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sociorum Defensio sociorum arcanum imperii

di Virgilio Ilari

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DEFENSIO SOCIORUM, ARCANUM IMPERII

di Virgilio Ilari A Dio spiacente e alli inimici sui. Questo era il fascino che gli eretici italiani, perseguitati pure nei paesi protestanti in cui avevano cercato rifugio, esercitarono su Delio Cantimori (1904-66). L'empatia dello storico mazziniano, deluso prima dal fascismo e poi dal comunismo, si basava, secondo Adriano Prosperi (L'eresia del Libro grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, 2000), sul comune "nicodemismo", l'arte di dissimulare la vera fede sotto il velo dell'apparente ortodossia. Il nicodemismo una tipica strategia di angosciosa sopravvivenza cui ricorrono spesso gli inattuali e gli scomodi, pateticamente convinti che basti a beffare il Panopticon. Un'altra, pi intrepida e spiazzante, di cambiare l'acqua nel vaso in cui nuotano gli avversari, ossia fondare il proprio discorso su un nuovo metodo. Ma per farlo occorre la forza di un Galileo. O di Alberico Gentili (1552-1608), il giurista maceratese esule in Inghilterra per motivi religiosi, che fu amico di Giordano Bruno ma rivendic ai giuristi, contro philosophi e politici, la competenza a discettare di guerra giusta e neg legittimit alla guerra intrapresa pro religione. Stile e sottigliezza di Gentili sono ostici per una mente anglosassone (come confessa David Lupher, annoiato ma pur magistrale traduttore dell'opera di cui si parla in questo articolo), ma la sua prosa pullula di dicta pastosi che restano facilmente impressi nella mente: il pi famoso Silete Theologi in munere alieno ("offel fa el to mest"). Carl Schmitt se ne delizi nel suo Nomos der Erde, in cui interpretava il de iure belli (1598) gentiliano come la pietra angolare del concetto "non discriminatorio" di guerra e dello stesso jus publicum europaeum, sancito dalla pace di Westfalia (1648), minato dall'intervento americano nella grande guerra "europea" del 1914, sepolto dallo Statuto kelseniano delle Nazioni Unite e definitivamente ripudiato nel 2002 dalla Corte penale internazionale (ICC) permanente per i crimini di guerra. All'epoca delle guerre di religione perfino pensare poteva costare la pelle. Gentili poi, nella tollerante Inghilterra elisabettiana illuminata dai roghi dei martiri cattolici, pattinava proprio sul filo della scure, non solo perch sfruculiava i puritani e ammirava Machiavelli, ma per il solo fatto di essere italiano (gratta gratta l'italiano che ci spunta il Vaticano) e giurista (Juristen bse Christen, "giuristi cattivi cristiani", aveva detto Lutero). Con l'aggravante di aver pure condotto una difesa magistrale e di grande presa intellettuale del metodo dogmatico di interpretazione del Corpus Juris giustinianeo (metodo detto mos italicus perch tipico dei giuristi italiani) contro il metodo, ingenuamente "storicizzante" e umanistico, della c. d. "scuola culta" francese, o mos gallicus [il che non

