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LEZIONI DI TOPOGRAFIA
PREFAZIONE
SOMMARIO
PARTE I:
ELEMENTI DI GEODESIA
Sommario
PARTE II:
ELEMENTI DI CARTOGRAFIA
Sommario
Sommario
PARTE III:
TEORIA DEGLI ERRORI
PARTE IV:
STRUMENTI ED OPERAZIONI DI MISURA
Sommario
IX
Sommario
Sommario
PARTE V:
RILIEVI TOPOGRAFICI
XI
Sommario
XII
PARTE I
ELEMENTI DI GEODESIA
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Parte I Capitolo 1
CAPITOLO 1
GENERALITA' E DEFINIZIONI ELEMENTI DI GEODESIA
OPERATIVA
Parte I Capitolo 1
c)
d)
e)
f)
sulla superficie terrestre e la sua proiezione sul geoide presa lungo la verticale);
misurazione sul geoide di angoli e distanze per definire la posizione relativa
di ciascun punto. Trattandosi di superficie curva necessario definire sia gli
angoli che le distanze;
determinazione, sulla base delle misure fatte, della posizione dei punti e ci
mediante coordinate curvilinee (u, v). A tal scopo necessario definire
lequazione del geoide, un sistema di coordinate curvilinee ed eseguire i dovuti calcoli sulle misure per ricavare le coordinate di ciascun punto;
costruzione, in scala opportuna, della porzione di geoide interessata al rilievo, riporto su di essa del sistema di coordinate curvilinee e quindi di tutti i
punti rilevati tramite le relative coordinate. A questo punto, congiungendo
opportunamente con linee i punti proiettati, si possono evidenziare tutte le
particolarit del terreno. Per evidenziare landamento altimetrico, a fianco di
ciascun punto si riporta la sua quota: punti di eguale quota uniti danno luogo
alle curve di livello; un esempio di ci il mappamondo;
se per si vuole un supporto piano si deve ricorrere ad una rappresentazione
cartografica. Per far ci si deve stabilire una corrispondenza biunivoca tra le
coordinate curvilinee u e v e le coordinate cartesiane del piano x ed y:
x = f (u,v )
(1)
y = g (u,v )
che si definiscono equazioni della carta. Poich il geoide non una superficie
sviluppabile sul piano la rappresentazione piana che si ottiene sar deformata.
Fig. 1
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Parte I Capitolo 1
sura di angoli e distanze che usiamo forniscono gli stessi angoli e distanze che si sarebbero misurati sul geoide.
Anche le quote non possono essere misurate: noi misuriamo solo dislivelli per
cui baster collegarsi ad un punto situato sul geoide per avere le quote di tutti i punti
misurati.
Ci detto per risolvere i problemi detti occorre:
1) definire lequazione del geoide;
2) definire il sistema di coordinate curvilinee;
3) definire la natura degli angoli e delle distanze da misurare;
4) definire i calcoli che permettono di ricavare le coordinate dalle misure;
5) specificare le equazioni della carta.
Difficolt enormi: per fortuna esistono delle semplificazioni che possono sintetizzarsi in:
a) per piccoli intorni la superficie del geoide pu considerarsi piana;
b) per intorni di qualche centinaio di chilometri pu considerarsi sferica;
c) differenziazione tra punti di inquadramento e punti di dettaglio.
I punti di inquadramento vengono effettuati con operazioni geodetiche e sono
distribuiti sul territorio a distanze di tre-quattro chilometri.
I punti di dettaglio si appoggiano a questi e sia per le misure che per i calcoli
possono intendersi come effettuati sul piano.
Tutto ci vale solo per la planimetria non per le quote che debbono sempre essere riferite al geoide.
2. Definizione della superficie di riferimento
2.1. Equazione del geoide
Il campo di forza della gravit un campo conservativo, ammette cio potenziale.
Nel campo si individuano le linee di forza, tangenti in ogni punto alla direzione
della forza; nella fattispecie queste linee sono curve gobbe e prendono il nome di
verticale (la direzione della gravit in un punto tangente cio alla linea verticale
che vi passa).
Punti di eguale potenziale definiscono una superficie equipotenziale che ha la
caratteristica di essere normale alle linee di forza del campo.
Nel campo della gravit esistono infinite superfici equipotenziali: una di queste, cio quella passante per un punto di posizione planimetrica nota posto sul livello
medio del mare, dicesi geoide. Tutti i punti situati sul geoide avranno, ovviamente,
quota nulla.
Si riferisca il corpo terrestre ad un sistema di coordinate cartesiane OXYZ
avente lorigine O nel baricentro della Terra, lasse Z coincidente con lasse di rotazione e gli assi X ed Y coincidenti con gli assi principali dinerzia (Fig. 2).
Il vettore gravit g in un punto generico P funzione della posizione del
punto, cio
g = g ( X ,Y , Z )
e si pu considerare, fondamentalmente, composto da due forze:
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Fig. 2
Ricordiamo che in generale indicando con dP uno spostamento infinitesimo si
ha:
dW = g dP
cio la derivata del potenziale secondo la direzione dP d la componente del vettore
gravit in quella direzione; in particolare se la direzione individuata da dP tangente
alla superficie equipotenziale passante per P risulta ovviamente
dW = 0
cio g dP = 0
da cui si deduce lortogonalit di g rispetto alla superficie equipotenziale.
Ci detto il potenziale W la somma del potenziale V relativo alla forza di attrazione newtoniana e del potenziale relativo alla forza centrifuga.
Il potenziale di immediata deduzione
1
1
( X ,Y ) = 2 r 2 = 2 ( X 2 + Y 2 )
2
2
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Fig. 3
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Parte I Capitolo 1
(6)
a2
a2
3. L'ellissoide terrestre
3.1. Dimensioni dell'ellissoide
Diversi geodeti hanno lavorato per determinare i parametri che pi si addicessero allellissoide da assumere come riferimento; se ne citano alcuni che hanno preso
il nome dai geodeti che li hanno calcolati:
Bessel (1841)
Clarke (1880)
Helmert (1906)
Hayford (1909)
Krassovsky (1942)
WGS84
a = 6.377.397m
a = 6.378.243m
a = 6.378.140m
a = 6.378.388m
a = 6.378.425m
a = 6.378.137m
= 1/299,2
= 1/293,5
= 1/298,3
= 1/297,0
= 1/298,3
= 1/298,257
Al Congresso della Unione Geodetica e Geofisica Internazionale (UGGI), tenuto a Madrid nel 1924, si stabilito di assumere come ellissoide internazionale di
riferimento quello proposto da Hayford che pertanto si caratterizza con i seguenti parametri
a = 6.378.388
= 1/297,0
Al Congresso dellUGGI di Mosca nel 1971 stato consigliato di adottare
nuovi parametri per lellissoide e precisamente
a = 6.378.140
= 1/298,257
3.2. Coordinate curvilinee sullellissoide
In generale per individuare un sistema di coordinate curvilinee su una superficie di equazione
f ( X ,Y , Z ) = 0
(7)
occorre scegliere due parametri u e v e determinare le equazioni parametriche della
superficie
X = X (u ,v )
Y = Y (u ,v )
(8)
Z = Z (u ,v )
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(9)
Z = Z (u o , v )
Dando ad uo valori diversi si individua una famiglia di curve.
Ripetendo lo stesso procedimento con il parametro v si ottiene un'altra famiglia
di curve.
Le due famiglie di curve individuano sulla superficie un sistema di coordinate
analogo al sistema formato sul piano dalle rette x = cost. ed y = cost..
Conviene scegliere i parametri u e v in modo tale che le linee coordinate u =
cost e v = cost siano ortogonali, si incontrino cio sulla superficie formando un angolo retto.
Vediamo come si pu specificare questo procedimento per l'ellissoide di rotazione.
Ricordiamo dalla geometria analitica che in un ellissoide di rotazione i piani
contenenti lasse Z sono detti piani meridiani; tali piani intersecano lellissoide secondo ellissi, dette meridiani, tutte uguali e di equazione (Fig. 4)
r2 z2
+
=1
(10)
a2 c2
La (10) si ottiene dalla (4) ricordando che in ogni punto della superficie ellissoidica vale la relazione
2
2
2
X +Y =r .
Ricordiamo ancora che le intersezioni
dellellissoide con piani normali allasse Z sono circonferenze, dette paralleli, di raggio
nullo ai poli e pari al semiasse maggiore a sul
piano equatoriale (contenente il centro
dellellissoide); questo parallelo di raggio
massimo si dice equatore.
Ci detto possiamo definire due angoli
caratteristici di un punto P dellellissoide, e
precisamente (Fig. 5):
- l'angolo e, che langolo acuto che la
normale n allellissoide nel punto P forma con
il piano equatoriale (Fig. 4);
Fig. 4
l'angolo e, che langolo minore di
180 che il semipiano meridiano passante per
P forma con un semipiano origine.
In funzione di e e e, con opportuni calcoli, si possono determinare le equazioni parametriche dell'ellissoide:
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a cos e cos e
W
a cos e sen e
Y=
W
a 1 e 2 sen e
Z=
W
X=
(11)
avendo posto
W = 1 e 2 sen 2 e
I due angoli e e e possono
pertanto essere presi come coordinate di un punto P sulla superficie ellissoidica (Fig. 5) e si indicano col nome generico di coordinate geografiche ellisoidiche
e col nome specifico di
- latitudine ellissoidica e : si
specifica in latitudine nord e
latitudine sud a seconda che il
punto giaccia nellemisfero
boreale o australe;
- longitudine ellissoidica e, che
langolo minore di 180 che
il semipiano meridiano passante per P forma con un seFig. 5
mipiano origine, assunto come
il semipiano passante per la planimetria sullellissoide di un punto G (osservatorio di Greenwich) della superficie terrestre: si specifica in longitudine est o longitudine ovest a seconda che il punto sia ad est o a ovest del meridiano di Greenwich.
Alle linee e = cost. corrispondono i meridiani, luogo dei punti che hanno la
stessa longitudine; alle linee e = cost. corrispondono i paralleli, luogo dei punti che
hanno la stessa latitudine. Queste due famiglie di curve sono tra di loro ortogonali.
E importante osservare che i parametri e e e individuano sia la direzione di
una normale allellissoide che la posizione del punto per cui passa (coordinate curvilinee).
Se misurassimo direttamente i valori di e e e per tutti i punti della superficie
terrestre da rilevare avremmo con un solo atto realizzato tutte le operazioni descritte
nei punti a), b), c) e d) del par. 1.2..
Queste misure in effetti si possono eseguire con stazioni astronomiche, come si
vedr in seguito, ma richiederebbero complesse apparecchiature e lunghe e raffinate
osservazioni per ottenere la precisione necessaria per cui si ritengono inapplicabili
allo scopo.
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N
I valori di ed N sono dati, per conseguenza, dalla seguenti espressioni:
a( 1 e 2 )
a
=
N=
3
W
W
avendo, come al solito, posto
W = 1 e 2 sen 2 e
Si definisce infine raggio medio di curvatura dellellissoide in un punto P la
media geometrica dei raggi minimo e massimo
R = N
(12)
R pu considerarsi come il raggio di una sfera che oscula lellissoide nel punto
P e che viene detta sfera locale.
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Fig. 7
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e 2.
Ci posto si richiama il teorema di Clairaut espresso dalla formula
r sen = cos t
e dallenunciato: sulle superfici di rotazione costante per ogni punto della geodetica il prodotto del raggio del parallelo per il seno dellazimut della geodetica.
Tale teorema molto importante in quanto ci permette di definire con semplicit le linee geodetiche di una superficie di rotazione e di individuarne il percorso.
Per es. una geodetica che esce da P con un angolo di 50 avr il suo azimut
sempre crescente mano a mano che si allontana da P in quanto il raggio del parallelo
andr diminuendo.
4.5. Misure effettuabili sul terreno
a) Distanza tra due punti
Se consideriamo due punti A e B sulla superficie terrestre gli strumenti ed i
metodi di misura utilizzati permettono di misurare la lunghezza l dellarco di sezione
normale che congiunge le proiezioni Ao e Bo; in effetti le sezioni normali che congiungono questi due punti sono due: una quella che contiene la verticale per Ao ed il
punto Bo e da luogo allarco l, laltra quella che contiene la verticale per Bo ed il
punto Ao e da luogo allarco l. La lunghezza l, o l, la distanza che si pu effettivamente misurare sul terreno (Fig. 8).
b) Azimut di un punto
Sempre considerando i due punti anzidetti lazimut di B rispetto ad A che si
pu misurare sul terreno con osservazioni astronomiche langolo che la
sezione normale che contiene la verticale per Ao ed il punto Bo forma con la
tangente al meridiano in Ao diretta verso Nord: come gi detto tale angolo si
valuta partendo dal meridiano in senso
orario e pu assumere tutti i valori
compresi tra 0 e 2 (Fig. 8).
c) Angolo azimutale tra due
punti
Considerando un terzo punto O
insieme agli anzidetti A e B, langolo
azimutale AOB che si pu misurare sul
Fig. 8
terreno langolo diedro formato dalle
sezioni normali OoAo e OoBo cio
langolo diedro tra il piano che contiene la verticale per O ed il punto A ed il piano
che contiene la verticale per O ed il punto B (Fig. 8).
d) Distanza zenitale
Considerati due punti A e B sulla superficie terrestre, intervisibili, si definisce
distanza zenitale zAB langolo che la verticale in A forma con la congiungente AB; tale
angolo si pu effettivamente misurare sul terreno con gli strumenti a nostra disposizione.
e) Dislivello
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1
0,13 mm
10
1,3 cm
20
5,4 cm
50
0,33 m
100
1,3 m
Per le quota, quindi, i limiti entro i quali si pu assumere come superficie di riferimento la sfera sono molti pi ristretti.
Tenendo conto della precisione con cui si possono ottenere i dislivelli con una
livellazione trigonometrica tale limite si pu stabilire sui 20 km.
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Q = CQ' R = R 2 + s 2 R = R( 1 +
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s2
1)
R2
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0,1
0,0008 m
0,5
0,02 m
1,0
0,08 m
5,0
2,0 m
10,0
7,8 m
Poich si possono misurare differenze di quota tra punti distanti 100 m con la
precisione del decimo di mm, con livellazione geometrica di alta precisione, si pu
constatare che non mai lecito sostituire il piano tangente nelle misure delle quote.
5.4. Risoluzione di triangoli sferici. Teorema di Legendre
Si consideri sulla sfera locale un triangolo i cui lati siano tre geodetiche, cio
tre archi di cerchio massimo, contenuti ovviamente nel campo geodetico.
Siano a, b e c le lunghezze di tale geodetiche (che, come detto, possiamo misurare sul
terreno) ed , e gli angoli corrispondenti
(Fig. 12). Tali angoli sono, come visto, corrispondenti agli angoli azimutali che noi misuriamo sulla superficie terrestre.
La geometria sferica ci insegna che la
somma dei tre angoli , e superiore a di
una quantit, che denoteremo con 3, chiamata
eccesso sferico
+ + = + 3
Tale quantit, dal teorema di Cavalieri, si
Fig. 12
calcola con la formula
S
3 = 2
R
dove S indica larea del triangolo ed R il raggio della sfera.
Ci detto, la risoluzione di tale triangolo si semplifica notevolmente utilizzan-
Fig. 13
do il teorema di Legendre (Fig. 13) che, in forma semplificata, si pu cos enunciare:
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un triangolo sferico pu essere risolto come un triangolo piano avente i lati della
stessa lunghezza del triangolo sferico e gli angoli uguali ai corrispondenti del triangolo sferico, diminuiti ciascuno di un terzo delleccesso sferico.
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Parte I Capitolo 2
CAPITOLO 2
DETERMINAZIONE DELLE COORDINATE DI PUNTI SULLA
SUPERFICIE DI RIFERIMENTO
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Parte I Capitolo 2
s = ( X + Y )2 + ( Y 2X )2
tan =
X + Y
Y 2X
Fig. 15
Si determinino le coordinate a0 e a0 di in punto P0, opportunamente scelto,
con una stazione astronomica (vedi seguito) e l'azimut a0 di una geodetica uscente
da P0 e passante per uno dei punti Pi , nel nostro esempio sia P1 , e si assumano tali
misure come riferite all'ellissoide; ci vale a dire che in tale punto si far coincidere
la verticale, individuata dalle coordinate astronomiche, con la normale all'ellissoide,
ovvero che in tale punto si render l'ellissoide osculante (tangente) al geoide.
In tale operazione consiste il cosiddetto "orientamento dell'ellissoide" che per
va completata bloccando la possibilit che l'ellissoide ha di ruotare intorno alla normale; ci viene fatto facendo coincidere l'azimut a0 con l'azimut ellissoidico.
In sintesi possiamo dire che in tale punto si avr
a0 = e0
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a 0 = e 0
a0 = e0
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= 0 +
s cos0
2
2
3
20 N0 cos0 0 1 e sen 0
6 0
= 0 +
+
+
+
N0 cos0
0
N0
2N02 cos2 0
6 N02 cos0
= 0 +
+
N0
2
N0
N0
0
Fig. 18
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Avendo gi visto che la verticale (normale al geoide) non coincide con la normale allellissoide se non in punti molto particolari, se ne conclude che le due coppie
di coordinate differiscono da punto a punto.
3.2. Sfera celeste
Il cielo ha laspetto di una sfera enormemente grande, sfera celeste, sulla quale
si vedono proiettati gli astri (posizioni apparenti); rispetto al raggio di tale sfera la
terra pu considerarsi puntiforme e posta nel centro C (Fig. 19).
Con ci ogni punto pu essere individuato dalla direzione della verticale passante per esso che interseca la sfera celeste in un punto chiamato zenit
dellosservatore; il piano normale alla verticale detto piano orizzontale
dellosservatore.
Le posizioni apparenti relative delle stelle possono considerarsi immutabili
perch il loro moto apparente, data la loro enorme distanza dalla terra, si pu considerare trascurabile nel volgere anche di molti anni; esse, ad un osservatore terrestre,
appaiono dotate di un moto di rotazione da est ad ovest intorno ad un asse, chiamato
asse del mondo, ottenuto prolungando lasse terrestre fino a definire sulla volta celeste due punti, PN e PS , polo nord e polo sud.
I piani che contengono lasse del mondo determinano sulla sfera celeste delle
curve detti meridiani, mentre i piani perpendicolari a tale asse determinano delle curve detti paralleli.
Fig. 19
Lequatore celeste il parallelo di raggio massimo, contenente il centro della
sfera celeste.
Contrariamente alle stelle, i componenti del sistema solare (sole, luna, pianeti,
satelliti, etc.), data la loro vicinanza alla terra, non possono considerarsi immutabili;
essi variano la loro posizione sensibilmente da un giorno allaltro.
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Lecclittica un cerchio massimo nel quale si svolge il cammino del Sole sulla
sfera celeste; il piano dellecclittica inclinato di 2327 sul piano dellequatore e
interseca tale piano in due punti, e , detti punti equinoziali ( equinozio di primavera, equinozio di autunno).
Il punto si sposta lungo lecclittica poich lasse terrestre, pur rimanendo
sempre inclinato rispetto al piano dellecclittica, descrive ogni 26.000 anni un cono
di 2 x 2327 47 (precessione degli equinozi).
Oltre a questo movimento lasse terrestre descrive nel periodo di circa 19 anni
un altro cono di apertura molto pi piccola (nutazione) che determina spostamenti
del punto molto pi piccoli di quelli dovuti alla precessione.
A parte questi movimenti, ben noti, il punto pu considerarsi fisso sulla sfera
celeste.
Nelle considerazioni che seguono considereremo la sfera celeste di raggio unitario poich sono implicate soltanto direzioni e si possono applicare le formule della
trigonometria sferica; ogni punto sulla sfera individua con il centro una direzione e,
viceversa, ogni direzione uscente dal centro individua un punto sulla sfera.
3.3. Sistemi di riferimento
Ogni direzione pu essere individuata sulla sfera da due angoli una volta che
sia definito il sistema di riferimento.
I sistemi di riferimento si possono dividere in due categorie: quelli che sono
fissi rispetto alle posizioni apparenti delle stelle, utili agli astronomi per determinare
e studiare i movimenti relativi degli astri sulla sfera celeste (coordinate equatoriali e
coordinate ecclittiche) e quelli che sono fissi rispetto alla terra, utili in particolare per
la determinazione delle coordinate geografiche (coordinate altazimutali e coordinate
equatoriali locali).
3.3.1. Coordinate equatoriali
Si consideri un astro S (Fig. 20) ed il meridiano che lo contiene, detto anche
cerchio di declinazione.
Tale
meridiano
interseca
lequatore celeste in un punto R.
Ci detto le due coordinate equatoriali sono:
- lascenzione retta AR pari allangolo
tra Il punto ed il punto R;
- la declinazione pari allangolo fra
lastro S ed il punto R.
Lascenzione retta pu assumere
valori tra 0 e 360 e si conta positivamente a partire dal punto verso est.
La declinazione pu assumere
valori tra 0 e 90 contata positivamente nellemisfero nord e negativaFig. 20
mente nellemisfero sud.
Langolo complementare p della
declinazione (p = 90- ) si chiama distanza polare.
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Parte I Capitolo 2
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Parte I Capitolo 2
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PARTE II
ELEMENTI DI CARTOGRAFIA
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Parte II Capitolo 1
CAPITOLO 1
GENERALITA' E DEFINIZIONI ELEMENTI DI TEORIA DELLE CARTE
Fig. 1
Se ora tagliamo il cilindro secondo una generatrice e lo distendiamo sul piano
noteremo che il triangolo geodetico si deforma, nel senso che da figura spaziale diviene piana, per i lati, anche trasformandosi da archi di geodetiche a segmenti di
retta (geodetica del piano), mantengono la stessa lunghezza; analogo discorso vale
per gli angoli che mantengono inalterato il loro valore.
Il cilindro infatti, come anche il cono, sono figure sviluppabili sul piano; cio si
possono distendere sul piano senza che gli angoli o lati di figure tracciate su di essi
subiscano deformazioni.
L'ellissoide invece, o nel caso pi semplice la sfera, non una superficie sviluppabile sul piano, nel senso che non possibile distenderla sul piano senza che gli
angoli e i lati subiscano delle deformazioni.
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Parte II Capitolo 1
Fig. 2
dsr il corrispondente nella rappresentazione (Fig. 2), il rapporto
ds
ml = r
ds e
dicesi modulo di deformazione lineare.
Esso varia con continuit da punto a punto della rappresentazione, perch nel
caso contrario si avrebbe una rappresentazione priva di deformazioni; si pu mantenere uguale all'unit solo in particolari linee della rappresentazione.
1.3. Modulo di deformazione areale
Se indichiamo con de un elemento di area infinitesimo sull'ellissoide e con
dr il corrispondente elemento sulla rappresentazione (Fig. 3) il rapporto
d r
m =
d e
dicesi modulo di deformazione areale.
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Parte II Capitolo 1
Fig. 3
1.4. Modulo di deformazione angolare
Se consideriamo un meridiano sull'ellissoide e la linea che gli corrisponde
nella rappresentazione (trasformata del meridiano) ed inoltre l'azimut di un gene-
Fig. 4
rico arco di geodetica sull'ellissoide e l'azimut ' della corrispondente linea sulla
rappresentazione (Fig. 4), la differenza
m = '
dicesi modulo di deformazione angolare.
La deformazione di un angolo risulta anche dalle deformazioni delle due direzioni che lo formano.
1.5. I diversi tipi di rappresentazioni
Abbiamo visto che la rappresentazione piana dell'ellissoide comporta sempre
delle deformazioni definite dai tre moduli anzidetti.
La teoria delle carte studia diversi sistemi per la formazione di rappresentazioni
che approssimino quanto meglio possibile la planimetria del terreno sull'ellissoide.
Tra tutte queste rappresentazioni se ne possono definire alcune chiamate isogone o conformi che mantengono l'uguaglianza tra gli angoli, nelle quali cio il modulo
di deformazione angolare nullo (m = 0).
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Parte II Capitolo 1
= (N , E )
b) i moduli di deformazione in funzione di e , o meglio in funzione di N ed
E;
c) il reticolato geografico ovvero la determinazione delle linee che sulla rappresentazione indicano le trasformate dei meridiani e dei paralleli ed in particolare la definizione dell'angolo che la tangente alla trasformata del meridiano in un punto P forma con l'asse N.
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Parte II Capitolo 1
Fig. 5
A seconda della posizione del punto C di tangenza si avranno:
- proiezioni polari col piano tangente al polo;
- proiezioni azimutali col piano tangente in un punto qualunque della superficie
della sfera;
- proiezioni meridiane col piano tangente in un punto dell'equatore.
Tutte le proiezioni prospettiche sono afilattiche ad eccezione della stereografica che conforme. La centrografica possiede il pregio di far corrispondere rette agli
archi di cerchio massimo, cio alle geodetiche.
E' evidente come le deformazioni aumentino
allontanandosi dal punto C di tangenza; per contenerle entro limiti accettabili necessario limitare,
intorno al punto C, la zona della Terra da rappresentare.
Per rappresentare zone molto ampie si ricorre alle rappresentazioni policentriche in cui si eseguono varie proiezioni spostando il piano di tangenza in modo opportuno.
A parit di deformazioni, si pu aumentare il
Fig. 6
raggio della zona della terra da cartografare ricorrendo all'artifizio di rendere il piano secante anzich tangente (Fig. 6).
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Parte II Capitolo 1
Fig. 7
Fig. 8
In Fig. 9 indicato lo sviluppo sul piano di una proiezione cilindrica diretta limitata ad una ampiezza di latitudine di 60; si pu notare che le immagini sia dei
meridiani che dei paralleli costituiscono due fasci di rette parallele fra loro ortogonali. Le distanze fra i meridiani risultano proporzionali alle differenze delle loro longitudini mentre la distanza fra i paralleli funzione della latitudine e le deformazioni
della carta crescono rapidamente con la latitudine.
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Parte II Capitolo 1
Fig. 9
In Fig. 10 indicato lo sviluppo sul piano di una proiezione cilindrica inversa
relativamente al semiellissoide compreso fra le longitudini di 90 ; da notare in
particolare che i meridiani di latitudine 90 si scindono in due semirette parallele
all'asse delle E.
Fig. 10
I meridiani risultano fortemente deformati all'aumentare delle differenze di
longitudine dal meridiano di tangenza; cos pure i paralleli all'aumentare della latitudine.
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39
Parte II Capitolo 1
Fig. 11
Le proiezioni coniche sono afilattiche, mantenendo l'equidistanza solo sul parallelo di tangenza.
Per contenere le deformazione necessario limitare in latitudine la fascia della
Terra che si pu restituire; anche in questo caso si pu aumentare la zona da cartografare rendendo il cono secante secondo due paralleli lungo i quali la proiezione,
ovviamente, diviene equidistante.
Per la rappresentazione di vasti territori si ricorre ad una proiezione policonica;
cio a proiezioni coniche ottenute con coni di apertura variabile; ad esempio su coni
tangenti a paralleli che differiscono di 4 di latitudine.
Come casi limite la conica diviene prospettica ai poli (apertura 180) e cilindrica (apertura 0) all'equatore.
40
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Parte II Capitolo 1
d
r
con ed r rispettivamente raggio del meridiano e del parallelo
N E
N
E
=
=
u
u
Le equazioni di una rappresentazione equivalente sono del tipo
N E E N
= r
ovvero, introducendo la latitudine ridotta,
N E E N
= r2
u u
du =
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Parte II Capitolo 1
c
Le formule suddette derivano da sviluppi in serie che, limitati ai termini ripor-5
tati, portano ad errori relativi massimi su N ed E di 2,5.10 quando 3.
4
Il modulo di deformazione lineare, trascurando i termini in , assume la forma
E2
ml = 1 +
2 N
da cui si vede che esso vale 1 solo sul meridiano centrale e cresce rapidamente all'allontanarsi dall'asse N (cresce col quadrato di E).
