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Gli Etnischi tra Modena e Reggio
visto, è una magistratura importantissima per gli Etruschi con funzioni civili,
militari e sacrali che a volte era collegiale, a volte monocratica38. Insomma,
Kuvei, donna non etnisca, era stata ricordata da un cippo dedicatole da un
importante funzionario etnisco, probabilmente un suo congiunto, del quale il
suffisso del gentilizio (enke) tradirebbe un’origine padana, forse addirittura
ligure piuttosto che etnisca39.
L’archeologia ha dimostrato un articolato sistema di popolamento e di vie di
comunicazione che innervavano il Reggiano e il Modenese e che giunse a
maturazione nel V secolo a.C., tanto da resistere all’invasione celtica del IV
secolo a.C.40. Il Reggiano tra il VII e il V secolo doveva essere un territorio di
confine tra il mondo etrusco e quello celto-ligure, dove la lingua scritta era
l’Etrusco. Una delle aree più importanti era quella che costeggiava l’Enza, dove
erano presenti diversi insediamenti collegati tra di loro e dove si concerta la
maggior parte di iscrizioni etrusche del reggiano (cinque, più numerose lettere
isolate).
E Modena? L’origine del toponimo è stata molto dibattuta. Francesco Pa-
nini, rifacendosi all’antica Cronaca di San Cesario, fa derivare il toponimo da
Mutino Dio de gli antichi, dio della fertilità dei campi, facendone un teonimo.
Sappiamo che è tradizione diffusa che esso derivi da motta (collinetta) col
richiamo alla civiltà delle Terremare, oppure ai tumuli tombali. La principale
critica a questa impostazione è che oggi la città si trova in un avvallamento
piuttosto che su un’altura anche se è arduo determinare come fosse
l’insediamento nel VII-VI secolo a.C. Sappiamo che nella Bassa era tipico
costruire centri abitati su piccoli rialzi, più facili da difendere dai nemici e dalle
alluvioni, e non è da escludere che il primigenio abitato modenese si fosse
giovato di un simile sito. D’altra parte questo non è dimostrabile con certezza.
Affascinante, ancora, è l’ipotesi di Semeraro che fa derivare il nome di Modena
dall’etrusco mantu a sua volta derivante dall’accadico màtu (morire) e mìitu
(morte) a causa della consacrazione della città, sorta in una zona malsana, al dio
della morte (Math) per propiziarlo. Modena, in particolare deriverebbe da
mìitànu, cioè epidemia. In effetti, in etrusco mutano significa
Rubiera, in Annali della Fondazione per il Museo «Claudio Faina», volume XV, La colonizzazione
etnisca in Italia”, Roma 2008, pag. 247-272.
38. Enciclopedia tre cani, alla voce zilath (http://www.treccani.it/enciclopedia/zilath/) consultata
il I luglio 2018.
39. MACELLARI, Parola in viaggio cit. p. 178.
40. DANIELA LOCATELLI, Prima della Via Aemilia: percorsi e popolamento del Reggiano nel I nnl-
lennnio a. C. in On thè road: via Emilia 187 a. C. - 2017 d. C., Parma 2017, pp. 165-171.
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Gabriele Sorrentino
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iciuiuicinu cun incisa la parola Mutina, tratto da AA VV Mutina Splendidissima, De Luca
Editore. Roma 2017
Il fegato di
Piacenza
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sarcofago e quindi una somiglianza del toponimo con “tomba” e con “collinetta”
è innegabile41.
In verità la teoria più accreditata sull’origine del toponimo trova il suo
principale puntello in un ritrovamento effettuato in territorio reggiano, nella
zona di Sei-virola, insediamento vicino all’attuale San Polo d’Enza. Qui, in un
pozzo, sono stati recuperati diversi frammenti tra cui una ciottola di argilla che
reca un’iscrizione graffila da sinistra verso destra che richiama nella forma
simili iscrizioni del V secolo a.C. Il testo, mutilo, della scritta recita: [...]
