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Gabriele Sorrentino

Modena e Parma; si tratta di agglomerati di piccole dimensioni sorti in un’area


prima scarsamente popolata che sembra indicare un forte movimento coloniale
da parte dei principali centri dell’Etruria settentrionale come Chiusi, Volterra,
Volsini, Perugia. Una vera e propria seconda colonizzazione etnisca della Val
Padana che portò alla definitiva “etruschizzazione” del territorio 34.
La civiltà urbana degli Etruschi si incardinò così in Pianura Padana sulla
linea Marzabotto-Felsina-Spina ma penetrò sino a Mantova e Piacenza. C’è da
ipotizzare che il controllo etrusco si fondasse sulla base di una serie di centri
urbani di diversa dimensione, che assicuravano da un lato il controllo delle vie
di comunicazione, e dall’altro favorivano una penetrazione indiretta (politico-
culturale e commerciale). Intorno alle città etrusche federate, è quindi
ipotizzabile che tra il VII e il VI secolo esistessero già villaggi celtici e liguri,
figli delle prime ondale migratorie35.
A questo punto dobbiamo cercare di capire se esisteva già all’epoca un
centro abitato sul quale poi i Romani avrebbero fondato la loro colonia di
Mvtina. Come detto, l’archeologia non ci aiuta perché i ritrovamenti etruschi
nell’area della colonia romana o nelle sue immediate vicinanze sono risicati. Tra
questi, vanno ricordate le iscrizioni, risalenti al V secolo a.C., trovate a
Castellarano e a Fiorano, oltre che a Baggiovara36. Non è un caso, forse, che la
mostra sui duemiladuecento anni dalla fondazione di Mvtina (Mvtina
Splendidissima, che si è svolta tra il 2017 e il 2018) abbia dedicato poco spazio
alla presenza etnisca concentrandosi su quella celtica e poi romana. Ben diversa
è stata l’impostazione dell’omologa mostra reggiana che ha dedicato interessanti
saggi al popolamento etrusco tra cui spicca l’insediamento del VII a.C. in
prossimità di Rubiera e quindi del futuro tracciato della via Emilia. A Rubiera
sono stati ritrovati due cippi funerari di grande importanza, risalente al VII
secolo a.C. Il Primo presenta una grafìa tipica dell'area di influenza di Caere
(Cerveteri) e si riferisce a Avile Kamthura che lo ha dedicato a suo figlio Ana
verso la fine del secolo. Il secondo cippo, invece, ha caratteristiche stilistiche
tipiche dell’area di Vulci e presenta due personaggi: Kuvei Huleinsnai è una
donna dal nome forse celtico, ricordata sul cippo eretto da un uomo dal nome
purtroppo sconosciuto che era uno zilath, forse della città di Misa nell’area di
Marzabotto37. Lo zilath, come abbiamo

MANFREDI -MALNATI, Gli Etnischi cit. pp. 133-134.


A. CALVETTI, Romagna Celtica, Longo Editore, Ravenna 1999, pp. 13-15.
MACELLARI, Parola in viaggio cit. pp. 175-178.
ROBERTO MACELLARI, Parola in viaggio cit. p. 178. PETRA AMANN, Intorno al Cippo II il

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Gli Etnischi tra Modena e Reggio

