano significava venirne irrimediabilmente coinvolto. Se vero che il presente di ogni individuo 34

determinato dalla somma delle scelte che ha compiuto in passato, quell'uomo non poteva che essere il frutto di una sfilza di decisioni affrettate, delle quali forse non aveva mai valutato le conseguenze. O forse, pensiero orrendo, era il frutto delle decisioni prese da un'altra persona al posto suo. L'idea che un uomo possa essere manipolato in ogni ambito della vita, affinch la sua personalit corrisponda perfettamente alle esigenze di una seconda persona, cela al suo interno il concetto ancestrale di onnipotenza ed il desiderio di agire sulla mente del prossimo, rivelando il versante pi oscuro e malvagio dell'inconscio collettivo dell'umanit. Il caff di met mattina sempre il migliore. Pi denso e forte, vagamente rassicurante ed il suo prezzo pare decisamente inferiore alla sua utilit. Se si pensa agli elementi di cui composto, un po' d'acqua calda e di polvere scura, il suo costo risulta piuttosto alto, ma il valore intrinseco che riesce a comunicare di gran lunga pi importante del suo prezzo. Simbolo di pausa ristoratrice e di momento di riflessione, il caff mi concesse il tempo di tornare al suo mondo, di annegare ancora una volta nel suo flusso vitale alla ricerca delle risposte che il mio spirito continuava a richiedere per decifrare la vita di quell'uomo. Sabrina era stata assunta solo da pochi giorni e mi ero accorto della sua esistenza solo da allora, ma 35

il suo modo di destreggiarsi tra i tavoli del bar ed il suo inquieto correre tra bancone e cliente alla ricerca di efficienza, mi bastavano per dare a quella ragazza un senso. Per poco che mi concentrassi sul suo volto riuscivo chiaramente a proiettarmi nel suo privato, scovando nel disordine della sua camera i simboli di un passato da sognatrice e di un presente quasi rassegnato. Esiste come un percorso che ogni persona segue fin da bambino per giungere alla sua situazione attuale e, con un po' di stregoneria, non difficile poterne scorgere il futuro pi prossimo. Vedevo ora in lei il vizio assurdo di complicarsi la vita e la voglia inconfessata di perdersi in un labirinto di amanti non corrisposti, come se un peccato capitale ne circondasse l'esistenza alla ricerca di un'espiazione. Ma quel che le mancava era l'identificazione di questo peccato e la conseguente penitenza da scontare. In quel momento, come quando si percepisce che le cose stanno per assumere un nuovo significato, sentivo l'importanza di ci che stava per accadere. Quello che volevo ripercorrere a tutti i costi era la genesi di un passato, la ricostruzione, contaminata o meno che fosse dalla mia immaginazione, del trascorso di un uomo. Poco distante dal mio tavolino, una donna fumava impaziente. Quando Sabrina le chiese se voleva ordinare qualche cosa, ella disse di essere in attesa di un amico ed avrebbe aspettato il suo 36

arrivo per ordinare. Di sicuro quell'uomo era in ritardo e si sarebbe giustificato con un semplice: "Scusa ... il traffico ... una telefonata improvvisa ...". Non avete mai notato quanto sia frequente la giustificazione nel dialogare quotidiano? Oggi ci si giustifica per ogni cosa, scuse per i ritardi, per la mancanza di appetito, per le assenze dal lavoro. Sembra che ogni essere umano abbia cos tante cose da fare da non riuscire mai a farle tutte. Telefonini che squillano in continuazione per comunicare nulla, deliranti imbottigliamenti nel traffico cittadino, ore trascorse davanti a schermi di computer per poi sentirsi dire che tutto da rifare ... un'infinit di situazioni che ci impediscono di essere coscienti dello scorrere del tempo e ci rendono ansiosi e tesi perch il tempo dedicato a queste attivit sempre tempo sottratto alla riflessione. In questo senso si potrebbe anche giustificare l'insonnia, del resto il pensiero deve pur esprimersi, elaborare le informazioni che ha acquisito durante la giornata, e non trova altro momento che quello della sera, quando si spegne la luce per dormire. Quando lui arriv lei lo squadr seria e gli serv una freddezza tale da impedire qualsiasi abbozzo di scuse. In fondo non mai il caso di giustificarsi: sono in ritardo, punto e basta. un dato di fatto, cosa importa il motivo che mi ha impedito la puntualit! Si fanno sempre troppe parole per descrivere le situazioni pi chiare che ci capitano, mentre sarebbe sufficiente prendersi un po' pi di 37

tempo per valutare ci che pi importante e merita priorit nella vita di tutti i giorni, e concedere agli eventi meno importanti il tempo che trovano. Per uno che crede nella predestinazione, facile proporre una simile considerazione, basta convincersi che tanto, prima o poi, le occasioni arrivano, e ci sbattiamo contro. L'essere predestinati era una situazione di comodo, che vivevo forse per pigrizia, convinto di non dover muovere un dito per scalare la montagna del potere, poich alla fine tutto avrebbe fatto il suo corso ed io sarei diventato qualcuno puntando tutto sulla fortuna. Ma in quel momento, come un fantasma, balen davanti al mio pensiero ancora quell'uomo trasandato, e mi venne in mente che, se predestinazione esiste, quell'uomo era veramente stato indirizzato sulla strada maledetta dell'insignificanza. Saldato il conto tornai sulle sue tracce con l'idea allettante di improvvisarmi investigatore, il mestiere che sognavo di fare fin da piccolo. Ancora una volta, per volere del fato, potevo considerarmi un predestinato. Da dove diavolo si comincia un'indagine? Il paese non grande, qualcuno lo conoscer e, considerando l'innata vocazione della gente di Langa a crear leggende attorno ad ogni esistenza, sicuramente sarei venuto a conoscenza di una 38

qualche avventura mitologica che lo aveva visto protagonista. C' un sottile desiderio di essere persuasi a raccontare una storia negli abitanti di queste zone. come se ognuno, qui, sapesse pi cose del dovuto circa i suoi compaesani, ma desiderasse sempre essere pregato per diffonderle. Quest'inclinazione al pettegolezzo, di cui ognuno era cosciente, ora faceva al caso mio. Un amico giornalista mi rifer che probabilmente si trattava di Severino, il matto che viveva in una cascina fatiscente sull'orlo di una collina che guarda verso il fiume. In realt le nostre descrizioni di Severino non collimavano del tutto, ma, per il momento, era l'unica carta d'identit provvisoria di cui fossi in possesso. Che per lui fosse un matto, non avevo dubbi! Da queste parti l'essere diverso anche solo per tratteggiate sfumature, diagnosticava automaticamente follia. Dopotutto un fenomeno comune alle comunit pi isolate e chiuse considerare matta una persona che non fa quello che fanno tutti gli altri: le persone imprevedibili devono essere isolate e guardate con sospetto, poich rischiano di compromettere l'equilibrio della comunit, proprio come i matti. Conoscevo la collina e la scalai in pochi minuti. Lungo la strada umida d'autunno, i contadini osservavano interrogativi il mio incedere, come se fosse inconcepibile il mio fare d'altro quando c'era la vendemmia. Ogni anno la vendemmia mi 39

confermava che il mondo continuava nella sua normalit, anno dopo anno, disastro dopo disastro, a settembre si doveva vendemmiare. E non importava a nessuno se in quel momento ci fossero tragedie ben pi gravi. In questo i contadini erano ammirevoli, c'erano priorit che andavano affrontate con lucidit ed alle volte cinismo, poi venivano gli altri pensieri, a mente vuota, scansato, ma non soppresso, il richiamo del denaro. Pantaloni e vasi vuoti appesi agli alberi avrebbero indicato il capolinea del mio percorso. Nascosta da una curva, infatti, trovai la casa del matto. Non solo pantaloni e vasi, ma anche sveglie, secchi ed indumenti vari mi accolsero indifferenti, emblemi di una normalit lasciata all'esterno. Si trattava di un casolare trascurato, con l'erba alta nella corte ed un gran silenzio che filtrava dalle larghe fessure tra i mattoni. Mi sporsi furtivo ad una finestra, scostai una ragnatela ed osservai la scena: un tavolo e qualche sedia in legno, un fiaschetto di vino a met, una credenza impolverata ed un appendiabiti con una giacca verde militare appesa. Il resto erano umidit ed oscurit che ricordavano vagamente un dipinto di De Chirico, dominato da un logico disordine, tipico dei matti. Provai ad immaginare il mio uomo seduto su quella sedia, intento a bere vino rosso ed a risucchiare un piatto di minestrone, ma la sovrapposizione delle due sequenze non mi convinceva. Insomma: non me lo vedevo 40

quell'uomo in quella casa, in quella sporcizia interiore, con quella giacca appesa al muro era inimmaginabile! Mi spostai sul retro della casa, sfiorando il muro ammuffito con le mani alla ricerca di qualche sensazione metafisica o chiss quale altro potere medianico. Ero convinto di averli, i poteri. Fin da piccolo ero affascinato da testi esoterici e voluminosi trattati di metafisica, nei quali era spiegato il percorso da seguire per entrare in possesso di capacit extrasensoriali. Ma l'unico risultato a cui pervenni sfiorando quella parete fu il raduno di quattro galline bianche, che mi seguirono canticchiando fino alla prima finestra del retro: all'interno vi era una cantina abbandonata, con botti di legno, bottiglie vuote e tubi di gomma per i travasi ed al centro dominava un vecchio torchio per pigiare l'uva. Le vecchie cantine hanno sempre un alone di mistero, ricordano le stanze delle torture medievali, con gli attrezzi per spremere gli arti ed i macchinari per l'inserimento di liquami nel corpo. A pensarci bene, ognuno di quei marchingegni poteva essere funzionale a scopi davvero macabri: il torchio per la compressione del cranio o di qualsiasi altra parte del corpo; i tubi di gomma come flebo di bollenti fluidi di morte; le botti come sarcofagi in cui rinchiudere il corpo esanime del martoriato Mi venne in mente che, forse, Severino aveva realmente compiuto simili nefandezze in quella cantina/obitorio, e che se anche, un giorno, fosse 41

stato scoperto, sarebbe sempre riuscito a cavarsela appellandosi alla sua infermit mentale.

"Hei via di l chi sei?" Severino era tornato! Mi precipitai tra le vigne senza neanche guardarlo in volto, avevo paura. Si. Una terribile paura, non so di che cosa in particolare, ma una generica e sana paura di morire. Sar stata la visione della cantina o la diabolica solitudine in cui era immersa quella cascina, resa ancora pi tetra dall'umidit autunnale, ma ero pervaso da un'angoscia tanto opprimente da non aver voglia neppure di tornare indietro a prendere l'auto, che avevo parcheggiato a pochi metri dalla casa. Alcune voci mi riportarono la tranquillit. Era quasi mezzogiorno ed i contadini stavano per abbandonare i filari per il pranzo. D'un tratto tutto torn quieto e normale, risalii il pendio e mi arrestai a pochi metri dall'auto. Con l'agilit di un gatto affondai le scarpe nell'erba umida fino a raggiungere di nuovo il casolare: questa volti lo vidi bene. Era un uomo magro, non troppo alto, con la schiena incurvata ed 42 i capelli bianchi e

spettinati. Portava un paio di stivali di gomma sopra i pantaloni marroni ed una giacca grigia gli strozzava la vita: non era lui. Matto lo era di certo, ma non era il mio uomo. Saltai in macchina prima che mi notasse e corsi a casa. Vivevo solo da quasi un anno e non mi ero ancora pentito della mia scelta. Dopo Veronica non cera stata pi nessuna ragazza nella mia vita, tranne quel breve sopralluogo sul corpo di Mary, che in realt si chiamava Maria, ma si faceva chiamare Mary per una sua strana convinzione secondo la quale americanizzare la propria vita, a partire proprio dal nome, la rende meno triste ed incolore. Avevo preso la buona abitudine di pranzare ascoltando musica jazz, quella tosta di Ben Webster o di Charles Mingus, ed avevo notato che la digestione si era fatta meno assonnante, come se il mio apparato digerente, privo della visione di telegiornali ed informazioni varie da elaborare, funzionasse con pi tranquillit ed efficienza. Da quando Veronica se nera andata mangiavo molto meno, e quasi sempre verdura o pasta, evitando carni rosse e merende ipercaloriche. Ci avevano guadagnato soprattutto i reni, che filtravano in continuazione imponendomi imbarazzanti corse in bagno ad ogni istante.

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Verso le due del pomeriggio passai al bar per un caff ed una scorsa al giornale. Il mondo stava attraversando un periodo decisamente ostile, un clima di odio si diffondeva fino ai centri pi isolati, come Santo Stefano, ed il timore di una catastrofe imminente, questa volta, sembrava davvero essere sul punto di concretizzarsi. Una seconda Pearl Harbour aveva sconvolto lequilibrio mondiale e la gente cercava sicurezza nel prossimo, concedendogli massima fiducia in ogni ambito. Paradossalmente nei momenti maggiormente critici gli uomini riescono sempre a compiere le scelte peggiori, lasciando che il potere venga gestito da ununica mente. "Credi che scoppier una guerra?" Mi chiese Sabrina rivolgendomi la parola per la prima volta. "No... non lo so ... in fondo non me ne importa granch!" Risposi. Ed era vero. In quel momento, tutto sommato, non me la sentivo di condannare del tutto la guerra. Da alcuni giorni mi sforzavo di vedere la cosa dallalto, senza farmi coinvolgere, ed ero arrivato a considerare la guerra un mero scontro tra gentiluomini ottocenteschi: due uomini si sfidano, scelgono unarma ed un territorio, stabiliscono le regole e si battono. Non riuscivo a credere che potesse esistere una situazione di guerra che arrivasse a coinvolgere anche me o le persone che conosco. Ma probabilmente era la 44

stessa cosa che pensavano le persone che avevano perso la vita nel rogo di New York, che in quei giorni continuava a tenere occupati gli schermi televisivi di tutto il mondo. "Il tuo caff!" La voce di Sabrina mi riport alla realt. Aveva decisamente un bel sorriso, denti perfetti, labbra carnose e lucide, avrei voluto essere Humphrey Bogart per vederla cascare tra le mia braccia ardente di passione, ma ero soltanto uno studente in legge che viveva di lavori occasionali. Dovevo assolutamente conoscere meglio quella ragazza, sentivo attrazione per lei e per il suo privato, provavo una grande curiosit per il suo modo di pensare e di vedere il mondo. Decisi che al suo terzo sorriso ricambiato mi sarei dichiarato. L'uomo misterioso era seduto al fondo del locale, da solo e con l'inconfondibile abbigliamento della sera prima. Sembrava invisibile, tanta era l'indifferenza con cui gli altri clienti gli passavano accanto, alcuni sembravano addirittura oltrepassarlo come un fantasma. Le sue dita battevano ritmicamente sul tavolino, come se attendesse impaziente un'ordinazione, ma n Sabrina n Giovanni, il padrone del locale, avevano notato la sua presenza. Mi concentrai sul suo sguardo come un cane da caccia sulla selvaggina e cercai di scorgere nei suoi lineamenti i segni di un passato sconosciuto. D'un tratto alz 45

gli occhi e mi fiss serio. Per un attimo mi parve di vedere un ragazzo poco pi che ventenne, di bell'aspetto e dall'espressione felice, poi il flash svan e con lui l'uomo. Chiesi a Sabrina se l'avesse visto uscire, ma sostenne di non aver visto nulla, nessun uomo con una giacca azzurra seduto al tavolino. In quel periodo stavo leggendo l'autobiografia di Yeats e mi capitava spesso, durante la lettura, di scorgere a brevi flash il contesto storico della vita del poeta irlandese. La scenografia pi frequente riguardava la sua casa da ragazzo e le sue riunioni a base di sedute spiritiche e letture collettive. Il legno, in quegli ambienti, era l'elemento dominante. Pareti, tavoli, sedie e porte erano sempre dello stesso colore e materiale, calore ed umidit erano gli umori pi diffusi. Non riuscivo mai a notare la presenza di donne, nel suo mondo. Per me, invece, ora le priorit erano due: conoscere Sabrina e svelare il mistero di quell'uomo. Corsi a casa e disegnai la scena che avevo visto incrociando gli occhi dell'uomo. Mi piaceva questo tipo d'indagine, guidata pi dalla mia immaginazione che da indizi concreti. Sempre pi convinto dei miei poteri paranormali, mi concentrai su ci che stava alle sue spalle e sulla sua espressione: un volto disteso, quasi sorridente, ma non del tutto in pace. Camminava velocemente con uno zaino in spalla e dietro di lui 46

un'ampia scalinata portava all'interno di un edificio di recente costruzione. A guardarlo bene assomigliava ad un mio compagno di classe delle elementari, un certo Sergio che ora faceva l'operaio per un'industria di macchine enologiche. Lo battezzai Sergio. Il pomeriggio dur il tempo di un t nero cinese. Gli esami di novembre erano ancora lontani e potevo permettermi di trascorrere il tempo a rimuginare sul mio caso. Ray Charles cantava Confession Blues ed il divano sembrava fatto apposta per accogliere le mie riflessioni serali. Ripresi in mano lo schizzo e mi concentrai sull'edificio che avevo disegnato con dovizia di particolari. Con tutta probabilit si trattava di un edificio scolastico e lui era uno studente. Il suo zaino non poteva che essere pieno di volumi e l'et era quella di un universitario. Il volto mi pareva sempre meno decifrabile: una serenit a met, come se fosse consapevole di una tragedia imminente che gli impedisse di assaporare appieno la sua felicit presente. Un viso preoccupato, ecco. Scesi al bar per rivedere Sabrina. Quando entrai mi lanci un sorriso e dimenticai il mondo. Era il secondo. Mi bastava, non avevo pi alcuna intenzione di aspettare il terzo. Coabitavano in lei la cassiera casinista del supermercato di periferia e la dark lady dei 47

gangster movies anni '40. Del resto in ogni detective story che si rispetti ci deve essere una dark lady (aveva ragione Mary: si finisce sempre con il parlare in inglese quando si vuole mitizzare la propria vita!). Sergio era appostato al solito posto, invisibile. Colsi al volo la presenza del giornale sul suo tavolino ed andai deciso verso di lui. "Scusi posso prendere il giornale?" Mi fiss per alcuni secondi senza rispondere, poi abbass il capo. Rimasi nei suoi pressi. "Terribili questi integralisti!" dissi a voce alta per attaccare bottone. Possibile che fosse cos assorto da non potermi neppure guardare in volto? Tornai al bancone e presi una birra piccola. Sabrina asciugava il marmo sbuffando. "Lo vedi adesso?" "Chi?" "Quell'uomo quello laggi, all'ultimo tavolino!" "Ma tu sei fuori!" "Ma come non lo vedi! l. Prima gli stavo 48

parlando, non hai visto? Tu Giovanni lo vedi?" "Non che hai bevuto troppo?" rispose il vecchio. "Ma non ho bevuto nulla lasciamo perdere" Era meglio interrompere la conversazione, o avrei finito con il perderle per sempre, Sabrina e la reputazione. Ma come potevano non vederlo, era l, immobile con i suoi quarant'anni di passato alle spalle. Che fosse davvero un fantasma? Invece di essere contento per aver avuto la prova dei miei poteri, avevo una paura tragica. Cercai di intrattenere Sabrina, ricordandomi del mio imperativo. "A che ora smetti, Sabrina?" "Alle dieci l'orologio. tra un ora" disse guardando

Dovevo attendere ancora un ora. Uscii fuori per chiamare un amico. Era un sacco di tempo che non facevo due parole con Luigi. Ma appena oltrepassai la porta d'ingresso m'imbattei in Sergio. Questa volta mi guardava interrogativo, senza ombra di dubbio. Sembrava che l'insicurezza lo avesse abbandonato. "Come fai a vedermi, giovanotto?" "Non lo so la guardo e basta" 49

"Nessuno mi vede, solo tu." "L'ho capito, per poco non mi prendevano per matto, nel bar." "Facciamo due passi, voglio spiegarti una cosa." Si stava alzando la nebbia ed avevo il cuore in fibrillazione. Stavo dialogando con un fantasma o qualche cosa del genere, avevo una paura folle. Mi avvicinai a lui lentamente e man mano che lo raggiungevo il mio timore si placava, come se la sua presenza mi infondesse calma e sicurezza. "Tu credi ai fantasmi, vero?" chiese lui.

"Si, o meglio non posso dire di non crederci, ma non ho la certezze che esistano" balbettai. "Credi nella vita dopo la morte, nella convivenza di esseri ultraterreni tra gli umani, in tutte quelle cose a met strada tra la realt e l'immaginazione " Sembrava una di quelle preghiere finali che il prete comunica al termine di una messa importante. La risposta non poteva che seguire il 50

regolamento. "Credo! Si forse ci credo anche troppo" "Ci credi talmente che ne sei venuto a contatto". Passeggiammo lungo il fiume tutta la notte, mi ero dimenticato persino di Sabrina e di Luigi. Sergio mi spieg di come fosse costretto in questo limbo tra la vita e la morte a causa di una donna (le donne: sempre loro!), di come avesse perso ogni informazione sul suo passato recente, poich la sua memoria era rimasta ferma al giorno del suo mancato trapasso, e proprio a causa di questa mancanza egli non fosse ancora riuscito a liberare completamente il suo spirito. Circa vent'anni prima, all'universit, aveva conosciuto una ragazza della sua et. Si chiamava Rosa ed insieme avevano vissuto un mese di indimenticabile passione. Purtroppo la vita di Sergio fu troncata da un incidente stradale mentre tornava a Santo Stefano da Torino, dove studiava. La ragazza, colpita da tanta tragicit, non era mai riuscita ad elaborare il lutto per tale perdita, e continuava a vivere come se Sergio fosse ancora al suo fianco. Mi raccont di averla spiata pi volte, poich viveva in un paese poco distante da Santo Stefano, e di averla vista discorrere ed intrattenersi pi volte con lui. O meglio, con la sua met terrena, quella che ancora credeva di essere viva e di poter restare al fianco di Rosa per 51

sempre. Rosa usciva raramente di casa, viveva con un modesto assegno che le passavano i suoi anziani genitori, poich il mondo reale la considerava, non a torto, un soggetto poco equilibrato, visto che lei continuava a credere di parlare di e con il suo uomo, mentre per chi la osservava parlava da sola. Affinch il suo trapasso potesse avvenire egli avrebbe dovuto riunirsi con la sua met innamorata e convincere Rosa, la vera chiave del problema, ad elaborare il lutto. Al termine della passeggiata mi offrii di aiutarlo, sebbene fossi ancora incredulo di fronte a tanto materiale metafisico. La casa in cui vivevo costituiva leredit di una vecchia zia. Era morta sola, senza figli, e la mia famiglia era lunico legame che le era rimasto. Confidava nel mio avvenire di avvocato, o comunque di uomo giusto, fedele allo stato come lo erano stati i suoi due mariti: maresciallo dei carabinieri il primo e segretario comunale il secondo. Al suo funerale il prete la ricord come una gran signora e la indic come un esempio per tutti. In realt allora non avevo una grande esperienza in fatto di funerali, giusto un paio di nonni, e solo pi tardi mi accorsi che quelle parole il prete le diceva ad ogni sepoltura. La casa non era grande, ma mi era sempre 52

piaciuta. Era comoda, a pochi passa da quella dei miei e di mia nonna paterna, e con una grande veranda sul balcone. Mi aveva sempre attratto lintimit di quella veranda, un luogo trasparente, percorso per tutto il suo perimetro da lunghe tende bianche, con un muretto in mattoni a vista alto un metro a sostenere le vetrate. Ero un privilegiato, me ne rendevo conto. Ma perch non avrei dovuto approfittare di tutte le possibilit che la vita mi offriva, compresa quella di essere figlio unico? La mattina dopo il primo incontro con Sergio feci colazione proprio in veranda, in questa stagione il posto pi caldo poich riscaldato dal Sole che ogni mattina vi penetra. Sul tavolo era sistemato, dal giorno prima, il libro di Yates, Autobiografie. giusto parlare di pi biografie quando si racconta la propria vita, non solo perch si tracciano anche i profili delle persone conosciute, ma anche perch ognuno di noi costituito da diverse esistenze, voglio dire: a trent'anni non siamo pi ci che eravamo a dieci e non saremo ancora ci che diventeremo a settanta. Le scelte condizionano i nostri atteggiamenti futuri, ci trasformano, ci aiutano a decifrare la nostra personalit, e ci che credevamo fosse importante quando eravamo giovani non lo pi nell'et adulta. E Sergio ne era l'esempio concreto, per quanto concreto possa essere un fantasma, di questa pluralit, il suo spirito era infatti diviso tra una parte pi razionale, ancora legata al mondo 53

terreno, ed una parte pi evoluta, gi proiettata verso l'infinito, senza contare le innumerevoli varianti legate ad ognuno dei due aspetti. Esisteva un punto d'incontro di queste due parti che gli avrebbe permesso di oltrepassare il limbo in cui si trovava in quel momento. Una volta vestito presi la decisione di mettermi alla ricerca della donna con la quale aveva condiviso il mese d'amore. Mi aveva detto che viveva a San Giorgio, un paesino di poche anime, a cavallo tra Langhe ed Astigiano, alla cima di una collina dalla quale si poteva ammirare un panorama molto romantico. Conoscevo il posto per esserci stato tre o quattro volte, l'ultima in occasione di un convegno sulle tradizioni contadine ed il degrado del paesaggio rurale contemporaneo, o qualche cosa del genere. Durante il viaggio pensai a come sarebbe stato bello avere al mio fianco Sabrina, che mi raccontava la sua vita sognata. Avevo dimenticato quanto fosse folgorante il panorama autunnale di San Giorgio. Dodici miracolose colline si ergevano a semicerchio davanti al mio sguardo, grondavano vino che si riversava in un laghetto riflettente i raggi del Sole, tra la foschia di settembre. Alle mie spalle si ergeva una vecchia chiesa, il cui fresco respiro pareva provenire direttamente dall'oltretomba. Varcai la soglia del tempio con sospetto e mi avvicinai ad una parete di ex-voto. I miei nonni 54

erano soliti dire che, quando una persona moriva, aveva finito di tribolare. Davanti ai miei occhi, ora, si stagliavano i ritratti di decine di persone che per poco non avevano finito di tribolare, e per questo ringraziavano la Madonna: l'uomo, in fondo, sempre stato masochista. Inconsciamente adora soffrire, per essere sicuro di godere di maggior felicit una volta trapassato. Passeggiavo velocemente accanto a quei dipinti quando un quadro attir la mia attenzione: il disegno che avevo abbozzato il giorno prima sulla scorta di un'allucinazione dominava il centro della parete. Era in tutto e per tutto la stessa situazione, con un ragazzo di profilo ed uno zaino in spalla. In pi, oltre all'edificio scolastico, era rappresentato l'incidente che gli aveva strappato la vita, con un auto in procinto di sbandare ed una Madonna a bordo strada che compiva il miracolo. L'unica persona che poteva aver commissionato un ex-voto per Sergio poteva solamente essere la sua innamorata, convinta com'era che egli fosse ancora in vita, miracolato dalla Vergine. Dovevo trovare il parroco chiarimenti su quella donna. per chiedergli

Prima di uscire mi avvicinai all'altare maggiore, m'inchinai e provai, come da bambino, la sensazione di essere colpevole ed il desiderio di confessare i miei peccati. Poi uscii, ed il senso di 55

colpa svan. Don Paolo era un vero uomo di Dio. Di tutti gli dei. Poteva officiare una messa per Musulmani, Ebrei, Cristiani e Buddisti tutti insieme, ed il suo messaggio sarebbe arrivato uguale a tutti i presenti. Aveva un modo di insinuare il tarlo del dubbio religioso tanto sofisticato ed attraente da far pensare ad un dono del Demonio pi che di Dio. La sua abitazione era una dimensione oltre che un luogo fisico, un antro umido a met strada tra l'oscuro medievale ed il tepore romantico dell'Ottocento. Lo avevo incontrato la prima volta un paio d'anni prima, in occasione di una visita ad una mostra di pittura, e mi aveva fatto ascoltare Wish you were here dei Pink Floyd all'interno della chiesa. Fu una sensazione straordinaria, vedere uscire la musica dalle nicchie votive come l'onda densa del calore sull'asfalto, per qualche minuto mi proiett fuori dal corpo lasciando libero il mio pensiero. Quel giorno mi spieg che la musica, quando si fa portatrice di un messaggio positivo, giusto che venga ascoltata e fatta ascoltare a pi gente possibile, come una tradizione che si deve tramandare. Non gli importava che al suono di quelle note migliaia di persone, un tempo, avessero fatto l'amore in massa, sotto l'effetto di qualche anfetamina, quello che prendeva in considerazione non era il modo in cui una canzone fosse stata ascoltata, ma il fatto che fosse ascoltata, e poesie come quella dovevano essere ascoltate e capite per forza. 56