rius’mutnas’. Questo frammento è probabilmente la più antica attestazione del
nome etrusco da cui derivò la Mulina romana e poi la Modena moderna. Rius è
ciò che resta di un prenome, una radice diffusa in area padana. Il suffisso “as ”
in Mutnas, invece, richiama gentilizi aggettivali che si trovano in altri nomi di
città come Felsna. La traduzione del nome potrebbe essere “Quelli di Mutua”
per indicare un gruppo familiare proveniente da Modena, insediatosi nella
zona42. Il gentilizio Mutna è attestato dalle parti di Chiusi43. La sommità del
monte Pézzola (alto 445 metri) domina l’abitato di Servirola e l’accesso alla
Valle d’Enza e potrebbe essere stato oggetto di depositi votivi a una divinità
sconosciuta che dimorava nel pozzo scavato sulla cima del monte 44. Questo
frammento ci racconta che nel V secolo a.C. esisteva un gruppo di persone
definite, passateci il termine, “modenesi” e che quindi esisteva un insediamento
chiamato Mutna, oppure Muthina o ancora Muthiena45.
La scoperta dell’iscrizione di monte Pézzola conferma l’origine del nome
Mutna (Muthina/Muthiena) da un gentilizio etrusco e sgombra il campo dalle
differenti ipotesi. Mutna, come Arimna (Ariminum/Rimini) deriva da un gen-
tilizio. Esso potrebbe ricordare un fondatore o comunque una famiglia che
contribuì allo sviluppo del sito: se non proprio un eroe eponimo, quindi, uno dei
fondatori di Modena, forse originario della zona di Chiusi.
Ma com’era la Modena etnisca? Anche in questo caso l’unico ritrovamento
di via Farini rende difficile proporre ricostruzioni rigorose anche se la
collocazione di una sepoltura etnisca nei pressi del centro della futura Mulina
resta significativa e, unita alla continuità del toponimo, suggerisce una
Ili
Gabriele Sorrentino
sostanziale persistenza abitativa con il centro romano. Uno scavo degli anni
Trenta del Novecento sotto il mercato coperto (stiamo parlando della stessa
direttrice del ritrovamento di via Farini) ha portato alla luce, probabilmente, le
fondazioni di una fortificazione romana precedente alla fondazione della
colonia46. Questo ritrovamento conferma il passo di Livio secondo il quale, nel
218 a.C., i Romani, in fuga da Piacenza allo scoppio della li guerra punica, si
rifugiarono entro le mura di Mutina che esistevano oltre trentanni prima della
fondazione della colonia47. Un ulteriore ritrovamento, sotto il cinema Capitol, ha
riconosciuto alcune tracce dell’insediamento celtico48.
Il santuario di Cittanova venne monumentalizzato nel III secolo a.C., quindi
già in epoca romana, ma sorgeva su un precedente tempio che doveva riferirsi a
un centro abitato importante che non poteva essere che Modena 49. Gli stessi
ritrovamenti di Rubiera sono significativi di un’area abitata in maniera
significativa che doveva orbitare intorno a un insediamento di riferimento che
anche in questo caso potrebbe essere Modena, visto che Reggio Emilia non
esisteva ancora50.
Se quindi, è abbastanza assodato che al momento della fondazione della
colonia romana esisteva un centro popolato e già fortificato, meno pacifico è che
quel centro sorgesse su un precedente insediamento etrusco 51. D’altra parte però
l’iscrizione del monte Pézzola dimostra Resistenza di toponimo Mutna
(Muthina/Muthiena) che sarebbe stato poi latinizzato in Mutina. Sappiamo che i
Romani tendevano a dare alle proprie colonie un nome che spesso romanizzava
un precedente toponimo autoctono di una certa rilevanza. Siamo sicuri che
durante la II Guerra Punica esisteva un luogo che Livio chiama Mutina, dotato
di fortificazioni, dove i Romani si rifugiarono. I resti
46. LUIGI MALNATI, Le origini di Modena, in Mutino Splendidissima Modena 2017, pp. 38-41, spec. P.
38.