visto, è una magistratura importantissima per gli Etruschi con funzioni civili,
militari e sacrali che a volte era collegiale, a volte monocratica38. Insomma,
Kuvei, donna non etnisca, era stata ricordata da un cippo dedicatole da un
importante funzionario etnisco, probabilmente un suo congiunto, del quale il
suffisso del gentilizio (enke) tradirebbe un’origine padana, forse addirittura
ligure piuttosto che etnisca39.
L’archeologia ha dimostrato un articolato sistema di popolamento e di vie di
comunicazione che innervavano il Reggiano e il Modenese e che giunse a
maturazione nel V secolo a.C., tanto da resistere all’invasione celtica del IV
secolo a.C.40. Il Reggiano tra il VII e il V secolo doveva essere un territorio di
confine tra il mondo etrusco e quello celto-ligure, dove la lingua scritta era
l’Etrusco. Una delle aree più importanti era quella che costeggiava l’Enza, dove
erano presenti diversi insediamenti collegati tra di loro e dove si concerta la
maggior parte di iscrizioni etrusche del reggiano (cinque, più numerose lettere
isolate).
E Modena? L’origine del toponimo è stata molto dibattuta. Francesco Pa-
nini, rifacendosi all’antica Cronaca di San Cesario, fa derivare il toponimo da
Mutino Dio de gli antichi, dio della fertilità dei campi, facendone un teonimo.
Sappiamo che è tradizione diffusa che esso derivi da motta (collinetta) col
richiamo alla civiltà delle Terremare, oppure ai tumuli tombali. La principale
critica a questa impostazione è che oggi la città si trova in un avvallamento
piuttosto che su un’altura anche se è arduo determinare come fosse
l’insediamento nel VII-VI secolo a.C. Sappiamo che nella Bassa era tipico
costruire centri abitati su piccoli rialzi, più facili da difendere dai nemici e dalle
alluvioni, e non è da escludere che il primigenio abitato modenese si fosse
giovato di un simile sito. D’altra parte questo non è dimostrabile con certezza.
Affascinante, ancora, è l’ipotesi di Semeraro che fa derivare il nome di Modena
dall’etrusco mantu a sua volta derivante dall’accadico màtu (morire) e mìitu
(morte) a causa della consacrazione della città, sorta in una zona malsana, al dio
della morte (Math) per propiziarlo. Modena, in particolare deriverebbe da
mìitànu, cioè epidemia. In effetti, in etrusco mutano significa

Rubiera, in Annali della Fondazione per il Museo «Claudio Faina», volume XV, La colonizzazione
etnisca in Italia”, Roma 2008, pag. 247-272.
38. Enciclopedia tre cani, alla voce zilath (http://www.treccani.it/enciclopedia/zilath/) consultata
il I luglio 2018.
39. MACELLARI, Parola in viaggio cit. p. 178.
40. DANIELA LOCATELLI, Prima della Via Aemilia: percorsi e popolamento del Reggiano nel I nnl-
lennnio a. C. in On thè road: via Emilia 187 a. C. - 2017 d. C., Parma 2017, pp. 165-171.

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Gabriele Sorrentino

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iciuiuicinu cun incisa la parola Mutina, tratto da AA VV Mutina Splendidissima, De Luca
Editore. Roma 2017

Il fegato di
Piacenza

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Gli Etruschi tra Modena e Reggio

sarcofago e quindi una somiglianza del toponimo con “tomba” e con “collinetta”
è innegabile41.
In verità la teoria più accreditata sull’origine del toponimo trova il suo
principale puntello in un ritrovamento effettuato in territorio reggiano, nella
zona di Sei-virola, insediamento vicino all’attuale San Polo d’Enza. Qui, in un
pozzo, sono stati recuperati diversi frammenti tra cui una ciottola di argilla che
reca un’iscrizione graffila da sinistra verso destra che richiama nella forma
simili iscrizioni del V secolo a.C. Il testo, mutilo, della scritta recita: [...]
rius’mutnas’. Questo frammento è probabilmente la più antica attestazione del
nome etrusco da cui derivò la Mulina romana e poi la Modena moderna. Rius è
ciò che resta di un prenome, una radice diffusa in area padana. Il suffisso “as ”
in Mutnas, invece, richiama gentilizi aggettivali che si trovano in altri nomi di
città come Felsna. La traduzione del nome potrebbe essere “Quelli di Mutua”
per indicare un gruppo familiare proveniente da Modena, insediatosi nella
zona42. Il gentilizio Mutna è attestato dalle parti di Chiusi43. La sommità del
monte Pézzola (alto 445 metri) domina l’abitato di Servirola e l’accesso alla
Valle d’Enza e potrebbe essere stato oggetto di depositi votivi a una divinità
sconosciuta che dimorava nel pozzo scavato sulla cima del monte 44. Questo
frammento ci racconta che nel V secolo a.C. esisteva un gruppo di persone
definite, passateci il termine, “modenesi” e che quindi esisteva un insediamento
chiamato Mutna, oppure Muthina o ancora Muthiena45.
La scoperta dell’iscrizione di monte Pézzola conferma l’origine del nome
Mutna (Muthina/Muthiena) da un gentilizio etrusco e sgombra il campo dalle
differenti ipotesi. Mutna, come Arimna (Ariminum/Rimini) deriva da un gen-
tilizio. Esso potrebbe ricordare un fondatore o comunque una famiglia che
contribuì allo sviluppo del sito: se non proprio un eroe eponimo, quindi, uno dei
fondatori di Modena, forse originario della zona di Chiusi.
Ma com’era la Modena etnisca? Anche in questo caso l’unico ritrovamento
di via Farini rende difficile proporre ricostruzioni rigorose anche se la
collocazione di una sepoltura etnisca nei pressi del centro della futura Mulina
resta significativa e, unita alla continuità del toponimo, suggerisce una

