Sei sulla pagina 1di 164

Appunti delle lezioni di

Analisi Matematica 1

Trascrizione in Latex
a cura di
Davide Vaienna & Yana Zvirtek

1
Indice
1 Preliminari 3
1.1 Insiemi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.2 Relazioni, funzioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.3 Insiemi ordinati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
1.4 Numeri Reali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
1.5 Cenni sulla cardinalità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.6 Topologia Euclidea. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2 Successioni 30
2.1 Limiti e prime proprietà. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
2.2 Successioni limitate e monotone. Compattezza. . . . . . . . . . . . . . . . . 38
2.3 Esempi e criteri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2.4 Successioni di Cauchy. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

3 Funzioni reali di variabile reale 54


3.1 Limiti e prime proprietà. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
3.2 Funzioni continue. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
3.3 Funzioni uniformemente continue. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

4 Calcolo differenziale 71
4.1 Funzioni derivabili e prime proprietà. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
4.2 Alcuni teoremi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
4.3 Formule di Taylor. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
4.4 Funzioni convesse. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92

5 Calcolo integrale 95
5.1 Integrale di Riemann. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
5.2 Integrabilità di funzioni monotone e continue. . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
5.3 Teorema fondamentale del calcolo integrale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
5.4 Alcune tecniche di integrazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
5.5 Integrali generalizzati. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

6 Serie Numeriche 121


6.1 Definizioni e prime proprietà. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121
6.2 Criteri per serie a termini positivi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
6.3 Serie a termini di segno alterno. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131

7 Numeri Complessi 135


7.1 Definizioni e prime proprietà. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135
7.2 Radici n-esime. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138

8 Esercizi 142
8.1 Soluzioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147

Indice analitico 162

2
1 Preliminari

1.1 Insiemi.

Per introdurre il concetto primitivo di insieme usiamo la nota definizione di Georg Cantor:

“ Un insieme è una collezione A, di oggetti a (chiamati elementi di A) determinati,


ben distinti tra loro, della nostra intuizione o del nostro pensiero. ”

Nel seguito, in genere, useremo le lettere maiuscole dell’alfabeto A, B, C, ... per indicare gli
insiemi; le lettere minuscole a, b, c, ... per indicare gli elementi. Per indicare che un elemento
x appartiene all’insieme X scriveremo

x ∈ X,

mentre per dire che x non appartiene all’insieme X scriveremo

x∈
/ X.

Al fine di descrivere gli esempi successivi, introduciamo in maniera “informale” alcuni degli
insiemi numerici più importanti; le definizioni rigorose verranno date nel seguito.
Denotiamo con N l’insieme dei numeri naturali:

N = {1, 2, 3, 4, 5, . . .}.

Denotiamo con Z l’insieme dei numeri interi:

Z = {. . . , −3, −2, −1, 0, 1, 2, 3, . . .}.

Denotiamo con Q l’insieme dei numeri razionali:


nn o
Q= , con n, m ∈ Z, m 6= 0 .
m
Esempio 1.1. Consideriamo l’insieme A contenente gli elementi 7, 2, 4:

A = {7, 2, 4}.

Allora, ad esempio, si ha 2 ∈ A e 5 ∈
/ A.

Denotiamo ora con ∅ l’insieme vuoto, cioè l’insieme che non contiene elementi.

3
Definizione 1.1. Siano A e B due insiemi. Diremo che A è un sottoinsieme di B e
scriveremo
A⊆B
se tutti gli elementi di A sono anche elementi di B, cioè:

a ∈ B, ∀a ∈ A

dove il simbolo ∀ significa “per ogni”. Diremo che A è un sottoinsieme proprio di B e


scriveremo
A(B
se tutti gli elementi di A sono anche elementi di B, ma esiste qualche elemento di B che
non appartiene ad A, cioè: (
a ∈ B, ∀a ∈ A,
∃b ∈ B t.c. b ∈
/ A,
dove il simbolo ∃ significa “esiste” e t.c. sta per “tale che”.
Dalla precedente definizione, segue che ogni insieme è sottoinsieme di se stesso e che l’in-
sieme vuoto è sottoinsieme di qualsiasi insieme; inoltre due insiemi A e B sono uguali se e
solo se uno è sottoinsime dell’altro e viceversa, cioè:
(
A ⊆ B,
A = B ⇐⇒
B ⊆ A,

dove il simbolo ⇐⇒ significa “se e solo se”.


Definizione 1.2. Sia A un insieme. Si chiama insieme delle parti di A, l’insieme
contenente tutti i sottoinsiemi di A. Indicheremo tale insieme con P(A).
Esempio 1.2. Consideriamo l’insieme A = {7, 2, 4}, abbiamo

P(A) = {∅, {7}, {2}, {4}, {7, 2}, {7, 4}, {2, 4}, A}

Introduciamo adesso alcune operazioni insiemistiche.


Definizione 1.3. Siano A, B ⊆ X insiemi.
Si chiama unione di A con B l’insieme A ∪ B ⊆ X, definito come

A ∪ B = {x ∈ X t.c. x ∈ A oppure x ∈ B}.

Si chiama intersezione di A con B l’insieme A ∩ B ⊆ X, definito come

A ∩ B = {x ∈ X t.c. x ∈ A, x ∈ B}.

Si chiama differenza di A con B l’insieme A \ B ⊆ X, definito come

A \ B = {x ∈ X t.c. x ∈ A, x ∈
/ B}.

Si chiama complementare di A in X l’insieme Ac ⊆ X, definito come

Ac = X \ A.

4
1.2 Relazioni, funzioni.

Definizione 1.4. Siano A, B due insiemi. Il prodotto cartesiano di A con B è l’insieme


A × B costituito da tutte le coppie ordinate, aventi primo elemento in A e secondo in B,
cioè:
A × B = {(a, b) t.c. a ∈ A, b ∈ B}.

Esempio 1.3. Siano A = {1, 2, 3} e B = {4, 5}. Allora, ad esempio, si ha:

(2, 4) ∈ A × B,
(4, 2) ∈
/ B × A.

Dal precedente esempio deduciamo immediatamente che in generale A × B 6= B × A.

Definizione 1.5. Dati A, B due insiemi, una relazione R è un qualsiasi sottoinsieme del
prodotto cartesiano di A con B, cioè:

R ⊆ A × B.

Se (a, b) ∈ R diremo che a è in relazione con b e scriveremo aRb.


In particolare, dato un insieme A, diremo che R è una relazione in A se R ⊆ A × A.

Esempio 1.4. Consideriamo gli insiemi dell’Esempio 1.3. Allora, ad esempio, una rela-
zione R ⊆ A × B può essere data da:

R = {(1, 4), (2, 5), (3, 4)}

In particolare, si ha
(2, 5) ∈ R =⇒ 2R5,
(2, 4) ∈
/R =⇒ 2R4,
dove il simbolo =⇒ significa “implica” e R sta per “non è in relazione”.

Esempio 1.5. Consideriamo la seguente relazione R in N, definita da

nRm ⇐⇒ ∃p ∈ Z t.c. n − m = 2p,

con n, m ∈ N, cioè:

due numeri naturali sono in relazione se e solo se la loro differenza è il


doppio di un numero intero.

Abbiamo ad esempio,

(3, 1) ∈ R,
(3, 7) ∈ R,
(8, 12) ∈ R,
(5, 4) ∈
/ R.

5
Diamo ora la definizione di funzione.
Definizione 1.6. Siano A, B due insiemi. Una relazione R ⊆ A × B si chiama funzione
da A a B se
(i) ∀x ∈ A, ∃y ∈ B t.c. (x, y) ∈ R,
(
(x, y1 ) ∈ R
(ii) =⇒ y1 = y2 .
(x, y2 ) ∈ R
In particolare, se R è una funzione da A in B, allora
• indichiamo la relazione R con f ,

• chiamiamo l’insieme A dominio della funzione,

• chiamiamo l’insieme B codominio della funzione,

• scriviamo f : A → B in luogo di f ⊆ A × B,

• scriviamo f (x) = y in luogo di (x, y) ∈ f .


Osservazione 1.1. Dalla definizione di funzione, se f, g : A → B sono due funzioni aventi
lo stesso dominio e codominio, allora

f =g ⇐⇒ f (x) = g(x), ∀x ∈ A.

Esempio 1.6. Definiamo la relazione R in Q, nel seguente modo

R = {(x, y) ∈ Q × Q t.c. x = |y|} .

Possiamo immediatamente concludere che R non è una funzione: infatti, tutti gli x < 0 non
sono in relazione con alcun y, essendo |y| una quantità non negativa. Inoltre, un qualsiasi
x > 0 è in relazione con esattamente due elementi di Q. Quindi R non è una funzione in
quanto non sono soddisfatte entrambe le condizioni della Definizione 1.6.
Esempio 1.7. Sia
A = {x ∈ Q t.c. x ≥ 0} ⊆ Q.
Definiamo la relazione R ⊆ A × Q, nel seguente modo

R = {(x, y) ∈ A × Q t.c. x = |y|} .

In questo modo la prima condizione della Definizione 1.6 è soddisfatta. Comunque R non
è una funzione in quanto non è verificata la seconda condizione della Definizione 1.6.
Diamo ora un esempio di relazione che è una funzione.
Esempio 1.8. Sia
A = {x ∈ Q t.c. x ≥ 0} ⊆ Q.
Definiamo la relazione R in A, nel seguente modo

R = {(x, y) ∈ A × A t.c. x = |y|} .

6
In questo modo entrambe le condizioni della Definizione 1.6 sono soddisfatte, quindi R è
una funzione. In particolare, poiché

(x, y) ∈ R ⇐⇒ x = |y| ⇐⇒ x = y,

si ha
f : A → A, f (x) = x.
Definizione 1.7. Siano A, B, C, D insiemi, con C ⊆ A e D ⊆ B e sia f : A → B.
Chiamiamo immagine di C, mediante f , l’insieme

f (C) = {f (x) t.c. x ∈ C}.

In particolare, l’insieme f (A) ⊆ B si chiama immagine di f .


Si chiama immagine inversa (retroimmagine o controimmagine) di D, mediante f , l’insieme

f −1 (D) = {x ∈ A t.c. f (x) ∈ D}.

Esempio 1.9. Consideriamo la funzione f : Q → Q tale che f (x) = |x|. In questo caso
A = B = Q. L’immagine di f è l’insieme

f (A) = f (Q) = {y ∈ Q t.c. y ≥ 0} ⊆ Q = B.

Consideriamo ora l’insieme C ⊆ A dato da

C = {x ∈ A t.c. 2 ≤ x < 3},

allora abbiamo
f (C) = {y ∈ B t.c. 2 ≤ y < 3} ⊆ B.
Consideriamo ora l’insieme D ⊆ B dato da

D = {y ∈ B t.c. 2 ≤ y < 3},

allora abbiamo

f −1 (D) = {x ∈ A t.c. − 3 < x ≤ −2, 2 ≤ x < 3} ⊆ A.

Il precedente esempio mostra esplicitamente che se D = f (C), in generale f −1 (D) 6= C.


Definizione 1.8. Siano A, B due insiemi e sia f : A → B una funzione.
(i) f si dice suriettiva se f (A) = B, cioè:

∀y ∈ B, ∃x ∈ A t.c. y = f (x);
su
in questo caso si scrive f : A −→ B.

(ii) f si dice iniettiva se (


y = f (x1 )
=⇒ x1 = x2 ;
y = f (x2 )
in questo caso si scrive f : A −−→ B.
1:1

7
Infine, f si dice biunivoca (o biettiva) se è contemporaneamente iniettiva e suriettiva, in
tal caso si scrive
su
f : A −−→ B.
1:1

Definizione 1.9. Siano A, B, C, D insiemi e f : A → B, g : C → D due funzioni. Se


f (A) ⊆ C, allora si chiama funzione composta di f con g, la funzione h = g ◦ f definita
nel seguente modo:
h : A → D, h(x) = (g ◦ f )(x) = g(f (x)).

Esempio 1.10. Sia


C = {x ∈ Q t.c. x 6= 0} ⊆ Q.
Consideriamo le funzioni
f : Q → Q, f (x) = 3|x| − 5
e
1
g : C → Q, g(x) = .
x
Poiché
f (Q) = {y ∈ Q t.c. y ≥ −5},
si ha
f (Q) * C.
Quindi non è possibile fare la composizione di f con g.

Esempio 1.11. Sia


C = {x ∈ Q t.c. x 6= −7} ⊆ Q.
Consideriamo le funzioni
f : Q → Q, f (x) = 3|x| − 5
e
1
g : C → Q, g(x) = .
x+7
Poiché
f (Q) = {y ∈ Q t.c. y ≥ −5},
si ha
f (Q) ⊆ C.
Quindi è possibile fare la composizione di f con g. Allora si ottiene h = g ◦ f : Q → Q,
1 1
h(x) = (g ◦ f )(x) = g(f (x)) = g (3|x| − 5) = = .
(3|x| − 5) + 7 3|x| + 2

Definizione 1.10. Sia A un insieme. Si chiama funzione identità su A, la seguente


funzione
iA : A → A, iA (x) = x

8
Definizione 1.11. Siano A, B due insiemi e sia f : A → B una funzione.
Una funzione g : B → A si dice una funzione inversa di f se valgono
( (
g ◦ f = iA g(f (x)) = x, ∀x ∈ A
⇐⇒
f ◦ g = iB f (g(y)) = y, ∀y ∈ B

Diremo che una funzione è invertibile se esiste una sua inversa.

Il prossimo risultato mostra che se una funzione ammette un’inversa, questa è unica.

Lemma 1.1. Siano A, B due insiemi e sia f : A → B una funzione.


Se g1 , g2 : B → A sono inverse di f , allora g1 = g2 .

Dimostrazione. Sia y ∈ B. Allora, dalla Definizione 1.11 si ha:

g1 (y) = g1 ((f ◦ g2 )(y)) = (g1 ◦ f )(g2 (y)) = g2 (y),

dove nella prima uguaglianza abbiamo usato g2 come inversa di f e nella seconda g1 .

Dal lemma precedente, se una funzione è invertibile, allora esiste un’unica inversa, quindi
non essendoci ambiguità, indicheremo la funzione inversa di f col simbolo f −1 .
Il seguente teorema caratterizza le funzioni invertibili.

Teorema 1.1. Siano A, B due insiemi e sia f : A → B una funzione. Allora si ha che

f è invertibile ⇐⇒ se f è biunivoca.

Dimostrazione. Poiché l’enunciato presenta una doppia implicazione, dividiamo la dimo-


strazione in due casi.
(Caso =⇒ )
Supponiamo quindi che f sia invertibile. Allora esiste l’inversa f −1 : B → A. Dobbiamo
dimostrare che f è sia iniettiva che suriettiva.
Per quanto riguarda l’iniettività, prendiamo x1 , x2 ∈ A tali che f (x1 ) = f (x2 ). Allora
usando la definizione di inversa, si ha

x1 = f −1 (f (x1 )) = f −1 (f (x2 )) = x2 ,

quindi f è iniettiva.
Per la suriettività, invece, prendiamo y ∈ B e consideriamo la sua immagine x = f −1 (y),
mediante f −1 . Adesso applichiamo f ad ambo i membri e, usando di nuovo la definizione
di inversa, otteniamo
f (x) = f f −1 (y) = y.


Quindi f è suriettiva. In particolare f è biunivoca.


(Caso ⇐= )
Supponiamo adesso che f sia biunivoca. Consideriamo la seguente relazione in B × A

g = {(y, x) ∈ B × A t.c. (x, y) ∈ f } = {(y, x) ∈ B × A t.c. y = f (x)},

e proviamo che essa è una funzione, in particolare l’inversa di f .


Banalmente, se y ∈ B allora y è la prima componente di una qualche coppia (y, x1 ) di g

9
grazie alla suriettività di f . Inoltre tale coppia è unica, dal momento che se esistesse un
x2 6= x1 con (y, x2 ) ∈ g, avremmo f (x1 ) = f (x2 ) = y, contro l’ipotesi di iniettività di f .
Cioè g è una funzione.
D’altronde, per definizione di g, si ha:

x = g(y) ⇐⇒ y = f (x), ∀x ∈ A, ∀y ∈ B.

Allora ( (
g(f (x)) = g(y) = x, ∀x ∈ A g ◦ f = iA
=⇒
f (g(y)) = f (x) = y, ∀y ∈ B f ◦ g = iB
cioè g è un’inversa di f e per il lemma precedente l’unica, quindi g = f −1 .

10
1.3 Insiemi ordinati.

In questa sezione introdurremo particolari relazioni.

Definizione 1.12. Sia A un insieme ed R una relazione in A. Allora R si dice:

(i) riflessiva, se
aRa, ∀a ∈ A;

(ii) simmetrica, se
aRb =⇒ bRa, a, b ∈ A;

(iii) antisimmetrica, se (
aRb
=⇒ a = b, a, b ∈ A;
bRa

(iv) transitiva, se (
aRb
=⇒ aRc, a, b, c ∈ A;
bRc

Inoltre, diremo che R è:

• una relazione di equivalenza, se è riflessiva, simmetrica e transitiva;


in particolare, dato a ∈ A, la classe di equivalenza di a è definita come

[a] = {x ∈ A t.c. xRa} ⊆ A;

l’insieme delle classi di equivalenza si chiama insieme quoziente e si indica con


A/R;

• una relazione d’ordine, se è riflessiva, antisimmetrica e transitiva;


in particolare una relazione d’ordine R si dice totale (o lineare) se qualunque coppia
di elementi in A è sempre confrontabile, cioè

aRb oppure bRa, ∀a, b ∈ A.

Osservazione 1.2. Dalla definizione di relazione di equivalenza, si ottiene che le classi di


equivalenza formano una partizione di A, cioè una famiglia di insiemi a due a due disgiunti
e la cui unione è tutto A.

Esempio 1.12. Riprendiamo l’Esempio 1.5. Si ha che R è una relazione di equivalenza in


N, infatti:

• riflessiva
n − n = 2 × 0, ∀n ∈ N;

• simmetrica
n − m = 2p =⇒ m − n = 2(−p), n, m ∈ N, p ∈ Z;

11
• transitiva
(
n − m = 2p
=⇒ n − l = (n − m) + (m − l) = 2(p + q), n, m, l ∈ N, p, q ∈ Z
m − l = 2q

Studiamo ora le classi di equivalenza. Consideriamo 1 ∈ N, allora

[1] = {n ∈ N t.c. nR1} = {n ∈ N t.c. n (n è dispari)}.

Consideriamo ora 2 ∈ N, allora

[2] = {n ∈ N t.c. nR2} = {n ∈ N t.c. n (n è pari)}.

Quindi [1] e [2] rappresentano rispettivamente l’insieme dei numeri naturali dispari e l’in-
sieme dei numeri naturali pari. Inoltre
(
[n] = [1], se n è dispari
[n] = [2], se n è pari

da cui
N/R = {[1], [2]}.

Esempio 1.13. Consideriamo l’insieme dei numeri razionali Q con la relazione data dalla
disuguaglianza ≤. Si ha che questa è una relazione d’ordine; in particolare è una relazione
d’ordine totale in quanto
p ≤ q oppure q ≤ p, ∀p, q ∈ Q.

Esempio 1.14. Consideriamo l’insieme delle parti P(A) di un insieme A 6= ∅. Sull’insieme


P(A) consideriamo la relazione data dall’inclusione tra sottoinsiemi ⊆. Si ha che questa
è una relazione d’ordine, ma non è una relazione d’ordine totale (si prenda, ad esempio,
A = {1, 2}).

Definizione 1.13. Sia X un insieme ed R una relazione d’ordine in X, allora diremo che
X è un insieme ordinato e scriveremo (X, R).

Quindi, ad esempio, (Q, ≤) è un insieme (totalmente) ordinato; (P(A), ⊆) è un insieme


ordinato (non totalmente), con A un insieme non vuoto.
Nel seguito, indicheremo le relazioni d’ordine col simbolo ≤, in analogia con la relazione
d’ordine data dalla disuguaglianza ≤ negli insiemi numerici.

Definizione 1.14. Sia (X, ≤) un insieme ordinato e sia A ⊆ X.

• un elemento M ∈ X si dice maggiorante per A, se

a ≤ M, ∀a ∈ A;

• un elemento m ∈ X si dice minorante per A, se

m ≤ a, ∀a ∈ A.

12
Indicheremo l’insieme dei maggioranti per A con ΓA e quello dei minoranti con γA , entrambi
sottoinsiemi di X.

Esempio 1.15. Consideriamo (Q, ≤) e l’insieme

A = {q ∈ Q t.c. − 3 ≤ q < 2 oppure 7 ≤ q}.

Si ha ΓA = ∅ e γA = {q ∈ Q t.c. q ≤ −3}.

Definizione 1.15. Sia (X, ≤) un insieme ordinato e sia A ⊆ X.

• un elemento λ si dice un massimo di A se è un maggiorante di A che appartiene ad


A, cioè:
λ ∈ A ∩ ΓA ;

• un elemento µ si dice un minimo di A se è un minorante di A che appartiene ad A,


cioè:
µ ∈ A ∩ γA .

Il prossimo risultato mostra che se un insieme A ammette massimo o minimo, questi sono
unici.

Lemma 1.2. Sia (X, ≤) un insieme ordinato e sia A ⊆ X. Se λ1 , λ2 sono massimi di A,


essi coincidono. Se µ1 , µ2 sono minimi di A, essi coincidono.

Dimostrazione. Proviamo solo l’affermazione per i massimi, per i minimi si procede in


maniera completamente analoga.
Essendo λ1 , λ2 massimi di A, questi appartengono ad A ed inoltre abbiamo le condizioni

λ1 ≤ λ2 ,
λ2 ≤ λ1 ,

da cui, per l’antisimmetria di ≤, segue λ1 = λ2 .

Il lemma precedente giustifica allora le seguenti notazioni:

- se A ammette massimo λ ∈ A, denoteremo quest’ultimo

λ = max A;

- se A ammette minimo µ ∈ A, denoteremo quest’ultimo

µ = min A.

Esempio 1.16. Consideriamo (Q, ≤) e l’insieme

A = {x ∈ Q t.c. 0 ≤ x < 1}.

Si ha che 0 ∈ A ed è chiaramente un minorante, quindi

min A = 0.

13
Per quanto riguarda il massimo, questo non esiste. Infatti, se esistesse un elemento λ tale
che max A = λ, questo apparterrebbe ad A, pertanto avremmo 0 ≤ λ < 1. Consideriamo
allora il punto medio tra λ e 1,
λ+1
λ= < 1.
2
Quindi λ ∈ A e λ < λ, cioè λ non è un maggiorante di A, il che è assurdo.
Introduciamo ora un concetto estremamente importante.
Definizione 1.16. Sia (X, ≤) un insieme ordinato e sia A ⊆ X. Un elemento λ ∈ X si
dice estremo superiore di A, se:
(
ΓA 6= ∅
λ = min ΓA
cioè, l’insieme dei maggioranti di A è non vuoto e λ è il minimo dei maggioranti di A.
Analogamente, un elemento µ ∈ X si dice estremo inferiore di A, se:
(
γA 6= ∅
µ = max γA
cioè, l’insieme dei minoranti di A è non vuoto e µ è il massimo dei minoranti di A.
Osservazione 1.3. Dato che, per definizione, estremo superiore ed inferiore di un insieme
sono, se esistono, minimo e massimo (rispettivamente di ΓA e γA ), questi sono unici.
La precedente osservazione giustifica allora le seguenti notazioni:
- se A ammette estremo superiore λ ∈ A, denoteremo quest’ultimo
λ = sup A;
- se A ammette estremo inferiore µ ∈ A, denoteremo quest’ultimo
µ = inf A.
Il seguente risultato mette in relazione massimo ed estremo superiore.
Lemma 1.3. Sia (X, ≤) un insieme ordinato e sia A ⊆ X.
(i) Se λ = max A, allora
λ = sup A.

(ii) Se λ = sup A, allora


λ = max A ⇐⇒ λ ∈ A.

Dimostrazione. Dimostriamo i due punti.


(i). Sia λ = max A. Allora λ ∈ ΓA e λ ∈ A, per definizione. Vogliamo provare che λ è il
minimo dei maggioranti. A tal proposito consideriamo un maggiorante λ ∈ ΓA , arbitrario.
Poiché λ ∈ A, ed essendo λ un maggiorante di A, vale λ ≤ λ, cioè λ = min ΓA .
(ii). Sia λ = sup A. Bisogna provare una doppia implicazione. L’ implicazione verso destra
segue direttamente dalla definizione di massimo. Verso sinistra: per ipotesi, λ = sup A ci
dice che λ è un maggiorante di A, inoltre da λ ∈ A, otteniamo λ = max A.

14
Osservazione 1.4. Ovviamente un risultato completamente analogo vale sostituendo max
con min e sup con inf.

Esempio 1.17. Consideriamo nuovamente l’insieme dell’esempio 1.16. Poiché abbiamo


già provato che min A = 0, per il lemma precedente esso è anche l’estremo inferiore, quindi

inf A = min A = 0.

Mostriamo ora che


sup A = 1.
Infatti, poiché 1 ∈ ΓA , bisogna far vedere che 1 è il minimo dei maggioranti di A. Sia allora
λ ∈ A arbirtrario e proviamo che λ non è un maggiorante. Sia
λ+1
λ= < 1.
2
Quindi λ ∈ A e λ < λ, cioè λ non è un maggiorante di A.

15
1.4 Numeri Reali.

In questa sezione introdurremo l’insieme dei numeri reali; a questo scopo diamo le seguenti
definizioni.

Definizione 1.17. Sia (X, ≤) un insieme ordinato e sia A ⊆ X.

• A si dice limitato superiormente se esiste un maggiorante di A, cioè:

ΓA 6= ∅;

• A si dice limitato inferiormente se esiste un minorante di A, cioè:

γA 6= ∅;

• A si dice limitato se esistono un maggiorante e un minorante di A, cioè:

ΓA 6= ∅, γA 6= ∅.

Esempio 1.18. Consideriamo l’insieme dell Esempio 1.15,

A = {q ∈ Q t.c. − 3 ≤ q < 2 oppure 7 ≤ q} ⊆ Q.

Poiché ΓA = ∅ e γA = {q ∈ Q t.c. q ≤ −3}, si ha che A non è limitato superiormente, A


è limitato inferiormente; in particolare A non è limitato.

Introduciamo ora un concetto cruciale in Analisi.

Definizione 1.18. Un insieme (X, ≤) ordinato, si dice completo se ogni sottoinsieme


A ⊆ X, limitato superiormente, ammette estremo superiore.

Il seguente teorema mostra che è possibile dare una definizione equivalente di completezza
usando l’estremo inferiore

Teorema 1.2. Sia (X, ≤) completo. Allora ogni sottoinsieme A ⊆ X, inferiormente


limitato, ammette estremo inferiore.

Dimostrazione. Sia A ⊆ X. Per ipotesi γA 6= ∅; inoltre γA è anche superiormente limitato,


dato che gli elementi di A sono tutti maggioranti di γA . Poiché (X, ≤) è completo, segue
che esiste sup γA . Proviamo che sup γA = inf A. Infatti, per definizione sup γA è il minimo
dei maggioranti di γA e quindi, per quanto detto sopra, deve essere µ ≤ a per ogni a ∈ A.
Cioè sup γA ∈ γA e di conseguenza, per il Lemma 1.3, si ha sup γA = max γA = inf A.

Il prossimo esempio mostra che l’insieme dei numeri razionali con l’usuale relazione d’ordine
non è completo.

16
Esempio 1.19. Consideriamo (Q, ≤) e l’insieme

A = {x ∈ Q t.c. x > 0, x2 < 2} ⊆ Q.

Innanzitutto si ha che A 6= ∅, ad esempio 1 ∈ A. Inoltre, anche ΓA 6= ∅, ad esempio si


ha che 2 ∈ ΓA , infatti se così non fosse esisterebbe x ∈ A con 2 < x e quindi 4 < x2 , che
è assurdo. Quindi A è superiormente limitato. Dimostriamo che A non ammette estremo
superiore. Per assurdo, supponiamo che esista sup A = λ ∈ Q. Prima di tutto dovrebbe
essere λ > 0; inoltre tre casi possono accadere:

(i) λ2 < 2,

(ii) λ2 > 2,

(iii) λ2 = 2.

Partiamo dal primo caso. Supponiamo quindi che esista λ ∈ Q, λ > 0, tale che λ = sup A.
Vogliamo raggiungere un assurdo facendo vedere che esiste un numero razionale q > 0 tale
/ ΓA . Intuitivamente possiamo prendere q = λ + n1 ∈ Q,
che q 2 < 2 e λ < q, cioè q ∈ A e λ ∈
con n ∈ N abbastanza grande. Più formalmente, imponiamo

1 2
 
λ+ <2
n

e risolviamo la disequazione per n.

1 2
 
λ 1 λ 1 2λ + 1
λ+ = λ2 + 2 + 2 < λ2 + 2 + = λ2 + .
n n n n n n

Quindi, poiché 2 − λ2 > 0, si ha


2λ + 1 2λ + 1
λ2 + < 2 ⇐⇒ n > .
n 2 − λ2

Cioè, basta prendere un numero naturale n > 2λ+1


2−λ2
.
Per quanto riguarda il secondo caso, si ragiona in maniera analoga.
Consideriamo ora il terzo caso. Dato che per ipotesi λ ∈ Q, λ > 0, esistono due numeri
naturali p, q ∈ N primi tra loro (cioè che non hanno divisori comuni), tali che λ = pq .
Quindi otteniamo
λ2 = 2 ⇐⇒ p2 = 2q 2 ,
da cui p2 è pari, perciò anche p è pari. Allora esiste n ∈ N tale che p = 2n. Ma

p = 2n ⇐⇒ 4n2 = 2q 2 ⇐⇒ q 2 = 2n2 ,

cioè q 2 è pari, quindi anche q è pari. Ma questo è assurdo, poiché avevamo supposto p e q
primi tra loro.
Concludendo, abbiamo provato che (Q, ≤) non è completo.

Vogliamo mostrare ora che è possibile dare una definizione equivalente di completezza,
usando le sezioni di Dedekind.

17
Definizione 1.19. Siano (X, ≤) un insieme totalmente ordinato e A, B ⊆ X tali che
(i) A ∪ B = X, A ∩ B = ∅,

(ii) ∀a ∈ A, ∀b ∈ B =⇒ a ≤ b.
Allora la coppia (A, B) si dice sezione di Dedekind. Inoltre, se ∃ s ∈ X tale che

a ≤ s ≤ b, ∀a ∈ A, ∀b ∈ B,

allora s si chiama elemento separatore per la sezione (A, B).


Esempio 1.20. Consideriamo (Q, ≤) e gli insiemi A, B ⊆ Q

A = {x ∈ Q t.c. x ≤ 1}, B = {x ∈ Q t.c. x > 1}.

Allora (A, B) è banalmente una sezione di Dedekind con elemento separatore s = 1.


Esempio 1.21. Consideriamo (Q, ≤) e gli insiemi A, B ⊆ Q

A ={x ∈ Q t.c. x ≤ 0} ∪ {x ∈ Q t.c. x > 0, x2 < 2},


B ={x ∈ Q t.c. x > 0, x2 > 2}.

Allora (A, B) è una sezione di Dedekind. Per questa sezione l’elemento separatore non
esiste, infatti dovrebbe essere un numero s ∈ Q, s > 0, tale che s2 = 2, ma questo non
esiste, come abbiamo provato nell’Esempio 1.19.
Il prossimo teorema caratterizza gli spazi completi in termini delle sezioni di Dedekind.
Teorema 1.3. Un insieme (X, ≤) totalmente ordinato è completo se e sole se ogni sezione
di Dedekind ammette un elemento separatore.
Dimostrazione. Per esercizio.

Prima di introdurre i numeri reali, ricordiamo ora alcune definizioni relative ai gruppi.
Definizione 1.20. Consideriamo un insieme X 6= ∅, dotato di un’operazione binaria, cioè
una funzione ⊕ : X × X → X. Allora (X, ⊕) si dice gruppo commutativo se:
(i) ⊕ è associativa, cioè:

(a ⊕ b) ⊕ c = a ⊕ (b ⊕ c), ∀a, b, c ∈ X;

(ii) ⊕ è commutativa, cioè:


a ⊕ b = b ⊕ a, ∀a, b ∈ X;

(iii) esiste l’elemento neutro in X per ⊕ (che indichiamo con 0), cioè:

a ⊕ 0 = 0 ⊕ a = a, ∀a ∈ X;

(iv) ogni elemento a ∈ X ha un inverso (che indichiamo con a−1 ), rispetto a ⊕, cioè:

∀a ∈ X, ∃a−1 ∈ X t.c. a ⊕ a−1 = 0.

18
Definizione 1.21. Sia (X, ⊕) un gruppo commutativo e sia ⊗ : X × X → X un’operazione
binaria su X. Supponiamo che (X \ {0}, ⊗) sia un gruppo commutativo.
Se ⊗ è distributiva rispetto a ⊕, cioè:

a ⊗ (b ⊕ c) = a ⊗ b ⊕ a ⊗ c, ∀a, b, c ∈ X,

allora (X, ⊕, ⊗) si chiama campo commutativo.

Esempio 1.22. (Q, +, ·) è un gruppo commutativo.


Infatti, (Q, +) è un gruppo commutativo con elemento neutro 0. Inoltre, se a ∈ Q allora
esiste il suo inverso, che denotiamo −a ∈ Q.
Allo stesso modo, (Q \ {0}, ·) è un gruppo commutativo con elemento neutro 1. Se a ∈ Q
allora esiste il suo inverso, che denotiamo a1 ∈ Q.
Infine · è distributiva rispetto a +.

Giungiamo finalmente alla definizione di R.

Definizione 1.22. L’insieme dei numeri reali, che si indica con R, è un insieme non
vuoto, dotato di due operazioni binarie +, · e una relazione d’ordine ≤, tale che:

(i) (R, +, ·) è campo commutativo;

(ii) (R, ≤) è totalmente ordinato;

(iii) ≤ è compatibile con +, ·, cioè:

x ≤ y =⇒ x + z ≤ y + z, ∀x, y, z ∈ R,
x ≤ y, z ≥ 0 =⇒ x · z ≤ y · z, ∀x, y, z ∈ R;

(iv) (R, ≤) è completo.

Esempio 1.23. Consideriamo l’insieme A dell’Esempio 1.19, ma come sottoinsieme di R,


cioè sia
A = {x ∈ R t.c. x > 0, x2 < 2} ⊆ R.
Come nell’Esempio 1.19, si prova che A 6= ∅ ed anche ΓA 6= ∅. I casi (i), (ii) dell’Esempio
1.19, si escludono allo stesso modo, supponendo che esista supA = λ ∈ R, λ > 0. Il caso
(iii) invece non è escluso, infatti poiché (R, ≤) è completo ed A è superiormente √ limitato,
allora deve esistere l’estremo superiore di A, in particolare si ha che λ2 = 2 λ = 2 .