impediva a Gentili di usare gli esempi storici e d'ispirarsi largamente a Bodin]. E non si trattava solo di idee pericolose, ma di vivere pericolosamente in quegli affascinanti nidi di vipere che erano la corte inglese e l'universit di Oxford. Consultato nel 1584 in merito all'espulsione dell'ambasciatore spagnolo Bernardino de Mendoza (accusato di attentato alla vita di Elisabetta), dal 1587 al 1605 Gentili fu infatti ottavo regius professor di civil law a Oxford e infine, sotto Giacomo I, avvocato della legazione spagnola. La cattedra oxoniana di diritto civile (cio di diritto romano) era stata istituita nel 1540, assieme a quella gemella cantabrigense, da Enrico VIII per propagandare la lex regia come fondamento della translatio della sovranit dal popolo al principe. Il primo titolare era stato John Story, imprigionato sotto Edoardo VI per essersi opposto alle leggi anticattoliche, evaso e rifugiato una prima volta nei Paesi Bassi, riabilitato sotto Maria Tudor, di nuovo arrestato, evaso e fuggito nel 1559 per essersi opposto all'atto di supremazia di Elisabetta, infine rapito dagli antenati dell'MIFive in territorio spagnolo (extraordinary rendition), portato in Inghilterra, processato per alto tradimento, torturato e giustiziato nel 1571 nel modo (impiccagione con evirazione e squartamento) descritto da Anthony Burgess in A Dead man in Deptford (1993) a proposito dell'esecuzione (1586) di Babington e dei suoi complici che fece vomitare perfino Elisabetta. [Leone XIII beatific Story nel 1886, alla faccia dei mangiapreti che volevano erigere un monumento a Gentili, il quale, dimenticato per tre secoli dalla comune ignoranza delle opposte trombonerie, era stato riscoperto da uno studioso olandese, Wijbrand Adriaan Reiger (1846-1910), un cui saggio del 1867 provoc, nel 1874, la costituzione di un comitato anglo-italo-olandese per le onoranze gentiliane]. Salvata dopo la disgrazia di Story da Robert Weston, elisabettiano di ferro, la cattedra oxoniana vivacchi sul basso profilo e il conformismo fino a Gentili. Non gli fu facile ottenerla, perch la fazione puritana di Oxford, capeggiata da John Rainolds (o Reynolds, 1549-1607) tent ovviamente di ammazzarlo da piccolo, come aveva fatto con altri due rifugiati continentali, lo spagnolo Antonio del Corro (1527-91) e il fiorentino Francesco Pucci (1543-97). Lo sguardo conservato dal ritratto di Rainolds gela ancora il sangue nelle gaie vene del peccatore medio italiano, e spiega sia una frase di Gentili ("Hallucinantur theologi...") sia il suo prudenziale viaggio in Germania nei mesi precedenti l'assegnazione della cattedra. Alla fine Rainolds fu messo a cuccia da Francis Walsingham (1532-90), il capo dei servizi segreti, pullulanti di sicari e a corto di cervelli fini come Gentili. Morto Walsingham, nel 1593-94 Rainolds ci riprov, accusandolo di machiavellismo, ateismo e paganesimo, ma il nostro fu salvato da Robert Devereux, secondo conte di Essex, genero di Walsingham e ancora nelle grazie di Elisabetta. A lui Gentili dedic sia gli abbozzi (1588-90) che le versioni definitive (1598 e 1599) dell'opera pi famosa (il de jure belli) e di una complementare sulla giustizia dell'impero romano (il de Armis Romanis). Il 24 settembre

del 1599 Devereux si gioc tutto salpando dall'Irlanda per Londra. Ma Gentili gli sopravvisse, e poi la cattedra a lui. Dur fino al 1661, cio sino alla restaurazione della monarchia e all'esecuzione postuma di Cromwell, ricoperta prima da John Budden (1566-1620) e poi dal grande Richard Zouch (1590-1661). Rinacque nel 1736 e l'attuale titolare il quattordicesimo della nuova serie. L'interpretazione di Gentili controversa, come dimostra la mole degli studi a lui dedicati, tra cui spiccano quelli di Diego Panizza, suo massimo esegeta. Oso tuttavia esporre la mia impressione che l'opera di Gentili manifesti una coerente strategia: riabilitare il diritto romano sotto il profilo della correttezza politica elisabettiana, per poterlo cos brandire sia contro la Spagna sia contro l'estremismo religioso. La cifra era contrapporre la Roma buona alla Roma cattiva, la giurisprudenza alle leggi di Giustiniano, l'impero repubblicano dell'espansione e della virtus a quello monarchico della decadenza e della corruzione. Era l'originale trasposizione sul piano giuridico della lettura della storia romana fatta sul piano politico da Machiavelli, che Gentili riabilitava in Inghilterra definendolo democratiae laudator (e difatti era contestato dai Tacitisti, che consideravano la Roma dei Cesari un progresso, e non un regresso, rispetto alla Roma senatoria). Ed era ancor pi geniale che a farlo fosse proprio il difensore del mos italicus; n c'era contraddizione, perch Gentili dava una lettura giuridica della storia, i culti, invece, una storica del diritto. Lui badando all'insieme e alla coerenza del sistema, gli altri ai particolari e alle incoerenze. Gentili contribuiva all'idea della riforma imperiale, che secondo Frances Yates (1899-1981) era "il tema dominante dell'et elisabettiana. La riforma tudoriana della Chiesa, attuata dal monarca, permise ai suoi propagandisti di attingere alle tradizioni e al simbolismo del Sacro Romano Impero per glorificare la regina. La sua immagine come Astrea, la Giusta Vergine della riforma imperiale, fu costruita durante il regno di Elisabetta nel complesso simbolismo che le si riferiva e che assorb la leggenda della discendenza troiana dei Tudor nell'imperialismo religioso. Questa propaganda abitu il pubblico a pensare a una Chiesa e a un Impero purificati, sotto sembianze femminili. Il 'Ritratto del setaccio' della regina come vergine vestale ha esattamente lo stesso contenuto concettuale del verso di Shakespeare su una 'Vestale, in trono assisa, di occidua contrada". Il mito di discendere direttamente da gruppi di esuli troiani diversi da quello capeggiato da Enea fu coltivato sia dai Valois che dai Tudor, per sostenere il carattere originario del loro potere rispetto al Sacro Romano Impero. La formula medievale della sovranit (fatta consistere nel non riconoscere autorit superiori) fu superata affermando che le monarchie nazionali erano in realt esse stesse ordinamenti giuridici originari, cio respublicae. Gi prima di Gentili Thomas Smith, primo regius professor di diritto romano a Cambridge dal 1540 al 1551, aveva intitolato un saggio De republica Anglorum. A discourse on the Commonwealth of England (1565). Pochi anni dopo pure Bodin aveva usato quel termine,