Nelle formule ponendo = cost si ottengono le equazioni parametriche dei meridiani, mentre ponendo = cost le equazioni parametriche dei paralleli.
Le trasformate dei meridiani e dei paralleli sono curve alquanto complesse; le
prime volgono la concavit verso il meridiano centrale e sono simmetriche rispetto
allo stesso, le seconde sono molto prossime ad archi di parabola con la convessit
verso l'equatore ed anch'esse simmetriche rispetto ad esso.
In Fig. 12 riportato il reticolato geografico relativo al semiellissoide compreso tra le longitudini 90 e +90 considerando come meridiano centrale quello di
Greenwich dove si possono notare le notevole deformazioni che subiscono i meridiani ed i paralleli allontanandosi dal meridiano centrale e dall'equatore; si noti che i
meridiani alle latitudini 90 e +90 si scindono in due semirette parallele all'asse E.
Volendo ridurre le fortissime deformazioni necessario limitare notevolmente
il valore della differenza di longitudine tra il meridiano centrale e le zone da cartografare.
42
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Parte II Capitolo 1
Per ottenere deformazioni accettabili la parte di ellissoide da rappresentare viene limitata ad un fuso di ampiezza pari a 6 posto a cavallo del meridiano centrale;
per rappresentare vaste zone si avranno quindi pi fusi per ognuno dei quali si assume un diverso meridiano di riferimento.
Con tale limitazione, alle nostre latitudini, le distanze subiscono una deformazione massima dello + 0,8 (80 cm/km) agli estremi del fuso (3).
Si noti la notevole somiglianza con la proiezione cilindrica inversa che per
afilattica mentre la rappresentazione di Gauss conforme.
Fig. 12
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Parte II Capitolo 1
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Parte II Capitolo 1
il reticolato geografico e/o la quadrettatura del sistema di coordinate piane adottato (vedi seguito);
- quando rispetta geometricamente delle tolleranze assegnate.
Per indicare la precisione di una carta in generale ci si riferisce a due coefficienti:
- mp detto errore medio planimetrico;
- ma detto errore medio altimetrico,
che indicano gli errori medi nella posizione di un punto della carta ricavato da una
copia stampata della stessa.
Tali errori medi (che sono inversamente proporzionali alla precisione, come si
vedr nella teoria degli errori) vengono stabiliti dagli Enti che sovrintendono alle
cartografie dei vari Stati o dai Capitolati di particolari rilevamenti e sono ovviamente
dipendenti dalla scala della carta.
In linea generale l'errore medio planimetrico mp viene stabilito in un valore
compreso tra 0,2 e 0,5 mm, alla scala della carta; per es. in una carta in scala
1:25.000 risulterebbe 5,0 12,5 m, mentre in una carta in scala 1:1.000 si avrebbe
0,2 0,5 m.
Tale errore tiene anche conto dell'errore di graficismo, ossia dell'errore massimo che un buon disegnatore cartografo pu commettere nel tracciamento di una linea, errore che per prassi si considera pari a 0,2 mm effettivi; per meglio chiarire il
concetto ci significa che qualunque punto tracciato dal disegnatore sulla carta non
sar mai nella sua posizione vera ma sar, con elevata probabilit (68,3%), contenuto
in un cerchio del diametro di 0,4 mm.
L'errore medio altimetrico ma viene fissato in un valore compreso tra 0,02 e
0,2 mm, alla scala della carta, per le quote numeriche scritte per esteso sulla carta
rilevata in corrispondenza di particolari del terreno (alla scala 1:25.000 si avrebbe
0,5 5,0 m, mentre alla scala 1:1.000 si otterr 0,02 0,2 m), mentre per le
quote ricavate dalle curve di livello viene fissato un valore compreso tra 0,1 0,5
mm, sempre alla scala della carta, (alla scala 1:25.000 si avrebbe 2,5 12,5 m
mentre alla scala 1:1.000 si otterr 0,1 0,5 m).
Stabiliti gli errori medi si individuano le tolleranze delle carte tramite le seguenti relazioni:
tp = 2 mp tolleranza planimetrica;
ta = 2 ma tolleranza altimetrica.
Le tolleranze indicano i valori che non debbono mai essere superati.
4.5. Carte praticamente equidistanti
Nell'introduzione dei concetti di moduli di deformazione ed in tutti gli esempi
di proiezioni e rappresentazioni si visto come gli stessi tendano ad aumentare allontanandosi dalla zona di tangenza dell'ellissoide, sia esso una linea o un punto. Limitando allora convenientemente il raggio della zona da cartografare (il campo della
rappresentazione) si pu fare in modo che le deformazioni rientrino in limiti prefissati, per esempio entro il limite rappresentato dall'errore di graficismo introdotto al
paragrafo precedente.
In tali situazioni si produrranno carte in modo tale che su ogni foglio le deformazioni generino errori massimi che divisi per il denominatore della scala risultino
minori del graficismo; i fogli di tali carte possono allora considerarsi, agli effetti
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Parte II Capitolo 1
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Parte II Capitolo 1
Fig. 13
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Parte II Capitolo 1
L'importanza di questa carta, ancora oggi largamente usata per le carte nautiche
e per la navigazione aerea, deriva dall'essere conforme e da avere meridiani e paralleli rettilinei.
In conseguenza di ci se tracciamo sulla carta una retta che congiunge due
punti P e Q essa incontra sia i meridiani che i paralleli secondo angoli costanti; in
marina l'angolo pi usato l'angolo che tale retta forma con i meridiani e che, essendo la carta conforme, coincide con l'angolo che la linea corrispondente tracciata
sull'ellissoide forma con i meridiani.
Questa linea viene indicata con il nome di lossodromia e rappresenta il percorso che bisogna fare sulla Terra per andare da un punto P ad un punto Q mantenendo
una angolo di rotta costante (mediante la bussola); sulla carta del Mercatore si determina semplicemente congiungendo i due punti con una retta e misurando con un
goniometro l'angolo che essa forma con i meridiani.
Si noti per che la lossodromia, sulla Terra, non rappresenta la rotta di minor
percorso coincidente con la geodetica PQ e detta ortodromia, la quale interseca i meridiani secondo angoli sempre variabili (si ricordi il teorema di Clairaut Parte I Cap.1
par. 4.4.).
Per distanze PQ non troppo elevate la differenza tra le due rotte trascurabile,
per cui si naviga secondo la lossodromia, di pi facile ed immediata determinazione;
per distanze PQ elevate (attraversamenti di oceani) conviene percorrere una spezzata
di lossodromie che approssimi quanto meglio la ortodromia. Per il tracciamento della
ortodromia sulla carta del Mercatore necessario l'ausilio di una carta realizzata in
proiezione centrografica in cui, come detto, la retta congiungente i due punti P e Q
rappresenta la geodetica.
Un altro pregio notevole della carta del Mercatore che con essa si rappresenta con continuit tutta la Terra in un unico sistema di coordinate piane N ed E.
Lo svantaggio della carta del Mercatore deriva dal rapido accrescimento del
modulo di deformazione lineare con l'aumentare della latitudine; in conseguenza di
ci la scala della carta, all'interno di ogni foglio, non costante ma variabile da parallelo a parallelo e viene indicata per fasce di latitudini (Fig. 13).
In conseguenza di ci la misura delle distanze sulla carta del Mercatore scarsamente precisa ma per l'uso che se ne fa ci ha poca importanza.
Al disopra e al disotto di 80 di latitudine, a causa delle notevoli deformazioni,
la carta del Mercatore non viene praticamente usata.
La proiezione del Mercatore viene usata per allestire le carte nautiche e nella
Carta Aeronautica di Navigazione (plotting Cart) alla scala 1:2.000.000.
5.2. Proiezione stereografica polare
E' gi stata definita al par. 2.2. e si visto che l'unica proiezione pura che
mantiene la conformit.
Il suo utilizzo cartografico si manifesta nelle realizzazione della cartografia
delle calotte polari, ponendo quindi il piano tangente ai poli, da cui prende il nome di
stereografica polare.
In tale proiezione i meridiani sono rappresentati da rette uscenti dall'origine
delle coordinate cartografiche N ed E formanti tra loro angoli uguali alle rispettive
differenze di longitudine, mentre i paralleli si trasformano in circonferenze concentriche con il centro nell'origine degli assi; i raggi di queste circonferenze sono ov-
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Parte II Capitolo 1
viamente maggiori dei raggi dei rispettivi paralleli e tale diseguaglianza aumenta all'allontanarsi dall'origine degli assi a causa dell'aumento delle deformazioni.
Il modulo di deformazione pu considerarsi uguale ad 1 nei dintorni del polo e
tende ad aumentare col diminuire della latitudine.
Fig. 14
Per mantenere le deformazioni in limiti accettabili tale proiezione si estende
non oltre i paralleli di 70 di latitudine. All'interno di tali limiti il modulo di deformazione cos piccolo che ogni foglio della carta da ritenersi a scala costante.
Un pregio fondamentale di tale carta che la ortodromia tra due punti rappresentata dalla retta congiungente; unendo cos i due punti sulla carta con una retta
si possono misurare gli angoli di rotta da tenere per seguire il percorso minimo e sono gli angoli, sempre diversi, che la retta forma con i meridiani.
5.3. Proiezione conica conforme di Lambert
Nella proiezione conica pura descritta al par 2.4. i meridiani si trasformano in
rette formanti tra di loro angoli proporzionale alle rispettive differenze di longitudine, mentre i paralleli si trasformano in circonferenze concentriche il cui raggio funzione della sola latitudine.
Abbiamo visto che la proiezione pura afilattica.
Lambert (1770) pens di modificarla, in modo da ottenere una carta conforme,
lasciando inalterata la generazione proiettiva dei meridiani e modificando i raggi
delle circonferenze, immagini dei paralleli, tramite una relazione analitica funzione
della sola latitudine.
In Fig. 15 sono riportate a tratto continuo la circonferenze generate dalla proiezione e tratteggiate dopo la modifica apportata da Lambert.
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Parte II Capitolo 1
Il modulo di deformazione in tale carta funzione solo della differenza di latitudine dal parallelo di tangenza, che equidistante, per cui costante su ogni parallelo.
Fig. 15
Per contenere le deformazioni all'interno del graficismo per ogni elemento
della carta necessario che l'ampiezza della latitudine della carta non superi 4.
Quindi per cartografare vaste zone della Terra, a latitudini molto differenziate,
necessario ricorrere a pi sviluppi conici che hanno l'inconveniente di essere indipendenti l'uno dall'altro, cio hanno sistemi di coordinate N ed E diversi. Per tale
motivo questa proiezione si presta meglio per cartografare Stati che si estendono in
longitudine pi che in latitudine.
I pregi di tale proiezione sono i medesimi messi in evidenza per la stereografica polare: grande approssimazione nella costanza della scala e nella rettilineit dell'ortodromia all'interno di ogni elemento.
E' una proiezione molto utilizzata; di essa sono note:
- la Carta Internazionale del mondo in scala 1:1.000.000 in fogli di 6 di longitudine per 4 di latitudine estesa tra + 4 e + 72 di latitudine Nord e 4 e 72 di
latitudine Sud ed integrata dalla carta del Mercatore tra 4 e + 4 di latitudine e
dalla stereografica polare tra 72 e 90la carta Aeronautica del Mondo OACIWAC in scala 1:1.000.000;
- la carta Aeronautica del Mondo in scala 1:1.000.000 allestita dalla Coast and
Geodetic Survey degli USA; la proiezione di Lambert stata usata per le quaranta fasce di ampiezza di 4 comprese fra 80 e + 80 di latitudine integrata
dalla stereografica polare per le calotte polari;
- la Carta Aernautica regionale d'Italia in scala 1:500.000 in 11 fogli;
- la carta degli USA.
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Parte II Capitolo 2
CAPITOLO 2
LA CARTOGRAFIA UFFICIALE DELLO STATO ITALIANO
LA CARTOGRAFIA CATASTALE
Fig. 16
La sua genesi la dovrebbe porre fra le rappresentazioni, ma viene comunemente indicata col nome di proiezione in quanto pu ritenersi ottenuta col seguente
procedimento:
- si inscrive l'ellissoide in un poliedro le cui facce, a forma di trapezio isoscele, gli
sono tangenti in punti distribuiti ad intervalli regolari di latitudine e longitudine;
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Parte II Capitolo 2
si proiettano i punti dell'ellissoide su tali facce dal suo centro (proiezione centrografica).
Ogni faccia rappresenta quindi una carta a se stante con un proprio centro C
(punto di tangenza) diverso da quello delle altre carte del sistema e per tale motivo la
proiezione viene detta policentrica.
L'asse N corrisponde al meridiano centrale e l'asse E al parallelo per C.
I pregi di questa proiezione derivano dal fatto che, limitando opportunamente
gli intervalli di latitudine e di longitudine da cartografare, essa, oltre che equivalente,
risulta anche praticamente equidistante e quindi anche praticamente conforme nell'ambito di ogni carta.
L'inconveniente principale consiste nel fatto che i sistemi di coordinate piane N
ed E sono diversi da carta a carta; pertanto se si vuol calcolare la distanza fra due
punti appartenenti a carte diverse, anche contigue, bisogna ricorrere alle loro coordinate geografiche.
Per la cartografia Italiana gli intervalli di longitudine e latitudine sono stati fissati in 30' e 20' rispettivamente; in tal modo si sono ottenuti i 284 fogli che coprono
tutto il territorio italiano.
Ulteriori suddivisioni dei fogli in quattro parti, denominate quadranti, e dei
quadranti in quattro parti, denominate tavolette, hanno portato alla seguente organizzazione della cartografia italiana (Fig. 17):
- Fogli che coprono una porzione di
territorio di 30' di longitudine e 20'
di latitudine, sono restituiti in scala
1:100.000 ed indicati con un numero arabo da 1 a 284;
- Quadranti, ottenuti dalla suddivisione di un foglio in quattro parti,
che coprono una porzione di territorio di 15' di longitudine e 10' di
latitudine, sono restituiti in scala
1:50.000 ed indicati con un numero romano, I quello ad orientamento NE e gli altri tre numerati in
senso orario;
- Tavolette, ottenute dalla suddiviFig. 17
sione di un quadrante in quattro
parti, che coprono una porzione di
territorio di 7'30'' di longitudine e 5' di latitudine, sono restituiti in scala 1:25.000
e denominati con l'orientamento cardinale (NE, SE, SO, NO) ed il nome della localit pi caratteristica in esse cartografata.
L'origine delle longitudini, che determina il taglio geografico delle carte, il
meridiano astronomico di Roma M. Mario (passante per un punto dell'Osservatorio
Astronomico di Roma M. Mario) mentre l'origine delle latitudini stato assunto dall'equatore.
Come ellissoide di riferimento fu assunto l'ellissoide di Bessel orientato in un
punto situato presso l'Osservatorio di Genova.
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Parte II Capitolo 2
Fig. 18
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Parte II Capitolo 2
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Parte II Capitolo 2
0,8 al margine del fuso, risultano sempre comprese tra 0,4 (contrazione massima sul meridiano centrale) e +0,4 (dilatazione massima al margine del fuso) e
quindi sempre assorbite dal graficismo (la deformazione massima risulta di 5,6 m su
una tavoletta).
Con tale artifizio il modulo di deformazione lineare (compreso tra i limiti
0,9996 e 1,0004 all'interno di un fuso) all'interno di ogni tavoletta ha delle variazioni
talmente piccole da poterle considerare nulle e quindi tale da poter considerare la
carta, all'interno di ogni tavoletta, praticamente equidistante.
Un'altra caratteristica fondamentale della cartografia UTM la presenza su
ogni carta di un reticolato a maglie quadrate di 1 Km di lato sul terreno; le rette che
formano questo reticolato sono tracciate parallelamente agli assi N ed E per valori
tondi alle unit del Km e sono numerate di Km in Km sui bordi della carta.
Ricordando come si deformano i meridiani ed i paralleli nella rappresentazione
di Gauss rispetto al meridiano di tangenza ne risulta che il reticolato chilometrico risulta disorientato rispetto al reticolato geografico e tale disorientamento tende ad
aumentare allontanandosi dal meridiano centrale.
Fig. 20
In Fig. 20 stato indicato, solo in parte, il reticolato chilometrico sovrapposto
al reticolato geografico; lo schema ha solo una funzione didattica per chiarire l'andamento dei due reticolati.
Nelle carte in generale il reticolato geografico non viene mai disegnato per intero ma viene solo riportato sui bordi di primo in primo sessagesimale e vengono indicate sui quattro vertici le relative latitudine e longitudine.
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Parte II Capitolo 2
Fig. 21
Nella Fig. 21 riportata una tavoletta in scala 1:25.000 della cartografia italiana dove si notano:
- il reticolato geografico indicato solo sui bordi con tratti bianchi e neri dell'ampiezza di 1';
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Parte II Capitolo 2
il reticolato chilometrico tracciato per esteso con indicata la coordinata corrispondente a ciascun tratto in chilometri: si noti a tale proposito che la coordinata
riportata solo con le ultime due cifre significative mentre le altre cifre, una per
la E e due per la N, sono solo indicate saltuariamente per non appesantire la carta.
Nell'esempio evidenziato chiaramente il disorientamento tra il reticolato chilometrico e quello geografico rappresentato dai bordi della carta che, ricordiamo,
tagliata secondo meridiani e paralleli.
Volendo determinare le coordinate del un punto P indicato si misurano le distanze dai pi vicini tratti del reticolo, si trasformano tali distanze in metri-terreno
tramite la scala della carta e si aggiungono o sottraggono alle coordinate di ciascun
tratto.
Nell'esempio in Fig. 21, essendo la tavoletta in scala 1:25.000, si avr:
N = 4.299.000 1,2*250 = 4.298.700 m;
E = 603.000 1,7*250 = 602.575 m.
1.3. La nuova cartografia italiana
Nel 1942, in concomitanza con l'adozione dell'ellissoide internazionale e della
rappresentazione di Gauss, anche in Italia si decise di abbandonare la proiezione policentrica e l'ellissoide di Bessel per adeguarsi alla nuova realt.
La cartografia prodotta stata impostata secondo i seguenti criteri:
a) il taglio rimasto identico a quello
in vigore cio secondo meridiani e
paralleli intervallati rispettivamente di 30' e 20' denominati fogli
(indicati con un numero arabo e riportati in Fig. 22 solo per la Sardegna) e cartografati in scala
1:100.000, a loro volta suddivisi in
quadranti (denominati con un numero romano) di 15' e 10' e cartografati in scala 1:50.000, suddivisi
ancora in tavolette (denominate
con l'orientamento cardinale) di
7',30 e 5' e cartografate in scala
1:25.000;
b) l'origine delle longitudini si conservata sul meridiano di M. Mario
(Roma) la cui longitudine da GreFig. 22
enwich stata fissata in 12 27'
08",40;
c) per la rappresentazione si sono adottati due fusi, detti fuso ovest o primo fuso
e fuso est o secondo fuso, corrispondente con i fusi 32 e 33 dell'UTM; ci ha
facilitato l'inserimento della nostra cartografia in tale sistema mondiale.
L'ampiezza del primo fuso stata incrementata di 30' passando da 6 a 6 30'
per creare una zona di sovrapposizione con il secondo fuso e ridurre in parte
l'inconveniente derivante dal passaggio fra i sistemi di coordinate dei due fusi (nelle zone cartografate ricadenti nella zona di sovrapposizione vengono
inseriti sulle carte entrambi i reticolati). L'ampiezza del secondo fuso stata
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Parte II Capitolo 2
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anch'essa incrementata di 30' per includervi la penisola salentina che altrimenti cadrebbe nel fuso 34(Fig. 23);
d) ai meridiani centrali dei due
fusi (asse N) sono state attribuite rispettivamente le coordinate E di 1500 km e 2520 km
(anzich 500 km come nell'UTM); in tal modo la prima
cifra esprime inequivocabilmente l'appartenenza del
punto al primo fuso (1) o al
secondo fuso (2) e la cifra
delle decine evita possibili errori grossolani dovuti a scambi delle coordinate E di uno
stesso punto nella zona di sovrapposizione(Fig. 23);
e) purtroppo esistono in commercio diversi tipi di carte ma,
in linea generale, si pu affermare che il reticolato chilometrico relativo alla cartografia italiana non mai tracFig. 23
ciato per esteso ma solo indicato sui bordi con dei simboli
diversi per i due fusi; per utilizzarlo si rende necessario il suo tracciamento
congiungendo con una riga i riferimenti corrispondenti destra-sinistra e altobasso. Le coordinate di ciascun riferimento, espresse in un numero intero di
km, vengono ricavate consultando le coordinate chilometriche dei quattro
vertici della carta indicate in uno specchietto posto fuori margine o in alto a
destra o in basso a sinistra ed espresse in metri;
f) in molte tavolette, ma non in tutte, riportato per esteso il reticolato UTM
(in viola o in nero);
g) come ellissoide di riferimento stato assunto l'ellissoide internazionale
orientato a M. Mario;
h) a tutto il piano della rappresentazione stata applicata la contrazione ottenuta moltiplicando le coordinate di tutti i punti per la costante 0,9996, come
nell'UTM;
i) la simbologia adottata per rappresentare i diversi particolari del terreno sono
sempre indicate in basso o sul lato destro della carta;
j) la carta rilevata (la tavoletta) viene prodotta con l'utilizzo di cinque colori
secondo il seguente utilizzo:
il verde per la vegetazione;
il nero per tutti i manufatti;
l'azzurro per l'idrografia;
il seppia per l'altimetria (curve di livello);
il rosso per la viabilit statale.
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Parte II Capitolo 2
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Parte II Capitolo 2
Fig. 25
Nella tavoletta indicata in Fig. 25 in corrispondenza del vertice NE leggiamo
nella tabella le seguenti coordinate:
E = 1453880 m
N = 4529730 m
per cui il primo contrassegno Gauss-Boaga che incontriamo nella direzione delle E
avr coordinata 1453 km e quindi dister dal vertice 880 m, mentre nella direzione N
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Parte II Capitolo 2
il primo contrassegno avr coordinata 4529 km e dister quindi dal vertice 730 m.
Tutti gli altri contrassegni si determineranno per conseguenza sapendo che distano
tra di loro 1 km.
Si noti che i due contrassegni del reticolato Gauss-Boaga hanno le stesse coordinate chilometriche dei contrassegni del reticolato UTM immediatamente vicini
(ovviamente per la E ci vale a meno di 1000 km in quanto all'origine stata data
una coordinata di 1500 km contro i 500 km dell'UTM) per cui nelle tavolette che presentano il reticolato UTM sono di immediata lettura le coordinate del reticolato
Gauss-Boaga.
Lo sfasamento esistente tra i due reticolati deriva, come detto nel paragrafo
precedente, dal diverso orientamento dell'ellissoide e quindi la stessa coordinata descrive punti diversi.
Sulla tavoletta anche presente il reticolato geografico nel sistema GaussBoaga rappresentato dalla latitudine e dalla longitudine ellissoidiche e tracciato solo
sui bordi a tratti bianchi e neri di ampiezza pari ad 1'; sui vertici sono indicate per
esteso le relative coordinate geografiche: la latitudine a partire dall'equatore, la longitudine da M. Mario.
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La tavoletta di Fig. 26 una edizione che contiene anche le coordinate geografiche nel sistema UTM e viene presentata per evidenziare che anche tali coordinate seguono l'andamento delle coordinate chilometriche, sono cio diverse nei due
sistemi.
Nel caso evidenziato il vertice SO risulta avere le seguenti coordinate:
latitudine UTM
3905'06"
longitudine UTM
919'41"
latitudine Gauss-Boaga
3905'00"
longitudine Gauss-Boaga
919'38"
Si noti che per comparare la longitudine si reso necessario riportarla a Greenwich in quanto nel sistema Gauss-Boaga riferita a M. Mario che ha longitudine
1227'08",40 EG.
Fig. 26
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La tavoletta indicata in Fig. 27 un'altra edizione ancora che contiene per esteso il reticolato UTM in colore nero; in essa sono stati evidenziati i reticolati geografici che si riferiscono, come nelle due tavolette precedenti, sempre al sistema GaussBoaga.
Fig. 27
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Fig. 28
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Parte II Capitolo 2
Fig. 29
Per esempio la curva fondamentale evidenziata a sinistra nella figura, posta sopra il toponimo "Serra de Mesu", avr quota di 75 m in quanto rappresenta il multiplo di 25 pi prossimo a 93 che rappresenta la quota della cima della collinetta; analogamente le altre due evidenziate avranno, rispettivamente prese in senso antiorario,
quote di 75 m e 125 m.
Analogamente le curve direttrici, dovendo essere multiple di 100, avranno entrambe quote di 100 m, mentre le curve ausiliarie, prese da sinistra a destra, avranno
quote di 80 m e 65 m.
1.7. La convergenza e la declinazione magnetica
Si pi volte detto che il taglio delle carte avviene secondo meridiani e paralleli e che nella rappresentazione di Gauss le trasformate di questi sono delle curve
(vedi Fig. 20); orbene in molti casi diviene utile conoscere l'angolo che in un punto P
della rappresentazione la tangente alla trasformata del meridiano forma con la parallela all'asse delle N ( che individuato dal meridiano centrale del fuso), uguale all'angolo che la tangente alla trasformata del parallelo forma con la parallela all'asse E
in quanto, trattandosi di rappresentazione conforme, le trasformate del meridiano e
del parallelo passanti per un punto formano un angolo di 90 (Fig. 30).
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Parte II Capitolo 2
Fig. 30
Questo angolo in definitiva l'angolo tra due meridiani, quello centrale del fuso e quello passante per il punto considerato ed stato gi indicato nel par.1.1.1.
della parte I col nome di convergenza.
La formula semplificata per il suo calcolo, che si richiama,
= . sin
dove indica la differenza di longitudine tra il meridiano passante per il punto ed
il meridiano centrale e la latitudine del parallelo passante per il punto.
Su molte tavolette dell'IGMI (Fig. 25) viene indicato il valore di tale angolo al
centro della carta (Fig. 31) in una apposita tabella, posta in genere sul lato destro,
dove viene riportato anche il valore della declinazione magnetica al centro della
carta e l'andamento delle linee di uguale declinazione.
Come si noter,
nella tabella sono indicati
il Nord geografico (N)
che individuato dalla
direzione dei meridiani,
il Nord reticolato (Nr)
che individuato dalla
direzione del reticolato, il
Nord magnetico (Nm)
che individuato dalla
bussola; quest'ultimo non
costante nel tempo per
cui il valore della declinazione magnetica, cio
dell'angolo che tale direFig. 31
zione forma col Nord
geografico, indicato nella tabella (332') definito temporalmente (1 gennaio 1959)
e viene anche indicata la sua variazione annuale (7') ed il suo verso (Est); volendone
66
1998/99 F.Resta
Parte II Capitolo 2
conoscere il valore oggi (1999) bisogner sottrarre al valore indicato il valore 7'.40 =
280' ottenendo 1 08' a destra del Nord geografico.
In molte tavolette il valore della declinazione non viene riportato e la tavoletta,
o parte di essa, viene riportata in tratteggio con la scritta "Z.A." ci che sta a significare che si in presenza di una zona anomala magneticamente; per esempio la presenza di rocce ferrose che impedisce l'uso della bussola.
La convergenza, all'interno di una tavoletta, si pu anche determinare in modo
approssimato facendo uso della tabella delle
coordinate dei vertici e considerando i meridiani come delle rette (in ci sta l'approssimazione).