Definizione 1.23. Sia x ∈ R. Si chiama valore assoluto di x, e si indica con |x|, il


numero reale definito come
|x| := max{x, −x}.

Enunciamo le seguenti proprietà del valore assoluto

Proposizione 1.1. Valgono:

(i) |x| ≥ 0, ∀x ∈ R. Inoltre, |x| = 0 ⇐⇒ x = 0;

(ii) | − x| = |x|, ∀x ∈ R ;

19
(iii) |x| ≤ a ⇐⇒ −a ≤ x ≤ a, ∀a, x ∈ R;

(iv) |x · y| = |x| · |y|, ∀x, y ∈ R;

(v) |x + y| ≤ |x| + |y|, ∀x, y ∈ R; (Disuguaglianza triangolare)

(vi) ||x| − |y|| ≤ |x − y|, ∀x, y ∈ R.


Dimostrazione. Per esercizio.

La prossima definizione servirà per introdurre gli insiemi N, Z, Q come sottoinsiemi di R.


Definizione 1.24. Sia I ⊆ R. Allora I si dice induttivo, se:
(i) 1 ∈ I,

(ii) x ∈ I =⇒ x + 1 ∈ I.
L’insieme di tutti gli insiemi induttivi si indica con I.
Possiamo definire l’insieme dei numeri naturali a partire dalla precedente definizione.
Definizione 1.25. L’insieme dei numeri naturali, che si indica con N, si definisce come

N := {x ∈ R t.c. x ∈ I, ∀I ∈ I} ⊆ R.

Il seguente teorema caratterizza l’insieme dei numeri naturali.


Teorema 1.4. N è il più piccolo insieme induttivo, cioè:
N ∈ I, ed inoltre, se M ∈ I allora N ⊆ M .
Dimostrazione. Facciamo vedere innanzitutto che N è un insieme induttivo.
Ovviamente 1 ∈ I per ogni I ∈ I, quindi 1 ∈ N. Sia ora n ∈ N, allora n ∈ I per ogni I ∈ I
(definizione di N), da cui n + 1 ∈ I per ogni I ∈ I (definizione di insieme induttivo), quindi
n + 1 ∈ N.
Proviamo adesso che N è il più piccolo fra gli insiemi induttivi.
Se M è un altro insieme induttivo, allora per definizione di N, tutti gli elementi di N sono
anche elementi di M , perciò N ⊆ M .

Introduciamo ora una importante tecnica dimostrativa.


Teorema 1.5 (Principio di induzione). Sia P (n) una proposizione su N. Se valgono:
(i) P (1) vera;

(ii) P (n) vera =⇒ P (n + 1) vera, ∀n ∈ N;


allora P (n) è vera ∀n ∈ N.
Dimostrazione. Consideriamo l’insieme

M = {n ∈ N t.c. P (n) è vera} .

Ovviamente M ⊆ N, inoltre per le ipotesi (i), (ii) è un insieme induttivo. Dal Teorema 1.4
segue immediatamente M = N, cioè P (n) è vera per tutti i numeri naturali.

20
Vediamo ora un’applicazione del principio di induzione.

Esempio 1.24. Vale la seguente disuguaglianza (di Bernoulli)

(1 + x)n ≥ 1 + n · x, ∀n ∈ N, ∀x ∈ R, x > −1.

Utilizziamo il principio di induzione. Per n ∈ N, denotiamo

P (n) ⇐⇒ (1 + x)n ≥ 1 + n · x, ∀x ∈ R, x > −1.

Dobbiamo verificare le due ipotesi del Teorema 1.5.


Per quanto riguarda (i), sia n = 1, allora:

(1 + x)1 ≥ 1 + 1 · x,

cioè P (1) è vera.


Per la (i), supponiamo che P (n) sia vera, con n ∈ N arbitrario e mostriamo che P (n + 1)
è vera. Infatti si ha:

(1 + x)n+1 = (1 + x)n (1 + x) ≥ (1 + nx)(1 + x)


= 1 + x + nx + nx2 ≥ 1 + x + nx = 1 + (n + 1)x,

dove nella prima disuguaglianza abbiamo usato il fatto che 1+x > 0 e l’ipotesi di induzione,
cioè P (n) vera; nella seconda disuguaglianza abbiamo usato semplicemente nx2 ≥ 0.
Poiché le ipotesi del principio di induzione sono verificate, allora P (n) è vera, ∀n ∈ N.

Enunciamo le seguenti proprietà di N.

Proposizione 1.2. Valgono

(i) 1 = min N ;

(ii) Ogni sottoinsieme non vuoto di N ammette minimo ;

(iii) Sia n ∈ N, allora @ m ∈ N tale che n < m < n + 1 ;

(iv) N non è limitato superiormente.

Dimostrazione. Per esercizio.

Definiamo adesso l’insieme dei numeri interi.

Definizione 1.26. L’insieme dei numeri interi, che si indica con Z, si definisce come

Z = N ∪ {0} ∪ {−n t.c. n ∈ N}.

Enunciamo le seguenti proprietà di Z.

Proposizione 1.3. Valgono

(i) Sia A ⊆ Z. Se A è limitato superiormente, allora ammette massimo;

(ii) Sia A ⊆ Z. Se A è limitato inferiormente, allora ammette minimo;

21
(iii) Sia p ∈ Z, allora @ q ∈ Z tale che p < q < p + 1 ;

(iv) Siano x, y ∈ R tali che y − x > 1, allora @ p ∈ Z per cui

x < p < y.

Dimostrazione. Per esercizio.

Definiamo infine l’insieme dei numeri razionali.

Definizione 1.27. L’insieme dei numeri razionali, che si indica con Z, si definisce come
nn o
Q= t.c. n, m ∈ Z, m 6= 0 .
m
Osservazione 1.5. Vale la seguente catena di inclusioni (strette):

N ( Z ( Q ( R.

Teorema 1.6 (R è Archimedeo). Siano x, y ∈ R con x > 0. Allora

∃ n ∈ N t.c. nx > y.

Dimostrazione. Se x ≥ y la tesi è banale. Sia y > x e supponiamo per assurdo che non
esista n ∈ N tale che nx > y. Allora, per ogni n ∈ N, si avrebbe:
y
nx ≤ y ⇐⇒ n ≤ ,
x
cioè N sarebbe superiormente limitato, che è assurdo.

Definizione 1.28. Sia A ⊆ R. Allora A si dice denso, in R, se:

∀ x, y ∈ R, x < y, ∃ a ∈ A t.c. x < a < y.

Esempio 1.25. Ad esempio, i seguenti insiemi sono densi in R:

R, R \ {1, 3}, R \ Z.

Ad esempio, i seguenti insiemi non sono densi in R:

N, {x ∈ R t.c. − 2 ≤ x}, R \ {x ∈ R t.c. 1 ≤ x < 3}.

Esempio 1.26. Q è denso in R. Infatti, siano x, y ∈ R con x < y, allora poiché y − x > 0,
per la proprietà archimedea, Teorema 1.6, esiste un naturale n ∈ N tale che n(y − x) > 1,
cioè ny − nx > 1. Dalla proprietà (iv) di Z, Proposizione 1.3, esiste un numero intero
m ∈ Z, per cui nx < m < ny, cioè x < m n < y.

Esempio 1.27. L’insieme dei numeri irrazionali, R \ Q, è denso in R. Infatti, √ siano


x, y ∈ R con x < y e sia z un arbitrario numero irrazionale (ad esempio z = 2). Allora
x − z < y − z, inoltre per la densità di Q in R, esiste q ∈ Q tale che x − z < q < y − z,
cioè x < q + z < y, con q + z ∈
/ Q.

22
1.5 Cenni sulla cardinalità.

Diamo qui alcune nozioni riguardanti il concetto di cardinalità degli insiemi.

Definizione 1.29. Due insiemi A, B si dicono equipotenti se esiste una funzione biunivoca
fra essi, cioé
su
∃ f : A −−→ B;
1:1

in tal caso si scrive A ' B.


Inltre se A ' B si dice che la cardinalità di A è uguale alla cardinalità di B e si scrive

card(A) = card(B).

Osservazione 1.6. Si ha che ' è una relazione di equivalenza fra gli insiemi (provare per
esercizio).

Definizione 1.30. Sia n ∈ N. Definiamo

In = {k ∈ N | k ≤ n}.

Un insieme A si dice finito se è equipotente ad In per un certo n ∈ N, cioè:

∃ n ∈ N t.c. A ' N.

Enunciamo le seguenti proprietà degli insiemi finiti.

Proposizione 1.4. Siano A, B insiemi.

• Se A è finito e B ⊆ A, allora B è finito.

• Se A è finito e B ( A, allora A e B non sono equipotenti.

Dimostrazione. Per esercizio.

Definizione 1.31. Un insieme A si dice infinito se non è finito.

Grazie all’assioma della scelta è possibile dimostrare la definizione di infinito appena data
è equivalente alla seguente, data da Richard Dedekind.

Definizione 1.32. Un insieme A si dice infinito se è equipotente ad un suo sottoinsieme


proprio, cioè:
∃ B ( A t.c. A ' B.

Esempio 1.28. L’insieme dei numeri naturali, N, è infinito. Infatti, basta considerare la
biezione
su
f : N −−→ E, f (n) = 2n,
1:1

dove E ( N denota l’insieme dei numeri naturali pari.

Definizione 1.33. Un insieme A si dice numerabile se A ' N.

23
Esempio 1.29. L’insieme dei numeri naturali pari, E, è numerabile, infatti dall’Esempio
1.28, si ha E ' N.

Osservazione 1.7. Si ha che gli insiemi Z, Q, sono numerabili (provare per esercizio),
cioè:
N ' Z ' Q.
Notiamo, che in particolare si ha:
N ( Z ( Q.
Quindi, tra i precedenti insiemi vale una catena di inclusioni insiemistiche strette, ma hanno
tutti lo stesso "ordine" di infinito.

Il seguente teorema, dovuto a Georg Cantor, mostra che l’insieme dei numeri reali ha un
"ordine maggiore" di infinito del numerabile.

Teorema 1.7 (Cantor). L’insieme dei numeri reali, R, non è numerabile.

Definizione 1.34. Sia A un insieme. Poniamo:

• se A ' In , allora card(A) = n, n ∈ N ;

• se A ' N, allora card(A) = ℵ0 ;

• se A ' R, allora card(A) = ℵ1 .

Proposizione 1.5. Sia A un insieme finito e sia P(A) il suo insieme delle parti. Allora
A e P(A) non sono equipotenti. In particolare, se card(A) = n, con n ∈ N, allora si ha

card(P(A)) = 2n .

Dimostrazione. Per esercizio.

Osservazione 1.8. La precedente proprietà vale in realtà anche nel caso di insiemi infinti,
cioè: se A è un insieme (qualsiasi), allora A e il suo insieme delle parti P(A) non sono
equipotenti. In particolare, dato un insieme infinito, è sempre possibile ottenere un infinito
"più grande" semplicemente considerando il suo insieme delle parti. Ad esempio

card(R) = ℵ1 , card(P(R)) = ℵ2 , card(P(P(R))) = ℵ3 , . . .

con una sorta di disuguaglianza fra "ordini di infinito", del tipo

ℵ1 ≺ ℵ2 ≺ ℵ3 . . .

24
1.6 Topologia Euclidea.

Introduciamo una particolare notazione per i seguenti sottoinsiemi di R.


Definizione 1.35. Siano a, b ∈ R, con a < b. Poniamo
• (a, b) = {x ∈ R t.c. a < x < b},

• (a, b] = {x ∈ R t.c. a < x ≤ b},

• [a, b) = {x ∈ R t.c. a ≤ x < b},

• [a, b] = {x ∈ R t.c. a ≤ x ≤ b},

• (a, +∞) = {x ∈ R t.c. a < x},

• [a, +∞) = {x ∈ R t.c. a ≤ x},

• (−∞, a) = {x ∈ R t.c. x < a},

• (−∞, a] = {x ∈ R t.c. x ≤ a},

• (−∞, +∞) = R.
I precedenti insiemi si chiamano intervalli. Inoltre conveniamo che anche il singoletto {a}
(l’insieme con un unico elemento) sia un intervallo (in questo caso, degenere).
Osservazione 1.9. Gli intervalli in R hanno la proprietà di essere "connessi", cioè, vista
la completezza di R, intuitivamente gli intervalli sono costituiti da un "unico pezzo" di R.
Ad esempio, si consideri la differenza fra i seguenti insiemi:

(1, 3) = {x ∈ R t.c. 1 < x < 3} ⊆ R, {x ∈ Q t.c. 1 < x < 3} ⊆ Q.

Definizione 1.36. Siano x0 , δ ∈ R, con δ > 0. Si chiama intorno (circolare) di centro x0


e raggio δ, l’intervallo
(x0 − δ, x0 + δ), δ ∈ R, δ > 0.
L’insieme di tutti gli intorni di centro x0 si chiama Ux0 . Quindi

V ∈ Ux0 ⇐⇒ ∃ δ > 0, t.c. V = (x0 − δ, x0 + δ).

Esempio 1.30. Alcuni esempi di intorni.


V = (−7, 7) ∈ U0 . Infatti, posto x0 = 0 e δ = 7, si ha

V = (−7, 7) = (0 − 7, 0 + 7) = (x0 − δ, x0 + δ).

V = (1, 5) ∈ U3 . Infatti, posto x0 = 3 e δ = 2, si ha

V = (1, 5) = (3 − 2, 3 + 2) = (x0 − δ, x0 + δ).

V = (−2, 8) ∈ U3 . Infatti, posto x0 = 3 e δ = 5, si ha

V = (−2, 8) = (3 − 5, 3 + 5) = (x0 − δ, x0 + δ).

25
Definizione 1.37. Sia A ⊆ R.

• Sia x0 ∈ A. Diciamo che x0 è un punto interno, per A, se:

∃ V ∈ Ux0 t.c. V ⊆ A;

l’insieme dei punti interni si chiama Interno di A e si indica con Int(A).

• Sia x0 ∈ R. Diciamo che x0 è un punto di frontiera, per A, se:


(
V ∩ A 6= ∅,
∀ V ∈ Ux0 =⇒
V ∩ Ac 6= ∅;

l’insieme dei punti di frontiera si chiama Frontiera di A e si indica con F r(A).

• Sia x0 ∈ R. Diciamo che x0 è un punto di accumulazione per A, se:

∀ V ∈ Ux0 =⇒ V ∩ (A \ {x0 }) 6= ∅;

l’insieme dei punti di accumulazione si chiama Derivato di A e si indica con Der(A).

• Sia x0 ∈ R. Diciamo che x0 è un punto aderente (o di chiusura), per A, se:

∀ V ∈ Ux0 =⇒ V ∩ A 6= ∅;

l’insieme dei punti aderenti si chiama Chiusura di A e si indica con A.

• Se x0 ∈ A e x0 ∈
/ Der(A), allora x0 si dice punto isolato, per A.

Inoltre

• A si dice aperto se A = Int(A);

• A si dice chiuso se A = A.

Proposizione 1.6. Valgono le seguenti proprietà:

(i) Int(A) ⊆ A, A ⊆ A,

(ii) A = A ∪ F r(A), A = A ∪ Der(A),

(iii) A è aperto se e solo se Ac è chiuso.

(iv) Se A è finito allora Der(A) = ∅

(v) Se Der(A) 6= ∅ allora A è infinito.

Dimostrazione. Dimostriamo solo alcuni punti, lasciando gli altri per esercizio
(i). Se x0 ∈ Int(A) allora
∃ V ∈ Ux0 t.c. V ⊆ A;
quindi
x0 ∈ V ⊆ A =⇒ x0 ∈ A.

26
Sia ora x0 ∈ A e V ∈ Ux0 , allora x0 ∈ V ∩ A 6= ∅ =⇒ x0 ∈ A.
(ii). Dimostriamo la prima uguaglianza. Poiché A ⊆ A e F r(A) ⊆ A, otteniamo

A ∪ F r(A) ⊆ A.

Dimostriamo l’altra inclusione. Sia allora x0 ∈ A. Si possono presentare due casi: x0 ∈ A


oppure x0 ∈ Ac . Nel primo caso non c’è nulla da dimostrare (x0 ∈ A ∪ F r(A)). Nel secondo
caso per provare la tesi dobbiamo far vedere che x0 ∈ F r(A); ma questo è vero perché
(
V ∩ A 6= ∅ (x0 ∈ A),
∀ V ∈ Ux0 =⇒
V ∩ Ac 6= ∅ (x0 ∈ Ac ).

Dimostrare l’altra uguaglianza per esercizio.


(iii). Supponiamo che A non sia aperto. Allora esiste un punto x0 di A non interno ad A,
e di conseguenza un qualsiasi intorno V ∈ Ux0 è tale che V ∩ Ac 6= ∅. Per definizione, x0 è,
quindi, un punto di aderenza di Ac e chiaramente x0 ∈ / Ac , pertanto Ac non è chiuso.
c
Viceversa, supponiamo A non chiuso. Esiste quindi un punto di aderenza x0 ∈ Ac \ Ac ,
da cui x0 ∈ A. Poiché x0 ∈ Ac , allora ∀V ∈ Ux0 si ha V ∩ Ac 6= ∅, cioè x0 ∈ A \ Int(A);
quindi A non è aperto.
(iv), (v) per esercizio.

Esempio 1.31. Sia A = R. Allora si ha

Int(A) = R, F r(A) = ∅, Der(A) = R, A = R.

In particolare R è aperto e chiuso. Inoltre R non è limitato, né inferiormente, né superior-


mente, quindi non è limitato.

Al fine di avere una notazione compatta, introduciamo le seguenti definizioni.

Definizione 1.38. Si chiama intorno di +∞ un qualsiasi intervallo della forma

(M, +∞), M ∈ R;

l’insieme di tutti gli intorni di +∞ si indica con U+∞ .


Si chiama intorno di −∞ un qualsiasi intervallo della forma

(−∞, m), m ∈ R;

l’insieme di tutti gli intorni di −∞ si indica con U−∞ .


Chiamiamo "R esteso", l’insieme R dei numeri reali "ampliato" con i simboli ±∞, cioé:

R = R ∪ {−∞, +∞}.

Infine, se A ⊆ R, conveniamo di scrivere:

• sup A = +∞, se ΓA = ∅ (cioè A non è superiormente limitato),

• inf A = +∞, se γA = ∅ (cioè A non è inferiormente limitato).

27
Osservazione 1.10. Dalla definizione precedente, si ha che qualsiasi sottoinsieme di R,
che sia limitato superiormente oppure no, ammette estremo superiore. Lo stesso vale per
l’estremo inferiore.
Inoltre, sarà chiaro dal contesto se il simbolo R indicherà la chiusura di R oppure "R esteso".

Esempio 1.32. Sia A = (2, 5] ∪ {8} ⊆ R. Si ha

Int(A) = (2, 5), F r(A) = {2, 5, 8}, A = [2, 5] ∪ {8}, Der(A) = [2, 5].

Inoltre, 8 è un punto isolato; A non è aperto, non è chiuso. Infine A è limitato sia
inferiormente che superiormente, quindi è limitato. In particolare

sup A = 8 ∈ A =⇒ max A = 8,

inf A = 2 ∈
/ A =⇒ @ min A.

Esempio 1.33. Sia  


1
A= x ∈ R t.c. x = , n ∈ N ⊆ R.
n
Si ha che tutti i punti di A sono isolati. Quindi

Int(A) = ∅, F r(A) = A ∪ {0}, Der(A) = {0}, A = A ∪ {0}.

Inoltre A non è aperto e non è chiuso. Infine A è limitato sia inferiormente che superior-
mente, quindi è limitato. In particolare

sup A = 1 ∈ A =⇒ max A = 1,

inf A = 0 ∈
/ A =⇒ @ min A.

Esempio 1.34. Sia A = N ⊆ R. Si ha che tutti i punti di A sono isolati. Quindi

Int(N) = ∅, F r(N) = N, Der(N) = ∅, A = N.

Inoltre N non è aperto ed è chiuso. Infine N non è superiormente limitato ed è inferiormente


limitato, quindi non è limitato. In particolare

inf N = 1 ∈ N =⇒ min N = 1,

sup N = +∞, @ max N.

Esempio 1.35. Sia A = Q ⊆ R. Si ha

Int(Q) = ∅, F r(Q) = R, Der(Q) = R, Q = R.

Inoltre Q non è aperto e non è chiuso. Infine, Q non è limitato, né inferiormente, né


superiormente, quindi non è limitato. In particolare

inf Q = −∞, @ min Q,

sup Q = +∞, @ max Q.

28
Esempio 1.36. Sia A = [−1, 1] \ B ⊆ R, dove

(−1)n
 
B = x ∈ R, x ∈ [−1, 1] t.c. x = , n∈N .
n

Risulta

Int(A) = A \ {0, 1}, F r(A) = B ∪ {0, 1}, Der(A) = [−1, 1], A = [−1, 1].

Inoltre A non è aperto e non è chiuso.Infine A è limitato sia inferiormente che superior-
mente, quindi è limitato. In particolare

sup A = 1 ∈ A =⇒ max A = 1,

inf A = −1 ∈
/ A =⇒ @ min A.

Osservazione 1.11. Osserviamo esplicitamente che, dalla Definizione 1.16, gli estremi
superiori e inferiori di un insieme appartengono alla chiusura dell’insieme stesso (verificare
per esercizio).

Osservazione 1.12. Mediante la topologia è possibile dare un caratterizzazione equivalente


di densità (Definizione 1.28). Infatti, sia A ⊆ R, allora si ha: (verificare per esercizio)

A è denso in R ⇐⇒ A = R.

29
2 Successioni

2.1 Limiti e prime proprietà.

Definizione 2.1. Una successione è una funzione

a : N → R.

Per questo particolare tipo di funzioni, scriviamo an = a(n). L’immagine di una successione
è il seguente sottoinsieme di R

{an } = {an t.c. n ∈ N} ⊆ R.

Osservazione 2.1. In particolare, la precedente inclusione è stretta, poiché dal Teorema


1.7 (di Cantor), non esistono funzioni suriettive di N in R.

Diamo qualche esempio successione.

Esempio 2.1.

an = 3, {an } = {3, 3, 3, . . .},

an = n, {an } = {1, 2, 3, . . .},

 
1 1 1
an = , {an } = 1, , , . . . ,
n 2 3

an = (−1)n , {an } = {−1, 1, −1, 1, . . .}.

Osservazione 2.2. Nel seguito, con un abuso di notazione, identificheremo la successione


con la sua immagine, quindi scriveremo "sia {an } ⊆ R una successione".

La seguente definizione è cruciale.

Definizione 2.2. Sia {an } ⊆ R una successione. Sia ` ∈ R. Si dice che an tende ad `, per
n che tende a +∞, e si scrive
lim an = `,
n→+∞
se
∀ V ∈ U` , ∃ W ∈ U+∞ t.c. an ∈ V, ∀ n ∈ W, n ∈ N.
In questo caso diremo che ` è il limite di an , per n → +∞.

30
Osservazione 2.3. A volte si scrive anche nei seguenti modi:

an −−−−−→ `, an → `.
n→+∞

Osservazione 2.4. La precedente definizione si può riscrivere esplicitamente, a seconda


dei casi: ` ∈ R oppure ` = ±∞.

• ` ∈ R (limite finito):

lim an = ` ⇐⇒ ∀ε > 0, ∃n ∈ N t.c. |an − `| < ε, ∀n > n, n ∈ N.


n→+∞

• ` = +∞ (limite +infinito):

lim an = ` ⇐⇒ ∀M ∈ R, ∃n ∈ N t.c. an > M, ∀n > n, n ∈ N.


n→+∞

• ` = −∞ (limite −infinito):

lim an = ` ⇐⇒ ∀m ∈ R, ∃n ∈ N t.c. an < m, ∀n > n, n ∈ N.


n→+∞

Esempio 2.2. Sia an = n1 e ` = 5. Facciamo vedere che an non tende ad `. Per assurdo,
supponiamo che an tenda a 5. Vuol dire che fissato ad esempio ε = 1 nella definizione di
limite, possiamo trovare un n (dipendente da ε) tale che

1 1
− 5 < 1 ⇐⇒ −1 < − 5 < 1, n > n.
n n
1
Dalla prima disuguaglianza a destra troviamo n > 4, per ogni n > n, che è chiaramente
assurdo.

Esempio 2.3. Sia an = n1 , facciamo vedere che an tende a ` = 0. Sia ε > 0 (arbitrario) e
imponiamo che

1
− 0 < ε.
n
1 1
< ε ⇐⇒ −ε < < ε.
n n
Ora, n1 > −ε è sempre soddisfatta. Invece, n1 < ε equivale a nε > 1. Visto che R è
archimedeo (Teorema 1.6), esiste un n tale che nε > 1; in particolare tutti gli n > n
soddisfano tale proprietà, che è la tesi.

Esempio 2.4. Le successioni costanti ammettono limite, cioè: se an = c ∈ R, allora


lim an = c (per esercizio).
n→+∞

Teorema 2.1 (Unicità del limite). Sia {an } ⊆ R una successione e sia ` ∈ R, tale che
lim an = `. Allora ` è unico.
n→+∞

31
Dimostrazione. Consideriamo dapprima il caso di limiti finiti. Siano `1 , `2 ∈ R tali che

lim an = `1 , lim an = `2 .
n→+∞ n→+∞

Dobbiamo dimostrare che `1 = `2 . Per definizione, fissato ε > 0, esistono n1 , n2 tali che

|an − `1 | < ε, ∀n > n1 , n ∈ N,


|an − `2 | < ε, ∀n > n2 , n ∈ N.

Quindi, quando n > n1 e n > n2 , ovvero n > max{n1 , n2 } = n, valgono entrambe le


condizioni contemporaneamente. Allora

|`1 − `2 | = |`1 − an + an − l2 | ≤ |`1 − an | + |an − `2 | =


= |an − `1 | + |an − `2 | < ε + ε = 2ε, ∀n > n,

dove abbiamo usato la disuguaglianza triangolare (e la proprietà basilare |x| = | − x|).


Data l’arbitrarietà di ε > 0, l’unica possibilità è che sia |`1 − `2 | = 0, cioè `1 − `2 = 0.
Siano ora per assurdo `1 = +∞, `2 ∈ R entrambi limiti di {an }. Inoltre, nella definizione
di limite finito ed infinito, rispettivamente, consideriamo

ε > 0, M = `2 + ε.

Di nuovo per n > max{n1 , n2 } si ha

M < an < `2 + ε ⇐⇒ `2 + ε < an < `2 + ε,

che è assurdo.
Con un ragionamento analogo si trattano anche i restanti casi `1 = −∞, `2 ∈ R oppure
`1 = −∞, `2 = +∞.

Il precedente teorema giustifica la seguente definizione


Definizione 2.3. Sia {an } ⊆ R una successione.
• Se lim an = ` ∈ R, diremo che la successione {an } è convergente (in particolare
n→+∞
diremo che {an } è infinitesima se ` = 0).

• Se lim an = ±∞, diremo che la successione è divergente (positivamente, negati-


n→+∞
vamente).

• Se {an } non ammette limite, diremo che la successione è oscillante (o indetermina-


ta).
Osservazione 2.5. Osserviamo esplicitamente che, dato ` ∈ R, si ha

lim an = ` ⇐⇒ lim |an − `| = 0.


n→+∞ n→+∞

In particolare, se ` = 0, si ha

lim an = 0 ⇐⇒ lim |an | = 0.


n→+∞ n→+∞

32
Definizione 2.4. Sia {an } ⊆ R una successione. Sia {kn } una successione tale che

(i) {kn } ⊆ N,

(ii) kn+1 > kn , ∀n ∈ N.

Allora la successione {akn } ⊆ {an } si chiama sottosuccessione di {an }.

Osservazione 2.6. Le successioni {kn } della precedente definizione godono della seguente
proprietà (provare per esercizio)

kn ≥ n, ∀ n ∈ N.
1
Esempio 2.5. Sia an = n. Allora se, ad esempio, consideriamo kn = 2n, si ottiene
1
akn = 2n . In particolare
   
1 1 1 1 1 1
{a2n } = , , , . . . ⊆ 1, , , , . . . = {an }.
2 4 6 2 3 4

Teorema 2.2. Sia {an } ⊆ R una successione e sia ` ∈ R, tale che lim an = `. Allora
n→+∞
per ogni sottosuccessione {akn } ⊆ {an }, si ha lim akn = `.
n→+∞

Dimostrazione. Dalla definizione di limite si ha che:

∀V ∈ U` , ∃W ∈ U+∞ t.c. an ∈ V, ∀n ∈ W, n ∈ N.

Ora, per l’Osservazione 2.6, se n ∈ W anche kn ∈ W . Quindi

∀V ∈ U` , ∃W ∈ U+∞ t.c. akn ∈ V, ∀n ∈ W, n ∈ N,

cioè lim akn = `.


n→+∞

Osservazione 2.7. Il teorema precedente fornisce un utile strumento per decidere se, per
una data successione {an }, allora un fissato ` ∈ R non è il limite di {an }: infatti, basta
trovare una sottosuccessione {akn } che non tende ad `.
In particolare se una successione {an } ammette due sottosuccessioni che tendono a due
limiti diversi, allora {an } non ammette limite (è oscillante).

Esempio 2.6. Sia an = (−1)n . Consideriamo le due successioni individuate da kn = 2n e


hn = 2n − 1. Allora le sottosuccessioni

akn = (−1)2n = 1, ahn = (−1)2n−1 = −1,

tendono rispettivamente ad 1 e a −1. Quindi an non ammette limite, cioè è oscillante.

Teorema 2.3 (Permanenza del segno). Sia {an } ⊆ R una successione e sia ` ∈ R, tale che
lim an = `. Se ` > 0 (incluso ` = +∞), allora
n→+∞

∃ n ∈ N t.c. an > 0, ∀ n > n.

33
Dimostrazione. Sia ` ∈ R, ` > 0. Nella definizione di limite finito, scegliamo ε = ` > 0 .
Allora
∃n ∈ N t.c. |an − `| < `, ∀n > n, n ∈ N.
In particolare per n > n otteniamo

an > ` − ` = 0.

Nel caso ` = +∞, il teorema segue prendendo un qualsiasi M > 0 nella definizione di limite
infinito.

Seguono due corollari interessanti (dimostrare per esercizio).


Corollario 2.1. Siano {an }, {bn } ⊆ R due successioni aventi limiti `1 , `2 ∈ R, rispettiva-
mente. Se `1 < `2 , allora
∃n ∈ N t.c. an < bn , ∀n > n.
Corollario 2.2. Sia {an } ⊆ R una successione avente limite ` ∈ R. Se

∃n ∈ N t.c. an ≥ 0, ∀n > n,

allora ` ≥ 0.
Teorema 2.4 (Due Carabinieri). Siano {an }, {bn }, {cn } ⊆ R successioni. Sia n0 ∈ N tale
che
an ≤ bn ≤ cn , ∀n > n0 .
Se esiste ` ∈ R tale che
lim an = lim cn = `,
n→+∞ n→+∞

allora
lim bn = `.
n→+∞

Dimostrazione. Caso ` ∈ R. Sia ε > 0 arbitrario; allora dalle definizioni di limite per {an }
e {cn }, possiamo trovare n1 ∈ N tale che

an > ` − ε, ∀ n > n1 ,

ed n2 ∈ N tale che
cn < ` + ε, ∀ n > n2 .
Quindi, se poniamo n = max{n0 , n1 , n2 }, otteniamo

` − ε < an ≤ bn ≤ cn < ` + ε, ∀n > n,

cioè lim bn = `.
n→+∞
Trattiamo il caso ` = +∞. Dalle definizione di limite per {an }, si ha che ∀ M ∈ R, esiste
n1 ∈ N tale che
M < an ≤ bn ≤ cn , ∀n > n = max{n0 , n1 },
cioè lim bn = `.
n→+∞
Il caso ` = −∞ è analogo.

34
Osservazione 2.8 (Criterio del confronto). Nel precedente teorema, nel caso ` = +∞, dalla
dimostrazione si vede che l’ipotesi che anche cn sia divergente è superflua; analogamente,
per il caso ` = −∞, è superflua l’ipotesi che an sia divergente. In particolare, a volte si
chiama "criterio del confronto" la seguente situazione: siano {an }, {bn } ⊆ R e sia n0 ∈ N
tale che
an ≤ bn , ∀n > n0 ,
allora

• se {an } diverge positivamente allora {bn } diverge positivamente;

• se {bn } diverge negativamente allora {an } diverge negativamente.

Proposizione 2.1 (Algebra dei Limiti). Siano {an }, {bn } ⊆ R successioni ed `, m ∈ R tali
che
lim an = `, lim bn = m.
n→+∞ n→+∞

Valgono le seguenti relazioni.

(i) Se `, m ∈ R, allora

lim an + bn = ` + m,
n→+∞
lim an · bn = ` · m,
n→+∞
bn m
lim = , se an 6= 0, ∀n ∈ N ed ` 6= 0.
n→+∞ an `

(ii) Se ` = ±∞, m = ±∞, allora

lim an + bn = ±∞,
n→+∞
lim an · bn = +∞.
n→+∞

(iii) Se ` = ±∞, m = ∓∞, allora

lim an · bn = −∞.
n→+∞

(iv) Se ` = ±∞, m ∈ R, m > 0, allora

lim an · bn = ±∞.
n→+∞

(v) Se ` = ±∞, m ∈ R, allora

lim an + bn = ±∞.
n→+∞

(vi) Se ` = ±∞, an 6= 0, ∀n ∈ N, allora


1
lim = 0.
n→+∞ an

35
(vii) Se an > 0(< 0) ∀n ∈ N, ` = 0, allora
1
lim = +∞(−∞).
n→+∞ an

Dimostrazione. Dimostriamo solo alcuni casi, lasciando gli altri per esercizio.
Del punto (i) mostriamo solo che an + bn → ` + m e che an bn → `m. Sia ε > 0, allora

|(an + bn ) − (` + m)| = |an − ` + bn − m| ≤ |an − `| + |bn − m| < 2ε, ∀n > max{n1 , n2 },

dove n1 , n2 sono i naturali trovati in corrispondenza di ε nelle definizioni di limite di an → `


e bn → m.
Per quanto riguarda l’altro caso abbiamo bisogno di un piccolo artificio. Scriviamo

|an bn − `m| = |an bn − an m + an m − `m| = |an (bn − m) + m(an − `)| ≤


≤ |an ||bn − m| + |m||an − `| = |an − ` + `||bn − m| + |m||an − `| ≤
≤ (|an − `| + |`|)|bn − m| + |m||an − `| < (ε + |`|)ε + |m|ε,

∀n > max{n1 , n2 }. La tesi segue dall’arbitrarietà di ε > 0.