41. SORRENTINO, Quando a Modena c 'erano i Romani cit., pp. 89-92.


42. ROBERTO MACELLARI, Parola in viaggio. Le vie della scrittura Etnisca nel Reggiano, in On thè
road: via Emilia 187 a.C. - 2017 d.C., cit. pp. 172-185, spec. 174.
43. M. PANDOLFINI, Ager Clusinus, in Studi Etruschi, LII (1986), p. 280, n.5
44. ROBERTO MACELLARI, La coppa con iscrizione [...] rius'mutnas’ in Mutino Splendidissima Modena
2017, p. 30.
45. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit., p. 199.

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Gabriele Sorrentino

sostanziale persistenza abitativa con il centro romano. Uno scavo degli anni
Trenta del Novecento sotto il mercato coperto (stiamo parlando della stessa
direttrice del ritrovamento di via Farini) ha portato alla luce, probabilmente, le
fondazioni di una fortificazione romana precedente alla fondazione della
colonia46. Questo ritrovamento conferma il passo di Livio secondo il quale, nel
218 a.C., i Romani, in fuga da Piacenza allo scoppio della li guerra punica, si
rifugiarono entro le mura di Mutina che esistevano oltre trentanni prima della
fondazione della colonia47. Un ulteriore ritrovamento, sotto il cinema Capitol, ha
riconosciuto alcune tracce dell’insediamento celtico48.
Il santuario di Cittanova venne monumentalizzato nel III secolo a.C., quindi
già in epoca romana, ma sorgeva su un precedente tempio che doveva riferirsi a
un centro abitato importante che non poteva essere che Modena 49. Gli stessi
ritrovamenti di Rubiera sono significativi di un’area abitata in maniera
significativa che doveva orbitare intorno a un insediamento di riferimento che
anche in questo caso potrebbe essere Modena, visto che Reggio Emilia non
esisteva ancora50.
Se quindi, è abbastanza assodato che al momento della fondazione della
colonia romana esisteva un centro popolato e già fortificato, meno pacifico è che
quel centro sorgesse su un precedente insediamento etrusco 51. D’altra parte però
l’iscrizione del monte Pézzola dimostra Resistenza di toponimo Mutna
(Muthina/Muthiena) che sarebbe stato poi latinizzato in Mutina. Sappiamo che i
Romani tendevano a dare alle proprie colonie un nome che spesso romanizzava
un precedente toponimo autoctono di una certa rilevanza. Siamo sicuri che
durante la II Guerra Punica esisteva un luogo che Livio chiama Mutina, dotato
di fortificazioni, dove i Romani si rifugiarono. I resti

46. LUIGI MALNATI, Le origini di Modena, in Mutino Splendidissima Modena 2017, pp. 38-41, spec. P.
38.
47. TITO LIVIO, Ab Urbe Condita, (XXVII, 21 ; XXX, 19)
48. MALNATI, Le origini di Modena cit. p. 38.
49. MALNATI, Le origini di Modena cit. p. 39.
50. Forum Lepidi (o Regium Lepidi) l’attuale Reggio Emilia, fu fondata da Marco Emilio Lepido
probabilmente intorno al 175 a.C., anno della definitiva sconfitta dei Liguri e della loro deportazione di
massa in pianura. Lepido pensò allo schema del Forum, una comunità che non aveva i vincoli
organizzativi di una colonia, dove poterono convivere i Boi e i Liguri superstiti con i veterani a lui più
fedeli (LUIGI MALNATI, Chi era Marco Emilio Lepido, in On thè road: via Emilio 187 a.C. - 2017 d.C.,
Parma 2017, pp. 19-33, spec. P. 23). Il termine Forum potrebbe essere una traduzione latina del termine
celtico Regium. Regium Lepidi acquisì poi la cittadinanza romana nel 45 a. con la Lex Iulia Municipalis
di Giulio Cesare.
51. MALNATI, Le origini di Modena cit. p. 38.

