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Dallinsulto ruspante allintolleranza strisciante. Il razzismo brutale e volgare (e un ministro che ne sa qualcosa). Ma quando meno te lo aspetti salta fuori quello pi insidioso: progressista e con il cuore doro
Testo Veronica Raimo Illustrazione Lorenzo Petrantoni

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Perch a un nero diamo sempre e comunque del tu? Siamo mossi da un sentimento di benevola protezione e familiarit o da un pericoloso intruglio di snobismo, pietismo e senso di colpa?

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rovate a fare questo esperimento, in una conversazione qualunque, a una cena, buttate l questa domanda: Quanti sono gli stranieri in Italia?. Verranno fuori cifre tipo 15 per cento, 20 per cento, 30 per cento, alle volte anche 50 per cento. Se si dovesse dare retta a queste risposte, cio fidarsi di questo tasso di immigrazione percepita, la percentuale degli stranieri in Italia sarebbe del 23 per cento (dati Transatlantic Trends Immigration 2009) a fronte di quella reale del 6-7 per cento circa. Che cos dunque che ci fa sentire cos assediati? La cartina di tornasole che ha fatto venire fuori in maniera esplosiva le forme di xenofobia del Belpaese stata la nomina a ministro di Ccile Kyenge la quale, prima di essere responsabile di qualunque atto, era semplicemente una donna, italiana, nera. Ma a pochi mesi dal suo incarico, Kyenge una macchia di Rorschach, un detector per il razzismo occulto. E il motivo per cui Enrico Letta lha nominata nel governo sembra essere stato veramente soltanto simbolico: le sue proposte restano sullo sfondo, mentre lei lei, donna, personaggio, icona un bersaglio di attacchi scomposti, continui, deliranti. O di speculari dichiarazioni di sostegno e attestati di solidariet. Qualche tempo fa, lo stesso presidente del Consiglio, dopo lennesima scarica dinsulti, le mandava un twitter di conforto, in cui la spronava ad andare avanti, chiamandola affettuosamente Ccile. Tanto che ci si poteva chiedere, ma di chi sta parlando: di unamica sua? Se al posto del ministro Kyenge ci fosse stato un ministro uomo, bianco,

probabilmente non avrebbe usato gli stessi toni cos confidenziali. Ma nei confronti di Kyenge sembra essergli scattato un sentimento di benevola protezione e familiarit, lo stesso che ci porta automaticamente a dare del tu quando abbiamo a che fare con un immigrato. Come il razzismo spesso nasconde psichicamente il desiderio del confronto, lattrazione per lAltro mascherato da paura, risentimento, disprezzo, rimozione; cos lantirazzismo invece cela forme di razzismo edulcorato, un pericoloso intruglio di snobismo, pietismo e senso di colpa, con tutti i danni che questultimo sempre riuscito a fare. Mi sono ritrovata questa estate al mare di fronte alla seguente scena: una signora sui cinquanta, sotto lombrellone, intenta a leggere un libro. Da dietro gli occhialoni da sole, la tipa intercetta un venditore ambulante africano, lo ferma. Chiacchiera. Gli chiede da dove viene. Quando arrivato in Italia. Fa una battuta progressista e simpatica: E magari sei un ingegnere nucleare!. No, risponde lui continuando a mostrarle i pareo. Al che la donna, forte della sua cultura geopolitica sullAfrica, gli domanda: Ma sei sotto Ramadan?. S, risponde lui. E quindi non hai mangiato niente?. No, fa lui. E neanche bevuto niente?. No. Ma fa male non bere con questo caldo. Ti disidrati!, e gli porge gentilmente la sua bottiglietta dacqua. No. grazie, signora. Ma dai, bevi almeno un sorsino!. No, grazie. Un succo di frutta?. Signora, lo vuole o no questo pareo?. Mi venuto in mente Paradise: Love, il geniale film di Ulrich Seidl sul turismo sessuale delle occidentali in Kenya, dove per le borghesi austriache, sfatte e attempate, che organizzano il viaggio per rimorchiare giovani neri muscolosissimi, non riuscendo pacificamente ad accettare che tutto ci che le attira verso quei ragazzi la semplice pulsione sessuale per i loro corpi, cercano di conquistarne laffetto e la stima con regali, parole accorate, patetiche messe in discussione di se stesse, con lunico risultato di