Sempre riferendosi alla tavoletta rappresentata in Fig. 25 si considerino i due
vertici NE e SE di cui sono note le coordinate (Fig. 32): l'angolo si ricava semplicemente da
60
E 58
=
= 022'
tan =
da cui = 0,36
N 9251
100
Ripetendo lo stesso calcolo per i vertiFig. 32
ci NO e SO si ottiene
71
tan =
da cui = 026'
9251
La media di tali valori fornisce il valore della convergenza al centro della carta
= 024'
1998/99 F.Resta
67
Parte II Capitolo 2
Fig. 33
68
1998/99 F.Resta
Parte II Capitolo 2
Fig. 34
1998/99 F.Resta
69
Parte II Capitolo 2
Fig. 35
70
1998/99 F.Resta
Parte II Capitolo 2
Si notino le coordinate di Roma M.Mario riportate che, per essere riferite all'orientamento medio europeo (E.D.50), differiscono dalle precedenti riportate nelle
vecchie tavolette; in particolare la longitudine risulta di 1227'10'',93, diversa da
quella indicata nel par. 1.3. e pari a 1227'08'',40.
2. La cartografia del Catasto Italiano
Il Catasto Italiano fin dal 1886 ha adottato la rappresentazione di CassiniSoldner per disegnare le mappe catastali.
Preso sull'ellissoide un punto di riferimento O' di coordinate geografiche 0 e
0 le coordinate cartografiche di un punto generico P' di coordinate geografiche e
si fanno coincidere con le coordinate geodetiche rettangolari xp ed yp di P' rispetto ad
O' (Fig. 36).
Nelle carte catastali l'asse X (cos denominato invece di N) corrisponde sull'ellissoide al meridiano, detto centrale, passante per il punto O', detto centro di sviluppo; l'asse Y risulta perpendicolare ad X in O.
Le coordinate piane del punto P (corrispondente di P' sull'ellissoide) sono
quindi:
- yp che corrisponde all'arco di geodetica P'Q' passante per P' e che interseca il meridiano centrale perpendicolarmente nel punto Q';
- xp che corrisponde all'arco di geodetica O'Q', presa sul meridiano centrale.
Fig. 36
La rappresentazione di Cassini-Soldner afilattica; riducendo per la distanza
dal centro di sviluppo entro un raggio di 70 km la rappresentazione si pu considerare praticamente equivalente, cio con modulo di deformazione areale pari a 1; a tale
distanza la deformazione lineare raggiunge il valore massimo di 6 cm per chilometro
nelle direzione del meridiano, cio dell'asse delle X, mentre nullo nella direzione
del parallelo. All'interno di tale zona si pu sostituire all'ellissoide la sfera locale e
quindi i due archi di geodetiche P'Q' ed O'Q' divengono archi di cerchio massimo
con notevole semplificazione nei calcoli.
Il Catasto Italiano ha quindi suddiviso il territorio nazionale in 35 zone omogenee per ognuna delle quali stato definito un centro di sviluppo, in generale coincidente con un punto trigonometrico del primo ordine (non sempre).
1998/99 F.Resta
71
Parte II Capitolo 2
Fig. 37
Si noti l'essenzialit delle informazioni: i confini delle propriet, dei numeri o
lettere per la loro individuazione, alcuni toponimi fondamentali.
Altra caratteristica delle mappe catastali che le informazioni contenute non si
estendono a tutto il foglio ma si interrompono su di un confine ben delimitato (una
72
1998/99 F.Resta
Parte II Capitolo 2
strada nel caso in fig.) che sar riportato anche nel foglio adiacente (F 22 nel caso in
Fig. 37).
In Sardegna vi un solo centro di sviluppo, pur se le dimensioni eccedono i limiti anzidetti; tale centro non coincide con un punto trigonometrico del primo ordine,
come di solito avviene, ma un punto virtuale situato all'intersezione del meridiano
passante per il punto trigonometrico del primo ordine situato sulla Torre di San Pancrazio a Cagliari ed il parallelo situato alla latitudine di 40, secondo l'ellissoide di
Bessel orientato a Genova.
3. La Carta Tecnica della Regione Sardegna (C.T.R.)
La Regione Autonoma della Sardegna ha prodotto una sua cartografia in scala
1:10.000 il cui primo impianto risale agli anni 1968-69; era prevista la realizzazione
in tre lotti, meridionale, centrale e settentrionale.
Il primo lotto, relativo alla zona meridionale, fu realizzato negli anni 1970-71
mentre il secondo, relativo alla zona centrale, negli anni 1978-79; il terzo lotto, per
varie vicissitudini, non fu mai realizzato dalla Regione ma, per un terzo della sua
estensione (la zona comprendente Sassari) e nel 1989, dal Casmez che vi incluse anche una zona cartografata in scala 1:5000.
La cartografia prodotta fu inquadrata nel sistema UTM; ogni sezione in scala
1:10000 rappresentava 1/16 di un foglio dell'IGM in scala 1:50000.
Nel 1995 la Regione ha deciso di rifare tutte la cartografia iniziando dalla zona
della Gallura che ne era totalmente sprovvista.
La situazione nel 1999 si presenta in questi termini:
- la zona della Gallura gi stata realizzata;
- le altre zone, ad esclusione della zona coperta dalla cartografia realizzata dal Casmez, sono state appaltate in diversi lotti e sono in fase di esecuzione pi o meno
avanzate.
Di seguito si riportano le descrizioni delle carte e le loro specificit.
Il taglio delle carte
Il taglio del 10000 avviene, come detto, secondo il reticolato geografico UTM e
quindi secondo l'ultima cartografia pubblicata dall'IGMI, gi definita fin dagli anni
60.
In Fig. 38 riportato uno schema della suddivisione del foglio in scala 1:50000
adottato dalla Regione con indicata la denominazione di ciascuna Sezione, in scala
1:10000, e le successive suddivisioni per scale pi grandi fino al 1000 con le relative
denominazioni.
Lo schema si riferisce alla cartografia prodotta, o che si sta producendo, dal
1995 ad oggi; per la prima produzione cartografica si erano adottate delle denominazioni diverse per le Sezioni, pur restando uguale il taglio, indicando le Sezioni della
prima riga dello schema presentato in fig., partendo da sinistra verso destra, con le
lettere A1, A2, A3 ed A4; a seguire nella seconda riga con le lettere B1, B2, B3 e B4;
nella terza riga C1, C2, C3 e C4 ed infine nella quarta riga D1, D2, D3 e D4. Le lettere erano precedute dal numero del foglio.
1998/99 F.Resta
73
Parte II Capitolo 2
Fig. 38
La prima cartografia prodotta
L'esempio di Fig. 39 si riferisce ad una sezione del secondo lotto prodotta nel
1978.
Come si pu notare la carta non ha n il reticolato geografico n il reticolato
UTM ma solo il reticolato chilometrico Gauss-Boaga indicato sui bordi con lo stesso
simbolo utilizzato nelle carte dell'IGMI.
La carta in scala 1:10.000 in genere sempre parametrata (come le mappe
catastali); con delle crocette vengono indicati i vertici dei quadrati ottenuti dalle intersezioni del reticolato chilometrico: in fig. sono indicate con tratto leggermente pi
spesso dal reale per motivi di chiarezza esplicativa.
Si noti il quadro d'unione in cui evidenziata in nero la posizione della Sezione
all'interno del foglio contornato da tutti i fogli adiacenti; ci si dimostra molto utile
74
1998/99 F.Resta
Parte II Capitolo 2
quando si lavora ai confini della Sezione per ritrovare immediatamente le sezioni necessarie.
A fianco del quadro d'unione anche riportato l'inquadramento della Sezione
nella tavoletta corrispondente della cartografia dell'IGMI.
Fig. 39
La nuova cartografia
L'esempio indicato in Fig. 40 si riferisce ad una Sezione della Gallura e, rispetto alla precedente, riporta tutti i reticolati, geografico e chilometrico UTM, chilometrico Gauss-Boaga; pu ingenerare confusione il fatto che il reticolato chilometrico UTM stato indicato con il simbolo generalmente usato per indicare il reticolato chilometrico Gauss-Boaga.
Il reticolato chilometrico Gauss-Boaga, come per la precedente, indicato in
tutta la Sezione con i relativi parametri (in fig. sempre indicati a tratto pi spesso).
Nel riquadro sono indicati anche i parametri per convertire coordinate chilometriche UTM in Gauss-Boaga, e viceversa.
1998/99 F.Resta
75
Parte II Capitolo 2
Fig. 40
76
1998/99 F.Resta
Parte II Capitolo 2
Nella Fig. 41, sempre riferita alla sezione precedente, si pu notare la simbologia utilizzata per l'altimetria che prevede curve fondamentali ogni 10 m, curve diret-
Fig. 41
trici ogni 50 m e curve ausiliarie ogni 5 m; la differenza fondamentale rispetto alla
cartografia IGMI consiste nel fatto che le curve direttrici hanno indicata la quota relativa che gli compete.
1998/99 F.Resta
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PARTE III
TEORIA DEGLI ERRORI
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998/99 F.Resta
CAPITOLO 1
ELEMENTI DELLA TEORIA DELLE PROBABILTA
81
nm
(2)
n
Ovviamente si deduce che la somma delle probabilit dellevento atteso e di
quello contrario uguale allunit
p+q=1
(3)
come del resto appare logico in quanto si ha "a priori" la certezza che allatto di una
prova si presentino luno o laltro dei due eventi.
Si consideri, per es., una prova costituita dal lancio di due dadi: in tale prova i
casi possibili sono 36 in quanto ad ogni faccia del primo dado si pu associare una
qualsiasi faccia del secondo. Se si vuole conoscere la probabilit che la somma dei
numeri usciti valga, ad esempio, 2 o 4 si deve contare il numero dei casi favorevoli
che vale 1 nel primo caso (levento si verifica solo se su entrambi i dadi appare il
numero 1) e 3 nel secondo (levento si verifica con le seguenti combinazioni 1+3,
2+2 e 3+1): la probabilit degli eventi detti vale quindi 1/36 e 3/36.
Da quanto detto, e dallesempio sopra riportato, sembra che la misura della
probabilit sia estremamente semplice richiedendo al pi una certa accuratezza nella
determinazione dei casi possibili e di quelli favorevoli.
Le cose in effetti non stanno in questa maniera in quanto la definizione ha una
sua validit a condizione che i casi possibili siano tutti ugualmente probabili.
La definizione di probabilit matematica ha quindi una sua validit quando ci
si possa ridurre ad una enumerazione di casi ugualmente probabili e presuppone la
formulazione "a priori" di un giudizio di uguale probabilit.
Questo evidentemente possibile in molti eventi aleatori riportabili a schemi
di giochi dazzardo o di estrazioni da urne (che anzi tali eventi sono proprio basati su
tale principio); diviene invece estremamente difficile e per lo pi impossibile in tutti
quei fenomeni aleatori che interessano la scienza e la tecnica e che ovviamente rivestono un interesse prevalente.
In tali casi la definizione classica "a priori" cade in difetto e sta in ci la ragione della limitata applicabilit e dello scarso sviluppo che ebbe il calcolo delle probabilit classico che su tale definizione si basava.
q=
82
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83
1998/99 F.Resta
3 2 3
P= * =
5 4 10
Stabilita la regola valida per eventi che discendano per prodotto logico da altri eventi aleatori, rimane da considerare quelli derivanti da somma logica.
Per tale problema vale il principio delle probabilit totali che cos pu enunciarsi: la probabilit totale di un evento E che allatto di una prova pu presentarsi
secondo due o pi modalit, E1 E2En, tra loro diverse ed escludentesi vale la somma delle probabilit che a ciascuna di tali modalit compete:
p E = p E1 + p E2 + .... p En
(6)
Come esempio consideriamo unurna che contenga nB = 20 palline bianche, nR
= 50 palline rosse ed nN = 30 palline nere: vogliamo sapere quale la probabilit che
venga estratta una pallina non nera. Levento atteso si manifesta sia che venga
estratta una pallina rossa sia che venga estratta una pallina bianca, modalit distinte
ed escludentesi, per cui la sua probabilit vale (20/100) + (50/100) = 70/100.
Il principio ora enunciato si presta ad alcune contraddizioni se non si tiene bene
a mente che la sua applicazione possibile solo se le modalit con cui si presenta
l'evento si escludano mutuamente, e ci comporta una analisi molto approfondita
della prova e dell'evento atteso.
Si consideri, per es., di lanciare due dadi e si voglia calcolare la probabilit che
esca almeno una volta il numero 5 su uno o sull'altro dei due dadi; ad una analisi superficiale sembrerebbe di essere in presenza di un evento cui poter applicare il principio delle probabilit totali ed ottenere quindi
1 1 1
p= + =
6 6 3
Ad una pi attenta riflessione per si pu constatare che le due modalit con
cui l'evento si pu presentare non si escludono in quanto il 5 pu presentarsi sia sull'uno che sull'altro dei due dadi.
In questo caso preferibile calcolare la probabilit q che si verifichi l'evento
contrario e quindi risalire alla probabilit p dell'evento atteso dall'equazione
p = 1 q
L'evento contrario si verifica quando contemporaneamente su entrambi i dadi
si presentano numeri diversi da 5 per cui si tratta di una probabilit composta e vale
5 5
11
q= *
per cui p = 1 q =
6 6
36
Il problema si risolve anche dando una definizione pi generale del principio
delle probabilit totali nel seguente modo: la probabilit di un evento E che pu presentarsi in due modalit E ed E tra loro non escludentisi vale la somma delle probabilit che competono a ciascuna delle due modalit diminuita della probabilit composta delle due modalit stesse supposte stocasticamente indipendenti
p E = p E1 + p E2 p E1 * p E2
(7)
Nell'esempio sopra riportato si avrebbe
1 1 1
11
p= +
=
6 6 36 36
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85
86
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u-2 nere vale p 2 q u 2 ; ma di configurazioni che contengono due palle bianche cou
munque disposte ce ne sono , per cui la probabilit totale varr
2
u
P2 = p 2 q u 2 .
2
In generale la probabilit che si presenti la configurazione con i palle bianche
ed u-i palle nere vale
u
Pi = p i q u i
(8)
i
con
u
u!
=
(9)
i i!(ui )!
Infine la probabilit che si presentino solo palle bianche (i=u) vale
u
Pu = p u
u
Eseguendo una serie di u prove la probabilit che si presenti una qualunque
delle configurazioni dette (0 palle bianche, 1 palla bianca, .......u palle bianche) una
probabilit totale
P= P0 + P1 + ....Pi + .....Pu
che deve valere 1 in quanto rappresenta la certezza; ed infatti se sostituiamo ai valori
delle probabilit le formule trovate riscontriamo che il secondo membro della formula rappresenta lo sviluppo del binomio di Newton che vale
( p+q )u
ed essendo p + q = 1 si ottiene
P=1
1998/99 F.Resta
87
15
35
* 50 = 15 palle bianche e
* 50 = 35 palle nere
50
50
Se la serie di prove fosse di 80 si avrebbe la configurazione normale di
24 palle bianche e 56 nere.
Ricordando la legge empirica del caso ci significa che se eseguiamo
lesperienza (consistente in una serie di 50, o 80, estrazioni) un numero di volte
molto elevato e prendiamo nota della frequenza con cui si presentano le varie configurazioni, la configurazione corrispondente alla frequenza massima dovrebbe rappresentare la configurazione di probabilit normale; si noti che avendo, nel primo esempio, preso in esame unesperienza consistente in una serie di estrazioni pari al numero totale di palle bianche e nere, ci ci permetterebbe di conoscere il numero di palle
bianche e nere contenute nellurna.
4.3. Il diagramma delle probabilit nel problema delle prove ripetute.
Si consideri per semplicit il caso in cui lurna contenga un egual numero di
palle bianche e nere, avendosi in tal caso:
p = q = 1/2.
In tal caso la probabilit di estrarre i palle bianche ed u-i nere vale
u 1
Pi = u
i 2
Consideriamo ora una serie di esperienze prima con u = 4, poi con u = 5 ed infine con u = 6 e calcoliamo, nelle diverse ipotesi, i valori della probabilit. I risultati
sono riportati nella tabella seguente:
u=4
u=5
u=6
Po
6,25%
3,13%
1,56%
P1
25,00% 15,63% 9,38%
P2
37,50% 31,25% 23,44%
P3
25,00% 31,25% 31,35%
P4
6,25% 15,63% 23,44%
P5
3,13%
9,38%
P6
1,56%
Con tali valori si possono costruire i relativi istogrammi riportando in ascisse le
i ed in ordinate i valori della probabilit (Fig. 1).
Fig. 1
88
1998/99 F.Resta
Si noti che per u dispari si hanno due massimi; ci vuol dire che le configurazioni corrispondenti hanno uguale probabilit.
4.4. La probabilit dello scarto
Consideriamo, come gi detto, la configurazione di probabilit normale in cui
si hanno
r = pu
palle bianche
u-r = qu
palle nere.
Si definisce scarto di una configurazione generica con i palle bianche rispetto
alla configurazione normale con r palle bianche la differenza i - r; lo indicheremo
con
v=ir
(11)
La probabilit pv che si presenti lo scarto v ovviamente la stessa che si presenti la configurazione con i palle bianche e vale pertanto:
u
p v = p i q u i .
i
Essendo
i = v+ r = v+ pu
u i = r + qu i = qu v
si pu scrivere
u!
pv =
p pu +v q qu v
(12)
( pu +v )!(qu v )!
Questa formula importantissima permette di calcolare la probabilit dello
scarto v in funzione di v, u, p e q senza passare per il calcolo del valore di r.
Se agli istogrammi primo e terzo indicati nel precedente paragrafo, diamo
allorigine una traslazione lungo lasse delle ascisse pari a +2 e +3 (cio in generale
pari al numero r corrispondente alla probabilit normale) avremo in ascisse lo scarto,
restando in ordinate le relative probabilit (Fig. 2):
Fig. 2
La formula (12), ove u sia molto grande talch i rapporti v/up e v/uq risultino
minori dellunit, si pu, con opportuni passaggi, trasformare nella formula semplificata
pv =
1998/99 F.Resta
1
2upq
v2
2 upq
(13)
89
La (13) d la probabilit dello scarto in modo approssimato, e tanto meno approssimato quanto pi grande u.
Per avere unidea circa lapprossimazione, nella tabella seguente stata calcolata la probabilit nel caso di u = 10 e p = q = 1/2:
Scarto v
0
1
2
3
4
5
pv esatta
0,2460
0,2051
0,1172
0,0439
0,0098
0,0010
pv approssimata
0,2523
0,2066
0,1134
0,0417
0,0103
0,0017
differenza
- 0,0063
- 0,0015
+ 0,0038
+ 0,0022
- 0,0005
- 0,0007
Si noti che la probabilit che si presenti lo scarto 0, cio la configurazione corrispondente alla probabilit normale, la massima.
5. La funzione ()
Come si vedr in seguito nei problemi del calcolo delle probabilit e della teoria degli errori ricorre spesso l'integrale
F = lim e x dx
(14)
(15)
( ) =
x2
dx
0
Essa si annulla per = 0 e cresce al crescere di e tende al limite
lim ( ) = 1
(16)
90
(17)
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Volendo conoscere la probabilit che lo scarto sia compreso tra due limiti -a
e +a si applicher il principio delle probabilit totali ottenendo
=+ a
h h 2 2
p +aa =
e
= a
x =
Aumentando sempre il numero delle esperienze, la sommatoria pu essere sostituita con lintegrale, ed allora si avr
+
1
2
+a
x
p a =
e dx =
e x dx = ( )
(18)
0
Quindi la probabilit che lo scarto sia compreso entro i limiti a rappresentata dalla funzione () assumendo per il valore ha. Il valore ottenuto rappresenta
anche la probabilit che la configurazione con i palle bianche sia compresa nell'intervallo pu-a e pu+a.
Tutte le considerazioni fatte ci permettono di fare il passo successivo conside2
Fig. 3
rando la funzione probabilit dello scarto come una funzione continua nel campo dei
numeri reali.
Se si riportano in ascisse gli scarti ed in ordinate le relative probabilit la funzione si presenta nel seguente modo, detta curva a campana,
Tale curva presenta le seguenti caratteristiche:
1998/99 F.Resta
91
92
1998/99 F.Resta
CAPITOLO 2
MISURE DIRETTE ED INDIRETTE
93
Fig. 4
Si otterr un istogramma del tipo indicato in Fig. 4
94
1998/99 F.Resta
La probabilit che si presentino contemporaneamente tutti gli n errori deve intendersi come una probabilit composta, quindi
n
h h 2 xi2
P( x1 ,x2 ,...xn ) =
e
(25)
Il valore pi probabile della grandezza osservata sar quello che render massima la (25); tale probabilit risulter massima se
i =n
x
i =1
2
i
= min
1998/99 F.Resta
95
i =n
(X i X )
=min
(26)
i =1
x =0
i =1
96
1998/99 F.Resta
larea sottesa dalla curva e lasse delle ascisse -entro i limiti m sar sempre uguale a
0,683(Fig. 5).
Fig. 5
1.6. Errore temibile
Si definisce come errore temibile (o tolleranza) il valore
3
t =3m=
(29)
h 2
La probabilit che uno scarto qualsiasi, ottenuto dallesperienza, sia interno
allintervallo t pari a 0,997.
Praticamente la probabilit di ottenere errori esterni allintervallo t quasi
nulla, si da attribuire a cause probabilmente non accidentali la eventuale presenza di
scarti superiori alla tolleranza. In tale evenienze buona norma eliminare tale valore
e ricalcolare la media.
1.7. Errore quadratico medio della media
Abbiamo prima definito lo errore quadratico medio di una serie di osservazioni, indicandolo con m; vogliamo ora definire un parametro che caratterizzi
limprecisione dellassunzione del valor medio delle grandezze osservata come valore pi probabile della misura.
Tale parametro, indicato con M, si dimostra essere inversamente proporzionale
ad m tramite la radice quadrata del numero delle osservazioni eseguite:
m
M =
(30)
n
1.8. Calcolo dello scarto quadratico medio tramite gli scarti
Nei paragrafi precedenti abbiamo introdotto il concetto di errore quadratico
partendo dal presupposto teorico di conoscere gli errori veri, il che nella pratica osservazione di una serie di misure di una grandezza fisica , come detto, concettualmente impossibile.
1998/99 F.Resta
97
Nell'esecuzione di una serie di misure di una grandezza fisica, avendo eliminato tutte le cause di errore sistematico, come detto si otterr una serie di valori X1
,X2 ....,Xi ... Xn, che possono considerarsi come un campione di n elementi prelevati
da un insieme aleatorio.
Si pone quindi il problema della determinazione del valore da assegnare definitivamente alla grandezza misurata e quello di individuare dei parametri che caratterizzino il grado di fiducia da attribuire ai risultati delle singole osservazioni ed il grado di fiducia da attribuire al valore assunto come definitivo.
Indicando con Xm il valore assunto come definitivo si definisce scarto di ogni
singola osservazione il valore
X i X m = vi
(31)
Ad esso si possono applicare tutte le considerazioni gi fatte e quindi la probabilit che si presenti lo scarto vi sar
h h 2 vi2
Pvi =
e
(32)
h h 2 vi2
e
(33)
P( v1 ,v2 ......vi ) =
Tale funzione, come gi detto, diviene massima per il valore di Xm che rende
minima la funzione
i =n
i =n
i =1
i =1
vi2 = ( X i X m )
i =n
i=n
i =1
i =1
xi2 = vi2 + n 2
ricordando che
i =n
v
i =1
=0
n * m 2 = vi2 + m 2
i =1
da cui infine
i =n
m =
98
v
i =1
2
i
n1
(34)
1998/99 F.Resta
e di conseguenza
i =n
M =
2
i
i =1
(35)
n(n 1)
La quantit m suole definirsi come scarto quadratico medio di ogni singola osservazione (s.q.m.) o come standard deviation nella letteratura anglossassone (deviazione standard).
La quantit M suole definirsi come scarto quadratico medio della media.
Nel seguito di questo testo si user m per indicare l's.q.m. della media ora indicato con M.
scarto
+0,55
+0,19
-0,22
+0,06
0,35
-0,13
-0,78
+0,10
+0,71
Lat.
19,83
19,49
20,77
19,72
20,58
19,19
20,87
20,93
19,98
scarto
-0,42
-0,76
+0,52
-0,53
+0,33
-1,06
+0,62
+0,68
-0,27
99
F 2 F 2
F 2
m1 +
m2 + .....
mx =
mi
Ai m
A1 m
A2 m
100
(37)
1998/99 F.Resta
PARTE IV
STRUMENTI ED OPERAZIONI DI MISURA
1998/99 F.Resta
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 1
CAPITOLO 1
STRUMENTI E OPERAZIONI DI MISURA DEGLI ANGOLI AZIMUTALI E
ZENITALI
2angoli retti
=
s
r
(1)
r 2angoliretti
=
r
r
cio
r =
2angoliretti
(2)
r
=
s
r
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103
Parte IV Capitolo 1
e ponendo r = 1 radiante
s
(3)
r
si ottiene la misura di un angolo in radianti come rapporto tra la lunghezza
dellarco di circonferenza corrispondente ed il relativo raggio.
La (3), esprimendo un angolo come rapporto tra due lunghezze, rende questa
misura adimensionale, quindi di uso comune nelle formule matematiche, e per ci
detta misura analitica di un angolo.
Dalla (3), se poniamo s = 2 r, s = r, s = r/2, otteniamo rispettivamente le
espressioni analitiche di un angolo giro (2 ), un angolo piatto ( ) ed un angolo retto
(/2).
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Parte IV Capitolo 1
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Parte IV Capitolo 1
Fig. 1
Langolo azimutale fra A e B misurato in O la sezione normale dellangolo
diedro formato dal piano contenente la verticale per O ed il punto A e dal piano contenente la verticale per O ed il punto B; questo angolo coincide, a meno di correzioni
trascurabili rispetto ai minimi errori di misura, con langolo tra le due sezioni normali OoAo e OoBo dove con Oo , Ao e Bo si indicano le proiezioni dei punti O, A e B
sulla superficie di riferimento.
Langolo zenitale zOA o distanza zenitale langolo che la direzione OA forma
con la verticale in O; il suo complemento langolo daltezza OA.
Il teodolite, come detto, lo strumento che essenzialmente misura angoli azimutali e zenitali dopo essere stato opportunamente sistemato su un treppiede.
La sua struttura visibile in Fig. 2 dove si possono notare:
- una base dotata di tre viti calanti che permettono lorientamento dellasse primario a1 secondo la verticale (operazione detta messa in stazione dello strumento);
- unalidada che pu ruotare intorno allasse primario a1 ed dotata di un asse secondario a2 ;
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Parte IV Capitolo 1
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Parte IV Capitolo 1
Fig. 3
Esso costituito da una lente, detta obbiettivo (Fig. 3) di distanza focale f1
montata allestremit di un tubo cilindrico e da una lente, detta oculare, di distanza
focale f2 montata su un secondo tubo, movibile con un bottone, interno e coassiale al
primo.
108
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Parte IV Capitolo 1
Fig. 4
Diconsi punti nodali, P1 e P2 , di un obbiettivo quei due punti, appartenenti al
suo asse ottico, che godono della propriet che qualsiasi raggio incidente nelluno
emerge dallaltro parallelamente alla sua direzione.
Se la distanza tra loggetto ed il primo punto nodale d limmagine si forma ad
una distanza q dal secondo punto nodale data dalla prima equazione fondamentale
delle lenti
1 1 1
+ =
d q f1
Se consideriamo loggetto puntiforme e posto ad una distanza H dallasse ottico la distanza h dellimmagine dallo stesso asse data dallequazione
h q
= =E
H d
dove con E si indica lingrandimento trasversale della lente.
Dalle equazioni scritte si desume che se un
oggetto posto ad una distanza maggiore del
doppio della distanza focale dellobbiettivo (d
2f1), come in genere avviene in condizioni d'uso,
si ottiene una immagine reale, capovolta e rimpicciolita.
Limmagine viene fatta cadere tra il fuoco
'
F1 ed il primo punto nodale delloculare per cui
ne risulta una immagine (indicata a tratteggio
grosso nella fig.) virtuale, diritta ed ingrandita
(rispetto alla prima) che pu essere osservata ponendo locchio dietro loculare.