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Gli Etruschi tra Modena e Reggio

di queste fortificazioni sono apparsi sotto il mercato coperto, mentre frammenti


di un insediamento celtico sono stati rinvenuti sotto al cinema Capitol.
Insomma, l’archeologia ci fornisce prove sufficienti della presenza di un
centro etrusco di una certa importanza nella zona tra gli attuali territori mo-
denese e reggiano. Questo centro si chiamava Mutna (Muthina/Muthiena),
toponimo probabilmente derivato da una famiglia gentilizia di origine chiù-
sana, e si trovava sulla pista che in seguito sarebbe divenuta la via Emilia.
L’archeologia, però, non ci fornisce l’esatta posizione di questo insediamento
etrusco. D’altra parte, sappiamo che i Romani tendevano a costruire le proprie
colonie su insediamenti precedenti di una certa importanza, come è avvenuto a
Rimini (Ariminum, fondata nel 264 a.C.) o a Senigallia (la Sena Gallica fondata
nel 284 a.C. sulla “capitale” dei Galli Senoni).
I Romani latinizzarono il toponimo etrusco Mutna/Muthina/Muthiena, non
quello celtico come invece accadde per la colonia latina di Bononia che prese il
nome non da Felsina (che derivava dall’etrusco Velzna, o Felzna, luogo fertile o
luogo fortificato) ma da un termine celtico, che potrebbe significare “luogo
fortificato” o anche “Città dei Boi”52.
Per Mutina, quindi, abbiamo una persistenza nel toponimo che può far
pensare alla continuità dell’insediamento probabilmente nella zona in seguito
occupata dalla colonia romana che cominciò con gli Etruschi, proseguì con i
Celti, si rafforzò con un castnim fortificato che poi divenne la colonia romana di
Mvtina. Una continuità che le fonti archeologiche non confermano ma non
smentiscono e che a mio avviso può essere sostenibile pur con tutte le prudenze
del caso.

I Celti e la crisi dell’Etruria Padana

Se Muthiena nacque tra il VI e il V secolo, la sua tranquillità durò poco


perché, nel IV secolo a.C., piombarono sulFEtruria Padana i Celti. Questo
popolo però si era stanziato in Italia già in epoche remote, ben prima del famoso
episodio dell’incendio di Roma ad opera dei Senoni di Brenno (390 a.C.). Anzi,
appare concreta l’ipotesi che i Celti non debbano essere considerati semplici
invasori ma che la loro presenza sia riscontrabile prima delle invasioni del IV
secolo a.C. L’Italia subalpina potrebbe essere stata coinvolta nello stesso
processo primario di definizione etnico-linguistica della nazione

52. SORRENTINO, Quando a Modena c’erano i Romani cit. p. 95.

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Gabriele Sorrentino

I cippi di Rubiera, tratti da


AA.VV., On thè rocicì, via
Enti Ha 187 a.C -2017,
Grafiche Step, Parma 2017

celtica. La presenza celtica risulta sporadica nel V secolo a.C. per aumentare dal
IV secolo. Nuove scoperte archeologiche suggeriscono di retrodatare comunque
le infiltrazioni celtiche in Italia al VI secolo a.O'3.
A questo periodo risalirebbe la discesa in Italia di Belloveso dalle pianure
del Rodano, raccontata da Livio 53 54. Belloveso, giunto in Italia a seguito di una
carestia, avrebbe fondato Mediolanon, dal gallico “città-di-mezzo”, cioè
Milano. Si tratta di un tipico esempio di ver sacrimi cioè di primavera sacra, un
rituale italico teso a scongiurare una calamità che in origine prevedeva il
sacrificio agli dei di tutti i nati in una certa primavera e che poi venne edul-
corato nella loro migrazione coatta al compimento del ventesimo anno d’eta. In
questo caso Belloveso e suo fratello Segoveso, figli di una sorella di re
Ambigato, dovettero guidare i loro coetanei lontani dalla patria55.

53. MARIA TERESA GRASSI, 1 Celti in Italia, Longanesi, Milano 1991, pp. 9-13
54. TITO LIVIO, Ab Urbe condita, V, XXXIV;
55. GRASSI, / Celti in Italia cit. pp. 13-20.