Del punto (ii) consideriamo il caso ` = +∞, m = +∞. Sia M > 0. Per definizione di
limite infinito
(
an > M, ∀n > n1
=⇒ an + bn > 2M, ∀n > max{n1 , n2 },
bn > M, ∀n > n2
(
an > M, ∀n > n1
=⇒ an bn > M 2 , ∀n > max{n1 , n2 }.
bn > M, ∀n > n2

cioè an + bn → +∞ e an bn → +∞.

Il prossimo notevole risultato mette in relazione una proprietà topologica con il concetto di
limite.

Teorema 2.5. Sia A ⊆ R e x0 ∈ R. Allora



∃ {an } ⊆ A \ {x0 } t.c.


x0 ∈ Der(A) ⇐⇒

 lim an = x0 .

n→+∞

Dimostrazione. (Caso =⇒ )
Sia x0 ∈ R, allora per ogni n ∈ N definiamo l’intorno Vn ∈ Ux0 come
 
1 1
Vn = x0 − , x0 + .
n n

Poiché x0 ∈ Der(A), si ha
Sn := Vn ∩ (A \ {x0 }) 6= ∅.

36
Allora per ogni n ∈ N scegliamo an ∈ Sn , da cui segue che {an } ⊆ A \ {x0 } ed anche
an ∈ Vn , per ogni n ∈ N, cioé
1 1
x0 − < an < x0 + , ∀n ∈ N.
n n
Dal Teorema dei due carabinieri segue allora lim an = x0 .
n→+∞
(Caso ⇐= )
Per ipotesi abbiamo

∀ε > 0, ∃n ∈ N t.c. |an − x0 | < ε, ∀n > n, n ∈ N

cioè
x0 − ε < an < x0 + ε, n > n.
Ma questo significa che
an ∈ Vε = (x0 − ε, x0 + ε), n > n.
Data l’arbitrarietà di ε > 0, stiamo dicendo che in ogni intorno di x0 cadono i punti della
successione an con n > n, che per ipotesi sono in A e sono diversi da x0 . Cioé

V ∩ (A \ {x0 }) 6= ∅, ∀V ∈ Ux0 ,

che significa x0 ∈ Der(A).

Corollario 2.3. Sia A ⊆ R e x0 ∈ R. Allora



∃ {an } ⊆ A t.c.


x0 ∈ A ⇐⇒

 lim an = x0 .

n→+∞

Dimostrazione. Si ricordi che A = A ∪ Der(A) e si considerino i casi x0 ∈ A oppure


x0 ∈ Der(A). Dal teorema precedente, rimane da trattare se x0 ∈ A, ma in questo caso
basta scegliere la successione costante an = x0 .

Esempio 2.7. Sia A ⊆ R definito da


 
1
A= t.c. n ∈ N ∪ {3}.
n

Allora Der(A) = {0} e A = A ∪ {0}.

• Se x0 = 3 ∈ A, allora scegliamo an = 3.
1
• Se x0 = 2 ∈ A, allora scegliamo an = 12 .

• Se x0 = 0 ∈ Der(A), allora si può scegliere an = n1 , {an } ⊆ A \ {x0 }.

37
2.2 Successioni limitate e monotone. Compattezza.

Definizione 2.5. Sia {an } ⊆ R una successione.


• La successione si dice limitata superiormente se esiste un maggiorante per {an },
cioè:
∃ M ∈ R, t.c. an ≤ M, ∀ n ∈ N.

• La successione si dice limitata inferiormente se esiste un minorante per {an }, cioè:

∃ m ∈ R, t.c. m ≤ an , ∀ n ∈ N.

• La successione si dice limitata se è limitata superiormente e inferiormente, cioè:

∃ M, m ∈ R, t.c. m ≤ an ≤ M, ∀ n ∈ N.

Osservazione 2.9. Equivalentemente, una successione si dice limitata se (provare per


esercizio)
∃ M ∈ R, t.c. |an | ≤ M, ∀ n ∈ N.
Esempio 2.8. Sia {an } ⊆ R la successione definita da
(
n 1, se n è pari
an = (−1) =
−1, se n è dispari.

Allora {an } è limitata. Infatti, ad esempio

−2 ≤ an ≤ 3, ∀ n ∈ N;

oppure
|an | ≤ 1, ∀ n ∈ N.
Teorema 2.6. Sia {an } ⊆ R una successione. Se {an } è convergente allora {an } è limitata.
Dimostrazione. Per ipotesi esiste ` ∈ R tale che lim an = `. Quindi, preso ε = 1 nella
n→+∞
definizione di limite finito, abbiamo

∃ n ∈ N t.c. ` − 1 < an < ` + 1, ∀ n > n.

Cioè, {an } è limitata se n > n ed è sicuramente limitata prima di n, visto che assume un
numero finito di valori; più precisamente, posto

M = max{a1 , a2 , . . . , an , ` + 1},
m = min{a1 , a2 , . . . , an , ` − 1},

si ha
m ≤ an ≤ M, ∀ n ∈ N,
cioè {an } è limitata.

38
Osservazione 2.10. Il precedente Teorema 2.6 non si può invertire. Infatti, ad esempio,
la successione an = (−1)n , dell’Esempio 2.8, è limitata, ma non è convergente.
Teorema 2.7. Siano {an }, {bn } ⊆ R successioni. Se {an } è infinitesima e {bn } è limitata,
allora il prodotto {an bn } è infinitesimo, cioè:

lim an · bn = 0.
n→+∞

Dimostrazione. Utilizziamo l’Osservazione 2.5 e mostriamo che il valore assoluto del pro-
dotto è infinitesimo. Per ipotesi

∃ M ∈ R t.c. |bn | ≤ M, ∀n ∈ N.

Allora si ha
0 ≤ |an · bn | = |an | · |bn | ≤ |an | · M.
Visto che {|an |} è infinitesima (di nuovo per l’Osservazione 2.5), allora dal teorema dei due
carabinieri otteniamo
lim |an · bn | = 0 = lim an · bn .
n→+∞ n→+∞

Definizione 2.6. Sia {an } ⊆ R una successione.


• La successione si dice monotona crescente e si indica con an %, se:

an ≤ an+1 , ∀ n ∈ N,

Se la disuguaglianza è stretta la successione si dice strettamente crescente.

• La successione si dice monotona decrescente e si indica con an &, se:

an ≥ an+1 , ∀ n ∈ N,

Se la disuguaglianza è stretta la successione si dice strettamente decrescente.

• La successione si dice monotona, se è crescente oppure decrescente.


Teorema 2.8. Sia {an } ⊆ R una successione. Se {an } è monotona allora ammette limite.
In particolare, se {an } è monotona crescente, allora

lim an = sup{an } ∈ R;
n→+∞

invece, se {an } è monotona decrescente, allora

lim an = inf{an } ∈ R;
n→+∞

Dimostrazione. Consideriamo il caso an %, l’altro è analogo (per esercizio). Poniamo allora

` = sup{an } ∈ R,

e mostriamo che lim an = `. Abbiamo due casi.


n→+∞

39
• (Primo caso) ` = +∞, cioè an non è limitata superiormente. Quindi,

∀ M ∈ R, ∃ n ∈ N t.c. an > M.

Dato che {an } è monotona crescente, otteniamo

an ≥ an > M ∀n > n, n ∈ N,

che implica che lim an = `.


n→+∞

• (Secondo caso) ` ∈ R, cioè an è limitata superiormente. Quindi,

∀ε > 0, an ≤ ` < ` + ε, ∀ n ∈ N.

Inoltre, dalla definizione di estremo superiore, abbiamo che

∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. an > ` − ε.

Usando anche stavolta la monotonia di {an }, otteniamo

∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. ` − ε < an ≤ an < ` + ε, ∀n > n, n ∈ N,

che significa lim an = `.


n→+∞

Esempio 2.9. Consideriamo la successione {an } ⊆ R definita da


(
n, se n è pari
an = (−1)n · n =
−n, se n è dispari.

Si ha che {an } non è monotona, né crescente né decrescente, inoltre {an } non è limitata,
né superiormente né inferiormente. In particolare, si ha:

sup{an } = +∞, inf{an } = −∞, @ lim an .


n→+∞

Come visto nell’Osservazione 2.10, l’enunciato del Teorema 2.6 non si può in generale
invertire; il prossimo importante risultato stabilisce comunque una notevole proprietà delle
successioni limitate.

Teorema 2.9 (Bolzano-Weierstrass). Sia {an } ⊆ R una successione.


Se {an } è limitata allora esiste una sottosuccessione {akn } ⊆ {an } convergente.

Dimostrazione. Per ipotesi esistono m, M ∈ R tali che m ≤ an ≤ M per ogni n ∈ N.


Poniamo

m0 = m, M0 = M,
m0 + M0
I0 = [m0 , M0 ], c0 = .
2

40
Poiché, per ipotesi, an ∈ I0 , per ogni n ∈ N, ed essendo c0 il punto medio di I0 , in almeno
uno dei seguenti due sottointervalli

[m0 , c0 ], [c0 , M0 ]

cadranno infiniti elementi della successione: supponiamo, ad esempio, in [c0 , M0 ]. Siano


adesso

m1 = c0 , M1 = M0 ,
m1 + M1
I1 = [m1 , M1 ], c1 = .
2
Anche in questo caso, in almeno uno tra

[m1 , c1], [c1 , M1 ]

cadranno infiniti elementi della successione; supponiamo, ad esempio, [m1 , c1 ] e reiteriamo


il procedimento. Otteniamo dunque una successione di intervalli

In = [mn , Mn ], n ∈ N ∪ {0}, In+1 ⊆ In ,

dove ognuno contiene infiniti elementi della successione; inoltre, le due successioni {mn },
{Mn } sono limitate e monotone, in particolare mn %, Mn & . Allora, per il Teorema 2.8,
esistono `1 , `2 ∈ R tali che

lim mn = `1 , lim Mn = `2 .
n→+∞ n→+∞

Dal teorema dei due carabinieri, si ha


M 0 − m0
0 ≤ Mn − mn = −−−−−→ 0 =⇒ `1 = `2 .
2n n→+∞

Chiamiamo ` il valore comune, cioé `1 = `2 = ` ∈ R. Ora, definiamo

k1 = min{n ∈ N t.c. an ∈ I1 },
k2 = min{n ∈ N t.c. an ∈ I2 , n > k1 },
..
.
kn = min{n ∈ N t.c. an ∈ In , n > kn−1 }.

Per costruzione, si ha kn ∈ N e kn < kn+1 per ogni n ∈ N; quindi {akn } è una sottosucces-
sione di {an } con
akn ∈ In = [mn , Mn ], ∀n ∈ N,
cioè
mn ≤ akn ≤ Mn , ∀n ∈ N.
Allora, ancora per il teorema dei due carabinieri, otteniamo

lim akn = `.
n→∞

41
Introduciamo ora una proprietà cruciale dei sottoinsiemi dei numeri reali.
Definizione 2.7. Sia A ⊆ R. A si dice compatto se, ogni successione in A ammette una
sottosuccessione convergente in A, cioè:
∀ {an } ⊆ A, ∃ {akn } ⊆ {an } t.c. lim akn = x0 ∈ A.
n→∞

Esempio 2.10. Sia A ⊆ R, dato da A = (0, 3]. Allora A non è compatto. Infatti,
consideriamo ad esempio, an = n1 . Si ha che {an } ⊆ A e
lim an = 0 ∈
/ A.
n→∞

Poiché la successione {an } ammette limite, dal Teorema 2.2, ogni sua sottosuccessione avrà
lo stesso limite. Ma il limite non appartiene ad A.
Esempio 2.11. Sia A ⊆ R, dato da A = [0, +∞). Allora A non è compatto. Infatti,
consideriamo ad esempio, an = n. Si ha che {an } ⊆ A ed è divergente, cioè
lim an = +∞.
n→∞
Allora, dal Teorema 2.2, ogni sua sottosuccessione sarà divergente.
Il seguente importante risultato caratterizza i sottoinsiemi compatti dei numeri reali.
Teorema 2.10 (Heine-Borel). Sia A ⊆ R. Allora
(
A è chiuso,
A è compatto ⇐⇒
A è limitato.
Dimostrazione. (Caso =⇒ )
Dimostriamo che A è chiuso. Visto che A ⊆ A, proviamo che A ⊆ A. Quindi, sia x0 ∈ A.
Per il Corollario 2.3, esiste {an } ⊆ A, tale che
lim an = x0 .
n→+∞

Ma, per ipotesi di compattezza, esiste una sottosuccessione {akn } ⊆ {an }, tale che
lim akn = x1 ∈ A.
n→∞
Dal Teorema 2.2, segue subito x0 = x1 e quindi x0 ∈ A.
Adesso dimostriamo che A è limitato. Supponiamo, per assurdo, che A non sia limitato
(superiormente, ad esempio). Allora
∀ n ∈ N, ∃ an ∈ A t.c. an > n.
Quindi
lim an = +∞.
n→+∞
Sempre dal Teorema 2.2, si ha che ogni sottosuccessione {akn } ⊆ {an } è divergente, cioè A
non è compatto.
(Caso ⇐= )
Supponiamo ora che A sia chiuso e limitato e consideriamo una arbitraria successione
{an } ⊆ A. Poiché A è limitato, anche {an } sarà limitata. Quindi, per il Teorema di
Bolzano-Weierstrass (Teorema 2.9), esiste una sottosuccessione {akn } ⊆ {an } convergente
ad x0 ∈ A. Ma A è chiuso, pertanto x0 ∈ A, cioè A è compatto.

42
2.3 Esempi e criteri.

Mostriamo ora alcuni esempi notevoli di successioni.


Esempio 2.12 (Numero di Nepero). Consideriamo le due successioni

1 n 1 n+1
   
an = 1 + , bn = 1 + , n ∈ N.
n n
Prima di tutto, si ha immediatamente che
bn 1
= 1 + > 1,
an n
quindi bn > an , per ogni n ∈ N. Facciamo vedere che {an } è una successione crescente.
Vale:
 n+1
1
an+1 1 + n+1

n + 2 n+1
 
n
n
= n = =
an 1 + n1 n+1 n+1
n
n+2 n
    n   2
n+2 n n+2 n + 2n + 1 − 1
= = =
n+1 n+1 n+1 n+1 (n + 1)2
  n (B)   
n+2 1 n+2 n
= 1− ≥ 1− =
n+1 (n + 1)2 n+1 (n + 1)2
n3 + 3n2 + 3n + 2
= 3 > 1,
n + 3n2 + 3n + 1
dove in (B) abbiamo usato la disuguaglianza di Bernoulli (Esempio 1.24). Quindi {an } è
strettamente crescente; allo stesso modo si può provare che {bn } è strettamente decrescente
(per esercizio). Ora, poiché b1 = 4, a1 = 2, vale

2 = a1 ≤ an < bn ≤ b1 = 4, ∀ n ∈ N.

Essendo monotone e limitate, le due successioni an , bn ammettono limite finito (Teorema


2.8); in particolare, poiché
 
bn 1
lim = lim 1+ = 1,
n→+∞ an n→+∞ n
si ha
lim an = lim bn
n→+∞ n→+∞

Il valore comune (finito) dei due limiti, si denota con "e" e si chiama numero di Nepero.
(Si può dimostrare che e ∈/ Q.)
Esempio 2.13 (Successione per ricorrenza). Sia c ∈ R, c > 0. Definiamo

a1 = c,  
1 c (1)
an+1 = an + , n ∈ N. (∗)
2 an

43

Notiamo che an > 0, per ogni n ∈ N. Facciamo vedere che an+1 ≥ c per ogni n ∈ N,
infatti vale:
√ √ √ √
 
1 c 1 1
an+1 − c = an + − c= (a2n + c − 2an c) = (an − c)2 ≥ 0.
2 an 2an 2an
Adesso mostriamo che {an } è decrescente, se n > 1, infatti si ha:
 
1 c 1
an+1 − an = an + − an = (a2 + c − 2a2n ) =
2 an 2an n
1 1 √ √
= (c − a2n ) = ( c − an )( c + an ) ≤ 0, ∀ n > 1.
2an 2an
Quindi {an } è monotona decrescente e inferiormente limitata, allora dal Teorema 2.8 esiste
` ∈ R, tale che
lim an = `.
n→+∞

Ora passando al limite, per n → +∞, in ambo i membri dell’uguaglianza (∗), otteniamo
1 c √
`= `+ ⇐⇒ `2 = c ⇐⇒ ` = c,
2 `

dove abbiamo scartato ` = − c, poiché an > 0. Quindi, in conclusione

lim an = c.
n→+∞

Diamo ora alcune definizioni notazionali, utili nel seguito.


Definizione 2.8. Siano {an }, {bn } ⊆ R successioni.
• Si dice che {an } è "asintoticamente equivalente" a {bn }, per n → +∞, e si scrive

an ' bn , n → +∞,

se:
bn
lim = 1.
n→+∞ an
• Si dice che {an } è un "o-piccolo" di {bn }, per n → +∞, e si scrive

an = o(bn ), n → +∞,

se:
an
lim = 0.
n→+∞ bn
Osservazione 2.11. A volte, per comodità, si omette la scrittura n → +∞.
Inoltre, si noti che scrivere an = o(1) equivale a dire che {an } è infinitesima.
Esempio 2.14. Siano an = np e bn = nq con p, q ∈ R, p, q > 0.
an 1
lim = lim q−p = 0 ⇐⇒ q > p.
n→+∞ bn n→+∞ n

In altre parole, an = o(bn ) se e solo se q > p.

44
Valgono le seguenti proprietà (dimostrare per esercizio).

Proposizione 2.1 (Algebra degli "o-piccoli"). Sia {an } ⊆ R. Allora valgono:

(a) o(an ) + o(an ) = o(an ), n → +∞

(b) o(an ) − o(an ) = o(an ), n → +∞

(c) o(c an ) = o(an ), n → +∞, ∀ c ∈ R \ {0}

(d) c o(an ) = o(an ), n → +∞, ∀ c ∈ R \ {0}


p
(e) o(an ) = o(apn ), n → +∞, ∀ p > 0

(f ) apn o(an ) = o(ap+1


n ), n → +∞

(g) o o(an ) = o(an ), n → +∞

(h) o an + o(an ) = o(an ), n → +∞

Esempio 2.15. Sia {an } ⊆ R la successione data da:

7n3 + 3n2 + 4
an = .
3n3 + 4n − 7
Studiamo il lim an . Allora, si ha:
n→+∞

7n3 + o(7n3 ) + o(7n3 ) 7n3 + o(7n3 )


lim an = lim = lim =
n→+∞ n→+∞ 3n3 + o(3n3 ) + o(3n3 ) n→+∞ 3n3 + o(3n3 )

7n3 (1 + o(1)) 7
= lim =
n→+∞ 3n3 (1 + o(1)) 3

Teorema 2.11 (Criterio del rapporto). Sia {an } ⊆ R, una successione con an > 0, per
ogni n ∈ N. Supponiamo che esista ` ∈ R, tale che
an+1
lim = ` ∈ R.
n→+∞ an

Allora:

• se ` > 1 (incluso ` = +∞) allora

lim an = +∞ ;
n→+∞

• se ` < 1 allora
lim an = 0 .
n→+∞

Se ` = 1 non si può dire nulla, il Criterio è Inefficace (C.I.)

45
Dimostrazione. (Caso ` > 1)
Se ` ∈ R, dalla definizione di limite finito, abbiamo
an+1
∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. ` − ε < < ` + ε, ∀n > n, n ∈ N.
an
`−1
Quindi, scegliamo ε = 2 > 0 e troviamo n ∈ N tale che
an+1 `−1 `+1
>`− = > 1, ∀n > n, (2)
an 2 2
cioè {an } è monotona crescente, per n > n, quindi per il Teorema 2.8 esiste L ∈ R tale che
(L > 0 per il Teorema della permanenza del segno):
lim an = L.
n→+∞

Non può essere L ∈ R, altrimenti si avrebbe


an+1 L
lim = = 1,
n→+∞ an L
che è assurdo per l’ipotesi. Perciò L = +∞.
Se ` = +∞, scegliamo M = 1 nella definizione di limite infinito e troviamo n ∈ N tale che
an+1
> 1, ∀n > n̄.
an
Dopodiché procediamo come prima.
(Caso ` < 1)
1−`
Nella definizione di limite finito, scegliamo ε = 2 > 0 e troviamo n ∈ N tale che
an+1 `+1
<`+ε= < 1, ∀n > n̄,
an 2
cioè {an } è monotona decrescente, per n > n, quindi per il Teorema 2.8 esiste L ∈ R tale
che (L ≥ 0 per il Teorema della permanenza del segno):
lim an = L.
n→+∞

Se fosse L > 0 si avrebbe un assurdo analogo a quello del caso ` > 1. Quindi L = 0.

Osservazione 2.12. Dalla dimostrazione, si vede che se ` > 1 (incluso ` = +∞), allora
in particolare ∃ n ∈ N tale che an %, per n > n. Invece se ` < 1 allora si ha che ∃ n ∈ N
tale che an &, per n > n.
Osservazione 2.13. Mostriamo esplicitamente che la condizione ` = 1 non è indicativa di
nulla. Infatti, siano, ad esempio,
1
an = n, bn = .
n
Allora, si ha che la prima diverge mentre la seconda è infinitesima, cioè hanno comporta-
menti al limite diversi. Tuttavia
an+1 bn+1
lim = lim = 1.
n→+∞ an n→+∞ bn

46
Esempio 2.16. Siano p ∈ R, p > 0, e c ∈ R, c > 1. Consideriamo le due successioni

an = np , bn = cn .

Vogliamo mostrare che an = o(bn ), cioè


an
lim = 0.
n→+∞ bn
an
Allora, poniamo dn = , così
bn
an
lim = lim dn .
n→+∞ bn n→+∞

Poiché dn > 0, ∀ n ∈ N, applichiamo il criterio del rapporto alla successione {dn }, cioè
(n + 1)p cn 1 n+1 p 1
 
dn+1
lim = lim = lim = < 1.
n→+∞ dn n→+∞ cn+1 np n→+∞ c n c
Quindi,
lim dn = 0,
n→+∞

cioè, np = o(cn ), con p > 0, c > 1.


Esempio 2.17. Sia c ∈ R, c > 1. Consideriamo la successione
cn
an = .
n!
Vogliamo studiare il comportamento al limite. Poiché an > 0, ∀ n ∈ N, applichiamo il
criterio del rapporto alla successione {an }, cioè:
an+1 cn+1 n! c ·
n
! c
lim = lim n
= lim = lim = 0 < 1.
n→+∞ an n→+∞ (n + 1)! c n→+∞ (n + 1)n
! n→+∞ n + 1

Perciò
lim an = 0.
n→+∞

In altri termini, cn = o(n!), con c > 1.


Esempio 2.18. Consideriamo la successione
n!
an = .
nn
Vogliamo studiare il comportamento al limite. Poiché an > 0, ∀ n ∈ N, applichiamo il
criterio del rapporto alla successione {an }, cioè:
an+1 (n + 1)! nn 1 1 1
lim = lim = lim n+1 n
 = lim  = < 1.
1 n
n→+∞ an n→+∞ n! n! n→+∞ n→+∞ 1+ n e
n

Perciò
lim an = 0.
n→+∞

In altri termini, n! = o(nn ).

47
Esempio 2.19. Consideriamo la successione
2n + n!
an = .
3n + n5
Vogliamo studiare il comportamento al limite. Allora
2n + n! n! + o(n!) n!(1 + o(1))
lim an = lim n 5
= lim n n
= lim n = +∞.
n→+∞ n→+∞ 3 + n n→+∞ 3 + o(3 ) n→+∞ 3 (1 + o(1))

Esempio 2.20. Consideriamo la successione


2n
an = (−1)n .
n! + n5
Vogliamo studiare il comportamento al limite. Allora, visto che la successione {(−1)n } è
limitata, se dimostriamo che
2n
lim = 0,
n→+∞ n! + n5

si avrà che {an } è infinitesima, grazie al Teorema 2.7. Ora


2n 2n 2n
lim = lim = lim = 0.
n→+∞ n! + n5 n→+∞ n! + o(n!) n→+∞ n!(1 + o(1))

Quindi
lim an = 0.
n→+∞

Teorema 2.12 (Criterio della radice). Sia {an } ⊆ R, una successione con an ≥ 0, per ogni
n ∈ N. Supponiamo che esista ` ∈ R, tale che

lim n an = ` ∈ R.
n→+∞

Allora:
• se ` > 1 (incluso ` = +∞) allora

lim an = +∞ ;
n→+∞

• se ` < 1 allora
lim an = 0 .
n→+∞

Se ` = 1 non si può dire nulla, il Criterio è Inefficace (C.I.)


Dimostrazione. (Caso ` > 1)
Se ` ∈ R, dalla definizione di limite finito, abbiamo

∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. ` − ε < n an < ` + ε, ∀n > n, n ∈ N.
`−1
Quindi, scegliamo ε = 2 > 0 e troviamo n ∈ N tale che

√ `−1 `+1
n
an > ` − = > 1, ∀n > n, (3)
2 2

48
cioè  n
`+1
an > , ∀n > n. (4)
2
Ora passando al limite, per n → +∞, in ambo i membri della disuguaglianza, otteniamo
la tesi.
Se ` = +∞, scegliamo M = 2 nella definizione di limite infinito e troviamo n ∈ N tale che
√n
an > 2, ∀n > n, (5)

cioè
an > 2n , ∀n > n. (6)
Dopodiché procediamo come prima.
(Caso ` < 1)
1−`
Nella definizione di limite finito, scegliamo ε = 2 > 0 e troviamo n ∈ N tale che
√ `+1
n
an < ` + ε = < 1, ∀n > n̄,
2
cioè  n
`+1
0 ≤ an < , ∀n > n̄.
2
Quindi, dal teorema dei due carabinieri, otteniamo la tesi.

Teorema 2.13 (di Cesàro). Siano {an }, {bn } ⊆ R due successioni tali che

lim an = lim bn = +∞,


n→+∞ n→+∞

ed inoltre supponiamo che bn % (strettamente). Se ∃ ` ∈ R, tale che


an+1 − an
lim =`,
n→+∞ bn+1 − bn
allora
an
lim = `.
n→+∞ bn
Dimostrazione. Dimostriamo solo il caso ` ∈ R. Per ipotesi, si ha:
an+1 − an
∀ε > 0, ∃n ∈ N t.c. ` − ε < < ` + ε, ∀n > n, n ∈ N.
bn+1 − bn
Dato che bn % strettamente, nella relazione precedente possiamo moltiplicare per il fattore
(bn+1 − bn ), mantenendo le disuguaglianze. In particolare

(` − ε)(bn+1 − bn ) < an+1 − an < (` + ε)(bn+1 − bn ),


(` − ε)(bn+2 − bn+1 ) < an+2 − an+1 < (` + ε)(bn+2 − bn+1 ),
..
.
(` − ε)(bn+p − bn+p−1 ) < an+p − an+p−1 < (` + ε)(bn+p − bn+p−1 ),

∀n > n, ∀p ∈ N.

49
Adesso sommiamo membro a membro tutte le disuguaglianze precedenti, sfruttando il fatto
che tutti i termini, a parte quelli con indici n + p ed n, compaiono due volte e con segni
opposti (quindi si elidono). Perciò otteniamo:

(` − ε)(bn+p − bn ) < an+p − an < (` + ε)(bn+p − bn ).

Ora dividiamo per bn+p , che possiamo supporre strettamente positivo, per ogni p maggiore
di un certo m ∈ N, poiché bn → +∞. Si ha:
(bn+p − bn ) an+p − an (bn+p − bn )
(` − ε) < < (` + ε)
bn+p bn+p bn+p
m
   
bn an an+p bn an
(` − ε) 1 − + < < (` + ε) 1 − + ,
bn+p bn+p bn+p bn+p bn+p

Per concludere, passiamo al limite, per p → +∞, nell’ultima relazione (ricordando che
an , bn → +∞) e otteniamo
an+p
` − ε ≤ lim ≤ ` + ε.
p→+∞ bn+p
Data l’arbitrarietà di ε > 0, abbiamo
an+p an
lim = lim =`.
p→+∞ bn+p n→+∞ bn

Esempio 2.21. Consideriamo la successione


log(n) an
cn = = .
n bn
Vogliamo studiare il comportamento al limite. Poiché le successioni {an }, {bn } soddisfano
le ipotesi del teorema di Cesàro, si ha:
 
an+1 − an log(n + 1) − log(n) n+1
lim = lim = lim log = log(1) = 0
n→+∞ bn+1 − bn n→+∞ n+1−n n→+∞ n
Quindi, dal teorema di Cesàro, si ha anche

lim cn = 0.
n→+∞

In altri termini, log(n) = o(n).


Inoltre, se p ∈ R, p > 0, si ha anche log(n) = o(np ) (provare per esercizio).
Osservazione 2.14. Gli Esempi 2.21, 2.16, 2.17, 2.18 mostrano che esiste una sorta di
"gerarchia tra infiniti", cioè:

log(n) = o(np ), np = o(cn ), cn = o(n!), n! = o(nn ),

con p, c ∈ R, p > 0, c > 1.

50
Esempio 2.22. Consideriamo la successione

n
an = np ,

con p ∈ R, p ≥ 0. Vogliamo studiare il comportamento al limite.


Se p = 0, si ha an = 1, per ogni n ∈ N, quindi il limite sarà 1.
Se p > 0, si ha
 p
p log n n p
lim an = lim n = lim e
n = lim e n log(n) = 1.
n→+∞ n→+∞ n→+∞ n→+∞

In conclusione
lim an = 1.
n→+∞

Diamo ora un risultato, senza dimostrazione, di un’equivalenza asintotica molto utile.

Proposizione 2.2 (Formula di Stirling). Vale la seguente relazione.



n! ' nn · e−n · 2πn, n → +∞.

Esempio 2.23. Calcoliamo il limite della successione



n
n!
an = ,
n
usando la formula di Stirling. Si ha:
√ p
n
√ p
n

n
n! nn · e−n · 2πn n · e−1
 2πn 1
lim = lim = lim = ,
n→+∞ n n→+∞ n n→+∞ n
 e

n √
q
poiché lim 2πn = 1 (Esempio 2.22).
n→+∞

51
2.4 Successioni di Cauchy.

In questa sezione introduciamo una proprietà fondamentale delle successioni.


Definizione 2.9. Sia {an } ⊆ R. Allora {an } si dice successione di Cauchy se:

∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. |an − am | < ε, ∀ n, m > n, n, m ∈ N.

Proposizione 2.3. Sia {an } ⊆ R. Se {an } è convergente allora è di Cauchy.


Dimostrazione. Sia ` ∈ R tale che

lim an = `.
n→+∞

Allora, dalla definizione di limite finito, si ha

∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. |an − `| < ε, ∀n > n, n ∈ N.

Quindi

|an − am | = |an − ` + ` − am | ≤ |an − `| + |am − `| < 2ε, ∀n, m > n,

cioè {an } è di Cauchy

Faremo vedere che la precedente affermazione si può invertire. A questo scopo premettiamo
il seguente lemma.
Lemma 2.1. Sia {an } ⊆ R. Se {an } è di Cauchy allora è limitata.
Dimostrazione. Scegliamo ε = 1 nella definizione di successione di Cauchy, allora esiste
n ∈ N tale che:

|an | = |an − an+1 + an+1 | ≤ |an − an+1 | + |an+1 | ≤ 1 + |an+1 |, ∀n > n.

Quindi |an | ≤ max{|a1 |, |a2 |, . . . , |an |, 1 + an+1 }, per ogni n ∈ N.

Teorema 2.14 (Completezza sequenziale di R). Sia {an } ⊆ R. Se {an } è di Cauchy allora
è convergente .
Dimostrazione. Se {an } è di Cauchy, allora

∀ε > 0, ∃ n1 ∈ N t.c. |an − am | < ε, ∀ n, m > n1 , n, m ∈ N.

Inoltre, poiché {an } è di Cauchy, dal Lemma 2.1, allora è limitata. Dal teorema di Bolzano-
Weierstrass, sappiamo che esiste una sottosuccessione {akn } ⊆ {an } convergente, cioè esiste
` ∈ R, tale che
lim akn = `.
n→+∞

Dalla definizione di limite finito, si ha:

∀ε > 0, ∃ n2 ∈ N t.c. |akn − `| < ε, ∀n > n2 , n ∈ N.

52
In particolare, poiché kn ≥ n per ogni n ∈ N, quando n > n2 anche kn > n2 . Sia allora
n = max{n1 , n2 }. Si ottiene:

|an − `| = |an − akn + akn − `| ≤ |an − akn | + |akn − `| < 2ε, ∀n > n,

cioè
lim an = `.
n→+∞

Osservazione 2.15. Il Teorema 2.14 e la Proposizione 2.3 dicono che, "in R", una succes-
sione è convergente se e solo se è di Cauchy. Osserviamo esplicitamente che le definizioni
di limite e di successione di Cauchy possono essere date per successioni a valori razionali,
cioè funzioni da N a valori in Q; in particolare, l’essere di Cauchy non dipende dal fatto
che la successione assuma valori reali o razionali. Come conseguenza, si avrebbe che per
successioni in Q, la Proposizione 2.3 sarebbe ancora valida, mentre il Teorema 2.14 non
sarebbe in generale vero. Consideriamo, ad esempio, la successione definita nell’Esempio
otteniamo una successione {an } ⊆ Q, la quale
2.13: se scegliamo come dato iniziale c = 2, √
è di Cauchy, ma non è convergente, poiché 2 ∈ / Q.

53
3 Funzioni reali di variabile reale

3.1 Limiti e prime proprietà.

In questa sezione introdurremo la definizione di limite per funzioni reali, di variabile reale
cioè, dato A ⊆ R, considereremo funzioni

f : A → R.

Poiché nella definizione di limite si richiederà che il punto limite sia un punto di accumu-
lazione per il dominio della funzione, diamo la seguente definizione, allo scopo di avere una
notazione più compatta.

Definizione 3.1. Sia A ⊆ R. Diremo che:

+∞ ∈ Der(A) ⇐⇒ A non è superiormente limitato.

Notiamo che le due condizioni si riscrivono esplicitamente nel seguente modo

∀W ∈ U+∞ , W ∩ (A \ {+∞}) 6= 0 ⇐⇒ ∀W ∈ U+∞ , ∃ a ∈ A t.c. a ∈ W,

infatti A \ {+∞} = A.
Analogamente, diremo che:

−∞ ∈ Der(A) ⇐⇒ A non è inferiormente limitato,

cioè

∀W ∈ U−∞ , W ∩ (A \ {−∞}) 6= 0 ⇐⇒ ∀W ∈ U−∞ , ∃ a ∈ A t.c. a ∈ W,

poiché anche in questo caso A \ {−∞} = A.

Definizione 3.2. Siano A ⊆ R e f : A → R. Siano x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A) ed ` ∈ R.


Si dice che f tende ad `, per x che tende a x0 , e si scrive

lim f (x) = `,
x→x0

se
∀ V ∈ U` , ∃ W ∈ Ux0 t.c. f (x) ∈ V, ∀x ∈ W ∩ (A \ {x0 }).
In questo caso diremo che ` è il limite di f (x), per x → x0 .