fin dal titolo del suo trattato di politica, per designare le monarchie nazionali. L'apporto di Gentili fu di dare coerenza al principio repubblicano sia sul piano del diritto costituzionale (espungendo il principio incompatibile della lex regia) sia su quello delle relazioni tra stati, declassando la respublica romana da universale a particolare. Non pi ordinamenti subordinati (regna) all'interno di un unico ordinamento universale (respublica): ma una pluralit di respublicae particolari, le cui oggettive regole di convivenza (ius extra rempublicam) non potevano essere tratte dal Justinianismus (cio dalle leggi imperiali) ma dedotte dal jus gentium, cio dai principi generali del diritto elaborati dalla giurisprudenza romana. Abbiamo accennato al de Armis Romanis. Nel 2010 e 2011 l'universit di Oxford ha pubblicato un'edizione critica con traduzione (The Wars of the Romans) e una raccolta di commenti (The Roman Foundations of the Law of Nations. Alberico Gentili and the Justice of Empire), curate da tre studiosi americani, Benedict Kingsbury, Benjamin Strauman e David Lupher. Il commento principale per quello del nostro Panizza (pp. 5384). La struttura quella dei disso lgoi (discorsi in contrasto), come i due di Carneade (nel 155 a C.) sulla giustizia e l'ingiustizia ripresi da Cicerone nel III libro de republica (Lupher, pp. 96-100). I due discorsi in contrasto sulla giustizia delle guerre e quindi dell'impero romano coprono rispettivamente i due libri del de Armis, il primo, quello in cui parla l'Accusator, pubblicato da solo gi nel 1590. La struttura la stessa per entrambi i libri, anche se il secondo, in cui parla il Defensor, lungo circa il triplo del primo. Ciascuno su 13 capitoli, i primi 10 dedicati alle guerre dell'infantia, adulescentia e iuventus di Roma repubblicana, da Romolo a Mitridate; l'XI alla senectus identificata con la Roma dei Cesari; il XII al raffronto con l'impero di Alessandro; il XIII ai due opposti verdetti, di tyrannis e di fortuna. Panizza nota che le tesi del de jure belli collimano quasi perfettamente con gli argomenti di Defensor, un romano seguace del mos gallicus che esalta Bruto e il tirannicidio. Eppure Gentili presta la propria carta d'identit ad Accusator, un "gallo-piceno" di San Ginesio che condanna Bruto perch solo un tiranno pu tenere a freno i romani e cita a man salva le tirate degli spagnoli Floro e Orosio, del macedone Polieno e dell'alessandrino Appiano perch un provinciale come loro. Il chiasma intrigante ma un rompicapo. In ogni caso gli argomenti innovativi sono quelli di Defensor, da cui si ricava che l'impero non un male "a prescindere", che ci sono imperi buoni e cattivi, durevoli e precari. Roma, come oggi l'Inghilterra, era un Commonwealth inclusivo e multietnico, nato dall'unificazione di popoli fieri e gelosi della loro libert e regolato da virtus e ius: Spagna e Asia sono deboli perch accentrati, troppo estesi e formati da popoli indolenti. La qualit dell'impero si vede dal risultato: per l'Italia, la Britannia, la Libia fu un vantaggio essere unificati e pacificati. Tutti ora rimpiangono (suspirant) la pietas, liberalitas, fides, magnanimitas, pax, securitas, aequanimitas dell'impero romano. E' l'argomento "perch non possiamo non dirci