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Gli Etruschi tra Modena e Reggio

Sulla cronologia dell’invasione celtica può fare luce in parte il ritrovamento


di Rubiera, che menziona uno zilcith del VII-VI secolo a.C. A partire dal V
secolo, il termine identificherà il supremo magistrato cittadino delle città-stato
etnische dotate di una struttura di tipo repubblicano; lo zilath di Rubiera è
troppo antico per essere identificato con questa magistratura così gli storici
pensano che si tratti di un generale, un comandante miliare con pieni poteri,
incaricato di difendere PEtruria padana in un momento di grande pericolo
determinato proprio dalle infiltrazioni celtiche 56 57. Esso potrebbe quindi riferirsi
a una prima migrazione celtica, forse proprio quella cui si riferisce Livio
quando, raccontando la catastrofe del 390-388 a.C. ricorda che quei Galli non
erano i primi ad essere scesi in Italia ma che «ducentis quip- pe anni ante», cioè
circa due secoli prima, essi erano stati preceduti da altri celti37. Anzi, lo storico
precisa che in quell’occasione gli Etruschi erano stati sconfìtti presso il Ticino
in una dura battaglia, ai tempi di ReTarquinio Prisco (ca. 616-579 a.C.) che, lo
sappiamo, appartiene al novero dei Re etruschi di Roma 58. I tempi sembrano
coincidere con la datazione del cippo rubierese e quindi si può ipotizzare che lo
zilath fosse accorso a nord, per difendere la patria minacciata 59. Dello stesso
periodo sono poi le attestazioni, in Etruria, di celti etruschizzati e di matrimoni
misti tra membri delle élites60. A questo proposito, proprio il nostro zilath, come
abbiamo già detto, aveva dedicato il cippo a una donna di probabile origine
celtica, forse una sua congiunta, e questa informazione sembra confermare un
rapporto articolato e non di assoluta contrapposizione tra i due popoli.
Sulle orme di Belloveso scese Etiovio alla guida dei Cenomani che si
stanziarono nel Bresciano e nel Veronese61
Insomma l’Italia era teatro di fìtti scambi tra Celti ed Etruschi sin dal VI
secolo a.C., a volte pacifici a volte violenti. I Senoni scesero poi in Italia nel
primo decennio del IV secolo e si insediarono a spese degli Umbri sulla costa
orientale dell’Italia, tra il fiume Montone presso Ravenna e Forlì, fino ad
Ancona62. Le ondate migratorie, quindi, interessarono un arco di due secoli
durante i quali le confederazioni di tribù si stanziarono in aree sempre più

56. GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 14-15.


57. TITO LIVIO, Ab Urbe condita, V (32, 5-6).
58. TITO LIVIO, Ab Urbe condita, V (34, 9).
59. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit. pp. 98-101.
60. GRASSI, I Celti in Italia cit. p. 15.
61. GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 18-19.
62. GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 19-20.

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Gabriele Sorrentino

meridionali della penisola, scavalcando le zone già occupate 63.


Furono, infine, i Boi a occupare il Modenese. Si trattava di una delle più
potenti confederazioni celtiche calate sulla penisola che, secondo Plinio, contava
centododici tribù64. I Boi scesero in Italia forse dall’Europa Centrale (Boemia
meridionale e Baviera) e trovarono la transpadana occupata da Insubri e
Cenomani. Così varcarono il Po con zattere e dilagarono nella pianura
scontrandosi con Etruschi e Umbri. Non è semplice definire i confini del loro
territorio, che comprendeva il Modenese, il Bolognese e una parte della Ro-
magna. Con loro scesero Anari e Lingoni che occuparono rispettivamente il
limite occidentale e orientale dell’attuale Emilia- Romagna65.
L’arrivo dei Boi, tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a.C., compromise
gli equilibri dell’Etruria padana innescandone la decadenza. 1 Boi occuparono
Felsina dove prenderanno il sopravvento sul l'etnia etnisca, tanto che il to-
ponimo muterà, come abbiamo visto, in Bononia. Anche Marzabotto decadde e
venne abbandonata66 67. Gli Etruschi si ritirarono dalla pianura e fondarono
alcuni centri in montagna, come Monte Bibele sull’Appennino bolognese .
I Boi si stabilizzarono nell’attuale Emilia Romagna assieme agli Anari che
colonizzarono il piacentino, mentre i Lingoni consolidarono la loro posizione
estendendo la propria sfera di influenza al Ravennate68.
All’iniziale conflitto si sostituì un processo di integrazione e convivenza tra i
diversi gruppi etnici nell’ambito delle strutture urbane esistenti inaugurando
anche politiche di alleanza matrimoniale. Si può affermare, quindi, che gli
Etruschi non furono cacciati completamente dalla pianura e che l’invasione non
portò al totale collasso della rete di collegamenti commerciali esistenti tra
l’Etruria propria e quella padana69. L’arrivo dei Celti portò alla contrazione dei
centri urbani, Felsina mantenne la sua struttura ma subì un parziale degrado e un
calo demografico; a partire dal IV secolo, è documentata l’integrazione tra le
due principali componenti etniche — Celti ed Etruschi — anche se non è certo il
suo ruolo di capitale della loro confederazione come, invece, accadde per
Mediolanum rispetto agli Insubri. Addirittura il nome del fiume di Bologna, il
Reno, è di origine celtica, forse in ricordo del Reno che

63. GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 19-20.


64. PLINIO IL VECCHIO, Storia Naturale (3.116).
65. GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 80-81.
66. CAMPOREALE, Gli Etruschi cit. pp. 401-403.
67. GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 80-81.
68. ANSELMO CALVETTI, Romagna Celtica, Longo Editore, Ravenna 1999, p. 20.
69. GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 81-82

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Gli Etruschi tra Modena e Reggio

scorreva nelle terre d’origine dei Boi e nella cui lingua Rino significa “fiume
impetuoso”. Se a Monte Bibele è addirittura documentata la convivenza tra
Etruschi e Celti che conferma la funzione di cerniera dell’area appenninica tra
pianura ed Etruria, Marzabotto vide un tracollo abitativo corrispondente
all’arrivo dei Celti e venne sostanzialmente abbandonato sino a quando vi si
installarono alcune tribù di Celti70.
A Modena cosa accadde? Il Modenese è il solo territorio ad occidente di
Bologna dove esistano sicure attestazioni celtiche, mentre dal III secolo a.C.
vediamo l’Appennino connotarsi fortemente in senso “Ligure”71. Il territorio
della città costituiva il limite occidentale del territorio boico e qui sono stati
trovati piccoli nuclei di sepolture o tombe isolate. Interessante la necropoli di
Castelnuovo Rangone, emersa nel 1868, che presenta similitudini con le
sepolture celtiche di Marzabotto. Vennero raccolte una spada, una cuspide di
lancia di ferro, braccialetti, databili al III secolo a.C. Altra necropoli fu
rinvenuta a Saliceta San Giuliano sempre tra il 1876 e il 1883. In quasi tutti i siti
dai quali sono emerse testimonianze di età celtica si evidenzia, magari dopo un
periodo di abbandono, una sostanziale continuità abitativa in epoca romana 72.
Quando Virgilio ricorda Mantova, la sua città natale, parla di tre stirpi
(Tebani, Etnischi e Galli), ognuna divisa in quattro popoli tra le quali domina
quella di sangue etnisco73. Virgilio sembra proprio alludere a tre etnie e per
Plinio Mantova era l’unica città Etnisca rimasta a nord del Po 74. Si può quindi
immaginare che a Mantova sia rimasta forte la presenza etnisca anche dopo la
conquista celtica della pianura. In riferimento a Spina, al contrario, Dionigi di
Alicamasso racconta che «in seguito poi essendosi stanziati i barbari nei pressi
con un grande esercito ed avendoli assaliti quelli abbandonarono la città» 75.
Insomma l’impressione è che la conquista boica abbia portato a una con-
vivenza tra Etnischi e Celti e non a una cancellazione dei primi, anche se non

70. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit., pp. 251-152. CAMPOREALE, Gli Etruschi cit. pp. 408-409.
GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 81-82.
71. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit., pp. 252-253.
72. GRASSI, I Celti in Italia cit. pp. 95-98.
73. Publio Virgilio Marone, Eneide (X, 220): “Manina d’alto legnaggio, illustre c ricca, e non d un
sangue. Tre le genti sono, e de le tre ciascuna a quattro impera, di cui tutte ella è capo, e tutte insieme
son con le forze de TEtruria unite”
74. PLINIO IL VECCHIO, Storia Naturale (XIX, 130).
75. DIONIGI DI ALICARNASSO (I, 18).