47. TITO LIVIO, Ab Urbe Condita, (XXVII, 21 ; XXX, 19)
48. MALNATI, Le origini di Modena cit. p. 38.
49. MALNATI, Le origini di Modena cit. p. 39.
50. Forum Lepidi (o Regium Lepidi) l’attuale Reggio Emilia, fu fondata da Marco Emilio Lepido
probabilmente intorno al 175 a.C., anno della definitiva sconfitta dei Liguri e della loro deportazione di
massa in pianura. Lepido pensò allo schema del Forum, una comunità che non aveva i vincoli
organizzativi di una colonia, dove poterono convivere i Boi e i Liguri superstiti con i veterani a lui più
fedeli (LUIGI MALNATI, Chi era Marco Emilio Lepido, in On thè road: via Emilio 187 a.C. - 2017 d.C.,
Parma 2017, pp. 19-33, spec. P. 23). Il termine Forum potrebbe essere una traduzione latina del termine
celtico Regium. Regium Lepidi acquisì poi la cittadinanza romana nel 45 a. con la Lex Iulia Municipalis
di Giulio Cesare.
51. MALNATI, Le origini di Modena cit. p. 38.
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celtica. La presenza celtica risulta sporadica nel V secolo a.C. per aumentare dal
IV secolo. Nuove scoperte archeologiche suggeriscono di retrodatare comunque
le infiltrazioni celtiche in Italia al VI secolo a.O'3.
A questo periodo risalirebbe la discesa in Italia di Belloveso dalle pianure
del Rodano, raccontata da Livio 53 54. Belloveso, giunto in Italia a seguito di una
carestia, avrebbe fondato Mediolanon, dal gallico “città-di-mezzo”, cioè
Milano. Si tratta di un tipico esempio di ver sacrimi cioè di primavera sacra, un
rituale italico teso a scongiurare una calamità che in origine prevedeva il
sacrificio agli dei di tutti i nati in una certa primavera e che poi venne edul-
corato nella loro migrazione coatta al compimento del ventesimo anno d’eta. In
questo caso Belloveso e suo fratello Segoveso, figli di una sorella di re
Ambigato, dovettero guidare i loro coetanei lontani dalla patria55.
53. MARIA TERESA GRASSI, 1 Celti in Italia, Longanesi, Milano 1991, pp. 9-13
54. TITO LIVIO, Ab Urbe condita, V, XXXIV;
55. GRASSI, / Celti in Italia cit. pp. 13-20.
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scorreva nelle terre d’origine dei Boi e nella cui lingua Rino significa “fiume
impetuoso”. Se a Monte Bibele è addirittura documentata la convivenza tra
Etruschi e Celti che conferma la funzione di cerniera dell’area appenninica tra
pianura ed Etruria, Marzabotto vide un tracollo abitativo corrispondente
all’arrivo dei Celti e venne sostanzialmente abbandonato sino a quando vi si
installarono alcune tribù di Celti70.
A Modena cosa accadde? Il Modenese è il solo territorio ad occidente di
Bologna dove esistano sicure attestazioni celtiche, mentre dal III secolo a.C.
vediamo l’Appennino connotarsi fortemente in senso “Ligure”71. Il territorio
della città costituiva il limite occidentale del territorio boico e qui sono stati
trovati piccoli nuclei di sepolture o tombe isolate. Interessante la necropoli di
Castelnuovo Rangone, emersa nel 1868, che presenta similitudini con le
sepolture celtiche di Marzabotto. Vennero raccolte una spada, una cuspide di
lancia di ferro, braccialetti, databili al III secolo a.C. Altra necropoli fu
rinvenuta a Saliceta San Giuliano sempre tra il 1876 e il 1883. In quasi tutti i siti
dai quali sono emerse testimonianze di età celtica si evidenzia, magari dopo un
periodo di abbandono, una sostanziale continuità abitativa in epoca romana 72.
Quando Virgilio ricorda Mantova, la sua città natale, parla di tre stirpi
(Tebani, Etnischi e Galli), ognuna divisa in quattro popoli tra le quali domina
quella di sangue etnisco73. Virgilio sembra proprio alludere a tre etnie e per
Plinio Mantova era l’unica città Etnisca rimasta a nord del Po 74. Si può quindi
immaginare che a Mantova sia rimasta forte la presenza etnisca anche dopo la
conquista celtica della pianura. In riferimento a Spina, al contrario, Dionigi di
Alicamasso racconta che «in seguito poi essendosi stanziati i barbari nei pressi
con un grande esercito ed avendoli assaliti quelli abbandonarono la città» 75.