Osservazione 3.1. A volte si scrive anche nel seguente modo:

f (x) −−−→ `.
x→x0

54
Osservazione 3.2. La precedente definizione si può riscrivere esplicitamente, a seconda
delle varie combinazioni: x0 ∈ R oppure x0 = ±∞; ` ∈ R oppure ` = ±∞. Ne scriviamo
alcune, come esempio.

• x0 ∈ R, ` ∈ R:

lim f (x) = `
x→x0
m
∀ε > 0, ∃ δ > 0 t.c. |f (x) − `| < ε, ∀x ∈ A \ {x0 }, x ∈ (x0 − δ, x0 + δ).

• x0 ∈ R, ` = +∞:

lim f (x) = +∞
x→x0
m
∀M ∈ R, ∃ δ > 0 t.c. f (x) > M, ∀x ∈ A \ {x0 }, x ∈ (x0 − δ, x0 + δ).

• x0 = −∞, ` ∈ R:

lim f (x) = `
x→−∞
m
∀ε > 0, ∃ K ∈ R t.c. |f (x) − `| < ε, ∀x ∈ A, x < K.

Osservazione 3.3. Notiamo esplicitamente la similitudine delle definizioni di limite: per


successioni (Definizione 2.2) e per funzioni di variabile reale (Definizione 3.2). L’unica
differenza risiede nel fatto che per le successioni, l’unico punto di accumulazione del dominio
(l’insieme dei numeri naturali) a cui si può far tendere la variabile è il valore +∞.

Esempio 3.1. Riportiamo alcuni esempi (verificare per esercizio)

• Siano A = R e f : A → R, data da

f (x) = 5.

Consideriamo x0 = 7 ∈ Der(A). Allora si ha

lim f (x) = 5.
x→7

• Siano A = R e f : A → R, data da
(
5, se x 6= 7
f (x) =
8, se x = 7

Consideriamo x0 = 7 ∈ Der(A). Allora si ha

lim f (x) = 5.
x→7

55
• Siano A = R \ {7} e f : A → R, data da

f (x) = 5.

Consideriamo x0 = 7 ∈ Der(A). Allora si ha

lim f (x) = 5.
x→7

Il seguente teorema caratterizza la precedente definizione di limite mediante i limiti di


successioni, per questo motivo è una sorta di "teorema ponte".

Teorema 3.1. Siano A ⊆ R e f : A → R. Siano x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A) ed ` ∈ R.


Allora:

 ∀ {an } ⊆ A \ {x0 } t.c. lim an = x0

 n→+∞
lim f (x) = ` ⇐⇒ si ha:
x→x0 
 lim f (an ) = `.

n→+∞

Dimostrazione. (Caso =⇒ )
Per ipotesi si ha:

∀ V ∈ U` , ∃ W ∈ Ux0 t.c. f (x) ∈ V , ∀x ∈ W ∩ (A \ {x0 }).

Sia ora {an } ⊆ A \ {x0 } una successione convergente ad x0 , allora

∀ W ∈ Ux0 , ∃ n ∈ N t.c. an ∈ W , ∀n > n , n ∈ N.

Combinando le due precedenti relazioni, si ottiene

∀ V ∈ U` , ∃ n ∈ N t.c. f (an ) ∈ V , ∀n > n , n ∈ N.

In altri termini:
lim f (an ) = `.
n→+∞

(Caso ⇐= )
Viceversa, supponiamo ora f (an ) → ` per ogni successione {an } ⊆ A \ {x0 } tale che
an → x0 . Occorre provare che lim f (x) = `. Ragioniamo per assurdo e supponiamo che
x→x0
ciò non accada. Allora

∃ V ∈ U` t.c. ∀ W ∈ Ux0 ∃x ∈ W ∩ (A \ {x0 }) t.c. f (x) 6∈ V (∗)

Adesso, per ogni n ∈ N, poniamo



1 1

 x0 − n , x0 + n , x0 ∈ R,

Wn = (n, +∞), x0 = +∞,

(−∞, −n), x0 = −∞.

56
Osserviamo che Wn ∈ Ux0 , per ogni n ∈ N. Poniamo inoltre, per ogni n ∈ N,

An = {x ∈ R t.c. x ∈ Wn ∩ (A \ {x0 }), f (x) 6∈ V }.

Per la proprietà (∗), risulta An 6= ∅, per ogni n ∈ N. Quindi, per l’assioma della scelta, per
ogni n ∈ N, esiste un elemento an ∈ An . Pertanto {an } ⊆ A \ {x0 }. Inoltre an ∈ Wn , per
ogni n ∈ N, cioè:

1 1
x0 − n < an < x0 + n , x0 ∈ R

n < an , x0 = +∞

an < −n, x0 = −∞

Passando al limite, per n → +∞, nelle precedenti disuguaglianze, si ha che

lim an = x0 .
n→+∞

Ora, sempre per la proprietà (∗), si ha f (an ) ∈


/ V , per ogni n ∈ N, quindi

lim f (an ) 6= `.
n→+∞

Questo contraddice l’ipotesi e prova l’asserto.

Riportiamo alcuni risultati sulle proprietà dei limiti di funzione di variabile reale, in analogia
con i limiti di successioni.

Teorema 3.2 (Unicità del limite). Siano A ⊆ R e f : A → R. Siano x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A)


ed ` ∈ R tale che lim f (x) = `. Allora ` è unico.
x→x0

Dimostrazione. Per esercizio.

Definizione 3.3. Siano A ⊆ R e f : A → R. Sia B ⊆ A. Si chiama restrizione di f su


B, e si indica con f |B , la funzione:

f |B : B → R , f |B (x) = f (x).

Osservazione 3.4. Siano A ⊆ R e f : A → R. Siano x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A) ed ` ∈ R tale


che
lim f (x) = `.
x→x0

Se B ⊆ A, con x0 ∈ Der(B), allora (verificare per esercizio)

lim f |B (x) = l.
x→x0

Definizione 3.4. Sia A ⊆ R e sia x0 ∈ R. Definiamo:

A+
x0 = A ∩ (x0 , +∞)
A−
x0 = A ∩ (−∞, x0 )

Sia f : A → R.

57
• Se x0 ∈ Der(A+
x0 ) allora poniamo

lim f |A+
x
(x) = lim f (x).
x→x0 0 x→x+
0

• Se x0 ∈ Der(A−
x0 ) allora poniamo

lim f |A−
x
(x) = lim f (x).
x→x0 0 x→x−
0

Osservazione 3.5. Siano A ⊆ R e f : A → R. Siano x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A) ed ` ∈ R. Se


x0 ∈ Der(A+ −
x0 ), x0 ∈ Der(Ax0 ) allora si ha (verificare per esercizio)

lim f (x) = ` ⇐⇒ lim f (x) = lim f (x) = `.


x→x0 x→x− x→x+
0 0

Teorema 3.3 (Permanenza del segno). Siano A ⊆ R e f : A → R. Siano x0 ∈ R,


x0 ∈ Der(A) ed ` ∈ R tale che
lim f (x) = `.
x→x0

Se ` > 0 (incluso ` = +∞), allora

∃ W ∈ Ux0 t.c. f (x) > 0, ∀x ∈ W ∩ A \ {x0 }.

Dimostrazione. Per esercizio.

Corollario 3.1. Siano A ⊆ R e f : A → R. Siano x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A) ed ` ∈ R tale che

lim f (x) = `.
x→x0

Se ∃ W ∈ Ux0 t.c. f (x) ≥ 0, ∀x ∈ W ∩ A \ {x0 }, allora ` ≥ 0.

Dimostrazione. Per esercizio.

Teorema 3.4 (Due carabinieri). Siano A ⊆ R e f, g, h : A → R. Siano x0 ∈ R, x0 ∈


Der(A) e W ∈ Ux0 tale che

f (x) ≤ g(x) ≤ h(x), ∀x ∈ W ∩ A \ {x0 }.

Se esiste ` ∈ R tale che


lim f (x) = lim h(x) = `,
x→x0 x→x0

allora
lim g(x) = `.
x→x0

Dimostrazione. Per esercizio.

Osservazione 3.6. Come nel caso delle successioni, valgono le stesse considerazioni nel
caso ` = ±∞ (Criterio del confronto, Osservazione 2.8). Inoltre, sempre come per le
successioni, valgono tutte le proprietà espresse nella Proposizione 2.1 (Algebra dei Limiti)

58
In analogia con la Proposizione 2.3 e il Teorema 2.14, anche per le funzioni di variabili reale
vale la seguente caratterizzazione di tipo Cauchy.
Teorema 3.5. Siano A ⊆ R e f : A → R. Siano x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A). Allora si ha

∃ ` ∈ R t.c. lim f (x) = `


x→x0
m
∀ε > 0, ∃ W ∈ Ux0 t.c. |f (x) − f (y)| < ε, ∀x, y ∈ W ∩ A \ {x0 }.

Dimostrazione. Per esercizio.

Definizione 3.5. Siano A ⊆ R e f : A → R. Consideriamo l’immagine f (A) ⊆ R e diamo


le seguenti definizioni:
• si chiama estremo superiore di f su A

sup f = sup f (A);


A

• si chiama estremo inferiore di f su A

inf f = inf f (A).


A

Analogamente:
• si chiama massimo di f su A, (se esiste),

max f = max f (A),


A

in particolare
∃ x0 ∈ A t.c. f (x) ≤ f (x0 ), ∀x ∈ A,
in questo caso x0 si chiama punto di massimo per f ;

• Si chiama minimo di f su A, (se esiste),

min f = min f (A).


A

in particolare
∃ x0 ∈ A t.c. f (x) ≥ f (x0 ), ∀x ∈ A,
in questo caso x0 si chiama punto di minimo per f .
Infine:
• x0 ∈ A si dice punto di massimo locale per f se

∃ W ∈ Ux0 tale che f (x) ≤ f (x0 ), ∀x ∈ W ∩ A;

• x0 ∈ A si dice punto di minimo locale per f se

∃ W ∈ Ux0 tale che f (x0 ) ≤ f (x), ∀x ∈ W ∩ A.

59
Osservazione 3.7. Ovviamente, un punto di massimo è anche un punto di massimo locale,
mentre il viceversa è in generale falso (trovare un esempio per esercizio). Lo stesso vale per
i punti di minimo.
Inoltre, in genere si chiamano estremanti, per f , i massimi o i minimi della funzione;
analogamente, un estremante locale, per f , è un massimo locale oppure un minimo locale.
Definizione 3.6. Siano A ⊆ R e f : A → R. Consideriamo l’immagine f (A) ⊆ R e diamo
le seguenti definizioni.
• La funzione si dice limitata superiormente se esiste un maggiorante per f (A), cioè:

∃ M ∈ R, t.c. f (x) ≤ M, ∀ x ∈ A.

• La funzione si dice limitata inferiormente se esiste un minorante per f (A), cioè:

∃ m ∈ R, t.c. m ≤ f (x), ∀ x ∈ A.

• La funzione si dice limitata se è limitata superiormente e inferiormente, cioè:

∃ M, m ∈ R, t.c. m ≤ f (x) ≤ M, ∀ x ∈ A.

Osservazione 3.8. Equivalentemente, una funzione si dice limitata se (provare per eser-
cizio)
∃ M ∈ R, t.c. |f (x)| ≤ M, ∀ x ∈ A.
Esempio 3.2. Sia f : R → R , f (x) = sin(x). Allora f è limitata. Infatti, ad esempio

−2 ≤ f (x) ≤ 3, ∀ x ∈ R;

oppure
|f (x)| ≤ 1, ∀ x ∈ R.
Teorema 3.6. Siano A ⊆ R e f, g : A → R. Sia x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A). Se f è infinitesima
per x → x0 (ossia limx→x0 f (x) = 0) e g è limitata, allora

lim f (x) · g(x) = 0


x→x0

Dimostrazione. Per esercizio.

Definizione 3.7. Siano A ⊆ R e f : A → R.


• La funzione si dice monotona crescente e si indica f %, se:

∀x, y ∈ A, x < y, vale f (x) ≤ f (y).

Se la disuguaglianza è stretta la funzione si dice strettamente crescente.

• La funzione si dice monotona decrescente e si indica f &, se:

∀x, y ∈ A, x < y, vale f (x) ≥ f (y).

Se la disuguaglianza è stretta la funzione si dice strettamente decrescente.

60
• La funzione si dice monotona, se è crescente oppure decrescente.
Teorema 3.7. Siano A ⊆ R e f : A → R. Supponiamo f %. Allora:
(i) Se x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A+
x0 ) allora

∃ lim f (x) e risulta lim f (x) = inf f


x→x+
0 x→x+
0 A+
x0

(ii) Se x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A−
x0 ) allora

∃ lim f (x) e risulta lim f (x) = sup f


x→x−
0 x→x−
0 A−
x0

(iii) Se +∞ ∈ Der(A) allora


∃ lim f (x) e risulta lim f (x) = sup f ;
x→+∞ x→+∞ A

(iv) Se −∞ ∈ Der(A) allora


∃ lim f (x) e risulta lim f (x) = inf f ;
x→−∞ x→−∞ A

Dimostrazione. Proviamo (i). Sia x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A+


x0 ). Supponiamo ` = inf f , ` ∈ R.
A+
x0
Vogliamo provare che
lim f (x) = `,
x→x+
0

cioè
∀ε > 0, ∃ δ > 0 t.c. |f (x) − `| < ε, ∀x ∈ (x0 , x0 + δ), x ∈ A.
Prima di tutto, poichè ` = inf f , si ha ` ≤ f (x) per ogni x ∈ A+
x0 , e quindi, ∀ε > 0,
A+
x0

λ − ε < λ ≤ f (x), ∀x ∈ A+
x0 .

D’altra parte, sia ε > 0, per la definizione di estremo inferiore,


∃ x ∈ A+
x0 t.c. f (x) < ` + ε.

Ora, poichè f %, risulta f (x) ≤ f (x) per ogni x ∈ A+


x0 , con x < x. Quindi

f (x) < ` + ε, ∀x ∈ A. x0 < x < x.


In definitiva, posto δ = x − x0 , si ha
∀ε > 0, ∃ δ > 0 tale che ` − ε < f (x) < ` + ε, ∀x ∈ (x0 , x0 + δ), x ∈ A.
In altri termini:
lim f (x) = ` = inf f
x→x+
0 A+
x0

Il caso ` = inf f = −∞ si prova analogamente.


A+
x0

Provare per esercizio i punti (ii), (iii), (iv).

61
Osservazione 3.9. Il precedente risultato afferma che le funzioni monotone crescenti am-
mettono sempre limite, in qualsiasi punto di accumulazione del dominio. Lo stesso vale
ovviamente per le funzioni monotone decrescenti.
Osservazione 3.10. Sia f %. Se x0 ∈ Der(A+ −
x0 ) ∩ Der(Ax0 ), allora
lim f (x) ≤ lim f (x).
x→x−
0 x→x+
0

Se, inoltre, x0 ∈ A, allora


lim f (x) ≤ f (x0 ) ≤ lim f (x).
x→x−
0 x→x+
0

Considerazioni analoghe valgono se f &.


Definizione 3.8. Siano A ⊆ R e f, g : A → R. Sia x0 ∈ R, x0 ∈ Der(A).
• Si dice che f (x) è "asintoticamente equivalente" a g(x), per x → x0 , e si scrive
f (x) ' g(x), x → x0 ,
se:
f (x)
lim = 1.
x→x0 g(x)
• Si dice che f (x) è un "o-piccolo" di g(x), per x → x0 , e si scrive
f (x) = o(g(x)), x → x0 ,
se:
f (x)
lim = 0.
x→x0 g(x)
Osservazione 3.11. Osserviamo esplicitamente, che a differenza del caso delle successioni
(Definizione 2.8), nella scrittura di "asintoticamente equivalente" o di "o-piccolo", va sem-
pre riportato il valore a cui tende la variabile. In particolare, la relazione potrebbe cambiare
facendo limiti diversi.
Esempio 3.3. Siano f, g : R → R, f (x) = x2 , g(x) = x3 . Si ha:
f (x) ' g(x), x → 1,
f (x) = o(g(x)), x → +∞,
g(x) = o(f (x)), x → 0.
Osservazione 3.12. Ovviamente, per gli "o-piccoli" definiti per le funzioni, valgono le
stesse proprietà (Algebra degli "o-piccoli") della Proposizione 2.1.
Esempio 3.4. Alcuni limiti, da verificare per esercizio.
sin(x) 1 − cos(x) 1
lim = 1, lim 2
=
x→0 x x→0 x 2

log(1 + x) ex − 1
lim = 1, lim =1
x→0 x x→0 x

(1 + x)a − 1
lim = a, con a ∈ R
x→0 x

62
3.2 Funzioni continue.

Introduciamo ora un concetto centrale per lo studio delle funzioni.

Definizione 3.9. Siano A ⊆ R e f : A → R. Sia x0 ∈ A. Si dice che f è continua in x0 ,


se:

∀V ∈ Uf (x0 ) , ∃ W ∈ Ux0 t.c. f (x) ∈ V, ∀x ∈ A ∩ W.

Si dice che f è continua in A, se è continua in x, per ogni x ∈ A. Denotiamo con C(A; R)


l’insieme di tutte le funzioni continue su A. Quindi, per indicare che f è continua in A,
scriveremo f ∈ C(A; R).

Osservazione 3.13. Dati A ⊆ R e f : A → R, un punto x0 ∈ A potrebbe essere isolato o


di accumulazione. Dalla definizione di continuità, abbiamo i seguenti due casi:

(i) se x0 ∈ A, x0 6∈ Der(A), allora f è continua in x0 ;

(ii) se x0 ∈ A ∩ Der(A), allora, poiché f (x0 ) ∈ V, ∀V ∈ Uf (x0 ) , si ha

f è continua in x0 ⇐⇒ lim f (x) = f (x0 ).


x→x0

Osservazione 3.14. Dal punto (i) della precedente osservazione, si ha che, per esempio,
le successioni sono funzioni continue su N.

Esempio 3.5. Siano A = R e f : A → R, f (x) = 5. Consideriamo, ad esempio, x0 = 7.


Poiché x0 ∈ A ∩ Der(A), verifichiamo la continuità di f in x0 , utilizzando il punto (ii)
dell’Osservazione 3.13

lim f (x) = 5 = f (7)


x→7

Quindi f è continua in x0 = 7. Ovviamente lo stesso ragionamento si applica a qualsiasi


punto del dominio, perciò f ∈ C(R; R).

Esempio 3.6. Siano A = R e f : A → R,


(
5, x 6= 7
f (x) =
1, x=7

Consideriamo, ad esempio, x0 = 7. Poiché x0 ∈ A ∩ Der(A), verifichiamo la continuità di


f in x0 , utilizzando il punto (ii) dell’Osservazione 3.13

lim f (x) = 5 6= 1 = f (7).


x→7

Allora f non è continua in x0 = 7. Ovviamente, per qualsiasi altro punto del dominio
x 6= 7, si ha che f è continua in x. Comunque, f 6∈ C(R; R).

63
Esempio 3.7. Siano A = R e f : A → R,
(
5, x≤7
f (x) =
1, x>7

Consideriamo, ad esempio, x0 = 7. Poiché x0 ∈ A ∩ Der(A), verifichiamo la continuità di


f in x0 , utilizzando il punto (ii) dell’Osservazione 3.13

lim f (x) = 5 6= 1 = lim f (x)


x→7− x→7+
=⇒ @ lim f (x)
x→7

Allora f non è continua in x0 = 7. Ovviamente, per qualsiasi altro punto del dominio
x 6= 7, si ha che f è continua in x. Comunque, f 6∈ C(R; R).

Esempio 3.8. Siano A = R \ {7} e f : A → R, f (x) = 5. Poiché qualsiasi punto del


dominio è di accumulazione, utilizzando il punto (ii) dell’Osservazione 3.13, si ha che f è
continua in x, perciò f ∈ C(A; R).
Notiamo esplicitamente che il punto x0 = 7 ∈ Der(A), ma x0 ∈ / A, quindi non ha senso
chiedersi la continuità di f in x0 .

Riportiamo ora alcune proprietà delle funzioni continue.

Teorema 3.8. Siano A ⊆ R e f, g ∈ C(A; R). Allora si ha:

(i) f + g ∈ C(A; R);

(ii) f · g ∈ C(A; R);

(iii) |f | ∈ C(A; R).

Dimostrazione. Poiché la verifica della continuità è puntuale (cioè fatta su ogni punto del
dominio), ci sono due possibilità, date dall’Osservazione 3.13: nel primo caso, la continuità
è immediata, nel secondo caso segue dalle proprietà dei limiti (Algebra dei Limiti).

Riscriviamo ora il "teorema ponte" (Teorema 3.1) per le funzioni continue.

Teorema 3.9. Siano A ⊆ R ed f : A → R. Sia x0 ∈ A. Allora:



∀ {an } ⊆ A \ {x0 } t.c. n→+∞


lim an = x0
f è continua in x0 ⇐⇒ si ha:

 lim f (an ) = f (x0 ).

n→+∞

Dimostrazione. Per esercizio.

Osservazione 3.15. Siano A ⊆ R ed f : A → R. Se f è continua in x0 ∈ A ∩ Der(A),


allora vale il seguente "scambio tra il limite e la funzione":
 
lim f (an ) = f lim an .
n→+∞ n→+∞

64
Teorema 3.10. Siano A, B ⊆ R, f : A → R, g : B → R, tali che f (A) ⊆ B. Siano
x0 ∈ A, y0 = f (x0 ) ∈ f (A) ⊆ B. Se f è continua in x0 e g è continua in y0 , allora g ◦ f è
continua in x0 . In particolare, se f ∈ C(A; R), g ∈ C(B; R), allora g ◦ f ∈ C(A; R).
Dimostrazione. Denotiamo h = g ◦ f , h : A → R. Allora occorre provare che h è continua
in x0 ∈ A. Utilizziamo il Teorema 3.9. Quindi bisogna provare che:

∀{an } ⊆ A tale che lim an = x0 , vale lim h(an ) = h(x0 ).


n→+∞ n→+∞

Poichè f è continua in x0 risulta

lim f (an ) = f (x0 ).


n→+∞

Ora, {f (an )} ⊆ f (A) ⊆ B, con

lim f (an ) = f (x0 ) = y0 ∈ B.


n→+∞

Per la continuità di g in f (x0 ) risulta

lim g(f (an )) = g(y0 ),


n→+∞

cioè:

lim h(an ) = lim g(f (an )) = g(y0 ) = g(f (x0 )) = h(x0 ).


n→+∞ n→+∞

Esempio 3.9. Siano A = R e f : A → R, f (x) = x3 + 1; allora f ∈ C(A; R). Siano ora


B = R e g : B → R,
(
7, 6 9
y=
g(y) =
13, y = 9

Si ha che g non è continua in y0 = 9 ∈ B ∩ Der(B). Adesso, poiché f (A) = B, è possibile


fare la composizione h = g ◦ f : A → R. Consideriamo ora x0 = 2 ∈ A ∩ Der(A). Si ha:

lim h(x) = lim g(f (x)) = 7 6= 13 = g(f (2)) = h(2).


x→2 x→2

Quindi h non è continua in x0 .


Esempio 3.10. Siano A = R \ {0} e f : A → R, f (x) = x2 ; allora f ∈ C(A; R). Siano ora
B = (0, +∞) e g : B → R, g(x) = log(x); allora g ∈ C(B; R). Adesso, poiché f (A) = B, è
possibile fare la composizione h = g ◦ f : A → R. Consideriamo x0 = 0. Visto che x0 6∈ A,
non ha senso chiedersi la continuità di f in x0 . D’altra parte, poiché x0 ∈ Der(A), ha
senso chiedersi il comportamento al limite, cioè

lim h(x) = lim g(f (x)) = lim log x2 = −∞



x→0 x→0 x→0

I prossimi importanti risultati mettono in evidenza due proprietà fondamentali delle funzioni
continue: mandano compatti in compatti e connessi in connessi.

65
Teorema 3.11 (Weierstrass). Siano A ⊆ R. Si ha:
(
A compatto
=⇒ f (A) compatto.
f ∈ C(A; R)

In particolare esistono max f, min f , cioè:


A A

∃ x1 , x2 ∈ A t.c. f (x1 ) = min f, f (x2 ) = max f


A A

Dimostrazione. Dalla definizione di compattezza (Definizione 2.7), per provare che l’imma-
gine f (A) è compatta, dobbiamo dimostrare che:

∀{bn } ⊆ f (A), ∃ {bkn } ⊆ {bn } t.c. lim bkn = y0 ∈ f (A).


n→+∞

Sia allora {bn } ⊆ f (A) una successione arbitraria. Per definizione di immagine, si ha che
bn = f (an ), per una qualche successione {an } ⊆ A. Ora, poichè A è compatto, esiste
{akn } ⊆ {an } tale che lim akn = x0 ∈ A. Sia bkn = f (akn ), così {bkn } ⊆ {bn }. Perciò:
n→+∞
 
lim bkn = lim f (akn ) = f lim akn = f (x0 ) ∈ f (A),
n→+∞ n→+∞ n→+∞

dove abbiamo usato la proprietà delle funzioni continue mostrata nell’Osservazione 3.15.
Quindi f (A) è compatto.
Adesso, dal Teorema di Heine-Borel (Teorema 2.10), si ha che f (A) è chiuso e limitato.
Dalla limitatezza segue che

∃ µ, λ ∈ R tale che µ = inf f = inf f (A), λ = sup f = sup f (A).


A A

D’altra parte, dalla chiusura e dall’Osservazione 1.11, si ha

µ, λ ∈ f (A) = f (A),

cioè
∃ x1 , x2 ∈ A t.c. f (x1 ) = µ = min f, f (x2 ) = λ = max f.
A A

Teorema 3.12 (Bolzano, o degli zeri). Siano a, b ∈ R, con a < b, e sia f ∈ C([a, b] ; R).
Se f (a) · f (b) < 0, allora ∃ x0 ∈ [a, b] tale che f (x0 ) = 0.
Dimostrazione. Prima di tutto supponiamo, ad esempio, f (a) < 0, f (b) > 0. Ora definiamo

E = {x ∈ [a, b] t.c. f (x) < 0}.

Osserviamo che: E 6= ∅ perchè a ∈ E; inoltre E è limitato perchè E ⊆ [a, b]. Allora

∃ x0 = sup E ∈ R.

In particolare x0 ∈ [a, b], quindi x0 ∈ Der([a, b]). Vogliamo provare che f (x0 ) = 0. Sup-
poniamo per assurdo che f (x0 ) 6= 0, allora abbiamo due situazioni: f (x0 ) < 0 oppure
f (x0 ) > 0.

66
• Supponiamo f (x0 ) < 0. Allora x0 ∈ E, inoltre dalla continuità di f , segue

f (x0 ) = lim f (x).


x→x0

Ora, per il teorema della permanenza del segno (Teorema 3.3):

∃ W ∈ Ux0 tale che f (x) < 0, ∀x ∈ W ∩ [a, b] ,

cioè

∃ δ > 0 t.c. f (x) < 0, ∀x ∈ [a, b] con x0 − δ < x < x0 + δ.

In particolare ∃ x1 ∈ [a, b] con x0 < x1 < x0 + δ, t.c. f (x1 ) < 0, quindi x1 ∈ E e


6 sup E, il che è un assurdo.
x1 > x0 . Ma allora x0 =

• Supponiamo f (x0 ) > 0. Allora x0 ∈


/ E, inoltre dalla continuità di f , segue

f (x0 ) = lim f (x).


x→x0

Ora, di nuovo per il teorema della permanenza del segno:

∃ W ∈ Ux0 tale che f (x) > 0, ∀x ∈ W ∩ [a, b] ,

cioè

∃ δ > 0 t.c. f (x) > 0, ∀x ∈ [a, b] con x0 − δ < x < x0 + δ.

In particolare ∀x ∈ [a, b] con x0 − δ < x < x0 , si ha f (x) > 0. Ma allora x0 6= sup E,


il che è un assurdo.

Allora, in conclusione, f (x0 ) = 0.

Corollario 3.2 (Teorema dei valori intermedi). Sia A ⊆ R. Si ha:


(
A intervallo
=⇒ f (A) intervallo.
f ∈ C(A; R)

Dimostrazione. Vogliamo provare che l’immagine f (A) è un intervallo, cioè: per ogni
x1 , x2 ∈ A (supponiamo, ad esempio x1 < x2 ) tali che f (x1 ) < f (x2 ) e per ogni λ ∈ R con
f (x1 ) < λ < f (x2 ), allora

∃ x0 ∈ [x1 , x2 ] , t.c. f (x0 ) = λ.

Osserviamo, che poiché A è un intervallo, allora anche [x1 , x2 ] ⊆ A è un intervallo. Ora,


poniamo

g : [x1 , x2 ] → R, g(x) = f (x) − λ.

Si ha g ∈ C([x1 , x2 ] ; R) ed inoltre

g(x1 ) = f (x1 ) − λ < 0, g(x2 ) = f (x2 ) − λ > 0.

67
Quindi g(x1 ) · g(x2 ) < 0, così per il teorema di Bolzano (Teorema 3.12)

∃ x0 ∈ [x1 , x2 ] t.c. g(x0 ) = 0.

Ma
g(x0 ) = f (x0 ) − λ = 0,
cioè f (x0 ) = λ.

Riportiamo, senza dimostrazione, il seguente risultato riguardante la continuità delle fun-


zioni inverse.

Teorema 3.13. Siano A ⊆ R, A intervallo e f ∈ C(A; R) e iniettiva. Allora la funzione


inversa f −1 : f (A) → A, è continua.

L’ipotesi A intervallo nel precedente teorema è cruciale, come mostra il seguente esempio.

Esempio 3.11. Siano A = (0, 1] ∪ (2, 3) ed f : A → R,


(
x, se x ∈ (0, 1]
f (x) =
x − 1, se x ∈ (2, 3).

Il dominio A non è un intervallo, comunque f ∈ C(A; R) e iniettiva (verificare per eserci-


zio). Allora, si ha f (A) = (0, 2) e f −1 : f (A) → A,
(
y, se y ∈ (0, 1]
f −1 (y) =
y + 1, se x ∈ (1, 2).

Quindi la funzione inversa f −1 non è continua (in particolare nel punto y0 = 1).

68
3.3 Funzioni uniformemente continue.

In questa sezione vedremo una nozione più forte della continuità.

Definizione 3.10. Siano A ⊆ R, A intervallo e f : A → R. Si dice che f è uniforme-


mente continua su A se:

∀ε > 0, ∃ δ > 0 t.c. |f (x) − f (y)| < ε, ∀x, y ∈ A, |x − y| < δ.

Osservazione 3.16. Se f è uniformemente continua su A allora f ∈ C(A; R) (verificare


per esercizio).

L’affermazione della precedente osservazione non si può invertire, come vedremo. A questo
scopo è utile il seguente risultato che mette in relazioni le funzioni uniformemente continue
con le successioni di Cauchy.

Teorema 3.14. Siano A ⊆ R, A intervallo e f : A → R uniformemente continua su A.


Se {an } ⊆ A è una successione di Cauchy, allora {f (an )} è una successione di Cauchy.

Dimostrazione. Per la uniforme continuità di f si ha:

∀ε > 0, ∃ δ > 0 t.c. |f (x) − f (y)| < ε, ∀x, y ∈ A, |x − y| < δ.

D’altra parte, se {an } è di Cauchy, allora,

∀δ > 0, ∃ n ∈ N t.c. |an − am | < δ, ∀ n, m > n.

In definitiva:
∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. |f (an ) − f (am )| < ε, ∀ n, m > n.
In altri termini, {f (an )} è una successione di Cauchy.

Mostriamo ora un esempio di funzione continua ma non uniformemente continua.

Esempio 3.12. Siano A = (0, +∞) ed f : A → R, f (x) = x1 . Allora f ∈ C(A; R).


Consideriamo ora la successione an = n1 . Si ha che {an } ⊆ A ed inoltre, poichè {an } è con-
vergente, allora {an } è di Cauchy (Proposizione 2.3). Adesso, consideriamo la successione
1
f (an ) = = n.
an
Poichè {f (an )} non converge, allora {f (an )} non è di Cauchy (Teorema 2.14). In conclu-
sione, dal Teorema 3.14, f non è uniformemente continua su A.

Il seguente notevole risultato determina una condizione sufficiente affinché una funzione
continua sia anche uniformemente continua.

Teorema 3.15 (Heine-Cantor). Siano A ⊆ R, A intervallo ed f ∈ C(A; R). Se A è


compatto allora f è uniformemente continua su A.

69
Dimostrazione. Ragioniamo per assurdo e supponiamo f non uniformemente continua su
A. Allora:

∃ ε > 0 t.c. ∀δ > 0, ∃ x, y ∈ A, |x − y| < δ, per cui |f (x) − f (y)| ≥ ε.


1
Adesso, per questo ε > 0, per ogni n ∈ N, poniamo δn = n > 0. Allora, per ogni n ∈ N,
esistono {an }, {bn } ⊆ A, tali che |an − bn | < δn , per cui

|f (an ) − f (bn )| ≥ ε.

Poichè A è compatto, esiste {akn } ⊆ {an } tale che

lim akn = x0 ∈ A
n→+∞

1
Ora, la disuguaglianza |akn − bkn | < δkn = kn , ∀n ∈ N, significa

1 1
akn − < bkn < akn + .
kn kn
Di conseguenza, poichè kn ≥ n, per ogni n ∈ N, allora dal teorema dei due carabinieri,
passando al limite, per n → +∞, si ha

lim bkn = x0 ∈ A.
n→+∞

Infine, usando le proprietà dei limiti e la continuità di f (Osservazione 3.15), si ottiene

lim (f (akn ) − f (bkn )) = lim f (akn ) − lim f (bkn ) =


n→+∞ n→+∞ n→+∞
   
=f lim akn − f lim bkn = f (x0 ) − f (x0 ) = 0
n→+∞ n→+∞

Ma ciò è assurdo, in quanto

|f (akn ) − f (bkn )| ≥ ε, ∀ n ∈ N.

Osservazione 3.17. La condizione di compattezza del dominio,espressa nel precedente teo-


rema è solo sufficiente, ma non necessaria. Infatti, basta considerare una qualsiasi funzione
costante, definita su tutto R, la quale è ovviamente continua e uniformemente continua, ma
il dominio non è compatto.

70
4 Calcolo differenziale

4.1 Funzioni derivabili e prime proprietà.

Introduciamo la seguente proprietà.