Fig. 5
Il reticolo costituito da un vetrino con linee incise (alcuni esempi ne sono dati in Fig. 5) che individuano un punto centrale
1998/99 F.Resta
109
Parte IV Capitolo 1
chiamato centro del reticolo; esso va posto nello stesso piano in cui si forma
limmagine data dallobbiettivo.
Si definisce come asse di collimazione di un cannocchiale la congiungente il
centro del reticolo con il secondo punto nodale dellobbiettivo.
Tale asse, per eventuali operazioni di rettifica, deve avere la possibilit di subire piccoli spostamenti; il problema si risolve dotando il reticolo di viti a contrasto
che ne permettono piccoli
spostamenti sia in orizzontale che in verticale (Fig. 6).
Da quanto detto risulta evidente che per collimare punti posti a distanze
diverse necessario poter
variare la distanza q tra
lobbiettivo ed il reticolo,
con che si realizza il cosiddetto adattamento alla distanza che, si ribadisce,
Fig. 6
consiste nel far coincidere il
piano in cui si forma
limmagine con il piano in cui posto il reticolo.
Questa immagine viene osservata tramite loculare che quindi deve possedere
la caratteristica di potersi muovere rispetto al reticolo per adattarsi alla vista
dellosservatore; in questultima operazione consiste ladattamento alla vista.
Uno dei meccanismi costruttivi con cui si realizzava tale necessit nei tempi
passati indicato in Fig. 3.
Per collimare un punto sono quindi necessari due adattamenti che vanno eseguiti in un ordine ben definito:
1) si esegue sempre per prima cosa ladattamento alla vista che consiste nel muovere loculare fino ad avere una visione nitida e distinta del reticolo; questo adattamento conviene sia eseguito orientando il cannocchiale al cielo in modo da vedere ben chiaro il reticolo su sfondo bianco;
2) successivamente si esegue ladattamento alla distanza muovendo relativamente i
due tubi fino ad avere una visione nitida e distinta delloggetto sullo stesso piano
del reticolo. Per controllare che tale adattamento sia stato ben eseguito si muove
leggermente locchio controllando che loggetto collimato ed il reticolo rimangano solidali tra di loro; ove ci non avvenga vuol dire che si in presenza di un
errore di parallasse cio che loggetto ed il reticolo giacciono su due piani distinti. Per eliminarlo si procede per tentativi con piccoli aggiustamenti
delladattamento alla distanza.
Negli strumenti moderni ladattamento alla distanza non avviene pi muovendo lobbiettivo relativamente al reticolo (con ci causando la variabilit della lunghezza del cannocchiale) ma utilizzando il cannocchiale a lunghezza costante che
contiene al suo interno un complesso di lenti mobili che provvedono a far s che le
immagini di oggetti collimati a varie distanze si formino sempre sul piano del reticolo.
Una variante che presentano molti teodoliti moderni l'aggiunta di una lente
supplementare all'interno del cannocchiale con il compito di raddrizzare l'oggetto
110
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Parte IV Capitolo 1
perci nell'oculare si vede un'immagine virtuale, ingrandita e dritta anzich capovolta come nei cannocchiali astronomici classici.
4. Mezzi di lettura ai cerchi
4.1. Generalit
Nei teodoliti moderni i cerchi graduati sono sempre costruiti in vetro ottico ed
hanno sulla periferia una finissima graduazione direttamente incisa con una macchina a dividere (negli strumenti antichi erano costruiti in ottone).
Lincisione dei cerchi deve essere eseguita con elevata precisione anche se soc
no destinati a strumenti di scarsa precisione; basta osservare che 1 la quarantamillesima parte dellangolo giro e che alla periferia di un cerchio, avente un diametro
c
di 80 mm, 1 corrisponde ad un intervallo di circa 6 m; ci significa che anche in un
c
teodolite da 1 i tratti debbono essere tracciati con la precisione di pochi m.
La presenza di graduazioni con tratti cos sottili impone lutilizzo di un microscopio semplice ( o lente di ingrandimento) come ausilio per le letture da effettuare
sui cerchi; lo schema ottico lo stesso delloculare del cannocchiale con ingrandimenti pari a 10 volte (Fig. 8).
Per effettuare una lettura con il microscopio semplice necessario predisporre
un indice di lettura, meglio se dotato di un nonio, sullo stesso piano della graduazione ed affiancato sul bordo.
Tale sistema veniva utilizzato negli strumenti antichi; lindice di lettura veniva
posto sullalidada.
Negli strumenti moderni si usa un microscopio composto il cui schema ottico
essenzialmente identico a quello del cannocchiale; lunica differenza consiste nel
fatto che loggetto da osservare (la graduazione) posto poco al di l del primo fuoco
per cui lobbiettivo d una immagine reale ed ingrandita sul piano del reticolo;
loculare a sua volta ingrandisce ulteriormente limmagine per cui si possono raggiungere da 30 a 80 ingrandimenti.
Lo strumento di lettura viene posto vicino al cannocchiale per cui losservatore
con un leggero movimento della testa passa direttamente dalla collimazione alla lettura; in genere nel campo delloculare compaiono contemporaneamente i due cerchi
(azimutale e zenitale). Per realizzare questa configurazione si rendono necessari opportuni veicoli ottici, in genere prismi rettangolari, che trasportino le immagini dei
cerchi nelle posizioni volute.
4.2. Errore di eccentricit
Tale errore, presente sia nelle letture azimutali che in quelle zenitali, si verifica,
nelle prime, quando lasse principale dello strumento non interseca il cerchio azimutale nel suo centro e nelle seconde quando lasse secondario (asse di rotazione del
cannocchiale) non interseca in cerchio zenitale nel suo centro.
Si consideri in Fig. 7 il cerchio azimutale e sia C il suo centro ed A il punto in
cui lasse principale lo interseca dove per semplicit espositiva si supposto che
leccentricit AC = e sia nella stessa direzione dellindice di lettura L0. Se ora si ruota
lalidada, e con essa lindice di lettura, di un angolo la differenza di lettura L1-L0
1998/99 F.Resta
111
Parte IV Capitolo 1
fornisce un angolo diverso da di una quantit pari ad . Se r il raggio del cerchio tale valore si pu ricavare dal triangolo ACL1 applicando il teorema dei seni:
e
sen = sen
r
Da questa formula risulta variabile con
legge sinusoidale in funzione dellangolo
che lindice di lettura forma con la direzione
delleccentricit.
Se poniamo r = 50 mm ed e = 5 m otteniamo per un valore massimo di circa 20"
che per i teodoliti meno precisi risulta inferiore alla precisione strumentale e pu quindi essere trascurato; non cos per i teodoliti pi
precisi per i quali si rende necessaria
ladozione di un procedimento di eliminazione.
Il procedimento consiste nel disporre
sullalidada un secondo indice di lettura diaFig. 7
metralmente opposto al primo ed eseguendo
per ogni punto collimato le due letture.
Si avr:
L1 = =
L2 = + 2 + 200 = + + 200
Eseguendo la media aritmetica, a meno di un angolo piatto, si ottiene il valore
dellangolo di rotazione effettivo:
L + L2 200
= 1
2
Nei teodoliti antichi si ponevano effettivamente due indici di lettura sia per il
cerchio azimutale che per quello zenitale (Fig. 8) mentre negli strumenti moderni si
utilizza un sistema pi sofisticato che analizzeremo parlando dei sistemi di misura
micrometrici in uno dei prossimi paragrafi.
112
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Parte IV Capitolo 1
Fig. 8
4.3. Sistemi di misura non micrometrici
Gli intervalli di graduazioni incisi sui cerchi, per le difficolt dette, non supec
c
rano certi limiti (10 , al massimo 5 per i teodoliti pi precisi, il limite estremo). Ne
consegue che la lettura al cerchio viene fatta leggendo su di esso i gradi e le parti di
grado incise e valutando la frazione di intervallo tra il tratto di lettura precedente
lindice e lindice stesso con mezzi diversi che si possono distinguere in due gruppi:
1) valutando la frazione con un semplice conteggio o a stima;
2) misurando la frazione con un metodo micrometrico.
Esempi del primo gruppo sono:
a) il microscopio a stima: in esso si valuta a stima la frazione dellintervallo
di graduazione; a seconda dellingrandimento del microscopio si possono
stimare da 1 a 2 decimi della graduazione.
1998/99 F.Resta
113
Parte IV Capitolo 1
il
valore
dellintervallo della graduazione
principale lintervallo d del nonio vale:
Fig. 9
n 1
d
n
Lapprossimazione del nonio, cio la differenza tra i valori degli intervalli
della graduazione principale e del nonio, vale
d
d d' =
(4)
n
In genere nei noni n = 10, raramente n = 20, per cui se il valore della graduac
c
zione principale 10 lapprossimazione del nonio vale 1 .
Per capire il funzionamento del nonio si consideri la Fig. 11 in cui la graduac
zione principale suddivisa in 10 , il nonio diviso in 10 parti e lo zero del nonio
stato portato in coincidenza con la tacca relativa a 18 gradi. Lapprossimazione del
c
nonio vale 1 per cui la prima tacca del nonio si discoster dalla prima tacca della
c
graduazione principale di 1 , la seconda tacca del nonio si discoster dalla seconda
c
c
tacca della graduazione principale di 2 , la terza di 3 e cosi via.
d' =
Fig. 11
Fig. 10
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Parte IV Capitolo 1
con lo zero posizionato come in Fig. 10. Lintervallo tra lo zero ed il 18 si potrebbe
apprezzare a stima; con lausilio del nonio andiamo a vedere quale tacca del nonio
coincide con una tacca della graduazione principale; per valutare esattamente la tacca
coincidente possiamo aiutarci controllando che le tacche del nonio precedente e seguente quella coincidente devono risultare interne allintervallo rappresentato dalle
tacche precedente e seguente sulla graduazione principale.
Nellesempio risulta coincidente la quarta tacca per cui lintervallo cercato
c
vale 4 e quindi la lettura risulta di 18,04 gradi centesimali.
Quando l'indice di lettura organizzato con un nonio bisogna pertanto in primo luogo contare le tacche del nonio, poi verificare quanto vale la minima graduazione della scala principale, indi calcolare l'approssimazione del nonio tramite la (4).
Spesso nei noni utilizzati nei teodoliti il valore della approssimazione gi indicato
su alcune tacche per cui la lettura diviene immediata.
Due esempi di letture sessagesimale e centesimale sono indicate in Fig. 12.
Fig. 12
4.4. Sistemi di lettura micrometrici
Tutti i metodi di lettura descritti non
consentono unelevata precisione perch al
c
massimo si riesce ad apprezzare 0,5 corrispondenti a circa 15"; nei teodoliti di elevata precisione si deve ricorrere a sistemi
di lettura pi sofisticati.
Il metodo pi usato prevede lutilizzo
di una lamina piano-parallela che si basa
sullutilizzo della legge della rifrazione.
Si consideri una lamina a facce piane
e parallele di spessore s (Fig. 13).
E noto dallottica che un raggio di
luce che incide ortogonalmente una superficie di separazione tra due mezzi (nel nostro caso aria-vetro e poi vetro-aria) li attraversa senza subire alcuna deviazione.
1998/99 F.Resta
Fig. 13
115
Parte IV Capitolo 1
Nel caso il raggio incida la superficie con un angolo i subisce il fenomeno della
rifrazione cio il raggio subisce una deviazione seguendo la legge di Snellius
n
sen i
= n 21 = 2
(5)
sen r
n1
dove con n21 si indica lindice di rifrazione relativo del mezzo 2 rispetto al mezzo 1
(nel nostro caso vetro-aria) dato dal rapporto dellindice di rifrazione assoluto n2 del
mezzo 2 (vetro) con lindice di rifrazione assoluto n1 del mezzo 1 (aria).
Nello schema indicato il raggio passando dallaria al vetro si avvicina alla
normale formando con essa un angolo r minore di i in quanto passa da un mezzo otticamente meno denso (aria) ad un mezzo otticamente pi denso (vetro).
Continuando il suo percorso nel vetro il raggio incide la superficie di separazione vetro-aria con un angolo r (trattasi di angoli alterni interni) e la attraversa subendo nuovamente una deviazione secondo lequazione
sen r n1
1
=
=
sen i n2 n21
In questo secondo passaggio il raggio si allontana dalla normale in quanto passa da un mezzo pi denso ad un mezzo meno denso.
Nel suo percorso il raggio riemerge quindi nellaria con lo stesso angolo di incidenza ma subendo una traslazione pari a d.
Per ricavare il valore di d notiamo che dal triangolo BDC si ha
s
BC =
cos r
mentre dal triangolo ABC
d
BC =
sen( i r )
Dalle due relazione si ricava
s
d=
sen( i r )
cos r
Per angoli di incidenza molto piccoli si pu porre cos i = cos r = 1 per cui
sviluppando sen(i-r) si ottiene
d = s(sen i sen r )
da cui, dividendo e moltiplicando il termine entro parentesi per sen r e ricordando
che seni/senr=n21 , si ottiene
d = s sen r( n21 1 )
da cui ancora moltiplicando e dividendo per sen i e ponendo sen i = i essendo i piccolo si ottiene
n 1
d = s 21
i
n21
In definitiva d risulta proporzionale allangolo di incidenza e tale
proporzionalit si pu ritenere valida per angoli di incidenza anche di parecchi gradi.
Nei teodoliti si pone una lamina piano-parallela in posizione opportuna lungo il
cammino dei raggi ottici dal cerchio al reticolo, girevole intorno ad un asse ortogonale alla direzione dei raggi, e si fa in modo che nel campo dell'oculare si possa leggere in una opportuna finestra, in frazioni dellintervallo della graduazione principale, la rotazione della lamina.
116
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Parte IV Capitolo 1
Fig. 15
Sul percorso dei raggi ottici sono inserite due lamine piano-parallele collegate
con un bottone esterno che ne permette la simultanea rotazione di quantit uguali e
contrarie. Con tale bottone si portano quindi a coincidere i due tratti contrapposti del
cerchio realizzando con ci una media ottica in quanto ognuna delle immagini ha traslato di una quantit pari ad (a+b)/2 ; lo spostamento effettuato si legge in una finestrella che appare nel campo dell'oculare in frazioni dellintervallo da misurare.
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117
Parte IV Capitolo 1
Questo metodo oltre a fornire la massima precisione nelle letture elimina anche lerrore di eccentricit in modo automatico.
5. Strumenti per la determinazione di rette verticali e di rette e piani orizzontali.
5.1. Filo a piombo
E lo strumento classico ed il pi semplice per
materializzare la direzione della verticale.
In topografia viene utilizzato per rendere verticale una palina o una stadia oppure pi spesso per
centrare lasse principale del teodolite, reso verticale,
sul punto materializzato a terra (
Fig. 16).
Fig. 16
5.2. Le livelle
I dispositivi fondamentali che si applicano in topografia per verificare la verticalit di unasse, lorizzontalit di unasse e lorizzontalit di un piano sono le livelle.
5.2.1. Livella torica
La livella torica una fiala di vetro riempita parzialmente di un liquido poco
viscoso e congelabile solo a bassissime temperature ( alcool, etere, etc.), avente la
superficie interna a forma di toro (Fig. 17).
Tale superficie, come noto dalla
geometria, si ottiene facendo ruotare
una circonferenza intorno ad una retta
del suo piano non passante per il centro.
Il liquido riempie solo parzialmente la fiala per cui nella parte alta si
forma sempre una bolla formata prevalentemente dai vapori del liquido.
La superficie del liquido che delimita i vapori si dispone sempre orizzontale per cui la tangente al toro nel
punto di mezzo della bolla sempre
orizzontale.
Sulla fiala incisa una graduazione i cui tratti distano 2 mm; la tangente
alla fiala nel punto centrale della graduazione dicesi tangente centrale della
livella.
Da quanto detto risulta che se si
Fig. 17
porta la mezzeria della bolla a coincidere con la tacca centrale della graduazione la tangente centrale della livella si dispone
orizzontale.
118
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Parte IV Capitolo 1
Fig. 18
forma cilindrica (Fig. 18) oppure avr la base dappoggio piana se lutilizzo quello
di rendere orizzontale un piano (Fig. 19).
1998/99 F.Resta
119
Parte IV Capitolo 1
Fig. 19
La livella cos costruita si dice rettificata quando la sua tangente centrale parallela alla retta o al piano dappoggio.
La condizione di rettifica molto importante in quanto solo se essa verificata
si pu rendere orizzontale un asse appoggiando su di esso la livella e ruotandolo fino
a centrare la bolla.
Per verificare la perfetta efficienza della livella si opera nel seguente modo:
- si consideri una livella non rettificata, la si poggi su di un asse e si ruoti tale asse
fino a centrare la bolla. La tangente centrale si disporr orizzontale ma lasse su
cui poggia la livella, causa la non rettifica, former con lorizzonte un angolo
(Fig. 20);
Fig. 20
-
120
si tolga ora la livella dallasse, che rester fermo nella sua posizione, si ruoti la
livella di 180 e la si poggi nuovamente sullasse. In questo nuovo assetto la
bolla si disporr in una posizione non centrale subendo una rotazione pari a 2,
misurata contando il numero delle tacche incise sulla livella di cui si spostata la
bolla (Fig. 21) (si noti che la tangente centrale continuer a formare un angolo
con lasse e che le perpendicolari alla tangente centrale ed allorizzontale formeranno un angolo pari a 2, cio lo stesso angolo formato dalla tangente centrale e
lorizzontale).
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Parte IV Capitolo 1
Fig. 21
Se, messa cos in evidenza la non rettifica della livella, la si vuole rettificare
baster agire sulla vite di rettifica W della stessa spostando la bolla verso il centro di
un angolo pari ad , cio alla met del numero di tacche.
Per rendere invece orizzontale un piano baster rendere orizzontali due rette
del piano, in genere tra di loro perpendicolari per poter condurre le operazioni senza
compromettere nelluna quanto gi raggiunto nellaltra.
Questa operazione in topografia non viene mai usata in quanto non esistono
piani da rendere orizzontali.
5.2.1.2. Livella per rendere verticale unasse
Nella livella utilizzata per rendere verticale un asse la fiala deve essere montata
in unarmatura che le permetta di ruotare insieme allasse; per es. larmatura pu essere costituita da un supporto a squadra il
cui lato pi lungo possa essere poggiato
sullasse e ruotare insieme ad esso. In questo
modo vengono realizzate tali livelle impiegate in meccanica.
Negli strumenti topografici invece si
usa disporre il tubo che contiene la fiala
sulla parte girevole intorno allasse che deve
essere reso verticale: nei teodoliti essa si dispone sullalidada (Fig. 22).
Tale livella si dice rettificata quando
la tangente centrale normale allasse da
rendere verticale.
Per rendere verticale un asse si rendono verticali due piani che lo contengono, posti, per lo stesso motivo detto per il piano
orizzontale, perpendicolari tra di loro: in tal
Fig. 22
modo lasse, essendo comune a due piani
verticali che lo contengono , verticale .
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Parte IV Capitolo 1
pos. A
pos. B
pos. C
pos. D
Fig. 23
perpendicolare allasse di rotazione dello strumento, e fissiamo la nostra
attenzione al piano che contiene tale asse ed perpendicolare alla tangente centrale (Fig. 23 pos. A);
2) in una condizione generica di asse non verticale si ruoti lalidada e si disponga la livella parallelamente a due viti calanti della base dappoggio
dello strumento;
3) agendo su tali viti con rotazioni simultanee, uguali ma contrarie, si centri la
bolla: con tale operazione il piano stato reso verticale nella posizione 1
(Fig. 23 pos. B) in quanto perpendicolare alla tangente centrale che stata
resa orizzontale ma non per questo perpendicolare l'asse di rotazione a
che gli appartiene;
4) si ruoti ora lalidada di 100g (Fig. 23 pos. C) e si centri la bolla con la terza
vite calante: con tale operazione il piano suddetto viene reso verticale nella
posizione 2 (Fig. 23 pos. D);
5) in tale situazione lasse essendo comune ai due piani 1 e 2, entrambi verticali, verticale (Fig. 23 pos. D).
Loperazione descritta per rendere verticale lasse del teodolite, la cui precisione dipende, ovviamente, dalla sensibilit della livella che si utilizzata, vale, come
detto, nel caso in cui la livella sia rettificata; ci viene messo in evidenza dal fatto
che, dopo aver eseguito le operazioni anzidette, ruotando lalidada in qualsiasi posizione la bolla resta sempre centrata. Nel caso ci non avvenga il fatto un indice che
122
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Parte IV Capitolo 1
la livella non rettificata: si pone allora il problema di conoscere langolo di srettifica per poter, eventualmente, rettificare la livella.
Si supponga la livella non rettificata, cio la sua tangente centrale formi un angolo v con la normale allasse intorno a cui ruota:
1) in una condizione generica di asse non verticale si ruoti lalidada e si disponga la livella parallelamente a due viti calanti della base dappoggio dello strumento;
2) agendo su tali viti con
rotazioni simultanee, uguali ma
contrarie, si centri la bolla (Fig.
24 1a posizione). In tale posizione la tangente centrale
orizzontale ma lasse non appartiene ad un piano verticale
ma ad un piano inclinato
dellangolo v;
3) si ruoti lalidada di
200g: con ci la tangente centrale descriver un cono portandosi nella posizione opposta
rispetto alla normale allasse
(Fig. 24 2a posizione) e formando quindi con la posizione
precedente un angolo pari a 2v.
La bolla non sar pi centrata
ma spostata di un numero di
Fig. 24
tacche equivalente allangolo
suddetto.
Pertanto, volendo rettificare la livella, si dovr agire sulla vite di rettifica riportando la bolla verso il centro di un numero di tacche pari alla met di quelle osservate.
5.2.2. Livella a coincidenza
Le livelle toriche, in topografia, vengono
usate anche per rendere orizzontale lasse del
cannocchiale di un livello oppure per eliminare
lerrore di verticalit nelle letture zenitali; in
questi casi la bolla deve essere centrata con notevole precisione.
Per tale caso sono state costruite delle livelle, dette a coincidenza, nelle quali, attraverso
un opportuno sistema di prismi (Fig. 25), appaiono affiancate le due estremit della bolla.
La livella sar centrata quando le due
immagini della bolla appariranno raccordate.
Fig. 25
Con tale la sensibilit della livella di partenza risulta aumentata di cinque, intendendo con ci che la livella 5 volte pi sensibile (una livella torica con una sensibilit " = 25" raggiunge una sensibilit di 5").
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Parte IV Capitolo 1
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Parte IV Capitolo 1
L'operazione
di
rendere l'asse verticale
viene effettuata con l'ausilio della livella posta
sull'alidada, come visto
nel precedente paragrafo,
mentre il riporto a terra
sul punto segnalizzato si
realizza tramite un semplice filo a piombo fissato ad un gancio presente all'interno del vitone e, costruttivamente,
in asse con l'asse principale dello strumento.
L'operazione, dopo
aver fissato il teodolite ed
il filo a piombo al treppiede, si effettua cercando di centrare il punto
a terra con leggeri moviFig. 28
menti del treppiede; dopo
tale centramento si rende
l'asse verticale tramite la livella con che, per, perdendo il centramento a terra. Si
svita, allora, leggermente il vitone di fissaggio e, con piccoli spostamenti del teodolite sulla base del treppiede, si centra nuovamente col filo a piombo il punto a terra;
con tali movimenti si per perso il centramento della bolla e quindi la verticalit
dell'asse che deve nuovamente con le solite manualit essere ripristinata. L'operazione si ripete con successivi piccoli aggiustamenti fino ad ottenere la completa messa
in stazione cio asse verticale e passante per il punto a terra.
Questa
operazione,
lunga e fastidiosa, pu essere notevolmente sveltita se
lo strumento possiede un
piombino ottico, basato sul
principio della riflessione
totale.
Come noto una raggio
di luce incidente una superficie di separazione tra due
Fig. 29
mezzi, nel nostro caso vetroaria (Fig. 29 a)), con un angolo i subisce il fenomeno della rifrazione viene cio deviato formando con la normale alla superficie di separazione un angolo r che soddisfa la legge di Snellius
sen i
= nva
sen r
dove con nva indicato l'indice di rifrazione relativo dell'aria rispetto al vetro (praticamente l'inverso dell'indice indicato al par. 4.4.).
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Parte IV Capitolo 1
E' noto che l'angolo i ha un limite oltre il quale il raggio non attraversa pi la
superficie di separazione ma viene riflesso. Tale valore limite iL si ottiene facilmente
dalla legge di Snellius ponendo r = 90
sen i L = nva sen 90
Per l'accoppiamento vetro-aria tale angolo ha il valore di
i L = 4148'
Su tale principio si realizza il prisma
rettangolare (Fig. 29 b)), con la sezione a forma di triangolo rettangolo isoscele; un raggio
di luce proveniente dall'aria, che incontra la
prima superficie di separazione (rappresentata
da un cateto del triangolo) perpendicolarmente, la attraversa senza subire deviazioni e ,
nel suo cammino, incontra la superficie di separazione vetro-aria (rappresentata dall'ipotenusa del triangolo) con un angolo di incidenza
pari a 45, cio superiore all'angolo limite, subendo la riflessione totale; dopo tale riflessione il raggio, proseguendo nel suo cammino,
incontra la seconda superficie di separazione
vetro-aria (rappresentata dall'altro cateto del
Fig. 30
triangolo) perpendicolarmente e quindi la attraversa senza subire deviazioni.
In Fig. 30 indicata schematicamente la struttura con cui viene realizzato il
piombino ottico, quasi sempre incorporato nella basetta dotata delle viti
calanti (In molti teodoliti la base pu
materialmente essere svincolata dallo
strumento tramite una opportuna chiave).
Il prisma viene opportunamente
sistemato nella basetta e, tramite un
microscopio composto (rappresentato
dalle lenti L1 ed L2), permette all'osservatore di vedere il punto a terra con
l'ausilio di una terza lente L3.
In Fig. 31 indicato un classico
esempio costruttivo di una basetta di
un teodolite.
In tali casi la messa in stazione
si
realizza
secondo le seguenti maFig. 31
nualit:
- si fissa la basetta al treppiede;
- tenendo il treppiede sollevato e ponendo l'occhio nel cannocchialino si cerca di
individuare il punto segnalizzato a terra;
- individuato il punto, purch sia nel campo del cannocchialino, si poggia il treppiede a terra e si fissa nel terreno;
126
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 1
muovendo le viti della basetta si centra perfettamente nel mirino ottico il punto a
terra;
si centra la livella torica sollevando o abbassando i piedi del treppiede;
si controlla nel piombino ottico che il punto a terra sia centrato;
se necessario, sbloccando leggermente il vitone, si sposta il teodolite per perfezionare il centramento del punto a terra;
si perfeziona la verticalit dell'asse tramite la livella torica.
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127
Parte IV Capitolo 1
128
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Parte IV Capitolo 1
f
f
f
L' L = + i + c
0
i 0 c 0
ove le derivate sono funzioni di A ed e sono calcolate per = i = c = 0.
Come si vede, eliminando i termini superiori misti si elimina l'influenza reciproca dei vari errori.
Le derivate della formula non sono altro che i valori degli errori calcolati precedentemente per cui si pu scrivere
L' L = sen A tan + i tan + c sec
1998/99 F.Resta
129
Parte IV Capitolo 1
Fig. 35
l'errore di inclinazione; si pu tuttavia notare che se nella formula (6) del paragrafo
precedente poniamo = 0, cio cannocchiale orizzontale, otteniamo
L' L = c
cio l'unico errore presente l'errore di collimazione.
In queste condizioni possiamo quindi controllare se esiste un eventuale errore
di collimazione e come rettificare lo strumento.
130
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 1
Si sceglie un punto P in modo che il cannocchiale sia circa orizzontale e si esegue la lettura azimutale LS (Fig. 35) con cerchio a sinistra (posizione C.S.); in questa
configurazione avremo
LS = L + c
avendo indicato con L la lettura che si sarebbe fatta in assenza di errore di collimazione.