Quando suonai alla porta ci mise un po' a ricordarsi di me, poi mi invit a sedere e parl di Rosa come un padre di una figlia. La donna viveva in una casa di campagna poco fuori del paese, la gente la considerava pazza ma non aveva paura di lei. I bambini la prendevano in giro per il suo trasandato modo di vestire ed il suo continuo monologare, ma lei non vi badava. Chiamava in continuazione un certo Alessandro, di cui diceva di essere la moglie, ma di Alessandro nessuno aveva mai visto neppure l'ombra. Don Paolo aveva l'abitudine di conservare almeno una fotografia di ogni persona che aveva incontrato in vita, se questa aveva la possibilit di regalargliela. Mi mostr uno scaffale colmo d'album di immagini e ritratti di uomini e donne bizzarri, i cui volti erano carichi di esperienze e di passioni mai concretizzate. Divideva le sue raccolte per grado di conoscenza: il primo piano dello scaffale era dedicato ai parenti ed agli amici pi stretti, poi venivano i semplici conoscenti ed infine le persone che aveva incontrato si e no una volta. Lo faceva per ricordarsi del suo passato, per adempiere alla sua missione di ministro del Signore, di convertitore e salvatore di anime, ma anche per una sorta di bisogno inconscio di credere di avere degli amici, o semplicemente delle persone con cui far finta di convivere. Mi raccont di come, alle volte, vinto dallo sconforto, 57

si soffermava su alcune figure e ne inventava il passato da eroi di guerra, o di amici inseparabili con cui aveva vissuto momenti indimenticabili, come possono essere indimenticabili solo i momenti vissuti nella terra dell'immaginazione. Alla fine estrasse dall'archivio dei conoscenti la foto di Rosa. Avr avuto una ventina d'anni, al tempo dello scatto. Non era bellissima ma i suoi lineamenti denotavano una serenit interiore ed una voglia di innamorarsi che pareva uscita da un vecchio film francese della Nouvelle Vague. Poi le affianc il ritratto di altre ragazze. "Non ti sembra che si incredibilmente?" Mi chiese. somiglino tutte

"Ad essere sincero hanno quasi tutte la stessa espressione di felicit improvvisa, quasi inaspettata" risposi. " l'espressione dell'amore! Dovrei dividerle per espressione queste foto". Alcune erano in bianco e nero, altre a colori, ma il tempo non aveva modificato i loro sorrisi interiori, poich il sentimento, qualsiasi sentimento, un valore ancestrale, che alberga nel nostro inconscio dagli albori dell'umanit. Alcune ragazze si erano fatte fotografare in compagnia dei loro fidanzati, li tenevano stretti come un tesoro costato fatica e dolore. Una coppia, in particolare, sembrava fusa in un'unica espressione, tanta era 58

la gioia dell'essere l'uno accanto all'altra. Don Paolo mi disse che si trattava di due persone meravigliose, che avevano vissuto il sentimento pi forte che avesse mai conosciuto. Forse neanche loro erano al corrente di quale forza ultraterrena li legasse, poich molto spesso si lasciavano fradici di lacrime convinti di non essere all'altezza l'uno dell'altra, e gli amici facevano di tutto per farli tornare insieme. L'ultima volta che li vide passeggiavano mano nella mano proprio sotto il viale che costeggia la chiesa, tra le foglie secche d'autunno, erano commoventi ed il loro incedere pareva quello di un gigante ferito che si trascina con tutte le sue forze fino alla caduta finale. "Io credo che alcune persone siano destinate a restare insieme per forza - mi disse infine - anche contro la loro volont. come se avessero una missione da compiere, come se dovessero dare alla luce chiss quale grande essere umano". "Avevo un amico che viveva la stessa situazione con una ragazza stupenda. Si laceravano in continuazione l'anima lasciandosi per motivi apparentemente oscuri, ma poi tornavano insieme sospinti da una forza improvvisa. Alle volte, guardandoli, li invidiavo, sebbene soffrissero, perch mi rendevo conto che il loro era un sentimento autentico, erano gli unici a sapere realmente cosa significasse non poter fare a meno di una persona". 59

Avevo sempre sostenuto che i concetti di amore e morte fossero indissolubilmente legati, come gli estremi di una qualsiasi emozione. Ogni storia d'amore nasce con l'ambiziosa ed esaltante idea di durare in eterno, mentre il pi delle volte non dura per pi di un anno, il resto un dialogo da osteria. L'amore vero, quello che si porta via una fetta della tua vita perch interamente consumata per dare respiro a quella della persona amata, un fuoco che brucia in fretta. "Credimi" concluse il prete " difficile trovare la persona senza la quale ti sembra impossibile vivere. Ed ancor pi difficile essere un prete in mezzo all'indifferenza di oggi. Tu non hai idea di quanto sia solo un sacerdote ai tempi nostri". Era un uomo coraggioso don Paolo, perch mi diceva tutto questo senza neanche l'ombra di una lacrima. Poi mise su i Pink Floyd e per un attimo mi parve di vederlo volare. Solo dopo mi accorsi che volava davvero, con la mente. Presi la foto con la promessa di restituirgliela e mi incamminai verso la casa di Rosa. Era un casolare isolato, apparentemente privo di ogni confort, con le pareti in pietra di Langa ed un cancello arrugginito aperto su un cortile di terra battuta. Un paio di cani mi corsero incontro, mi annusarono e poi scodinzolarono come se mi conoscessero da tempo. Al loro abbaiare la donna 60

scost una tenda per scrutare l'intruso. Avr avuto quarant'anni, proprio come il fantasma di Sergio. "Buongiorno, sono un amico di don Paolo, volevo solo un'informazione". sempre meglio dichiararsi conoscenti del parroco, per la gente di campagna un biglietto da visita importante. Avevo pensato di improvvisarmi giornalista, intento a scrivere un pezzo sulla storia di San Giorgio. Mi avvicinai all'ingresso. "Sono un giornalista e sono stato incaricato di scrivere un articolo sul vostro paese don Paolo mi ha detto che potevo rivolgermi a lei". "Perch? A nessuno verrebbe in mente di mandarla da me per qualche informazione, lo so come mi considerano in paese!" "So che lei ha frequentato per un breve periodo l'universit a Torino, una persona istruita e pensavo che potesse essermi d'aiuto". Colpita da tanta fiducia mi invit ad entrare. L'ingresso era quello tipico delle case di campagna di una volta, con lo scalone centrale che portava alle camere da letto e due porte laterali che introducevano l'una nell'autorimessa e l'altra nel soggiorno, dove mi fece accomodare. Mise su un caff e si sedette di fronte a me. Fuori, 61

appena oltre il cancello, incrociai lo sguardo di Sergio, il Sergio che gi conoscevo. Per la prima volta quella visione mi rassicur e distesi le gambe sotto il tavolo, con disinvoltura. "Beh da dove vogliamo cominciare dal Medioevo?" Chiese la donna. "Dal misterioso Medioevo, prego".

"Guardi che se comincio non mi fermo tanto facilmente!" "Prego prego " Era proprio una donna di Langa. Quando una di loro inizia a raccontarti una storia non smette pi, capace di partire dalle avventure dei partigiani per approdare alle visioni pi mistiche, coinvolgendoti in un delirio da predicatore religioso. "Dunque: il Paese si sviluppato nell'Alto Medioevo per accentramento delle case facenti parte della corte di Masionti, situata presso l'attuale chiesa cimiteriale di San Bartolomeo, che risale nelle sue forme originarie al XIII secolo. Dal 1518 in poi prese il nome di Scarampi, la famiglia borghese e mercantile astigiana che con abile 62

politica territoriale scalz a poco a poco i Del Carretto e gli Asinari dai feudi delle Alte Langhe". La signora and avanti come una guida turistica per almeno mezz'ora, soffermandosi sulle varie costruzioni del paese. Mi descrisse dettagliatamente la torre, recentemente restaurata: un bell'esempio di edificio difensivo medioevale, con la base scarpata, sei piani e copertura a terrazza, in origine coronata da merli. Tutt'attorno restano le mura di cinta del mastio castellato. La chiesa di San Giorgio, seicentesca, conserva all'interno pitture del XIX secolo di Pietro Ivaldi detto "Il Muto" e otto formelle affrescate del pittore Giovanni Crosio da Trino, datate 1631 e raffiguranti scene della vita di Cristo. Il complesso religioso comprende anche il vicino oratorio dei Disciplinati o Confraternita dell'Annunziata e la chiesetta di San Carlo, poco fuori dal paese, uno dei pi antichi e armoniosi esempi di barocco dell'Alta Langa. Fu edificata all'inizio del XVII secolo come voto formulato dalla popolazione per lo scampato pericolo della peste. In assenza di mattoni, le volute e le decorazioni tipiche del barocco sono ottenute con piccole scaglie pietrose. "Lei mi ha detto di essere stato dal parroco, don Paolo, vero? Le ha fatto vedere le cantine?" Mi 63

chiese infine Rosa.

"Non oggi, ma le avevo viste durante una mia visita precedente" risposi. "Devono risalire al Trecento, ma non ne sono sicura Aspetti, aspetti chiamo mio marito, lui di sicuro lo sa Alessandro Ale vieni gi un attimo!" Url voltando la testa verso le scale. La paura mi colp al cuore come non avevo mai provato. Stavo per incontrare l'oggetto della mia indagine e solo ora mi rendevo conto che quell'uomo era l'unica cosa che non avrei mai voluto vedere. D'un tratto fu alle mie spalle, percepivo la sua presenza e vedevo Rosa che lo fissava con gli occhi. Mi voltai d'impulso e la calma torn. L'uomo era il riflesso di Sergio (avevo preferito continuare a chiamarli con due nomi diversi, sebbene fossero la stessa persona, per poterli distinguere) e nulla lasciava intendere che fosse uno spirito trapassato da anni. La donna fu contenta di notare che, a differenza di tutti gli altri, io riuscivo a vedere perfettamente il suo uomo, e mi concesse pi fiducia e confidenza del dovuto, scherzando con me sul fatto che 64

Alessandro dimostrasse pi anni di lei, sebbene avessero la stessa et. In realt, in cuor mio pensavo esattamente il contrario, ma per educazione stetti zitto. Alessandro disse di non sapere assolutamente nulla in merito alla storia del paese, e Rosa continu il suo racconto da sola. L'uomo la ascoltava assente, non interveniva mai e neppure cambiava mai posizione sulla sedia. Quando lei gli chiese un bicchiere d'acqua, non potei fare a meno di notare come le sue azioni non fossero altro che la risposta agli ordini della moglie, era come se egli non potesse parlare o muoversi se non per rispondere ad una sua domanda o ad un suo preciso ordine, era privo di autonomia e di personalit. Persino il suo modo di parlare, quando interrogato, sembrava privo di sentimento e di coinvolgimento: era una marionetta nelle mani di Rosa. Presi appunti per tutto il tempo e mi congedai da lei con la promessa di tornare per approfondire il discorso. Era quasi ora di pranzo e mi avviai verso la macchina per tornare a casa. Attraversai la piazza con la sensazione di essere pedinato, sentivo il calore di una persona accanto a me come l'aria calda d'estate. Bloccai il mio incedere e mi voltai. Nella foga per poco non perdetti l'equilibrio, ma alle mie spalle non vi era alcuno. Un gatto si tuff tra le foglie cadute ai piedi di un albero e senza dare neppure un'ultima occhiata a 65

quel belvedere naturale saltai sul sedile e misi in moto. Ma dopo appena un paio di curve "Come ti sembrato?" Sussultai con il cuore in gola quando mi accorsi che Sergio era seduto al mio fianco. "Ti pare il modo di lasciamo perdere" "Scusa Non ti sembra che quell'uomo non esista, se non in quanto espressione della volont di Rosa?" "Si forse solo la proiezione del suo amore, come se il desiderio di avere quell'uomo al proprio fianco fosse talmente forte da essere diventato visibile. Tempo fa avevo letto che i defunti non riescono a trapassare completamente se i loro cari continuano a piangerne la scomparsa" "Dev'essere cos. Devi far capire a Rosa che io sono morto, devi convincerla a disinnamorarsi di me". "Ma come si fa?" "Non lo so prova a farla innamorare di un altro" propose Sergio fissandomi. "Non di me non ci pensare neanche" ribattei seccato. 66

"Prova allora con il parroco non ti ha detto di sentirsi solo?" "Don Paolo? Ma ha fatto voto di castit e di celibato " "Ma lui non ci deve fare niente con Rosa, deve solo diventare il destinatario del suo amore, poi le cose si risolveranno da sole!" "Speriamo" conclusi. C'era il progetto di un piano diabolico in quello "Speriamo". In fondo non dovevo persuadere don Paolo a violare i suoi patti con il Signore, ma solo farlo diventare un oggetto del desiderio, meglio ancora se irraggiungibile. Era stato lui, del resto, a dirmi che si sentiva tremendamente solo, un po' di attenzione non avrebbe potuto che fargli piacere. Mentre pensavo tutto questo Sergio scomparve. Andrea Icardi

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Presentazione: "Sono e mi chiamo Nicolangelo Lisco, leva '75, liceo classico e laurea in giurisprudenza, caporale nel fiero esercito repubblicano e, ormai, di questi tempi, avvocato praticante. Bari mi don i natali e in Bari risiedo sin dalla vita uterina. E' questo mio racconto, un racconto che - per dirla alla Jerome - non eleverebbe una mucca. Orbene, le presentazioni m'inducono a riflessione; Vogliate scusarmi, dunque". Nik Lisco

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Lombrello

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Sciolse gradualmente il dubbio circa le colorite prognosi fantasticate da ciascheduno degli impiegati allorch, reintegrata la postura verticale, prese a battersi i calzoni stampigliati di polvericcio bianco dintonaco con vigorose manate, mostrando di non essersi rotto le ossa nel conflitto col suolo.Si fatto male?, chiese il suo segretario personale, che pi felicemente tra i presenti dissimulava lilarit mista a franco sentimento di tripudio per il divino segno desistenza di una benigna provvidenza, effetto dellaver visto il neo-insediato er direktor perpendicolare sedia-pavimento, causa il assecondare cedimento ignominiosamente la forza di gravit, seguendo lasse strutturale della prima, ospitante, da molte ore, il di lui deretano. Questufficio un cesso, bofonchi stizzito e spaventato, un cesso.. non ancora sufficientemente i suoi lucido per si principiare a maledire i malcelati sbotti di risa dei presenti, ripet, mentre collaboratori arressavano agli stipiti della porta per fuoriuscire a sfogare gli spasmi di ridarella da cui erano tutti, indistintamente, afflitti. Raccolse fogli e penne sparse per la stanza, stigmate del rovinoso accaduto, trasse dalla giacca lo scalpicciato pacchetto di Diana morbide, lo volt a testa in gi lacerandone con lindice la velina , ne guadagn una sigaretta che port ancora tremante alle labbra, tast nervosamente la camicia, le tasche dei pantaloni, insacc le

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mani nella giacca sino a scandagliarne i recessi pi remoti alla convulsa ricerca di un cerino che scorse in terra, a qualche metro di distanza. Dalla porta semi aperta, cautelativamente non disancorata dalla mano, sintrodusse il mezzo busto del segretario Mi scusi Ingegnereha bisogno di..., ma non contenendo lennesimo ascesso di ilarit, richiuse dietro se la porta e riprese a sputare risate catarrose, mani ai fianchi e semigenuflesso sulle gambe. Sei un imbecille, persino come servo sei e rimani un grande im-be-cille... sbrait lingegner Adriano Lupis, nuovo direttore tecnico dellarea progetto e sviluppo della , azienda cardine in Europa per la produzione di elettrodomestici casalinghi, dallinterno del suo ufficio. Appicc la paglia, unico suo vizio, retaggio delle vuote compagnie dei tempi del liceo, spalanc la finestra per annusare la pungente fragranza dellaria serale di un ottobre che preludeva senza troppi convenevoli alle asperit dellinverno, allent il nodo alla cravatta, immote le chiome degli alberi strizzavano locchio alla piovosa densit dei nuvoloni stagliati sul giardino della fabbrica, pressoch deserta alle sette di sera, prima dellindomani, osserv, non si sarebbe appropriato di una nuova sedia ed inoltre, per effetto di un insistente dolenza alla natica-cuscinetto, si risolse a decretare la fine della giornata lavorativa, non senza rimorsi e timori circa lopinare dei vertici aziendali,

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sempre resi edotti dalla fitta rete delatoria di uscieriinformatori. Attese che fossero levate le tende da buona parte di quella compatta accolita di geometri e ragionieri facenti parte della Divisione Aziendale sulla quale deteneva, senza dubbio alcuno e quasi convincendosene con intimo piacere, una ragguardevole potest decisionale. Se ne accorgeranno chi sono io, questi parassiti scansafatiche, ripet tra se, a denti stretti, guadagnando laccesso al parcheggio. Lultima pugnalata alle spalle della giornata lavorativa gli fu inferta nel constatare che uninsignificante pulverulenta pioggerellina stava abbattendosi inesorabile sulla sua vettura, ed inesorabilmente rattristava il luminescente sfolgorio della patina di cera applicata durante laccurato lavaggio della sera precedente. Sfior con un dito la carrozzeria, ne apprezz ancora unaccettabile pulizia, mise in moto, lasci che il motore inutilmente salisse di temperatura, part. Cos avrebbe trascorso la serata lingegner Adriano Lupis classe 1970, laurea conseguita a pieni voti in ingegneria elettrotecnica, senza lode, dopo appena un mal digerito anno da fuori corso - consumando il frugale men composto da una fetta di carne e due dita di vino rosso, nella villetta con box auto in cui risiedeva solo e di cui

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spesso soleva dolersi per via di un canone di locazione, a suo avviso, dispendioso ma altres imprescindibile condicio sine qua non per non veder contaminati i suoi spazi dalla vita di quartiere o, peggio, da turbolenti e sanguigni condomini meridionali. A parenti, amici e amiche (non appaia casuale lordine di citazione) si dedicava quindicinalmente, facendo ritorno in terra nata, centinaia di chilometri percorsi vedendo trascorrere dal finestrino del treno paesaggi di diversa natura, sino allaffiorare delle langhe piemontesi, geometricamente disposte dallaratro, e pace e incanto dei suoi sensi. Poca tv, per lo pi durante i pasti, assiduo frequentatore delle chat-line che riuscivano a trasmettergli un astuto senso di proibito libertinaggio, sebbene usasse dimensionarle al triste rango di agenzie matrimoniali, ling. Lupis principi a scacciare dapprima, ma a considerare presto necessaria lidea di deviare litinerario previsto verso la pi vicina farmacia per rifornirsi di una pomata che contrastasse efficacemente il preoccupante intensificarsi del dolore alla porzione di culone interessata dallimpatto. La miserabile circostanza della caduta, i cui effetti avrebbero, come evidente, comportato una notevole dilazione dei tempi del ritorno a casa e chiss quali altre molestie nel corso dei giorni venturi, e sulla quale comunque era intenzionato a vederci chiaro poich, ictu

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oculi, non aveva adeguatamente riflettuto circa lipotesi di un vero e proprio atto di sabotaggio da parte del personale, con lobiettivo di dileggiare, farsi scherno dellultimo arrivato (nonch loro nuovo direttore), ma..rifletti Adrianoun atto intimidatorio bello e buono -tipico, del resto, delle tradizioni locali- a cui persino il tuo segretario -anche lui di medesime origini- ha preso parte, ecco cosa.., a domanida domani vediamo chi sar pi intimidito, se io o voi, brutti e puzzolenti scansafatiche, parassiti. La circostanza della caduta, dicevo, comport la paventata sosta in farmacia. Che tipo di ematoma si procurato?, chiese la disinvolta farmacista dai capelli color nero pece, tirati indietro e legati da un delizioso fermaglio di stoffa color amaranto. Sono caduto... Dove le fa male?. Ehm..ho dal preso un colpo quiqui dietro.., della indic, timidamente passando la mano sulla zona dolente, sorpreso crocerossino interessamento dottoressa, crogiolandosi nella vergogna di dover suggerire la parte anatomica che, pi di altre, non lascia cuocersi dal sole. Eh,eh,eh.., ghign furbescamente laiuto farmacista, un calcio le hanno dato?! Ih,Ih,Ih fece eco la deliziosa dottoressa, portando la manina alla boccuccia carnosa.

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No..scherzi stupidi di colleghi, da una sedia.., farfugli ormai in pallone ling. Lupis, anzi..di subalterni, corresse con un tono a tal punto mangiucchiato dalla timidezza da non lasciarsi udire. Ahh..colleghi, questi colleghi.. tagli corto laiutante, che gi incartava dai lembi con lesto movimento la confezione di pomata, non senza ritenere negli angoli della bocca una nota di furbesca comprensione. 14,38,46allaseconda Euro, presentandogli ossequiosamente lo scontrino, la spalmi sulla parte che le duole, massaggiandola, due o tre volte al giorno. Non avendo ancora assimilato le modalit dutilizzo della nuova moneta (ottima per saldarci in contanti il prezzo di un aeromobile ma assai scomoda per farci la spesa), Lupis trasse dal portafoglio una banconota di taglio eccessivo, quindi dovette, suo malgrado, ricorrere alle temutissime monete custodite nel cilindro nero, un tempo sede di un rullino fotografico. Le effuse sul palmo della mano aperta, dalla tenaglia costituita dal gomito stretto al fianco part il portafoglio precariamente trattenuto e nel tentativo di frenare la corsa di questultimo rovesci contenitore e monete che danzarono piroettando sul pavimento sudaticcio di fanghiglia. Riprese la marcia con il fegato roso dallira e lanimo pullulante di propositi di ritorsione ad personam, da attuare,

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senza soluzione di continuit, per lintero periodo in cui sarebbe rimasto confinato in quella sede, anche se ben presto -si diceva rincuorandosi- ben presto sarebbe giunto limminente trasferimento verso ladorata regione dappartenenza. Lora di ritardo, frutto della su menzionata sortita, importava le seguenti, preoccupanti implicazioni: 1. chiusura degli esercizi commerciali cui approvvigionarsi del necessario per la cena serale, ut supra descritta; 2. percorrere a tenebre calate la strada male asfaltata, stretta dal doppio senso di circolazione, costeggiante per passa un quarto di ora linsulso e solingo rigoglio della campagna pugliese, il tutto condito dal sospetto di imminente rovescio temporalesco. 3. fronteggiare la duplice emergenza della ricerca/ricerca poco dispendiosa di una locanda dove consumare il meritato pasto, ch il pititto gli era smorcato lupigno . 4. quarta ed annosa circostanza, da arrossire al solo pensarci, bisognava che sappartasse come..come un ladro, come un pervertito, ecco come per dar luogo al triste rito dellapplicazione della pomata cortisonica, al fine di scongiurare malevoli involuzioni della ferita, cos prese a denominarla, intendendo implicitamente insignirla di un pi alto e autorevole grado di pericolosit.

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A stregua di un omicida seriale, studi sin nei dettagli il piano attuativo dellinsano proposito, prese ad effettuare ricognizioni della zona deputata a locus committendi delicti, ne trasse unempirica statistica della relazione tempo/vettori di passaggio nelluno e nellaltro senso di marcia, elesse il luogo ritenuto idoneo, si risolse infine:imbocco la strada di campagna, accosto ed ho circa quattro o cinque minuti buoni per calarmi i calzoni e spalmarmi la pomata, richiudo tutto e dopo tre chilometri di strada pianeggiante minfilo nel sentiero che porta a quellagriturismo. Mangio qualcosa, sono quasi al sicuro e gi a met strada per casa.

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Crebbe lalba, che non Vi descriver per varie ragioni. Quattro di esse, le principali: I Ragione: perch immagino sappiate benissimo come lalba sincancrenisca in una notte di pieno luglio, di ritorno da una festa in spiaggia ornata con luci da 45V pendule da travi di legno rose dal cadenzato sciabordio della salsedine di un intero inverno, mosse dal vento, che le conferisce la curiosa intermittenza di tensione, gli ombrelloni chiusi a pararsi dal volume allegro delle musiche ballerecce, e gin e whisky e rum e birra e Coca (con e senza Cola, a seconda); II Ragione: perch ho la descrizione facile e devo darmi una mezza regolata; III Ragione: perch descrivere lalba importa un patetico quanto inutile allungamento del brodo narrativo (a meno che non Vi appaia la discesa del Cristo Pantocratore nel bel mezzo della stessa) e, come asser chiss quale mediocre scrittore, labile scrittore deve esprimere in una pagina ci che al mediocre riesce in dieci . IV ed ultima: perch il gioco di luci dellalba non sortisce effetto alcuno sulla mia tiepida emotivit. Dammi un goccio.. Ouh.. Tu stai dormendo?. Io? No, che dici...

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Si si si..il mio piccolo maschietto sta dormendo! Non sta pi in piedi... Cazzo dici Claudia, sto guidando e non voglio rullare... Ma io ti ho chiesto di passarmi la bottiglia che stringi amabilmente tra le gambe, non di rullareahhhcolpito e affondato! se non vuole fumare e non beve mentre guida vuol dire che sta guidando ad occhi chiusi. Tutto nella borsa dietro di te, ti.. applicati e preparami u n o bello spinello, ch bottiglia me la finisco di scolare io.., suggerirono, per tramite delle esili rotondit delle lenti, gli occhietti acquosi e gonfiati dagli eccessi sorbiti durante il festino. Guarda, guardaecco dove era finito il mio ombrello! Sei uno schifoso ladro! Laltro giorno mhai fatta inzuppare di pioggia, di ritorno dalla Facolt! oltretutto un TUO regalo, e tu rimani un gran ladro. Ih,ih,ih..senti Claudia... Ladro... Sei proprio una drogata, lo sai? Zitto ladro..vieni qui, dammi un bacio.. I lampeggianti azzurri della guizzante Alfa Giulia 1300, lanciata al peregrino (ed iniquo) inseguimento della Citren Diane 2CV videro i fari tondi e lenti di questultima spegnersi alle 5.05 del mattino, infranti da un ulivo

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saraceno, senza che per, nessuno avesse mosso muscolo perch ci accadesse.