Definizione 4.1. Siano A ⊆ R, e f : A → R. Sia x0 ∈ A ∩ Der(A). Si chiama rapporto
incrementale, di f in x0 , il seguente
f (x) − f (x0 )
, x ∈ A \ {x0 }.
x − x0
Si dice che f è derivabile in x0 , se esiste ed è finito il limite del rapporto incrementale, di
f in x0 , per x → x0 , cioè:
f (x) − f (x0 )
∃ lim =λ∈R
x→x0 x − x0
In questo caso si pone f 0 (x0 ) = λ e il valore f 0 (x0 ) si chiama derivata di f in x0 . Diremo
che f è derivabile su A se f è derivabile in x0 per ogni x0 ∈ A.
Osservazione 4.1. Ponendo h = x − x0 , allora il limite nella precedente definizione si
riscrive nel modo seguente
f (x) − f (x0 ) f (x0 + h) − f (x0 )
lim = lim .
x→x0 x − x0 h→0 h
Esempio 4.1. Siano A ⊆ R, e f : A → R , f (x) = c, con c ∈ R. Se x0 ∈ A ∩ Der(A),
allora f è derivabile in x0 e si ha f 0 (x0 ) = 0. Infatti, vale
f (x) − f (x0 ) c−c
lim = lim   = 0.
x→x0 x − x0 x→x0 x − x0

Il seguente risultato fornisce una caratterizzazione equivalente delle funzioni derivabili.


Lemma 4.1. Siano A ⊆ R, e f : A → R. Sia x0 ∈ A ∩ Der(A). Allora:
(
∃ λ ∈ R tale che
f è derivabile in x0 ⇐⇒
f (x) = f (x0 ) + λ(x − x0 ) + o(x − x0 ), x → x0

In questo caso si ha λ = f 0 (x0 ).


Dimostrazione. (Caso =⇒ )
Supponiamo f derivabile in x0 , allora:
f (x) − f (x0 )
lim = f 0 (x0 ) ∈ R,
x→x0 x − x0

71
cioé
f (x) − f (x0 ) − f 0 (x0 )(x − x0 )
 
f (x) − f (x0 )
lim − f 0 (x0 ) = lim = 0.
x→x0 x − x0 x→x0 x − x0
Dalla definizione di "o-piccolo", si ha

f (x) − f (x0 ) − f 0 (x0 )(x − x0 ) = o(x − x0 ) per x → x0 ,

che significa
f (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + o(x − x0 ) per x → x0 ,
ed in particolare λ = f 0 (x0 ).
(Caso ⇐= )
Se ∃ λ ∈ R tale che f (x) = f (x0 ) + λ(x − x0 ) + o(x − x0 ) per x → x0 , allora, sostituendo
f (x) nel rapporto incrementale, si ha

f (x) − f (x0 ) f (x ) + λ(x − x0 ) + o(x − x0 ) − 


0 f (x )
0
lim = lim  =
x→x0 x − x0 x→x 0 x − x0
= lim (λ + o(1)) = λ ∈ R.
x→x0

Quindi f è derivabile in x0 ed inoltre f 0 (x0 ) = λ.

Il precedente risultato permette di ottenere la seguente implicazione.


Corollario 4.1. Siano A ⊆ R, e f : A → R. Sia x0 ∈ A ∩ Der(A). Se f è derivabile in x0
allora f è continua in x0 .
Dimostrazione. Dal Lemma 4.1, se f è derivabile in x0 , allora

f (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + o(x − x0 ), x → x0 .

Ora, poiché x0 ∈ A ∩ Der(A), per provare la continuità di f possiamo utilizzare il punto


(ii) dell’Osservazione 3.13. Dunque:

lim f (x) = lim f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + o(x − x0 ) =



x→x0 x→x0
= lim f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + (x − x0 ) · o(1) =

x→x0
= f (x0 ) + f 0 (x0 ) · 0 + 0 = f (x0 ).

Cioè f è continua in x0 .

La precedente affermazione non si può invertire in generale: esistono funzioni continue ma


non derivabili.
Esempio 4.2. Sia f : R → R, f (x) = |x|. Prima di tutto osserviamo che f ∈ C(R; R). In
particolare f è continua in x0 = 0. Mostriamo che f non è derivabile in 0. Infatti:
|x| − |0| |x| |x| |x| − |0|
lim = lim = 1 6= −1 = lim = lim .
x→0+ x−0 x→0+ x x→0− x x→0− x − 0

Quindi
f (x) − f (x0 ) |x| − |0|
@ lim = lim ,
x→x0 x − x0 x→0 x − 0

72
per cui f non è derivabile in x0 = 0.
Mostriamo ora che comunque, se x0 6= 0, allora f è derivabile in x0 .
Sia x0 > 0, si ha

|x| − |x0 | x − x0
lim = lim = 1.
x→x0 x − x0 x→x0 x − x0

Sia x0 < 0, si ottiene

|x| − |x0 | −x + x0
lim = lim = −1.
x→x0 x − x0 x→x0 x − x0

In conclusione, f è derivabile su R \ {0}. In particolare, per ogni x 6= 0, vale


(
x |x| 1, x>0
f 0 (x) = sgn(x) = = =
|x| x −1, x < 0

Esempio 4.3. Usando la definizione di derivata, si ottengono le seguenti formule (verificare


per esercizio)

(i) f : R → R, f (x) = x. Allora f è derivabile su R, con f 0 (x) = 1.

(ii) f : R → R, f (x) = ex . Allora f è derivabile su R, con f 0 (x) = ex = f (x).

(iii) f : R → R, f (x) = sin(x). Allora f è derivabile su R, con f 0 (x) = cos(x).

(iv) f : R → R, f (x) = cos(x). Allora f è derivabile su R, con f 0 (x) = − sin(x).

Definizione 4.2. Siano A ⊆ R, e f : A → R, derivabile in x0 ∈ A ∩ Der(A). Chiamiamo


retta tangente ad f , nel punto x0 , la seguente retta di equazione:

y(x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ).

In particolare si ha y(x0 ) = f (x0 ).

Osservazione 4.2. Riscrivendo y(x) = f 0 (x0 ) x + f (x0 ) − f 0 (x0 ) x0 , si ottiene la classica


scrittura del tipo y(x) = mx + q, con m = f 0 (x0 ), q = f (x0 ) − f 0 (x0 ) x0 .

Esempio 4.4. Siano f : R → R, f (x) = sin(x) e x0 = π4 . Allora, f è derivabile su R, con


f 0 (x) = cos(x). In particolare, la retta tangente ad f , nel punto x0 , è la seguente retta di
equazione:
π  π   π 1 1  π
y(x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) = sin + cos x− = √ + √ x− .
4 4 4 2 2 4

Equivalentemente
x 1 π 1 1 π
y(x) = √ + √ − √ , m= √ , q=√ − √ .
2 2 4 2 2 2 4 2
Valgono le seguenti proprietà algebriche.

73
Proposizione 4.1. Sia A ⊆ R, e f, g : A → R due funzioni derivabili in x0 ∈ A ∩ Der(A).
Allora:

(i) f + g è derivabile in x0 e si ha

(f + g)0 (x0 ) = f 0 (x0 ) + g 0 (x0 );

(ii) f · g è derivabile in x0 e si ha (regola di Leibniz)

(f · g)0 (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g 0 (x0 );

f
(iii) se g(x) 6= 0 per ogni x ∈ A, è derivabile in x0 e si ha
g
 0
f f 0 (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g 0 (x0 )
(x0 ) = .
g (g(x0 ))2

Dimostrazione. Dimostriamo il punto (ii) e lasciamo gli altri per esercizio. Abbiamo

f (x)g(x) − f (x0 )g(x0 ) f (x)g(x) − f (x0 )g(x) + f (x0 )g(x) − f (x0 )g(x0 )
lim = lim =
x→x0 x − x0 x→x0 x − x0
   
f (x) − f (x0 ) g(x) − g(x0 )
= lim g(x) + f (x0 ) =
x→x0 x − x0 x − x0
= f 0 (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g 0 (x0 ).

Si noti che g(x) → g(x0 ), per x → x0 , in quanto g è continua in x0 essendo per ipotesi
ivi derivabile (Corollario 4.1). Questo dimostra che il prodotto f · g è derivabile in x0 , con
derivata

(f · g)0 (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g 0 (x0 ).

Proposizione 4.2. Siano A ⊆ R, f : A → R e x0 ∈ A ∩ Der(A). Siano inoltre B ⊆ R,


g : B → R, con f (A) ⊆ B e f (x0 ) = y0 ∈ Der(B). Se f è derivabile in x0 e g è derivabile
in y0 , allora la funzione composta g ◦ f è derivabile in x0 e si ha

(g ◦ f )0 (x0 ) = g 0 (f (x0 )) · f 0 (x0 ).

Dimostrazione. Utilizziamo la caratterizzazione data dal Lemma 4.1. Quindi, per ipotesi,
abbiamo
f (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + o(x − x0 ), x → x0 ,
g(y) = g(y0 ) + g 0 (y0 )(y − y0 ) + o(y − y0 ), y → y0 .
Per comodità, riscriviamo la prima relazione nel seguente modo:

f (x) − f (x0 ) = (x − x0 ) f 0 (x0 ) + o(1) , x → x0 .




74
Sia f (x) = y e osserviamo che, se x → x0 , allora f (x) = y → y0 = f (x0 ) (Corollario 4.1).
Poniamo ora h : A → R, h(x) = (g ◦ f )(x) = g(f (x)). Usando le proprietà degli "o-piccoli"
(Osservazione 3.12, Proposizione 2.1), si ottiene, per x → x0 ,
h(x) = g(f (x)) = g(y0 ) + g 0 (y0 )(y − y0 ) + o(y − y0 ) =
= g(f (x0 )) + g 0 (f (x0 ))(f (x) − f (x0 )) + o(f (x) − f (x0 )) =
= g(f (x0 )) + g 0 (f (x0 )) (x − x0 ) f 0 (x0 ) + o(1) + f 0 (x0 ) + o(1) o(x − x0 ) =
  

= g(f (x0 )) + g 0 (f (x0 ))f 0 (x0 )(x − x0 ) + o(x − x0 ) =


= h(x0 ) + h0 (x0 )(x − x0 ) + o(x − x0 ).
Quindi, di nuovo dal Lemma 4.1, questo dimostra che la funzione composta g ◦f è derivabile
in x0 , con derivata
(g ◦ f )0 (x0 ) = g 0 (f (x0 )) · f 0 (x0 ).

Proposizione 4.3. Siano A ⊆ R, A intervallo, f : A → R iniettiva e derivabile su A con


f 0 (x0 ) 6= 0, ∀x0 ∈ A. Posto B = f (A), allora la funzione inversa f −1 : B → A, è derivabile
su B, con derivata
0 1
f −1 (y0 ) = 0 −1 , ∀y0 ∈ B.
f (f (y0 ))
Dimostrazione. Poniamo y = f (x) e x = f −1 (y). Quindi, se x0 ∈ A allora y0 = f (x0 )
e x0 = f −1 (y0 ). Ora, f è derivabile, quindi continua (Corollario 4.1); inoltre poiché A è
intervallo, allora dal Teorema 3.13, si ha che la funzione inversa f −1 è continua. Quindi,
risulta
x = f −1 (y) → f −1 (y0 ) = x0 , se y → y0 .
Allora
f −1 (y) − f −1 (y0 ) x − x0 1
lim = lim = lim =
y→y0 y − y0 x→x0 f (x) − f (x0 ) x→x0 f (x) − f (x0 )
x − x0
1 1 0
= f −1 (y0 ).

= 0 = 0 −1
f (x0 ) f (f (y0 ))

Esempio 4.5. Usando le proprietà espresse dalla Proposizione 4.1, Proposizione 4.2, Pro-
posizione 4.3, si ottengono le seguenti formule (verificare per esercizio).
(i) f : R → R, f (x) = xn , con n ∈ N. Allora f è derivabile su R, con f 0 (x) = nxn−1 .
1
(ii) f : R → R, f (x) = arctan(x). Allora f è derivabile su R, con f 0 (x) = .
1 + x2
1
(iii) f : A → R, f (x) = log(x). Allora f è derivabile su A, con f 0 (x) = .
x
(iv) f : A → R, f (x) = xa , con a ∈ R. Allora f è derivabile su A, con f 0 (x) = axa−1 .
In (iii) e (iv) abbiamo posto A = (0, +∞).

75
4.2 Alcuni teoremi.

Definizione 4.3. Siano A ⊆ R e f : A → R, derivabile in x0 ∈ A ∩ Der(A).


Se f 0 (x0 ) = 0, allora x0 si dice punto critico, per f .
Teorema 4.1 (Fermat). Siano A ⊆ R e f : A → R, derivabile in x0 ∈ Int(A).
Se x0 è estremante locale, per f , allora x0 è un punto critico, per f .
Dimostrazione. Vogliamo mostrare che f 0 (x0 ) = 0. Supponiamo, ad esempio, x0 punto di
minimo locale. Allora
∃ W1 ∈ Ux0 t.c. f (x0 ) ≤ f (x), ∀x ∈ W1 ∩ A,
cioè
∃ δ1 > 0, t.c. f (x0 ) ≤ f (x), ∀x ∈ (x0 − δ1 , x0 + δ1 ), x ∈ A.
Inoltre, poiché x0 ∈ Int(A), allora
∃ W2 ∈ Ux0 t.c. W1 ⊆ A,
ossia
∃ δ2 > 0, t.c. (x0 − δ2 , x0 + δ2 ) ⊆ A.
Poniamo δ = min{δ1 , δ2 } e consideriamo il rapporto incrementale di f in x0 . Si ha:
f (x) − f (x0 )
≥ 0, ∀ x ∈ (x0 , x0 + δ),
x − x0
mentre
f (x) − f (x0 )
≤ 0, ∀ x ∈ (x0 − δ, x0 ).
x − x0
Allora, poiché f è derivabile in x0 , esiste ed è finito il limite del rapporto incrementale, per
x → x0 ; d’altra parte per il corollario del teorema della permanenza del segno (Corollario
3.1) applicato al rapporto incrementale, si ottiene
f (x) − f (x0 )
lim = f 0 (x0 ) ≥ 0,
x→x+
0
x − x0
mentre
f (x) − f (x0 )
lim = f 0 (x0 ) ≤ 0.
x→x−
0
x − x0
Allora necessariamente f 0 (x0 ) = 0.
Esempio 4.6. Mostriamo con un esempio che l’implicazione del Teorema di Fermat non
si può invertire in generale. Infatti, sia f : R → R, f (x) = x3 . Allora, f è derivabile su R,
con f 0 (x) = 3x2 . In particolare x0 = 0 è un punto critico (ed interno). Ora, abbiamo
se x ≥ 0 =⇒ f (x) = x3 ≥ 0 = f (0),
se x ≤ 0 =⇒ f (x) = x3 ≤ 0 = f (0).
Quindi, non può esistere un intorno di 0, su cui la funzione è sempre positiva o negativa.
Dunque, x0 non è estremante locale.

76
Esempio 4.7. Sia f : R → R, f (x) = |x|. Allora, x0 = 0 è un punto interno e un minimo
locale (globale), per f , infatti

f (0) = 0 ≤ |x| = f (x), ∀x ∈ R.

D’altra parte, f non è derivabile in 0, quindi 0 non può essere punto critico per f .

Esempio 4.8. Siano A = [2, 5] e f : A → R, f (x) = x. Allora f è derivabile su A, con


f 0 (x) = 1. In particolare, poiché x0 = 2 ∈ A ∩ Der(A), si ha f 0 (2) = 1, pertanto 2 non è
punto critico per f. D’altra parte, ovviamente 2 è punto di minimo locale (globale) per f .
Osserviamo esplicitamente che, in questo caso il Teorema di Fermat non si applica, perché
2 6∈ Int(A).

Osservazione 4.3. Di seguito vedremo alcuni teoremi riguardanti le funzioni derivabili su


intervalli; osserviamo esplicitamente che, se A ⊆ R è un intervallo (non degenere), allora
si ha che A ⊆ Der(A).

Teorema 4.2 (Rolle). Siano a, b ∈ R, con a < b, e sia f ∈ C([a, b] ; R), derivabile su (a, b).
Se f (a) = f (b), allora ∃ x0 ∈ (a, b), tale che f 0 (x0 ) = 0.

Dimostrazione. Poichè f ∈ C([a, b] ; R) ed [a, b] è compatto (poichè é chiuso e limitato,


Teorema 2.10), allora per il teorema di Weierstrass (Teorema 3.11)

∃ x1 , x2 ∈ [a, b] t.c. f (x1 ) = min f, f (x2 ) = max f


[a,b] [a,b]

Distinguiamo due casi. Se x1 , x2 ∈ {a, b}, allora per ipotesi, f (x1 ) = f (x2 ), quindi f (x) è
costante e di conseguenza f 0 (x) = 0, ∀x ∈ [a, b].
Se invece, uno fra x1 , x2 , ad esempio x1 ∈ (a, b), ossia x1 ∈ Int([a, b]), allora poiché x1 è
minimo locale (globale), per il teorema di Fermat (Teorema 4.1) si ha f 0 (x1 ) = 0.

Teorema 4.3 (Cauchy). Siano a, b ∈ R, con a < b, e siano f, g ∈ C([a, b] ; R), derivabili
su (a, b). Supponiamo g 0 (x) 6= 0, ∀x ∈ (a, b). Allora ∃ x0 ∈ (a, b), tale che

f (b) − f (a) f 0 (x0 )


= 0 .
g(b) − g(a) g (x0 )

Dimostrazione. Preliminarmente, osserviamo che dall’ipotesi g 0 (x) 6= 0, per ogni x ∈ (a, b),
allora dal teorema di Rolle segue g(b) 6= g(a). Ora, poniamo

h : [a, b] → R, h(x) = f (x)[g(b) − g(a)] − g(x)[f (b) − f (a)].

Evidentemente h ∈ C([a, b] ; R), derivabile su (a, b), con derivata

h0 (x) = f 0 (x)[g(b) − g(a)] − g 0 (x)[f (b) − f (a)].

Inoltre, si verifica che

h(a) = f (a)[g(b) −   − g(a)[f (b) − f (a)]


g(a)]


 = f (a)g(b) − g(a)f (b),

 − g(a)] − g(b)[f (b)
h(b) = f (b)[
g(b)  − f (a)] = f (a)g(b) − g(a)f (b),


77
ossia h(a) = h(b). Allora, per il teorema di Rolle (Teorema 4.2), esiste x0 ∈ (a, b) tale che
h0 (x0 ) = 0. Perciò

0 = h0 (x0 ) = f 0 (x0 )[g(b) − g(a)] − g 0 (x0 )[f (b) − f (a)],

e quindi, poichè g 0 (x0 ) 6= 0 e g(b) − g(a) 6= 0,

f (b) − f (a) f 0 (x0 )


= 0 .
g(b) − g(a) g (x0 )

Teorema 4.4 (Lagrange, o del valor medio). Siano a, b ∈ R, con a < b, e sia f ∈
C([a, b] ; R), derivabile su (a, b). Allora ∃ x0 ∈ (a, b) tale che

f (b) − f (a)
= f 0 (x0 ).
b−a
Dimostrazione. E’ una semplice applicazione del Teorema di Cauchy (Teorema 4.3), consi-
derando g(x) = x.

Diamo di seguito alcuni corollari del Teorema di Lagrange. Il primo riguarda l’Esempio 4.1,
in cui si mostrava che le funzioni costanti sono derivabili con derivata nulla: in generale
l’affermazione non si può invertire, come mostra il seguente esempio.

Esempio 4.9. Siano A = R \ {0} ed f : A → R, f (x) = arctg(x) + arctg x1 . Si ha che f




è derivabile su A, in particolare

1 x2
 
0 1 1 1 1
f (x) = + · − = − =0
1 + x2 1 + 1 2 x2 1 + x2 x2 x2 + 1

x

Quindi f 0 (x) = 0, ∀x ∈ A, ma f non è costante su A: infatti, ad esempio f (1) = π2 , mentre


f (−1) = − π2 . Osseviamo esplicitamente che A non è un intervallo (disegnare il grafico di
f per esercizio).

Corollario 4.2. Sia A ⊆ R, A intervallo e sia f : A → R, derivabile su A. Se f 0 (x) = 0,


∀x ∈ A, allora f è costante su A.

Dimostrazione. Consideriamo due punti arbitrari x1 , x2 ∈ A, con ad esempio x1 < x2 .


Occorre provare che f (x1 ) = f (x2 ). Ora, poichè A è un intervallo e poichè x1 , x2 ∈ A si
ha [x1 , x2 ] ⊆ A. Sull’intervallo [x1 , x2 ] la funzione f risulta derivabile (in particolare anche
continua). Allora, per il teorema di Lagrange (Teorema 4.4) , ∃ x0 ∈ (x1 , x2 ) tale che

f (x2 ) − f (x1 )
= f 0 (x0 )
x2 − x1
Ma, per ipotesi, f 0 (x0 ) = 0 e x1 6= x2 . Allora f (x1 ) = f (x2 ), ∀x1 , x2 ∈ A, cioè f è costante
su A.

Il seguente corollario riguarda la derivata di funzioni monotone. Premettiamo la seguente


Osservazione.

78
Osservazione 4.4. Sia A ⊆ R, f : A → R, derivabile su A. Se f % allora f 0 (x) ≥ 0,
∀x ∈ A. Infatti, se f è monotona crescente, allora ∀x, y ∈ A, con x 6= y, risulta
f (y) − f (x)
≥0
y−x
Quindi, per il corollario del teorema della permanenza del segno (Corollario 3.1), si ha
f (y) − f (x)
lim = f 0 (x) ≥ 0 , ∀x ∈ A.
y→x y−x
Ovviamente, se f & allora f 0 (x) ≤ 0, ∀x ∈ A.
Anche in questo caso, in generale l’affermazione precedente non si può invertire, come
mostra il seguente esempio.
Esempio 4.10. Siano A = R \ {0} ed f : A → R, f (x) = x1 . Si ha che f è derivabile su A,
in particolare f 0 (x) = − x12 . Quindi f 0 (x) ≤ 0, ∀x ∈ A, ma f non è monotona decrescente:
infatti, ad esempio f (1) = 1, mentre f (−1) = −1. Osseviamo esplicitamente che A non è
un intervallo (disegnare il grafico di f per esercizio).
Corollario 4.3 (Test di monotonia). Sia A ⊆ R, A intervallo e sia f : A → R, derivabile
su A. Se f 0 (x) ≥ 0, ∀x ∈ A, allora f %; se invece f 0 (x) ≤ 0, ∀x ∈ A, allora f & .
Dimostrazione. Proviamo solo il caso f %, l’altro è analogo. Siano allora x, y ∈ A, con
ad esempio x < y. Si tratta di provare che f (x) ≤ f (y). Ora, poichè A è un intervallo e
poichè x, y ∈ A, risulta [x, y] ⊆ A. Sull’intervallo [x, y] la funzione f risulta derivabile (in
particolare anche continua). Allora, per il teorema di Lagrange (Teorema 4.4) , ∃ x0 ∈ (x, y)
tale che
f (y) − f (x)
= f 0 (x0 ).
y−x
Ma, per ipotesi, f 0 (x0 ) ≥ 0 e x < y. Allora f (x) ≤ f (y), cioè f %.

Esempio 4.11. Mostriamo con un esempio che, se ad esempio f % strettamente, allora


non è detto che f 0 è strettamente positiva. Infatti, sia ad esempio f : R → R, f (x) = x3 .
Risulta f % strettamente (f è iniettiva). D’altra parte, si ha che f è derivabile su R, in
particolare f 0 (x) = 3x2 . Perciò f 0 (x) ≥ 0, ∀x ∈ R, ma f 0 (0) = 0.
Teorema 4.5 (Bernoulli-de l’Hôpital). Sia A ⊆ R, intervallo aperto. Sia x0 ∈ Der(A),
x0 ∈ R. Siano f, g : A \ {x0 } → R derivabili su A \ {x0 }, con g 0 (x) 6= 0, ∀x ∈ A \ {x0 }.
Supponiamo infine che risulti
lim f (x) = lim g(x) = 0 (oppure ± ∞).
x→x0 x→x0

Se
f 0 (x)
∃ lim =`∈R
x→x0 g 0 (x)
allora
f (x)
∃ lim = `.
x→x0 g(x)

79
Dimostrazione. Consideriamo solo il caso x0 ∈ R. Poniamo f˜ : A ∪ {x0 } → R,
(
˜ f (x), x 6= x0
f (x) =
0, x = x0

e osserviamo che

lim f˜(x) = lim f (x) = 0 = f˜(x0 ).


x→x0 x→x0

Perciò f˜ ∈ C(A ∪ {x0 }; R). Allo stesso modo, poniamo g̃ : A ∪ {x0 } → R,


(
g(x), x 6= x0
g̃(x) =
0, x = x0

perciò g̃ ∈ C(A ∪ {x0 }; R). Sia ora {an } ⊆ A+


x0 , tale che an → x0 per n → +∞. Allora

f (x) f˜(x) f˜(x) − f˜(x0 ) f˜(an ) − f˜(x0 )


lim = lim = lim = lim .
x→x+
0
g(x) x→x+ 0
g̃(x) x→x+ 0
g̃(x) − g̃(x0 ) n→+∞ g̃(an ) − g̃(x0 )

Poiché ∀n ∈ N, [x0 , an ] ⊆ A ∪ {x0 }, si ha che f˜, g̃ ∈ C([x0 , an ] ; R) e derivabili su (x0 , an ),


∀n ∈ N. Allora, dal Teorema 4.3, ∃ bn ∈ (x0 , an ), ∀n ∈ N, tale che

f˜(an ) − f˜(x0 ) f˜0 (bn )


= 0 .
g̃(an ) − g̃(x0 ) g̃ (bn )
Ora, visto che x0 < bn < an , ∀n ∈ N ed an → x0 per n → +∞, allora dal Teorema dei due
carabinieri si ottiene: {bn } ⊆ A+
x0 , bn → x0 per n → +∞. Perciò

f˜0 (bn ) f 0 (bn )


lim = lim = `.
n→+∞ g̃ 0 (bn ) n→+∞ g 0 (bn )

Quindi

f (an ) f˜(an ) − f˜(x0 ) f˜0 (bn ) f 0 (bn )


lim = lim = lim 0 = lim 0 = `.
n→+∞ g(an ) n→+∞ g̃(an ) − g̃(x0 ) n→+∞ g̃ (bn ) n→+∞ g (bn )

Questo mostra che


f (x)
lim = `.
x→x+
0
g(x)

Ragionando allo stesso modo, per x → x−


0 , si ottiene

f (x)
lim = `.
x→x−
0
g(x)

In conclusione
f (x)
lim = `.
x→x0 g(x)

80
Esempio 4.12. Mostriamo con un esempio che la condizione di esistenza del limite del
rapporto delle derivate, nell’enunciato del teorema precedente, è un’ipotesi essenziale. Con-
sideriamo il seguente limite
 
x + sen(x) +∞
lim .
x→+∞ x +∞
Studiando il limite del rapporto delle derivate, si avrebbe
1 + cos(x)
lim = @.
x→+∞ 1
Però il limite iniziale esiste, infatti si ha
 
x + sen(x) sen(x)
lim = lim 1+ = 1.
x→+∞ x x→+∞ x
Esempio 4.13. Mostriamo che a volte il teorema precedente non è risolutivo. Consideriamo

1 + x2
 
+∞
lim .
x→+∞ x +∞
Studiando il limite del rapporto delle derivate, si avrebbe
1 2x
√  
2 1 + x2 x +∞
lim = lim √ .
x→+∞ 1 x→+∞ 1 + x2 +∞
Il limite iniziale esiste, infatti si ha
q q
1 1
x2 · (1 + x2
) |x| · 1+ x2
lim = lim = 1.
x→+∞ x x→+∞ x

Definizione 4.4. Sia A ⊆ R e sia f : A → R. Si dice che f è "di classe C 1 " in A, se:
(i) f è derivabile su A;

(ii) f 0 ∈ C(A; R).


L’insieme di tutte le funzioni di classe C 1 su A si indica con C 1 (A; R). Quindi se f è di
classe C 1 in A scriveremo f ∈ C 1 (A; R).
Osservazione 4.5. Dato A ⊆ R, in generale vale C 1 (A; R) ( C(A; R), come mostrano i
seguenti esempi.
Esempio 4.14. Consideriamo, ad esempio, la funzione f : R → R, f (x) = |x|. Si ha che
f ∈ C(R; R), ma poiché f non è derivabile in x0 = 0, allora f 6∈ C 1 (R; R).
Esempio 4.15. Sia f : R → R,
 
x2 sen 1 ,

x 6= 0
f (x) = x
0, x=0

81
In ogni x 6= 0 la funzione è continua. Inoltre, poiché
 
2 1
lim f (x) = lim x sen = 0 = f (0),
x→0 x→0 x

allora f ∈ C(R; R). Studiamo la derivabilità. Per x 6= 0, si ha


        
0 1 2 1 1 1 1
f (x) = 2xsen + x cos − 2 = 2xsen − cos .
x x x x x

Per x = 0, studiamo il limite del rapporto incrementale:


1
x2 sen

f (x) − f (0) x
lim = lim = 0,
x→0 x−0 x→0 x
perciò f 0 (0) = 0. Quindi f è derivabile su R, con derivata
   
2xsen 1 − cos 1 ,

x 6= 0
f 0 (x) = x x
0, x = 0.

Studiamo ora la continuità della derivata. In ogni x 6= 0 la derivata è continua. Per x = 0,


si ha:
   
0 1 1
6= 0 = f 0 (0) .

lim f (x) = lim 2xsen − cos =@
x→0 x→0 x x

Perciò f 0 non è continua in x = 0, quindi f 6∈ C 1 (R; R).

Definizione 4.5. Sia A ⊆ R e sia f : A → R. Una funzione F si dice primitiva di f , se:

(i) F : A → R;

(ii) F è derivabile su A;

(iii) F 0 (x) = f (x), ∀x ∈ A.

Osservazione 4.6. In generale, data f , la primitiva di f non è unica.

Esempio 4.16. Consideriamo f : R → R, f (x) = x2 . Allora, ad esempio, le funzioni

x3 x3
F (x) = , G(x) = + 24,
3 3
sono entrambe primitive di f .

Teorema 4.6 (Darboux). Sia A ⊆ R. Si ha:


(
A intervallo
=⇒ f 0 (A) intervallo.
f derivabile su A

82
Dimostrazione. Siano x1 , x2 ∈ A e supponiamo, per esempio, x1 < x2 , con f 0 (x1 ) < f 0 (x2 ).
Sia λ ∈ R tale che f 0 (x1 ) < λ < f 0 (x2 ); occorre provare che ∃ x0 ∈ [x1 , x2 ] ⊆ A tale che
f 0 (x0 ) = λ. Poniamo

g : [x1 , x2 ] → R, g(x) = f (x) − λx.

Evidentemente g è continua e derivabile su [x1 , x2 ] con

g 0 (x) = f 0 (x) − λ

per ogni x ∈ [x1 , x2 ]. Inoltre:

g 0 (x1 ) = f 0 (x1 ) − λ < 0,


g 0 (x2 ) = f 0 (x2 ) − λ > 0,

quindi (dal Test di monotonia, Corollario 4.3) g non è monotona su [x1 , x2 ], ed essendo
continua, allora g non è iniettiva su [x1 , x2 ]. Perciò, ∃ x3 , x4 ∈ [x1 , x2 ] ⊆ A tali che
g(x3 ) = g(x4 ). Per il teorema di Rolle (Teorema 4.2), allora ∃ x0 ∈ [x3 , x4 ] tale che
g 0 (x0 ) = 0. Ma
g 0 (x0 ) = f 0 (x0 ) − λ = 0,
quindi f 0 (x0 ) = λ.

Osservazione 4.7. Se nell’enunciato del teorema precedente, f ∈ C 1 (A; R), allora il Teo-
rema di Darboux non sarebbe altro che il Teorema dei valori intermedi (Corollario 3.2)
applicato a f 0 .
Mostriamo con un esempio come il Teorema di Darboux permetta di provare l’esistenza di
funzioni che non ammettono primitive.
Esempio 4.17. Consideriamo la seguente funzione, f : [2, 7] → R,
(
3, 2≤x≤5
f (x) =
12, 5 < x ≤ 7

Supponiamo che esista una funzione F primitiva di f , ossia:


(i) F : [2, 7] → R;
(ii) F è derivabile su [2, 7];
(iii) F 0 (x) = f (x), ∀x ∈ [2, 7].
Poiché, da (i) e (ii), F verifica le ipotesi del Teorema di Darboux, allora F 0 ([2, 7]) dovrebbe
essere un intervallo. Ma dalla (iii) si ha che F 0 ([2, 7]) = f ([2, 7]) = {3, 12}, che non è un
intervallo, il che è assurdo. Quindi f non ammette primitiva.
Definizione 4.6. Sia A ⊆ R e sia f : A → R, derivabile su A (A ⊆ Der(A)). Si dice che
f è derivabile due volte in x0 , se f 0 è derivabile in x0 , ossia se esiste ed è finito il limite
del rapporto incrementale, di f 0 in x0 , per x → x0 , cioè:
f 0 (x) − f 0 (x0 )
∃ lim =λ∈R
x→x0 x − x0

83
In questo caso si pone f 00 (x0 ) = λ e il valore f 0 (x0 ) si chiama derivata seconda di f in
x0 . Diremo che f è derivabile due volte su A se f è derivabile due volte in x0 per ogni
x0 ∈ A. Inoltre, si dice che f è "di classe C 2 " in A, se:

(i) f è derivabile due volte su A;

(ii) f 00 ∈ C(A; R).

L’insieme di tutte le funzioni di classe C 2 su A si indica con C 2 (A; R). Quindi se f è di


classe C 2 in A scriveremo f ∈ C 2 (A; R).
Iterando, si definiscono le funzioni derivabili n volte e le derivate di ordine n, che si
indicano con f (n) ; analogamente si definiscono le funzioni "di classe C n " in A e gli insiemi
C n (A; R), con n ∈ N.
Infine, f si dice "di classe C ∞ " in A, se ∃ f (n) su A, ∀n ∈ N; l’insieme delle funzioni di
classe C ∞ in A si indica con C ∞ (A; R).

Esempio 4.18. Sia f : R → R, f (x) = ex .


Per ogni n ∈ N, si ha che f (n) (x) = ex , ∀x ∈ R. Perciò f ∈ C ∞ (R; R).

Osservazione 4.8. Dato A ⊆ R, vale la seguente catena di inclusioni

C ∞ (A; R) ( · · · ( C 2 (A; R) ( C 1 (A; R) ( C(A; R)

Mostriamo con degli esempi che le precedenti inclusioni possono essere strette.
√ 1
Esempio 4.19. Siano A : [0, +∞), f : A → R, f (x) = x = x 2 .
1
Si ha che f 0 (x) = 12 x− 2 = 12 √1x per x 6= 0; mentre f non è derivabile in 0. Perciò
f ∈ C(A; R), ma f 6∈ C 1 (A; R).
1 3
Esempio 4.20. Siano A : [0, +∞), f : A → R, f (x) = x1+ 2 = x 2 .
1
Si ha che f 0 (x) = 32 x 2 , ∀x ∈ A; in particolare f 0 ∈ C(A; R).
Inoltre f 00 (x) = 43 √1x per x 6= 0; mentre f 0 non è derivabile in 0. Perciò f ∈ C 1 (A; R), ma
f 6∈ C 2 (A; R).