Insomma l’impressione è che la conquista boica abbia portato a una con-
vivenza tra Etnischi e Celti e non a una cancellazione dei primi, anche se non
70. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit., pp. 251-152. CAMPOREALE, Gli Etruschi cit. pp. 408-409.
GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 81-82.
71. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit., pp. 252-253.
72. GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 95-98.
73. Publio Virgilio Marone, Eneide (X, 220): “Manina d’alto legnaggio, illustre c ricca, e non d un
sangue. Tre le genti sono, e de le tre ciascuna a quattro impera, di cui tutte ella è capo, e tutte insieme
son con le forze de TEtruria unite”
74. PLINIO IL VECCHIO, Storia Naturale (XIX, 130).
75. DIONIGI DI ALICARNASSO (I, 18).
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si può negare che l’Etruria padana come entità politica, se mai era esistita,
scomparve. Se è ipotizzabile che gli Etruschi abbiano conservato un decisivo
ruolo nei commerci, è altrettanto probabile che i Celti mantennero il controllo
politico del territorio76. I ritrovamenti archeologici mostrano un tracollo
demografico dei centri di origine etrusca. Lungo l’asse del Po, la resistenza
etrusca sembra più solida tanto che Adria rimane dominata dalla componente
veneto-etrusca per tutto il IV secolo a.C., nonostante l’arrivo dei siracusani,
mentre Mantova, resta fortemente etrusca. L’impressione è che il triangolo
Spina-Mantova-Adria rimanga una sorta di Etruria padana minore in grado di
conservare un molo di tramite tra i due popoli. Rispetto a Mantova, però, Spina
subisce la crisi insediativa più dura, tanto da scomparire come centro abitato e
rinascere, in età augustea, come modesto villaggio 77.
Alla luce di queste considerazioni, la storiografìa moderna tende a mitigare
la portata dell’impatto celtico sull’Etruria Padana. I Galli non erano nume-
ricamente sufficienti per soppiantare in loto l’elemento indigeno ed ebbero a
disposizione poco più di un secolo, prima che i Romani si affacciassero in
pianura. A Monterenzio, ad esempio, nella valle dell'Idice, nella prima metà del
IV secolo si insediò un gruppo di Etruschi, attirati forse dalla maggior sicurezza
rispetto alla pianura già percorsa dalle orde boiche. In seguito sembrano inserirsi
elementi gallici, anche se le iscrizioni recuperate sono solo etrusche e le
evidenze archeologiche mostrano una preminenza etrusca in questo centro,
cerniera con l’Etruria vera e propria. Nella stessa situazione di Monterenzio
sembrano essere altri centri tra i quali, per la nostra storia, vale la pena citare
Pasano di Savignano78 79.
E’ ipotizzabile che i Celti, come avevano fatto gli Etruschi prima di loro, si
siano limitati a controllare alcuni centri nevralgici e le vie di comunicazione
mentre nei restanti insediamenti dell’Etruria padana vi fosse una convivenza
dell’ etnia etrusca con quella celtica, minoritaria. In alcuni centri della Pianura
Padana gli Etruschi continuarono ad essere l’elemento dominante, almeno
culturalmente, sino all’età tardo repubblicana romana, come dimostra il famoso
“fegato” di Piacenza, manufatto del I secolo a.C., che riproduce in bronzo un
fegato di pecora e che serviva come strumento dell’aruspicina7 -
76. ADRIANA COMASCHI, Uno sguardo sui Celti, Piacenza 2013, p. 11.
77. MANFREDI-MALNATI, Gli Etruschi eh., pp. 258-259. CAMPOREALE, Gli Etruschi cit. pp. 401-403. 415-
421.
78. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit., pp. 252-253.
79. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit., pp. 259-260.
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80. NICOLETTA GIORDANI, Modena in AAVV, Aemilia la cultura romana in Emilia — Romagna, Venezia
2000, pp. 424-426.
81. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit. P. 159-260.
82. CAMPOREALE, Gli Etruschi cit pp. 215-217.
83. CAMPOREALE, Gli Etruschi cit. pp. 97-98.
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