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Radente al ciglio gramignoso della strada svuotata, il climatizzatore dellauto calcolava che nellendosfera dellabitacolo la temperatura fosse di 26c., ideale perch i vetri rimanessero sigillati. Lupis slacci la cinta, si cal le patte, effr con il tappo il tubetto di pomata nella sua inattesa resistenza di latta, lo coinvolse al temerario piano portandolo alla villosa nudit della natica, laddove irror la ferita che a tratti si irradiava pericolosamente nella contiguit sfinterica, con fiotto di gelido gelatinoso cortisone. Assecond lestemporaneit di unidea apparsagli geniale, principiando a distendersi il medicinale utilizzando il collo del tubetto ed emettendo profondi gemiti di vittoriosa soddisfazione ad ogni cerchio descritto, con piglio di marziale ritorsione verso lematoma, ahh si..ahhh, bene, bene, ti concio per le feste, cara la mia ferita, come rivolto al condottiero di una cavalleria nemica, proditoriamente disposta allinvasione. Cos avvinto dalle circostanze, non dovettero che apparirgli come due ombre aliene con indosso calzoncini corti di color bianco e felpa con cappuccio, i due attempati figuri marcianti a pi veloce che videro ostacolate le loro velleit ginniche dallauto di un Lupis pendente come Torre di Pisa sul suo finestrino, con mezzo didietro sollevato, il gomito sinistro appiccicato al finestrino e il destro a muovere in

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guisa di gru lavanbraccio, che pareva maneggiare il lungo tubetto di pomata con lapparente proposito dinfilarselo, con il dovuto rispetto al Nostro Affezionato, dritto per dritto, in su per il culo. Assistettero, i due increduli, al sordo lavoro di Lupis. SI VEERRRRGOGNI!, ringhi il brizzolato cinquantanovenne con felpa blu, dalla pelle morsa dal sole e corrugata soltanto nelle zone del viso cui la professione di docente universitario di diritto (con affermato studio professionale), per distinzione di classe, prevede siano corrugate. Sono un avvocato, chiamer la Forza Pubblica se non va viavada a casa sua a fare queste schifezze, PEE-RVERTITO! sbrait laltro, con felpa azzurra, sempre con cappuccio, faccia pi anonima e ventre pronunciato, dalla barbetta canuta e ben coltivata, ma senza la docenza al suo attivo in banca. L ing. Lupis, Vi domanderete. Ebbene, io Vi dico che egli non aveva pi una funzione, dico una che fosse una funzione vitale non interdetta o gravemente compromessa. Sono un ingegnere ripet meccanicamente io sono un ingegnere.. alla ricerca di comprensione, mettendo in netta evidenza e scorrendo ripetutamente con lindice il nome della pomata, Lasocil, nella irragionevole speranza che ai

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due rabbiosi professionisti, che non smettevano di saltellare su se stessi per non raffreddare la tonica struttura muscolare, faccenda. , per, riconosciuta urbi et orbi la scarsa attitudine del giurista alla decifrazione del linguaggio matematico e fu cos che i due, affatto persuasi, ripresero il cammino, voltandosi a tratti e rappresentando minacciosi il gesto della cornetta telefonica, mentre Lupis, esanime, seguitava a mostrare pomata e titolo, scandendo in afone sillabe in-gegne-re so-no un.. in-ge-gne-re. Quando, oltre un dosso, ne vide scomparire le sagome, saccasci sullo sterzo, copr la faccia con le mani e prese a battere il pugno sulla superficie plastica del cruscotto. Perch tutto questo..? Perch proprio a me, Buon Dio dei cieli, per-rrch?, esasperandosi oltremodo per lingiusto schiaffo di disdoro ricevuto. apparisse perspicua lidentit matematica Ingegnere=Lasocil, e in tal modo, lintero sviluppo della

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Buongiorno Maresciallo. Com successo?. Non so, maresciallo. Non lo so.., sospir lappuntato, voltatosi a descrivere lo scenario con lampio gesto del braccio a schiudere un immaginario sipario, come a mostrare al superiore la propria incolpevolezza al cospetto di un tempo, di unepoca che persino un coevo di essa stentava a comprendere. Tu sei il graduato della pattuglia, cerca di dirmi com che si sono schiantati questi due, che bisogna redige-re verbale, esort con voce grommosa il maresciallo, schioccando tra le labbra le sillabe delle impacchettate frasi burocratiche importate dalla sua funzione. Eravamo dietro la Diane, maresciallo, lei lo sa che in quelle macchine ci vanno sempre quei ragazzi, quei capelloni...allora ho ordinato di sorpassarli e ho acceso i lampeggianti. Ho visto la Diane sbandare e centrare lalbero. Non li avevamo neanche superati O mideche e murte?, chiese il baffuto maresciallo, dai capelli incanutiti e ben rassettati, mentre martoriava con lanfibio dordinanza un frammento di fanale schizzato dalla Diane. Eh? Il me-dico lega-le. Ah quello alto, con la camicia marrone. Quello che sta

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scrivendo sul cofano della volante. arrivato poco fa. Ih ca brutta faccia ca tene chillu mideche, sventolando allins un paio di corna effigiate dalla mano, nun me facesse pilza manghe lognie do pere.. sobbalz, al sogghigno nasale, il pancione mal ritenuto dalla cintura, senza scomporre alcun muscolo del viso, nel paterno tentativo di ricomporre lo scoramento del giovane. Uaglio, nun te fa piglia do mmale, continu, mollandogli un benevolo buffetto sul viso, che di cose accussi ne vedrai assai. Specialmente mo, cu sta droga, cu chiste ca sabboffano dalcl . Si volt verso il resto della coorte, avendo preliminarmente cura di incattivire la fisionomia del viso, con gli occhi piccoli e ditterico azzurro, ancora lucidi di sonno, batt due volte le mani che schioccarono richiamando lattenzione dei militari:Su belli, diamoci na mossa, dai, non dormiamo che gi mattinatu, coso, comme te chiame tu, .arap o virbale. Prego?, rispose coso, comecch si nomasse lui. A-pra il verba-le, ripet. Il formalismo del Lei discendeva dalla stizza che gli saliva allorch non fossero tempestivamente compresi gli ordini impartiti nel suo linguaggio (parl-lo italia-no io, soleva chiosare ai pi tardivi non corregionali, in special modo nordici). Raggiunse di malavoglia il medico legale, non per ragioni di

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superstizione (egli non lo era se non per compagnesca teatralit), bens per via dellincenso con cui avrebbe dovuto aspergere linizio del suo turno di lavoro, piegandosi innanzi ai due corpi esangui, coperti ed allineati e scoprendone limprovvisato sudario. Ne avrebbe avuti pieni gli occhi, sino allinsonnia della notte successiva. Lasci stare, maresciallo, si roviner lappetito gli disse il medico. Esamin linterno della vettura incidentata, meglio, quel che ne restava. Vetri, sangue, lamiere, acre odore di acido, il volante pendente e appeso ad un fascio di fili elettrici, effetti personali sparsi qui e l. Locchio da vero sbirro desperienza, che seguiva fedelmente il cono di luce dettato dal passaggio della torcia, not lanomala presenza di un qualcosa protendere dalle lamiere accartocciate. Di materiale plastico, loggetto offriva una considerevole resistenza allestrazione, incastonato comera nella profonda tortuosit delle lamiere. Cerc una posizione piana per poggiarci la torcia, cos da liberare entrambe le mani, impugn e stratton con forza una prima volta, loggetto si mosse cominciando a divincolarsi dalla morsa, il maresciallo ripet lesperimento con maggior vigore, questa volta uscendone vittorioso ed incazzato come un bisonte. Allaneme killemm.., ingoi in tempo la bestemmia affatto

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consona al luttuoso evento, seguita per contrappunto da un Uh Ges invocato a pieno titolo per loccasione, visto che il prode maresciallo sera infradiciato di sangue.

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Sebbene lo stimolo dellappetito risultasse completamente annientato da un attacco senza precedenti arrecato dalle ultime nefande vicende, Lupis non soppresse la prevista sosta presso lagriturismo, ripetendosi un adagio appreso durante i suoi quattordici mesi trascorsi al servizio della Patria, in qualit di SottoTenente del Genio Militare, adagio reiteratamente declamato dalla aterosclerosizzata tenuta psichica del Comandante di cui si era fregiato esserne il degno braccio destro: La prima battaglia nella giornata di un buon soldato quella del pane . Sovente, va aggiunto per ossequio alla verit, lopulenta forchetta del Comandante non disdegn di piluccare, in cambio dellelargizione di frequenti licenze, altri e numerosi funambolismi gastronomici preparati da quella vecchia gallinaccia della madre del Lupis, che di buono, evidentemente, non faceva soltanto il brodo. Accolto con squisita ospitalit dal titolare dellagriturismo, accolse con educata diffidenza la squisita ospitalit del titolare, specie di fronte alla riluttanza di questo a favorirgli un men da cui potesse preventivare la sostanza del conto. Un bel locale senzaltro, lussuoso gli parve, con lunghe tovaglie color salmone a lambire le agghindate scarpette delle signore, tovaglioli incastonati florealmente in larghi calici da vino, da questi erompevano, vegetanti, a solleticare le cravatte degli impomatati signori e caldi i fiotti di luce rischiaravano da candele soverchiate dalle vitree leziosit di ampolle, mentre un fitto substrato di scintillanti posate, disposte in ordine decrescente, si adombrava ai piedi di un largo piatto di ceramica bianca, ricetto di chiss quali complesse gustosit. Trasmetteva atmosfera da

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classicismo viennese, il concerto per pianoforte n 20 K e 21 K, del sempreverde Amedeo Mozart. Lupis, dal canto suo, che sciocco non era, sebbene fosse ancora dilaniato dalla discrasia visiva tra la sozza osteria in cui consumare zuppa di fagioli in compagnia di cow-boy e ballerine di can-can che saspettava di trovare e il ristorante rivelatosi al suo ingresso di rara raffinatezza, intu appieno la gravosit stilistica che la situazione esigeva. Cerc di scrollarsi di dosso il crescente senso di disagio aggrappandosi strenuamente al titolo di ingegnere nonch di direttore di divisione aziendale che, senza dubbio alcuno, legittimava la sua presenza nellelegante contesto. Gonfi lanimo di spavalda sicurezza, iss il recalcitrante dito che nulla voleva aver da spartire con la ridetta spavalderia, capt lattenzione del cameriere che, puntuale, gli si present innanzi. Buonasera signore. Buonasera. Sono lingegner Adriano Lupis. Si.., disse attento il cameriere. Direttore di Divisione aziendale della , seguit solennemente Lupis. Bene.. esit sorridente quello. Mi perdoni un secondo.. Lupis lo vide avvicinarsi allomino che gli aveva serbato squisita accoglienza allingresso, braccia conserte, poggiava la piccola e tarchiata complessione ad un grazioso armadio

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di ebano sormontato dai vivacissimi colori promananti da un enorme cesto di frutta. Non poteva che essere il titolare, si disse Lupis, roteava freneticamente la piccola testa calva cercando di scorgere negli atteggiamenti degli avventori le pur veniali manchevolezze perpetrate dai camerieri e, avvistatane una, schioccava le dita rivelandone la direzione con platealit: Al ventuno..vedi? c una sigaretta nel posacenere da mezzora, vai! intimava, confabulando istrionicamente con i conniventi camerieri, oppure Al dodici, su di corsa, sta finendo la candela..! e ancora Al quattro, stanno appassendo i fiorisostituiamoli, per cortesia..!, ci, dopo aver scorto una giovane sposina carezzare lievemente i fiori per poi porgerne i petali caduti al divertito compagno. Non appena il cameriere allontanatosi da Lupis ebbe terminato di riferire, il titolare gli sospinse la spalla, con la manifesta intenzione di procurare personalmente il nuovo affare, presentatosi ingenuamente con tanto di ridondanti referenze. Gli si fece incontro con la mano tesa ed un largo sorriso stampato sul volto. Sono moolto onoraato di fare la sua conoscienza, ingegner Luposc !. Lupis si lev educatamente dalla sedia per stringergli la mano, celando una smorfia di dolore per via della ferita.

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Uhm..no..il piacere mio, signore., biascic, colto di sorpresa, il Nostro Affezionato, ancora ritorto sul tavolo. Stia, stia comodo ingegnere, per carit..!, esclam il titolare, ricacciandolo a sedere con una pressione della mano sulla spalla tanto energica quanto energica era la volont di manifestare devota sottomissione verso il nuovo cliente. Limmane dolore provocato dallimpatto con la sedia fu edulcorato dal titolo che lomino si fregi di declamare a gran voce, in modo risultasse comprensibile agli altri avventori. Lupis si riebbe, adesso gli sguardi interrogativi ed indagatori che cominciavano a convergere insistentemente su di lui avevano di che tranquillizzarsi: nessuno aveva invaso illecitamente lelite. Lupis era uno di loro. Lei abita in zona? si inform il titolare, in vena di amicali presentazioni. Ehm..no, cio pi o meno. Io lavoro alla .. e abito ad una decina di chilometri da qui. Ahh..io conosco benissimo il Direttore Generale della .., si, si..ci fa la gentilezza di venirci a trovare spesso, da molti anni..si, si.. stato lui a consigliarle il nostro locale? Beh..no, mi trovavo da queste parti.. Ah, meglio! Il destino sempre un ottimo consigliere, ah,ah,ah!, disse quello, abbrancando con la mano il braccio di Lupis.

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Gi...

gli

sorrise

forzosamente

Lupis,

rimasto

impressionato dallaltolocata conoscenza del titolare. Bene, bene...veniamo a noi sfregandosi le mani ha gi deciso cosa posso servirle? Eh..no, non ho il men, sfugg di dire al Lupis, il quale stavolta non aveva alcuna intenzione di sindacare le eventuali asperit del conto finale, cui semplicemente andava rassegnandosi. Lasci stare il men. Posso fare io, ingegner Luposc?, sussurr lomino, raggomitolatosi allaltezza del suo padiglione auricolare, come intenzionato a proporgli in gran segreto un patto col diavolo. Faccia pure.., accondiscese Lupis ma io generalmente.. Lomino, ricevuto lagognato input, lev dalla faccia tonda la smorfia appiccicosa e schioccando le dita verso il cameriere che attendeva a discreta distanza: Comincia, ordin severamente. Io generalmente non mangio tanto la sera, riprese Lupis verso linterlocutore divenuto improvvisamente sordo perch soffro di gastritee poi il mio cognome Lupis..Lupis, non Luposc!. Certo, certo.., disse senza voltarsi lomino, che aveva reciso senza troppe cerimonie il fluire della comunicazione, concupito dallingresso in sala di due nuove coppie. Con permesso, ingegnere, torno a trovarla pi tardi.

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Firmi il verbale, maresciallo. Uff..pristame na penna, dotto.., disse il maresciallo asciugandosi con della carta ruvida il viso ancora bagnato. Maresciallo! Ma lei tutto sporco di sangue! Eh, annu il maresciallo, inviperito. Si pu sapere che successo? Si tagliato da qualche parte? Non esattamente, dottore. Ha bisogno di un medico?, ghign il medico legale nellindicare se stesso, non resistendo alla tentazione di stuzzicare la suscettibilit del maresciallo. Aahhhdott, eh? Nu poche circospezione pe piacere!, stavolta una genuina superstiziosit emerse dal verace risentimento del maresciallo, che con lesto movimento si raspava gi gli zebedei alla ricerca di un efficace rimedio apotropaico contro eventuali iatture. Il medico rise, singhiozzando ripetutamente. Quando si riebbe, prese sottobraccio il maresciallo allontanatosi precauzionalmente, il quale appariva, per, assai poco letificato dallinteresse del medico. Bando agli scherzi, maresciallo..mi dice che le successo? Niente fisserie, dott.. Dica, dica. Ho ispeziona-to linterno della vettura coinvol-ta nel sinistro, come avr visto.

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Dica, dica., incalz il medico, a cui gi si stendevano, gaudenti, i solchi del lungo e scarnito viso, sentendo il maresciallo impregnare la sua narrazione con sintassi importata direttamente dal Codice della Strada. Ed ho notato unanomalia Quale? Un oggetto conficca-to tra le lamiere della vettura. Allora ho cercato di estrarlo Beh? C riuscito? Al secondo tentativo. Quando se n venuto mi schizzato addosso tutto il sangue di cui loggetto si era imbevu-to. Ma questo oggetto che ha estrattoche cosera? Un ombrello, rispose il maresciallo. Un ombrello.., ripet il medico. Cuna mano azzeccata, dott.., complet il maresciallo. Ahiadevessere quella della ragazza. Senzaltro impugnava lombrello, al momento dellimpatto.. Je pure pensaccuss. Me ne sono accorto che era una mano, perch sporgevano due unghie delle dita. Per il resto era tutta maciullata. Quant anne haje ditte che teneva a guagliona? Come dice? Quanti annila ragaz-za. Non so, mi sembra sia nata nel 1950. Povera criatura. Vintiquattranne tenevaassomigliava a

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mia nipote, sa? Mmm.. Si..gli occhi azzurri, e capille biunne..e coscie longhe vistite cu sti stracce, ma cu a faccia puli-ta. Puli-ta. Mmmabita nei paraggi sua nipote?, disse il medico, a cui era prontamente tornata la voglia di pungolare il maresciallo, dopo la nefanda produzione immaginifica suggerita dal racconto. Dottofusse che stu genio e pazzia te custasse nu par e nocchere dinde dinte?, domand minaccioso il maresciallo, pronto alla singolar tenzone, avendo compreso con imperdonabile ritardo che la tregua era bella che saltata. Ehhh..che le avr detto mai, maresciallo! Io sono un galantuomo, sa?, ghign sornione il me-dico lega-le. E forse a me questi galantuomini di adesso non mi piacciono pro-prio. Buona giornata. Maresciallo, forse bene sappia che questi faccini puliti erano fradici di rhum, bottiglia rinvenuta in pezzi nella Diane, detenevano parecchia canapa indiana, ritrovata sparsa sia sul tappeto lato passeggero che nel borsello del giovane, poi, dulcis in fundo, anche la faccina puli-ta rassomigliante a sua nipote aveva assunto Lysergie Acid Diethilamide. Non so se comprende, mio caro. Va da se, che dal dulcis in poi, il maresciallo stent a comprendere i paroloni stranieri che capziosamente il

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dottore aveva rotondamente proferito, nel tentativo di incutergli, con la violenza dei verbi, quel rispetto che il maresciallo era normalmente refrattario ad usargli nei fatti. Non intendo lingle-se, dotto-re, disse secco il maresciallo, accusando il colpo. LSD, insomma; in parole povere, un forte allucinogeno. Dotto, ma che sfaccimma ce ne fotte de chille ca shanne bivute o fumate sti doi guagliune.., rampogn energicamente il maresciallo, con la mano che si librava su e gi nello spazio aereo dellalterco, so muorte. E bbasta.. E sent di aver proprio pareggiato il conto in sospeso con quel giovane e linguacciuto medico. Poco dopo, tutto finito. Due lunghe auto si portarono via le bare metalliche, il medico legale si accomiat cordialmente dal maresciallo che a malapena gli rispose alzando svogliatamente due dita in segno di saluto (e con grande sforzo non ne alz uno solo..), il carro attrezzi, caricato a bordo lo scoramento del caporale, train la Diane, nei suoi brandelli orrendamente mutilati.

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Dopo la sfornata di antipasti, Lupis era gi satollo. Si accese una sigaretta, che inizi ad orientare verso i quattro punti cardinali, finch, nel timore che potesse infastidire qualcheduno, estinse in preda al panico nel posacenere. Un mostro di dimensioni spaventose dalle cucine eruppe in sala, suscitando il risonante clamore dei presenti, due occhietti neri ed inespressivi, tenaglie acuminate da scorpione, baffi lunghi e sottili, guadagnava trionfante il suo capolinea: il tavolo di Lupis. Lupis indietreggi, preoccupato dalla vicinanza del terrifico essere, dopo che il cameriere con elegante atterraggio aveva esclamato Astice, monsieur! Mache..che cos?, disse, tutto ritratto sulla spalliera. Ma signore! un astice freschissimo! Eh va be, ma io.. Se non ne gradisce, riferisco al titolare, non c problema.. No, no! lasci stare, la prego.. Come desidera. Le porto le linguine Le cosa?? Le linguineun tipo di pasta condita con rag di astice.., ed emerse diffidente tutta la provincialit piemontese verso la gastronomia meridionale. Vinte dalla meraviglia, le signore agghindate principiarono a vincere il divieto di guardar nel piatto altrui imposto dalla etiquette, facendo sentire Lupis come luomo pi imbarazzato di tutto il Sud Italia. Mangiava a piccoli bocconi, e ad ogni boccone smorzava lappetito portandosi alla bocca il tovagliolo adagiato sulle gambe per timore di

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macchiarsi la camicia. Madido di sudore per effetto del vapore esalante dal piatto, per la massiccia dose di peperoncino rosso e, non ultimo, per la stessa idea che la sua fronte fosse, gi alla prima portata, imperlata di sudore, innaffiava il ventre di fresco e rubicondo vino alla ricerca di refrigerio. Termin le linguine, e si spall ansimando esausto sulla sedia, come fosse reduce da una lunga nuotata. Gli si faceva incontro il titolare, Lupis sirrigid, quello si contorse nuovamente sul suo orecchio, e parl. NO!, esclam Lupis. Si, annu seriosamente lomino. Ma io non lho visto.. C. Nellaltra sala. Ma..ma come le ha detto esattamente? Cos. Trova che io sia vestito adeguatamente? Mmm..no, direi proprio di no. Ma di certo non pu rifiutare. Orco szio.., sbuff, ormai fradicio di sudore Lupis. Ingegner Luposc, le dar io una mano, non tema. Ma come? Quello, portandosi la mano sul petto:Lasci fare a me.., espose, con sorridente inchino.

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Si lev dalla sedia, con le ginocchia tremanti, e mossi i primi passi riconobbe di essere in preda ai vapori del vino, cui non era avvezzo ingerire dosi generose, cos torn al tavolo, si affacci sul mezzo litro sfuso in brocca di ceramica decorata, scorgendone soltanto un tralasciabile fondo. Si rese conto di essere rimasto in quella postura per diversi secondi, mentre, attoniti, i suoi vicini di tavolo lo squadravano torvamente. Lacqua fresca lanciata in faccia a piene mani e che a piene mani riversava dal lavandino in terra, creando un guazzo maleolente per via della contaminazione con sedimentazioni di orine, lavrebbe svegliato, pens, mentre guardandosi allo specchio con locchio irrimediabilmente spento, cominci a dirsi, per la prima volta, ci che sempre si era taciuto. Luposc!, buss con rintocchi assordanti e con voce strozzata in gola, il titolare. Luposc lei? Schiuse la serratura, Lupis pareva essere appena uscito dalla doccia, con i capelli che gli grondavano acqua sul volto. Sono qui. Ha un asciugamano? Luposc, ma che mi combina? Lei inzuppato, il Direttore Generale aspetta soltanto lei per iniziare la cena..

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Mi dia un asciugamano, per favore.. Aveva incontrato una sola volta il Mega-Direttore, al suo arrivo in sede. Era considerato alla stregua di un ectoplasma, nessuno lo vedeva aggirarsi per la fabbrica, mai visto a mensa, mai il resto della dirigenza aveva fatto ingresso nel suo ufficio allultimo piano con vetrate scure, mai che avesse rivolto gli auguri ai dipendenti in occasione delle festivit, mai, tuttavia, risultava che avesse rampognato la poca solerzia di qualche dipendente. Faccende del genere erano demandate integralmente al suo vice, un osso duro, cui per, sembrava mancare perennemente lavallo del superiore, specie allorch si rendeva promotore di serie azioni disciplinari nei confronti di qualche improduttivo. Un volto smunto e contrito, non fissava mai il proprio interlocutore, ma non per timidezza. Per disinteresse, probabilmente. Stia dritto, Luposc. Sottobraccio. Vada a passo con i miei passi. Non minterrompa per nessun motivo. E non si azzardi a fare il simpaticone. Quello imprevedibile., Capito. Il suo posto laggi, vede? abbastanza defilato. Poca audacia uguale poca gloria..ma anche poco rischio, dico

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bene? Dice bene. pronto? No. Luposc, per cortesia! Va bene. Andiamo. Avanzarono dinoccolatamente verso il tavolo del megadirettore, Lupis non teneva il passo, il titolare lo trascinava a strattoni, il titolare sorrideva, Lupis, ricurvo, pure sorrideva, ma sembrava un deficiente. Eccoci Luposc.. Perch l? Sieda qui, alla mia destra., indic il direttore. Ah, perfetto.. condiscese il titolare, venga ingegnere, le faccio strada.. Qui?, chiese contrito Lupis, dopo aver circumnavigato il tavolo. Vede altri posti alla mia destra? No Segga pure, allora. Si. Come ha detto di chiamarsi lei?, puntando distrattamente il dito verso Lupis. Lupis. Adriano Lupis. Adriano, lei ha la camicia bagnata, se non erro, domand qui!, esord lomino, si accomodi ingegner

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il direttore, mentre detergeva con pervicacia le spesse lenti. Ehm..si..perch in bagno.. Ehh..direttore carissimo interruppe lomino, voltandola a scherno e dileggio come taluni loschi figuri sogliono fare per primeggiare al cospetto della persona di cui concupire lattenzione, diciamo che ha gustato un po troppo il nostro buon vino, e non conoscendone la gradazioneha esagerato, beh, diciamo cos, ha un po esagerato Ma nocosa dice!, Lupis guard incredulo chi gli aveva promesso, con patto solenne, aiuto fraterno. Bene Lupis, mi tolga una curiosit. Perch ha insistito ad offrirci questa cena? Lavrei invitata comunque al nostro tavolo, se questo il era il suo obiettivo.., ridacchi battendogli beffardamente mega-direttore,

flemmaticamente una pacca sulla spalla e suscitando la divertita reazione dei restanti quindici commensali. Il basito sguardo di Lupis, scevro da propositi di rimprovero, si perse in quello del titolare che gli annuiva attendendo gratitudine per la splendida alzata dingegno. Capisce Lupis?, seguit il mega-direttore, spender parecchi soldini, ma lavrei comunque invitata, perch sebbene non ami condividere il mio tempo libero con colleghi di lavoro -colleghi in senso lato, sintende-, mi ritengo molto cordiale con gli ospiti. Capisce? E Lupis una cosa su tutte laveva capita. Eccome. Quella si

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stava rivelando una delle peggiori serate della sua vita. Come dargli torto, Vi chiedo. La cinghia dei pantaloni slacciata per lurto provocato dalle numerose pietanze ingerite, fradicio dei vini di rara pregevolezza richiesti per loccasione al titolare ebbro dalla felicit (quella cena non sarebbe andata a finire nellinfinita lista di debiti che il mega-direttore vantava verso di lui...), mortificato per essere stato loggetto fisso della irridente ironia del Kapo durante tutta la cena, fatto becco dallastuzia boccaccesca di un vile ristoratore, dissanguato nelle sostanze patrimoniali da un conto dalla cifra irripetibile, tralasciando la ferita, che non concedeva requie Doleva, gli doleva tutto, quella sera. Gli doleva essere e chiamarsi Adriano Lupis.

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Semi ipnotizzato dal movimento cadenzato dei tergicristalli, Lupis procedeva come inesperto commodoro rimasto a fronteggiare la tracotanza di una procella senza precedenti. La strada dritta ed alberata, silente e svuotata. Un uomo, costretto dal vincolo coniugale al frettoloso ritiro dei panni stesi ed affacciati sul balcone di una casa ai margini della strada, ud, di lontano, il fragore strozzato di un motore a cui inspiegabilmente non veniva cambiata marcia, e non se ne meravigli, convinto comera che al volante vi fosse una femmina. Ebbe, per, di che trasalire quando, ormai zuppo, ne segu le zigzaganti evoluzioni. Adriano, sei tornato...come sei bello!, disse quasi piangente la candida madre, vestita di quel vestito che ricordava a Lupis i tempi della scuola elementare. Mammache ci fai qui? Piccolo mio, sei contento di vedermi?, chiese amorevolmente la madre, mentre, prona, gli serrava la cerniera del giubbotto. Mi sono fatto male oggi, sai? Sono caduto da una sedia!, raccont Lupis, strofinandosi la ferita con la manina, trattenendo a stento le lagrime che gli traboccavano dagli occhietti. Non dirmi che ti sei sporcato?, chiese la madre, che adesso gli si stagliava innanzi, mostrando il viso improvvisamente fattosi vecchio e fitto di rughe. No mammina..