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Gabriele Sorrentino

si può negare che l’Etruria padana come entità politica, se mai era esistita,
scomparve. Se è ipotizzabile che gli Etruschi abbiano conservato un decisivo
ruolo nei commerci, è altrettanto probabile che i Celti mantennero il controllo
politico del territorio76. I ritrovamenti archeologici mostrano un tracollo
demografico dei centri di origine etrusca. Lungo l’asse del Po, la resistenza
etrusca sembra più solida tanto che Adria rimane dominata dalla componente
veneto-etrusca per tutto il IV secolo a.C., nonostante l’arrivo dei siracusani,
mentre Mantova, resta fortemente etrusca. L’impressione è che il triangolo
Spina-Mantova-Adria rimanga una sorta di Etruria padana minore in grado di
conservare un molo di tramite tra i due popoli. Rispetto a Mantova, però, Spina
subisce la crisi insediativa più dura, tanto da scomparire come centro abitato e
rinascere, in età augustea, come modesto villaggio 77.
Alla luce di queste considerazioni, la storiografìa moderna tende a mitigare
la portata dell’impatto celtico sull’Etruria Padana. I Galli non erano nume-
ricamente sufficienti per soppiantare in loto l’elemento indigeno ed ebbero a
disposizione poco più di un secolo, prima che i Romani si affacciassero in
pianura. A Monterenzio, ad esempio, nella valle dell'Idice, nella prima metà del
IV secolo si insediò un gruppo di Etruschi, attirati forse dalla maggior sicurezza
rispetto alla pianura già percorsa dalle orde boiche. In seguito sembrano inserirsi
elementi gallici, anche se le iscrizioni recuperate sono solo etrusche e le
evidenze archeologiche mostrano una preminenza etrusca in questo centro,
cerniera con l’Etruria vera e propria. Nella stessa situazione di Monterenzio
sembrano essere altri centri tra i quali, per la nostra storia, vale la pena citare
Pasano di Savignano78 79.
E’ ipotizzabile che i Celti, come avevano fatto gli Etruschi prima di loro, si
siano limitati a controllare alcuni centri nevralgici e le vie di comunicazione
mentre nei restanti insediamenti dell’Etruria padana vi fosse una convivenza
dell’ etnia etrusca con quella celtica, minoritaria. In alcuni centri della Pianura
Padana gli Etruschi continuarono ad essere l’elemento dominante, almeno
culturalmente, sino all’età tardo repubblicana romana, come dimostra il famoso
“fegato” di Piacenza, manufatto del I secolo a.C., che riproduce in bronzo un
fegato di pecora e che serviva come strumento dell’aruspicina7 -

76. ADRIANA COMASCHI, Uno sguardo sui Celti, Piacenza 2013, p. 11.
77. MANFREDI-MALNATI, Gli Etruschi eh., pp. 258-259. CAMPOREALE, Gli Etruschi cit. pp. 401-403. 415-
421.
78. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit., pp. 252-253.
79. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit., pp. 259-260.

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Gli Etruschi tra Modena e Reggio