Si collima di nuovo il punto P nella posizione coniugata C.D.; per effettuare
g
questa operazione si deve ruotare di 200 il cannocchiale intorno all'asse a2 , quindi
esso si disporr nella nuova posizione tratteggiata in Fig. 35 nello schema a sinistra,
e successivamente ruotare l'alidada di un angolo pari a 200 2c.
In questa nuova posizione, indicata nello schema a destra, si esegue una nuova
lettura LD che risulter
LD = LS + 200 g 2c
cio
L LD 200 g
(7)
c= S
2
In conclusione si pu dire che se eseguiamo le due letture nelle posizioni cog
niugate di un punto posto all'orizzonte e la loro differenza diversa da 200 lo strumento possiede un errore di collimazione la cui entit data dalla (7).
Per rettificare lo strumento, mantenendolo nella posizione C.D., basta ruotare
l'alidada fino a fare la lettura LD + c; ovviamente il punto P non sar pi collimato
(cio non sar al centro del reticolo) per cui si sposter il reticolo con le sue viti di
rettifica fino a che la collimazione non sar ristabilita. Praticamente con questa operazione abbiamo ruotato l'asse di collimazione di un angolo pari a c.
1998/99 F.Resta
131
Parte IV Capitolo 1
Fig. 36
7.4. Asse principale del teodolite
Come gi detto, nei teodoliti normalmente usati l'errore di verticalit non pu
mai essere verificato (si noti che nella (6) esso non cambia segno nell'esecuzione
delle letture coniugate) ne essere eliminato con opportune procedure.
Ci implica che l'operazione di messa in stazione deve essere eseguita con
molta attenzione e con una livella perfettamente rettificata (par. 5.1.2.1.).
8. Misura degli angoli azimutali
8.1. Regola di Bessel
Con un teodolite perfettamente rettificato ed opportunamente messo in stazione
la misura di un angolo azimutale tra due piani verticali che contengono due punti P1
e P2 ed il punto di stazione consisterebbe nel collimare i due punti ed effettuare le
relative letture L1 ed L2 sul cerchio azimutale; l'angolo sarebbe semplicemente dato
dalla differenza L2 - L1 .
Questo modo di procedere viene effettivamente usato solo nelle misure di non
elevata precisione (rilievi di dettaglio) perch presenta due notevoli inconvenienti:
- non consente di rilevare la presenza di errori grossolani in quanto le letture vengono eseguite una sola volta;
- non permette l'eliminazione di eventuali errori residui di rettifica.
132
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Parte IV Capitolo 1
Il metodo di norma utilizzato quello di eseguire le letture prima nella posizione C.S. e poi nella posizione C.D. (la sequenza C.S. C.D. non obbligatoria; si
g
pu anche invertire); ne deriva che la media delle due letture a meno di 200 non
affetta dai residui degli errori di rettifica ed in pi permette di tutelarsi da eventuali
errori grossolani.
Tale modo di procedere nella effettuazione delle misure angolari va sotto il
nome di Regola di Bessel (dal nome del geodeta che per primo la formul) che si pu
cos enunciare: misurando un angolo azimutale nelle due posizioni coniugate dello
g
strumento la media, a meno di 200 , dei valori ottenuti non influenzata dalla presenza degli errori residui di collimazione e di inclinazione.
Si osservi che tale metodo non elimina l'eventuale errore di verticalit in
quanto nella (6) tale errore conserva lo stesso segno per cui, nel caso delle due letture
coniugate, esso vale
= (sen A2 tan 2 sen A1 tan 1 )
dove A1 ed A2 sono gli angoli azimutali tra il piano verticale che contiene l'asse a1 del
teodolite e rispettivamente i piani verticali che contengono P1 e P2 mentre 1 ed 2
sono gli angoli di altezza di tali punti rispetto al punto di stazione.
8.2. Errori delle graduazioni dei cerchi
La graduazione di un cerchio presenta sempre piccoli errori di costruzione dovuti al fatto che ogni tratto non viene tracciato esattamente nella posizione teorica
che dovrebbe avere.
Questi errori possono essere considerati come risultanti da una componente accidentale, propria di ciascun tratto, avente origine in varie cause intervenute a perturbare la sua incisione, e da una componente sistematica, dipendente dalla non perfetta
posizione reciproca delle parti costituenti la macchina che ha effettuato l'incisione
dei tratti (ad esempio a causa di ci pu risultare che su un certo diametro del cerchio
le parti della graduazione sono tutte pi grandi di quelle diametralmente opposte,
mentre sul diametro ad esso perpendicolare sono corrette).
A causa di questi errori di graduazione, la determinazione di ogni direzione osservata, azimutale o zenitale, porta inevitabilmente in s l'errore da cui affetto il
tratto della graduazione cui viene riferita la sua lettura.
Tali errori non sono affatto trascurabili se si considera che i cerchi dei teodoliti
moderni sono di piccolo diametro; ad esempio l'errore di 1m nella incisione di un
cc
tratto provoca un errore nella sua posizione di 12 se il diametro del cerchio di 10
cm.
Gli effetti di questi errori sulla misura di una direzione possono essere notevolmente attenuati ripetendo la misura in diversi settori del cerchio; i procedimenti
usati sono due, detti rispettivamente di reiterazione e di ripetizione, a seconda di come costruito il teodolite.
Questi procedimenti si usano solo per le misure azimutali in quanto in tali misure si pretendono precisioni elevatissime. Non si applicano nelle letture zenitali in
quanto la precisione delle graduazioni si ritiene sufficiente per tali letture; infatti,
come si vedr, le letture zenitali sono fortemente perturbate dalla rifrazione atmosferica da poter considerare che, per i teodoliti di elevata precisione, sono gli errori di
graduazione del cerchio ad essere trascurabili rispetto a quelli provenienti dalla rifrazione , e non il contrario.
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133
Parte IV Capitolo 1
Fig. 37
La misura di un angolo viene eseguita nel seguente modo:
si collimano i punti P1 e P2 e si esegue la lettura dell'angolo, applicando naturalmente la regola di Bessel (con ci si eseguita la prima reiterazione);
- fissato il numero di reiterazioni n che si vogliono eseguire si ricollima il punto P1
nella stessa posizione iniziale (C.S. o C.D.) e con il bottone di reiterazione si
200 g
ruota il cerchio di un angolo pari a
e si esegue una seconda lettura dell'ann
golo, sempre applicando la regola di Bessel (con ci si eseguita la seconda reiterazione);
- si prosegue al solito modo tenendo presente che ad ogni ulteriore reiterazione il
200 g
cerchio va preventivamente ruotato di un angolo pari a
.
n
Si noti che per determinare l'angolo di rotazione del cerchio si preso in consig
derazione un angolo pari a 200 in quanto l'altra met del cerchio viene coperta eseguendo le letture coniugate.
Quando non erano disponibili le raffinate macchine a dividere odierne la possibilit di ridurre gli errori di graduazione per mezzo della reiterazione era assai apprezzabile; oggi lo molto meno, ma si continua ad utilizzare il metodo della reiterazione, in particolare per le misure di elevata precisione, perch la distribuzione regolare delle letture sul cerchio quella che d maggiori garanzie di precisione ed
inoltre la ripetuta lettura di un angolo serve a mediare i vari errori accidentali presenti.
I teodoliti moderni, in particolare quelli di elevata precisione, sono sempre reiteratori.
-
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 1
permettono il fissaggio del cerchio alla base. Si noti che in tale strumento l'alidada
pu essere fissata alla base solo tramite il cerchio.
La misura con ripetizione dell'angolo azimutale tra due punti P1 e P2 si esegue
nel seguente modo:
1) la vite W bloccata e tiene il cerchio fisso alla base; si sblocca la vite V e,
ruotando l'alidada, si collima il punto P1 con l'ausilio della vite dei piccoli
spostamenti v e si esegue la lettura L1 ;
2) sempre lasciando il cerchio fisso alla base, con l'ausilio delle viti V e v si
collima il punto P2 senza effettuare alcuna lettura (la lettura L2, per differenza con la L1, darebbe la misura dell'angolo cercato);
3) tenendo bloccato il cerchio all'alidada tramite la vite V, si sblocca il cerchio dalla base tramite la vite W e, ruotando insieme alidada e cerchio, si
collima nuovamente il punto P1 perfezionando la collimazione con la vite
dei piccoli spostamenti w (cos facendo abbiamo portato la lettura L2 nelle
direzione di P1);
4) adesso si blocca nuovamente il cerchio alla base e, sbloccando V, si ricollima il punto P2 con l'ausilio delle viti V e v;
5) si ripete l'operazione indicata al punto 3);
6) si ripete l'operazione del punto 4);
7) si prosegue con le stesse modalit per il numero n previsto di ripetizioni;
8) quando si collima per l'ennesima volta il punto P2 si esegue la lettura finale Ln+1;
9) l'angolo richiesto sar
L L1
= n +1
n
Teoricamente la ripetizione dell'angolo dovrebbe essere pi precisa della reiterazione poich si eliminano tutte le misure intermedie ed inoltre aumenta la rapidit
delle operazioni.
Si per constatato
che nelle operazioni di
blocco del cerchio all'alidada si possono avere dei
leggeri scorrimenti del
cerchio stesso che infirmano la precisione delle misure in modo sensibile per
cui tale metodo stato per
lungo tempo abbandonato
almeno nei teodoliti di
elevata precisione.
Da notare che con
questo procedimento le
letture non sono distribuite
regolarmente lungo tutta la
Fig. 38
graduazione e che quindi
la eliminazione degli errori di graduazione meno efficace che con il metodo della
reiterazione. Va per detto che anche con lo strumento ripetitore si possono eseguire
1998/99 F.Resta
135
Parte IV Capitolo 1
le reiterazioni, cio si possono eseguire le letture angolari distribuendole in vari settori del cerchio.
Il vantaggio che offre il teodolite ripetitore rispetto a quello reiteratore rappresentato dalla possibilit di poter impostare, su di un punto collimato, la lettura che
si desidera con la stessa precisione offerta dallo strumento; potrebbe essere utile, per
esempio, impostare la lettura 0 sul primo punto collimato per leggere direttamente
l'angolo sul secondo punto. Si tenga presente che invece nel reiteratore ci non
possibile in quanto la lettura viene impostata tramite il bottone di reiterazione che
non possiede la precisione della vite dei piccoli spostamenti utilizzata nel ripetitore.
Questo vantaggio, utile per rilievi speditivi, consente, ancora oggi, di costruire,
cc
c
per strumenti di non elevata precisione (20 , 1 , etc.), teodoliti ripetitori.
In Fig. 39 ne sono indicati due esempi; il modello T1 A segue la costruzione
canonica spiegata nel testo ed era il modello classico del passato; il modello T 16 se-
Fig. 39
gue la tecnica costruttiva moderna che tende a sostituire il sistema di bloccaggio cer136
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 1
chio-alidada con una molla comandata all'esterno da una chiavetta D a due posizioni
che permette il fissaggio del cerchio o al basamento o all'alidada: dei bottoni precedenti ne resta solo una coppia che permette il collegamento alidada-base (come per i
reiteratori).
Tale strumento funziona nel seguente modo:
- con la chiavetta D si blocca il cerchio al basamento;
- si collima il punto utilizzando le viti W e w;
- oppure, sempre utilizzando le due viti, si impone la lettura desiderata (0, per es.);
- con la chiavetta D si sblocca il cerchio dalla base e lo si fissa all'alidada (l'operazione si fa con un semplice movimento della chiavetta);
- ruotando l'alidada si collima il punto nuovamente con le viti W e w che non alterano la lettura imposta.
8.5. Misura simultanea di pi angoli da una stazione
8.5.1. Generalit su direzioni ed angoli osservati
Collimando un generico punto P con un teodolite di precisione in stazione sul
punto Ps e ripetendo varie volte la misura si noter che i risultati variano in modo casuale (vedi teoria degli errori) per cui, con le note regole, si potr definire una lettura
media m su P ed uno scarto quadratico medio (s.q.m.) m.
A provocare la dispersione delle letture sul punto P intervengono principalmente tre fattori:
a) l'errore di puntamento propriamente detto, causata dal fatto che il segnale sul
punto P non viene centrato con i fili del reticolo sempre nella stessa maniera
(in ci influisce oltre l'operatore anche lo stato dell'atmosfera e l'illuminazione del segnale sempre diversa);
b) l'errore di lettura sul cerchio dovuto alla imperfetta coincidenza dei tratti
realizzata dall'operatore (nei teodoliti di precisione la dispersione delle letture causata dall'errore di lettura per sempre minore della dispersione dovuta al puntamento);
c) piccoli movimenti delle varie parti dello strumento che intervengono tra un
puntamento e l'altro.
A questi effetti accidentali si potrebbe aggiungere un effetto sistematico dovuto
essenzialmente a piccoli spostamenti della base dello strumento che determinano un
variazione della giacitura dell'asse a1; tali spostamenti vengono evidenziati da un decentramento della livella torica. Da notare, per, che anche brusche variazioni termiche possono decentrare la bolla della livella creando cos dei dubbi sulle effettive
cause di tale fenomeno; quindi buona norma, nei rilievi di elevata precisione, l'uso
di un ombrello per coprire lo strumento quando si opera sotto il sole.
In conclusione si pu dire che, ripetendo varie volte la misura su un punto P, si
ha una dispersione accidentale dei risultati caratterizzata da un s.q.m. m ed una
eventuale variazione sistematica della lettura media dovuta a piccoli movimenti della
base dello strumento.
Ci posto si consideri il caso in cui dal punto di stazione Ps si siano collimati
ripetutamente i punti P1, P2 .. Pn ; se i valori medi delle letture a tali punti sono
caratterizzati da un s.q.m. sensibilmente uguale e pari a m e si ha motivo di ritenere
che durante le operazioni di misura non sono intervenuti movimenti della base dello
strumento, l'angolo fra una qualsiasi coppia di punti pu essere ottenuto come diffe1998/99 F.Resta
137
Parte IV Capitolo 1
renza tra le letture medie ed caratterizzata da un s.q.m. pari a m 2 ; le letture medie rappresentano in tal caso le direzioni osservate rispetto ad una qualunque delle direzioni Ps Pi scelta come origine.
Se fra i punti collimati ve ne uno P* che, per essere segnalizzato con un segnale migliore o meglio illuminato o meglio visibile, caratterizzato da un s.q.m.
sensibilmente minore di quello che caratterizza tutti gli altri punti si potr dire che le
direzioni osservate rispetto a Ps P* (ovvero gli angoli tra una direzione qualsiasi sugli altri punti e la direzione Ps P* ) sono praticamente caratterizzate da un s.q.m. pari
a m, mentre rimane invariato il fatto che l'angolo tra due direzioni generiche PsPi - Ps
Pk caratterizzato da un s.q.m. m 2 .
Da quanto detto risulta evidente che le modalit operative necessarie per misurare una direzione devono essere tali da escludere variazioni sistematiche nei risultati
dovute a movimenti della base dello strumento.
Si supponga ora che durante le operazioni di misura, dopo aver collimato alcuni punti e prima di aver concluso le collimazioni su tutti i punti, si renda necessario o
si voglia effettuare un nuovo centramento della bolla della livella torica; ci comporter un nuovo assetto dell'asse a1 e quindi l'introduzione di una variazione sistematica delle letture non tollerabile: in pratica non si potr considerare un angolo
compreso tra due direzioni collimate l'una prima e l'altra dopo il centramento della
bolla in quanto tale angolo conterr una componente sistematica non nota.
Quanto detto sopra ha importanza fondamentale nell'esecuzione delle misure e
permette di comprendere le differenze tra le varie modalit operative di seguito descritte.
8.5.2. Misura di pi angoli tramite il metodo ad angoli semplici a giro d'orizzonte
Siano P1, P2 .. Pn (Fig. 40)i punti che si devono osservare da Ps; le misure
vengono effettuate nel seguente modo:
1) si misura l'angolo P1P2 eseguendo le
collimazioni con il C.S. e C.D. e, se
richiesto, reiterando le misure un
certo numero n di volte: tra una reiterazione e l'altra si pu ripetere la messa in stazione;
2) si misura con le stesse modalit l'angolo P2P3;
3) quindi, sempre con le stesse modalit,
si misurano i restanti angoli fino a
PnP1.
Gli angoli vengono misurati tutti in manieFig. 40
ra indipendente, ma nel loro complesso non sono
indipendenti in quanto sono legati dalla condizione
g
P1P2 + P2P3 + Pn-1Pn + PnP1 = 400
Le misure vanno compensate ripartendo in parti uguali l'errore di chiusura.
138
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Parte IV Capitolo 1
Non conveniente usare nei calcoli angoli diversi da quelli misurati, risultanti
cio da somme di due o pi angoli misurati, perch avrebbero evidentemente degli
s.q.m. maggiori dello s.q.m. di un singolo angolo.
8.5.3. Misura di pi angoli tramite il metodo a strati
Le misure vengono effettuate nel seguente modo:
1) si collimano successivamente i punti P1, P2 , Pn con il C.S.;
2) si ripetono le misure con il C.D..
Con ci si eseguito il cosiddetto strato di osservazione; si tenga presente che
durante l'esecuzione di tutto lo strato lo strumento deve restare, per quanto possibile,
immobile, cio non si pu variare l'assetto dell'asse a1.
Successivamente si ripetono altri strati con C.S. e C.D. reiterando (ruotando di
g
200 /n) il cerchio azimutale ed eventualmente centrando nuovamente la bolla.
Se in ogni strato sottraiamo alle letture su tutti i punti la lettura su P1 e poi eseguiamo la media dei valori ottenuti su ogni punto otteniamo le direzioni finali riferite
a P1; queste direzioni hanno s.q.m. che, a causa del procedimento di calcolo, conglobano sia le fluttuazioni accidentali delle collimazioni su P1 che quelle negli altri punti; se m mediamente lo s.q.m. di una lettura indipendente, le direzioni rispetto a P1
hanno un s.q.m. mediamente uguale a m 2 .
8.5.4. Misura di pi angoli tramite il metodo della direzione isolata
Le misure vengono effettuate nel seguente modo:
1) si sceglie un punto P0, che non coincide con nessuno dei punti interessati alle osservazioni angolari, in modo tale che la sua collimazione sia caratterizzata da un
s.q.m. pi piccolo di quello che caratterizza le collimazioni sugli altri punti; perch sia verificata questa caratteristica il punto P0 deve essere stabile, nitidamente
visibile, uniformemente illuminato e ben collimabile;
2) si misura l'angolo P0 P1 in maniera indipendente, ovviamente con C.S. e C.D. ed
eventualmente reiterando;
3) si misura successivamente l'angolo P0 P2, eventualmente ricentrando la bolla
della livella di messa in stazione, con le medesime modalit dell'angolo precedente;
4) si prosegue misurando tutti gli angoli P0 Pi ciascuno in maniera indipendente.
Poich la collimazione su P0 caratterizzata da fluttuazioni accidentali di misura pi piccole di quelle che caratterizzano le collimazioni ai punti P1 , P2 , Pi ,
Pn, si pu dire che questo metodo quello che meglio realizza la misura di una direzione (rispetto a P0).
Mediamente a tale direzione si pu assegnare uno s.q.m. uguale a quello che si
realizza collimando indipendentemente un punto, e cio m.
L'angolo tra due punti qualunque, ovviamente essendo dato dalla differenza
delle relative direzione, avr un s.q.m. pari a m 2 .
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139
Parte IV Capitolo 1
140
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 1
Fig. 42
g
per cui nell'applicare la (8) occorre aggiungere 400 ad S che pertanto diviene:
400 g + S D
z=
(9)
2
Molto grossolanamente per dare un'indicazione delle letture che si farebbero
nell'esempio riportato in Fig. se per S si legge 48g per D si dovrebbe leggere 352g e
quindi, applicando la formula si otterrebbe z = 48g.
Se la graduazione fosse antioraria nella formula in luogo di S-D si avrebbe D-S.
9.3. Zenit strumentale (Errore d'indice)
Si noti (Fig. 42) che la media delle due letture S e D (ovviamente a meno di
g
400 ), cio
S + D 400 g
Z=
(10)
2
rappresenta la lettura che si farebbe quando l'asse di collimazione diretto secondo
la bisettrice dell'angolo 2z, cio secondo l'asse a1 , ovvero, per l'ipotesi di perfetta
messa in stazione, secondo la verticale.
Tale lettura Z prende il nome di zenit strumentale ed in perfetta condizione di
rettifica dovrebbe valere 0.
In genere ci non avviene a causa di piccoli spostamenti relativi dell'indice dovuti all'uso quotidiano dello strumento in campagna; nel qual caso la lettura zenitale,
per esempio S, non darebbe a distanza zenitale corretta ma andrebbe aumentata o diminuita di una quantit pari a Z .
Per tale motivo lo zenit strumentale viene spesso indicato col nome di errore
d'indice; vale a dire che in condizione di partenza, cio a cannocchiale verticale, l'indice non segna 0 ma un valore diverso Z ( come se una bilancia in condizione di riposo non segnasse 0 ma una valore p per cui in condizione d'uso al valore indicato
dall'indice andrebbe sottratto o sommato p per ottenere il peso esatto).
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Parte IV Capitolo 1
142
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Parte IV Capitolo 1
400 g + S D
2
La semidifferenza non da quindi la distanza zenitale z ma la quantit z-v; se
l'asse a1 fosse inclinato dalla parte opposta la semidifferenza delle letture darebbe
z+v.
2( z v ) = 400 g + S D
ovvero
zv =
Fig. 43
L'esempio descritto rappresenta la situazione in cui l'errore di verticalit si trasmette alla distanza zenitale in tutta la sua grandezza; nel caso in cui l'asse a1 non sia
inclinato nel piano verticale che contiene il punto collimato ma in una direzione
qualunque si deve considerare la componente dell'errore di verticalit nel piano di
collimazione.
Per eliminare tale errore si ricorre
ad una livella, in generale a coincidenza
d'immagine, posta in prossimit del cerchio zenitale, con la tangente centrale
parallela al piano di questo, quindi praticamente parallela al piano verticale di
collimazione durante le due collimazioni
del punto A.
Questa livella detta livella zenitale ed collegata agli indici di lettura;
il complesso indici-livella pu essere
ruotato per mezzo di una apposita vite S
a piccolo passo (Fig. 44).
Centrando questa livella la sua
tangente, e quindi gli indici, si dispongono orizzontali e ci indipendentemente dalla posizione dell'asse a1 (si
Fig. 44
tenga presente che costruttivamente gli
indici sono resi perpendicolari ad a1 ).
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143
Parte IV Capitolo 1
Eseguendo prima di ogni lettura il centramento della bolla si ottiene che la semidifferenza d il valore della distanza zenitale depurato dall'errore di verticalit.
Infatti sia S la lettura nella posizione C.S. dopo il centramento della livella che
g
ha quindi tangente orizzontale; ruotando l'alidada di 200 (Fig. 43 b)) la tangente
centrale si inclina di 2v e si indichi con D la lettura che si farebbe dopo aver ricollimato il punto; se adesso centriamo la livella, l'indice, come si vede in fig., si sposta
in senso tale da far diminuire la lettura di 2v; indicando con D' questa nuova lettura si
avr perci D' = D-2v e quindi, facendo la semidifferenza, si avr:
400 g + S D' 400 g + S D + 2v 400 g + S D
=
=
+v = zv+v = z
2
2
2
Poich la livella viene centrata subito prima di ogni lettura ed essendo inoltre a
coincidenza d'immagine, quindi di elevata sensibilit, la precisione che si ottiene nell'eliminazione di v superiore a quella con cui si pu rendere verticale l'asse a1 .
Resta da vedere cosa succede quando si in presenza dell'errore di verticalit v
e lo zenit strumentale Z non rettificato, precisando che con Z si intende la lettura
che si fa al cerchio quando l'asse di collimazione diretto secondo la verticale.
In questo caso la semisomma delle due letture non da lo zenit strumentale Z ma
g
la lettura corrispondente all'asse di collimazione diretto secondo l'asse primario a1 ;
indicata con Z' questa lettura si ha dunque
S + D 400 g
Z' =
= Z +v
2
Eseguendo invece le letture a bolla centrata si ha
S + D' 400 g S + D 2v 400 g S + D 400 g
=
=
v = Z ' v = Z + v v = Z
2
2
2
ottenendo cio il vero zenit strumentale.
9.5. Indice zenitale automatico
In molti strumenti moderni l'eliminazione dell'errore di verticalit viene resa
automatica mediante un sistema a pendolo.
Il principio del dispositivo che prende il nome di indice zenitale automatico
molto semplice: si rendano solidali gli indici di lettura ad un pendolo che abbia l'asse
di oscillazione sull'asse di rotazione del cannocchiale; poich l'asse del pendolo si dispone sempre secondo la verticale, indipendentemente dall'inclinazione dell'asse
primario, l'insieme equivale ad una livella zenitale che si centri sempre automaticamente.
144
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Parte IV Capitolo 1
Fig. 45
La lettura degli angoli avviene con il sistema micrometrico descritto al par. 4.4.
e quindi con correzione automatica dell'errore di eccentricit
Nella finestra del microscopio di lettura, dopo aver portato in coincidenza le tacche dei due lembi diametrali del cerchio tramite l'opportuno bottone (indicato con il n.
16 nella legenda allegata alla Fig. 45), si presenta la visione indicata in Fig. 46.
Nella scala principale, in corrispondenza dell'indice si leggono numeri interi
corrispondenti alla minima graduazione tracFig. 46
ciata (nel nostro caso si leggono i gradi ed i
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145
Parte IV Capitolo 1
Fig. 47
(Fig. 47).
Nel microscopio per la lettura ai cerchi si presentano direttamente i lembi dei due cerchi indicati
con V, il zenitale, ed Hz l'azimutale; la visione riportata in Fig. 48.
Fig. 48
146
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 1
Tg3b Galileo
cc
E' un teodolite reiteratore da 50 dotato di micrometro ottico (Fig. 49).
Fig. 49
La lettura delle direzioni viene effettuata portando all'interno dell'indice, formato da due tacche parallele, una tacca della graduazione principale ruotando il bottone relativo (N. 16 in
Fig. 49).
Si legger quindi (Fig. 50) il numero di gradi
indicato sulla graduazione principale ed i primi direttamente nella finestrella superiore dove riportata la
c
graduazione del micrometro; qui ogni tacca vale 2
cc
per cui a stima si raggiungono i 50 (1/4 di tacca).
Fig. 50
Tg4br Galileo
1998/99 F.Resta
147
Parte IV Capitolo 1
E' un teodolite ripetitore da 2 ,5 dotato anche di una livella a cavaliere del cannocchiale che ne permette l'utilizzo come livello per la determinazione delle diffe-
Fig. 51
renze di quota (Fig. 51)
La lettura viene effettuato con un indice dotato di nonio (vedi par. 4.3.) le cui
tacche sono gi graduate.
Nell'esempio di Fig. 52 si hanno le seguenti
letture:
g
cerchio zenitale
299 ,75;
g
cerchio azimutale
397 ,75
Fig. 52
4150 Salmoiraghi
148
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Parte IV Capitolo 1
cc
Fig. 53
Fig. 54
DK 2 Kern
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149
Parte IV Capitolo 1
cc
Fig. 55
co(Fig. 55).
Il sistema di lettura ha il
pregio di indicare direttamente la
media aritmetica delle due posizioni diametrali dei cerchi, eliminando cos in modo diretto l'errore
di eccentricit.
Il metodo di lettura consente
di leggere direttamente sulla scala
principale i gradi e le decine di
primi.
Per la successiva lettura si
fa uso della scala secondaria indicata da piccole tacche poste al disopra della scala principale in V e al disotto in Az.
150
Fig. 56
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Parte IV Capitolo 1
Queste tacche rappresentano l'indice di lettura di una scala decimale per i primi
centesimali che individuata dai tratti lunghi della scala principale che cadono a cavallo dell'indice di lettura (Fig. 56).