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In principio stato vu cumpr. Il primo di tanti luoghi comuni linguistici che da 20 anni a oggi infettano in modo interclassista il nostro parlare quotidiano. Senza, ovviamente, che ce ne rendiamo conto

rendere ancora pi alienanti i loro scambi. Potrei fare un elenco di episodi simili a cui mi capitato di assistere negli anni, e probabilmente anche chi mi frequenta potrebbe trovare in me analoghi atteggiamenti inconsciamente razzisti che sempre complicato attribuirsi, come qualche giorno fa mentre aspettavo che un sarto egiziano mi rifacesse lorlo ai pantaloni e annuivo sorridendo a tutto quello che mi diceva, non avendo il coraggio di confessare che in realt non stavo capendo praticamente nulla. Eppure non devo essere certo lunica che ascolta senza battere ciglio amici e amiche, registi, scrittori, professori, giornalisti, che parlano con disinvoltura della mia filippina, dell omino che fa la benzina di notte, che ti chiedono se conosci qualche romeno per imbiancare casa, che cercano un bangla per comprare i croccantini del gatto alle 10 di sera, che sbuffano perch sto marocchino invece di pulire i vetri, li sporca, che di fronte a un nero che chiede lelemosina si giustificano dicendo scusa lho dato gi a un altro (un altro chi? nero? sfigato? uno che gli assomigliava?) fino ad arrivare al vertice di questinformalit che la risposta insensata a qualcuno che ci chiede un euro per un accendino o cerca di farci comprare un paio di calzini: Guarda fratello, che sto messo peggio di te, sperando con lepiteto francescano di innescare subito una solidariet tra miserabili e liquidare la faccenda, anche se sappiamo benissimo che non siamo messi per niente peggio del fratello in questione, tanto che in quel momento leuro ce lo sta chiedendo lui. Nel libro Razzisti a parole (per tacer dei fatti) pubblicato da Laterza nel 2011, il linguista Federico Faloppa riusciva a ricostruire una mappa det-

tagliatissima dei luoghi comuni linguistici che hanno infettato la chiacchiera della buona e brava borghesia dItalia da 20 anni a questa parte, dallinvasione sui giornali dei cosiddetti vu cumpr, passando attraverso le mille excusationes non petitae modellate sullo schema collaudato Io non sono razzista ma. Ma ci mancano le strutture. Ma quando troppo troppo. Ma sto diventando intollerante. Ma i neretti del parcheggio dellIpercoop hanno rotto. Ma gli zingari non li sopporto. Ma odio Mario Balotelli e se gli fanno il verso della scimmia allo stadio perch se lo merita...

sternare la propria insofferenza non mai stato un problema per la maggior parte degli italiani, che sia al bar o su Facebook. La particolarit di questi sfoghi che in Italia si diffusa, trasversalmente, da sinistra a destra, unintolleranza nei confronti del politically correct, considerato un modo conformista e ipocrita di parlare di questioni sociali; senza per che da noi questo politically correct si sia mai davvero affermato. Le sanzioni nelle universit e nelle istituzioni inglesi e americane per chi utilizza nigger o spook invece di black, o faggot invece di gay, hanno dato adito oltreoceano a romanzi meravigliosi come La macchia umana di Philip Roth e a dibattiti infiniti, come quello di qualche anno fa in cui si discuteva se fosse giusto riscrivere alcune pagine di Mark Twain dove veniva adoperata la parola nigger appunto. In Italia non abbiamo mai avuto eccessi del genere, ma non mancano mai coloro che reputandosi schietti, spregiudicati, senza peli sulla lingua, la dicono pane al pane. Recentemente per esempio, Beppe Grillo paladino di una comunicazione senza filtri e tutta squisitamente di pancia, che dovrebbe intercettare il vero sentire del Paese si rivendicato questo ruolo: Se vuoi essere politicamente corretto, mentre parli devi continuamente e seriamente valutare