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Ti sei sporcato, vero? Vieni qui ho detto!, berci la madre, puntandogli contro lindice. Il piccolo Lupis pianse ed atterr nel vederla perdere denti bluastri e putrescenti, poi cacciarsi due dita in bocca, lunghe dita sormontate da unghie rosse ed acuminate, ed industriarsi a incastonare i pochi denti rimasti, strizzando le palpebre dallo sforzo. Scorse un dente sfuggirle dallalveo, prov nausea quando la mamma prese a masticarlo, con la bocca e il muso che sinsozzavano di sangue slavato, simile ad un rossetto sbiadito. NO mammina, NOOO!, Sbarr gli occhi e vide il grosso tronco frapporsi tra la vita e limminente dipartita. Sterz bruscamente, lauto piroett in testa-coda, prosegu la sua corsa per qualche altro metro arrestandosi, senza danni, sul ciglio della strada. Zuppo di sudore, tramortito dallorrore di quel che sarebbe stato e per giunta dal terribile sogno, Lupis respir affannosamente. Appicc una sigaretta, in barba al ferreo ed esposto divieto di fumare in auto, il cerino gli ballava tra le mani per lo spavento. Un magma di alcool misto a succhi gastrici eruppe ad dallo aprire stomaco, lo sportello costringendolo e vomitare repentinamente dallaffrancarlo.

lungamente. Malgrado ci, sent che la sbornia era lungi

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Riprese lincerto andare, guadando la strada gonfia come un torrente, qualche chilometro ancora, poi casa, poi tutto finito, si ripet. Passeggiando tra le strette strade del paese, incontr un vecchio compagno dinfanzia, uno con cui neanche si salutava pi, passati comerano quei tempi. Doveva essere domenica, cera molta luce che rifrangeva il liso lastricato, abbacinava la vista. La gente affollava come sempre il bar centrale, il bar delle paste buone, che il ragazzino, cavalcioni sulla bici, sbocconcellava leccando la panna dai lembi. Lupis gli si avvicin. Ciao, gli fece. Ciao, rispose quello. Gli altri? Sono l, sulle bici, indic col muso, a bocca piena. Lupis si volt, e scorse il crocchio, salutante. Vengo con voi?, chiese Lupis, che smaniava allidea di poter calcare la polvere con le veloci ruote della sua bici da cross, assieme ai suoi compagni. Vieni, rispose quello, come non gradendo lidea, ma non rifiutandosi per cordialit. Ma la bici? Non hai la bici. Come no? Ho la mia bici da cross.. E dov? Lupis ricord di conservarla, come sempre, nel portoncino di casa.

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Vado a prenderla e vengo subito?, propose timidamente. Noi ce ne dobbiamo andare, disse quello, scuotendo la testa senza guardarlo, mentre accartocciava tra le mani il crespo tovagliolino. tardi. Se fai presto ci raggiungi. E dove? Boh, in giro., grid, lasciandosi alle spalle, alla prima mazzata di pedale, il mortificato Lupis. Percorse di gran furia la strada che lo separava da casa, correndo, correndo a perdifiato con il molesto riverbero della luce negli occhi. Indugi, temeva di essersi smarrito. Si guard attorno, nulla era pi come prima. Nessuno in giro, tempo e luoghi alieni. Gli parve di riconoscere il profilo della sua casa, allora riprese a sgambettare felicemente, ancora tanto, sino a sentirsi esausto. Si volt. Qualcuno scandiva il suo nome. E vide stagliata innanzi, grigia ed immobile, la fabbrica con il suo segretario che dallingresso ne spendeva il nome a gran voce, ridendo e smorfiando con la solita faccia furba e maliziosa. Sedette su di un tronco, mestamente. Una forte fitta penetr la gelatinosa corteccia del sogno, intrufolandosi ed assumendo le false spoglie di un ragno che dopo aver morso fissava guardingo il nemico, gi pronto al secondo attacco, sferrato, infatti, verso un Lupis urlante di dolore e paura, immobilizzato dal veleno. La seconda fitta alla ferita fu cos molesta da destarlo. Non

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aveva mai ripreso la marcia, ancora accostato al ciglio della strada, laddove aveva vomitato. La sigaretta, ridotta a brace, ardeva sino al filtro descrivendo piccoli cerchi infuocati ed effondendo un acre umore plastico. Prese la cicca per liberarsene, gli cadde dalle dita, sul tappeto. Temendo danni irreparabili alla tappezzeria della vettura, scandagli loscuro fondale alla ricerca del tizzone ardente. Lo trov, si sollev e vide. Nel pulviscolo di pioggia, denso come nebbia, vide a poca distanza da lui muoversi qualcuno o qualcosa, strizz gli occhi, temendo di essersi nuovamente addormentato, sincammin procedendo lentamente, i fari puntati captarono lattenzione di quelle che gli parevano essere due persone, una delle due aveva le mani tra i capelli ed agitava ipnoticamente il capo con la bocca spalancata ed afona, laltra, immobile e muta, sembrava fargli da usbergo, non curandosene, per. La pioggia esplose divellendo lo scenario, costringendo Lupis a nuova sosta. Quando la furia degli elementi si fu placata, dipanando appena la visuale, gli parve di scorgere qualcuno sgattaiolare tra la vegetazione e l scomparire. Era certo di non sognare, stavolta. Signore.. Lupis si volt, non vide nessuno, ma era certo si trattasse di voce di donna. Cominci ad avvertire paura, quando sent

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nuovamente quel richiamo, quasi piangente. Signore... Perlustr i 360 gradi che correvano attorno alla sua postazione, non scorse nessuno. La voce, pens, proveniva dalle spalle, cos rest voltato fissando il buio finch non pot fugare ogni dubbio circa lassenza di creato in quella direzione. Era, comunque, risoluto a ripartire, lavandosi le mani di quello che al di fuori, forse, stava accadendo. Ud un rumore, come se qualcuno stesse strisciando le dita sul parabrezza anteriore. Mummificato da una cieca paura esit a voltarsi per guardare, freddo il sudore gli condiva il violento mal di testa. Non si udiva pi nulla, ciononostante indugiava a voltarsi. Adriano..non essere stupido. Non c nessuno l davanti.., si disse, facendosi coraggio. Il volto di una ragazza era adagiato sul parabrezza, aveva il capo lacerato, il sangue le scorreva sulla pelle diafana, si raggrumava sulloro dei capelli, livide le labbra tremavano nellintento di proferire parola. Lupis, in verit Vi dico, era letteralmente a n n i c h i l i t o. Signore..mi aiuti.. Lupis non rispondeva, non apriva, non schiudeva le sicure, non pensava, non sapeva, proprio, come fare a trovarsi in qualunque altro posto che non fosse quello in cui era. Signore, la prego.., insistette la fanciulla, alla quale adesso

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si poteva apprezzare un lungo vestito intriso di purpureo sangue. A..arr..arri-vo, balbett Lupis, articolando pi i denti che la lingua. Scese dallauto, la sorresse. Mi accompagni a casa, la prego.. Laccompagno allospedale, lei ferita.., esclam Lupis, rinfrancato dallidea di interloquire con una persona in carne ed ossa. No, lospedale troppo distante, mio padre un medico, mi accompagni a casa, la prego.. Certo..venga..venga laiuto a salire Montarono in auto, part tremante. Ma lei era da sola, quando successo lincidente? Perch me lo domanda?, sbrait, improvvisamente adirata, la ragazza. Io..no, avevo visto..cio mi sembrava di avere visto unaltra persona allontanarsi.. Rise sommessamente, chinando il capo tra le mani, sino a divenire isterica, sino a tramutare il riso in singhiozzi di lacrime. morto.., grid la ragazza, singhiozzando sordamente.

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Mi compiaccio che lei nutra fiducia nelle Forze dellOrdine, ingegner Lupis.., esord il Vice Commissario, ma quanto accaduto stasera minduce a ritenere che lei non accompagni, alla fiducia, il rispetto verso la divisa cui appartengo.. Ma Commissario.. Vice, corresse quello. Ma Vice Commissario..io le giuro di non aver raccontato nessuna frottola..lei mi deve credere!, scongiur Lupis gridando, con i nervi tesi come cantini. Lupis, si sollev il Vice, posando le mani sulla scrivania e proferendo con mal celata rabbia il suo pensiero se si azzarda unaltra volta ad alzare quella sua voce da checca, io la faccio pigliare a calci in culo da questa porta sino alle patrie galere. Intesi?, minacci, con un digrigno dei denti che provoc il Lupis un crampo allo stomaco, al solo pensiero delleffetto devastante che avrebbe sortito un calcio assestato nel suo infermo di dietro. Chiedo scusa.. Lupis, mi ascolti. Io le do unaltra possibilit. Lei adesso confessa, mi sottoscrive a verbale che ieri notte, io sottoscritto Adriano ingegner Lupis, in vena di fare scherzi idioti, ma che dico idioti, scherzi da gran testa di cazzo, ho chiamato in Commissariato avvertendo di un incidente mortale avvenuto sulla statale; detto sinistro era frutto della mia pura fantasticheria, ditalch, il qui presente Vice Commissario -dovutosi precipitare sul luogo dellaccaduto

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piuttosto che continuare a dormire sonni tranquilli accanto alla sua bella mogliettina- sotto un temporale che Cristo solo sa, scopre che nulla di quanto denunciato mai accaduto. Prontamente rintraccia il numero di telefono da cui partita la chiamata e, nel giro di due ore, bussa al mio domicilio e mi porta in commissariato. Cos, sottoposto ad abile interrogatorio, mi convinco a confessare. Che ne dice? Tenga la penna, firmi per cortesia, che lei comincia a stufarmi.. Io le dico che non firmo, non firmoio sono una persona rispettabile, non sono un delinquente! Il Vice risprofond nella sua sedia, mantenendosi le tempie. Lupis, Lupis..perch mi costringe a rovinarle la vita? Perch? Riepiloghiamo. Lupis, come suole dirsi al paese mio, fece spallucce. Primo, lei era alla guida in stato di ebbrezza; dalletilometro risulta che ben quattrore dopo la telefonata caveva un tasso da far paura: 1,5. Ha confessato lei stesso di aver bevuto, ed io, solo per questo, la sbatto in gattabuia. Seconda cosa, il suo racconto circa lincidente assolutamente privo di senso. Lei dice di essersi addormentato sul ciglio della strada, al suo risveglio, vede due persone. Una di esse, vedendola arrivare, se la svigna nei campi. Lei arresta la vettura, rimane a guardare. Perch? Perch rimane a guardare e non prosegue per

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casa? Lei cos coraggioso, ingegnere? Non questo il punto. Mentre ero alla guida mi sono addormentato. Ma bene! Benissimo! Di bene in meglio, ingegnere, la sua versione adesso diviene senzaltro pi credibile..continui, la prego, continui.. Lupis inghiott pazientemente il salace sarcasmo del dirigente. Mi sono risvegliato e per un pelo ho scansato lalbero. Lauto scivolata di traverso sul ciglio della strada. Ho accostato e mi sono riaddormentato. Beh.. Il dolore alla ferita -perch ho una ferita, sono caduto stamattina- mi ha svegliato. Ho visto a poca distanza da me una coppia. Il ragazzo si teneva le mani tra i capelli, si agitava, seduto sul ciglio, non so su cosa. La ragazza era in piedi ed immobile. A quel punto non riuscivo pi a capire se stessi sognando. Ho messo in moto, procedetti a passo duomo, la pioggia divenne pi fitta e non vedevo pi niente, quando smise mi parve di vedere il ragazzo avvertire la mia presenza e fuggire nei campi. Ma pensa Accostai di nuovo.. E si riaddorment.., ghign il Vice.

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No, non mi riaddormentai, vice, non mi riaddormentai!, esclam Lupis a braccia aperte, esasperato dalla pedanteria del vice, non vidi pi la ragazza e decisi di tornarmene a casa, quando ad un tratto sent chiamarmi. BrrrQuesti fantasmi !, ne simul le gesta, avvicinando le dita tremule al viso di Lupis, col perspicuo intento di fargli saltare la pervicace pazienta. Lupis finse serafica indifferenza. Signore..signore..una voce femminile, sentivo. La ragazza si avvicin alla macchina, sanguinava, si reggeva a malapena in piedi, mi chiese di accompagnarla a casa. E lei? Io laccompagnai. E che le disse dellincidente? Com successo, dove, con che macchina, che le disse? Mah..mi disse che il ragazzo che io avevo visto scappare era morto. Disse proprio morto!, e piangeva, vice, singhiozzava. Per fui io a chiederle per primo del ragazzo. Lei si mise a gridare. Ma dellincidente non ha parlato. Url? Si mise ad urlare si..io, infatti, mi spaventai. Subito dopo rise. Poi prese a piangere. Insomma, lincidente una sua deduzione.., concluse il vice, parendo improvvisamente preso dal racconto ma altres stizzito dalla stanca inespressivit della narrazione.

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Comunque, Lupis non gli dava lidea di persona che si desse a certi scherzi. Troppo pavido, troppo piatto. Lorganizzazione di sgherzi telefonici, soleva spesso ripetere il vice ai suoi inesperti compari (dallalto della sua decennale esperienza) alchimia che richiede imprescindibilmente la ricorrenza di tre elementi: agilit intellettiva, sostrato culturale umanistico e, in ultimo, spiccate capacit dialettiche. Appariva con nitore, invece, lassenza totale dei menzionati elementi nella goniometrica mente del Lupis. Mah..io pensavo fosse ovvio..cerano vetri a terra. Dunque non le ha parlato di un incidente, dico in modo espresso? No.. Ricorda quanto tempo passato tra il momento in cui ha visto il ragazzo scappare e quello in cui le si avvicinata la ragazza? Boh..occhio e croce, un quarto dora.. Ha sentito grida, rumori strani, qualcosa? Non che ricordi.. La faccenda abbastanza strana. Non mi convince. Lupis sorrise compiaciuto. Andiamo. Dove? A casa della ragazza. Mi faccia strada.

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La corpulenta complessione del vice, levatasi con lagilit che soltanto i pigri in selezionate situazioni sanno sfoggiare, sospinse con piglio frettoloso la stazza simillima di Lupis, pi arrendevole, flaccidamente incerta. Scesero le scale, rinunciando persino al lusso dellascensore fermo al piano, arrivati in garage, il vice si ferm, spar gli occhi aguzzi verso un punto indefinito e principi a mugolare. Mmm..dunque.. Che..che succede?, domand Lupis, pronosticando rogne. Dovremmo escogitare un piano per presentarci a casa della ragazza, a questora.. Un piano? Ma lei un vice commissario! E che centra? I vice commissari non hanno certo il potere di piombare nel cuore della notte a casa di chicchessia.. A no? Certo che no. E con me? Come avete fatto con me? Cio, dico, vi siete attaccati al citofono buttandomi gi dal letto, uno dei vostri uomini era gi appostato, arma in pugno, dietro la mia porta..mi avete fatto scendere in pigiama, lei poi ha concluso.. Ih,ih,ih.. Che c da ridere, commissario? Lei era veramente spaventato, in effetti.. Tutto questo inconcepibile!, esclam Lupis, fomentato

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da un impeto di collera verso latteggiamento furbesco ed impudente del vice. Lei ha abusato del suo potere! Uhhh...che paroloni..., disse il vice, con voce nasale e gi pronta alla colluttazione verbale, le ricordo che stato lei a volerci seguire in commissariato, di sua spontanea volont... Ma che dice? Mi ci avete portato in commissariato! Non dica sciocchezze. Io le ho domandato vuole seguirci? e lei cha seguito. Di che si lamenta? E poi, le ricordo che la sua posizione tuttaltro che acclarata. Buon per lei che questa ragazza esista davvero, senn la notte se la passa dove so io.. A Lupis, la voglia di proseguire la polemica pass precocemente. Vogliamo andare?, chiese il vice, recidendo sapientemente le fila del discorso. Lupis annu. Scesero dallauto di Lupis, eletta per mantenere

lanonimato. Il piano era stato preparato strada facendo, con meticolosa precisione. Il vice aveva stentato un po per far in modo che Lupis apprendesse le domande da rivolgere alla ragazza, da porre con sicurezza, senza esitazioni. Lupis, pi convinto nellesposizione, ci metta sicurezza..deve trasmettere un senso di sicurezza alla

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ragazza, senn si rischia che intuisca qualcosa. Faccia intendere che una scusa per invitarla a cena, per farla uscire. Lupis, atterrito dallidea di dover interloquire con una sospetta rea, spacciandosi per di pi per un ruspante Casanova, inizi a ritenere meno annosa leventualit di una notte trascorsa in cella. Ma, le pare che io, alle quattro del mattino, con questa scusa..stupida - stupida come scusa, mi permetta- mi presento a casa di una persona, ferita per giunta, e comincio a molestarla? Capir certo che qualcosa non quadra..andiamoci domani, al massimo Lupis, che stracazzo dice? Mica le ho chiesto di tastarle le zinne appena le apre la porta! E poi non le permetto di affermare con tanta levit che il mio piano stupido. Lei faccia lingegnere, io faccio il astutamente, il vice. No, io non ho mai detto che il suo piano stupido, la scusa, dicevo.. Come no? Lha appena detto Ma no che non lho detto! Ma mi fa tanto fesso? No, dica, francamente, le sembro un fesso io? Ma..ma.. Ahh basta cos, Lupis, per cortesia, non litighiamo. Io mi poliziotto., tergivers

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sto fidando di lei, non me ne faccia pentire. Se avesse trovato unaltro poliziotto, sa dove si troverebbe a questora? Lo sa? Sotto velata minaccia (la solita), Lupis accondiscese. Percorse il viale ghiaioso e stretto che divideva dal portone in cui ricordava di aver visto entrare la ragazza, voltandosi spesso per verificare che il vice mantenesse la promessa di non lasciarlo solo. Il vice gli faceva segno con la mano di continuare, va, vala seguo... Rimase sulla soglia prima di suonare il campanello, lalba si levava appena, a conforto delle sue paure. Una casetta di campagna a due piani, ben manutenuta, ordinato il giardino che sintravedeva oltre un piccolo cancello, rigogliosamente attortigliata una rampicante soverchiava tutto il viale, porgendo i suoi acini rachitici e neri a chi ne volesse cogliere. Pos il dito sul campanello, indugiando. Si volt ancora una volta per appurare che il vice gli rendesse la promessa protezione. Pigi il tasto, il citofono emise un dolce ed obsoleto scampanello. Siii, fece eco dallinterno la voce di qualcuno. Gli fece specie limmediatezza della risposta. Sferraglio di serratura, chincaglio di chiavi, il portone fu aperto. Chi siete voi?, domand circospetta lanziana signora, dai capelli bianchi, fittamente raccolti a tuppo, robusta nel bacino e gracile nella voce, sporgendo la testa dal pertugio

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creato dalla catena della porta. Buongiorno signora...sono lingegner Lupis.. E che cosa volete da me? Io dovrei consegnarle una cosa.. Non voglio vendere niente, signore, lho gi detto allaltro che venuto laltro giorno, non voglio vendere. Io voglio morire qui, nella mia casa. Quando muoio io, poi si pensa Ma no signorasi sbaglia.. Sissignore, mi sbaglio ma io non ven-do! Anche se voi mi volete dare cento miliardi, io sapete che cosa vi dico? Che non vende. Bravo, non vendo, io non vendo a nessuno..non vi dispiacete, non che io non voglio vendere a voi e poi viene un altro come voi e vendo..non voglio vendere. Ehmsignora, lei ha frainteso, io devo solo consegnare una cosa da dare a.. Si, si..con questa scusa laltro giorno entrato quellaltro, e mha tenuto mezzora a convincermi. Io ve lo dico e ve lo ripeto: non vendo! Lupis assecond lennesima asserzione della signora, scotendo il capo sulle ripetute note del non vendo. Signora, le sto dicendoio vengo per sua figlia.. Mia figlia? Mo che centra la figlia mia? C? in casa? Nossignore non in casa.., si ritrasse spaventata la signora.

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Voi che cosa volete da mia figlia? Che siete del Comune? Lupis, nel timore di passare stavolta per funzionario del Comune, cos riaprendo altra ed annosa trattativa, cerc di interrompere lo sciolto verbo dellanziana. No signora, non sono del Comune. Tanto mia figlia di qui non si sposta, meglio che ve lo dico subito.. Non sono del Comune, signora, non so di cosa stia parlando.. In questa casa c la nostra vita, la nostra sofferenza. Mia figlia di qui non se ne va. Signora, le ripeto, non sono n del Comune, n voglio vendervi nulla. Infatti voi volete comprare.., puntualizz attenta la signora. Neanche comprare, signora. Io devo restituire una cosa a sua figlia. in casa? Nossignore. fuori. Lupis, non sapendo come dover procedere al presente punto delle indagini, cerc il supporto del vice, il quale, come al solito, gli fece segno, di proseguire ad libitum. Ah. Quando la posso trovare?, domand Lupis. Sempre qua sta.. Faccenda complessa da decifrare. Lupis tent di ingraziarsi la fiducia della donna.

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Signora, allora le dico che successo..Meh, incalz alla narrazione, seccamente, la signora. Io devo dare questo a sua figlia, suo, le appartiene.. La vecchia tacque. Vede? tutto rotto. C stato un incidente, stanotte. Sua figlia si fatta un po male, non molto, giusto un taglio, e sono stato io quello che lha accompagnata a casa, mi ha detto che suo padre un medico. Lha dimenticato in macchina, siccome io domattina parto, volevo restituirglielo.. Il vice, avvicinatosi quatto alla scena, gli segn lok, congratulandosi per lidea. Un boato tagli in due lapparente quiete, Lupis cadde allindietro, rantolava e rotolava come colpito a morte, il vice, eroicamente, arma in pugno, guadagn agilmente un riparo, da cui url il tanto atteso Fermi o sparo, ma ancor prima che ebbe terminato la frase gi due proiettili fendevano laere, conficcandosi, confusamente, uno nel muro, laltro centrando la plafoniera affissa al di sopra della porta, mandandola in frantumi. Il povero Lupis soffriva atrocemente. Lupis? Mi sente? ferito?, chiese ad alta voce il vice, protetto dal muretto a secco, in postura da sceriffo operativo. Lupis non rispose, si sollev a scatti, come un manichino, con le lacrime agli occhi, latrando di dolore.

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Ma che fa? Cosa fa?, ebbe la forza di scandire, scarmigliato, impolverato, il buon Lupis. A chi spara, vice, a chi? La signora mha chiuso il portone in faccia e sono scivolato su questa cazzo di ghiaiaahia..che male la ferita, ahiahiai, si contorceva Lupis, soggiacendo (poco stoicamente) alle atrocit del dolore. Il vice affior dal muretto riponendo la pistola, imbarazzato per lallarme imprudentemente procurato. Dalla plafoniera, i vetri pendevano come ghigliottine, in direzione delluscio. Che zoccola la vecchia strega, eh, Lupis?, gli si avvicin il vice, con faccia colpevole, alla ricerca di comprensione. Lupis, trincerato nel suo dolore, taceva scagliando anatemi interiori contro il creato tutto. Adesso laggiusto io la vecchia.., si ripropose il vice, che avvicinatosi alla porta, si accorse della pericolosa posizione dei vetri e, inoltre, del lagnoso mugolio proveniente dalla casa. Signora..sono un vice commissario di Pubblica Sicurezza..Polizia, insomma. Apra la porta, ma non esca, ch c pericolo... Pochi passi, la vecchia spalanc la porta non serrata dal catenaccio. Ma che successo..?, piagnucolava la vecchia di paura, Che coserano quegli spari? Signora, perch ha chiuso il portone in faccia al mio

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collaboratore? Lo ha ferito, sa? Io? Io lho ferito? Oh Santa Vergine..io non ho chiuso il portone in faccia al vostro amico! Dovevo chiuderlo per forza, per togliere il catenaccio e aprire la porta..mi sfuggito perch pesante e c corrente dariaha sbattuto da solo! Che si fatto il Vostro amico? Niente, niente..fesserie, signora, non tema.. Entrate, entrate per piacere Mi deve dare la scala, signora, si rotta la plafoniera della luce...possono cadere i vetri.. Uh Ges mio bello! State attento, scostatevi da sotto..vi prendo la scala.. Vuole una mano, signora? Dov la scala?, chiese il vice, smanioso di sbirciare in casa della vecchia per annusare tracce di giovane vissuto. Lupis ne approfitt per appartarsi e passarsi la mano nei calzoni a sindacare eventuali peggioramenti della ferita che, adesso, sembrava aver totalmente assorbito la porzione di crema applicata ore prima. Cera bisogno di una nuova, celere, massiccia applicazione di pomata. Questo era il primo, unico obiettivo di Lupis nellimmediato. Alla malora il vice, la vecchia e la ragazza. Doveva salvaguardare la sua salute, lui, ch non aveva nessuno ad accudirlo. Tast la giacca, la camicia divenuta maleolente,

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le chiavi..dove ho messo le chiavi.., si ripet, poi ricord che era il vice ad averle in consegna. Non avendo intenzione di attenderne luscita, decise di far ingresso in casa, malgrado il mancato preavviso. C nessuno..?, procedendo a piccoli passi, domand. C nessuno in casa..?, insistette. Linterno era molto accogliente, ben ordinato, luceva il legno intarsiato del mobilio, una cucina-soggiorno ariosa da cui si dipartiva una corta scala in legno che portava al piano superiore. Luci spente, baluginava lalba fattasi densa di colori dalla veranda a vetri che introduceva in un orticello dalla forma ad U. Preludeva ad una bella giornata. Parve a Lupis di udire vociare in quella direzione, la finestra era aperta, entr. Un Padre Nostro sussurrato con cantilenante cadenza, sent ripeterlo e pot distinguere unaltra voce unirsi alla recita. Scorse di spalle la vecchia e il vice, in piedi, mani giunte, pregavano. Il calpestio delle suole di Lupis sullumido dellerba fu udito dal vice, che, senza interrompere lorazione, gli fece segno di unirsi alla preghiera. Lupis non esit a farlo, si avvicin e vide. La vecchia stringeva tra le mani un rosario, pregava al cospetto di una tomba, divelta. Di umano sul teschio resisteva una fitta chioma ingiallita. Una lunga gonna dalle foggie orientali, dai colori dorati ed intensi che stridevano

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sinistramente con la mercescenza dello scheletro. Ai piedi della tomba, lombrello. Lupis lo riconobbe senza indugio, era lombrello che la ragazza dellincidente aveva dimenticato nella sua auto, pretesto della sortita organizzata dal vice. A suffragio terminato, la vecchia, prima che le giovani spalle dei due, divenute algide per il solcarsi di profondi brividi di incredulit e spavento, riponessero il coperchio della lapide, carezz piangente i capelli della defunta figlia, esortando i due basiti malcapitati ad apprezzarne la bellezza. Quando, congedandosi dallamata, ne baci pi volte la fronte, invitando i due ospiti al medesimo rito, il vice ud un rumore secco e sordo. Lupis giaceva in terra, svenuto.Beva questo, Lupis, le far bene, offr il vice, porgendo a Lupis la tazza di caff corretto con cognac. una mia ricetta il caff con cognac, sa? Utilissima per ritemprarsi da brutte visioni. Comprende bene, col mio mestiere.. Lupis annu silenziosamente, sorbendo il caff. Che le pare? Buono, eh? Buono, assent Lupis, inghiottendo. Non racconti nulla ai miei colleghi. Ci prenderebbero per pazzi. Lupis tacque, asimpaminico. Non aveva nessuna voglia di commentare laccaduto, a differenza del vice.

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di querele. Alcuni vicini allinizio non resistevano agli odori, altri, dopo, non gradivano avere in bella vista il tumulo di sua figlia. Intervenne anche il Comune, ma la vecchia lha sempre spuntata. Quanti anni fa successo? Circa Venticinque anni fa. Boh. Rimasero in silenzio. Il vice era affacciato alla finestra. Un agente gli consegn il quotidiano fresco di notizie di dominio pubblico gi dal giorno prima. Senta qui: Osama Bin Laden pende da ieri impiccato sul cratere delle Twin Towers. Ci rimarr due giorni e due notti. Secondo la legge del Profeta, infatti, questa la morte che spetta agli infedeli e agli assassini. George W. Bush, intanto, si prepara ad assumere la reggenza (temporanea, tiene a precisare) della neonata Lega degli Stati del Medio Oriente Lupis stette a riflettere, che carriera quel Bush mormor, sporgendosi per posare la tazzina del caff, avendo cura di non destare dal torpore la ferita.