11. Goniometri speciali
c
Un piccolo goniometro di bassa precisione (10 ) ma utilizzabile nei rilievi di
dettaglio, o per eseguire allineamenti in direzioni variabili, lo squadro graduato
(Fig. 57) costituito da un cilindro fisso su cui montato il cerchio graduato ed un cilindro mobile che realizza un piano verticale di collimazione mediante due fenditure,
una delle quali attraversata da un filo verticale, che costituiscono un piano di traguardo; si mette in stazione, mediante una livella sferica, su un treppiede
Fig. 57
Fig. 58
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151
Parte IV Capitolo 1
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 1
talliche con una freccia incisa (Fig. 63C) o come croci scolpite sulla roccia; di tali riferimenti viene eseguita una piantina con indicate le distanze dal centro e vengono
utilizzati per ricostruire il punto quando esso venisse danneggiato o asportato.
Fig. 63
I capisaldi di livellazione invece vengono collocati in un pozzetto (Fig. 64 a)),
spesso accompagnati da un caposaldo verticale (Fig. 64 b)) a forma di mensola posto
nelle vicinanze sulla parete di un edificio(sono visibili entrambi sul lato destro
dellingresso della sezione di topografia).
La stadia, dopo aver
aperto il pozzetto, viene posta sul caposaldo e sorretta
dal portastadia in posizione
verticale; il caposaldo verticale richiede invece una
particolare stadia che abbia
lo 0 in corrispondenza del
piano di riferimento e che
viene appesa alla mensolina, oppure l'utilizzo di una
stadia di cui sia nota con
elevata precisione la sua
lunghezza.
Tutti questi punti rivestono una importanza
fondamentale per qualsiasi
lavoro di topografia in
quanto permettono, agganciando ad essi i rilievi, la
esatta posizione planimetrica dei punti rilevati e/o la
Fig. 64
loro quota assoluta.
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153
Parte IV Capitolo 1
Per tutti questi punti viene sempre redatta una opportuna monografia con tutti i
riferimenti necessari per ritrovarli (Fig. 65 e Fig. 66) e i dati per il loro utilizzo; sono
reperibili a pagamento presso la sede dell'IGMI a Firenze.
Fig. 65
Fig. 66
154
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 1
Quando i punti, siano essi da determinare o gi determinati, debbono essere osservati con il teodolite vanno segnalizzati con opportuni collimatori.
Esistono vari tipi di collimatori in funzione della recisione del rilievo e della
distanza a cui sono collocati.
Fig. 67
Il pi comune la classica palina, unasta di legno o di metallo dipinta a fasce
di 20 cm verniciate alternativamente di bianco e rosso e terminante con una punta
metallica, di altezza standard di 1,60 m; a volte, per individuarle meglio, si pone superiormente uno scopo dipinto a scacchi (Fig. 67).
Per collimazioni di alta
precisione si utilizzano scopi
metallici con parti in vetro opaco
che vengono posizionati sul
punto tramite un treppiede ed
una basetta intercambiabile con
il teodolite; hanno in genere la
caratteristica di poter essere illuminati da dietro per collimazioni notturne (Fig. 68).
Infine per collimazioni a
grandissima distanza (50-60Km)
si costruiscono opportuni colliFig. 68
matori in legno o ferro (Fig. 69).
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155
Parte IV Capitolo 1
Fig. 69
156
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Parte IV Capitolo 2
CAPITOLO 2
STRUMENTI E OPERAZIONI DI MISURA DELLE DISTANZE
157
Parte IV Capitolo 2
fissata lalidada, il piano descritto dallasse di collimazione al ruotare del cannocchiale un piano verticale contenente la verticale in A ed il punto B ed interseca la
superficie terrestre secondo una traccia corrispondente alla sezione normale AoBo; sui
punti del terreno individuati dal centro del reticolo si pongono quindi dei picchetti a
distanze opportune che consentono di eseguire la misura della distanze secondo tratte
inferiori alla portata dello strumento.
1.3. Riduzione della distanza alla superficie di riferimento
Sia dm la distanza misurata sul terreno secondo la congiungente i due punti A e
B (Fig. 70), z la distanza zenitale
del punto B rispetto al punto A
misurata anchessa sul terreno e Q
la quota nota del punto A.
Si indichi con da la distanza
AB valutata secondo il piano orizzontale di A, detta distanza orizzontale (segmento AC in Fig. 70),
e con do la distanza sulla superficie di riferimento, detta, nel linguaggio topografico comune,
semplicemente distanza.
Il calcolo rigoroso di do a
partire da dm , z e Q molto semplice; si ha (dal triangolo ABC,
retto in C)
d a =d m sen z
Fig. 70
tiene
d
AD
= R arc tan a
AO
Q+R
Per il calcolo di si ha dal triangolo BDC retto in C
d o = R = R arc tan
= BC tan = d m cos z
da
Q+R
(11)
(12)
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Parte IV Capitolo 2
d o = R arc tan
d m sen z
Q + d m cos z + R
(13)
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159
Parte IV Capitolo 2
Fig. 71
Fig. 72
160
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Parte IV Capitolo 2
= d
cos( + ) cos( )
cos( + ) cos( )
d = CH cos 2
= CH cos 2 1
4C
4C 2
Trascurando infine il secondo termine tra parentesi in quanto molto piccolo (al
massimo 1/40.000 se C = 100) si ottiene la formula finale della distanza
d = CH cos 2
(14)
Se invece dellangolo daltezza nota la distanza zenitale z la formula assume la forma
d = CH sen 2 z
(15)
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161
Parte IV Capitolo 2
Resta da vedere come si possano realizzare le due visuali che formano langolo
con lasse di collimazione.
Fig. 73
Nel cannocchiale di tipo astronomico sul vetrino del reticolo vengono incisi
altri due fili ad una distanza h (Fig. 73) ed il reticolo prende il nome di reticolo distanziometrico.
Ricordando come si forma limmagine notiamo in primo luogo che il punto O
descritto precedentemente coincide col fuoco anteriore dellobbiettivo per cui la distanza d indicata dalla formula soprascritta rappresenta la distanza dal punto F1 indicato in Fig. 73 fino alla stadia: per ottenere la distanza effettiva dal punto di stazione,
indicato dal centro dello strumento E, alla stadia occorre aggiungere una costante
strumentale a; in secondo luogo, indicando con h la distanza fra i due tratti del reticolo, si ottiene
h
f
tan =
e
C=
2f
h
da cui si pu determinare h in modo che C risulti uguale a 100 (o 50).
In conclusione la distanza tra il centro del cannocchiale ed il punto in cui viene
messa la stadia, quando lasse di collimazione inclinato di vale
d = CH cos 2 + a cos
(16)
oppure se, come spesso avviene, si legge z
d = CH sen 2 z + a sen z
(17)
I cannocchiali moderni sono tutti costruiti in modo da rendere la costante additiva a = 0 e vengono detti centralmente anallattici; ci si realizza aggiungendo
allobbiettivo una lente convergente (lente anallattica) che ha lo scopo di far coincidere il fuoco anteriore con il centro dello strumento.
Per analizzare la precisione di questo metodo consideriamo il caso semplice di
una misura effettuata a cannocchiale orizzontale.
Le letture che eseguiamo alla stadia hanno un loro s.q.m. che possiamo quantificare in 1mm, quando la stessa posta ad una distanza di 100m, ricordando che le
stadie sono graduate in centimetri e quindi il millimetro viene stimato; ovviamente se
la stadia fosse posta ad una distanza superiore ls.q.m. della lettura tenderebbe ad
aumentare in quanto la stima diverrebbe pi grossolana.
Dalla teoria degli errori, ricordando che si in presenza di una misura indiretta,
si ottiene ls.q.m della distanza
162
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Parte IV Capitolo 2
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163
Parte IV Capitolo 2
controllo in quanto dovrebbe rappresentare la media delle letture ai due fili inferiore
e superiore: esatta, se si lavora a cannocchiale orizzontale, con notevole approssimazione, se si lavora a cannocchiale inclinato.
Tale lettura inoltre necessaria quando si vuole determinare il dislivello tra il
punto di stazione ed il punto in cui posta la stadia, come si vedr in seguito.
4. Misura mediante onde (Distanziometri)
4.1. Richiami sulla teoria delle onde
Si in presenza di unonda quando in un punto A dello spazio si produce un
fenomeno oscillatorio che si riproduce nei punti contigui con un ritardo proporzionale alla loro distanza da A (Fig. 76).
Fig. 76
Se la grandezza fisica oscilla in A con legge sinusoidale il fenomeno rappresentato da unequazione del tipo:
x
V ( t , x ) = V0 sen t + 0
v
(18)
dove
V0 = ampiezza delloscillazione;
0 = fase iniziale = t0 (con t0 tempo iniziale);
= pulsazione = 2 f = 2 / T;
T = periodo;
f = frequenza.
Lequazione (18) indica che la grandezza fisica allorigine oscilla con legge sinusoidale secondo la funzione
V ( t ,0 ) = V0 sen( t + 0 )
(19)
(indicata in Fig. 77) e che si propaga nello spazio (indicata in Fig. 76) con velocit
v = c/m
dove c la velocit dellonda nel vuoto (circa 3.108 m/sec) ed m lindice di rifrazione
dellaria.
Allistante t, in un punto di ascissa x, essa assume il valore dato dalla (18), cio
il valore che aveva allorigine x/v secondi prima.
Ci significa che lungo tutti i punti della traiettoria, fissato un determinato
istante t, i valori di V sono ancora rappresentati da una sinusoide (Fig. 78).
164
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 2
Se consideriamo un punto C distante da A (Fig. 78), tale che in esso la grandezza V assuma il valore che aveva in A a meno di 2, cio
Fig. 77
V0 sen t + 0 = V0 sen( t 2 + 0 )
v
si avr
= 2
v
cio
2
= 2
T
quindi
v
f
La grandezza detta lunghezza donda.
= Tv =
Fig. 78
4.2. Equazione caratteristica del distanziometro
Consideriamo il caso di dover misurare una distanza mediante unonda di lunghezza e che tale distanza, D = AB, sia inferiore a /2 (Fig. 79).
In Fig. 79, per non appesantire il disegno, stato riportato il punto A simmetrico di A rispetto a B, per cui londa riflessa, rappresentata dal percorso BA, risulta
ribaltata.
Londa uscente da A allistante t avr equazione
Vu = V0 sen( t + 0 )
1998/99 F.Resta
165
Parte IV Capitolo 2
mentre londa rientrante sar stata emessa t secondi prima, essendo t = 2D/v il
tempo impiegato per andare da A a B e rientrare in A, e quindi avr equazione
Vr = V0 sen[ (t t ) + 0 ]
La differenza di fase tra londa uscente e la rientrante sar
= ( t + 0 ) [ (t t ) + 0 ]
= t
Con chiare sostituzioni avremo
2 2 D 2 2 D
=
=
T v
con 0
1
2 2
2
( pu assumere valori compresi tra 0 e 2).
D=
Fig. 79
Da tale equazione, nel caso semplice esaminato, la distanza risulta essere una
frazione di met della lunghezza donda impiegata e si pu ottenere misurando lo
sfasamento tra londa uscente e londa rientrante.
Se ora il punto B si sposta di un numero intero di mezze lunghezze donda (A
Fig. 80
166
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Parte IV Capitolo 2
+n =L+n
(20)
2 2
2
2
che rappresenta lequazione fondamentale dei distanziometri ad onde.
Risulta quindi evidente che per determinare la distanza D occorrer misurare lo
sfasamento e valutare, senza errore, il numero intero n di mezze lunghezze
donda.
D=
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167
Parte IV Capitolo 2
2
10
100
1000
10.000
100.000
2
0,920
0,892
0,489
0,148
0,414
2 2
9,20
89,2
489
1480
41400
+n )
2 2
2
9,20 + n.10
89,2 + n.100
489
+ n.1000
1480
+ n.10.000
41400
+ n.100.000
D =(
s.q.m.
0,0050,01
0,050,1
0,51
510
50100
Valore di
n
4148
414
41
4
0
Da tale sequenza si pu senzaltro risalire alla misura della distanza considerando per ogni l.d.o. la cifra sicuramente non affetta da errori (sottolineata in colonna
3): otterremo in conclusione una misura di
D = 41489,20m 0,0050,01m
tenendo presente che lo s.q.m. indicato solo quello riferito al discriminatore di fase.
168
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Parte IV Capitolo 2
Va detto che per ottenere una precisione elevata sulle cifre decimali la misura
con una l.d.o di 20m viene ripetuta varie volte per calcolare in modo corretto, applicando la teoria degli errori, il relativo s.q.m..
Questo metodo, utilizzato in uno dei primi distanziometri prodotti, veniva realizzato variando manualmente la lunghezza d'onda e quindi con notevole allungamento dei tempi di misura.
Il metodo fu, per tale motivo, abbandonato a favore dei metodi b) e c) ma, con
il progredire dell'elettronica, stato successivamente ripreso ed oggi tutti i moderni
distanziometri lo utilizzano, ovviamente in variante pi sofisticata con la realizzazione di tutto il processo di misura in maniera automatica.
4.5. Caratteristiche delle onde
Lo schema che abbiamo descritto implica ovviamente che londa rientrante abbia sufficiente energia per determinare il corretto funzionamento dello strumento.
E noto infatti che lenergia prodotta da un fenomeno oscillatorio si propaga
nello spazio in tutte le direzioni e si distribuisce su una superficie sferica che cresce
con il quadrato della distanza dalla sorgente; tale energia inoltre si dissipa perch il
mezzo in cui si propaga non perfettamente elastico (in un mezzo perfettamente
elastico lenergia ricevuta da ogni punto oscillante verrebbe totalmente trasmessa al
punto contiguo) e per i noti fenomeni di diffusione per cui le particelle presenti nel
mezzo ed aventi dimensioni prossime alla lunghezza donda diventano sede di riflessioni e rifrazioni disordinate che disperdono lenergia.
Ad evitare limpiego di potenze che diventerebbero proibitive sulle lunghe distanze necessario impiegare onde di cui riesca facile la convogliabilit in stretti angoli solidi per evitare di far propagare lenergia in tutte le direzioni.
Le onde che meglio si prestano a questa coercizione sono quelle elettromagnetiche mediante opportune antenne, ed anzi tale opportunit cresce con laumentare
della frequenza; quantitativamente si pu dire che da questo punto di vista vanno
usate onde di lunghezza compresa tra 1 e 3 cm cui corrispondono frequenze tra
30.000 e 10.000 MHz (La frequenza si misura in Hz, cio 1 Hz equivale al tempo di 1
sec per compiere un ciclo; 1000 Hz = 1 KHz = 1 KiloHertz equivale al tempo di
1/1000 di sec; 1000000 Hz = 1 MHz = 1 MegaHerz equivale al tempo di 1/1000000
di sec).
Ancora pi facile diviene il problema della convogliabilit se si usano onde
luminose, o di frequenza vicina alle luminose, usando un semplice sistema ottico.
Le piccole lunghezze donda che saremmo costretti ad usare per superare il
problema detto renderebbero per problematico il calcolo del numero n di mezze
lunghezze donda ed il funzionamento del discriminatore di fase. Per queste ultime
esigenze servirebbero lunghezze donda dellordine della decina di metri (f =
30MHz).
Questa contraddizione si risolve usando onde di facile convogliabilit (onde
e.m. centimetriche, onde luminose o paraluminose) ma facendone variare nel tempo
una loro caratteristica in modo da riprodurre unonda di lunghezza decisamente pi
elevata.
Il metodo pi usato quello di modularle in ampiezza: si fa variare nel tempo
con legge sinusoidale lampiezza V0 dellonda che quindi avr unequazione del tipo
V0 =V01 + Vm sen( t + m )
Per conseguenza londa avr unequazione del tipo:
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169
Parte IV Capitolo 2
Fig. 82
Tale metodo presenta le stesse caratteristiche di adattabilit al metodo di misura delle onde modulate in ampiezza .
Unaltra possibilit rappresentata dalla generazione di un fenomeno periodico
tramite la produzione di battimenti, cio dalla somma di due onde sinusoidali isodirette di frequenza poco diversa tra loro. Il risultato unoscillazione con una frequenza media delle due componenti ed ampiezza che varia nel tempo sinusoidalmente; quindi lo stesso della modulazione di ampiezza anche se diversa ne la generazione del fenomeno.
4.6. Caratteristiche dei riflettori
Londa emessa dal distanziometro, giunta allestremo della distanza da misurare, dovr opportunamente essere riflessa per ritornare allo strumento con energia sufficiente per permettere il funzionamento dellapparato di lettura.
Per questo scopo negli strumenti che usano onde luminose o paraluminose si
usa un riflettore nel vero senso della parola; esso costituito da un prisma trirettangolo o retrodirettivo (detto comunemente prisma catarifrangente) che ha la propriet
di riflettere londa nella stessa direzione di provenienza anche se la sua faccia anteriore risulta ruotata rispetto alla direzione dellonda purch tale rotazione si mantenga in un limite di 20.
170
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Parte IV Capitolo 2
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Parte IV Capitolo 2
Intorno agli anni ottanta l'idea stata ripresa e risolta dalla Leica che ha lanciato sul mercato un distanziometro, denominato Distomat DI 3000S (Fig. 87), che
ha avuto subito rapido successo commerciale per la notevole portata che si raggiungeva con un solo prisma (7000 m).
A grandi linee il principio su cui si basa tale distanziometro il seguente:
- nel momento in cui lo strumento emette il segnale questi apre un circuito elettronico che viene successivamente chiuso al rientro del segnale riflesso;
- questo circuito emette una serie di impulsi che vengono conteggiati da un adatto
"clock" e che costituiscono la scala per la valutazione del tempo di andata e ritorno.
Indicando con T la durata di un impulso ed n il numero di impulsi, il tempo t di
andata e ritorno sar semplicemente
t = nT
A tale tempo dovranno per essere aggiunti dei residui derivanti dai segnali di
inizio e fine che vengono determinati tramite un meccanismo di variazioni di tensione dei segnali.
Si otterr infine
t = nT + t1 t2
da cui si risale alla distanza.
La stessa Ditta ha anche prodotto con lo stesso principio un distanziometro
identico al precedente ma che utilizza una radiazione Laser e pu essere utilizzato su
qualunque superficie riflettente, quindi senza l'uso di un prisma, con portate fino a
100 m; ovviamente con l'uso di un prisma raggiunge le stesse portate del modello
precedente.
172
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Parte IV Capitolo 2
Fig. 85
Fig. 86
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173
Parte IV Capitolo 2
Fig. 87
4.7.3. Un piccolo distanziometro tascabile
Basati sul metodo indicato al paragrafo
precedente esistono sul mercato dei piccoli distanziometri funzionanti con segnali Laser che
permettono la misura di piccole distanze, intorno
ai 100 m, senza l'utilizzo di alcun prisma con
precisioni di 3-5 mm (Fig. 88).
Si rivelano molto utili per le misure di abitazioni e possiedono molte funzioni per il calcolo
di aree, volumi, sottrazioni di vuoti (per es. finestre) etc.
Molto maneggevoli pesano intorno ai 600-700 gr.
174
Fig. 88
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Parte IV Capitolo 3
CAPITOLO 3
STRUMENTI ED OPERAZIONI DI MISURA DEI DISLIVELLI
1. Generalit e definizioni
1.1. Definizione di quota
Nel procedimento indicato nel par.1.2. del Capitolo 1 Parte I si visto come
si renda necessaria la proiezione di un punto situato sulla superficie terrestre sul
geoide.
In tale procedimento schematicamente la proiezione veniva effettuata lungo la
verticale ottenendo con ci la planimetria del punto.
In effetti la planimetria di un punto P situato sulla superficie terrestre andrebbe
fatta secondo la linea di forza del campo
gravitazionale passante per P (Fig. 89)
ottenendo cos sul geoide il punto Po che
si indica col nome di planimetria di P.
La distanza di P da Po, misurata
lungo tale linea di forza viene detta quota
ortometrica di P.
L'arco PPo in generale molto piccolo rispetto al raggio terrestre per cui si
Fig. 89
ritiene lecito considerare tale arco coincidente con la verticale passante per P (che gli tangente in P) e che questa coincida
con la normale al geoide passante per Po.
In tal senso la planimetria di P risulta come la proiezione di P sul geoide ed il
segmento PPo, considerato come tratto di verticale, rappresenta la quota ortometrica
di P ed indicata come QP.
Ricordando che il geoide si pu materializzare con il livello medio marino la
quota ortometrica , come dianzi definita, quella che comunemente si indica come
quota di un punto (in Italia spesso si aggiunge al numero il riferimento s.l.m.); nel
linguaggio scientifico, specie anglossassone, si indica anche come quota geoidica.
In tali appunti, quando non altrimenti specificato, per quota di un punto si intende sempre la quota ortometrica.
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175
Parte IV Capitolo 3
In realt, ricordando che la posizione dei punti definita dalla latitudine e longitudine sull'ellissoide scelto, la definizione pi razionale di quota di un punto dovrebbe essere rappresentata dalla sua distanza dall'ellissoide presa lungo la normale
allo stesso; tale quota si indica col nome di quota ellissoidica.
La quota ellissoidica richiesta per svariate applicazioni ma la quota ortometrica che ha valenza pi generale ed pi largamente usata.
1.2. Quota dinamica
La definizione di quota ortometrica (geoidica) data nel paragrafo precedente
genera una complicazione in quanto le
superfici equipotenziali del campo
gravitazionale, o superfici di livello,
non sono tra di loro parallele; ne risulta che tutti i punti di medesima
quota ortometrica non giacciono su di
una superficie di livello di potenziale
W costante.
Analiticamente se consideriamo
Fig. 90
la superficie di livello corrispondente
ad un valore W del potenziale su cui
giacciono due punti P1 e P2 e la superficie infinitamente vicina corrispondente ad un
valore del potenziale di W-dW si avr
g 1 dh1 = g 2 dh2 = dW
(21)
avendo indicato con g1 e g2 i valori della gravit in P1 e P2 e con dh1 e dh2 gli archi
infinitesimi delle linee di forza passanti per questi punti o, ci che lo stesso, le differenze di quota ortometrica tra le due superfici per P1 e P2.
La (21) deriva dalla relazione
gdh = dW
(22)
gi indicata nel par. 2.1 del Cap.1 parte I che esprime la costanza del lavoro in opposizione alla gravit per portare l'unit di massa da W a W-dW.
Essendo g funzione di punto sar in generale g1 g2 e per conseguenza dh1
dh2 da cui si deduce che le superfici di livello non sono parallele.
Consideriamo ora due punti A e
B appartenenti alle superfici equipotenziali WA e WB. Per andare da A a B
si potranno in generale seguire percorsi differenti sempre comunque lungo
linee di forza; siano per es. AA'B,
AB'B, ACDEFMNB (Fig. 91).
Seguendo il primo percorso
AA'B si ottiene come risultato (differenza di quota ortometrica tra A e B) il
tratto di linea di forza AA' in quanto il
tratto A'B giacendo su una superficie
di livello non da alcun contributo.
Con il secondo percorso AB'B
Fig. 91
il risultato rappresentato dal tratto di
linea di forza B'B.
176
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 3
Con il terzo percorso il risultato rappresentato dalla somma dei tratti CD,
EF,MN.
Matematicamente ci si esprime dicendo che
dW
dh =
g
non un differenziale esatto in quanto g non funzione di W e che quindi l'integrale
degli incrementi infinitesimi di quota lungo un percorso che congiunge due punti
sulla superficie terrestre
dW
(23)
s dh = s g
dipende dal percorso s effettivamente seguito.
E' stata quindi introdotta una definizione di quota che permettesse il superamento di questa complicazione. Tale definizione parte dalla considerazione che integrando la (22) lungo un percorso qualunque s che colleghi i punti A e B si ottiene
(24)
gdh = W A WB
s
che si pu cos enunciare: la somma dei prodotti dei relativi dh per il valore della
gravit nei singoli punti eguaglia la differenza di potenziale delle due superfici passanti per A e B.
Se la superficie passante per A si fa coincidere con il geoide all'integrale (24)
viene dato il nome di quota dinamica.
-2
Se la gravit espressa in kilogals (1 gal equivale all'accelerazione di 1cms . 1
-2
kgal = 1000 gal = 10 ms . Mediamente la gravit al livello del mare vale 980 gal) ed
h in metri l'unit di misura della quota dinamica, detta unit geopotenziale, indicata
con la sigla GPU, dove
2 -2
2 -2
1 GPU = 1kgal.metro = 100000 cm s = 10 m s
1.3. Metodi di misura dei dislivelli
In topografia esistono fondamentalmente due metodi per determinare i dislivelli: le livellazioni geometriche e le livellazioni trigonometriche.
Le livellazioni geometriche, inserite nel campo delle misure dirette, si eseguono con una particolare strumentazione e procedura e sono analizzate in questa Parte
IV mentre le livellazioni trigonometriche rientrano nel novero delle operazioni topografiche in quanto eseguite con la strumentazione propria dei rilievi topografici e saranno trattate nella Parte V.
2. Misure dirette di dislivelli
2.1. Generalit
In topografia la quota assoluta di un punto non si riesce a determinare; quello
che riusciamo a determinare la differenza di quota, meglio nota come dislivello fra
punti della superficie fisica del terreno.
La misura diretta di una quota non in genere possibile per cui, definito un
punto di quota nulla e partendo da esso, con successive misure di dislivelli si possono
ottenere le quota assolute di tutti i punti della terra.
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177
Parte IV Capitolo 3
Il punto di quota nulla, corrispondente al livello medio marino, viene determinato con opportuni strumenti detti mareografi.
La misura diretta, anche se a rigore di logica si tratta di una misura indiretta,
dei dislivelli in topografia viene effettuata con un'operazione detta livellazione geometrica (spirit levelling nella bibliografia anglosassone).
2.2. Principio della livellazione geometrica
Per chiarire il principio della livellazione geometrica si consideri lo schema di
Fig. 92
Fig. 92
Sui due punti A e B del terreno sono poste due stadie ed accanto ad esse due
bicchieri contenenti acqua e collegati tra di loro tramite un tubo.
Le superfici del liquido in ogni bicchiere si dispongono secondo una superficie equipotenziale del campo della gravit che, data la vicinanza dei punti A e B, pu
ritenersi parallela al geoide.
Indicando con lA ed lB le letture fatte sulle stadie in corrispondenza della superficie del liquido si avr
Q A + l A = QB + l B
da cui
AB = QB Q A = l A l B
(25)
Questa operazione viene denominata battuta di livellazione e permette di ricavare il dislivello tra i due punti A e B; lo strumento utilizzato va sotto il nome di livello ad acqua di portata limitata a qualche decina di metri.
Volendo determinare dislivelli tra punti distanti si ricorre a pi battute fra
punti disposti lungo una linea, detta linea di livellazione.
Il livello ad acqua ha per un limitato campo d'uso, quasi esclusivamente per
collaudi di particolari manufatti; nella pratica topografica lo strumento utilizzato il
livello a cannocchiale (semplicemente livello nell'uso comune).
178
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Parte IV Capitolo 3
Fig. 93
la differenza lA lB delle letture fatte alle stadie fornisce ancora il dislivello QB QA
dato che le due lettura differiscono da quelle individuate dalla superficie equipotenziale di un'identica quantit h, peraltro piccolissima data la portata del livello che in
genere non eccede i 100m.
3. Il livello
3.1. Il livello con vite di elevazione
L'unico tipo di livello largamente utilizzato nei rilievi moderni il livello con
vite di elevazione.
Schematicamente esso costituito da una traversa T (Fig. 94) girevole intorno
ad un asse a ed imperniata su di una base dotata di viti calanti o di uno snodo sferico
che permettono di rendere verticale l'asse a.
Il cannocchiale viene collegato alla traversa tramite una cerniera O ed una vite
g
E, detta vite di elevazione che ne permette rotazioni zenitali in un piccolo settore (2
) intorno al suo asse passante per O.