84
4.3 Formule di Taylor.

Definizione 4.7. Sia n ∈ N ∪ {0}. Si dice che p : R → R è un polinomio (o funzione


polinomiale) di grado minore o uguale ad n, se esistono a0 , a1 , · · · , an ∈ R tali che
n
X
2 n
p(x) = a0 + a1 x + a2 x + · · · + an x = ak xk .
k=0

In questo caso a0 , a1 , · · · , an si chiamano i coefficienti di p. Inoltre, se an 6= 0 diremo che


p ha grado uguale ad n.
Indichiamo con Pn l’insieme di tutti i polinomi di grado minore o uguale ad n.
Proposizione 4.4. Sia p ∈ Pn e sia x0 ∈ R. Allora ∃ b0 , b1 , · · · , bn ∈ R tali che
n
X
p(x) = bk (x − x0 )k
k=0

Dimostrazione. Provare per induzione, per esercizio.

Lemma 4.2. Sia p ∈ Pn e sia x0 ∈ R tale che

p(x) = o ((x − x0 )n ) , x → x0 .

Allora p(x) ≡ 0, cioè p(x) = 0, ∀x ∈ R.


Dimostrazione. Per la proposizione precedente ∃ b0 , b1 , · · · , bn ∈ R tali che

p(x) = b0 + b1 (x − x0 ) + b2 (x − x0 )2 + · · · + bn (x − x0 )n .

Ragioniamo per assurdo e supponiamo p(x) 6≡ 0, quindi esiste k ∈ {0, 1, · · · , n} tale che
bk 6= 0. Sia m = min{k, t.c. bk 6= 0}, 0 ≤ m ≤ n. Allora

p(x) = bm (x − x0 )m + bm+1 (x − x0 )m+1 + · · · + bn (x − x0 )n =


= (x − x0 )m {bm + bm+1 (x − x0 ) + · · · + bn (x − x0 )n−m }.

Perciò
p(x) p(x) (x − x0 )n
0 6= bm = lim = lim =
x→x0 (x − x0 )m x→x0 (x − x0 )m (x − x0 )n
p(x)
= lim · (x − x0 )n−m = 0
x→x0 (x − x0 )n

il che è assurdo.

Proposizione 4.5. Sia p ∈ Pn , allora p ∈ C ∞ (R; R), con p(k) (x) = 0, ∀x ∈ R, k > n.
Inoltre, ∀x0 ∈ R, siano b0 , b1 , · · · , bn ∈ R, tali che
n
X
p(x) = bk (x − x0 )k ,
k=0

85
allora vale
n
X p(k) (x0 )
p(x) = (x − x0 )k ,
k!
k=0

p(k) (x0 )
ossia bk = , con k ∈ {0, 1, · · · , n} .
k!
Dimostrazione. Per esercizio.

Teorema 4.7 (Formula di Taylor con resto di Peano). Sia A ⊆ R un intervallo aperto. Sia
x0 ∈ A e sia f : A → R derivabile n-volte in x0 , con n ∈ N ∪ {0}. Allora ∃! T ∈ Pn tale
che

f (x) = T (x) + o((x − x0 )n ), x → x0

dove
n
X f (k) (x0 )
T (x) = (x − x0 )k .
k!
k=0

Il polinomio T si chiama polinomio di Taylor di f in x0 .

Dimostrazione. (Unicità) Supponiamo T1 , T2 ∈ Pn tali che

f (x) = T1 (x) + o((x − x0 )n ), x → x0


f (x) = T2 (x) + o((x − x0 )n ), x → x0 .

Ma T1 − T2 ∈ Pn e vale

T1 (x) − T2 (x) = o((x − x0 )n ), x → x0 .

Allora, per il Lemma 4.2 si ha T1 ≡ T2 .


(Esistenza) Sia T : R → R la funzione polinomiale definita nell’enunciato. Per la Proposi-
zione 4.5, risulta

T (k) (x0 ) = f (k) (x0 ), per 0 ≤ k ≤ n.

Vogliamo provare che risulta

f (x) − T (x)
lim = 0.
x→x0 (x − x0 )n

Poichè il numeratore e il denominatore soddisfano le ipotesi del Teorema di de l’Hôpital


(Teorema 4.5), studiamo il seguente limite

f 0 (x) − T 0 (x)
lim = 0.
x→x0 n(x − x0 )n−1

86
Di nuovo, il numeratore e il denominatore soddisfano le ipotesi del Teorema di de l’Hôpital,
quindi studiamo il seguente limite

f 00 (x) − T 00 (x)
lim = 0.
x→x0 n(n − 1)(x − x0 )n−2

Iteriamo questo procedimento, applicando n − 1 volte il teorema di de l’Hôpital, ottenendo


il seguente limite

f (n−1) (x) − T (n−1) (x)


lim = 0.
x→x0 n!(x − x0 )

Ora, poichè f (n−1) (x0 ) = T (n−1) (x0 ), il precedente limite diventa


" #
1 f (n−1) (x) − f (n−1) (x0 ) + f (n−1) (x0 ) − T (n−1) (x)
lim =
n! x→x0 x − x0
" #
1 f (n−1) (x) − f (n−1) (x0 ) T (n−1) (x) − T (n−1) (x0 )
= lim − =
n! x→x0 x − x0 x − x0
1 h (n) i
= f (x0 ) − T (n) (x0 ) = 0.
n!
Allora, tutti i limiti precedenti sono uguali a zero, in particolare

f (x) − T (x)
lim = 0.
x→x0 (x − x0 )n

Teorema 4.8 (Formula di Taylor con resto di Lagrange). Sia A ⊆ R un intervallo. Sia
f : A → R derivabile (n + 1)-volte su A, con n ∈ N ∪ {0}. Siano x0 , x ∈ A, ad esempio con
x0 < x, allora ∃ c ∈ (x0 , x) tale che

f (n+1) (c)
f (x) = Tn (x) + (x − x0 )n+1 .
(n + 1)!

Dimostrazione. Ricordiamo che

f (k) (x0 ) = T (k) (x0 ), 0 ≤ k ≤ n;


T (k) (x) = 0, k > n, ∀x ∈ R.

Occorre provare che

f (x) − Tn (x) f (n+1) (c)


= .
(x − x0 )n+1 (n + 1)!

Poniamo

F (x) = f (x) − Tn (x), G(x) = (x − x0 )n+1 ,

87
così risulta
F (x0 ) = f (x0 ) − Tn (x0 ) = 0, G(x0 ) = 0.
Allora, dal teorema di Cauchy (Teorema 4.3) ∃ c1 ∈ (x0 , x) tale che

F (x) F (x) − F (x0 ) F 0 (c1 )


= = 0 .
G(x) G(x) − G(x0 ) G (c1 )

Allo stesso modo, ∃ c2 ∈ (x0 , c1 ) ⊆ (x0 , x) tale che

F 0 (c1 ) F 0 (c1 ) − F 0 (x0 ) F 00 (c2 )


= = .
G0 (c1 ) G0 (c1 ) − G0 (x0 ) G00 (c2 )

Iterando il ragionamento, ∃ cn ∈ (x0 , cn−1 ) ⊆ (x0 , x) tale che

F (n−1) (cn−1 ) − F (n−1) (x0 ) F (n) (cn )


= .
G(n−1) (cn−1 ) − G(n−1) (x0 ) G(n) (cn )

Ora
F (n) (x) = f (n) (x) − Tn(n) (x), G(n) (x) = (n + 1)!(x − x0 ),
ed inoltre
F (n) (x0 ) = 0, G(n) (x0 ) = 0.
Allora ∃ c ∈ (x0 , cn ) ⊆ (x0 , x) tale che

F (n) (cn ) F (n) (cn ) − F (n) (x0 ) F (n) (cn ) − F (n) (x0 ) F (n+1) (c)
= = = .
G(n) (cn ) G(n) (cn ) − G(n) (x0 ) (n + 1)!(cn − x0 ) (n + 1)!

Ma
F (n+1) (x) = f (n+1) (x) − Tn(n+1) (x) = f (n+1) (x),
perciò F (n+1) (c) = f (n+1) (c). Allora ∃ c ∈ (x0 , x) tale che

f (x) − Tn (x) F (x) f (n+1) (c)


= = .
(x − x0 )(n+1) G(x) (n + 1)!

Osservazione 4.9. Se n = 0, il precedente teorema si riduce al Teorema di Lagrange


(Teorema 4.4).

Osservazione 4.10. Il resto di Lagrange è in particolare un resto di Peano, infatti

f (n+1) (c)
(x − x0 )n+1 = o((x − x0 )n ), x → x0 .
(n + 1)!

Esempio 4.21. Sia f : R → R, f (x) = ex . Si ha f (k) (x) = ex , ∀k ∈ N, f ∈ C ∞ (R; R).


Sia x0 = 0. Risulta f (k) (0) = e0 = 1. Pertanto
1 1 1
T (x) = 1 + x + x2 + x3 + x4 + . . . .
2 3! 4!

88
Esempio 4.22. Sia f : (−1, +∞) → R, f (x) = log(1 + x). Allora f ∈ C ∞ ((−1, +∞); R).
Sia x0 = 0. Risulta
f (x) = log(1 + x) f (0) = log(1) = 0
1
f 0 (x) = f 0 (0) = 1
1+x
1
f 00 (x) = − f 00 (0) = −1
(1 + x)2
2
f 000 (x) = f 000 (0) = 2
(1 + x)3
6
f (4) (x) = − f (4) (0) = −6
(1 + x)4
.. ..
. .
Pertanto
x2 x3 x4 x5 x6
T (x) = 0 + x − + − + − + ...
2 3 4 5 6
Esempio 4.23. Sia f : (−1, +∞) → R, f (x) = (1 + x)α , α ∈ R.
Allora f ∈ C ∞ ((−1, +∞); R). Sia x0 = 0. Risulta
f (x) = (1 + x)α f (0) = 1
0
f (x) = α(1 + x) α−1
f 0 (0) = α
f 00 (x) = α(α − 1)(1 + x)α−2 f 00 (0) = α(α − 1)
f 000 (x) = α(α − 1)(α − 2)(1 + x)α−3 f 000 (0) = α(α − 1)(α − 2)
.. ..
. .
Pertanto
α(α − 1) 2 α(α − 1)(α − 2) 3
T (x) = 1 + αx + x + x + ...
    2    3!
α α α 2 α 3
= + x+ x + x + ...,
0 1 2 3
dove abbiamo posto
 
α α(α − 1)(α − 2) · · · (α − k + 1)
= , per k ∈ N ∪ {0}, α ∈ R.
k k!
Esempio 4.24. Sia f : R → R, f (x) = cos(x). Allora f ∈ C ∞ (R; R).
Sia x0 = 0. Risulta
f (x) = cos(x) f (0) = 1
0
f (x) = − sin(x) f 0 (0) = 0
f 00 (x) = − cos(x) f 00 (0) = −1
f 000 (x) = sin(x) f 000 (0) = 0
f (4) (x) = f (x) f (4) (0) = 1
.. ..
. .

89
Pertanto
x2 x4 x6 x8
T (x) = 1 − + − + + ...
2 4! 6! 8!
Esempio 4.25. Sia f : R → R, f (x) = cos(x). Sia x0 = π2 . Risulta
π 
f (x) = cos(x) f =0
2π 
f 0 (x) = − sin(x) f0 = −1
2π 
f 00 (x) = − cos(x) f 00 =0
2π 
f 000 (x) = sin(x) f 000 =1
2π 
f (4) (x) = f (x) f (4) =0
2
.. ..
. .

Pertanto 3 5
 π x − π2 x − π2
T (x) = − x − + − + ...
2 3! 5!
Esempio 4.26. Sia f (x) = sin(x). Sia x0 = 0. Si ha

x3 x5 x7
T (x) = x − + − + ...
3! 5! 7!
Esempio 4.27. Sia f : R → R, f (x) = cosh(x). Sia x0 = 0. Si ha

x2 x4 x6
T (x) = 1 + + + + ...
2 4! 6!
Esempio 4.28. Sia f : R → R, f (x) = sinh(x). Sia x0 = 0. Si ha

x3 x5 x7
T (x) = x + + + + ...
3! 5! 7!
Concludiamo questa sezione con un criterio per stabilire l’esistenza di massimi o minimi
relativi.
Teorema 4.9. Siano A ⊆ R un intervallo e f ∈ C n+1 (A; R), con n ∈ N. Sia x0 ∈ Int(A),
tale che f 0 (x0 ) = 0 (cioè x0 punto critico). Supponiamo inoltre che

f (k) (x0 ) = 0 ∀k = 1, . . . , n
f (n+1) (x0 ) 6= 0

Allora vale:
(i) Se (n + 1) è dispari, allora x0 non è estremante locale per f ;

(ii) Se (n + 1) è pari ed f (n+1) (x0 ) > 0, allora x0 è punto di minimo locale per f ;

(iii) Se (n + 1) è pari ed f (n+1) (x0 ) < 0, allora x0 è punto di massimo locale per f .

90
Dimostrazione. Per le ipotesi e per la formula di Taylor con resto di Peano (Teorema 4.7),

f (x) = T(n+1) (x) + o (x − x0 )n+1 , x → x0




con
f (n+1) (x0 )
T(n+1) (x) = f (x0 ) + (x − x0 )n+1 .
(n + 1)!
Perciò

f (n+1) (x0 )
(x − x0 )n+1 + o (x − x0 )n+1 , x → x0

f (x) − f (x0 ) =
(n + 1)!
ovvero

f (x) − f (x0 ) f (n+1) (x0 )


= + o(1), x → x0 .
(x − x0 )n+1 (n + 1)!

Poichè f (n+1) (x0 ) 6= 0, esiste V ∈ Ux0 , V ⊆ A, tale che ∀x ∈ V \ {x0 } si ha


 
f (x) − f (x0 ) 
(n+1)

sgn = sgn f (x0 ) .
(x − x0 )n+1

Sia ora (n + 1) dispari e supponiamo, per assurdo, che x0 sia (ad esempio) un punto di
massimo locale. Allora
f (x) − f (x0 ) ≤ 0, ∀x ∈ V.
Ma
(x − x0 )n+1 ≥ 0 ⇐⇒ x ≥ x0
il che è assurdo. Quindi x0 non è estremante locale e questo dimostra il punto (i).
Sia ora (n + 1) pari e f (n+1) (x0 ) > 0, cioè
 
sgn f (n+1) (x0 ) = 1.

Siccome (x − x0 )n+1 ≥ 0, ∀x ∈ V , Allora

f (x) − f (x0 ) ≥ 0, ∀x ∈ V.

Quindi x0 è punto di minimo locale e questo dimostra il punto (ii).


In maniera analoga si prova (iii).

91
4.4 Funzioni convesse.

Definizione 4.8. Siano A ⊆ R un intervallo e f : A → R. Si dice che f è convessa se,


∀x1 , x2 ∈ A, vale

f ((1 − t)x1 + tx2 ) ≤ (1 − t)f (x1 ) + tf (x2 ),

con t ∈ [0, 1] .
Inoltre, si dice che f è concava se −f è convessa.

Osservazione 4.11. Ponendo x = (1 − t)x1 + tx2 , allora la definizione di convessità si


può anche scrivere in maniera equivalente nel seguente modo: ∀x1 , x2 ∈ A con x1 < x2 e
per ogni x ∈ (x1 , x2 ), vale

f (x) − f (x1 ) f (x2 ) − f (x1 )



x − x1 x2 − x1
oppure

f (x2 ) − f (x1 ) f (x2 ) − f (x)



x2 − x1 x2 − x
Esempio 4.29. Sia f : R → R, f (x) = |x|. Allora f è convessa.

Esempio 4.30. Sia f : [2, 7] → R,


(
1, x<7
f (x) =
3, x=7

Allora f è convessa.

Teorema 4.10. Siano A ⊆ R un intervallo e f : A → R convessa.


Se A è aperto allora f ∈ C(A; R).

Dimostrazione. Poiché A è aperto, si ha

x0 ∈ A =⇒ x0 ∈ Int(A) =⇒ x0 ∈ Der(A).

Allora

f è continua in x0 ⇐⇒ lim f (x) = f (x0 ).


x→x0

Siccome x0 ∈ Int(A) allora ∃ V ∈ Ux0 tale che V ⊆ A. Siano x1 , x, x2 ∈ V , tali che

x1 < x0 < x < x2 .

Poniamo
r1 (x) = f (x0 ) + m1 (x − x0 ), r2 (x) = f (x0 ) + m2 (x − x0 ),

92
dove
f (x0 ) − f (x1 ) f (x2 ) − f (x0 )
m1 = , m2 =
x0 − x1 x2 − x0
Poiché f è convessa, si ha (Osservazione 4.11)

r1 (x) ≤ f (x) ≤ r2 (x), ∀x ∈ (x0 , x2 ).

Siccome, per x → x+
0 , si ha r1 (x) → f (x0 ) ed r2 (x) → f (x0 ), allora

lim f (x) = f (x0 ).


x→x+
0

Ragionando in maniera analoga, si prova

lim f (x) = f (x0 ).


x→x−
0

Allora f è continua in x0 , per ogni x0 ∈ A, quindi f ∈ C(A; R).

Teorema 4.11. Siano A ⊆ R un intervallo e f : A → R derivabile su A. Allora

f è convessa ⇐⇒ f 0 %

Dimostrazione. (Caso =⇒ )
Supponiamo f convessa. Siano x1 , x2 ∈ A, con x1 < x2 , allora dobbiamo provare che
f 0 (x1 ) ≤ f 0 (x2 ). Siano t, z ∈ (x1 , x2 ) tali che x1 < t < z < x2 . Dalla convessità di f , si ha
f (t) − f (x1 ) f (z) − f (t) f (x2 ) − f (z)
≤ ≤
t − x1 z−t x2 − z
Passando al limite per t → x+
1 si ottiene:

f (z) − f (x1 ) f (x2 ) − f (z)


f 0 (x1 ) ≤ ≤ .
z − x1 x2 − z
Ora, passando al limite per z → x−
2 si ottiene:

f (x2 ) − f (x1 )
f 0 (x1 ) ≤ ≤ f 0 (x2 ).
x2 − x1
Allora, ne segue che f 0 (x1 ) ≤ f 0 (x2 ).
(Caso ⇐= )
Viceversa, supponiamo ora f 0 %. Siano x1 , x2 ∈ A tali che x1 < x2 e consideriamo
x ∈ (x1 , x2 ). Per il teorema del valor medio di Lagrange (Teorema 4.4) esistono y1 ∈ (x1 , x)
e y2 ∈ (x, x2 ) tali che
f (x) − f (x1 ) f (x2 ) − f (x)
= f 0 (y1 ), = f 0 (y2 )
x − x1 x2 − x
Poichè y1 < y2 e f 0 %, risulta f 0 (y1 ) ≤ f 0 (y2 ), quindi
f (x) − f (x1 ) f (x2 ) − f (x)
≤ ,
x − x1 x2 − x
cioè f è convessa (Osservazione 4.11).

93
Corollario 4.4 (Test di convessità). Siano A ⊆ R un intervallo e f : A → R derivabile
2-volte su A. Allora
f è convessa ⇐⇒ f 00 (x) ≥ 0, ∀x ∈ A

Dimostrazione. Per il teorema precedente f è convessa ⇐⇒ f 0 %. D’altra parte, dal test


di monotonia (Corollario 4.3), applicato alla derivata prima, si ha

f 0 % ⇐⇒ f 00 (x) ≥ 0, ∀x ∈ A.

Teorema 4.12. Siano A ⊆ R un intervallo e f : A → R derivabile 2-volte su A. Allora

f è convessa ⇐⇒ f (x) ≥ f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ), ∀x, x0 ∈ A.

Dimostrazione. (Caso =⇒ )
Supponiamo f convessa e siano, ad esempio, x0 < x. Per la formula di Taylor con resto di
Lagrange, al primo ordine, esiste c ∈ (x0 , x) tale che

f 00 (c)
f (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + (x − x0 )2 .
2!
Poichè f è convessa, allora per il test di convessità (Corollario 4.4), si ha f 00 (x) ≥ 0, ∀x ∈ A.
In particolare, f 00 (c) ≥ 0. Si conclude quindi che

f (x) ≥ f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ).

(Caso ⇐= )
Viceversa, supponiamo che ∀x, x0 ∈ A valga

f (x) ≥ f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ).

Allora

0 ≤ f (x) − {f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 )} =


f 00 (x0 ) f 00 (x0 )
 
0 2 2
= f (x) − f (x0 ) + f (x0 )(x − x0 ) + (x − x0 ) − (x − x0 ) =
2! 2!
f 00 (x0 )
= f (x) − T (x) + (x − x0 )2 ,
2!
dove T è il polinomio di Taylor di f in x0 , al secondo ordine. Se x 6= x0 , utilizzando la
formula di Taylor con resto di Peano (Teorema 4.7), si ha

f (x) − T (x) f 00 (x0 ) f 00 (x0 )


0≤ + −−−→ .
(x − x0 )2 2! x→x0 2!

Ciò prova che f 00 (x0 ) ≥ 0, ∀x0 ∈ A, quindi f è convessa.

94
5 Calcolo integrale

5.1 Integrale di Riemann.

Definizione 5.1. Siano a, b ∈ R, con a < b. Si chiama scomposizione dell’intervallo


[a, b], un insieme finito σ ⊆ [a, b], tale che

σ = {x0 , x1 , . . . , xn−1 , xn }

con x0 = a < x1 < · · · < xn−1 < xn = b. L’insieme di tutte le scomposizioni di [a, b] si
indica con Ω[a,b] . Quindi, se σ è una scomposizione di [a, b], scriveremo σ ∈ Ω[a,b] .
Denotiamo con Ik = [xk−1 , xk ], k = 1, 2, . . . , n, il k-esimo intervallo relativo a σ ∈ Ω[a,b] .
Si definisce misura di Ik il seguente valore reale non negativo

mis(Ik ) = xk − xk−1 .

Si chiama parametro di finezza della scomposizione σ ∈ Ω[a,b] , il seguente numero reale

|σ| = max {mis(Ik ), k = 1, . . . , n} .

Se σ1 , σ2 ∈ Ω[a,b] , si dice che σ1 è più fine di σ2 se σ2 ⊆ σ1 . In particolare, se σ1 è più fine


di σ2 allora |σ1 | ≤ |σ2 |.
Definizione 5.2. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione limitata. Sia
σ ∈ Ω[a,b] . Si chiama somma superiore, di f relativa a σ, il seguente numero reale
n
X
S(f, σ) = mis(Ik ) sup f ;
k=1 Ik

analogamente, si chiama somma inferiore, di f relativa a σ, il numero reale


n
X
s(f, σ) = mis(Ik ) inf f.
Ik
k=1

Lemma 5.1. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione limitata. Risulta

S(f, σ) ≥ s(f, σ), ∀σ ∈ Ω[a,b] .

Dimostrazione. Per esercizio.

Lemma 5.2. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione limitata. Si ha

(b − a) inf f ≤ S(f, σ) ≤ (b − a) sup f, ∀σ ∈ Ω[a,b] ,


[a,b] [a,b]

(b − a) inf f ≤ s(f, σ) ≤ (b − a) sup f, ∀σ ∈ Ω[a,b] .


[a,b] [a,b]

95
Dimostrazione. Per esercizio.

Lemma 5.3. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione limitata. Siano
σ1 , σ2 ∈ Ω[a,b] tali che σ1 sia più fine di σ2 (ossia σ2 ⊆ σ1 ). Allora si ha

S(f, σ2 ) ≥ S(f, σ1 ), s(f, σ2 ) ≤ s(f, σ1 ).

Dimostrazione. Proviamo solo la prima disuguaglianza. Possiamo supporre σ1 = σ2 ∪ {c},


con c 6∈ σ2 ; nel caso di un numero maggiori di punti da aggiungere si ragiona in maniera
analoga. Siano allora

σ2 = {x0 , x1 , . . . , xi , xi+1 , . . . , xn },
σ1 = {x0 , x1 , . . . , xi , c, xi+1 , . . . , xn }.

Si ha

S(f, σ2 ) − S(f, σ1 ) = (xi+1 − xi ) sup f − (c − xi ) sup f − (xi+1 − c) sup ≥


[xi ,xi+1 ] [xi ,c] [c,xi+1 ]

≥ {xi+1 − xi − (c − xi ) − (xi+1 − c)} sup f = 0.


[xi ,xi+1 ]

Lemma 5.4. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione limitata. Siano
σ1 , σ2 ∈ Ω[a,b] . Allora risulta

S(f, σ1 ) ≥ s(f, σ2 ).

Dimostrazione. Poniamo σ = σ1 ∪ σ2 , σ ∈ Ω[a,b] . Risulta σ1 ⊆ σ, σ2 ⊆ σ. Allora

s(f, σ2 ) ≤ s(f, σ) ≤ S(f, σ) ≤ S(f, σ1 ).

Definizione 5.3. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione limitata. Si


chiama integrale superiore di f , da a a b, il seguente numero reale
Z b
f (x)dx := inf S(f, σ).
a σ∈Ω[a,b]

Analogamente, si chiama integrale inferiore di f , da a a b, il seguente numero reale


Z b
f (x)dx := sup s(f, σ).
a σ∈Ω[a,b]

In particolare, vale
Z b Z b
f (x)dx ≤ f (x)dx.
a a

96
Definizione 5.4. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione limitata. Allora
f si dice integrabile (secondo Riemann), su [a, b], se risulta
Z b Z b
f (x)dx = f (x)dx.
a a

In tal caso il valore comune si chiama integrale (di Riemann) di f , da a a b, e si indica


con
Z b
f (x)dx.
a
L’insieme delle funzioni integrabili (secondo Riemann), su [a, b], si indica con R[a,b] . Quindi
se f è integrabile (secondo Riemann), su [a, b], scriveremo f ∈ R[a,b] .
Esempio 5.1. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R, f (x) = c ∈ R. Allora f ∈ R[a,b]
ed inoltre
Z b
f (x)dx = c(b − a).
a
Infatti, per ogni σ ∈ Ω[a,b] , vale
n
X n
X
S(f, σ) = mis(Ik ) sup f = c mis(Ik ) = c(b − a),
k=1 Ik k=1
Xn n
X
s(f, σ) = mis(Ik ) inf f = c mis(Ik ) = c(b − a).
Ik
k=1 k=1

Quindi
Z b
f (x)dx = inf S(f, σ) = c(b − a),
a σ∈Ω[a,b]
Z b
f (x)dx = sup s(f, σ) = c(b − a).
a σ∈Ω[a,b]

Ne segue che f ∈ R[a,b] , con


Z b
f (x)dx = c(b − a).
a
Esempio 5.2. Sia f : [2, 5] → R,
(
4, se x ∈ [2, 5] ∩ Q;
f (x) =
7, se x ∈ [2, 5] ∩ (R \ Q).
Allora f ∈
/ R[2,5] . Infatti, per ogni σ ∈ Ω[2,5] , vale
n
X n
X
S(f, σ) = mis(Ik ) sup f = 7 mis(Ik ) = 7(5 − 2) = 21,
k=1 Ik k=1
Xn n
X
s(f, σ) = mis(Ik ) inf f = 4 mis(Ik ) = 4(5 − 2) = 12.
Ik
k=1 k=1

97
Quindi
Z 5 Z 5
f (x)dx = 12 < 21 = f (x)dx.
2 2

Ne segue che f 6∈ R[2,5] .

Proposizione 5.1. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione limitata e sia
c ∈ (a, b). Allora (
f ∈ R[a,c] ,
f ∈ R[a,b] ⇐⇒
f ∈ R[c,b] .
In questo caso si ha
Z b Z c Z b
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx.
a a c

Dimostrazione. Per esercizio.

Proposizione 5.2. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f, g ∈ R[a,b] . Allora

(i) f + g ∈ R[a,b] ;

(ii) c · f ∈ R[a,b] , ∀c ∈ R;

(iii) Se f (x) ≤ g(x), ∀x ∈ [a, b], allora


Z b Z b
f (x)dx ≤ g(x)dx;
a a

(iv) |f | ∈ R[a,b] e vale


Z b Z b
f (x)dx ≤ |f (x)|dx.
a a

Dimostrazione. Per esercizio.

98
5.2 Integrabilità di funzioni monotone e continue.

Teorema 5.1 (Riemann). Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione


limitata. Allora

f ∈ R[a,b] ⇐⇒ ∀ε > 0, ∃ σ ∈ Ω[a,b] t.c. S(f, σ) − s(f, σ) < ε.

Dimostrazione. (Caso =⇒ )
Dalla Definizione 5.3, per ogni ε > 0, esistono σ1 , σ2 ∈ Ω[a,b] tali che
Z b
ε
f (x)dx − < s(f, σ1 ),
a 2

Z b
ε
f (x)dx + > S(f, σ2 ).
a 2

Sia ora σ = σ1 ∪ σ2 . Poichè σ1 ⊆ σ e σ2 ⊆ σ, dal Lemma 5.3, si ha

S(f, σ) ≤ S(f, σ2 ), s(f, σ) ≥ s(f, σ1 ).

Ora, se f ∈ R[a,b] , allora


Z b Z b Z b
f (x)dx = f (x)dx = f (x)dx.
a a a

Pertanto, si ottiene
Z b Z b
ε ε
S(f, σ) − s(f, σ) ≤ S(f, σ2 ) − s(f, σ1 ) < f (x)dx + − f (x)dx + = ε.
a 2 a 2

(Caso ⇐= )
Viceversa, supponiamo che per ogni ε > 0, esista σ ∈ Ω[a,b] tale che S(f, σ) − s(f, σ) < ε.
Si ha allora:
Z b Z b
0≤ f (x)dx − f (x)dx ≤ S(f, σ) − s(f, σ) < ε.
a a

Data l’arbitrarietà di ε > 0, allora


Z b Z b
f (x)dx = f (x)dx.
a a

In altri termini f ∈ R[a,b] .

Teorema 5.2. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione monotona. Allora
f ∈ R[a,b] .

99
Dimostrazione. Supponiamo, ad esempio, f %. Allora f (a) ≤ f (x) ≤ f (b) per ogni a ≤
x ≤ b; quindi f è limitata. Ora, ci sono due casi.

(1) Se f (a) = f (b)f allora f è costante e quindi f ∈ R[a,b] (Esempio 5.1).

(2) Se f (a) < f (b), allora, per ogni ε > 0, poniamo


ε
δ= > 0.
f (b) − f (a)

Sia ora σ ∈ Ω[a,b] con |σ| < δ, δ > 0. Si ha allora


n
X
S(f, σ) − s(f, σ) = mis(Ik )(sup f − inf f ) =
Ik Ik
k=1
n
X n
X
= mis(Ik )(f (xk ) − f (xk−1 )) ≤ |σ| (f (xk ) − f (xk−1 )) =
k=1 k=1
= |σ|{
f (x ) − f (a) + 
1 f (x ) −
2 f (x ) + · · · + f (b) − 
1 f (x 
n−1 )} =
= |σ|(f (b) − f (a)) < δ(f (b) − f (a)) = ε.

Questo, per il teorema di Riemann (Teorema 5.1), prova che f ∈ R[a,b] .

Teorema 5.3. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ C([a, b] ; R). Allora f ∈ R[a,b] .

Dimostrazione. Siccome l’intervallo [a, b] è compatto (Teorema 2.10), allora per il teorema
di Weierstrass (Teorema3.11), f ([a, b]) è compatta; quindi f è limitata in [a, b]. Inoltre, per
il teorema di Heine-Cantor (Teorema 3.15), si ha che f è uniformemente continua su [a, b],
cioè

∀ε1 > 0, ∃ δ > 0 t.c. |f (x) − f (y)| < ε1 , ∀x, y ∈ [a, b] , |x − y| < δ.
ε
Allora, per ogni ε > 0, scegliamo ε1 = > 0, e consideriamo σ ∈ Ω[a,b] con |σ| < δ. Si
b−a
ha allora
n n
!  
X X
S(f, σ) − s(f, σ) = mis(Ik ) sup f − inf f = mis(Ik ) max f − min f .
Ik Ik Ik Ik
k=1 k=1

Ora, di nuovo per il teorema di Weierstrass, ∀k = 1, . . . , n, esistono tk , yk ∈ Ik tali che

f (tk ) = max f, f (yk ) = min f.


Ik Ik

Allora si può scrivere


n
X   Xn
S(f, σ) − s(f, σ) = mis(Ik ) max f − min f = mis(Ik ) (f (tk ) − f (yk )) .
Ik Ik
k=1 k=1

100
D’altra parte, ∀k = 1, . . . , n,

0 ≤ |tk − yk | ≤ mis(Ik ) ≤ |σ| < δ,

quindi
|f (tk ) − f (yk )| = f (tk ) − f (yk ) < ε1 .
In conclusione
n
X n
X
S(f, σ) − s(f, σ) = mis(Ik ) (f (tk ) − f (yk )) < ε1 mis(Ik ) = ε1 (b − a) = ε.
k=1 k=1

Questo, per il teorema di Riemann (Teorema 5.1), prova che f ∈ R[a,b] .

Corollario 5.1. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ C((a, b] ; R) e limitata. Allora f ∈ R[a,b] .

Dimostrazione. Sia ε > 0. Allora esiste x1 ∈ (a, b] tale che


!
ε
(x1 − a) sup f − inf f < .
[a,x1 ] [a,x1 ] 2

Ora, f ∈ C([x1 , b] ; R) e quindi, dal Teorema 5.3, f ∈ R[x1 ,b] . Allora, dal teorema di
Riemann (Teorema 5.1), si ha che
ε
∀ε > 0, ∃ σ1 ∈ Ω[x1 ,b] t.c. S(f, σ1 ) − s(f, σ1 ) < .
2
In definitiva, posto σ = {a} ∪ σ1 , risulta σ ∈ Ω[a,b] e
!
ε ε
S(f, σ) − s(f, σ) = (x1 − a) sup f − inf f + S(f, σ1 ) − s(f, σ1 ) < + = ε.
[a,x1 ] [a,x1 ] 2 2

Questo, di nuovo per il teorema di Riemann, prova che f ∈ R[a,b] .

Corollario 5.2. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f : [a, b] → R una funzione limitata.


Supponiamo che l’insieme

D = {x ∈ [a, b] , tale che f è discontinua in x}

sia finito. Allora f ∈ R[a,b] .

Dimostrazione. Per esercizio.

101
5.3 Teorema fondamentale del calcolo integrale.