Nicolangelo Lisco

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VARLAEI Maledette scale. Maledetta sedia a rotelle. Len, la sua immobilit, il peso di un corpo non vecchio ma mutilato da uno stupido incidente. Len, la sua storia, le donne, chilometri di parole senza un finale come i suoi articoli. Len. Varlaei. Difficile raccontare di Len senza immaginare i suoi sogni. Quasi impossibile senza aver scrutato almeno per un attimo nel suo sguardo. Lo stesso sguardo che un pomeriggio d'inverno... Quel pomeriggio le notizie sembravano rincorrersi come formiche tanto ce n'erano. Appena il tempo di mettere gi la cornetta che la voce stridula del telefono annunciava l'arrivo di altro lavoro. "Ciao Len, come ti avevo detto, ho portato la mia amica, Varlaei... ci dar una mano". Vivienne aveva ripreso a collaborare da poco. Nel frattempo la rivista si era rinnovata, lo stesso Len faceva parte degli inserimenti pi freschi. Era uno arrivato dalla periferia ma 129

con una gran voglia di citt, lavorava sodo e senza fermarsi un attimo dal primo giorno che aveva salito le due rampe che conducevano alla redazione del "Samedi", il settimanale locale della bassa Savoia. Concedeva poche righe della sua vita, soprattutto perch con i suoi colleghi non s'era creato la giusta unione per raccontarsi qualche pezzettino di percorso fatto. Il pomeriggio in cui Vivienne port Varlaei, Len era preso da mille cose. A stento guard la nuova arrivata. Le sorrise. "Hai fatto bene Vivienne, ma ora vi faccio parlare con il boss cos vi mettete d'accordo con lui". Le accompagn in un'altra stanza e sent di essersi scaricato di un perditempo che lo aveva distratto dal suo monitor. Varlaei sembrava timida, pi silenziosa di Vivienne ma pi incline ad accettare consigli. Caratterialmente tra Len e Vivi non era mai scoccata la scintilla, nemmeno professionale, con Varl, si innesc quasi da subito un'intesa e allo spigoloso Len non sembr vero di avere una persona con cui potere finalmente parlare durante le infinite giornate di lavoro. 130

Anche non di lavoro. Altri pomeriggi che le notizie sembravano rincorrersi come le formiche, tante ne arrivavano sulla scrivania di Len, volavano via con insolita levit ora che accanto alla sua sediolina di stoffa Varlaei veniva a sistemare la sua. Tutto l'inverno pass abbastanza in fretta. Len parlava alla sua nuova collega dei sogni e dei progetti, conservava un p della sua voglia di narrare per disegnare dei percorsi con i quali era possibile attraversare la sua vita: le sue esperienze, i suoi dolori, i grandi progetti. E Varl lo stava a sentire. Fu un pupazzetto che Len prese alla solare compagna di scrivania a scatenare una reazione imprevista. E' difficile stabilire l'evoluzione naturale degli eventi. Ma, a volte, sembra che sia possibile invertire delle tendenze o accelerarne la venuta. Doveva essere stato cos per Len e Varlaei. Quel pupazzetto che lui reputava insignificante o che voleva essere solo un modo per ringraziare quella persona cos piena di energia positiva, della sua amicizia, fin per essere l'inizio di qualcosa di diverso. 131

Len era al suo secondo matrimonio. In crisi anche questo. Varlaei conviveva da diversi anni. Len scriveva per il "Samedi" le storie di quella piccola provincia che rendeva pi colorate utilizzando qualcuna delle tinte che avevano disegnato le sue di storie. Varlaei si occupava di un settore simile ed era affascinata da quel modo di raccontare. A Len piaceva il modo di guardare alla vita di Varl. A Varl attraeva lo sguardo desolato di quell'uomo triste, pi triste delle sue storie. Quello sguardo cominciava a piacerle sempre di pi, anche pi dei suoi racconti. "Forse non il caso Len..." "Dimmi cosa c' di male... Cenare insieme, come fanno tanti... nient'altro" "No. E' meglio di no". Varlaei sapeva perfettamente che due persone cos, come lei e il suo collega, non si sarebbero fermati ad una cena insieme. Nello stesso paese dove abitavano, poi. La provincia provincia non la cambi, come diceva il loro caporedattore, il che significava che in poche ore sarebbero stati avvisati con dovizia di particolari, coniuge e convivente. 132

Quella mentalit stava stretta a Len. "Balorda sottocultura provinciale", urlava battendo i pugni contro l'aria. Ma gli stava ancora pi stretta la sfera entro la quale si era andato a riparare e che ora gli impediva di comunicare con il resto del mondo. Con la sfera di Varl. Con Varl. Ma le cose accadono, e tra i due doveva accadere una inversione di tendenza, o forse una accelerazione, che li avrebbe avvicinati fino ad infrangere la materia di quelle sfere. Le donne di Len erano tutte diverse da Varl. Nessuna era stata come lei. E non era il nuovo ad attrarlo con forza verso quella figura cos luminosa, quanto le sue idee, la sua bellezza interiore, la sua fragile concezione del mondo e delle certezze. Fragile, ma sempre rispettosa degli altri e di s stessa. Eccoli gli eventi. Ecco l'accelerazione. Bast una qualche crepa nel rapporto di Varlaei con il suo convivente che il rapporto tra i due colleghi mut con una rapidit impensabile fino a un giorno prima. "Var... ho paura che finiremo per odiarci un giorno", le disse Len mentre leggeva negli 133

occhi della donna qualcosa simile ad una voglia di baciarlo. "Ma pensi che tutte le donne debbano cadere ai tuoi piedi?", rispose lei stizzita. E un secondo dopo presero a baciarsi e i loro visi sembravano essere diventata una sola cosa. "E adesso?" "E adesso non dobbiamo vederci pi", fu la risposta di Varlaei, mentre cominciava a singhiozzare, "Perch... perch? Era proprio necessario?". "Necessario?", la riprese Len, "Ne sentivamo il desiderio, forse... io lo sentivo". Desiderio. Non ci si ferma pi quando comanda il desiderio. E la mente cede il passo alle pi dolci e violente sensazioni che il cuore riesce a trasmettere a tutto il corpo. E a quello accanto. Non si fermarono pi Len e Varlaei. Si rincorsero. Si nascosero. Si odiarono. Si amarono senza saperlo, senza volerlo accettare. L'amore pi forte che si possa disegnare tra due essere umani. "Non riesco a non sentirti, non immagino la 134

mia vita senza il tuo sorriso... Preferisco morire Varl...". "Smettila Len, fa' l'uomo. Non si pu, non possiamo, non rendere tutto pi complicato". "Pi complicato allontanarsi, far finta che questo pezzo delle nostre vite non sia mai esistito. Ecco cosa complicato" "No, dobbiamo riuscirci. Salutiamoci. Le nostre strade si dividono qua". Una separazione totale doveva cominciare dalla vita professionale, pens Len che decise di lasciare il "Samedi". Una decisione che la giovane dagli occhi sorridenti non accett di buon grado. Le sembr una vigliaccheria e prese a perdere un p della stima che nutriva per il suo collega pi anziano. Fu l'inizio di una rottura lenta e dolorosa. I due non perdevano occasione per ferirsi. Ma si cercavano ancora. Varlaei diceva che era attrazione, quella residua forse. Len insisteva a parlare di sentimenti. Scrisse una delle sue pagine pi belle durante quel periodo di buio. Una pagina che non pubblic nessun giornale.

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"Da Chambery, Len Ramonet. Si fa fatica a comporre un articolo che sia credibile con gli occhi pieni di lacrime. Con queste stupide gocce che continuano a scendere invadendo la tastiera e annebbiando la vista. Ma non se ne pu fare a meno. Nemmeno un cronista pu fare a meno delle lacrime quando gli capita nella sua carriera una storia come questa. Non facile. E il lieve ticchettio sui tasti si mescola con le urla strazianti di chi l fuori sta piangendo una vittima, l'ennesima di una strana malattia. Un male che miete pi vittime dell'Aids e del cancro: la follia. E un uomo, in preda alla follia, questa mattina ha spiccato il volo dal balcone del suo appartamento al quinto piano di un palazzo signorile in Rue St.Donat. Follia la chiamano... Ma perch? Perch cercare a tutti i costi di dare una spiegazione ad un gesto spiegabile forse solo da chi in questo momento sta accogliendo tra i suoi figli migliori, questo giovane "dallo sguardo desolato". I vicini raccontano di una donna, nella sua vita. Una delle tante. L'unica che 136

negli ultimi mesi abbia frequentato. Unico, non aveva altri fratelli il trentunenne che da qualche mese si era stabilito nella cittadina, avendo trovato un lavoro a pochi passi da Piazza degli elefanti. Aveva percorso cinquecento chilometri col suo bagaglio di speranze, per ricominciare dalla citt. Due matrimoni volati via con lui. Venti metri per cancellare tutte le sue angosce. Venti metri per cacciare via le paure di una vita probabilmente senza tante certezze. Una frase scritta a caratteri maiuscoli su un foglietto colorato, qualcosa simile a: se le nostre strade si dividono io mi fermo qui... Una frase tenuta stretta tra le dita, che lo ha accompagnato nel suo ultimo viaggio, insolito, ingiustificato forse. Ma l'ultimo atto di un uomo non va brutalizzato. L'ultimo gesto di un essere umano, fosse pure cos tragicamente irrazionale, non va banalizzato. Perci, per favore, non chiamatela follia". Quell'uomo non mor, ma il suo corpo rimase sfigurato. Varlaei spos il suo convivente e traslocarono 137

a Parigi. Accett un incarico da caporedattore per "Le Monde", e riusc a ritrovare lentamente la serenit che credeva perduta definitivamente. Len... Len passava i suoi giorni a maledire la sua sedia a rotelle e le scale, quei cinque piani di scale. Cercando di appuntare su un grosso blocco di fogli bianchi tutto ci che vedeva dal balcone del suo appartamento, in un palazzo signorile di Rue St.Donat.

Marzio Di Mezza

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Mi chiamo Melisanda Massei Autunnali, sono nata a Piombino (Livorno), dove risiedo, il 9 giugno 1978. Dopo la maturit classica, mi sono iscritta al corso di Filosofia presso la facolt di Lettere e Filosofia dell'Universit di Pisa e dovrei laurearmi fra pochi mesi. Alcuni miei racconti sono stati pubblicati in antologie edite da case editrici sia locali, sia nazionali. Attualmente lavoro presso una radio privata della mia citt e conduco un programma sulla storia e la cultura del comprensorio in cui abito.

IL GIOCO La giornata volgeva al termine fresca e silenziosa. Era quasi estate e tutto attorno al parco l'odore dolce dei pini accompagnava la sera, confondendosi adagio con i soffi della brezza attorno alle cime. Avevamo trascorso tutto il pomeriggio tra gli alberi e la polvere, a giocare e a cantare: poi, a un certo punto, Cristiano, esausto, aveva bloccato la palla con le mani e alzato un braccio, facendo segno di fermare il gioco, e stanchi e sudati, finalmente ceravamo seduti, respirando a pieni polmoni. -Mettiamoci in cerchio- propose Alessandra, l'unica ragazza del piccolo gruppo, oltre me. -Vi andrebbe di fare un gioco?La guardammo silenziosi, in attesa. -E' un gioco che ho inventato io, l' ho chiamato "se potessi": ci mettiamo seduti in cerchio, dunque; poi ognuno di noi, a turno, racconta quello che pi gli piacerebbe essere. Ma sul serio, senza scherzare. Vi piace?139

-E chi vince?- chiese Giovanni, che aveva un po' la mania dei primati. -Nessuno. - replic la ragazza - Non si gioca sempre per vincere: ci riposiamo un po', riprendiamo fiato prima di tornare a casa, e intanto scopriamo qualcosa in pi di ciascuno di noi.L'idea non era malvagia e ci affrettammo ad obbedire alla disposizione. -A patto, per, che cominci tu, Alessandra!- fece Cristiano un po' preoccupato - Io devo ancora pensare bene a quello che davvero mi piacerebbe essere!-No no, il gioco l'ho proposto io e lo dirigo io: - replic lei, stizzita - comincer Giovanni.Che per l'appunto era seduto proprio alla mia destra. Dall'altro lato, invece, Michele. -Ci sto - comment l'interessato- Dunque.. se proprio potessi scegliere.. vediamo.. credo che mi piacerebbe essere un grillo.-E si guard attorno in cerca di consensi. -Un grillo, s- prosegu, entusiasta - credo proprio che sarebbe divertente; mi piacerebbe molto poter saltellare nell'erba e soprattutto poter vedere da vicino quello che sta succedendo adesso sotto i nostri piedi. Mi sono venuti a noia gli esseri viventi che vedo tutti i giorni, uomini compresi: avrei proprio voglia di sapere come vanno le cose laggi.Qualcuno applaud, qualcun' altro rise. -C' bisogno di commentare?-chiese Alessandra - Mi sembra 140

simpatico! Va bene, se non c' altro da aggiungere, Cristiano, adesso sta a te, non puoi pi tirarti indietro!Il ragazzo si gratt la testa, tacque per qualche istante, poi cominci: -A me piacerebbe essere una chitarra, per fare allegria tra la gente, stare nelle feste, nei concerti... Naturalmente dovrei sempre avere vicina una mano molto abile che mi aiutasse a fare questo, ma allo stesso tempo sarei io stesso d'aiuto per gli uomini, per esprimere grazie alla musica, i loro pensieri. S, ecco tutto, una chitarra.La riflessione di Cristiano ci piacque un po' meno, forse perch lo conoscevamo bene, sapevamo che agognava di fare il musico e da lui, una risposta simile, ce la saremmo aspettata. Comunque, ognuno di noi, anche solo per incoraggiare il gioco,che stava entrando a poco a poco nel vivo, espresse il suo plauso e passammo al turno successivo. Quello di Alessandra. - A me piacerebbe essere un abito, un abito importante, dico: o un vestito da sposa, o per la prima comunione; qualcosa che potesse essere conservato come il ricordo di un momento significativo, irripetibile. E non m'importerebbe affatto di dover rimanere per il resto dei miei giorni in uno scatolone. Sarei solo felice di poter essere ritrovato ogni tanto, e magari indossato di nuovo, per scherzo, per rivivere un attimo bello.Tutti approvammo il proposito: soprattutto io pensai che fosse molto originale e anche molto generoso e mi congratulai 141

moltissimo con la mia amica. Ma ora spettava a Michele. - Io vorrei essere un albero- disse il ragazzo, e rest in sospeso un istante come in attesa di un segnale da parte degli amici pini. Poi riprese: - Mi piacerebbe soprattutto poter sentire quello che sentono gli alberi, respirare tutta l'aria che si scambiano fra di loro e rimanere fermo a guardare tutta la vita che si svolge attorno. Mi piacerebbe sentire il sole e poter parlare con lui quando batte a picco nelle ore pi calde della giornata e la gente cerca riparo sotto le fronde. Mi piacerebbe sentire la pioggia e il profumo che sale dal suo incontro con i rami, la frescura e la vita che dona alle foglie nei temporali di inizio settembre. Mi piacerebbe perdere le foglie e vederne rinascere di nuovo, ogni anno, immancabilmente e vivere cos il miracolo di ogni stagione che arriva, passa e ritorna, fino alla fine...Tacque, e aveva le guance rosse per l'emozione, e lo sguardo dolcissimo: aveva parlato a precipizio e molto pi degli altri, se ne accorse e, vergognoso, abbass la testa in attesa dei commenti. Ma nessuno parl. Mi accorsi di avere improvvisamente freddo, ma non ci feci caso e cercai di darne la colpa alla sera. Ci fu un attimo di silenzio, poi Alessandra intervenne, impaziente di terminare: -E tu, Manuela, cosa vorresti essere?La guardai, ma rimasi muta e disarmata. Fino a un attimo prima avevo atteso il mio turno traboccante di parole, ansiosa di 142

annunciarle ai miei amici, magari anche sperando segretamente che mi invidiassero almeno un pochino per la vitalit che avrei impiegato: invece, dopo quello che aveva detto Michele e soprattutto il fervore con cui l'aveva detto, avevo la testa completamente vuota. Cercai di rintracciare anche nei volti degli amici quello stesso smarrimento improvviso, ma scorsi solo facce incuriosite in attesa della mia dichiarazione. -Non lo so..- farfugliai - proprio non lo so... Bocciatemi pure in coro, ma proprio non so cosa rispondere. -Beh, si fatto tardi -sentenzi Giovanni - possiamo anche finirla qua e riprendere domani. -Cantiamo prima unultima canzone, ci ruber solo pochi minuti- esclam Cristiano. Ci piaceva molto cantare, soprattutto quando la sera avanzava c'erano brani che venivano alle labbra quasi spontaneamente ed era bello scoprire quanto riuscissero a renderci uniti e a farci sorridere per quella nostra amicizia, forse non troppo antica, ma intensa ed in crescita continua. A sedici anni era molto il tempo che avevamo di fronte a noi. Cristiano attacc il suo pezzo preferito, la canzone della notte di san Lorenzo, partendo quasi sottovoce, in attesa del nostro intervento alle strofe successive. Un canto dolce e sinuoso, un addio pi che un lamento, una malinconia pi che un abbandono, quasi un ricordo. Appena terminato ci alzammo e dopo esserci salutati e promessi di rivederci l'indomani, ci allontanammo ciascuno per 143

conto proprio. Non mi ero ancora ripresa da quello che era successo prima: misuravo il terreno a passi lunghi e lentissimi, guardando verso il basso pensierosa e proprio non mi accorsi che Michele mi aveva raggiunto e che stava spingendo la bicicletta al mio fianco. Quando mi accorsi di lui, vidi che mi stava fissando con aria smarrita. -Perch non hai risposto al gioco ? C' forse qualcosa che non va, Manuela? Non posso credere che tu non avessi davvero niente da dire, ormai ti conosco, sei una chiacchierona, tu!Era proprio la domanda che temevo mi rivolgesse. Mi fermai e lo guardai seria, forse addirittura da spaventarlo. Michele era bello, forse fin troppo, di una di quelle bellezze infantili che accompagnano ai lineamenti delicati del volto espressioni giocose di creature semplici e sincere. Che da quanto sono spontanee a volte intimidiscono un po'. Portava ancora addosso i segni della lunga malattia: era da poco che ne era uscito, ma aveva visto la morte in faccia, lo si capiva bene, e si stava riprendendo un po' alla volta, sebbene fosse ancora piuttosto debole e si affaticasse con un niente. Ma sorrideva, e i suoi occhi erano vivissimi, scintillanti e, pensai, forse era proprio quel loro brillare il motivo del peso profondo che avvertivo in fondo allo stomaco e che in pochi minuti aveva reso terribilmente stupide tutte quelle nostre aspirazioni, quei voletti da tacchini. Sorrisi e socchiusi gli occhi, lasciando scivolar via la 144

timidezza: -Se potessi scegliere di essere diversa da quella che sono, credo che mi piacerebbe essere come te. Vorrei vedere la vita come la vedi tu.LA PAROLA DI MIAO E un pomeriggio dottobre piovoso e freddo. Mamma e Padroncina sono uscite. Tutto solo mi coccolo in una copertina celeste nella mia cesta e il calduccio mi ruba sonori ron ron. E gioved. Lampeggia fuori, lampeggia qui in cucina, lampeggia in corridoio, sulle poltrone, sui divani, tuona forte e ogni volta uno scossone alla casa intera, poi ritorna il buio. Vorrei che fosse primavera, vorrei il sole, le calde giornate, la luce, oppure vorrei essere uno dei peluche di padroncina, anche loro sono gatti, bellissimi e molto amati, ma soprattutto non possono avere paura dei temporali. Se mi ritengo bello? Certo, sono un gatto vanitoso, non lo sapevate? Come, non sapevate che mi guardo negli specchi del bagno, ammiro il mio nasino rosa, la coda flessuosa e il pelo bianco e nero? Magari avessi la libert di uscire farei strage di micine e le mie donne di casa si accorgerebbero che aspiro a qualcosa di pi di una copertina celeste. 145

Invece sono il gatto di casa e questa vita, un letto, un divano, un cuscino, una poltrona non mi appagano, ma mi nobilitano, sono il gatto pi ammirato della piazza, cos pulito, profumato, raffinato, mi sento come un re tra i randagi quando ne incontro qualcuno passeggiando sul davanzale. Una chiave si muove nella serratura, ecco Mamma e Padroncina, vorrei gettarmi ai loro piedi in un esplosione di fusa, ma chi quel gatto che hanno in braccio? Padroncina, cosa ti ho fatto, non vuoi pi che io sia il tuo migliore amico? Intanto il micio, anzi, la micia, scende e si avvicina. Guardarla da vicino mi rasserena un po, cos bella, pelo grigio, lucido, morbido, striato di nero, occhi gialli, naso scuro, un musetto simpatico ed espressivo. E una randagia, ma cos pulita! Mamma e Padroncina l hanno trovata per strada, aveva fame e la pioggia non prometteva nulla di buono. Un po di ricotta, il latte e una cuccia calda, almeno per stanotte non soffrir il freddo. Mamma sorride, accarezza entrambi, non vuole gelosie, ma non c da preoccuparsi, questa grigia mi affascina. Non conosco la sua vita e non posso neanche immaginarla, ma chiss quanti temporali, inverni, portoni, tetti, ponti e giardini l hanno vista acciambellarsi nella sera. Padroncina osserva i santi sul calendario, non si accontenta di un nome comune per la sua nuova amica. Bene, oggi che giorno , otto ottobre? Santa Pelagia, s, allora, Pelagia, nome fatto quasi apposta per un gatto. 146

La notte breve in compagnia, almeno per me, che son sempre solo, ma non rimarrai, questo lo so. Quanti luoghi hai visitato, Pelagia! Il mare, la campagna, la citt vecchia e quella nuova, i giardini pubblici con i bimbi piccoli, la periferia, eppure questa la prima casa che vedi dal di dentro. Onore a me, allora, per il privilegio di essere il tuo primo ospite. Sono trascorsi cinque mesi, ho rivisto Pelagia solo qualche volta, ma ormai siamo grandi amici. E passato l inverno, il Natale, Capodanno, la Befana, Candelora, ma io ho ancora freddo , a poco bastano stufe svedesi, termosifoni e copertine, ci vorrebbe uno sprazzo di primavera, un raggio di sole, qualche geranio nei vasi del davanzale. Qualcuno ora bussa alla porta, ma chi pu essere a quest ora? Sono colpi piccoli, leggeri, provengono dal basso e se fosse lei, se fosse Pelagia? Miagolo pi forte che posso: Mamma, corri, penserai dopo alla cucina, e anche tu, Padroncina, smettila con le tue sciocchezze, dovreste aver compreso a questo punto il mio debole per la bella grigia! Le mie donne di casa accorrono, aprono la porta e una Pelagia grassa, ma sempre socievole e affettuosa entra in casa, si getta ai loro piedi, reclama coccole. Ma non grassa, aspetta i cuccioli! Confesso che sono geloso, del padre, dei gattini, di Pelagia Come ha potuto farmi questo? 147

Lei mi si avvicina fra fusa e miagolii, credo che abbia capito i miei pensieri, forse intende dirmi che stato un errore, e almeno sul piano morale il vero padre sono io. Inutile per tentare di consolarmi, sono deluso, amareggiato, divento scontroso e irascibile. Mi ritiro nella mia cuccia, con la copertina celeste, l amica immaginaria che non ti tradisce, capisce tutti i tuoi pensieri. Basta con questa giornata, basta con Pelagia e con chi diavolo possa essere il padre di quei micini, meglio dormire, meglio non pensarci. In questa giornata freschissima di marzo sono il primo in famiglia a svegliarsi. O almeno credevo. Sono trascorse due settimane, Pelagia vive ancora qui, ma i suoi figli tardano ad arrivare. Stamani per non riesco a vederla. Di solito al mio risveglio qui vicina, per parlare, ricordare, progettare. Siamo giunti a un accordo, io accetter i suoi figli, lei vedr di dimenticarne il padre.Solo cos riuscir a non diventare troppo egoista. Ho fame e ancora un po di sonno, compio un giro d osservazione, sbadigliando e stiracchiandomi. Neanche Mamma e Padroncina sono in casa e nessuno ha lasciato un messaggio. Un messaggio, s, un messaggio, cosa credete, sono un gatto, ma so leggere, basta seguire Padroncina quando fa lezione alle sue bambole. 148

Ma quanta generosit in questa famiglia! Solo, affamato e preoccupato, vi ringrazio del pensiero! Tanto peggio per voi, approfitter di questa solitudine per curiosare nelle camere, o tra i peluche di Padroncina. Il loro odore mi fa impazzire, specialmente quello di un cane di pezza che la mia bimba nasconde nell armadio. Lui s che ha un odore inconfondibile! Ma quante cose in questa cameretta, quanti giochi. Non commetter un peccato mortale se terminer il mio sonno sul cuscino, che volete che importi a Padroncina, troppo piccola e disordinata. Sto per chiudere gli occhi, ma.. -Sono cinque, cinque!- esclama Padroncina entusiasta -Pelagia ha avuto cinque cuccioli proprio stamani e gli inquilini del piano di sopra l hanno aiutata! Gli accordi sono gi stati fatti, loro terranno quattro mici, mentre uno potremo averlo tutto per noi.Padroncina mi prende in braccio, mi accompagna da Pelagia e dai cinque piccoli, due bianchi e tre tigrati, tutti bellissimi. Pelagia, sorniona, strizza gli occhietti e mi sorride. Nessuno, sembra voler dire, meriterebbe come te i miei cuccioli, ma gli uomini hanno gi deciso per noi, e purtroppo non possiamo farci proprio niente. E trascorso quasi un mese, adesso sono il felice padre di Flora, bianca micina vivacissima e ribelle. Pelagia ha sorpreso tutti, andata via sei giorni fa e si portata con s un gattino: mi manca molto e non so neanche se la rivedr. Ma s, amica mia, riprenditi la tua vita avventurosa tra tetti, cortili e giardini, io per ti aspetto, 149

finch rimango qui io, c posto anche per te. (settembre 1993)