Rigidamente collegata al cannocchiale vi una livella torica, generalmente del
cc
c
tipo a coincidenza di immagine di elevata sensibilit (10 2 ) utilizzata per rendere
orizzontale l'asse di collimazione.
c
Una livella sferica di non elevata sensibilit, circa 30 , collegata alla traversa
e viene utilizzata per rendere verticale l'asse principale.
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179
Parte IV Capitolo 3
Fig. 94
Con un livello rettificato, dopo aver reso verticale l'asse a tramite la livella
sferica, si rende facilmente orizzontale l'asse di collimazione semplicemente centrando la livella torica tramite la vite di elevazione E.
Quando si ruota il livello per effettuare altre letture la bolla della livella torica
tende a spostarsi a causa dell'errore di verticalit, peraltro notevole dato l'utilizzo di
una livella sferica di non elevata sensibilit per la messa in stazione, per cui si rende
necessario un nuovo centramento della livella con la vite E per riportare l'asse di collimazione in posizione orizzontale.
Quindi il centramento della livella torica deve essere eseguito sempre prima
di ogni lettura alla stadia.
Si noti che tutti i teodoliti che possiedono una livella posta a cavaliere sul cannocchiale possono essere utilizzati come livelli (vedi il teodolite rappresentato in
fig.51 al Capitolo 1 ); in tal caso la vite micrometrica degli spostamenti zenitali funge
da vite di elevazione.
Il cannocchiale dei livelli sempre dotato di reticolo distanziometrico in
quanto spesso, per i motivi che saranno spiegati nel prossimo paragrafo, si rende necessaria la misura della distanza dello strumento dalle stadie.
3.2. Caratteristiche del livello
Le caratteristiche fondamentali di un livello sono:
- l'ingrandimento del cannocchiale;
- il diametro dell'obbiettivo del cannocchiale;
- la sensibilit della livella torica.
L'ingrandimento del cannocchiale determina la grandezza apparente del tratto
di stadia che si collima e quindi la capacit di apprezzamento della frazione di centimetro che si riesce a stimare.
180
1998/99 F.Resta
Parte IV Capitolo 3
Tale capacit per anche dipendente dal potere risolutivo del cannocchiale
che esprime la minima distanza di due punti sul reticolo per averne la visione distinta
ed inversamente proporzionale al diametro del cannocchiale.
Le due caratteristiche devono essere armonicamente bilanciate in un livello;
variano in un campo di 15-60 per gli ingrandimenti e di 20mm-50mm per i diametri.
Dalla terza caratteristica dipende la precisione con cui si realizza l'orizzontalit
cc
c
dell'asse di collimazione ed ha un campo di variazione da 10 a 2 .
3.3. Esecuzione di una battuta di livellazione
Durante l'esecuzione di una battuta di livellazione la condizione fondamentale
che l'asse di collimazione del livello giaccia su un piano orizzontale.
Tale condizione si realizza , dopo aver posto l'asse principale del livello verticale con l'ausilio della livella sferica, semplicemente centrando la bolla della livella
torica tramite la vite di elevazione purch il livello sia rettificato.
Infatti in condizione di non rettifica centrando la bolla si rende la tangente
centrale della livella orizzontale ma non l'asse di collimazione non esistendo parallelismo tra le due rette; l ' asse di collimazione former in tal caso un angolo con
l'orizzontale e le letture alle stadie non porteranno a misure corrette.
Nell'esecuzione di una battuta di livellazione quindi molto importante avere il
livello perfettamente rettificato. Si vedr nel prossimo paragrafo come ci possa essere fatto.
Nonostante ci per sempre difficile che la condizione di rettifica sia mantenuta in uno strumento che viene utilizzato spesso in campagna in condizioni disagevoli; permarrano sempre dei piccoli errori detti errori residui di rettifica per cui si
pone il problema di utilizzare un metodo di misura che tenda ad eliminarli.
Il metodo, molto semplice ed intuitivo, consiste nel porre il livello in posizione
equidistante dalle due stadie (Fig. 95).
In tale assetto, in condizione di livello rettificato , le letture alle stadie porteranno alla determinazione del dislivello
AB = QB Q A = l A l B
(26)
In assenza di rettifica l'asse di collimazione risulter inclinato di un angolo rispetto alla tangente centrale, inclinazione che permarr in qualunque direzione essendo i due assi solidali tra di loro.
Tale inclinazione provoca sulle due stadie due errori uguali e dello stesso segno
x A = x B = d tan
che nel calcolo del dislivello si eliminano.
Si otterr
'
AB
= l 'A l B' = l A + x A l B x B = l A l B = AB
Questo metodo noto come livellazione geometrica dal mezzo presenta anche
altri vantaggi:
- evita la messa a fuoco del cannocchiale su ogni stadia;
- consente di determinare il dislivello indipendentemente dalla curvatura del geoide;
- elimina eventuali piccoli errori dovuti alla rifrazione atmosferica che tende ad incurvare i raggi luminosi verso il basso.
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Parte IV Capitolo 3
Nella battuta dal mezzo non importante che il livello sia posto lungo l'allineamento AB ma in qualunque posizione purch equidistante dalle due stadie; n
importante che tale equidistanza sia realizzata con elevata precisione: si pu tollerare
una differenza di 4-5 m.
Fig. 95
mAB = AB m 2 + AB m 2 = m 2
(27)
l A
l B
Il valore di m, oltre che dalla bont del livello, fortemente influenzato dalla
distanza a cui sono poste le stadie aumentando notevolmente all'aumentare della distanza.
Per le normali stadie in legno centimetrate, con d=50m, si pu porre m=1mm.
3.5. Accessori per aumentare la precisione.
Lamina piano-parallela
Per aumentare la precisione delle misure di dislivelli gli strumenti pi precisi
sono dotati di un accessorio che consente di trasformare la lettura che si esegue alla
stadia da lettura a stima a lettura a coincidenza.
L'accessorio una semplice lamina piano-parallela posta, in alcuni livelli, direttamente nel cannocchiale davanti all'obbiettivo, in altri in una struttura separata
che si innesta in caso d'uso sul livello.
Sono note le propriet ottico-geometriche della lamina (Parta IV- Cap.1par.4.4.); in questo particolare uso quando la lamina, posta davanti all'obbiettivo, ha
182
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Parte IV Capitolo 3
le facce perpendicolari all'asse di collimazione essa viene attraversata dal raggio luminoso senza che questo subisca alcuna traslazione ne deviazione; alla stadia quindi
la lettura al filo medio del reticolo la stessa fatta in assenza di lamina: nel caso indicato in Fig. 96 a). la lettura al filo medio sar 1142 mm.
Ruotando la lamina con un opportuno bottone si realizza una traslazione ti dell'immagine del reticolo fino a far coincidere il filo medio esattamente con la tacca
centimetrica pi prossima (Fig. 96 b)).
La rotazione della lamina comandata da un tamburo graduato, in genere, in
100 divisioni che coprono l'intervallo di 1 cm; cio ruotando la lamina da 0 a 100 il
filo medio subisce una traslazione di 1 cm. Quindi la traslazione ti subita dal filo nell'esempio in figura si legge direttamente sul tamburo in decimi di mm e si giunge a
stimare i centesimi di mm.
Fig. 96
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183
Parte IV Capitolo 3
Stadia in invar
Per misure di elevata precisione anche le stadie dovranno essere di elevata precisione; si usano per tale evenienza stadie in invar.
Queste sono costituite da un'armatura in legno cui
opportunamente fissato un nastro in invar (Fig. 98) su cui
sono tracciate due graduazioni con tratti di spessore non superiore ad 1 mm.
I tratti (Fig. 98)sono tracciati con grande cura in modo
che gli errori di graduazione siano inferiori a poche centesimi
di mm.
Le due graduazioni sfalsate di una determinata quantit
detta costante della stadia servono a migliorare a precisione
della lettura; infatti effettuando le letture alle due graduazioni
e verificando che, a meno delle fluttuazioni accidentali, la loro differenza rientri nella costante della stadia si eliminano
eventuali errori grossolani e si ottengono due misure della
stessa grandezza.
La parte terminale delle stadie in invar, costituita da una
struttura metallica terminante a piano rettificato, viene sempre
poggiata su una basetta
metallica
terminante
con un perno cilindrico
a testa semisferica..
In tal modo viene
assicurato l'appoggio
puntuale e la perfetta
rotazione della stadia
senza movimenti verticali.
Data
la
loro
struttura le stadie invar
non sono pieghevoli
come le normali stadie
Fig. 97
in legno ed hanno lunFig. 98
ghezze variabili fino ad un massimo di 3 m
(Fig. 97).
184
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Parte IV Capitolo 3
Reticolo a cuneo
Per leggere sulle stadie invar viene utilizzato un reticolo particolare detto recolo a cuneo o reticolo a coda di rondine.
E' visibile in Fig. 99 dove si pu notare
come viene utilizzato per collimare una tacca
della stadia.
3.6. Verifica e rettifica di un livello
Come detto al par.3.3. importante verificare saltuariamente il livello per controllare il
suo stato di rettifica ed eventualmente rettificarlo.
La verifica si pu eseguire in modo abbastanza semplice eseguendo dapprima una battuta
dal mezzo e determinando il relativo dislivello e
Fig. 99
poi, sempre tenendo ferme le stadie sugli stessi
punti, una battuta ponendo il livello eccentrico in
una posizione S.
In questo secondo caso, in assenza di srettifica, si avrebbe sempre il dislivello
esatto (Fig. 100 )pari a
QB Q A = l A" l B"
(28)
per cui se i due dislivelli, quello determinato dal centro e quello determinato con il
livello eccentrico, sono uguali si pu considerare il livello rettificato.
In presenza di un angolo di srettifica , nel caso di livello eccentrico si otterr
il dislivello
QB Q A = l "A l "B = l A" + d l B" D l A" l B"
per cui se i due dislivelli, quello con battuta dal mezzo e quello con battuta eccentrica, sono diversi si deduce che il livello non rettificato.
Si noti che in fig. gli errori di lettura alle stadie dovuti alla presenza dell'angolo sono stati indicati sostituendo l'angolo alla sua tangente.
Fig. 100
Per rettificare il livello si procede nel seguente modo:
si considera come esatta la lettura eseguita in A, data la piccolezza del tratto d;
1998/99 F.Resta
185
Parte IV Capitolo 3
Fig. 101
Il rilievo si esegue con due stadie ed un livello con la seguente procedura:
si dispongono le stadie sui punti CS1 ed A ed il livello al centro;
si eseguono le letture alle stadie;
quindi la stadia che era in CS1 si sposta in B, il livello si pone al centro tra A e B,
mentre la stadia che era in A viene fatta ruotare su se stessa per permetterne la
lettura ( si nota in questa operazione l'importanza della basetta su cui poggiare la
stadia: essa permette la rotazione della stadia su di un punto senza nessun movimento verticale, cosa che invece si avrebbe se la stadia ruotasse sul terreno per
ovvi motivi);
- si prosegue quindi nello stesso modo per le tratte B-C e C-CS2.
Il dislivello tra i punti CS1 e CS2 sar ovviamente dato dalla somma dei dislivelli parziali delle varie battute.
In genere se si individua un verso di percorrenza e si indica con i la lettura indietro e con a la lettura in avanti il dislivello della battuta k-ma sar
k = ik a k
per cui il dislivello complessivo tra i due capisaldi sar
-
186
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Parte IV Capitolo 3
k =n
k =n
k =n
k =1
k =1
k =1
= (ik a k ) = ik a k
si pu cio ottenere come differenza fra la somma di tutte le letture indietro e la
somma di tutte le letture in avanti.
3.8. Precisione di una linea di livellazione
Nel par.3.4. si visto come si calcola la precisione di una battuta; in presenza
di una linea di livellazione costituita da n battute, considerando l's.q.m. delle letture
sempre uguale e pari ad m, con evidente estensione, si otterr l's.q.m. del dislivello
m = m 2n
(29)
La formula (29), si badi bene, puramente teorica, anche se nello s.q.m. di
una lettura si considerano conglobati l's.q.m. di lettura propriamente detto, l's.q.m. di
centramento della livella, l's.q.m. derivante dalla non perfetta verticalit della stadia e
quello derivante dalla non perfetta graduazione della medesima. Non tiene per es.
conto dei, sia pur piccoli, spostamenti verticali che potrebbe avere la stadia nelle rotazioni che subisce nel passare da una battuta alla successiva.
Nella pratica topografica una linea di livellazione deve sempre essere controllata e ci si ottiene semplicemente eseguendo la linea dal caposaldo iniziale a
quello finale e poi ritornando sul caposaldo iniziale in genere per via diversa sempre
tramite livellazione.
Il metodo, concettualmente lo stesso, si distingue dicendo che si effettua una
livellazione in andata e ritorno se lo scopo il collegamento altimetrico tra due capisaldi oppure che si effettua una linea di livellazione chiusa se si segue un percorso
anulare che ritorna sul punto di partenza.
In tali casi, se si considerano complessivamente n battute, la differenza della
somma delle letture indietro e delle letture in avanti, non dar mai 0 a causa degli
inevitabili errori di misura ma indicher un valore detto errore di chiusura della livellazione:
k =n
k =n
k =1
k =1
= ik a k
Tale errore di chiusura dovr verificare la condizione
t
dove con t viene indicata la tolleranza assegnata in base allo scopo per cui la livellazione richiesta ed espressa generalmente nella forma
t=c D
dove con D viene indicata la lunghezza della linea di livellazione espressa in Km
mentre c una costante espressa in mm.
In funzione dei valori assunti da c le livellazioni si dividono in:
- livellazioni di alta precisione se c 1mm;
- livellazioni di precisione se c 3mm;
- livellazioni tecniche se c 2030mm.
Nelle livellazioni di alta precisione e di precisione si user strumentazione di elevata qualit quindi livelli dotati di lamina piano-parallela, stadie in invar e basetta di
appoggio ed in genere le battute non supereranno mai gli 8090 m, mentre nelle livellazioni tecniche si useranno normali livelli con stadie in legno avendo l'accortezza
di poggiarle su terreno non cedevole.
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187
Parte IV Capitolo 3
La precisione di un livello che dipende dalle caratteristiche indicate nel par. 3.2.
viene in genere espressa globalmente con l's.q.m. ottenibile su una linea di livellazione di 1 km eseguita in andata e ritorno e si indica come errore medio chilometrico.
3.9. Il mareografo
Il livello medio del mare che rappresenta il punto di quota 0 il livello che corrisponde alla media delle altezze dell'acqua (variabili per una serie di cause quali
moto ondoso, azione delle correnti, del vento delle variazioni termiche e delle maree)
rispetto ad un punto fisso.
Il livello medio viene determinato tramite il mareografo che costituito da un
galleggiante posto in un pozzo in comunicazione con il mare, i cui movimenti vengono registrati da una punta scrivente su un foglio che trasla con velocit costante; il
mareografo viene posto all'interno di un porto ed al riparo da eventuali azioni perturbatrici.
Si determina in tal modo la posizione nel tempo del livello del mare rispetto ad
una retta tracciata sulla carta che rappresenta il riferimento.
Il mareografo viene quindi collegato con una livellazione di alta precisione ad
un caposaldo costruito con particolare cura che si chiama punto di derivazione delle
quote.
In Sardegna il mareografo situato nel porto di Cagliari presso la sede della
Capitaneria di Porto mentre il punto di derivazione delle quote situato sul lato destro del portone di ingresso del Convento attaccato alla Basilica di Bonaria.
3.10. Autolivelli
E' stato osservato che con il livello con vite di elevazione, gi messo in stazione, bisogna centrare la livella torica ogni volta che si legge alla stadia.
Ci richiede una allungamento del tempo di misura tanto pi elevato quanto
pi sensibile la livella ed inoltre l'eventuale dimenticanza di tale centramento, non
cos rara quando si eseguono decine di misure, introduce un errore grossolano nella
misura del dislivello.
Per ovviare a tali inconvenienti sono stati progettati dei livelli autolivellanti
medianti sistemi a pendolo detti compensatori.
In tali livelli l'orizzontalit dell'asse di collimazione viene realizzata automaticamente senza eseguire alcuna manovra non appena l'asse di rotazione della traversa
sia stato posto verticale con l'ausilio della livella sferica e delle tre viti calanti; essi
quindi non sono dotati ne di livella torica ne di vite di elevazione.
Essendo tali autolivelli basati su un sistema a pendolo sono dotati di un sistema, di solito pneumatico, che ne smorza rapidamente le oscillazioni e ci sia per non
avere disturbi nelle letture sia per non dover attendere troppo tempo per ottenere la
stabilizzazione del pendolo.
Il campo di oscillazione del pendolo ha una ampiezza molto limitata, in genere
appena maggiore della sensibilit della livella sferica applicata al livello; quando il
livello non perfettamente messo in stazione in modo che venga superato il campo
di oscillazione il compensatore non agisce e quindi si eseguono letture ad asse di
collimazione non orizzontale.
Per avvertire la presenza di tale situazione molti autolivelli sono dotati di un
opportuno segnale che compare nel campo del cannocchiale per indicare che il si188
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Parte IV Capitolo 3
stema sospeso non in libera oscillazione oppure hanno un pulsante esterno che
permette di dare piccoli colpi al sistema e di controllarne nel cannocchiale la libera
oscillazione.
In questo tipo di livelli la condizione di rettifica assume una diversa definizione; la si pu enunciare nel seguente modo: quando l'autolivello in stazione il suo
asse di collimazione deve essere orizzontale.
La verifica si esegue nello stesso modo detto per il livello con vite di elevazione; l'eventuale rettifica si esegue spostando il reticolo e quindi l'assetto dell'asse di
collimazione.
3.11. Il livello digitale
Intorno agli anni 90 la societ Leica ha lanciato sul mercato un nuovo livello,
Wild NA 2000, che automatizza completamente la livellazione geometrica.
Da un punto di vista ottico-meccanico questo livello ha una struttura identica
ad un tradizionale autolivello; in pi dotato di tutta una serie di componenti elettronici necessari per eseguire la lettura alla stadia.
La stadia, sempre in invar, si presenta come in Fig. 102 dotata di un codice a
barre.
Nel livello l'immagine del codice a barre viene inviata ad un
gruppo di diodi rilevatori per mezzo di un divisore di fascio. La luce
ricevuta viene divisa in una componente infrarossa ed in una visibile;
ne risulta che la luce visibile che raggiunge l'osservatore resta inalterata mentre i diodi ricevono una sufficiente radiazione infrarossa a
cui sono particolarmente sensibili.
L'apertura angolare del sistema ottico nel livello di 2 gradi:
ne risulta che 70 mm di stadia possono essere rappresentati sul rilevatore ad una distanza minima di 1,8 m, mentre una stadia di 2 m
viene rappresentata a circa 60 m.
All'interno del livello un complesso sistema trasforma l'immagine del codice a barre in unit di misura attraverso un principio
detto di correlazione.
Lo strumento permette anche la lettura automatica della distanFig. 102
za livello-stadia.
Tutti i dati di lettura sono visibili su un display a cristalli liquidi ma possono anche essere memorizzati su un opportuno modulo che si scarica successivamente sul computer.
Allo stato attuale la Leica ha prodotto la nuova serie 3000 ed altre due ditte,
Zeiss e Topcon, hanno prodotto livelli analoghi.
La precisione di tali livelli per livellazioni in andata e ritorno permette il raggiungimento di un errore di chiusura di 1,5 mm/km; permette quindi l'esecuzione di
livellazioni di alta precisione con il vantaggio di un risparmio in tempo di 1,5 volte
rispetto ad una livellazione eseguita con un autolivello tradizionale.
3.12. La rete altimetrica di Stato
L'Istituto Geografico Militare Italiano (I.G.M.I.) ha eseguito lungo tutto il territorio dello Stato delle linee di livellazione di altissima precisione con lo scopo di
determinare le quote assolute di una serie di punti uniformemente distribuiti.
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Parte IV Capitolo 3
Fig. 103
190
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Parte IV Capitolo 3
Fig. 104
Utilizzato con una stadia in invar permette l'esecuzione di livellazioni di alta
precisione.
Errore medio chilometrico di 0,30,7
mm.
Dopo aver centrato, con l'ausilio della lamina, una tacca della stadia, sulla stessa si leggono direttamente i centimetri mentre nell'oculare
della lamina si leggono i millimetri ed i decimi e
si stimano i centesimi.
Nell'esempio di Fig. 105 si legger 77,556
cm.
Fig. 105
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191
Parte IV Capitolo 3
Kern GK 1
E' un livello (Fig. 106) con vite di elevazione, dotato di livella torica a coincidenza, di livella sferica, con innesto a baionetta sull'apposito treppiede.
Fig. 106
La sensibilit della livella torica di 20".
L'errore medio chilometrico di 34 mm.
Salmoiraghi L 5150-A
E' un livello da cantiere con vite di elevazione dotato di cannocchiale anallattico.
La livella torica ha sensibilit di 15".
L'errore medio chilometrico
di 5 mm.
Fig. 107
192
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Parte IV Capitolo 3
Jena NI 040 A
E' un autolivello con errore medio chilometrico di 4.
Fig. 108
Leica Wild NA3000
Livello elettronico con errore medio chilometrico di 1,5.
Fig. 109
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193
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PARTE V
RILIEVI TOPOGRAFICI
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Parte V Capitolo 1
CAPITOLO 1
DETERMINAZIONI PLANIMETRICHE
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197
Parte V Capitolo 1
o 4 quadrante a seconda che i segni del numeratore e del denominatore sono rispettivamente + , +; + , ; , ; , +.
Fig. 1
In altre parole dopo aver calcolato (AB) con la (1) se i segni del numeratore e
del denominatore sono entrambi positivi l'angolo quello risultante dal calcolo
(AB);
se il numeratore positivo ed il denominatore negativo l'angolo sar uguale a
200 g (AB);
se sono entrambi negativi l'angolo sar uguale a
200 g + (AB);
se il numeratore negativo ed il denominatore positivo l'angolo sar uguale a
400 g (AB)
L'angolo di direzione (BA) si chiama reciproco di (AB) e vale ovviamente
(BA) = (AB) 200 g
dove il segno va usato quando (AB) maggiore di 200 g .
Dopo aver calcolato l'angolo di direzione (AB) la distanza AB pu calcolarsi
con le seguenti formule
E EA
N NA
AB = B
= B
(2)
sen( AB ) cos( AB )
La distanza AB si pu anche calcolare con la formula
AB = ( N B N A ) + (E B E A )
(3)
nel qual caso potrebbe essere pi conveniente determinare l'angolo di direzione successivamente utilizzando la formula (la cui semplice dimostrazione si lascia al lettore)
( AB ) = E B E A
tan
(4)
2
AB + N B N A
2
198
1998/99 F. Resta
Parte V Capitolo 1
che ha il pregio di dare il valore di (AB) senza l'indeterminazione del quadrante come
invece avviene per la (2).
1.3. Trasporto di un angolo di direzione
Quando si in presenza di una spezzata di vertici, P1 P2 Pi-1 Pi Pi+1 Pn, di
cui sono noti gli angoli A1 A2 .Ai-1 Ai Ai+1 An e un angolo di direzione, (Pi-1Pi)
(Fig. 2), i successivi angoli di direzione possono determinarsi calcolando il reciproco
dell'angolo di direzione precedente, aggiungendo l'angolo noto nel vertice e togliendo 400g quando il risultato del calcolo eccede 400g, cio secondo la seguente relazione
(Pi Pi +1 ) = (Pi Pi 1 ) + Ai = ( Pi 1 Pi ) + 200 g + Ai
(5)
Questa regola presuppone che nella spezzata si sia individuato un verso di percorrenza e che gli angoli Ai siano sempre quelli che permettono di sovrapporre un
lato al successivo con una rotazione oraria.
Fig. 2
1.4. Irradiamento
L'irradiamento uno schema di rilievo molto semplice e pratico che con l'avvento dei distanziometri ha notevolmente incrementato la sua portata si da farlo diventare lo schema pi usato da tutti i rilevatori.
Per determinare la posizione di un punto basta avere a disposizione due punti
di coordinate note, uno su cui fare stazione ed il secondo per orientarsi.
Lo schema indicato in Fig. 3 dove A e B indicano i punti di coordinate note
ed il punto P quello di cui si vogliono determinare le coordinate.
Messo in stazione lo strumento sul punto A si misura l'angolo e la distanza d
dal punto incognito P avendosi cos tutti i dati necessari per determinarne le coordinate.
1998/99 F.Resta
199
Parte V Capitolo 1
Infatti, essendo l'angolo di direzione (AB) noto e ricavabile con la (1), si determina l'angolo di direzione (AP) con la relazione
(AP) = (AB) +
(6)
Applicando quindi le (2) si ottengono immediatamente le coordinate del punto
P
E P = E A + d sen( AP )
(7)
N P = N A + d cos( AP )
Fig. 3
Volendo determinare l's.q.m. della posizione di P si considerano prive di errore
le coordinate dei punti noti A e B e quindi dell'angolo di direzione (AB). Le coordinate di P essendo funzioni di quantit osservate avranno un s.q.m. pari a
m EP = sen 2 ( AP )md2 + d 2 cos 2 ( AP )m2
(8)
m N P = cos 2 ( AP )md2 + d 2 sen 2 ( AP )m2
L's.q.m. della posizione planimetrica di P risulter
m P = m E2 P + m N2 P
(9)
200
1998/99 F. Resta
Parte V Capitolo 1
Fig. 4
1.5. Poligonali non controllate
Le poligonali non sono altro che irradiamenti successivi: infatti ovvio che
dopo aver determinato le coordinate di un punto P0 per irradiamento da un punto
noto A, tale punto pu considerarsi di coordinate note e quindi essere assunto come
stazione per determinare un successivo punto P1 assumendo come orientamento la
precedente stazione di partenza A.
Tale metodo si pu ripetere a catena come indicato in Fig. 5
Il metodo molto utile per determinare le coordinate di punti situati in posti disagiati da cui non si ha visibilit; fondi-valle, zone fortemente alberate, gallerie.
La sua precisione per molto scadente giacch gli effetti degli errori di misu-
Fig. 5
ra si accumulano di vertice in vertice divenendo rapidamente intollerabili; per tale
motivo nessuna normativa di rilevamento ammette l'utilizzo di poligonali non controllate. Quando la necessit oggettiva le impone (per esempio in galleria), vanno
1998/99 F.Resta
201
Parte V Capitolo 1
eseguite con molta accuratezza utilizzando tutti i metodi disponibili per migliorarne
la precisione: reiterazioni degli angoli, stazioni con centramento forzato, etc.).
Per il calcolo delle coordinate dei punti, dopo aver misurato in campagna gli
angoli 0 1 2 e le distanze d0 d1 d2 d3 si determinano gli angoli di direzione con
la (5) e le coordinate dei punti con le (7).
1.6. Poligonale controllata
Il metodo della poligonale descritto al paragrafo precedente aumenta notevolmente di precisione se si opera in modo che l'ultimo vertice sia anche esso un punto
di coordinate note e da tale vertice se ne possa collimare un altro anch'esso noto.
Si parla in tal caso di poligonale aperta appoggiata agli estremi (Fig. 6).
Fig. 6
Il vantaggio di tale modo di procedere consiste nel fatto che si hanno misure
sovrabbondanti, rappresentate dalle due coordinate note del punto Pn e dall'angolo n
e ci permette di eseguire un controllo su tutte le misure eseguite, verificarne la congruit e quindi eseguire la compensazione.
Il calcolo e la compensazione possono essere eseguiti con metodi matematici
rigorosi (minimi quadrati) per spesso per poligonali tecniche si preferisce eseguire
una compensazione empirica i cui risultati non differiscono eccessivamente da quelli
ottenuti con un calcolo rigoroso.
La compensazione empirica viene eseguita prima sugli angoli (compensazione
angolare) e poi sulle distanze (compensazione lineare).
