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I DOMENICA DI AVVENTO

Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14; Mt 24,37-44

La parola «Avvento» traduceva, nell'antico oriente, l'attesa e la preparazione per la venuta del re.
Anche nella fede, con questo termine, il popolo d'Israele designò - con le figure, i simboli e le profezie
- l'aspettazione del Messia liberatore. Per i cristiani il vocabolo ha un doppio significato: è l'attesa
della venuta di Cristo nel cuore di ogni uomo, rivivendo la sua venuta nel Natale, ed è, ancora, l'attesa
della sua venuta finale, quale Giudice (parusia).
«Venite, saliamo al monte del Signore». Anche nel tempo nostro, il monte, a confronto della bassura
e della metropoli, è un luogo salubre e silenzioso. Sulle alture, già in antico, come più vicino al cielo,
si erigevano luoghi di culto e di meditazione. L'invito, per andare incontro a Cristo, di salire in alto
vuol significare che è necessario strappare alla nostra vita abitudinaria e apatica una nuova volontà di
conoscere il Signore, per vivere in lui e dei suoi doni.
La liturgia propone l'accostamento all'arca di Noè, figura della Chiesa. Ai tempi del patriarca, il
mondo - anche allora - dimentico di Dio, si era ingolfato nei piaceri e negli interessi materiali: le opere
delle tenebre, come le chiama S. Paolo. Dio e la sua ora erano, per chi ancora ci credeva, un affare
lontano. E arrivò improvviso il diluvio e la distruzione. La lucerna accesa (vigilanza> era solo nelle
mani della famiglia di Noè che meritò così di salvarsi nell'arca.
Quell'ora non la conobbero i contemporanei di Noè né la conosciamo noi. Dio può chiamarci in
qualunque istante, proprio quando meno ce lo immaginiamo. E il giudizio si risolverà con la beati-
tudine (stella) o con la dannazione (fiamma).
«Tienti pronto all'incontro con il Signore, o Israele, poiché egli viene» (Am 4,12).
«Il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che voi non pensate» (Lc 12,40).

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