Melisanda Massei Autunnali

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Le ombre raccontano Raccontano che pioveva. Pioveva fitto mentre rantolavano aggrappandosi disperati alla terra fradicia. Morivano d'inverno nel fango e rendevano l'anima a Dio, dando del bastardo al loro padre. Tra l'ira del vecchio e l'ultimo respiro dei due figli, nessuna possibilit` di tornare indietro. Un inizio e via ! Lui, il vecchio padre, quando ha percepito che la vita dei suoi figli s'era ormai dissolta, s accasciato con le mani penzoloni su un tronco d'albero colpito durante la seconda guerra da un fulmine. Quel tronco ancora li. E a vederlo nei pomeriggi nebbiosi d'inverno, solitari pomeriggi senza tempo, quando per strada non si vede neppure un cane ed il freddo alimenta fantasie che aiutano a sopravvivere, verrebbe voglia di chiedergli un resoconto dettagliato sulla tragica zuffa sfociata in tragedia. Da quel giorno per tutti quel fradicio pezzo di legno diventato il tronco di compare Giacomo. E' rimasto sotto la pioggia per ore il vecchio, con i 151

palmi delle mani aperte, perch l'acqua li ripulisse, e la giacca nera di velluto grezzo sporca di sangue. Il sangue dei suoi figli sventuarati che si erano persi ormai da anni... Accadde un inverno di molto, molto tempo fa. La televisione in paese era comparsa da poco, soltanto il droghiere, mastro Ritrovato detto il monaco, perch in giovent aveva indossato per qualche mese il saio, ne possedeva una. A sera, in gruppo, bussavamo con insistenza alla porta della sua casa per riempirci gli occhi di immagini che non capivamo da dove potessero giungere e quel miracolo ci spalancava le bocche e ci tratteneva pi del dovuto in quella stanza angusta e maleodorante. Mastro Ritrovato, dopo un po' ci voleva fuori da casa sua. Ma noi eravamo come legati alle sedie ed al pavimento, alle sue smorfie neanche badavamo. Io avevo nove anni. A scuola facevo di nascosto con la biro dei pertugi nel banco di legno e con il mio amico Cosmino ogni giorno era una sfida: il mio pi grande del tuo ...Che idioti ! Una mattina per fortuna il maestro se n'accorse e le sue mani piccole e tozze si aggrapparono come tenaglie alle nostre orecchie. Poi, mettendo in mostra il dente d'oro nella sua bocca ricoperta da 152

labbra grinzose, ci predisse un sicuro insuccesso nella vita e ci sospese per una settimana. A pensarci adesso, dico che per fortuna se n'accorse in tempo. Altrimenti, prima o poi il banco si sarebbe trasformato in un grande buco con noi dentro a scavare, a scavare, a scavare fino a farci risucchiare dalle profondit della terra. E' andata cosi, in quel lembo di terra sperduto, tanti e tanti anni fa. Da allora, per, mi rimasta l'impressione che la vita di molti di noi fosse esattamente come quel buco nel banco di legno; da impercettibile ch'era, diventata, giorno dopo giorno, un abisso in cui perdevamo ogni radice , speranze comprese. Fino a divenire corpi slegati dalla terra, pronti ad ogni viaggio, aperti ad ogni esperienza, plasmati dal caso. Dimenticati da tutti. Come questa storia che, se non la raccontassi io, resterebbe sepolta tra le macerie del mondo . Annusavo l'aria come un animaletto spelacchiato e correvo per la campagna con scarpe scalcagnate. Per andare al catechismo, passavo accanto al cimitero e poi infilavo un grande cancello sorvegliato da un cane lupo che abbaiava come un dannato. Siccome non avevo grande voglia di sentire le 153

litanie della suora, n di restarmene col sedere appiccicato alla sedia per un'ora di fila, spesso mi perdevo nei boschi. Quando mi sentivo sfinito, mi sdraiavo sotto una quercia e sognano ad occhi aperti il treno che un giorno avrebbe portato anche me nelle ricche citt svizzere, tedesche, statunitensi. Serravo gli occhi e vedevo luci accecanti dappertutto, terre verdi immense, palazzi svettanti che mi facevano sentire ancora pi piccolo di quanto non fossi... A sera, il cimitero infestato di fantasmi ed il cane lupo dagli occhi iniettati di sangue, mi servivano come scusa per temperare le urla di mia madre a cui dovevo confessare di aver evitato momentaneamente l'incontro con Dio. Con voracit` masticavo cioccolato fondente. Mio zio ad ogni ritorno da Choir, mi portava delle grandi tavolette di buon cioccolato . Questa la busta con le cioccolate, per lui!, diceva a mia madre indicandomi con l'indice di una mano grande e ruvida. Io mi sentivo fiero. Quella cioccolata l'aveva comperata per me quand'era in Svizzera, in un certo senso anch'io incominciavo ad essere parte di quel mondo distante ma affascinante. Significava anche che 154

mi aveva pensato e che forse un giorno m'avrebbe chiesto di andare con lui: preparati la valigia, domani si parte... Mio cugino m'avrebbe dato i primi consigli su come acconciare la valigia, mio cugino che da anni ormai seguiva il padre e quando voleva fare lo spaccone parlava in tedesco. Spos una svizzera anni dopo, dopo la morte di mio zio, e non torn mai pi. Smise di scrivere a casa e di telefonare. Al fratello, rimasto con la madre e la sorella, che gli rimproverava la sua indifferenza per il destino della famiglia, un giorno rispose: io penso anche in tedesco orma. Non voleva pi saperne, ecco tutto. Cosi andata... Mangiavo cioccolato io, mentre gli altri intorno a me viaggiavano per il mondo in cerca di occasioni, o semplicemente perch sentivano che quello era il loro destino.Qualche vecchio esalava l'ultimo respiro e le primavere subentravano agli inverni sempre pi duri da sopportare, mangiavo cioccolato io e correvo per le vie di un paese sempre pi solitario. Mangiavo cioccolato svizzero e m'intrufolavo nell'osteria le sere d'inverno a vedere i grandi giocare a carte. Aspettavo che scoppiasse, dopo che molti vino era stato trangugiato, come ogni sera, una lite. E c'era sempre qualcuno che minacciava di scannare qualcun altro e qualche 155

volta mi capitato pure di vedere scintillare le lame di coltelli da contadini. Un giorno, il cielo era nuvolo e bench fossimo a primavera di rondini se ne vedevano poche, si sparse la voce della morte di mio zio. Io era a scuola quella mattina e tutto mi sembr lieve, senza corteccia, incorporeo...Nel cantiere dove sgobbava, a Choir, nella Svizzera tedesca, una trave gli era crollata addosso e l'aveva ucciso sul colpo. Cosi andata. Fu allora che capi quant' ingiusta la morte. Drastica, priva di ogni senso di giustizia e sempre in mezzo a noi. Non ci lascia un istante ed sempre pronta a ghermire le sue prede prescelte senza criterio. Se ne infischia di ogni logica e fa il suo corso, a chi tocca tocca, buono, cattivo, negro, giapponese, scienziato, bambino, in gamba, stronzo... Da quel giorno mio zio divenne per me un'ombra che mi faceva compagnia. Lo vedevo in tutti i vicoli del paese e, sorridendo, mi diceva: cresci, cresci...Mi fermavo a fissarlo senza dire una sola parola, con la mano destra si aggrappava al tubo della fontana vecchia di piazza del popolo e beveva. Beveva ed esclamava: che bell'acqua ! Che bell'acqua c' qui in piazza del popolo, altro che in Svizzera !

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Lo seguivo con lo sguardo allucinato svoltare l'angolo, dopo che mi aveva detto : quando vuoi, sai che c' un posto anche per te in Svizzera...Ma io non m'entusiasmavo. Non capivo cosa mi accadeva: l'avevo desiderata fino a non dormire la notte la Svizzera ed ora, tutto ad un tratto, mi era indifferente. Non avevo pi voglia neanche di partire.Cresci cresci, mi raccomandava mio zio ovunque lo vedessi. E una volta mi disse, con la sigaretta tra le labbra: io non parto pi, per questo mi vedi sempre. E io crescevo, ma non mangiavo pi cioccolato e mi ero come liberato dalla smania di andar via dal mio piccolo mondo di fantasmi. Mio zio ogni tanto mi faceva conoscere alcuni suoi amici, morti molti anni prima di lui e tutti mi sorridevano, mi davano coraggio, mi auguravano di star bene e poi se ne andavano, mio zio per ultimo, col suo berretto di traverso sulla testa stempiata, le sue spalle larghe ed il suo volto mite che, in dialetto stretto, mi ripeteva: cresci, cresci. Oggi che sono grande mi chiedo cosa intendesse dirmi con quel cresci, cresci ! Perch m'augurava con tanta insistenza di crescere, che motivo aveva di vedermi adulto, emigrato, infelice ? Al funerale preferii i boschi bagnati, le lacrime mi sgorgavano come un fiume in piena, ero disperato. Provavo un dolore acuto. Odiai furiosamente la Svizzera, gli svizzeri, la cioccolata, 157

i treni...Ce l'avevo con tutti quelli che smaniavano di salire su un treno, una nave, per andar via. Imbecilli, che non sapevano di perdersi per il mondo e che da quell'istante recidevano ogni radice con la loro storia. Io solo adesso che ho i capelli brizzolati capisco perch a quei tempi corressi sempre come un animale braccato. Vedevo sparire uno dopo l'altro i miei amici ed era come se brandelli della mia anima si librassero nel vuoto cosmico. I miei amici riempivano le valigie con le loro cianfrusaglie e addio. Andavano per paesi lontani ed io non capivo ancora lo strazio che ci stava annichilendo . L'emigrazione, solo dopo appresi il nome del mostro onnivoro che ci prendeva tutto e saccheggiava le nostre anime ed i nostri cervelli. Mi mangiava i compagni di gioco.Di loro restavano per un pezzo tracce dappertutto, dietro il calvario, nelle campagne sempre pi sole, fra i banchi della scuola , nell'ampia sala della scuola serale dove andavamo a guardare i grandi recitare poesie e farsi correggere i compiti dal maestro. Partivano ed io mi ostinavo a vederli in giro per il paese. Scendevo al fiume, e con me non c'era pi nessuno. Poi incominciavo a vederli, uno dopo l'altro mi indicavo trote grasse e fischiettavano, ma non sorridevano . Facevo finta di niente 158

all'inizio, li guardavo di sottecchi e tacevo. E tu che ci fai qui ?, chiedevo. Niente, una bella giornata, vedo cosa fai e poi torno a casa... Con quei fantasmi giocavo. Parlavo con loro come se il tempo si fosse fermato, l'acqua del fiume cristallizzata, la vita mai spezzata. Mi facevano compagnia, e quando sparivano mi sentivo solo. L'emigrazione svuotava le case e le rughe, le piazze. Tagliava legami antichi e ricolmava di tristezza gli occhi dei vecchi che rimanevano senza figli. Era come la peste, irrimediabile. Quando andai una domenica mattina a casa di Gerardo, un mio compagno di scuola, suo nonno, ritto sulla soglia di casa, fumava torvo e non fiatava...Se n' andato anche Gerardo stavolta, partito allalba col padre, biascic con gli occhi commossi. La decisione era stata presa all'improvviso, la sera prima, tra un bicchiere di vino e un pezzo di formaggio pecorino. Erano andati via all'alba per Sidney. Addio amico!, pensai col cuore gonfio. Gerardo aveva fatto la sua valigia in un baleno e sapendo che sarei andato a trovarlo aveva pregato suo nonno di darmi il criceto nella stalla, me lo lasciava in eredit, mi disse il vecchio. Disse proprio cosi, in eredit. Prendilo!, mintim, altrimenti muore. Di Gerardo mi restava il suo criceto e la cupa consapevolezza che non l'avrei mai pi rivisto. 159

Cosi un dubbio m'assali: che senso aveva avuto incontrarlo, conoscerlo, abbracciarlo tutte le volte che correvamo felici a perdifiato per le strade del paese ? Via, non c'erano dubbi sull'esistenza di un mostro senza piet. Un mostro che si prendeva gioco di noi. Ma il mostro giocava di nascosto, come un'ombra furtiva e terribile, le sue carte letali, s'ingozzava con la nostra malinconia e ogni tanto, per non vederci stramazzare, ci concedeva delle distrazioni. Come la storia di compare Giacomo. Si sparse in un baleno la voce di quel duplice omicidio, il vecchio che aveva fatto a pezzi i figli. Io m'intrufolavo nei crocchi dei grandi ed a bocca aperta ascoltavo, gli occhi si posavano su ogni espressione di sdegno e di dolore. Com'era stato possibile, mio Dio ! Ma era successo, era successo per davvero, ripetevo a chi esitava a credere alle mie parole. Era ancora il giorno dopo l'efferato misfatto. Compare Giacomo aveva accoppato i due suoi figli la sera prima e si era rinchiuso in casa. Quando i carabinieri giunsero a prenderlo, io ero li, in piazza, coi capelli corti ed i pantaloni sdrucidi alle ginocchia, insieme a tanta altra gente sbigottita. Dietro un acero, infreddolito, guardavo la scena 160

insieme con Vittorio, un pastore sempre lesto a fare a botte, che aveva dei muscoli duri come il ferro e che dopo una decina di giorni se n' and in Canada. Ritorn, qualche anno dopo, steso in un carro funebre, morto in un incidente automobilistico. Al suo funerale io ero tra i ragazzi che portavano le corone dalla chiesa al cimitero. Mi guardavo intorno e cera un gran silenzio e tanti occhi che cercavano qualcosa a cui aggrapparsi, ma negli occhi di nessuno riuscivo a trovare una ragione di ci che ci stava accadendo. Ricordo che, dietro l'acero, quando vidi compare Giacomo sull'uscio della sua casa, piovigginava. Le donne in paese uscivano dalla messa della sera e gli uomini tornavano dalla campagna. Nel volto ossuto, gli occhi del vecchio assassino erano diventati fessure buie. Pensai che da quel momento in avanti i suoi figli uccisi non avrebbero pi bussato, come usavano fare, con schiamazzi e rabbia, alla porta verdognola del suo podere brullo. Di quelle liti che da mesi rompevano il silenzio della campagna, non si sarebbe pi chiacchierato al bar. Negli occhi sgranati di compare Giacomo sembrava essere passata uneternit`. Io non riuscivo ad immaginarmelo mentre con l'accetta li faceva a pezzi. Ma andata cosi. 161

Lo avevo sempre visto all'osteria, bere con lentezza esasperante, il suo solito mezzo litro di vino, sempre solo. Da quando i suoi figli, contadini come lui, che a sera s'inzuppavano di vino all'osteria, lo minacciavano per avere leredita` della loro madre morta d'infarto, pochi gli facevano compagnia. Qualche volta lo avevo visto ridere, ma non era un vero sorriso. E qualche volta mi aveva pagato una gassosa. Accarezzandomi con le mani nere la testa, mi chiedeva di andare a prendergli un pacchetto di esportazioni senza filtro. Annuivo, e filavo come una freccia per fargli un piacere. Poi, come ogni sera, se ne tornava a casa, a passo lento. Si assestava i pantaloni di velluto nero, la giacca appoggiata sulle spalle e la sigaretta tra le labbra... Se in quelle serate dinverno lavesse incontrato la morte, sono certo che le avrebbe detto senza neanche un brivido: fai pureNon aveva paura di nessuno. Cosi mi appariva, resistente come una quercia. Di lui sapevo molto. Che era stato un partigiano in giovent, che s'era dato molto da fare col coltello, che nella Svizzera tedesca, insieme a mio zio, avevano accoltellato tre tedeschi ubriachi e che 162

era stato anche in prigione, per tanto tempo. Lui non diceva mai nulla di queste storie che lo rendevano enigmatico, ma dai suoi silenzi intuivo che in giro per il mondo aveva tanto sofferto, fatto del male, lavorato in miniera e conosciuto molta gente. Dietro l'acero, volevo diventare invisibile perch lui, con le mani nere incrociate dalle manette, non mi vedesse. Eppure mi scorse, fu un istante. I carabinieri andavano avanti e indietro nel podere, alla ricerca di tutto ci che potesse tornare utile al processo e lui stette per alcuni minuti impalato accanto all'uscio sorvegliato da un giovane appuntato. Ma come hai potuto farli a pezzi, compare Giacomo, o hai gi scordato ogni cosa? Questa domanda mi attravers la mente, quando lo vidi afflitto, solo, sconsolato. Scosse la testa, mi parve, come per dire: non stata colpa mia, se la sono voluta, qualcuno ha dato al mio destino questo verso, non si poteva fare diversamente. Ebbi paura di quell'uomo crudele e cercai dappertutto l'ombra di mio zio, che mi proteggesse da quella freddezza disumana. Ma da un p di tempo lo vedevo raramente, mio zio, e quella volta l'ombra chiss in quale antro della mia immaginazione s'era cacciata.

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E' proprio vero: le ombre vanno e vengono a proprio piacimento, quando le desideri non appaiono, bisogna non urtare il loro amor proprio, se non si vuole che scompaiano bisogna accoglierle con semplicit. Se si vuole averle accanto... Ma a ben pensarci, ora che molta acqua passata sotto i ponti, capisco che compare Giacomo non parlava certo con me. Ascoltava i suoi pensieri che lo percuotevano dentro la testa senza sosta e non si dava pace. Era con se stesso che dialogava. Era se stesso che aveva smarrito e che invano provava a ritrovare. Ma non gli dev'essere riuscito. Carne umana sanguinolenta, l'aria trafitta da un dolore acuto: nessuno di loro, figli venuti su male e abituati a trattare con le vacche, a esagerare col vino, l'avrebbe mai creduto che il loro padre, alla fine, li avrebbe zittiti per sempre, sopraffatti nel fango. Fumavano, appoggiati al muro, con sprezzo del pericolo. Incauti agnelli spocchiosi che, all'improvviso, per una ragione inesplicabile che non sapremo mai, sfidano il lupo e non gli lasciano un varco di fuga. Gli hanno dato del vigliacco, ma non era la prima volta, altre volte lui aveva abbozzato e col passo sornione, di chi s'era imbattuto in uomini pi coriacei, s'era allontanato. Ma quella volta il 164

diavolo s'era divertito. Prima lo avevano insultato, poi schernito, strattonato.Cosi aveva raccontato chi aveva visto, anche se di costui non s' mai saputo il nome. Ubriachi di un vino cattivo che non ha avuto piet`, neanche quando il suo braccio, vecchio ma ancora possente, s' alzato, scaricando violenza cieca e morte. Anni di sacrifici in terre ostili, di rospi inghiottiti per tirare la carretta, hanno trovato un punto d'uscita imprevisto, istintivo, violento, stroncando due vite irragionevoli, come si uccide un animale idrofobo. Come pu un padre uccidere i figli? Che buio profondo ha risucchiato la sua mente? E un triste destino antico, forse, un destino atroce che ha fatto il suo corso infischiandosene di ogni civilt. Sempre i soliti informati, i giorni seguenti all'arresto dissero che compare Giacomo dietro le sbarre non parlava pi.Una sola frase aveva farfugliato, prima di murarsi vivo dentro il suo vecchio corpo, pi o meno: pagher il conto. Alle domande non rispondeva e alle maniere spicce dei carabinieri che, pensando volesse fare il duro, lo avevano malmenato, aveva opposto un mutismo completo. Non c'era pi, compare Giacomo.

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E in paese non si parlava d'altro. Lui conosceva la montagna perch non s'era dato alla macchia? Tonino, il postino, aveva detto che quella notte, la notte prima dell'arresto, si era sentito compare Giacomo urlare come un animale ferito a morte. E Teresina, la serva del notaio Martelli, che faceva la fattucchiera, aveva tirato in campo la moglie dell'assassino morta dinfarto qualche anno prima. Quella notte, sussurrava la serva a tutti gli angoli del paese, la morte l'ha chiamato e lui l'ha seguita per la campagna come un matto. Sei duro di cuore come una bestia, gli ha detto la morta, e adesso se non vuoi bruciare all'inferno per sempre, prima di crepare paga il conto. Fino all'ultimo strazio. Fino all'ultima pugnalata. Fino all'ultimo gemito che ti resta nei pori della pelle. Io sentivo brividi di freddo lungo la schiena a sentire la serva imitare la voce d'oltretomba e correvo di qua e di l la sera, per scacciare la paura m'infilavo, all'insaputa dei miei amici, in chiesa e recitavo dieci avemaria. Don Antonio mi vedeva e dandomi uno scappellotto mi rimproverava, perch a messa non mi facevo vedere. Proprio don Antonio, parlando un pomeriggio con il maestro Pascale, mio padrino di battesimo, che 166

ascoltava tenendomi con la mano su una spalla, disse che il prete del carcere gli aveva confidato la causa dell'orrendo assassinio. Non l'ha fatto per tenersi i soldi della moglie e non darli ai figli, il patrimonio, alla fine, diventa poco importante. Nessuno se ne ricorda pi, diceva suadente il prete del paese. Non pur essere stata questa la ragione e lui non era uomo venale. Cos'era e quanti soldi volevano? Come volevano dividerli? No, l'avarizia non c'entra: la scintilla non stata l'ebete arroganza, o la cupidigia di danaro. L'offesa ha invaso e devastato ogni cosa. L'ha accecato sapere che ormai quei due non lo temevano e che, alla stregua di un rammollito, lo schernivano. Da qualche tempo pare che lo malmenassero senza che lui reagisse. Per compare Giacomo, pare che cos abbia detto in un attimo di lucidit ad un maresciallo, i suoi figli era giusto che non campassero pi. Ma come dimenticare tutto quel sangue... Io per diverse notti avevo preso a dormire con mia nonna. Quell'accetta che cadeva a casaccio sui corpi avvinazzati di due uomini e li frantumava mi riempiva le giornate e neanche al buio riuscivo a scacciarla. Persino la campagna muta ha avuto gemiti di disperazione e il prete in chiesa, commentando l'accaduto, pur ricordando che il vecchio omicida era un buon uomo, aveva 167

tuonato: non si possono massacrare i propri figli! Dopo qualche mese, di quel delitto non si parlava pi. L'inverno rigido sulla montagna chiudeva le case e la piazza restava vuota. Le famiglie, o quel che restava di esse dopo le partenze di mariti, figli e figlie, sembrava che andassero in letargo. Un pomeriggio mia nonna offri un bicchiere di vino ad un forestiero che veniva dalla citt e che era stato in carcere. Il discorso cadde su compare Giacomo, perch io gli chiesi se lo avesse conosciuto. Si, mi rispose, le mani gli tremano come foglie al vento, gli occhi sono due buchi senza vita. Ha la vecchiaia marcita, disse il nostro ospite. Una malattia lo sta portando alla morte e a giorni lo lasceranno tornare a casa. Vecchio com' e mezzo pazzo, se ne sta tutto il giorno a parlare a vanvera con se stesso, a chi volete che dia fastidio? Cos fu. Un giorno di marzo fu riaccompagnato dai carabinieri nel suo podere inselvatichito. Era un'ombra senza volont, si muoveva come un manichino, andava senza meta, avanti e indietro, nella campagna.Dopo un p di tempo i bambini presero a indicarlo come il diavolo da sfuggire. Me lo ricordavo sicuro, corpulento, impavido e lo rividi smarrito dentro vestiti ampi, un volto senza occhi e senza bocca. Mangiava un poco di pane e formaggio la sera. 168

Solo suor Concetta, di tanto in tanto, andava a fargli visita, ed a portargli il conforto di Dio, sempre che lui, cos diceva lei, sia in grado di riceverlo. Ogni giorno, per, il vecchio si recava sul luogo dove dalla terra sbucavano le due croci dei suoi figli e prima d'andarsene emetteva dalla bocca strani suoni, forse era il suo modo di piangere. Io non ho mai osato avvicinarlo. Solo una volta, casualmente, me lo ritrovai davanti in un vicolo, abbassai lo sguardo ed affrettai il passo, ma lui non mi not neppure. Viaggiava ormai per conto suo, in una dimensione a me sconosciuta. Che lui deambulasse libero, dopo quello che aveva fatto ai suoi figli, non turbava nessuno. Colpiva il suo silenzio invece, e quei suoni gutturali che emetteva sulle croci dei figli ammazzati. Colpiva la sua vita senza pi senso. Eppure io stavo con le ombre. Giocavo con le ombre e le irridevo, a volte erano loro a prendersi gioco di me indicandomi nei posti pi diversi oggetti che non trovavo mai. Ma col passare del tempo anche le ombre svanivano. Con quelle poche che ormai mi restavano, ci parlavo di rado.

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La verit che il tempo di quel vecchio vissuto male era terminato. Ci che restava di lui non aveva pi importanza per nessuno. La sua compagnia non valeva pi niente. Il suo deambulare senza meta quasi m'infastidiva e il suo ricordo mi era diventato pesante, persino acre. Acre, proprio come il sapore della cioccolata che ti dona la persona pi cara prima di andare a morire... Romano Pitaro

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Stefano Ricca nasce a Brescia il 29 aprile 1980. Inizia a scrivere poesie allet di quindici anni e successivamente si immerger nella stesura di racconti (rigorosamente) brevi. La durata di unemozione, di un sentimento o di un sogno marginale rispetto ai minuti, alle ore, ai giorni che inevitabilmente passiamo nella vita. Ogni racconto rispecchia questo tempo infinitamente piccolo in cui noi stessi entriamo a contatto con la materialit dellesistenza. Scrive anche articoli, poesie e (ogni tanto) racconti leggermente pi lunghi del solito. QUI, DAVANTI A TE Non hai nulla da invidiarmi, perch non hai nulla da offrirmi. Le parole uscivano sole, insensate, crude. Avrei dovuto guardarmi allo specchio e cercare di capire molte cose. Le solite domande affioravano la mia mente: chi sono? Cosa faccio? Come in un sogno mi ero fatto trascinare dagli eventi; come in un film. Ero giunto ad unet prossima alla maturazione, ma con un curriculum di basso livello o a cui davo troppa poca importanza: qualche sentimento, poche emozioni, troppe sconfitte e una lunga lista di incertezze. Non avevo il coraggio che dovevo avere, i miei genitori lo dicevano spesso, ricordo le loro parole di comando ma al contempo supplichevoli: 171

trova fiducia in te stesso. In me stesso trovavo solo tanta amarezza. Le situazioni che cadevano sulla mia vita mi sembravano tanto banali, ma le ricordavo sempre con profondit, come leggere un breve romanzo, un racconto o una poesia che apparentemente non dice nulla, ma evoca unillusione e un accennato sorriso. Le donne, la scuola, la vita, discorsi grandi su superfici vellutate, tante parole che non portano a nulla, se non al ritrovamento di una falsa identit. Dovevo sognare di pi, ma lo sperare aveva sbarrato la strada al mio mondo onirico, lunica verit su questa terra. Vedere me stesso nel sogno era vivere e capire sempre di pi. Ora mi trovo qui, davanti a te mio specchio, il protagonista che vedo e che sento futile come una comparsa che non viene nemmeno ricompensata con una piccola somma di denaro. Vorrei essere l al tuo posto e rimirare la realt in ogni sfaccettatura e illusione, nella vaga sensazione di potermi deridere. LA LUCE La luce spesso ci rende ciechi, non ci mostra le sfaccettature del buio, il suo mistero, la sua verit. Potrei ricordare o immaginare posti bellissimi, chiarori entusiasmanti oppure oscurit inquietanti e spaventose, sarei in grado di vedere la chiarezza come il peggiore dei mali e lignoranza la migliore delle armi. Potevo ricordare quel corridoio ogni qualvolta avessi voluto. Le sue 172

pareti, il pavimento grigiastro, le ragnatele del soffitto, tutto era ormai contenuto ermeticamente nel mio cuore e nella mia mente. Ricordo ancora quella porta. Come avrei potuto immaginare che un confine tanto frivolo potesse dividermi da un piacere tanto oscuro e sublime? Effettivamente non ne sapevo nulla, il peccato era il gesto pi lontano e possibile della mia vita. Loscurit, la menzogna, il putrido sentimento animale sono le ambizioni di chi vive lontano dalla luce e dalla verit. Lazione che accompagna lapertura di una porta pu essere meccanica ed indifferente solamente se gi si conosce la destinazione del nostro corpo. Non conoscere la vita ci porta a varcare ogni semplice confine con timidezza e ignoranza constatando limprevedibilit delle nostre azioni. Il sentito dire diventa fonte dimmaginazione e di arte personale. Il nostro udito diventa il tramite delleccitazione. Ho accumulato nel mio cuore racconti di donne muoversi con la stessa leggerezza di una rondine, di atti che rendono il tuo corpo schiavizzato simile ad una divinit. Danzava con la stessa indifferenza di un passante e aveva sul volto gli stessi segni di una notte damore. Era la donna che mi faceva visita ogni notte, la sentivo vicina nella sua impalpabilit e di giorno cercavo di scorgere sul volto delle mie compagne di scuola qualche simile segno. Non riuscivo a trovarne perch il ricordo esatto svaniva nel rapportarmi alla mia vita di tutti giorni. Quando di giorno camminavo per la citt in occasione della mia 173

quotidianit, riuscivo a scorgere in quella sua architettura qualcosa di divino, come se i palazzi non fossero cresciuti dal basso, dalla terra, ma da una rottura del cielo che avesse fatto precipitare alcuni frammenti di civilt sconosciute. I miei sogni, invece, erano tutto quello che di reale e di terreno aveva il mondo, essi sono il regno nascosto della nostra materialit. Ogni notte ripetevo quel sogno. Rivedevo quel corridoio, quella porta, la stessa donna. Provavo le medesime sensazioni e avrei dato tutto per poter vedere le espressioni del viso che avevo in quel momento. Poi, al mio risveglio ero sempre pi incredulo e bagnato. Ero solo un bambino e lei la pura essenza di ogni situazione che avrei vissuto nella mia vita futura. BEPPE E ANTONIO Finalmente era giunta la sera. Dalla finestra della nostra cucina, il luogo in cui era consuntine mangiare tutti assieme, potevamo beneficiare degli ultimi raggi di sole che il giorno ci concedeva. Mio padre stava di fronte a me, serio come suo solito, come se la sua quotidianit non gli avesse mai riservato nulla di tanto degno da essere reso pubblico. Mia madre sedeva accanto a me, per lei il comportamento del marito avrebbe sempre voluto comunicare una volont di silenzio generale. Ero giunto allet di 18 anni quindi, senza aver mai sentito una parola da mio 174