Dopo aver misurato in campagna tutte le distanze di e gli angoli i si calcolano
con la (1) gli angoli di direzione (P1A) e (PnB), noti in quanto noti i punti P1, A, Pn e
B
E B E Pn
E A E P1
tan( P1 A ) =
tan( Pn B ) =
(11)
N A N P1
N B N PN
Si calcolano quindi, facendo uso della (5) tutti gli angoli di direzione
202
1998/99 F. Resta
Parte V Capitolo 1
( P1 P2 ) = ( P1 A ) + 1
( P 2 P3 ) = ( P1 P2 ) + 2
( P3 P4 ) = ( P2 P3 ) + 3
..........................................
( Pn 1 Pn ) = ( Pn 2 Pn 1 ) + n 1
(12)
( Pn B ) = ( Pn 1 Pn ) + n
Sommando i primi ed i secondi membri delle (12) ed uguagliando si perviene
infine alla
i=n
( Pn B ) = ( P1 A ) + i + k
(13)
i =1
i =1
+ ( P 1 A ) ( Pn B ) + k =
(14)
L'errore di chiusura angolare , perch la poligonale sia considerata valida, dovr risultare in valore assoluto inferiore alla tolleranza; cio
(15)
t
La tolleranza angolare t viene assegnata a priori in base alla precisione richiesta alla poligonale; ad essa si d l'espressione
t = c n
(16)
con n numero di angoli misurati e c un coefficiente che, per esempio, per i lavori acc
cettati dal catasto vale 4 . Per poligonali di precisione pi elevata pu valere anche
cc
15 .
Se la (15) non verificata bisogna ripetere tutta la poligonale in campagna; se
invece la (15) verificata si pu procedere alla compensazione, cio alla distribuzione dell'errore di chiusura angolare tra i vari angoli misurati talch il secondo membro
della (14) vada a 0.
La compensazione viene effettuata distribuendo l'errore di chiusura in parti
uguali tra tutti gli angoli misurati. Per comodit di calcolo si preferisce compensare
direttamente gli angoli di direzione calcolati con le (12), cio a ciascuno degli angoli
di direzione si sottrae (se positivo) o si somma (se negativo) la quantit
(17)
n
Questo modo di compensare gli angoli assegnando a ciascuno di essi una
quantit uguale dell'errore di chiusura parte dal presupposto che la stessa sia stata rilevata sempre nelle medesime condizioni, cio utilizzando sempre lo stesso strumento e le identiche condizioni di lettura degli angoli. Ove ci non si verifichi perch, per esempio, in una poligonale molto lunga e di precisione non elevata, si lavora
con due squadre di rilevatori in possesso di strumenti di precisione differente, evidente che l'errore di chiusura non pu essere suddiviso in parti uguali in quanto gli
angoli misurati con lo strumento meno preciso saranno portatori di un errore maggiore e quindi gli dovr essere assegnata una quantit maggiore dell'errore di chiusura
1998/99 F.Resta
203
Parte V Capitolo 1
che non per gli angoli misurati con lo strumento pi preciso. In tal caso la distribuzione del viene effettuata empiricamente per esempio assegnando a ciascun angolo
una correzione inversamente proporzionale allo s.q.m. dello strumento utilizzato per
la loro misura.
Dopo aver compensato gli angoli di direzione si hanno tutti gli elementi per
determinare le coordinate incognite di tutti i punti tramite le (7).
Si avr:
N P2 = N P1 + d 1 cos( P1 P2 )
E P2 = E P1 + d 1 sen( P1 P2 )
N P3 = N P2 + d 2 cos( P2 P3 )
E P3 = E P" + d 2 sen( P2 P3 )
(18)
...................................................................................................
N Pn = N Pn 1 + d n 1 cos( Pn 1 Pn )
E P n = E Pn 1 + d n 1 sen( Pn 1 Pn )
Sommando i primi membri ed i secondi membri di queste relazioni ed eguagliando si otterr:
N Pn = N P1 +
i = n 1
d i cos( P i Pi +1 )
E Pn = E P1 +
i =1
i = n 1
d
i =1
sen( Pi Pi +1 )
(19)
Se ora nelle (19) si pongono i valori delle coordinate dei punti noti P1 e Pn,
supposte prive di errori, gli angoli di direzione gi compensati e quindi anche essi
supposti privi di errori, ed infine le distanze misurate si otterranno degli errori di
chiusura dovuti solo agli errori di misura delle distanze.
Si avr pertanto
i = n 1
d
i =1
i = n 1
d
i =1
cos( Pi P i +1 ) N Pn N P1 = N
(20)
sen( Pi Pi +1 ) E Pn E P1 = E
Alla quantit
L = N 2 + E 2
(21)
si da il nome di errore di chiusura lineare della poligonale.
Anche per tale errore vale lo stesso discorso fatto per gli angoli; esso deve risultare in valore assoluto inferiore ad una tolleranza assegnata
L t L
(22)
Alla tolleranza viene assegnata l'espressione
tL = p L
(23)
dove L esprime la lunghezza complessiva della poligonale espressa in metri e p un
coefficiente, anche esso espresso in metri, che qualifica la precisione richiesta alla
poligonale. Misurando le distanze con un distanziometro p pu assumere valori compresi tra 0,0010,002 m.
Ove la (22) sia verificata si pu procedere alla compensazione dei lati, cio distribuire l'errore di chiusura tra tutti i lati, o ci che lo stesso tra le componenti dei
lati, in modo che i secondi membri delle (20) vadano a 0.
Questa distribuzione non avviene per come per gli angoli in parti uguali in
quanto gli errori commessi sulle misure delle distanze sono proporzionali alle lunghezze delle stesse: naturale quindi distribuire l'errore di chiusura in parti proporzionali alla lunghezza di ciascun lato.
Si calcolano quindi le correzioni unitarie con
204
1998/99 F. Resta
Parte V Capitolo 1
i = n 1
N
E
uE =
con L = d i
L
L
i =1
e si ricavano le componenti compensate di ciascun lato con le
[d i cos( Pi Pi +1 )]c = d i cos( Pi Pi +1 ) + u N d i
uN=
(24)
(25)
Fig. 7
Nell'esempio indicato in fig, che rappresenta il caso pi generale, si tratta di
poligonale orientata per cui sono noti sia il punto P1 che il punto A esterno alla poligonale.
La condizione cui devono soddisfare gli angoli misurati si deriva immediatamente dalla condizione cui devono soddisfare gli angoli interni di un poligono di n
lati
i =n
(n 2)200
i =1
(26)
1998/99 F.Resta
205
Parte V Capitolo 1
i = n 1
d
i =1
(27)
i = n 1
d
i =1
cos( Pi Pi +1 ) = N
sen( Pi Pi +1 ) = E
L'errore di chiusura lineare L, calcolato tramite la (21), se inferiore alla tolleranza, si distribuisce tra tutti i lati misurati in parti proporzionali alle loro relative
lunghezze dopo aver calcolato tramite le (24) le correzioni unitarie.
1.8. Intersezione in avanti
L'intersezione in avanti era un metodo molto utilizzato nel passato quando non
avendosi a disposizione i distanziometri permetteva la determinazione della planimetria di un punto con sole osservazioni angolari.
Il metodo (Fig. 8) prevede lo stazionamento su due punti, A e B, di coordinate
note da cui si possa collimare il punto P incognito e misurare i relativi angoli e .
Fig. 8
Essendo nota la distanza AB, calcolabile con la (2) o la (3), ed applicando al
triangolo ABP il teorema dei seni si ottiene
AB
AP
BP
=
=
(28)
sen( + ) sen sen
da cui si possono calcolare le distanze AP ed BP.
L'angolo di direzione (AP) si ricava immediatamente con
(AP) = (AB)-
essendo l'angolo (AB) noto e calcolabile tramite la (1).
Applicando infine le formule dell'irradiamento (7) si determinano le coordinate
incognite del punto P.
Il rilievo si pu anche eseguire stazionando nei punti A e P, oppure B e P, nel
qual caso prende il nome di intersezione laterale. La scelta dell'uno o dell'altro metodo dipende solo da considerazioni pratiche sulle possibilit, o sulla convenienza, di
fare stazione sui punti.
Il metodo, come si pu notare applicando le (28), si utilizza anche per la determinazione indiretta di una distanza quando, per esempio materialmente impossi206
1998/99 F. Resta
Parte V Capitolo 1
bile raggiungere il punto P o quando la distanza da misurare eccede la portata del distanziometro.
1.9. Intersezione multipla
Il metodo dell'intersezione descritto nel paragrafo precedente trova sola applicazione nei rilievi di non elevata precisione. Nella pratica operativa di rilievi di precisione il punto P viene rilevato facendo stazione su pi punti noti (Fig. 9) avendo
cos a disposizione varie possibilit di calcolo delle coordinate incognite.
Fig. 9
Nello schema indicato in Fig., dopo aver fatto stazione sui punti noti Pi e misurato gli angoli i, applicando il teorema dei seni si determinano le distanze PiP,
quindi si calcolano gli angoli di direzione (PiP) e successivamente le coordinate del
punto incognito P.
Si avranno in tal modo tre valori delle coordinate di P e si potr constatare la
eventuale presenza di errori grossolani e, ove non presenti, assumere la media dei
valori come valore pi probabile delle coordinate di P.
Ove si voglia un valore pi pertinente delle coordinate di P bisogner far ricorso ad un metodo di compensazione pi rigoroso basato sul principio dei minimi quadrati.
1998/99 F.Resta
207
Parte V Capitolo 1
Fig. 10
e a tre punti incogniti A, B e C (Fig. 10).
La soluzione numerica dell'intersezione inversa pu essere ottenuta con diversi
schemi di calcolo; quello che si propone dovuto a V. Galkiewictz (1936).
Si considerino gli angoli di direzione
(PA) =
(PB) = (PA) + = +
(PC) = (PA) + + = + +
Applicando la (1) si otterr
E A E P = ( N A N P ) tan
E B E P = ( N B N A ) tan( + )
E C E P = ( N C N P ) tan( + + )
cio un sistema di tre equazioni in tre incognite, EP , NP e che risolto porta alle seguenti soluzioni
( E A E B ) cot + (EC E A ) cot ( + ) + N B N C
tan =
( N A N B ) cot + ( N C N A ) cot ( + ) + EC E B
E B E A + N A tan N B tan( + )
(29)
tan tan( + )
E P = E A + ( N P N A ) tan
Del problema esiste anche una soluzione geometrica che meglio mette in evidenza i grossi limiti del metodo.
Dopo aver riportato su un foglio in scala opportuna i segmenti AB e BC (Fig.
11)si manda per il punto A una retta che formi un angolo col segmento AB; quindi
per A si manda la normale a tale retta sino ad intersecare nel punto O1 la normale alla
mezzeria del segmento AB. Si ripete analoga operazione per il punto B riportando
l'angolo sino a determinare il punto O2.
NP =
208
1998/99 F. Resta
Parte V Capitolo 1
Fig. 11
Il metodo cade in difetto tutte le volte che il punto P appartiene alla circonferenza che passa per A, B e C (Fig. 12 a)) perch in tal caso tutti i punti appartenenti
all'arco APC soddisferebbero il problema
E' questo il caso di indeterminatezza del problema che rigorosamente si presenta quando la somma degli angoli misurati e dell'angolo noto a loro opposto nel
g
quadrilatero ABCP, cio l'angolo , uguale a 200
+ + = 200 g
(30)
La (30) rappresenta infatti la condizione che un quadrilatero sia inscrittibile in
una circonferenza.
Naturalmente rarissimo nella pratica che la (30) sia esattamente verificata;
g
avviene per spesso che il risultato sia molto prossimo a 200 . In questo caso il problema, nonostante non sia indeterminato, presenta una grande imprecisione in quanto
piccoli errori nella misura di e provocano grandissimi errori nella posizione di P.
Nella Fig. 12 b) si pu notare che se le due circonferenze sono distinte, ma di
centri molto prossimi e raggi quasi uguali, il punto d'intersezione P risulta non nettamente definito dall'intersezione dei due archi in quanto le loro tangenti formano un
angolo troppo piccolo.
Il metodo di Snellius pu pertanto presentare casi di criticit che ne ridimensionano il grande vantaggio che consente di determinare la planimetria di un punto
semplicemente stazionandovi sopra e misurando gli angoli a tre punti noti visibili.
1998/99 F.Resta
209
Parte V Capitolo 1
Per questo motivo il Catasto non lo accetta tra i metodi di rilievo validi per la
determinazione delle coordinate di punti.
Fig. 12
Data la sua praticit il metodo viene per spesso utilizzato dai topografi che si
tutelano contro i casi di criticit collimando pi di tre punti noti e possibilmente a giro d'orizzonte; in genere conviene collimare tutti i punti noti visibili dal punto P. Si
hanno cos a disposizione
n
n!
=
3 (n 3 )! 3!
coppie di coordinate del punto P incognito, con n numero di punti noti collimati.
L'esame della serie di coordinate permette facilmente di individuare le terne
che creano condizioni di criticit in quanto scartano notevolmente dalla media (si
manifestano alla stessa stregua degli errori grossolani); tali terne si eliminano dalla
serie di coordinate e si assume come valore delle coordinate il valor medio.
Nei casi in cui i punti noti visibili siano pochi (come minimo almeno quattro)
la situazione ideale si presenta quando il punto P situato all'interno del quadrilatero
formato dai punti noti perch in questo caso si sicuri di non incappare nelle condizioni di criticit.
1.11. Triangolazione
Da quando Snellius l'ha impiegata per la prima volta nel 1672, e prima della
comparsa dei distanziometri, stato l'unico metodo usato per la determinazione dei
punti di inquadramento o di punti di elevata precisione.
Lo schema identico a quello dell'intersezione in avanti; l'unica, e sostanziale,
differenza consiste nel fatto che bisogna fare stazione su tutti i punti (Fig. 13) e misurare i tre angoli del triangolo.
Avendo misurato i tre angoli si pu determinare l'errore di chiusura
+ + 200 g =
che, se inferiore alla tolleranza assegnata, si distribuir, cambiato di segno, in parti
uguali ai tre angoli.
La triangolazione quindi, contrariamente a quanto accade per l'intersezione in
avanti, permette di eseguire la compensazione delle misure.
210
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Parte V Capitolo 1
Fig. 13
1.12. Reti geodetiche rilevate mediante tirangolazione
E' stato gi detto sull'importanza dei punti di inquadramento, in particolare di
quelli di primo impianto riguardanti un vasto territorio, come per es. uno Stato o un
gruppo di Stati.
Compito di rilevare e gestire tali punti in genere demandato ad appositi Enti,
spesso di derivazione militare. In Italia l'Ente demandato a tale compito l'Istituto
Geografico Militare Italiano con sede in Firenze, in sigla "I.G.M.I."
Il rilievo dei punti di inquadramento viene sempre effettuato tramite triangolazioni che formano una maglia regolare, denominata rete geodetica, cercando di avvicinare il pi possibile la forma dei triangoli a quella equilatera.
Data la necessit di ottenere i punti di inquadramento con una densit media di
2
uno ogni 9 km , per un corretto utilizzo degli utenti, le reti geodetiche vengono suddivise in diversi ordini partendo da una rete fondamentale di inquadramento di tutto
il territorio, detta rete geodetica del primo ordine, con triangoli che hanno lati di lunghezza variabile da 30 a 50 km.
La rete geodetica del primo ordine in assoluto quella che garantisce le massime precisioni; gli angoli vengono misurati col metodo delle direzioni isolate eseguendo 24 reiterazioni e gli errori di chiusura angolare dei triangoli non devono superare 1",5 secondi sessagesimali. Essa viene compensata in blocco unico per tutto il
territorio.
Successivamente al centro dei triangoli formati dai vertici del primo ordine si
dispongono altri vertici che andranno a costituire la rete geodetica del secondo ordine. In questo caso i triangoli saranno formati da due vertici del primo ordine, considerati noti e privi di errore, ed uno del secondo, gli angoli saranno misurati con 12
reiterazioni e gli errori di chiusura non dovranno superare i 3",5 secondi sessagesimali. La loro compensazione sar effettuata considerando, come detto, i vertici del
primo ordine privi di errore.
Il raffittimento successivo determina una serie di vertici che vanno a costituire
la rete geodetica del terzo ordine; i vertici sono determinati appoggiandosi ai vertici
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211
Parte V Capitolo 1
1998/99 F. Resta
Parte V Capitolo 1
se in una zona opportuna, in genere pianeggiante, non eccessivamente lunga, variabile dai 3 ai 9 km, che stata misurata con opportuni apparati fino al raggiungimento
della precisione voluta.
Dalla base misurata, mediante una triangolazione di sviluppo eseguita con la
massima precisione (per ogni angolo si eseguivano fino a 36 reiterazioni) si giungeva
ad inglobare un lato della triangolazione del primo ordine che diveniva cos la base
calcolata.
Nel passaggio dalla base misurata alla base calcolata si perdeva una unit in
-6
-5
precisione passando da 10 a 10 .
In una rete geodetica di estese dimensioni, come quella italiana, le basi misurate sono pi d'una distribuite in maniera strategica su tutto il territorio; si hanno 8
basi misurate.
1.14. Le stazioni astronomiche
Le reti di cui si parlato nei paragrafi precedenti vengono previste e calcolate
sull'ellissoide il quale per deve essere orientato rispetto al geoide.
Si rende quindi necessaria la conoscenza delle coordinate astronomiche e di un
azimut di almeno un punto della rete (vedi Parte I -Capitolo 2- par.1.2.) ci che viene fatto eseguendo una stazione astronomica sul punto.
In Italia, come pi volte detto, tale punto situato a Roma presso l'Osservatorio
Astronomico di M.Mario.
Nella rete geodetica Italiana, per un maggior controllo, si fanno pi stazioni
astronomiche su punti della rete, quasi sempre punti del 1 ordine, opportunamente
distribuiti.
1.15. La rete del primo ordine della Sardegna
Si riporta di seguito lo sviluppo della rete del primo ordine in Sardegna(Fig.
15).
Come si pu notare la Sardegna stata collegata alla Penisola passando per la
Corsica, utilizzando quindi anche la rete Francese istituita in quell'isola; nel primo
impianto invece il collegamento con la penisola italiana era stato fatto in modo autonomo passando per l'isola di Montecristo.
La rete indicata in Fig. 14 stata ricalcolata nel 1983 misurando anche i quattro lati indicati in rosso (pi marcati in bianco e nero) con i distanziometri.
Nel primo impianto la base misurata, della lunghezza di circa 3 km, stata situata nella piana di Chilivani a ridosso della stazione ferroviaria
1998/99 F.Resta
213
Parte V Capitolo 1
Fig. 15
214
1998/99 F. Resta
Parte V Capitolo 2
CAPITOLO 2
DETERMINAZIONI ALTIMETRICHE
1998/99 F.Resta
215
Parte V Capitolo 2
( QB + R ) ( Q A + R )
=
( QB + R ) + ( Q A + R )
ed essendo
1
tan ( A
B)
2
1
tan ( A
+ B)
2
B ) = ( 200 g Z ) ( 200 g Z ) = Z Z
(A
A
B
B
A
+ B ) = 200 g
(A
(31)
2
QB Q A = ( QB + Q A + 2 R )
= 2 R( 1 + A
) tan ( Z B Z A ) tan
2R
2
2
tan( 100 g )
2
(32)
Tenendo presente che
D
=
R
si avr
2
D
D
D2
tan
=
(1+
)
2R 2R
12 R 2
e potremo pertanto porre
D
D
tan
=
2R 2R
in quanto il secondo termine dello sviluppo in serie si pu trascurare data la recisione
-6
ottenibile dalla misura; per D = 30 km esso vale 2.10 .
Dalla (31) si otterr in definitiva
Q
1
QB Q A = D( 1 + m ) tan ( Z B Z A )
(33)
R
2
avendo posto
Q + QB
Qm = A
(34)
2
La (32) la formula che fornisce il dislivello tra i centri dei teodoliti posti in A
e B per cui volendo il dislivello tra i punti A e B al suolo a detta formula va aggiunta
l'altezza strumentale hA dello strumento posto in A e tolta l'altezza strumentale hB
dello strumento posto in B.
Conoscendo la quota di uno dei due punti si pu quindi determinare la quota
dell'altro.
Non deve meravigliare il fatto che nel secondo membro della (32) sia presente
il termine Qm dato dalla (33) che contiene l'incognita. Esso si pu determinare in
prima approssimazione assegnandogli il valore della quota nota, per es., QA; quindi
calcolare un valore approssimato di QB da utilizzare per determinare nuovamente il
valore di Qm da introdurre nella (32) per il calcolo definitivo del dislivello.
Il procedimento ha una sua validit in quanto Qm , salvo casi eccezionali,
molto piccolo rispetto al raggio R per cui la quantit
sviluppando in serie tan
216
1998/99 F. Resta
Parte V Capitolo 2
Qm
1
tan ( Z B Z A )
R
2
interviene nel calcolo del dislivello per una frazione molto piccola e quindi tollerando su Qm un errore di circa 30 m si avrebbe sul dislivello un errore del centimetro
ininfluente se si tiene conto che l's.q.m del dislivello tra punti distanti qualche chilometro dell'ordine di alcuni centimetri.
Quando non siano necessarie elevate precisioni, o non si operi in condizioni
estreme (elevato dislivello a quote molto alte) il termine entro parentesi si trascura
per cui la (32) assume la forma semplificata
1
QB Q A = D tan ( Z B Z A )
(35)
2
D
(36)
(37)
Fig. 17
217
Parte V Capitolo 2
gue che la distanza zenitale misurata zA, detta apparente, sempre minore di quella
teorica ZA di una quantit z detta angolo di rifrazione. Lo stesso fenomeno si proporr in B.
L'angolo di rifrazione, secondo studi dovuti a Gauss, stato posto uguale a
(38)
2
dove k un coefficiente di proporzionalit detto coefficiente di rifrazione.
Se le due collimazioni sono eseguite contemporaneamente i due angoli di rifrazione possono ritenersi uguali; si avr quindi
Z A = z A + z e Z B = z B + z
Sostituendo nella (35) otterremo infine
1
QB Q A = D tan ( z B z A )
(39)
2
che permette la determinazione del dislivello tra A e B tramite le distanze zenitali misurate eliminando le cause perturbatrici dovute alla rifrazione atmosferica.
A tale metodo, che prevede la simultanea presenza di due osservatori in A e B,
si ricorre solo in casi in cui sia necessaria una elevata precisione ma non nei casi correnti di rilevamento che risulterebbero attardati e pi costosi.
Il metodo correntemente usato invece quello della livellazione da un estremo
per cui sostituendo nella (37) il nuovo valore di ZA si avr
D
D
1 k
QB Q A = D cot( z A + k
) = D cot( z A
D)
(40)
2R 2R
2R
Sviluppando in serie la cotangente e trascurando i quadrati e le potenze superiori si ottiene
1 k
1
1 k
cot( z A
D ) = cot z A +
D
(41)
2
2R
sen z A 2 R
e quindi
1
1 k 2
QB Q A = D cot z A +
D
(42)
2
sen z A 2 R
Nella (42) si pu porre anche sen 2 z A = 1 in quanto nelle ordinarie condizioni
di lavoro l'angolo z molto prossimo a 100 e quindi, nei limiti di approssimazione di
tale formula, si ottiene
1 k 2
QB Q A = D cot z A +
D + H s LB
(43)
2R
che rappresenta la formula finale per il calcolo
del dislivello avendo indicato con Hs l'altezza
strumentale in A e con LB l'altezza del segnale
sul punto B.
Nella (43) il termine D cot z A rappresenta
il dislivello che si avrebbe tra i punti A e B se la
terra fosse piana ed in assenza di atmosfera(Fig.
18).
Il secondo termine composto da due
2
componenti: la prima D /2R rappresenta la corFig. 18
rezione di sfericit che abbassa il punto B e
z = k
218
1998/99 F. Resta
Parte V Capitolo 2
Fig. 19
In Fig. 19 sono riportati due grafici che indicano l'andamento del coefficiente k
nel Sud dell'Italia e nel Sud della Francia.
L'andamento di k dimostra che le ore migliori per effettuare una livellazione
trigonometrica sono quelle centrali della giornata in cui la curva presenta un basso
gradiente.
In Italia mediamente si pu assumere il valore di 0,12 0,13.
1.5. Precisione della livellazione trigonometrica
L'errore medio m sul dislivello determinato tramite la (43) si calcola al solito
modo utilizzato per le misure indirette.
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Parte V Capitolo 2
Esso dipender dagli errori medi mD , relativo alla misura della distanza D, mz ,
relativo alla misura della distanza zenitale zA ed mk , relativo al valore adottato per il
coefficiente k in quanto possono considerarsi trascurabili gli errori medi di Hs ed LB.
Eseguendo le derivate si otterr
( 1 k )2 D 2
D2
D4
2
2
m
+
m
+
mk2
(44)
D
z
2
4
2
R
sen z A
4R
Il secondo termine entro la radice una quantit molto piccola (per D=6 km
vale circa 10) per cui si pu trascurare, si pu porre sen 4 z A = 1 ; data la prossimit
m
g
di zA a 100 e si pu introdurre lo s.q.m. relativo della distanza pari a s D = D ; si
D
ottiene cos
m = cot 2 z A m D2 +
D2
mk2
(45)
2
4R
Analizzando la (45) e sostituendo opportuni valori numerici si pu constatare
che fino ad una distanza di 10.000 m l'influenza di mk, nonostante sia proporzionale a
2
D , bassa; entro tale limite prevale in modo preponderante l'errore sulla distanza
zenitale e si pu ritenere che lo s.q.m. del dislivello sia approssimativamente proporzionale alla distanza secondo la
m 1,2 D
dove m espresso in centimetri e D in chilometri.
m = D cot 2 z A s D2 + m z2 +
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Parte V Capitolo 3
CAPITOLO 3
RILIEVO DI DETTAGLIO
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Parte V Capitolo 3
Tutti i particolari disegnati vengono anche memorizzati in un file tramite triplette di coordinate; si ottiene cos la cartografia numerica, gestibile con qualsiasi
CAD, che ha acquistato negli ultimi tempi una importanza fondamentale per moltissimi utilizzi nel campo ingegneristico.
Si pensi all'utilizzo nella progettazione stradale, nella redazione di strumenti
urbanistici, nella gestione di sistemi informativi territoriali (SIT o GIS), nei progetti
di recupero di beni architettonici o monumenti archeologici ed in qualsiasi altro intervento che riguardi il territorio per cui se ne consiglia agli studenti l'apprendimento,
pur se da molti sottovalutato.
1.2. La celerimensura
Su molti testi di Topografia si parla ancora della celerimensura come metodo
fondamentale del rilievo di dettaglio.
Esso si basava sul rilievo dei particolari con l'utilizzo di un teodolite di bassa
c
precisione (1 ) dotato di reticolo distanziometrico utilizzando il metodo dell'irradiamento con l'aggiunta delle letture alla stadia effettuate ai tre fili e della lettura dell'angolo zenitale.
Con la comparsa dei distanziometri, o meglio delle stazioni totali, si pu ancora
assegnare il nome di celerimensura al tipo di rilievo in cui, ovviamente scompare la
stadia.
Ponendosi quindi in stazione su un punto di inquadramento ed orientandosi su
un altro, entrambi noti, si collimano i vari punti di dettaglio misurando l'angolo azimutale, l'angolo zenitale e la distanza; si hanno cos, con l'aggiunta dell'altezza strumentale e dell'altezza della palina, tutti gli elementi per calcolare le coordinate planoaltimetriche di tutti i punti di dettaglio collimati. utilizzando le formule dell'irradiamento e quelle della livellazione trigonometrica.
Si tratta ovviamente di un rilievo speditivo per cui le letture agli angoli, sia
azimutali che zenitali, saranno eseguite in una sola posizione del strumento (CD o
CS); diviene importante pertanto conoscere l'entit dello zenit strumentale prima dell'inizio di ogni serie di misure.
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