I superstiti Etruschi riuscirono a mantenere in parte la propria identità


culturale sino all’età romana quando il mantovano Virgilio, si è detto, poteva
ancora definirsi “etrusco”. Questa considerazione non deve sminuire la portata
della conquista celtica che fu traumatica per diversi importanti centri etruschi. 1
Galli si diffusero con insediamenti sparsi, distribuendosi a “macchia di
leopardo” nelle terre conquistate assegnate alle famiglie dei guerrieri legati ai
capi da vincoli di clientela, ma non soppiantarono completamente l’elemento
etrusco che rimase culturalmente dominante in alcuni centri urbani. La
conquista celtica ebbe l’effetto di cambiare il tipo di insediamento nella zona,
rallentando l’accentramento urbano iniziato dagli Etruschi secondo gli schemi
delle città-stato, e diffondendo una struttura più sparsa di abitato, incardinata su
numerosi villaggi, spesso non fortificati, che avrebbe lasciato una forte impronta
culturale nelle campagne.
Che destino ebbe Modena? Il fatto che Mutina non abbia cambiato toponi-
mo può far pensare che fosse tra i centri dove la componente etnisca rimase
prioritaria, pur in un quadro politico dominato dai Celti. Abbiamo già accennato
che, durante la Seconda Guerra Punica (218-202 a.C.), Boi e Insubri insorsero
contro i Romani e attaccarono i coloni e i triunviri incaricati della distribuzione
di terre a Piacenza. I Romani si rifugiarono proprio a Mutina che era già
fortificata mentre i Galli, inesperti di assedi, furono costretti a rimanere intorno
alle mura della città ma riuscirono, con uno stratagemma, a catturare i Legati.
II racconto di Livio è il primo a mostrarci Mvtina non come un semplice
toponimo ma come un insediamento con alcune caratteristiche precise. Il ca-
strimi era già munito di una fortificazione in muratura che la faceva ritenere
sicura. Questa informazione suggerisce che il castrimi fosse sorto nell’area
dell’antico abitato Celtico, del quale sono state trovate pallide ma significative
tracce. La notizia, però, può anche suffragare l’ipotesi che Mutina fosse ancora
un centro a maggioranza etrusca e che avesse mantenuto quindi la struttura pre-
celtica. Intorno a Modena, del resto, sono documentate tracce di presenza
romana sin dal III secolo a.C., avamposti commerciali creati durante
l’espansione nell’Italia settentrionale. Nell’alta pianura, intorno alla città, è
attestata la presenza di elementi centro-italici, forse mercanti e artigiani, inseriti
nei processi di scambio con gli indigeni. Monete ritrovate a Castelfranco Emilia,
Ganaceto e San Cesario dimostrano una composizione etnica diversificata nel
contesto economico che precedette la fondazione della colonia80. In quest’ottica,
Mutina poteva essere ancora un insediamento a maggioranza etrusca piuttosto
che un semplice castrimi militare. Questo potrebbe

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Gabriele Sorrentino

spiegare la persistenza del toponimo e la notizia di una fortificazione di una


certa importanza. Sappiamo che le élite etrusche, alla fine del III secolo a.C.
hanno ormai accettalo, di fatto, di integrarsi con i Romani e quindi non stupisce
che gli uomini in fuga da Piacenza abbiano scelto Mvtina per ottenere
protezione, sapendo di trovare alleati tutto sommato affidabili e una struttura
cittadina solida.
Cosa resta degli Etnischi nel Modenese? I nomi di qualche corso d’acqua,
come lo Scoltenna e il Rossenna, sono probabilmente etruschi e così diversi
toponimi. L’allevamento intensivo del maiale venne introdotto da loro e così la
coltivazione di uve rosse per vini frizzanti. La stessa viabilità fu impostata dagli
Etruschi e consolidata dai Romani80 81. Sul poggio di Frascole nel comune di
Dicomano (FI) nel XIII-XIV sec. d.C. sorgeva la pieve di San Martino, poi
annessa a quella di San Jacopo Maggiore. Sotto di essa sono stati ritrovati un
muro e un ex-voto anatomico, una gamba, e iscrizioni etrusche. Sull’appennino
Tosco-Emiliano vi sono credenze popolari e canti folkloristici che affondano le
loro radici in epoca etrusca. Un esempio è il folletto Fqfìon al quale è dedicato
un canto per la protezione del vino, assimilabile al dio etrusco Fufluns e al
romano Bacco82.
Queste tradizioni sono documentate nell’area dell’Etruria propriamente
detta, che era stata annessa da Roma senza l’interregno celtico. Più difficile
trovare simili indizi nell’Etruria padana e in particolare nel Modenese. Non è da
escludere che in quest’area le tradizioni etnische si siano confuse con quelle
romane, visto che l’orientamento delle élite etrusche, a partire dal III secolo a.C.
è quello di integrarsi con i Romani83.

80. NICOLETTA GIORDANI, Modena in AAVV, Aemilia la cultura romana in Emilia — Romagna, Venezia
2000, pp. 424-426.
81. MANFREDI -MALNATI, Gli Etruschi cit. P. 159-260.
82. CAMPOREALE, Gli Etruschi cit pp. 215-217.
83. CAMPOREALE, Gli Etruschi cit. pp. 97-98.

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