padre che non fosse stata di rimprovero. Quella sera di rimproveri ne sentii anche troppi. Era in corso la seconda guerra mondiale e i giovani della mia et partivano per il fronte da cui molti non ne facevano pi ritorno. Io sarei dovuto partire da li a poco. Avevo notizie di un mio cugino che si era rifugiato sui monti a combattere quella guerra che avrebbe posto fine ai nostri morti, come diceva lui. Io non ho mai capito cosa intendesse dire con quella frase, nessuno della mia famiglia sapeva perch si combatteva e perch si moriva, nemmeno io lo sapevo. Capivo per che potevo combattere o morire comunque, sia al fronte sia sui monti. Capivo che, in ogni caso, non avevo via di fuga e che il destino mi avrebbe inevitabilmente indirizzato alla morte per qualche ragione di cui non comprendevo il senso. Quella sera dissi a mio padre che volevo raggiungere mio cugino e mai nessun rimprovero fu tanto crudele; solitamente sentivo nascere dentro di me la paura quando per qualche ragione alzava la voce, quella volta sentii in me un forte sentimento di rabbia. Non disse nulla. Il suo silenzio pronunciava le parole dellindifferenza, del suo distacco dalla mia vita, dalla vita di suo figlio. Voleva dirmi che potevo morire nel modo che avessi ritenuto opportuno, per lui era indifferente. Mia madre non ebbe il tempo di avvicinare la sua mano per accarezzarmi la fronte che mi ero gi alzato da tavola. Presi quel poco che mi serviva e me ne andai. Cera buio. Mentre salivo sentivo che alle 175

mie spalle avrei lasciato qualcosa. Non capivo bene cosa stavo lasciando e cosa andavo a incontrare. Intuivo da questa sensazione che la mia esistenza stava completamente cambiando, sarei tornato alla mia vita di prima solo come un eroe, non mi era possibile tornare come perdente e ancora vivo. Mentre la mia mente ragionava su tutto ci che poteva accadere fui aggredito alla spalle da un ragazzo che aveva allincirca la mia et. Chi sei e dove stai andando bastardo? mi disse. Non farmi del male, sono Beppe, il cugino di Antonio. Sono qui per fare la guerra ai fascisti, sono con voi. Con il cuore in gola dissi quelle parole che mia zia pronunciava quando mi diceva cosa stesse facendo suo figlio. Allora mi prese per un braccio, sempre con lo stesso atteggiamento di un nemico, e cominci a trascinarmi per un sentiero. Giungemmo in una radura dove si trovava la squadra cui faceva capo mio cugino Antonio. Appena mi vide mi corse incontro, mi abbracci e mi chiese il perch di questa mia decisione, risposi che sarei potuto morire comunque ed era meglio avere accanto qualcuno di famiglia. Rise e mi abbracci nuovamente. Mi fece sedere e cominci a spiegarmi quali erano le loro intenzioni, parlava con le stesse parole di un maestro e si muoveva con la stessa grazia di un eroe greco, ne ero affascinato. Quella notte poi parlammo molto, ci sentivamo vicini, 176

forse uniti da una situazione di precariet che mi riportava alla mente i momenti in cui da bambini, dopo aver commesso una qualche marachella, non volevamo tornare a casa per paura di pigliarci uno schiaffo dai nostri padri. Mi raccont di quando disse a sua madre della sua decisione di partire per la montagna, di quando mor suo padre e io lo ascoltavo con la stessa attenzione con cui qualche anno prima lo sentivo parlare delle ragazze e dei rapporti che aveva. Il cielo conteneva milioni di stelle e io, inspiegabilmente mi sentivo sereno. Antonio mi dava una forte sensazione di sicurezza, avrei voluto abbracciarlo e dormire in quella posizione tutta la notte, ma avevo vergogna e paura di imbarazzarlo. Ricordo perfettamente il momento in cui fu lui ad avvicinarsi a me e mi prese la mano dicendomi di non avere paura, che mi avrebbe protetto e fatto tornare a casa al pi presto. Poi mi baci su una guancia e fece passare la sua mano sul mio capo con una carezza. IL CINGHIALE La pioggia, che in quel novembre avrebbe punzecchiato le strade, si era fatta fine e contemporaneamente pi fitta. Osservavo dal mio appartamento le persone correre per raggiungere la metropolitana, non sapevo chi fossero e nemmeno quale parte avessero scelto per 177

comparire in questo mondo. Quando un uomo pu dichiararsi felice? In che modo deve dichiararlo? Come pu esserlo? Scrivevo per un giornale locale articoli di cronaca, avevo archiviato centinaia di parole riguardanti uomini, donne, fatti, avvenimenti senza avere la minima idea di cosa avessi scritto e del perch lavessi fatto. Per campare? Per soddisfazione personale? Ero soddisfatto di tutto ci? Squill il telefono. Pronto? Sono io. Era il mio direttore. Dovresti farmi un articolo sul suicidio di questa mattina, non che sia particolarmente interessante, ma pare che abbia lasciato alcune dichiarazioni importanti. Vedi di fare qualcosa. Mi preparai per uscire. Stavo per mettermi il cappotto quando sentii dei rumori strani giungere dal bagno, pareva un grugnito. Limmagine che si form nella mia mente fu quella di un cinghiale, ma sembrava ridicolo. Ero fermo, immobile, cosa poteva essere? Sentivo dei passi disordinati. Avrei voluto andarmene, ma quelle sensazioni le captavo come se fossero un richiamo alla responsabilit: in casa mia cera un cinghiale, come potevo lasciarlo girovagare per le stanze? I rumori si facevano sempre pi forti e fastidiosi, temevo ad avvicinarmi alla porta eppure era mio compito farlo. Dovevo anche scrivere quel maledetto articolo, anche quello faceva parte dei miei compiti. Cosa dovevo fare? 178

Occuparmi di me stesso e della mia abitazione o lavorare nella societ degli uomini? Decisi di uccidere quella dannata bestia! Andai in cucina presi il coltello pi lungo che avevo e cominciai a meditare su dove avrei dovuto colpirlo, nel frattempo accesi una sigaretta, la modalit dellesecuzione doveva essere precisa e ben consapevole. Non avevo mai fatto cose simili e non avrei mai pensato di doverle fare. Mi sentivo male, la mia vita si era rapportata a questo avvenimento in modo drastico ed incosciente, una responsabilit troppo grande per me. Non riuscivo a pensare a nientaltro, la mia vita era una sfida tra me e quel cinghiale. Con passo felpato mi avvicinai alla porta socchiusa del bagno da cui quei rumori non cessavano di farsi sentire, tra le mani avevo larma che avrebbe dovuto mettere fine a questa storia. Imprevedibilmente qualcuno suon alla porta. Chi poteva disturbare questo momento tanto importante? Aprii. Unombra mi pass tra le gambe e invase la mia dimora. Era un altro cinghiale e sulla strada ce nerano tanti altri, grugnivano, sembrava volessero dirmi qualcosa attraverso i loro rutti. Ero finito. Entrai in bagno, le due bestie si stavano accoppiando, indifferentemente mi sistemai nella vasca e ancora vestito accesi lacqua calda. Il vapore cominciava a salire appannando gli specchi e il vetro della finestra gi bagnato dalla pioggia. 179

TANTE PAROLE

Vorrei tornare da dove sono venuto. Riprendere le mie cose, i miei gesti, il mio sano modo di vedere e di agire. Scrivere di avvenimenti il cui unico fine era immedesimato nel mio sfogo, nella mia rabbia. Uno scrittore sente il bisogno di creare vite, fatti, sconvolgimenti. Sono giorni e notti che queste pagine non vengono riempite. Vivo, in completa solitudine, nello stesso attico che un tempo dava ospitalit a grandi romanzi di successo, ora al buio totale. Potrei rivolgermi te, caro lettore, e chiederti cosa ti aspetti che io scriva, dopotutto non funziona in questo modo il mercato? In base a ci che domandi, io offro. Ma come posso offrire questo tipo di merce senza soffrire? Sono giorni che non vedo altro che il mio portacenere colmo di cenere, mangio di rado e fumo molto, il mio editore mi ha dato ancora quindici giorni di tempo per portargli un romanzo di cui non ho ancora completato il primo capitolo. Le pagine bianche si riversano sul corpo di uno scrittore come un bambino sente lincombere della notte per la paura del buio. Sono quella visione che un creatore di vite non vorrebbe mai avere, ma sono necessarie alla continuit dellarte stessa. Un pittore che volesse provocare attraverso una tela vuota sarebbe giudicato 180

contro, potrebbe dipingere ma non lo fa, mostra la propria ignoranza, svaluta completamente la propria opera, praticamente compie un atto artistico, uno scrittore questa presunzione non potrebbe mai averla. Ho fatto la punta alla matita per ben tre volte, ogni volta la rompevo comprimendola fortemente sul foglio, questi sono gli unici segni che lascio su questo bianco. Degli assurdi concetti mi riempiono la mente, pensieri che distolgono il parto di un personaggio e di una relativa situazione. Vorrei trovare quel giusto insieme di cose che permetterebbero alla mia coscienza di scrittore di lavorare. Mi sento impotente e insicuro, timoroso dellarrivo del buio eterno. Ieri ho deciso di pitturare le pareti della stanza dove lavoro di un azzurrino molto chiaro, il bianco non mi faceva pensare. Ricordo di una volta che mi recai in un carcere per uniniziativa molto stupida, che ora non sto a riportare, e ricordo che sul muro del refettorio vidi scritto in caratteri molto piccoli e infantili la frase ricorda che il bianco non ti fa pensare. Pareva quasi un motto, uno slogan che si urla nelle manifestazioni, un attacco alla societ carceraria molto sottile e intelligente. A chi era indirizzato quel messaggio che parlava direttamente al lettore? Pensai fosse rivolto a me perch mi sentivo impotente; a quelle parole risposi mentalmente: vero ci che dici, e poi rassegnato e incapace ma non posso farci niente. Ora mi sento nella medesima situazione, vedo solo bianco attorno a me, come lo vedi tu sotto queste inutili parole. Non pensiamo perch 181

abbiamo troppo bianco attorno: il bianco delle case, delle scuole, io lo vidi e lo compresi in un carcere. Quale colore di gradimento alla nostra mente, alla nostra creativit? Da lontano sentii giungere un tuono e conseguentemente la pioggia che ticchettava sui vetri delle finestre; un temporale era in arrivo. Stefano Ricca

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Titolo: Oltre Oltre il buio Al cospetto del dolore Sudore dellesistere gocce si spengono Immagina il sogno di un miracolo Estasi per tavolozze disegni nuove battaglie Un sorriso dispiega ampi arcobaleni Oltre il buio Ritorni a sperare Pastelli la vita di nuovi colori

Titolo: Coraggio Passi fragili arrancano gradini di antica memoria Lotta impari Voli in cieli plumbei Luce della mente accende nuovi bagliori Tele vive riflettono immagini sofferte Scorre il dolore lontano su corpi martoriati Speranza di un dolce risveglio ti aspetta Indomita Il coraggio di vivere sempre, ancora, Eco di chi ha solo regalato linnocenza di pensieri, Poesia di unarte ora guarita. Titolo: Vitamusica Triadi damore in dissolvenza binaria Intervalli di ritmo per suggestive danze esotiche Accordi nel calderone la melodia accade Pause sospiri di un tempo che si volta Note scandiscono parole tra noi Scala della vita in crescendo sale Ad libitum per il gran finale

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Titolo: Naif Un retrobottega ammuffito Un omino chino sulla piccola sedia Occhi lucidi guardano la nuova creatura L'amore di una mano paziente ed esperta Legni pregiati dalle molteplici risonanze L'esperto burattinaio intreccia corde di nylon Suoni lontani evocano corti rinascimentali Polvere,compagna di sudore e fatica, improvvisamente dilegua Come Pinocchio lo strumento prende la vita Inizia a suonare Tela naif ricca di piccole cose Fucina di oggetti da assemblare Contrasto di colori confusi e vivaci Osservo il ritratto del liutaio Penso alla mano dell'anonimo che l'ha dipinto Anch'egli chino su una piccola sedia Solo con i propri pensieri La speranza un giorno, cos come il poeta, di Sentire la propria melodia Eseguita da un musicista pi esperto

Titolo: Perch mai?

Perch mai dovrei crescere? Un bambino vuole vivere l'eterno gioco Il righello disegna angoli ottusi Foglie morte vestono l'innocenza di una pelle liscia Perch mai dovrei essere?

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Chiss chi di anonime sembianze Un vecchio grammofono riga il solito solco Crepe di un soffitto che ci piove addosso Perch mai dovrei amare? Immagine speculare di me storpio Candida illusione di un bicchiere pieno a met Sete interiore di vuoti da colmare Perch mai dovrei vivere? Gli altri hanno di nuovo deciso Vecchia fiaba, un cucciolo senza Biancaneve Sette vite sprecate per un gatto randagio Perch mai tutto cos? Succede il tempo che abbraccia la morte L'infinito dell'orizzonte terra di nessuno L'occhio non arriva ad afferrarne il confine Titolo: Tra Tra cose non dette Tra frasi fatte Tra il tempo che passa Tra una chitarra scordata Un musicista stanco Un poeta fasullo Un artista ed un pagliaccio Tra un bambino che gioca Tra amori fugaci Tra casa e ufficio Tra brevi stagioni Un acquazzone e laltro Ricordi e presente Una lavatrice e un ferro da stiro Tra le solite cose Tra oggetti smarriti

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Tra momenti impolverati Una strada e una piazza Una luce e laltra Treni in partenza Tra occasioni perdute Finzioni e realt Tra condoni edilizi Potenti e deboli Ricchi e spiantati Un tira e molla Tra una cosa e laltra Miserie e ignominia Tra vizi e virt Tra abusi e sopprusi Tra luoghi comuni Un piatto di minestra Un bicchiere di vino Un amico che sparisce Una donna oramai lontana Tra un padre e una madre Tra noi Trallal...la solita vita... Trallal...la solita merda... Trallal...la solita inutile storia...

Titolo: Voglia di te Voglia di te Profumo di donna Aroma di lenzuola stropicciate Gusto salato di sapori ancestrali

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Follia di pelle arsa e desiderata Voglia di te Sogni bagnati risvegliano piaceri solitari Pensieri di ninfee popolano il talamo vuoto Folletti e gnomi infuocati scoccano Dardi infuocati su seni turgidi Coppe di champagne per affrettati amanti Voglia di te Gabbie di uccelli liberano il loro battito dali Fragranza di una veste che scivola Occhi sottosopra ci guardiamo Ultima volta prima di perderci Voglia di te Afrodite, squisita padrona di casa, Dirige la perversa melodia Succubi concubine aliene dalle teste nascoste Ridono i riccioli intrecciati da dita affamate Voglia di te Profumo di donna Aroma di lenzuola stropicciate Gusto salato di sapori ancestrali Follia di pelle arsa e desiderata

Titolo: Troppe volte Troppe volte

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Giochi di bign su bocche voluttuose Massaggi di carezze accennati in discesa Sale la febbre di giocolieri impazienti Scacco di un re ad una regina che aspetta Troppe volte Viso d'angelo sonnecchi, ridono gli occhi semichiusi Labbra appagate soffiano appena Una chitarra sul letto strimpella nuda Menestrello di corti boccaccesche pizzica altre corde Troppe volte Il gioco ricomincia su arpeggi sfiorati Melodia suadente su una pelle di velluto Pause di istanti anticipano note d'amore Libera l'improvvisazione l'ultimo assolo di piacere Troppe volte Ricordi di un sapore lontano Gusto di un sesso che manca Stanco il menestrello suona su un letto vuoto Aspetta un vassoio di bign e nulla pi Titolo: Amplesso Sensi Dolcemente ti svegliano Improvvisamente ti assalgono Ora tacciono stanchi di piacere Sensi Una mano scivola tra i tuoi solchi umorali

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Bocche si modellano su sessi infuocati Penetrano istanti di vita prima di morire Gocce seminali spengono lincendio di pelli roventi Sensi Ti abbracciano Con dolce aggressivit ci congiungono Si ritirano appagati

Titolo: Sono contento Sono contento Non scarabocchio pi il tuo nome dove capita Riflesso lontano di un amore offeso Naufragato e affondato senza superstiti. Sono contento Il risentimento cede il passo all'indifferenza Panacea di rimpianti assopiti Sepolti da giovani cicatrici. Sono contento Immagini di un volto nuovo,pulito,sincero Aspettano da qualche parte... Questo maledetto tempo, ora non pi Il nemico da sempre temuto e osteggiato. Sono contento Un blues sospirato in dodici battute Dodici i battiti di passione per una diversa stagione

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Improvvisazione di pause incerte follemente da vivere Note lunghe per arrivare alla fine dell'assolo. Sono contento Liberato dalla tua assenza Finalmente libero dalla tua presenza.

Titolo: La vita accade La vita accade Il tempo dissolve la fretta di dimenticarti Nuovi attimi Embrioni di attese emozioni Sbocciano improvvisi Petali dai misteriosi colori Di te mi rimarr l'odore Sapore di antiche guerre in terre lontane Oblio per un paesaggio d'amore L'illusione di un languido blues ritrovato in una vecchia soffitta Ed intanto... la vita accade Scena muta di parole sole Un palcoscenico sordo illuminato dalla cecit di Pensieri posticci Sempre uguali Sempre gli stessi Sempre Noi Titolo: Passeggeri

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Una macchina ed il passeggero Tergicristalli salutano una giornata piovosa La discussione si fa fitta come chicchi di grandine Sale dintensit con la minaccia di un tuono Il fulmine della parola colpisce il bersaglio Il passeggero improvvisamente scende Lo specchietto allontana una figura Ora un puntino Svanisce nel nulla di tutte le cose Titolo: Solitudine Lo specchio riflette una bestia incattivita, inconscio che libera il male di vivere Parole sputafuoco, esplosione di un delirio collettivo Un bambino attonito , un uomo sulla soglia Una donna uccide lultimo atto damore Illusione di una passione ritrovata Rifiuto di chi ti vuol bene Paura di affrontare se stessi Tornare a casa con il rumore delle bombe Un uscio che sbatte Una famiglia si disgrega Ritornare ed essere ...di nuovo soli... Titolo: Momenti Aspetta Scivola dentro te Lasciati Scorrono le dita insinuose Immagina Solchi di un rio senza fine Prendi

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Una fontana ancora asciutta Gioca Palline in buca, sponde di un biliardo Osa Nuvole bianche sopra il cielo Vieni La fontana ora zampilla Gusta sapori tropicali su pelle bagnata Assapora Il riposo di un tramonto sul mare placido Titolo: Immagina Immagina di rivedere Nuova vetta da scalare Antichi rancori gettati nella spazzatura della vita Intreccio di sentimenti da confezionare Gomitoli di un amore che ora lascia liberi di scegliere Immagina di essere rivisto Uomo e non pi bambino Immagina di ritornare Indietro Come prima Un bambino Nulla di nuovo

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Nostalgia per un'illusione immaginata

Titolo: Il tempo Le giornate che passano Guardarsi allo specchio Uno specchio che non ti guarda pi Questo maledetto tempo Ore,minuti,secondi Non si fermano mai Le lancette di un orologio guasto mi illude Questo maledetto tempo Segni sul viso Vestigia di antica giovinezza Ricordi che pesano Questo maledetto tempo Scorrono immagini Ne catturo qualcuna Altre mi evitano Questo maledetto tempo Cosa rimane? Non passa mai..... Questo maledetto tempo

Titolo: Inquinamento Polvere

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Sulle finestre Sul mobile antico della nonna Sugli specchi Sui tavoli Sui comodini Su un pianoforte Su una sedia Sul bidet Sulla moquette Sul whiskas del mio gatto Sul mio whisky semivuoto Sui miei capelli Sui miei vestiti Gi......tanto finiamo in polvere L'avevo completamente dimenticato

Titolo: Morti Morti Pensiamo di agire, Fare Decidiamo Licenziamo Tronchiamo Morti Fretta di concludere La vita Una trattativa di vendita

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Qualcun'altro prosegue Povero illuso Non chiude! Morti Parole simulano comode finzioni Pagliacci vegetali in un circo di eunuchi Uomini Donne Finti! Siliconati sin dalla nascita Morti di plastica

Titolo: Acquario Essere nell'essenza delle cose Mai consumate Pesci rossi boccheggianti in una sfera di cristallo Frammenti di sogni osservati da Un gatto randagio e malato

Titolo: Il mio funerale Ci sono proprio tutti Mi guardano Anch'io li guardo Alcuni sorridono sulla bara di legno a forma di chitarra Cos l'ho voluta, in autentico palissandro...

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Li osservo Mi ricordano Pochi piangono Rido Ripercorro Seguono il feretro Un'orchestra dixi allevia la noia che mi pervade Ho dovuto anche pagarli quei quattro musicisti da strapazzo La mia Gibson riposa in pace Almeno lei non sar divorata dai vermi.... Come era permaloso A letto.....cosi....cosi.... Sul lavoro uno svogliato Come artista un fallito Che begli amici... Ed io rido Ora li vedo davvero piccoli Meschini Futura polvere Con i loro vestitini a lutto Alcuni si fanno una canna Altri ballano lo swing sciagurato.....di quei maldestri. Ma non ho avuto il tempo di sceglierli! E continuo a ridere Il sorteggio mi stato favorevole Marylin mi aspetta per andare fuori a cena assieme Poveri fessi Ridete Sparlate e.... Sperate in un buon sorteggio

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Titolo: Lancette Squillo Rispondo Chiede Immagino Sono Sussulto Sorpresa Stupito Disturbo Ceno Chiama Motivo Domando Cosa Ricordi Emozioni Piange Piango Smette Smetto Anni Minuti Chiude Chiudo Ieri Oggi Come Sempre

Titolo: Chiss se...

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Chiss se la gente capisce Sola nel proprio consenso Stolta la presunzione di minuscoli dei Tristi fantocci parlano a se stessi Chiss se si rendono conto Patetici nel governare una zattera che affonda Acqua con acqua per un rubinetto che perde Fastidiosa goccia che li rende insonni Chiss se qualche volta ridono Un sorriso per tutte le stagioni Ingessati come mummie Labirinto di bende Faraoni di cartapesta Gi..., chiss se sanno, Tanto can can Chiasso Per poi morire Chiss quando Chiss come e... Magari stupidamente Come la loro piccola vita.

Titolo: Follia Percorsi obliqui a ritroso tridimensionali archetipi dirigono la mente. Cruciverba di vie, stato gravitazionale a primitivi deliri,

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scende le scale a chiocciola, gradini all'infinito. Sintesi sparpagliata di materiale grigio impastato edifica il monumento della finzione mai reale. Ombre inquiete riflesse da uno specchio opaco rotta di collisione per cocci di terracotta. Attendiamo inermi epiloghi di pensieri, catastrofe di molecole disfatte, Spaventapasseri al crocevia della ragione allontanano gli ultimi bagliori di recondita memoria gi stantia.

Titolo: Fine Tic Toc Tic Toc La sveglia scandisce inesorabile il tempo Secondo dopo secondo accorcia un'istante gi breve Tic Tac Tic Tac Passi risuonano sull'asfalto scivoloso del vivere Metro dopo metro ci approssimiamo alla meta

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Din Don Din Don Mesti rintocchi di una campana a lutto Salutano il nuovo morto. Titolo: Fotocopie Ripensare Insipido quotidiano malato Figli di un tempo irrazionale Copie sbiadite di originali inesistenti Autoritratti senza contorni Metafore imperfette di lontane divinit Schiavi padroni di un'effimera immagine Sanguisughe straziate da conti che non Tornano Ripensare Cortigiani ingloriosi di vili lingue Ipocriti mercenari inermi al servizio di una Maest Pseudo mercanti di gelati al pistacchio Verde la speranza di morire dignitosamente Atrofizzati oramai dalla paura di vivere Sanguisughe straziate da conti che non Pagano Ripensare Poliedriche sfaccettature di pensieri sepolti Un bianco e nero, istantanea di un vissuto copiato Figurine di cartapesta,balocchi circensi

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Guitti occasionali per infauste cerimonie Fragili voragini acquose dilatate in oceani maleodoranti Sanguisughe straziate da una pelle che non Vi assorbe pi e non pi vi tollera Titolo: Futuro E cammino Trasfigurazione di un dosso deformato dal sole Crisalide che muore e non rinasce Occhi velati,miraggio di un asfalto rovente, Passeggio per dune deserte, la sete massuda E immagino Sgraditi grattacieli, parallelepipedi deformi di antica memoria, Sassi sperduti ora reliquie custodi di ceneri polveri Ricordi di colori,albe,tramonti,giorni,anni,vite Sempre uguali Respiro vento caldo e la sete mi prosciuga Solo Sono rimasto solo Minuscolo Dio, verme sopravvissuto ad una terra di dannati Esplosione di funghi accecanti e poi il buio totale Cancella il tempo ogni presente,passato e futuro E cammino Solo E questa maledetta sete che massuda sempre pi

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titolo: Pantegane

E..scorrono i pensieri come shock anafilattici,luci abbaglianti,caduta-ripresa di un povero corpo martoriato che dondola su un anonimo marciapiede di unancora pi anonima metropoli. Cammino,passeggio,mi affretto,mi attardo,osservo incroci di magma umano,corpi che si sfiorano,occhi che guardano altrove,non sorridono,desolazione di vite inutili, morire fallire,menti disadorne,sempre pi nudi,soli,una vetrina in saldo,la merda esposta come oro che luccica, parallelepipedi si ergono solenni,cattedrali di un potere abitate da tarme e scarafaggi sempre pi neri che si moltiplicano a dismisura di conigli. Ed I pensieri scorrono,camminano,indugiano, chi siamo, perch inermi davanti a quella vetrina, mi risveglio in un marciapiede putrido e calpestato da caschi e motorini irriverenti, da puttane con lareula e autisti appestati. Non ho pi il coraggio di guardare diritto. La scena non muta.. Osservo I tombini, I preservativi ai bordi, siamo noi,sperma raffermo, lasciamo tracce dei nostri miseri tradimenti piccoli e cos meschini, le nostre minuscole vite negli occhi acquosi,fieri di essere umani,invidiosi,egoisti,demotivati,demotivanti,dispersivi,gel osi,ansiosi,depressi,brutti,grandi merde,pantegane dal pelo lucido,sovrane incontrastate delle fogne della nostra citt da bere.

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Cose da guardare,comprare,vendere,riparare,buttare,amare,odiare,d iscutere,riciclare, le cose della nostra vita. Saggi,rispettosi,sapienti,educati,buoni,intelligenti,forti,virili,c ome gatti in calore segnamo ogni notte il territorio, il trionfo dei sensi,lappagamento di un piacere orale di una nera,di unamante, di un amico, di una sconosciuta ed altro sperma raffermo nelle fogne di unacqua da bere e.. Scorrono i pensieri come shock anafilattici,luci abbaglianti,caduta-ripresa di un povero corpo martoriato che dondola su un anonimo marciapiede di unancora pi anonima metropoli e.. Implora La fine dellultimo atto

Titolo: Compleanno

Un album di foto scandisce inesorabile i segni di un tempo che si trastulla con le nostre vite. Sguardi lontani e grandi occhi spalancano finestre su prati incolti. Attimi che durano anno dopo anno, Istantanee di aspettative deluse, Viaggi in terre lontane per dimenticare la quotidianit del vivere,

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Uomini che passano, Occhi azzurri di un bambino che si fa uomo... Scorrono nuove fotografie sul tuo album ed I tuoi grandi fari spalancati continuano a scrutare l'amore di un qualcuno che possa combattere Il ricordo di un maledetto tempo che fugge e... Scolorisce il rullino della tua vita. Buon Compleanno Oggi il tempo aspetta Sorride con te e Colma il tuo vuoto...

Titolo: Panico

Cammino Corro Inciaspico Precipito Ruzzolo Mi rialzo Osservo Cammino Corro Inciaspico Precipito Ruzzolo Sprofondo.