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Tra le espressioni di uso quotidiano pi insensate vince immigrati di seconda generazione: i ragazzi nati e cresciuti in Italia che non hann0 la minima idea del Paese dal quale vengono i genitori

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se ogni parola che stai per pronunciare pu urtare la sensibilit di qualcuno: un gruppo religioso, unistituzione, una comunit, uninclinazione sessuale, uninfermit, un popolo. Per non avere problemi devi limitarti ai saluti: Buongiorno e non mi faccia dire altro, anche se poi, dopo aver soprannominato Prodi Alzheimer, ha dovuto rimediare postando sul suo blog un video di sensibilizzazione alla malattia. O alla Mostra del Cinema di Venezia lanno scorso, dove un noto critico esasperato dalla quantit di cinesi che bazzicano sotto casa sua, nel quartiere Esquilino di Roma, ha cominciato a inveire contro Kim Ki-duk e il suo film: Non se ne pu pi de sti cinesi. Mo vogliono colonizzare pure il cinema!. Mettiamo pure che fosse una battuta simpatica, peccato che Kim Ki-duk sia sudcoreano. os linsofferenza per il politicamente corretto da una parte e il politicamente corretto enfatizzato a ideologia dallaltra sono due facce della stessa scontata medaglia. Come se ne esce? Come si fa a demistificare un immaginario tanto ottuso? Perch anche il cinema indipendente e impegnato non fa che ricamare intorno a figure di immigrati iper positivi: o finti cattivi da redimere o poveracci da salvare? Persino i tentativi di smarcare questo buonismo finiscono per inciampare in stereotipi ancora pi pericolosi, come le rivisitazioni del buon selvaggio. Prendiamo la scena finale di Tutti gi per terra di Davide Ferrario, in cui una zingara bellissima e sensualissima, erotismo e libert allo stato puro, ruba un reggiseno in un ipermercato. Valerio Mastandrea, che lavora l come commesso, la insegue e invece di recuperare il reggiseno finisce per perdere la verginit con lei in uno sgabuzzino. Sono convinta che gli stessi spettatori che attraverso lamplesso fra i due si sono sentiti liberati dalla costrizione coercitiva dellipermercato, della societ dei consumi, del sistema, e compagnia bella, fuori dal cinema, se venissero abbordati da una zingara un po

meno avvenente, metterebbero subito mano a borsa e portafoglio. Da Pummar di Michele Placido (1990) a Bianco e nero di Cristina Comencini (2008) non pare siano passati tanti anni: i neri sono sempre e soprattutto immigrati che hanno a che fare con le tentazioni della criminalit, gli abissi dello sfruttamento o con le (poche) possibilit dellintegrazione. Una buona fede cos invadente che ci porta a chiedere quando in un film italiano un nero sar semplicemente un innamorato, un assassino, un poliziotto, un comico. Forse quando ci saremo dimenticati anche di quellaltra insensata espressione immigrati di seconda generazione che usiamo per parlare di gente nata e cresciuta in Italia e che magari non ha mai visto il Paese dei suoi genitori. Chi si occupato di razzismo in America sa che le vere trasformazioni avvengono quando i miti subiscono un attacco al cuore proprio da chi era intrappolato in quellimmaginario mitico. Voglio dire: quanto tempo ci vorr perch in Italia qualcuno pubblichi un saggio simile a quello che lo scrittore/critico nigeriano Chinua Achebe dedic a Cuore di tenebra di Joseph Conrad, An Image of Africa: Racism in Conrads Heart of Darkness, unanalisi capace di svelare, destrutturare, il razzismo secolare profondo di una cultura come quella italiana? Nellattesa ci possiamo deliziare con qualche furba commediola con un lavavetri che sinnamora di uninsegnante precaria che lo aiuta a ottenere un permesso di soggiorno.

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