Definizione 5.5. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ R[a,b] . Per ogni c, d ∈ [a, b], poniamo
Z d Z c
f (x)dx = − f (x)dx.
c d

In particolare, se c = d, si ha
Z c
f (x)dx = 0.
c

Inoltre, si chiama media integrale il valore


Z b
1
f (x)dx.
b−a a
Teorema 5.4 (della media integrale). Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ R[a,b] . Allora si
ha
(i)
Z b
1
inf f ≤ f (x)dx ≤ sup f ;
[a,b] b−a a [a,b]

(ii) se f ∈ C([a, b] ; R), allora ∃ x0 ∈ [a, b], tale che


Z b
1
f (x)dx = f (x0 )
b−a a

Dimostrazione. Punto (i).


Poiché f ∈ R[a,b] , in particolare è limitata e vale:

inf f ≤ f (x) ≤ sup f , ∀x ∈ [a, b] .


[a,b] [a,b]

Integrando e usando il punto (iii) della Proposizione 5.2, si ottiene


Z b Z b Z b
inf f dx ≤ f (x)dx ≤ sup f dx,
a [a,b] a a [a,b]

cioè
Z b
(b − a) inf f ≤ f (x)dx ≤ (b − a) sup f.
[a,b] a [a,b]

Punto (i2).
Poiché f ∈ C([a, b] ; R), allora per il teorema di Weierstrass (Teorema3.11), f ([a, b]) è
compatta, in particolare

sup f = max f , inf f = min f,


[a,b] [a,b] [a,b] [a,b]

102
quindi ∃ x1 , x2 ∈ [a, b] tali che

f (x1 ) = min f , f (x2 ) = max f.


[a,b] [a,b]

Dal punto (i), si ottiene


Z b
1
f (x1 ) ≤ f (x)dx ≤ f (x2 ).
b−a a

Infine, dal teorema dei valori intermedi (Corollario 3.2), ∃ x0 ∈ [a, b] tale che
Z b
1
f (x)dx = f (x0 ).
b−a a

Definizione 5.6. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ R[a,b] . Si chiama funzione integrale


di f , la seguente funzione
Z x
If : [a, b] → R, If (x) = f (t)dt.
a

Osservazione 5.1. Se nella definizione precedente si fosse scelto un punto iniziale diverso,
si sarebbe ottenuta la stessa funzione integrale a meno di una costante. Infatti, sia c ∈ [a, b],
poniamo
Z x
˜
If : [a, b] → R, ˜
If (x) = f (t)dt.
c

Allora
Z x Z c Z x
If (x) = f (t)dt = f (t)dt + f (t)dt = costante + I˜f (x).
a a c

Teorema 5.5 (fondamentale del calcolo integrale). Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ R[a,b] .
Allora:

(i) If ∈ C([a, b] ; R);

(ii) Se f è continua in x0 ∈ [a, b] allora If è derivabile in x0 . In particolare

If0 (x0 ) = f (x0 );

(iii) Sia f ∈ C([a, b] ; R) e sia F una primitiva di f . Allora


Z b
f (x)dx = [F (x)]ba .
a

dove abbiamo posto [F (x)]ba = F (b) − F (a).

103
Dimostrazione. Punto (i).
Se x0 ∈ [a, b] allora in particolare x0 ∈ Der([a, b]). Allora

If è continua in x0
m
lim If (x) = If (x0 )
x→x0
m
lim (If (x) − If (x0 )) = 0
x→x0
m
Z x Z x0 
lim f (t)dt − f (t)dt = 0
x→x0 a a
m
Z x0 Z x Z x0 
lim f (t)dt + f (t)dt − f (t)dt = 0
x→x0 a x0 a
m
Z x
lim f (t)dt = 0.
x→x0 x0

Poniamo h = x − x0 , quindi si vuole provare


Z x Z x0 +h
lim f (t)dt = lim f (t)dt = 0.
x→x0 x0 h→0 x0

Supponiamo h > 0; per il teorema della media integrale vale


Z x0 +h
h · inf f ≤ f (t)dt ≤ h · sup f.
[x0 ,x0 +h] x0 [x0 ,x0 +h]

Siccome

sup f ≤ sup f, inf f ≤ inf f,


[x0 ,x0 +h] [a,b] [a,b] [x0 ,x0 +h]

allora
Z x0 +h
h · inf f ≤ f (t)dt ≤ h · sup f.
[a,b] x0 [a,b]

Passando al limite, per h → 0+ , dal Teorema dei due carabinieri, segue che
Z x0 +h
lim f (t)dt = 0.
h→0+ x0

Ragionando in maniera analoga, se h < 0, si ottiene


Z x0 +h
lim f (t)dt = 0.
h→0− x0

104
Quindi If è continua in x0 , ∀x0 ∈ [a, b], cioè If ∈ C([a, b] ; R).
Punto (ii).
Sia f continua in x0 ∈ [a, b]. Si vuole provare che
If (x) − If (x0 )
lim = f (x0 ).
x→x0 x − x0
Ponendo h = x − x0 , questo equivale a

1 x0 +h
Z
lim f (t)dt = f (x0 ).
h→0 h x0

Pertanto bisogna provare che


Z x0 +h
1
∀ε > 0, ∃ δ > 0 t.c. f (x0 ) − ε < f (t)dt < f (x0 ) + ε, ∀h ∈ (−δ, δ).
h x0

Ora, siccome f è continua in x0 , vale

∀ε > 0, ∃ δ > 0 t.c. f (x0 ) − ε < f (x) < f (x0 ) + ε, ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ).

Sia allora h ∈ (0, δ) e integriamo tutti i membri della precedente relazione, usando il punto
(iii) della Proposizione 5.2,
Z x0 +h Z x0 +h Z x0 +h
(f (x0 ) − ε)dx < f (x)dx < (f (x0 ) + ε)dx,
x0 x0 x0

quindi
Z x0 +h
h · (f (x0 ) − ε) < f (x)dx < h · (f (x0 ) + ε).
x0

Infine, dividendo per h, si ottiene


Z x0 +h
1
f (x0 ) − ε < f (x)dx < f (x0 ) + ε.
h x0

Se h ∈ (−δ, 0), si ragiona in maniera analoga. Quindi si è provato che If0 (x0 ) = f (x0 ).
Punto (iii).
Prima di tutto, dal punto (ii), se f ∈ C([a, b] ; R) allora If è una primitiva di f . Ora, sia
F una qualsiasi altra primitiva di f , si ha

(If (x) − F (x))0 = 0, ∀x ∈ [a, b].

Poiché [a, b] è un intervallo, dal Corollario 4.2, ∃ c ∈ R tale che If (x)−F (x) = c, ∀x ∈ [a, b].
Allora
Z b Z b Z a
f (x)dx = f (x)dx − f (x)dx = If (b) − If (a) =
a a a
= (F (b) + c) − (F (a) + c) = F (b) − F (a) = [F (x)]ba .

105
5.4 Alcune tecniche di integrazione.

Teorema 5.6 (integrazione per parti). Siano a, b ∈ R, con a < b. Siano f ∈ C([a, b] ; R) e
g ∈ C 1 ([a, b] ; R). Allora
Z b Z b
b
f (x)g(x)dx = [F (x)g(x)]a − F (x)g 0 (x)dx,
a a

dove abbiamo indicato con F una qualsiasi primitiva di f .

Dimostrazione. Osserviamo che il prodotto F · g ∈ C 1 ([a, b] ; R). Allora, ∀x ∈ [a, b],


otteniamo

(F (x) · g(x))0 = f (x) · g(x) + F (x) · g 0 (x)

Allora
Z b Z b Z b
[F (x)g(x)]ba = 0
(F (x)g(x)) dx = f (x)g(x)dx + F (x)g 0 (x)dx.
a a a

Esempio 5.3. Consideriamo Z e


log(x)dx.
1
Applichiamo la formula di integrazione per parti:
Z e Z e Z e
e 1
log(x)dx = 1 · log(x)dx = [x log(x)]1 − x dx = [x log(x) − x]e1 = 1.

1 1 1 x

Esempio 5.4. Consideriamo Z π
cos2 (x)dx.
0
Applichiamo la formula di integrazione per parti:
Z π Z π
2
cos (x)dx = cos(x) · cos(x)dx =
0 0
Z π
= [sen(x) cos(x)]π0 + sin2 (x)dx =
Z0 π Z π
π
= [sen(x) cos(x)]0 + 1dx − cos2 (x)dx =
0 0
Z π
π
= [sen(x) cos(x) + x]0 − cos2 (x)dx.
0
Z π
Ponendo I = cos2 (x)dx, otteniamo
0

I = [sen(x)cos(x) + x]π0 − I,

106
cioè
2I = [sen(x)cos(x) + x]π0 .
In definitiva
Z π  π
2 sen(x)cos(x) + x π
cos (x)dx = = .
0 2 0 2

Teorema 5.7 (integrazione per sostituzione o cambio di variabile). Siano a, b, c, d ∈ R,


1−1
con a < b, c < d. Sia f ∈ C([a, b] ; R) e sia inoltre ϕ : [c, d] −−→ [a, b], ϕ ∈ C 1 ([c, d] ; [a, b]).
su
Allora si ha
Z b Z ϕ−1 (b)
f (x)dx = f (ϕ(t))ϕ0 (t)dt.
a ϕ−1 (a)

Dimostrazione. Sia F una primitiva di f , allora:


Z b
f (x)dx = [F (x)]ba = F (b) − F (a).
a

Consideriamo ora la funzione

g(t) = f (ϕ(t))ϕ0 (t), g ∈ C([c, d] ; R).

Una primitiva di g è data da G = F ◦ ϕ, infatti

G0 (t) = (F (ϕ(t)))0 = f (ϕ(t))ϕ0 (t), ∀t ∈ [c, d] .

Allora
Z ϕ−1 (b)
ϕ−1 (b) ϕ−1 (b)
f (ϕ(t))ϕ0 (t)dt = [G(t)]ϕ−1 (a) = [F (ϕ(t))]ϕ−1 (a) =
ϕ−1 (a)
= F ϕ ϕ−1 (b) − F ϕ ϕ−1 (a) = F (b) − F (a).
 

Esempio 5.5. Consideriamo


1
ex
Z
dx.
0 1 + e2x
Applichiamo la formula di integrazione per sostituzione. Usando le notazioni del teorema
precedente, ponendo
ex
a = 0, b = 1, f (x) = ,
1 + e2x
1
c = 1, d = e, ϕ(t) = log(t), ϕ0 (t) = ,
t
otteniamo
Z 1 Z e
ex t 1 π
2x
dx = 2
· dt = [arctg(t)]e1 = arctg(e) − .
0 1+e 1 1+t t 4

107
Per introdurre la prossima tecnica di integrazione, riportiamo prima di tutto il seguente
teorema, il quale è una conseguenza del Teorema Fondamentale dell’Algebra.
Teorema 5.8. Sia n ∈ N. Consideriamo p ∈ Pn . Possiamo supporre, senza perdere di
generalità, che il coefficiente di grado massimo sia uguale ad uno, cioè:

p(x) = xn + an−1 xn−1 + . . . + a1 x + a0

con an−1 , . . . , a1 , a0 ∈ R. Allora esistono k, h ∈ N, x1 , . . . , xk , b1 , . . . , bh , c1 , . . . , ch ∈ R


tali che

p(x) = (x − x1 )r1 · . . . · (x − xk )rk · (x2 + b1 x + c1 )s1 · . . . · (x2 + bh x + ch )sh ,

con r1 , r2 , . . . , rk , s1 , s2 , . . . , sh ∈ N tali che r1 + r2 + . . . + rk + 2s1 + 2s2 + . . . + 2sh = n,


ed inoltre b2i − 4ci < 0, ∀i = 1, . . . , h .
Enunciamo ora anche il seguente risultato algebrico.
Teorema 5.9 (Fratti semplici). Sia n, m ∈ N, con m < n. Supponiamo p ∈ Pn come
nell’enunciato del Teorema 5.8 (ossia an = 1 e con la fattorizzazione data) e q ∈ Pm
qualsiasi. Allora esistono n costanti reali:

A1,1 , . . . , A1,r1 , . . . , Ak,1 , . . . , Ak,rk ,


B1,1 , . . . , B1,s1 , . . . , Bh,1 , . . . , Bh,sh ,
C1,1 , . . . , C1,s1 , . . . , Ch,1 , . . . , Ch,sh ,

tali che
q(x) A1,1 A1,2 A1,r1
= + 2
+ ··· + + ...
p(x) (x − x1 ) (x − x1 ) (x − x1 )r1
Ak,1 Ak,2 Ak,rk
... + + 2
+ ··· + +
(x − xk ) (x − xk ) (x − xk )rk
B1,1 x + C1,1 B1,2 x + C1,2 B1,s x + C1,s1
+ 2 + 2 2
+ ··· + 2 1 + ...
(x + b1 x + c1 ) (x + b1 x + c1 ) (x + b1 x + c1 )s1
Bh,1 x + Ch,1 Bh,2 x + Ch,2 Bh,s x + Ch,sh
... + 2 + + ··· + 2 h .
(x + bh x + ch ) (x2 + bh x + ch )2 (x + bh x + ch )sh
Esempio 5.6. Vogliamo trovare una primitiva F della seguente funzione
1
f (x) = .
x2 + x + 1
Prima di tutto osserviamo che il denominatore non ha zeri in quanto il discriminante ∆ =
1 − 4 = −3 < 0. Allora possiamo riscrivere ("completiamo il quadrato")

1 2 3
 
2 2 1 1
x +x+1=x +x+ − +1= x+ + =
4 4 2 4
 2 
1 2
" #
1

3 x+ 2 3 x+
= 3 + 1 =  q 2  + 1 .
4 4
4 3
4

108
In questo modo, si ha
1
f (x) =  !2 ,
3 x+ 12
4
 q
3
+ 1
4

quindi  
1
r
4 x+ 2
F (x) = arctan  q  .
3 3
4

Esempio 5.7. Vogliamo trovare una primitiva F della seguente funzione

2x2 + 5x − 1
f (x) =
x3 + x2 − 2x
Poniamo q(x) = 2x2 + 5x − 1, p(x) = x3 + x2 − 2x. Notiamo che

p(x) = x(x + 2)(x − 1),

allora, usando il teorema dei fratti semplici, esistono tre costanti reali, che chiamiamo
A, B, C, tali che

2x2 + 5x − 1 2x2 + 5x − 1 A B C
f (x) = 3 2
= = + + =
x + x − 2x x(x + 2)(x − 1) x x+2 x−1
A(x2 + x − 2) + B(x2 − x) + C(x2 + 2x) q(x)
= 3 2
= .
x + x − 2x p(x)
Quindi
q(x) = 2x2 + 5x − 1 = A(x2 + x − 2) + B(x2 − x) + C(x2 + 2x).
Eguagliando i coefficienti dello stesso ordine abbiamo
  
A + B + C = 2
 1 + 3C = 7
 C = 2

A − B + 2C = 5 =⇒ 2B − C = −3 =⇒ B = − 12
  
−2A = −1 A = 21 A = 12
  

In definitiva
1 1 1 1 2
f (x) = · − · + ,
2 x 2 x+2 x−1
quindi
1 1
F (x) = log(|x|) − log(|x + 2|) + 2 log(|x − 1|).
2 2
Esempio 5.8. Consideriamo

6 log2 (x) + 3 log(x) + 1


Z e
dx.
x log2 (x) + x log(x) + x (log(x) + 1)

1

109
Applichiamo prima la formula di integrazione per sostituzione. Usando le notazioni del
Teorema 5.7, ponendo

6 log2 (x) + 3 log(x) + 1


a = 1, b = e, f (x) = ,
x log2 (x) + x log(x) + x (log(x) + 1)


c = 0, d = 1, ϕ(t) = et , ϕ0 (t) = et ,
otteniamo
6 log2 (x) + 3 log(x) + 1
Z e 1
6t2 + 3t + 1
Z
dx = t dt.
· e
x log2 (x) + x log(x) + x (log(x) + 1)

1 0 et (t2 + t + 1)(t + 1)

A questo punto, poiché il fattore al denominatore t2 + t + 1 non ha zeri, usando il teorema


dei fratti semplici, esistono tre costanti reali, che chiamiamo A, B, C, tali che

6t2 + 3t + 1 A Bt + C A(t2 + t + 1) + (Bt + C)(t + 1)


= + 2 = .
(t2 + t + 1)(t + 1) t+1 t +t+1 (t + 1)(t2 + t + 1)

Eguagliando i coefficienti dello stesso ordine dei numeratori del primo e ultimo termine,
abbiamo
 
A + B = 6
 B = 2

A+B+C =3 =⇒ A = 4
 
A+C =1 C = −3
 

Quindi

6t2 + 3t + 1 4 2t − 3
2
= + 2 .
(t + t + 1)(t + 1) t+1 t +t+1

L’ultimo addendo si può riscrivere nel seguente modo


2t − 3 2t − 3 + 1 − 1 2t + 1 4
= = 2 − ,
t2 + t + 1 t2 + t + 1 t + t + 1 t2 + t + 1
così nel penultimo termine al numeratore compare la derivata del denominatore. In defini-
tiva
6 log2 (x) + 3 log(x) + 1
Z e
dx =
x log2 (x) + x log(x) + x (log(x) + 1)

1
Z 1
6t2 + 3t + 1
= 2
dt =
0 (t + t + 1)(t + 1)
Z 1 Z 1 Z 1
4 2t + 1 4
= dt + 2
dt − 2
dt =
0 t+1 0 t +t+1 0 t +t+1
  1
1
r
4 t+
= 4 log(t + 1) + log t2 + t + 1 − 4 arctan  q 2 

3 3
4 0

110
Esempio 5.9. Vogliamo trovare una primitiva F della seguente funzione

f (x) = 7x arctan(2x).
Z b
Per ogni a, b ∈ R, con a < b, consideriamo f (x)dx. Integrando per parti, abbiamo
a
Z b Z b  b Z b
7 2 7 2 2
f (x)dx = 7x arctan(2x)dx = x arctan(2x) − x dx.
a a 2 a a 2 1 + 4x2

L’ultimo addendo si può riscrivere nel modo seguente


b b b b
7x2 4x2 + 1 − 1
Z Z Z 
7 7 1 7 1
dx = dx = 1− dx = x − arctan(2x) ,
a 1 + 4x2 4 a 1 + 4x2 4 a 1 + 4x2 4 2 a

quindi
Z b   b
7 2 7 1
f (x)dx = x arctan(2x) − x − arctan(2x) .
a 2 4 2 a

La primitiva cercata sarà


7 7 7
F (x) = x2 arctan(2x) − x + arctan(2x).
2 4 8

111
5.5 Integrali generalizzati.

Definizione 5.7. Siano a, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ C ((a, b); R). L’integrale


Z b
f (x)dx
a

viene detto integrale generalizzato se è verificata almeno una delle seguenti condizioni:

(i) (a, b) non è limitato;

(ii) f non è limitata su (a, b).

Definizione 5.8. Siano a ∈ R, b ∈ R, con a < b, e sia f ∈ C([a, b) ; R). Poniamo il


seguente limite
Z t
lim f (x)dx = λ.
t→b− a

L’integrale generalizzato
Z b
f (x)dx
a

si dice:

• oscillante, se λ non esiste;

• convergente, se λ ∈ R;

• divergente, se λ = ±∞.

In particolare, se λ ∈ R, allora f si dice integrabile in senso generalizzato (ISG) su


[a, b), ed in questo caso poniamo
Z b
f (x)dx = λ.
a

Le stesse considerazioni valgono nel caso a ∈ R, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ C((a, b] ; R).


Inoltre, se a, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ C ((a, b); R), allora per ogni c ∈ (a, b) consideriamo
Z b Z c Z b
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx
a a c

con f ∈ C((a, c] ; R), f ∈ C([c, b) ; R). In questo caso f è ISG su (a, b), se f è ISG su
(a, c] e su [c, b).

112
Osservazione 5.2. Siano a ∈ R, b ∈ R, con a < b, e sia f ∈ C([a, b) ; R). Se l’integrale
Z b
f (x)dx
a

non è generalizzato, la definizione precedente coincide con quella di integrale di Riemann.


In particolare, notiamo che Z t
If (t) = f (x)dx,
a

è la funzione Integrale di f e si ha If ∈ C 1 ([a, b], R).

Esempio 5.10. Sia f : (0, 1] → R, f (x) = log(x). Consideriamo


Z 1
f (x)dx
0

Mostriamo che
Z 1
lim f (x)dx = −1 ∈ R.
t→0+ t

Infatti
Z 1 Z 1
1
f (x)dx = [x log(x)]1t − x·
 dx = [x log(x) − x]1t = −1 − t log(t) + t.
t t x


Quindi
lim (−1 − t log(t) + t) = −1.
t→0+

Allora f è ISG su (0, 1].

Esempio 5.11. Sia f : [0, +∞) → R, f (x) = e−x . Consideriamo


Z +∞
f (x)dx
0

Mostriamo che
Z t
lim f (x)dx = 1 ∈ R.
t→+∞ 0

Infatti
Z t t
f (x)dx = −e−x 0 = −e−t + 1.

0

Quindi
−e−t + 1 = 1.

lim
t→+∞

Allora f è ISG su [0, +∞).

113
1
Esempio 5.12. Sia f : [1, +∞) → R, f (x) = , α ∈ R. Consideriamo

Z +∞
f (x)dx.
1

Analizziamo due casi separatamente.


Caso α = 1. Abbiamo
Z t
1
dx = [log(x)]t1 = log(t),
1 x

quindi
lim log(t) = +∞.
t→+∞

Caso α 6= 1. Abbiamo
Z t  −α+1 t  
1 x 1 1
dx = = 1 − −1+α ,
1 xα −α + 1 1 −1 + α t

quindi 
1
∈ R, se α > 1
 
1 1 
lim 1− = α−1
t→+∞ α − 1 tα−1 +∞, se α < 1.

In definitiva f è ISG su [1, +∞) ⇐⇒ α > 1.


1
Esempio 5.13. Sia f : (0, 1] → R, f (x) = , α ∈ R.

In modo analogo all’esempio precedente, si prova che f è ISG su (0, 1] ⇐⇒ α < 1.

Osservazione 5.3. Sia f : [a, b) → R, con a < b, a ∈ R, b ∈ R, f ∈ C([a, b) ; R).


Se f (x) ≥ 0, ∀x ∈ [a, b) allora, dal test di monotonia (Corollario 4.3), si ha che
Z t
If (t) = f (x)dx % (in t),
a

in quanto If0 (t) = f (t) ≥ 0, ∀t ∈ [a, b). In particolare dal Teorema 3.7, si ha

lim If (t) = λ ∈ R
t→b−

Considerazioni analoghe valgono nel caso a ∈ R, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ C((a, b] ; R).

Teorema 5.10 (Criteri del confronto). Siano a ∈ R, b ∈ R, con a < b.


Siano f, g ∈ C([a, b) ; R) tali che f (x) ≥ 0, g(x) ≥ 0, ∀x ∈ [a, b). Valgono le seguenti
implicazioni

(i) se f (x) ≤ g(x), ∀x ∈ [a, b), allora


(
g è ISG su [a, b) =⇒ f è ISG su [a, b) ;
f non è ISG su [a, b) =⇒ g non è ISG su [a, b) ;

114
(ii) se f (x) = o(g(x)), per x → b− , allora
(
g è ISG su [a, b) =⇒ f è ISG su [a, b) ;
f non è ISG su [a, b) =⇒ g non è ISG su [a, b) ;

(iii) se f (x) ' g(x), per x → b− , allora

f è ISG su [a, b) ⇐⇒ g è ISG su [a, b) .

Considerazioni analoghe valgono nel caso a ∈ R, b ∈ R, con a < b, ed f ∈ C((a, b] ; R).


Dimostrazione. Per esercizio.

Osservazione 5.4. Sia a ∈ R, f ∈ C([a, +∞) ; R). Se ∃ λ ∈ R, λ 6= 0 tale che

lim f (x) = λ,
x→+∞

allora, dal teorema precedente, si ha che f non è ISG su [a, +∞).


 del limite λ è essenziale. Infatti, se ad esempio si considera la
La condizione di esistenza
funzione f (x) = cos x2 , allora si può provare (con metodi avanzati di analisi) che f è
ISG su [1, +∞), ma

@ lim f (x).
x→+∞

Esempio 5.14. Consideriamo


1
x2 + 5x
Z
dx.
0 7x3 + 4x2
Si ha che
x2 + 5x
f (x) = ≥ 0, ∀x ∈ [1, +∞) .
7x3 + 4x2
Inoltre
x2 1
f (x) ' = , per x → +∞.
7x3 7x
1
Poiché g(x) = 7x ≥ 0, ∀x ∈ [1, +∞) e g non è ISG su [1, +∞), allora f non è ISG su
[1, +∞).
Definizione 5.9. Siano a, b ∈ R, con a < b, e sia f ∈ C((a, b); R). Si dice che f è
assolutamente integrabile in senso generalizzato (AISG) su (a, b), se |f | è ISG su
Rb
(a, b); in altri termini, se a |f (x)|dx è convergente.
Teorema 5.11. Siano a, b ∈ R, con a < b, e sia f ∈ C((a, b); R). Se f è AISG su (a, b)
allora f è ISG su (a, b).
Dimostrazione. Consideriamo il caso a ∈ R, b ∈ R, ed f ∈ C([a, b) ; R). Definiamo le
seguenti funzioni f + , f − : [a, b) → R,
( (
f (x), se f (x) ≥ 0 −f (x), se f (x) ≤ 0
f + (x) = , f − (x) = .
0, se f (x) ≤ 0 0, se f (x) ≥ 0

115
Si ha che f + (x) ≥ 0, f − (x) ≥ 0, ∀x ∈ [a, b). Inoltre

f = f + − f −, |f | = f + + f − .

Per definizione, si ha che


Z b
f è AISG su [a, b) ⇐⇒ |f (x)|dx è convergente .
a

In particolare
Z b
0≤ |f (x)|dx < +∞
a
m
Z b Z b Z b

+ +
f − (x)dx < +∞.

0≤ f (x) + f (x) dx = f (x)dx +
a a a

Ma questo implica
Z b Z b
0≤ f + (x)dx < +∞, 0≤ f − (x)dx < +∞.
a a

Allora
Z b Z b Z b Z b

+ +
f − (x)dx < +∞.

f (x)dx = f (x) − f (x) dx = f (x)dx −
a a a a

Esempio 5.15. Consideriamo Z +∞


sen(x)
dx.
1 x3
sen(x)
Poniamo f (x) = , allora
x3
sen(x) |sen(x)| |sen(x)| 1
0 ≤ |f (x)| = 3
= 3
= 3
≤ 3 = g(x), ∀x ∈ [1, +∞) .
x |x | x x
Poiché g è ISG su [1, +∞), allora dai criteri del confronto si ha che |f | è ISG su [1, +∞),
cioè f è AISG su [1, +∞). Quindi, dal Teorema 5.11, si ha che f è ISG su [1, +∞).
Teorema 5.12 (Criterio di convergenza per integrali di funzioni oscillanti). Siano a ∈ R,
b ∈ R, con a < b. Siano f ∈ C([a, b) ; R) e g ∈ C 1 ([a, b) ; R), tali che
(i) f ammette una primitiva F limitata su [a, b);
(ii) g è monotona e infinitesima per x → b− .
Allora il prodotto f · g è ISG su [a, b); in altri termini
Z b
f (x)g(x)dx
a

è convergente.

116
Dimostrazione. Vogliamo mostrare che
Z t
lim f (x)g(x)dx = λ ∈ R.
t→b− a

Integrando per parti


Z t Z t Z t
t 0 t
f (x)g(x)dx = [F (x)g(x)]a − F (x)g (x)dx = [F (x)g(x)]a + F (x)(−g 0 (x))dx.
a a a

Per l’ipotesi (i),


∃ M > 0, t.c. |F (x)| ≤ M, ∀x ∈ [a, b) .
Per l’ipotesi (ii), supponiamo ad esempio g &, poiché lim g(x) = 0, allora
x→b−

g(x) ≥ 0, g 0 (x) ≤ 0, ∀x ∈ [a, b) .

Ora,

lim [F (x)g(x)]ta = lim {F (t)g(t) − F (a)g(a)} = −F (a)g(a) ∈ R.


t→b− t→b−

Inoltre, visto che (−g 0 (x)) ≥ 0, per ogni x ∈ [a, b), si ha

0 ≤ |F (x) · (−g 0 (x))| = |F (x)| · (−g 0 (x)) ≤ M · (−g 0 (x)), ∀x ∈ [a, b) .

Adesso,
Z t Z t
lim 0
M (−g (x))dx = M lim −g 0 (x)dx = M lim {[−g(x)]ta } =
t→b− a t→b− a t→b−
= M lim {−g(t) + g(a)} = M g(a) ∈ R
t→b−

Dai criteri del confronto, questo significa che la funzione |F · (−g 0 )| è ISG su [a, b), cioè la
funzione prodotto F · (−g 0 ) è AISG su [a, b). Dal Teorema 5.11, si ha che F · (−g 0 ) è ISG
su [a, b). In definitiva
Z b
f (x)g(x)dx
a

è convergente.

Esempio 5.16. Per ogni α ∈ R, α > 0, l’integrale


Z +∞
sin(x)
dx
1 xα

è convergente. Infatti, usando il Teorema 5.12, la funzione f (x) = sin(x) è continua e


ammette una primitiva F (x) = − cos(x), limitata su [1, +∞). Inoltre la funzione g(x) = x1α
è di classe C 1 , g & e lim g(x) = 0, ∀α > 0.
x→+∞

Mostriamo con un esempio che l’implicazione del Teorema 5.11 noon si può invertire.

117
Esempio 5.17. Consideriamo il seguente
Z +∞
sin(x)
dx,
1 x

sin(x)
il quale è convergente, dall’Esempio 5.16 (caso α = 1). Posto f (x) = , vogliamo
x
mostrare che f non è AISG su [1, +∞). Osserviamo prima di tutto che

sin(x) |sin(x)| |sin(x)|2 sin2 (x)


|f (x)| = = ≥ = ≥ 0, ∀x ∈ [1, +∞) .
x x x x

1 cos(2x)
Ora, poiché sin2 (x) = − , allora
2 2
Z +∞
sin2 (x) 1 +∞ 1 1 +∞ cos(2x)
Z Z
dx = dx − dx.
1 x 2 1 x 2 1 x

Ora
Z +∞
1
dx = +∞,
1 x

mentre, dal Teorema 5.12, Z +∞


cos(2x)
dx
1 x
è convergente. Perciò
+∞
sen2 (x)
Z
dx
1 x

diverge. Quindi, dai criteri del confronto |f | non è ISG su [1, +∞), che significa che f
non è AISG su [1, +∞).

Esempio 5.18. Consideriamo il seguente


Z +∞
2
e−x dx.
1

Osserviamo che per ogni β ∈ R, vale


 
−x2 1 1
0≤e = x2 = o , per x → +∞.
e xβ

In particolare, scegliendo β > 1, dai criteri del confronto si ha che


Z +∞
2
e−x dx
1

è convergente.

118
Esempio 5.19. Consideriamo il seguente
Z +∞  
1
sin dx.
1 x2
Osserviamo che si ha
 
1
sin ≥ 0, ∀x ∈ [1, +∞) ,
x2
ed inoltre  
1 1
sin ' , per x → +∞.
x2 x2
Quindi, dai criteri del confronto, si ha che
Z +∞  
1
sin dx.
1 x2
è convergente.

Esempio 5.20. Sia α ∈ R, α ≥ 0. Vogliamo studiare la convergenza del seguente integrale


Z +∞
1
dx,
1 3x (x2 − 1)α

1
al variare del parametro α. Prima di tutto, poniamo f (x) = , e osserviamo
3x3α (x2 − 1)α
che si ha

f (x) ≥ 0, ∀x ∈ [1, +∞) .

Ora, sia c ∈ [1, +∞), così


Z +∞ Z c Z +∞
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx = I + II.
1 1 c

Studiamo separatamente la convergenza degli integrali I e II.

• Caso I:
1 1 1
f (x) = = ' , per x → 1+ ,
3x3α (x2 − 1)α 3x3α (x α
− 1) (x + 1) α 3 · 1 · 2 · (x − 1)α
α

quindi
f è ISG su [1, c] ⇐⇒ α < 1.

• Caso II:
1 1 1 1
f (x) ' 3α 2α
= , per x → +∞,
3x ·x 3 x5α
quindi
1
f è ISG su [c, +∞) ⇐⇒ α > .
5

119
In definitiva,
1
f è ISG su [1, +∞) ⇐⇒ < α < 1.
5
Esempio 5.21. Sia α ∈ R. Vogliamo studiare la convergenza del seguente integrale
Z +∞ α √
x + x
dx,
0 x3 + x

xα + x
al variare del parametro reale α. Prima di tutto, poniamo f (x) = 3 , e osserviamo
x +x
che si ha

f (x) ≥ 0, ∀x ∈ [0, +∞) .

Ora, sia c ∈ [0, +∞), così


Z +∞ Z c Z +∞
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx = I + II.
0 0 c

Studiamo separatamente la convergenza degli integrali I e II.

• Caso I:
c
1
1
 1,
 se α ≥ 12 ,
xα +x 2
x2

f (x) ' = per x → 0+ ,
x
 c2 ,

se α ≤ 12 ,


x1−α
dove c1 , c2 sono opportune costanti positive, quindi

f è ISG su (0, c] ⇐⇒ α > 0.

• Caso II:
 c
1
 , se α ≥ 12 ,
 x3−α
1



+x2
f (x) ' = per x → +∞,
x3  c2 1
 5, se α ≤ 2,


x2
dove c1 , c2 sono opportune costanti positive, quindi

f è ISG su [c, +∞) ⇐⇒ α < 2.

In definitiva,
f è ISG su (0, +∞) ⇐⇒ 0 < α < 2.

120
6 Serie Numeriche

6.1 Definizioni e prime proprietà.

In questa sezione studieremo particolari successioni.


Definizione 6.1. Sia {ak } ⊆ R. Definiamo la seguente successione {sn } ⊆ R nel modo
seguente:
s1 = a1 ,
s2 = a1 + a2 ,
..
.
n
X
sn = a1 + a2 + . . . + an = ak .
k=1
Il generico termine sn si chiama somma parziale (o ridotta). La successione {sn } si
+∞
X
chiama serie di {ak } e si indica con ak .
k=1
+∞
X
• Se {sn } non ammette limite, diremo che la serie ak è oscillante (indeterminata).
k=1

• Se
n
!
X
lim sn = lim ak = ±∞,
n→+∞ n→+∞
k=1
+∞
X
diremo che la serie ak è divergente (positivamente, negativamente) e si pone
k=1
+∞
X
ak = ±∞.
k=1

• Se
n
!
X
lim sn = lim ak = ` ∈ R,
n→+∞ n→+∞
k=1
+∞
X
diremo che la serie ak è convergente. In particolare ` si chiama somma della
k=1
serie e si pone
+∞
X
ak = `.
k=1

121
Osservazione 6.1. Il comportamento al limite di una serie, non dipende dall’indice iniziale
della sommatoria, infatti, se n ∈ N, si ha
+∞
X n
X +∞
X
ak = ak + ak ,
k=1 k=1 k=n+1

ma il primo addendo a destra dell’uguaglianza è un valore finito.