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Nuoto Galleggio Affondo Riemergo Nuoto Galleggio Annego. Penso Rifletto Impazzisco Rinsavisco Penso Rifletto Impazzisco Neuro Conosco Amo Innamoro Disamoro Conosco Amo Innamoro Disamoro Solo Acqua Vino Amaro Bourbon Clinica Acqua Vino Amaro Bourbon Ricovero

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Camomilla Tisana Tavor Sonnifero Cura del sonno Camomilla Tisana Tavor Sonnifero Sonno Eterno. Sorrido Rido Sbellico Convulsioni Pianto Lacrime Sorrido Rido Sbellico Convulsioni Epilettico. Pausa Paura Cammino Corro Inciaspico Precipito Ruzzolo ... ... ...

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Titolo: Gabbia

Liberi di starci dentro Liberi di uscirne Sicuri di osservare al di la delle grate Paura di abbandonarla Sceglierne unaltra Accorgersi che non quella giusta Ritornare sui propri passi Entrare e rimanere Ma pur sempre una gabbia...

Titolo: Lente

Ingrandire Miserie di un granello Piccoli organismi Minuscoli sensi Omuncoli come girini In provette riposti Osserva Tagliuzza Ci toglie la vita207 non desiderata

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Titolo: Riserva Indiani Confinati Spegnamoci Altri Tori Miti Nulla Lasciateci morire

Titolo: Domande Ad un bambino Esiste Babbo Natale? Si Credi nella Befana? Si Esiste Ges bambino? Si E...le cicogne? Si

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Le farfalle? Si Vuoi bene alla mamma? Si Vuoi bene al pap? Si Ti piace giocare? Si Esistono i sogni? Si E...l'amore? Si L'amicizia? Si Ami la vita? Si Ad un adulto Che cosa chiedere? ...Solo bugie...

Titolo: Il macellaio del 3000

Cervelli in vendita Un tot al chilo Parti Pregiate Tutte

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Scarti Le zone colte Parti richieste dal consumatore Lobotomie complete Le Interiora Pensieri marci e putrefatti Minuscoli neuroni malati Cellule cancerogene di Un'intelligenza Artificiale Titolo: Cos ... Un esercito annichilito di numeri e o sue frazioni Siamo Polveri senza tracce Rimaniamo

Titolo: Indecisi Stanchi Confusi Irrequieti Insicuri Sempre figli unici Osserviamo Quale parte?

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Senza una direzione...

Titolo: Io e Te

Amami Sarai amato Rispettami Sarai rispettato Gioca Giocher con te Tradiscimi Ti distrugger Lasciami Ti ammazzer Concime...per una terra non pi fertile

Titolo: Pensare

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Pensare di costruire Pensare di provare Pensare di giocare Pensare di vivere Pensare di aspettare Pensare di gioire Pensare di soffrire Pensare di finirla Pensare di morire Pensare di pensare Solo pensieri Finzione di una realt Solo pensata Solo desiderata E da Noi Solo vissuta Titolo: Raccontarsi

Luce,luci da oscuro ventre Primi vagiti di chi gi vecchio nasce Vita di una sveglia, pila quasi scarica. Coro,coristi di atavico rituale Porpora il colore di una veste sacra Consuetudine di un profano e di un profumo. Strada,strade da percorrere senza una direzione Affluenti di viuzze in chimeriche allucinazioni Visioni frastornate di un reale confuso. Bambini,uomini, intervalli di altezze differite Segregazione di un corpo che consuma e non digerisce

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Rullo compressore di anime lacerate e calpestate. Amore,amori, prese di corrente alternata Masochistico rito per bestie incattivite Foreste,metropoli senza verde per pascolare. Sorriso,sorrisi di ipocriti Giuda Quattro monete per un assegno in bianco Futilit di vendere una ragione vuota. Poesia, poesie di Noi a met Perfezione irragiungibile di ignote divinit Scheletri di calcio ossidato dopo una lunga stagione. Puttana,puttane nella testa e nel cuore Stronzo,stronzi mal celati fingono teneri sentimenti Umanit vanagloriosa,merda da concimare. Natura,nature ferite,oltraggiate,depauperate Foglie morte da una clorofilla figlia di gramigne Famiglie disgregate,rami secchi da estirpare. Parola,parole che suonano come una vergogna Liriche nauseabonde di surreale ottimismo Lune,albe,tramonti,deliri di menti impazzite. Occhio,occhi da aprire, da sempre ciechi Psichedelico stato prenatale nutrito con polvere bianca Soffice neve, oblio di sensi dimenticati. Speranza, verde il colore stinto da portare in tintoria Un nuovo soprabito per una nuova stagione Il primo rammendo, una confezione gi scaduta.

Genero, degenera il degrado di un'idea

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Figlia abortita da un labirinto di domande Pezzetti morenti di un'articolazione disossata.

Titolo: Incompiuta
Scampoli di un tempo tiranno che dopo una lunga corsa st per raggiungere la gelida meta. Brandelli infetti e contaminati di antica memoria ripercorrono immagini di finto ordine mondriano. Luci e ombre del variet,un palcoscenico della vita mai vissuta. Fragilit dei nostri corpi acquosi Un lui, una lei, due rette all'infinito,castelli di carta pronti a sgretolarsi al primo leggero soffio di una piuma.Rabbia, lontana compagna di viaggio, ora sopita in dicotomiche visioni. Allucinazioni per un sogno mal digerito e psichedelici risvegli da un sonno mai consumato. Morte Sovrana, ti aspetto, pescivendola di un mercatino di corpi putrefatti Impotenza per non poter essere ma sentirsi eterni

Marco Saya

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Nota biografica di Joseph Selin: Joseph Selin nato a Napoli il 12/12/1974 da una famiglia lavoratrice di confessione prima cattolica poi evangelica. Nel 1979 si trasferisce con la famiglia a Caserta. Diplomatosi in ragioneria nel 1993, presta il servizio di leva militare a Livorno. Una volta congedato s'iscrive presso la facolt di economia della "Seconda Universit degli studi" di Capua arrangiandosi con lavoretti vari e corsi di formazione finanziati dal F.S.E.. Nel 1996 inizia a teorizzare il suo pensiero di Specie, una visione del mondo antropista, atea e materialista che lo spinger a studiare a fondo l'origine fisica e chimica della natura e del mondo, lo sviluppo biologico della vita e l'evoluzione storica, economica e sociale dell'Umanit. Dal 1998 al 2000 ha contatti epistolari e personali con numerosi movimenti religiosi e politici che lo aiuteranno a rapportarsi con disparati modi di pensare e di vedere il mondo carpendone le variopinte sfumature. Scrive le sue prime poesie di natura introspettiva. Dal 2000 al 2002 scrive poesie di stampo sociale e storico. Nel 2002 scrive altre poesie di natura pi paesaggistica e contemplativa le quali, riunite con tutte le precedenti, confluiscono nella raccolta "Aurora, aspettando l'alba di un nuovo mondo".

Aliseo Mi soffi il tuo sibilo nel mio orecchio che ascolta il silenzio portando materia e notizie da posti lontani!

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Paria Solitario erro nel mondo, vagabondo, prigioniero nella gabbia dorata del gretto consumo, rinchiuso come tanti nello spietato giogo della solitudine, sono un essere che va errando nel mondo senza pi razza n terra n patria! Sul suolo natio la mia indifferenza, sopra ci sputo, nulla ho avuto, nulla mi permesso di dare! Senza razza ormai disgregata e distrutta, senza patria ormai dissolta e asservita come ogni patria e sogno di gloria, senza terra, espropriato ed escluso! Senza amici n compagna vago desolato. Ogni valore vecchio declina, lasciando un vuoto da colmare e il mondo dei pochi e della massa asservita mi indica e punta il suo sasso pronti a seppellire sotto un oceano di pietre la carcassa che trascino per il deserto del mondo! 216

M'indica la folla dei prodotti di serie sputandomi in faccia il marchio affibbiatomi, dietro falsi sorrisi e salamelecchi, mi dice col suo brandello di mente quel che io sono e fiero confermo: sono un paria! Speranza Sotto tonnellate di macerie di cupo sconforto, sotto la pioggia fitta di oscuri presagi, di fronte al vento impazzito che schizza negli occhi schegge di odio e di morte, avanza tenace strisciando latente, scavando la via con fatica con l'energia della forza vitale della voglia di vita! Speranza, amata speranza, avanza a fatica col passo felpato! Speranza, agognata speranza, speranza sanguinolenta che scava un canale, tra possenti pietre 217

di un mondo in macello! Speranza, nostra amica e compagna, mai ci abbandona, dal primo vaggito all'ultimo rantolo, ci spinge ad amare, ci guida alla vita! Speranza, indefessa speranza, nostra eroica inquilina che ci anima il cuore, forse spesso c'illude, ma grande e preziosa questa magica e perseverante presenza!

Sconforto Sconforto, amaro sconforto, abisso di fredda e buia sorte di un desiderio che nasce gi morto, di un bieco presagio che di fa forte! Sconforto, piccolo grande sconforto, freno di vita e d'ogni genuina pulsione nave che avanza senza n vento n corrente, ma con l'alito freddo della disillusione che nel baratro oscuro inabissa ogni passione! 218

Sconforto, dolce e nudo sconforto, sicario spietato della speranza, ogni miraggio vasto si fa corto e tormenta l'anima che senza respiro arranca! Sconforto, caro sconforto, momento di pausa e riflessione che ferma il lavoro di spirito e mente si sforza l'anima in questa lezione affina lo sguardo e il suo respiro si fa potente e passa sconfitto, abbattuto e ritorto ogni amaro sconforto!

Ombra Come uno spettro t'aggiri furtiva nell'anima mia, come ombra sfuggente spesso riemergi, e mi riporti il dolore! Ancora ogni tanto schizzi ribelle dagli archivi della memoria e vaghi nella mia mente 219

portando amarezza, scivoli fuori dai ricordi e vaghi nel cuore svuotato che troppo monotonamente adesso batte, penetri ancora nell'anima che malinconica assapora i giorni che scorrono! C' un'ombra nella mia mente, nell'anima e nelle ossa! Quante opportunit ci sfuggono via come petali di fiori che si sperdono all'aria inaridendo la vita! Credevo che il vento del tempo t'avesse dispersa per sempre, ma sempre ritorni a turbinare nei pensieri e nell'animo svuotato di te!

Fulmine Lampo che squarci le tenebre, dalle nuvole oscure ferisci le retini e fai sobbalzare la mente! 220

Tuono che scuoti i vetri e i polmoni, fai sussultare lo spirito che spaventato grida come in preda a moderne ed infernali musiche! Fulmine che nell'animo penetri come frammento d'ispirazione, illumini e spaventi come verit rivelata, ed una cosa l'animo ispirato comprende: ch' meglio portare un ombrello!

Perch sei cos chiusa? Perch sei cos chiusa? Perch ai flutti del tuo cuore alti argini innalzi? Perch stringi i sentimenti nei limiti di grandi fortezze? Perch soffochi gli impulsi? Perch mi lasci e mi sbarri la strada? Dentro te la tempesta che non manifesti, impassibile tremi e cerchi comprensione! Perdi la speranza che debolmente cerchi! Non voglio essere come sei, non cos debole! Non voglio essere fortezza che protegge 221

l'animo molle, ma cuore d'acciaio nudo che pulsa vita! Che i nemici mi attacchino pure, non ceder! E un piccolo anticipo dell'era futura di essere tenter!

L'occasione perduta Occasione che viene e passa perduta come benzina sprecata sulla strada sbattuta, languidi rimpianti di vita sfuggita, rimbomba insistente alla mente l'offerta perduta! Ma forse la pi bella e suadente occasione non quella che viene spontanea ma quella da noi costruita!

Piccole frasi

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Piccole frasi che librano nell'infinito spazio del pensiero, poche parole ricche di sentimento e cariche di vita!

Folla Passi svelti e a rilento, respiri caldi, variopinti colori, tante espressioni, volti dispersi in cerca di vita, qui non son solo, ma in compagnia! Neve Bianco mantello ricopre suolo e terrazzi, giardini e tetti, miriadi di minuscoli cristalli, ognuno a s, ognuno diverso, geometriche forme son quelle che alcuni ritengono sia 223

la firma di dio!

Due anni Due anni son passati da un periodo di gioia, due anni che inondano di un oceano di ricordi la mia linea del tempo! Due anni che gettano un mare le cui gocce sono i giorni una distanza che pare immensa dalla vita! Due anni dalla vita all'apatia! Sere incantate, magiche musiche, dolci melodie, terse atmosfere, questo due anni fa!

Meglio l'inferno Inno alla ribellione Se anche fossero vere le sciorinaggini di quella 224

che di tanti la fede, anche se vero fosse che non vi alcun lume nella umana ricerca, anche se vero fosse che solo quelle divine son le giuste mosse, anche se vero che dopo ogni morte il paradiso o l'inferno conclude la sorte, anche se vero che un padre celeste potesse cibarci e donarci la veste, anche se vero che una mente serena si ottenga con fede e chiedendo in preghiera, comunque e sempre continuerei la mia strada, comunque scaverei a fatica la mia propria via, sperando che mai la mia mente si pieghi ad alcuna fede splendente, schifando ogni dio ed ogni aldil che falciano il pregio dell'Uomo e della vita aldiqu! Preferisco l'inferno, bruciarmi nella dannazione perdermi nella foresta stregata 225

della disperazione, ardere nella follia, distruggermi e consumarmi in una bieca agonia, e desolato nella nebbia perdermi pur di dovere mai arrendermi ad ogni retrivo, despota, enfio, seppur sdolcinato, e lurido dio!

Silenzio L'aria preme agli orecchi e sento la voce di alisei che da lontano portano nuove! Silenzio

Sogno bisogno Sogno bisogno tutto ci che agogno! Sogno bisogno d'appartenere al mondo! Sogno bisogno, un mondo in comune, un mondo di tutti, mondo per tutti! 226

Sogno bisogno quanto alto il costo! Sogno bisogno d'esser di tutti! Spietato si muove e ingloba il suo braccio armato e realizza a distanza il sogno bisogno!

Spettro Come un fantasma ormai vaghi nella mia mente! Ricordo lontano! Aleggi nell'etere e su ogni volto t'imprimi ed ogni forma vivente!

Panorama Fresca l'aria, smaglianti i colori, si vedono i monti rosei e picchi innevati, 227

s'ergono sopra le radure inverdite sotto il cielo azzurro turchese limpido e chiaro! L'aria tersa e pulita rinfresca i polmoni, la luce solare scalda e colora di luce vivace! Bel panorama che miro e rimiro percorrendo il mio faticoso cammino, dolce riposo, allegro rifugio, pittoresco ristoro che rinfranca lo spirito da ogni immane fatica!

228

Una giornata come le altre Il sole bombardava coi suoi raggi il suolo inerme che riscaldatosi donava la sua energia termica ai gas atmosferici portando la calura estiva in ogni direzione, su tra i palazzi, nelle finestre, nelle case. Entrando in una stanza sorprese l'aria interna, un po' pi fresca, attraversata da innumerevoli tictic dei tasti di un computer martoriati dalle dita tormentate di G.. "Mannaggia" diceva G. mentre batteva furiosamente la povera tastiera, "vorrei sapere perch cavolo batto sempre un tasto diverso da quello che voglio!". Come un lampo nel silenzio della notte, un altro rumore squarci l'aria accavallandosi al tic tic dei tasti del computer di G., era la suoneria dell'apparecchio telefonico situato nell'ingresso della casa che rimbombava sul pannello di legno della porta della camera di G., "vai tu G.?" si sent urlare dalla cucina confinante con la camera, "eh, vado io, vado io, m!" sbrait G. con fare scherzosamente incazzato. 229

Dopo un breve litigio coi tasti del telefono G. accost l'altoparlante all'orecchio, "pronto, dottore, sono E., tutto a posto?", rispose una voce familiare. "U, dott, tutto a posto e lei, tutto a post?" rispose G.. E.: "Tutto a posto, tutto a posto! Posso permettermi di invitarla ad una passeggiata culturale?". G.: "ma certo, quando ce verimme?". E.: "vogliamo fare tra un ora? Vieni tu a citofonarmi?" G.: eh, vengo io. Ci vediamo tra un'ora! Arrivederla dott., comm., arch., ing., ecc.. E: ma tu che stavi a f? G: me stavo appiccicando col computer: batto una cosa e ne scrivo un'altra. Che caspito! E: ma che stai a combin c st sfaccimme e' compiutr? Prima o poi pure lo fondi e lo mandi al creatore! G: da Bill Gates? E: (risata) eh dal caro vecchio Bill! Oh, ce verimme tra n'ora, va bu? G: v bu, v bu! arrivederla, 230

arrivederla! Attaccato il telefono G. torn in camera sua a finire di battere al computer le sue cretinate poi si vest un po' alla volta per far asciugare il fastidioso sudore che colava ad ogni indumento che si metteva addosso. Maglietta, pantalone, scarpe e via! Lungo quella via i pensieri ed i ricordi abituali assalivano la povera mente di G. turbinando vorticosamente in cerca di qualcosa di indefinito: quante volte aveva percorso quella strada, con quanti umori diversi, quanti periodi, quel periodo, quel periodo di cui ancora portava dentro le scorie. Giunto al portone del palazzo dove abitava E., G. buss al citofono, gli rispose una voce femminile, G. chiese se vi era E., glielo passarono e gli disse che stava per scendere. G. si appoggi al muro aspettando, dopo alcuni minuti scese E.: buona sera dottore, tutto a posto? G: tutto a posto commendatore, andiamo a prendere un caffettino a nocciola al bar Margherita? E: si, si andiamo! 231

Avviandosi verso la piazza circolare omonima del bar E. e G. parlarono del pi e del meno, delle esperienze fatte insieme e separatamente, del corso di formazione in cui si erano conosciuti, del lavoro interinale che E. aveva svolto per sei mesi al nord, di un altro corso di formazione seguito sempre da E. in un'altra localit del nord Italia con la vana speranza di essere assunto, degli studi universitari sospesi per problemi economici di G. e della sua ricerca di un'occupazione cos rara e difficile da trovare, dei noglobal e della globalizzazione, dell'economia e della storia, e di una vita fatta di speranze vane e illusioni spezzate che tengono col fiato sospeso come una funicolare alla fune che poi precipita nel baratro della solitudine, di una vita sempre pi amara che val sempre la pena di essere vissuta seppur con un grande senso di sconforto. Seduti al tavolino del bar davanti alle due tazzine di caff a nocciola, tra i pochi momenti di dolcezza che dai magici tempi dell'infanzia e dell'adolescenza, dai tempi della scuola in cui il mondo 232

ancora un libro da leggere e scoprire, in cui ogni illusione lecita, ogni sogno sembra possibile, si facevano sempre pi radi, il tempo trascorreva senza accorgersene. I due, si alzarono, pagarono, fecero qualche commentino tra loro sul prezzo e si avviarono presso i giardini del palazzo reale, mostrarono le carte di identit al custode ed entrarono. E: come si respira bene qui. Questo tra i pochi posti che hanno un'aria magica, in cui mi sento tranquillo. G: si pur'io, si sta tranquilli e si pu meditare. Girarono, si sedevano di tanto in tanto su qualche panchina e parlavano. G: io a F. (una ragazza del corso in cui si erano conosciuti) ma la sarei scopata, era una tappa ma era carina ed aveva un bel culetto anche se mi piaceva pi A. (un'altra ragazza). E: e a cchi o' dice! Chella era proprie bona! Ce la portavamo gi al garage e... G: ti ricordi S. la culona? Con quel vocione! E: u! Chella era n'omme! G: per me il pi cretino del corso era L.! 233

E: si, era scemo ma almeno non scassava il cavolo come G. M.! Uscirono dai giardini e girarono per la citt sedendosi di tanto in tanto sulle panchine che incontravano lungo i randomatici percorsi. Cominciarono a parlare di computer, di internet, come regolarsi coi programmi e coi servizi in rete, poi E. incontr un suo amico, lo salut ed inizi a parlare mentre G. rimase annoiato ad aspettare sperando che quella conversazione fosse la pi breve possibile e che quel tipo non proponesse ad E. qualcosa lo avrebbe interessato al momento distaccandosi da lui e rubandogli per quella giornata l'unico amico che gli era rimasto. La conversazione fin e i due ricominciarono a vorticare furiosamente per la citt come due particelle in un acceleratore sincrotonico fino a che anche G. incontr un suo conoscente e s'intrattenne un po' a parlare mentre E. attendeva annoiato e con la speranza che aveva animato precedentemente G. il quale riusc finalmente a liberarsi del rompiscatole per dedicarsi di nuovo a 234

turbinare per la deliziosa ma alienante cittadella. G: non sopporto il fatto che quando cerchi un lavoro sembra che chi ti debba assumere ti faccia quasi un atto di carit! Come se mi mandasse la paga a casa senza che io butti il sudore ad arricchirlo! E: e che vuoi fa! In questo mondo di merda c' troppa concorrenza tra i lavoratori, spesso ti fanno "l'intelligente" domanda: perch dovremmo assumere lei? A questa domanda ci sarebbe solo da sputarli in faccia! G: ben detto! Sono degli stronzi! E: a me all'esame del corso mi chiesero come arrangiarmi se mi trovassi senza attrezzatura e con una richiesta urgente da soddisfare! G: gi! Perch poi i tuoi superiori che prendono dieci volte la tua paga non debbono pensarci loro a fornirti del necessario per lavorare! Devi accollarti anche le loro incombenze e fare il Mac Giver della situation! E: perch non ci facciamo una birretella ai campetti della reggia? G: si, si andiamo! Come ai vecchi tempi! 235

Cos si fornirono di una peroni grande e si andarono a sedere su una panchina di fronte la reggia! Il monumento si stagliava di fronte a loro in tutta la sua imponenza sotto la luce dei riflettori che combatteva contro le incalzanti tenebre dell'imbrunire! Quella settecentesca facciata lasciava intravedere i ricordi delle scene di vita passate, delle passeggiate regali, degli incontri aristocratici prima che divenisse la sede dell'intendenza dei beni culturali e dell'aeronautica militare. Versarono la birra nei bicchieri di plastica e cominciarono a sorseggiare la spumosa bevanda il cui alcol si sentiva sciogliere nel sangue ed affluire alla testa dando la sensazione che ruotasse leggermente soprattutto a G. non abituato a bere alcolici. E: hai pi rivisto la tua "lady M"? G: beh, ci incontriamo per strada a volte ci salutiamo, a volte io non riconosco lei a volte lei non riconosce me. passato n'anne e miezze ormai che vuoie pi ricord? E: ti ricordi quando la incontrammo per 236

strada e tu le gridasti : scostumata? G: eh! Bei tempi! Sembra passato un secolo! Poi alcuni minuti di silenzio! "Sembra passato un secolo!" Era passato un secolo! Un secolo non temporale ma un secolo di differenza abissale, una tonnellata di diversit tra l'aria che egli respirava allora e quella che stava respirando in quell'istante a stento addolcito dalla compagnia dell'amico! Nella mente di G. passarono scene ed emozioni, sensazioni e ricordi ormai spenti che lasciavano ammirare desolatamente il segno del fuoco. Qualcosa ancora bruciava dentro, ma cosa? Due grandi occhi neri, lunghi capelli color di castagna, quella voce seriosa e tenebrosa, quell'aria magica e misteriosa, quella voglia di abbracci e di vicinanza! Mentre l'occhio sinistro di G. si fece lucido e bruciava trattenendo con doloroso successo la fuoriuscita del liquido, il suo sgangherato elaboratore neuronale scandagliava tutte le emozioni provate in "quel periodo", esercizio a cui si era ormai abituato, e le raffrontava all'apatico periodo che ora viveva! 237

Davanti ai suoi occhi nascevano e morivano spettri dal nulla e nel nulla tornavano: spettri del passato e del futuro, di un futuro oscillante tra la solitudine ed un vile ripiego emotivo! E seppure tornasse la sua lady M? come recuperare il tempo perduto? Forse l'ansia di riscattare il vuoto accumulatosi in un anno e mezzo e pi avrebbe provocato pi sofferenza di un secco e deciso addio definitivo! Persino la grande rabbia provata negli ultimi tempi gli mancava, per lo meno era una pulsione che lo animava, lo faceva sentire vivo! Aveva un grande bisogno di confidarsi con E. come ai bei vecchi tempi, ma tante volte lo aveva fatto e rischiava di annoiare pi se stesso che non l'amico il quale, anzi, aveva un'aria delusa dall'interruzione di G.. Poi ripresero a parlare, a sfottere le persone conoscenti, a fare commenti sul mondo. Si alzarono dalla pietrosa panchina, gettarono i bicchieri di plastica e la bottiglia svuotata come le loro anime afflitte in un cestino sfondato e si avviarono pian piano lungo la strada di casa. 238

Arrivarono alla via situata tra la casa di E. e quella di G., dove vi una fontanella pubblica, bevvero si sciacquarono i polsi per rinfrescare il sangue accaldato dalla calda cappa umida che scendeva accompagnando la sera e si appoggiarono al muretto che costeggiava la via separandola dalla flora della reggia. E: io m st settimana devo andare un'altra volta su, per fare un concorso! G: eh! Non parliamo di concorsi, io devo farne tre al comune, voglio sapere come la mettiamo nome! E: ma st sciem comm' che hanno organizzato i concorsi un giorno dopo l'altro? G: per rompere le palle! E: tu comunque falli che sempre un tentativo, non si sa mai! G: lo so! Speriamo! Un posticino al comune mi farebbe piacere, tranne un po' il vigile: st cose in divisa non che mi piacciono tanto! E: che te ne fotte! Tu ti fai le tue sei ore quotidiane a cazzi gente e te ne vai a casa. A fine mese ti buschi un bello stipendiuccio! 239

S'intrattennero per un altro po' a parlare, fino a che uno dei due esclam: "s' fatto tarduccio, ie dicesse di and a casa a papp e poi a fa bebb!" e l'altro: "eh s, se no c facimme a' nuttata!" Dopo il saluto: "ce verimme nei prossimi giorni, o ce sentimme via e-mail!" si avviarono ognuno presso la propria abitazione con gli stomaci rombanti di fame. Il sole era gi tramontato da un pezzo crollando dietro ai monti privando la vallata della sua luce vitale e la luna, come l'altro piatto della bilancia spuntava all'orizzonte facendo da specchio alla vanitosa stella la quale emanava i suoi raggi sul satellite che li rifletteva impallidendoli con la propria superficie grigia. Un manto di luce argentata trapanava la calda coltre acquosa dell'umido ammasso nuvoloso del cielo, vestendo il paesaggio di un aspetto spettrale. Si chiudeva un altro ciclo luminoso su quella vallata circondata di monti, monti che fino a mezzo secolo prima avevano visto giornaliere scene agresti per poi essere bucati e corrosi dai 240

cementifici industriali i quali, dopo alcuni decenni di attivit distruttiva di sventramento, dopo aver denudato la terra montana facendo affiorare la bianca roccia nuda, ora chiudevano i battenti soffocati dalla crisi di sovrapproduzione che soffocava l'economia mondiale! Si chiudeva un altro d in quella cittadella dove i complessi e le frustrazioni erano di casa dietro la maschera di una falsa emancipazione e sicurezza di se. Si chiudeva una giornata su quella piccola citt dove l'ostentazione di beni di lusso e ricchezza erano costume quotidiano celando un senso di vuoto disperato, dove i problemi di un mondo decadente si erano precocemente accavallati, per effetto di un'industrializzazione disperatamente veloce e frenetica, ai pregiudizi rupestri, l dove chi non era "in regola" chi non era standardizzato, chi non era prodotto in serie, chi osava girare per le strade senza il marchio di fabbrica, rischiava di essere reietto e rinnegato da una gretta comunit immarcita dal consumismo pi becero e stupido! L dove 241

si faceva tutto senza concludere nulla! Joseph Selin I testi sono copyright dei rispettivi autori, per contatti: afenice@tiscali.it http://uac.bondeno.com/afenice

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