romani" (Roma communis patria), usato pure da Niall Ferguson a proposito degli imperi britannico e americano: comunque meglio (o meno peggio) di tutti gli altri. Sono tanti i temi e gli spunti del de Armis esumati da Lupher e Panizza. Ma forse il pi interessante e attuale quello che applica ai rapporti tra stati il principio di diritto privato circa l'irrilevanza giuridica dei motivi psicologici: sit iusta adquirendi caussa, voluntatem nemo vituperavit (se la pretesa palese giusta non ammesso il processo morale alle intenzioni, perch il giudizio non pu riguardare l'interior sensus animi, il vero motivo per cui si esercita un diritto). In quanto elemento psicologico, la libido imperi si sottrae perci alla valutazione giuridica. Se da un lato non costituisce, di per s, giusta causa di guerra, dall'altro non pu in alcun modo inficiare il diritto che, sia pure speciosamente, viene esercitato mediante l'uso della forza: perch una guerra sia giusta sufficiente che sia giusta la causa palese (aperta), anche se non quello il vero motivo. Certo che difesa degli alleati (defensio sociorum) e liberazione dei popoli erano speciosi: addirittura, rincara Defensor, costituivano una tipica strategia di espansione (arcana imperii), consentendo all'impero di avanzare di alleato in alleato sino a strangolare chi resisteva. Nondimeno erano giuste cause di guerra, fondate sulla ratio humanitatis. Questi, poi, sono addirittura casi di defensio honesta. Ma lecita pure la defensio utilis, cio la guerra preventiva: e non solo per il timore di poter essere in seguito attaccati, ma pure per il timore di poter essere superati in potenza (timor potentiae). Puro elemento psicologico, l'invidia imperii (che del resto tra Roma e Cartagine era reciproca) esula dalla valutazione giuridica. La Cina vicina! Lo sa bene la generazione del Sessantotto, quella che ora i cattivi li bombarda dallo Studio Ovale. Nel 2003, quando i bombardieri cominciarono la liberazione dell'Iraq, fui invitato per sbaglio a dire la mia in una serata speciale di Rai 2. Misi, al mio solito, il piede nel piatto, parlando di "controllo del prezzo del petrolio e dunque dello sviluppo cinese ed europeo" e citando il passo di Montesquieu sull'esprit de conservation et d'usage implicito nell'esprit de conqute per spiegare come mai le bombe fossero cos umanitarie da non distruggere le infrastrutture logistiche utili all'imminente liberatore. Fui perci giustamente radiato da tutti i palinsesti d'Italia. Non ho n cerco scuse, sir Francis. Ma qualora la Vergine Astrea volesse ancora rivolgere benignamente lo splendore dei suoi raggi sulla mia indegnit, deporrei ai suoi piedi il consiglio, se dovesse pesarle il generoso cuore nel triste dovere di premere il bottone ammazza-cattivi, di sfogliare, corroborandosi, il De Armis Romanis.

Alberico Gentili (Monumento di San Genesio, eretto nel 1908 tra le polemiche della stampa clericale)

Allegoria di Roma di Giambattista Tiepolo. Frontespizio del I volume degli Utriusque thesauri antiquitatum Romanorum Nova Supplementa raccolti da Giovanni Poleno, Venetiis, Typis J. B. Pasquali, 1737, in cui contenuta la terza edizione del De Armis Romanis. L'autore indicato con le sole iniziali, "A. G.", per eludere la censura ecclesiastica, essendo l'opera omnia di Gentili inserita nell'Indice dei Libri proibiti.

Elisabetta I, ritratto col setaccio (The Sieve Portrait, Q. Massys di Anversa, 1583). La sovrana ritratta come Tuccia, la Vestale che prov la sua castit portando con un setaccio l'acqua dal Tevere al Tempio di Vesta.

Il teologo protestante John Reynolds (1549-1607), persecutore di Alberico Gentili

Carneade di Cirene, il filosofo che nel 155 a. C., oratore a Roma per conto di Atene, pronunci due discorsi in contrasto, sostenendo prima la superiorit della giustizia e poi dell'ingiustizia

Diego Panizza (con la barba) e Benedict Kingsbury

Anthony Burgess, A Dead Man in Deptford, sulla vita e l'omicidio di Christopher Marlowe (1564-1593)

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