+∞
X
Esempio 6.1. Sia ak = 1, con k ∈ N. Consideriamo la serie ak . Calcoliamo la somma
k=1
parziale
n
X
sn = 1 = n.
k=1
Si ha:
lim sn = lim n = +∞.
n→+∞ n→+∞
+∞
X
Quindi la serie è divergente, cioè ak = +∞.
k=1
+∞
X
Esempio 6.2. Sia ak = k, con k ∈ N. Consideriamo la serie ak . Calcoliamo la somma
k=1
parziale
n
X n(n + 1)
sn = 1 = 1 + 2 + ... + n = .
2
k=1
Si ha:
n(n + 1)
lim sn = lim = +∞.
n→+∞ n→+∞ 2
+∞
X
Quindi la serie è divergente, cioè ak = +∞.
k=1

Esempio 6.3 (Serie Geometrica). Sia ak = ck , con k ∈ N e c ∈ R. Consideriamo la serie


+∞
X
ak . Calcoliamo la somma parziale
k=1
n
X
sn = 1 = c + c2 + . . . + cn .
k=1
Distinguiamo due casi.
• Se c = 1 allora si ha sn = n e quindi la serie diverge.
c − cn+1
• Se c 6= 1 allora la somma parziale si riscrive nel seguente modo, sn = .
1−c
Quindi, si ha 
+∞, se c > 1,


c
lim sn = , se |c| < 1,
n→+∞ 1 − c

@, se c ≤ −1.

122
+∞
X
In conclusione, la serie ck converge ⇐⇒ |c| < 1, nel qual caso la somma è c
1−c .
k=1

Definizione 6.2. Sia {ak } ⊆ R. Si chiama serie telescopica la seguente:


+∞
X
(ak − ak+1 ).
k=1

Quindi
n
X
sn = (ak − ak+1 ) = (a1 − 
a
2 ) + (2 −
a a
3 ) + . . . + (n − an+1 ) = a1 − an+1 .
a
k=1

In particolare
lim sn = a1 − lim an+1 .
n→+∞ n→+∞

Mostriamo un esempio di serie telescopica.


+∞
1 X
Esempio 6.4. Sia bk = , con k ∈ N. Consideriamo la serie bk . Vale:
k(k + 1)
k=1

1 1 1
bk = = − = ak − ak+1 ,
k(k + 1) k k+1
+∞
1 X
dove abbiamo posto ak = , ∀k ∈ N. Allora, la serie bk è telescopica, pertanto
k
k=1

1
lim sn = a1 − lim an+1 = 1 − lim = 1.
n→+∞ n→+∞ n→+∞ n+1
+∞
X 1
Quindi la serie è convergente, con somma = 1.
k(k + 1)
k=1

Vogliamo mostrare ora una condizione necessaria per la convergenza di una serie. Premet-
tiamo il seguente risultato più generale.
+∞
X
Teorema 6.1. Sia {ak } ⊆ R. La serie ak converge se e solo se
k=1

n
X
∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. ak < ε, ∀n, m ∈ N, n, m − 1 > n.
k=m

Dimostrazione. La dimostrazione si basa sull’equivalenza fra successioni convergenti e suc-


cessioni di Cauchy (Proposizione 2.3 e Teorema 2.14 ). Infatti, per definizione, una serie
converge se e solo se la successione delle somme parziali {sn } converge, quindi se e solo se
{sn } è di Cauchy. Ma questo significa

∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. |sn − sm−1 | < ε, ∀n, m − 1 > n, n, m ∈ N.

123
La tesi si ottiene semplicemente notando che
n
X
|sn − sm−1 | = ak .
k=m

Corollario 6.1 (Condizione necessaria per la convergenza di una serie). Sia {ak } ⊆ R. Se
+∞
X
la serie ak converge allora il termine generale della serie è infinitesimo, cioé
k=1
lim an = 0.
n→+∞

Dimostrazione. Se la serie converge, allora nel Teorema 6.1, basta prendere m = n. In


particolare sn − sn−1 = an , quindi
∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. |an | < ε, ∀n > n, n ∈ N,
che significa che {an } è infinitesima.
Osservazione 6.2. Si confronti il corollario precedente con l’Osservazione 5.4, riguardan-
te gli integrali generalizzati. In particolare, nel corollario precedente non viene richiesta
+∞
X
l’esistenza del limite della successione {ak }. Quindi, ad esempio, la serie cos(k 2 ) non
k=1
converge, in quanto il termine generale della serie non è infinitesimo, in particolare
@ lim cos(n2 ).
n→+∞
 k +∞
1 X
Esempio 6.5. Sia ak = 1+ , con k ∈ N. Consideriamo la serie ak . Poiché
k
k=1

1 n
 
lim an = lim 1+ =e ( 6= 0 ),
n→+∞ n→+∞ n
allora la serie non converge; in particolare è divergente visto che ak > 0, per ogni k ∈ N.
+∞
X
Esempio 6.6. Sia ak = k!, con k ∈ N. Consideriamo la serie ak . Poiché
k=1

lim an = lim n! = +∞ ( 6= 0 ),
n→+∞ n→+∞

allora la serie non converge; in particolare è divergente visto che ak > 0, per ogni k ∈ N.
+∞
X
Esempio 6.7. Sia ak = sin(k), con k ∈ N. Consideriamo la serie ak . Poiché
k=1

lim an = @ ( 6= 0 ),
n→+∞

allora la serie non converge.


Osservazione 6.3. Mostreremo, nella sezione successiva, che il Corollario 6.1 esprime
effettivamente solo una condizione necessaria per la convergenza di una serie, cioé esistono
serie non convergenti, il cui termine generale è infinitesimo.

124
6.2 Criteri per serie a termini positivi.

In questa sezione ci occuperemo di serie il cui termine generale ak ≥ 0, per ogni k ∈ N.


Prima di tutto facciamo la seguente semplice osservazione.
Osservazione 6.4. Sia {an } ⊆ R una successione tale che ak ≥ 0, per ogni k ∈ N. Allora
si ha evidentemente sn %. Pertanto, dal Teorema 2.8, abbiamo

∃ lim sn = sup{sn } ∈ R,
n→+∞

+∞
X
cioè, la serie ak converge oppure diverge positivamente, ma non può essere oscillante.
k=1

Teorema 6.2 (Criteri del confronto). Siano {ak }, {bk } ⊆ R due successioni tali che ak ≥
0, bk ≥ 0, per ogni k ∈ N. Valgono le seguenti implicazioni.
(i) Se ak ≤ bk , per ogni k ∈ N, allora si ha
 +∞ +∞
 X X



 bk converge =⇒ ak converge,
(∗) k=1 k=1 (7)
 +∞
X +∞
X
a diverge =⇒ bk diverge

k



k=1 k=1

(ii) Se ak = o(bk ), per k → +∞, allora vale (∗).

(iii) Se ak ' bk , per k → +∞, allora si ha:


+∞
X +∞
X
ak converge ⇐⇒ bk converge.
k=1 k=1

Dimostrazione. Dimostriamo (i). Consideriamo le successioni delle somme parziali


n
X n
X
sn = ak , tn = bk .
k=1 k=1

Dalla non negatività di {ak }, {bk } e dall’Osservazione 6.4, si ha sn %, tn %; in particolare


esistono i limiti

lim sn = sup{sn } ∈ R, lim tn = sup{tn } ∈ R.


n→+∞ n→+∞

+∞
X
Inoltre, dall’ipotesi si ha ovviamente sn ≤ tn , per ogni n ∈ N. Ora, se bk converge,
k=1
+∞
X
significa che sup{tn } ∈ R, quindi anche sup{sn } ∈ R, cioè ak converge. D’altra parte,
k=1

125
+∞
X
se ak diverge, cioè lim sn = +∞, allora la tesi segue dall’Osservazione 2.8.
n→+∞
k=1
Per quanto riguarda il punto (ii), basta osservare che, se ak = o(bk ) allora vale l’ipotesi del
punto (i) da un certo n ∈ N in poi (verificare per esercizio).
Dimostriamo (iii). Sia 0 < ε < 1. Dalla definizione di equivalenza asintotica e dalla non
negatività di {ak }, {bk }, abbiamo:

∃ n ∈ N t.c. an (1 − ε) < bn < an (1 + ε), ∀n > n.

Quindi
+∞
X +∞
X +∞
X
(1 − ε) ak ≤ bk ≤ (1 + ε) ak ,
k=n+1 k=n+1 k=n+1

da cui segue la tesi.

Osservazione 6.5. Osserviamo esplicitamente che il precedente teorema stabilisce una re-
lazione fra i comportamenti al limite delle serie; in particolare se, ad esempio, entrambe le
serie convergono, non è detto che abbiano la stessa somma.
+∞
1 X
Esempio 6.8. Sia ak = , con k ∈ N. Studiamo il comportamento della serie ak .
k2
k=1
1
Poniamo bk = , così entrambe le successioni {ak }, {bk }, sono non negative; inoltre
k(k + 1)
+∞
X
ak ' bk , per k → +∞. Allora, dal Criterio del Confronto, poiché bk converge (Esempio
k=1
+∞
X
6.4), anche ak converge.
k=1

+∞
1 X
Esempio 6.9. Sia ak = , con k ∈ N. Studiamo il comportamento della serie ak .
k3
k=1
1
Poniamo bk = 2 , così entrambe le successioni {ak }, {bk }, sono non negative; inoltre ak =
k
+∞
X
o(bk ), per k → +∞. Allora, dal Criterio del Confronto, poiché bk converge, anche
k=1
+∞
X
ak converge.
k=1

Teorema 6.3 (Criterio Integrale). Sia f ∈ C([1, +∞), R) e monotona. Sia ` ∈ R tale che
lim f (x) = `. Poniamo ak = f (k) per ogni k ∈ N. Allora:
x→+∞

+∞
X Z +∞
ak ha lo stesso comportamento di f (x)dx.
k=1 1

126
Dimostrazione. Abbiamo due casi, a seconda che ` sia zero o diverso da zero.
(Primo caso). Se ` 6= 0, sia l’integrale, sia la serie non convergono.
(Secondo caso). Sia ora ` = 0. Supponiamo, ad esempio, f &, quindi f (x) ≥ 0 per ogni
x ∈ [1, +∞). Ovviamente anche lim ak = ` e ak &, perciò ak ≥ 0 per ogni k ∈ N.
k→+∞
Poniamo ora
n
X Z n
sn = ak , In = If (n) = f (x)dx.
k=1 1

Per le considerazioni precedenti, abbiamo che sn %, In %, quindi ∃ L1 , L2 ∈ R tali che


lim sn = L1 , lim In = L2 .
n→+∞ n→+∞

Riscriviamo In spezzando l’integrale sugli intervalli [k, k + 1] con k ∈ {1, . . . , n − 1}, cioè:
n−1
X Z k+1 
In = f (x)dx .
k=1 k

Dalla monotonia di f segue che f (k + 1) ≤ f (x) ≤ f (k) per ogni x ∈ [k, k + 1], pertanto
Z k+1 Z k+1 Z k+1
f (k + 1)dx ≤ f (x)dx ≤ f (k)dx,
k k k
cioè Z k+1
f (k + 1) ≤ f (x)dx ≤ f (k).
k
Sommando, si ha
n−1
X n−1
X Z k+1  n−1
X
ak+1 ≤ f (x)dx ≤ ak ,
k=1 k=1 k k=1

cioè
sn − a1 ≤ In ≤ sn−1 , ∀n ∈ N.
Passando al limite, per n → +∞, nelle precedenti disuguaglianze, otteniamo
L1 − a1 ≤ L2 ≤ L1 .
Quindi
L1 ∈ R =⇒ L2 ∈ R,
L1 = +∞ =⇒ L2 = +∞,
che significa che la serie e l’integrale generalizzato hanno lo stesso comportamento.
Esempio 6.10. Sia α ∈ R. Allora la serie
+∞
X 1
converge ⇐⇒ α > 1.

k=1

Infatti, se α ≤ 0, non è verificata la condizione necessaria (Corollario 6.1). Se invece


α > 1, la tesi segue dal criterio integrale (verificare per esercizio, considerando la funzione
f (x) = x1α ).

127
Osservazione 6.6. Come avevamo anticipato nell’Osservazione 6.3, ad esempio, la serie
+∞
X 1
non converge, ma il suo termine generale è infinitesimo, quindi verifica la condizione
k
k=1
necessaria (Corollario 6.1).
Teorema 6.4 (Criterio della Radice). Sia {ak } ⊆ R, una successione con ak ≥ 0, per ogni
k ∈ N. Supponiamo che esista ` ∈ R, tale che

lim k ak = ` ∈ R.
k→+∞

Allora:
+∞
X
• se ` > 1 (incluso ` = +∞), allora ak diverge;
k=1

+∞
X
• se ` < 1, allora ak converge.
k=1

Se ` = 1 non si può dire nulla, il Criterio è Inefficace (C.I.)


Dimostrazione. (Caso ` > 1)
Se ` ∈ R, scegliamo ε = `−1
2 > 0 nella definizione di limite e troviamo n ∈ N, tale che

√ `+1
k
ak > ` − ε > > 1, ∀k > n.
2
Cioè  k
`+1
ak > , ∀k > k.
2
+∞
X
Dal Criterio del Confronto, con la serie geometrica, segue che ak diverge.
k=1
Se ` = +∞, scegliamo M = 2 nella definizione di limite e troviamo n ∈ N tale che
√k
ak > 2, ∀k > n, (8)

cioè
ak > 2k , ∀k > n. (9)
Dopodiché procediamo come prima.
(Caso ` < 1)
1−`
Nella definizione di limite, scegliamo ε = 2 > 0 e troviamo n ∈ N tale che
√ `+1
k
ak < ` + ε = < 1, ∀k > n̄,
2
cioè  k
`+1
0 ≤ ak < , ∀k > n̄.
2
+∞
X
Di nuovo per confronto con la serie geometrica, si ha che ak converge.
k=1

128
+∞
2k X
Esempio 6.11. Sia ak = , con k ∈ N. Studiamo il comportamento della serie ak .
kk
k=1
Si ha che {ak } è non negativa. Inoltre
√ 2
lim k
ak = lim = 0 < 1.
k→+∞ k→+∞ k

Quindi per il Criterio della Radice la serie converge.

Teorema 6.5 (Criterio del Rapporto). Sia {ak } ⊆ R, una successione con ak > 0, per ogni
k ∈ N. Supponiamo che esista ` ∈ R, tale che
ak+1
lim = ` ∈ R.
k→+∞ ak

Allora:
+∞
X
• se ` > 1 (incluso ` = +∞), allora ak diverge;
k=1

+∞
X
• se ` < 1, allora ak converge.
k=1

Se ` = 1 non si può dire nulla, il Criterio è Inefficace (C.I.)

Dimostrazione. Per esercizio.


+∞
2k X
Esempio 6.12. Sia ak = , con k ∈ N. Studiamo il comportamento della serie ak .
k!
k=1
Si ha che {ak } è positiva. Inoltre

ak+1 2k+1 k! 2
lim = lim k
= lim = 0 < 1.
k→+∞ ak k→+∞ (k + 1)! 2 k→+∞ k + 1

Quindi per il Criterio del Rapporto la serie converge.

Teorema 6.6 (Criterio di condensazione di Cauchy, o del "2n "). Sia {ak } ⊆ R una
successione monotona. Allora:
+∞
X +∞
X
ak ha lo stesso comportamento di 2k · a2k .
k=1 k=1

Dimostrazione. Poiché {ak } è monotona si ha che esiste ` ∈ R, tale che

lim ak = ` = lim a2k .


k→+∞ k→+∞

Abbiamo due casi, a seconda che ` sia zero o diverso da zero.


(Primo caso). Se ` 6= 0, entrambe le serie non convergono, poiché non è soddisfatta la
condizione necessaria (Corollario 6.1).

129
(Secondo caso). Sia ora ` = 0. Supponiamo, ad esempio, ak &, da cui ak ≥ 0 per ogni
k ∈ N. Poniamo ora
Xn Xn
Sn = ak , Rn = 2k · a2k .
k=1 k=0

Allora Sn % e Rn %. Quindi ∃ L1 , L2 ∈ R tali che

lim Sn = L1 , lim Rn = L2 .
n→+∞ n→+∞

Inoltre, vale la seguente relazione (verificare per esercizio)

S(2n+1 −1) ≤ Rn ≤ 2S2n − a2n , ∀n ∈ N.

Passando al limite, per n → +∞, nelle precedenti disuguaglianze, otteniamo

L1 ≤ L2 ≤ 2L1 .

Quindi

L1 ∈ R =⇒ L2 ∈ R,
L1 = +∞ =⇒ L2 = +∞,

che significa che le due serie hanno lo stesso comportamento.


+∞
1 X
Esempio 6.13. Sia ak = , con k ∈ N. Studiamo il comportamento di ak . Si ha
log(k)
k=2
ak &. Inoltre, la serie
+∞ +∞ k
X X 2 1
2k · a2k =
k log(2)
k=2 k=2

è divergente, poiché
2k 1
lim · = +∞.
k→+∞ k log(2)
+∞
X
Quindi, per il Criterio di Condensazione, ak diverge.
k=2

130
6.3 Serie a termini di segno alterno.

Definizione 6.3. Sia {ak } ⊆ R.


+∞
X +∞
X
Si dice che la serie ak è assolutamente convergente se |ak | converge.
k=1 k=1

Il seguente risultato mette in relazione la convergenza e la convergenza assoluta.


+∞
X +∞
X
Teorema 6.7. Sia {ak } ⊆ R. Se ak converge assolutamente allora ak converge.
k=1 k=1

Dimostrazione. Per ipotesi e dal Teorema 6.1 segue che


n
X
∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. |ak | < ε, ∀n, m ∈ N, n, m − 1 > n.
k=m

La tesi segue dalla semplice applicazione della disuguaglianza triangolare


n
X n
X
ak ≤ |ak |.
k=m k=m

Quindi
n
X
∀ε > 0, ∃ n ∈ N t.c. ak < ε, ∀n, m ∈ N, n, m − 1 > n,
k=m
+∞
X
che, di nuovo per il Teorema 6.1, significa che ak converge.
k=1

Esempio 6.14. Sia α ∈ R, α > 1. Allora, grazie al Teorema 6.7, la serie


+∞
X (−1)n

n=1

+∞ +∞
X X 1
converge, poiché converge assolutamente. Infatti la serie |an | = converge.

k=1 k=1
n
X
Teorema 6.8 (Abel-Dirichlet). Siano {ak }, {bk } ⊆ R. Poniamo Bn = bk . Se
k=1

(i) {Bn } è limitata,

(ii) {ak } è monotona e infinitesima,


allora
+∞
X
ak bk converge.
k=1

131
n
X
Dimostrazione. Poniamo Sn = ak bk . Si ha
k=1

Bn = Bn−1 + bn ,
n−1
X
Sn = Bn an + Bk (ak − ak+1 ), ∀n ∈ N.
k=1

Ora, la successione {Bn an } è infinitesima, poiché {Bn } è limitata e {an } è infinitesima,


+∞
X
per ipotesi. Per concludere basta dimostrare che |Bk (ak − ak+1 )| converge, grazie al
k=1
Teorema 6.7. Per ipotesi, esiste M ∈ R, tale che |Bn | ≤ M , per ogni n ∈ N. Inoltre
possiamo supporre, per esempio, ak &, da cui ak ≥ 0 per ogni k ∈ N. Quindi

0 ≤ |Bk (ak − ak+1 )| = |Bk ||ak − ak+1 | ≤ M |ak − ak+1 | = M (ak − ak+1 ).
+∞
X
Ma allora |Bk (ak − ak+1 )| converge per il Criterio del Confronto con
k=1

+∞
X +∞
X  
M (ak − ak+1 ) = M (ak − ak+1 ) = M a1 − lim an+1 = M a1 .
n→+∞
k=1 k=1

Corollario 6.2 (Criterio di Leibniz). Sia {ak } ⊆ R una successione monotona e infinite-
sima. Allora
+∞
X
(−1)k ak converge.
k=1

Dimostrazione. Segue dal Teorema 6.8, con bk = (−1)k e verificando che {Bn } è limitata.

Esempio 6.15. Sia α ∈ R. Allora la serie


+∞
X (−1)n
converge ⇐⇒ α > 0.

n=1

Infatti, se α > 0 Si ha che la successione n1α è monotona e infinitesima, quindi la serie




converge per il Criterio di Leibniz (Corollario 6.2). Se invece α ≤ 0, non è soddisfatta la


condizione necessaria per la convergenza (Corollario 6.1).

Esempio 6.16. Mostriamo con un esempio che l’enunciato del Teorema 6.7 non si può
invertire, cioè una serie può essere convergente, ma non convergente assolutamente. Sia
α ∈ R, con 0 < α ≤ 1. Allora, dall’esempio precedente sappiamo che
+∞
X (−1)n
converge.

n=1

132
Mentre la serie
+∞ +∞
X (−1)n X 1
= non converge,
nα nα
n=1 n=1
come mostrato nell’Esempio (6.10).
Esempio 6.17. Richiamando il Teorema 6.2, sappiamo che due successioni non negative
e asintoticamente equivalenti hanno serie con lo stesso comportamento. Vogliamo mostrare
con un esempio che, se l’ipotesi di non negatività viene a mancare, questo non è più vero
in generale. Siano infatti
(−1)n (−1)n (−1)n
 
an = √ , bn = √ 1+ √ .
n n n
Chiaramente le due successioni hanno segno alterno; comunque, si ha che an ' bn . Ora,
+∞
X
la serie an converge per il Criterio di Leibniz (Corollario 6.2). Scriviamo adesso nel
n=1
seguente modo la serie
+∞ +∞ +∞  +∞ +∞
(−1)n (−1)n (−1)n (−1)n X 1
  X  X
X X 1
bn = √ 1+ √ = √ + = √ + .
n n n n n n
n=1 n=1 n=1 n=1 n=1
+∞
X
Poiché il primo addendo converge, mentre il secondo diverge, la serie bn non converge.
n=1
Esempio 6.18. Sia α ∈ R. Studiamo la convergenza della serie
+∞
X αn
n2n
n=1
αn
al variare del parametro α. Poniamo an = n2n e distinguiamo tre casi.
• Se |α| > 2 la serie non converge, poiché {an } non è infinitesima, quindi non è
soddisfatta la condizione necessaria per la convergenza (Corollario 6.1).
• Se |α| = 2, cioè α = ±2, abbiamo:
+∞
X 1
α = 2, è divergente,
n
n=1
+∞
X (−1)n
α = −2, è convergente (Leibniz).
n
n=1

+∞
X
• Se |α| < 2, studiamo la convergenza assoluta, cioè consideriamo la serie |an |; in
n=1
particolare usando il criterio della radice abbiamo
p 1 α α
lim n |an | = lim √ n
= < 1;
n→+∞ n→+∞ n 2 2
quindi la serie converge assolutamente: allora dal Teorema 6.7, la serie converge.

133
In conclusione, la serie
+∞
X αn
converge ⇐⇒ −2 ≤ α < 2.
n2n
n=1

Esempio 6.19. Sia α ∈ R. Studiamo la convergenza della serie


+∞  1
7 + 2α n
 
X 7 2

5 2n2 + 3|α|
n=1

 1
7+2α n 7 2

al variare del parametro α. Poniamo an = 5 2n2 +3|α|
e distinguiamo tre casi.

• Se 7+2α
5 > 1 la serie non converge, poiché {an } non è infinitesima, quindi non è
soddisfatta la condizione necessaria per la convergenza (Corollario 6.1).
7+2α
• Se 5 = 1, cioè α = −6 oppure α = −1, abbiamo:

+∞  1
X
n 7 2
α = −6, (−1) converge (Leibniz).
2n2 + 18
n=1
+∞  1
X 7 2
α = −1, 2
diverge,
2n + 3
n=1

 1 q
7 2 7 1
infatti, 0 ≤ 2n2 +3
' 2 n; la divergenza segue quindi dal Criterio del Confronto.

7+2α
• Se 5 < 1, cioè −6 < α < 1, studiamo la convergenza assoluta, cioè consideriamo
+∞
X
la serie |an |; in particolare usando il criterio della radice abbiamo
n=1
s
 1
p 7 + 2α n 7 2 7 + 2α
lim n |an | = lim = < 1;
n→+∞ n→+∞ 5 2n2 + 3|α| 5

quindi la serie converge assolutamente: allora dal Teorema 6.7, la serie converge.

In conclusione, la serie
+∞  1
7 + 2α n
 
X 7 2

2
converge ⇐⇒ −6 ≤ α < −1.
5 2n + 3|α|
n=1

134
7 Numeri Complessi

7.1 Definizioni e prime proprietà.

Diamo la seguente definizione.

Definizione 7.1. Consideriamo il prodotto cartesiano R × R.

• Definiamo la somma, +, in R × R, nel seguente modo:

(x, y) + (t, s) = (x + t, y + s) ∈ R × R, ∀x, y, t, s ∈ R.

L’elemento neutro per la somma è (0, 0). Inoltre, dato (x, y) ∈ R × R, allora l’inverso
di (x, y) rispetto alla somma è (−x, −y) ∈ R × R.

• Definiamo il prodotto, ·, in R × R, nel seguente modo:

(x, y) · (t, s) = (xt − ys, yt + xs) ∈ R × R.

L’elemento neutro per il prodotto è (1, 0). Inoltre, dato (x, y) ∈ R × R, con (x, y) 6=
(0, 0), allora l’inverso di (x, y) rispetto al prodotto è
 
x y
− 2 ,− .
x + y 2 x2 + y 2

L’insieme (R × R, +, ·) è un campo commutativo e si chiama campo dei numeri com-


plessi, che indicheremo con C.

Osservazione 7.1. L’elemento (0, 1) ∈ C è tale che

(0, 1)2 = (0, 1) · (0, 1) = (−1, 0) ∈ C.

Introduciamo le seguenti notazioni.


Per ogni x ∈ R, identifichiamo il numero complesso (x, 0) ∈ C, con il numero reale x ∈ R.
Inoltre, indichiamo l’elemento complesso (0, 1) ∈ C con i. In particolare, dall’osservazione
precedente i2 = −1. In questo modo, se (x, y) ∈ R × R, si ha

(x, y) = (x, 0) + (0, y) = x + (y, 0) · (0, 1) = x + iy.

Sia z ∈ C e x, y ∈ R; la scrittura z = (x, y) si chiama forma cartesiana di z, mentre la


scrittura z = x + iy si dice forma algebrica di z.

135
1−i
Esempio 7.1. Sia z = ∈ C. Vogliamo riscrivere z in forma algebrica, cioè z = x+iy,
1+i
per qualche x, y ∈ R. Vale:
1−i 1−i 1−i 1 − 2i − 1
z= = · = 2 = −i.
1+i 1+i 1−i 1 + 12
Cioè x = 0, y = −1.

Introduciamo ora alcune rilevanti quantità dei numeri complessi

Definizione 7.2. Sia z = x + iy ∈ C, x, y ∈ R. Allora poniamo:

Re(z) = x, Re(z) si chiama parte reale di z,


Im(z) = y, Im(z) si chiama parte immaginaria di z,
z = x − iy, z si chiama coniugato di z,
p √
|z| = x2 + y 2 = zz, |z| si chiama modulo di z.

Osservazione 7.2. Osserviamo esplicitamente che, dato z ∈ C, si ha che Re(z), Im(z)


sono entrambi valori reali. Inoltre, il modulo soddisfa

|z| ∈ R, |z| ≥ 0, in particolare |z| = 0 ⇐⇒ z = 0.

Vogliamo introdurre ora una nuova rappresentazione dei numeri complessi. A questo sco-
po osserviamo che un numero complesso, z = x + iy ∈ C, può essere visualizzato come
un punto nel piano cartesiano (piano di Gauss), dove orizzontalmente si riporta la parte
reale e verticalmente la parte immaginaria. Denotiamo con r ∈ R, r ≥ 0, la distanza di
z dall’origine; inoltre se (x, y) 6= (0, 0), indichiamo con θ ∈ R l’angolo, orientato in sen-
so antiorario, formato dal segmento che congiunge z all’origine, con il semiasse positivo
orizzontale. Valgono le seguenti relazioni:
p
• r ∈ R, r ≥ 0, r = x2 + y 2 = |z| (dal teorema di Pitagora);

• sia (x, y) 6= (0, 0), allora θ ∈ R risolve il seguente sistema



cos θ = √ 2x 2 ,
x +y
(S)
sin θ = √ y .
2
x +y 2

Osserviamo esplicitamente che se θ risolve (S) allora anche θ + 2kπ risolve (S) per ogni
k ∈ Z. Inoltre, si chiama argomento di z ∈ C un qualsiasi valore θ ∈ R che risolve (S) e si
indica con arg(z) = θ. In genere, il valore θ ∈ [0, 2π) che risolve (S) si chiama argomento
principale, e si indica con Arg(z) = θ. In questo modo, se z ∈ C ha modulo r e argomento
principale θ, si ha

z = r cos(θ) + ir sin(θ) = r(cos(θ) + i sin(θ)) =


= r(cos(θ + 2kπ) + i sin(θ + 2kπ)), ∀k ∈ Z.

La precedente scrittura è detta forma trigonometrica di z.

136
Esempio 7.2. Sia z = 1 + i ∈ C. Allora si ha
p √
Re(z) = 1, Im(z) = 1, z = 1 − i, |z| = 12 + 12 = 2 = r.

Ricaviamo l’argomento principale dal sistema (S):


1 π
sin θ = cos θ = √ =⇒ θ = = Arg(z).
2 4

La forma trigonometrica di z allora è


√  π  π 
z = 2 cos + 2kπ + i sin + 2kπ , ∀k ∈ Z.
4 4
1
Esempio 7.3. Sia z = ∈ C. Prima di tutto riscriviamo z in forma algebrica, quindi
3 + 3i
1 1 1 1 1−i 1 i
z= = · = · = − .
3 + 3i 3 1+i 3 2 6 6
Allora si ha
1 1 1 i 1
Re(z) = , Im(z) = − , z= + , |z| = √ = r.
6 6 6 6 18
Ricaviamo l’argomento principale dal sistema (S):



1 2 1
cos θ = 18 = =√ ,


6 2 √ 2
1√ 2 1
sin θ = − 18 = − = −√ ,


6 2 2

cioè Arg(z) = θ = 74 π. La forma trigonometrica di z è quindi


    
1 7 7
z= √ cos π + 2kπ + i sin π + 2kπ , ∀k ∈ Z.
3 2 4 4

137
7.2 Radici n-esime.

Vale il seguente notevole risultato.

Teorema 7.1 (Formula di De Moivre). Sia z = cos θ + i sin θ ∈ C, θ ∈ R e sia n ∈ N.


Allora vale la seguente formula

z n = cos(nθ) + i sin(nθ).

Dimostrazione. Per n ∈ N, poniamo

P (n) : z n = cos(nθ) + i sin(nθ).

Dimostriamo il teorema per induzione. Abbiamo quindi:

• P (1) è vera e non c’è nulla dimostrare.

• Supponiamo P (n) vera e facciamo vedere che P (n + 1) è vera; infatti:

z n+1 = z n z = (cos(nθ) + i sin(nθ))(cos θ + i sin θ) =


= cos(nθ)cos(θ) − sin(nθ) sin θ + i(sin(nθ) cos θ + cos(nθ) sin θ) =
= cos(nθ + θ) + i sin(nθ + θ) = cos((n + 1)θ) + i sin((n + 1)θ),

dove abbiamo usato l’ipotesi induttiva (cioè P (n) vera) e le formule di addizione per
seno e coseno.

In conclusione, P (n) è vera, per ogni n ∈ N.

Osservazione 7.3. Sia z ∈ C un qualsiasi numero complesso scritto in forma trigonome-


trica, cioè
z = r(cos θ + i sin θ), r ∈ R, r ≥ 0, θ ∈ R.
Dal teorema precedente segue

z n = rn (cos(nθ) + i sin(nθ)), ∀n ∈ N.

La Formula di De Moivre permette di calcolare le radici n-esime di numeri complessi.


Cioè, dato w ∈ C, n ∈ N, consideriamo l’equazione

z n = w,

da risolvere rispetto all’incognita z ∈ C. Allora, riscriviamo w in forma trigonometrica

w = r(cos(θ + 2kπ) + i sin(θ + 2kπ)), ∀k ∈ Z,

con r ∈ R, r ≥ 0, θ ∈ [0, 2π). Dato che anche z ∈ C ammette una scrittura in forma
trigonometrica
z = ρ(cos(α) + i sin(α)),

138
dove ρ ∈ R, ρ ≥ 0, α ∈ R, allora si ha

zn = w
m
n
ρ (cos(nα) + i sin(nα)) = r(cos(θ + 2kπ) + i sin(θ + 2kπ)).

Questo significa
(  √
ρn = r, ρ = n r,
⇐⇒
nα = θ + 2kπ α = θ + 2kπ .
n
Poniamo
θ 2π
αk = + k , k ∈ Z,
n n
θ
e osserviamo che n ∈ [0, 2π). Allora anche i seguenti valori


α0 = nθ ,

α1 = θ + 2π ,

n n
..


 .

αn−1 = nθ + (n − 1) 2π
n ,

appartengono all’intervallo [0, 2π). In particolare, per altri valori di k ∈ Z, si riottengono i


valori αk già elencati, a meno della periodicità, ad esempio:
θ 2π
αn = +
n = α0 + 2π.
n n
In conclusione l’equazione complessa z n = ω, ammette n soluzioni distinte, date dalla
formula

    
n
θ 2π θ 2π
zk = r cos +k + i sin +k , k = 0, 1, . . . , n − 1.
n n n n

Esempio 7.4. Consideriamo la seguente equazione in C

z 3 = 1.

In questo caso, ponendo w = 1, si ha r = 1 e θ = 0. Inserendo nella formula delle radici:



    
3 2π 2π
zk = 1 cos k + i sin k , k = 0, 1, 2.
3 3

Esplicitamente:

z0 = 1,

1 3
z1 = − + i ,
2 √2
1 3
z2 = − − i .
2 2

139
Esempio 7.5. Consideriamo la seguente equazione in C

(z 3 + 27i)(3z + 5 − 4z + i) = 0.

Per la legge di annullamento del prodotto, dobbiamo studiare i seguenti casi:

• z 3 + 27i = 0,
    
3 3 3
z = −27i = 27 cos π + 2kπ + i sin π + 2kπ , k ∈ Z,
2 2

da cui
    
π 2kπ π 2kπ
zk = 3 cos π+ + i sin π+ , k = 0, 1, 2.
2 3 2 3

Abbiamo dunque, esplicitamente

z0 = 3i,
     √
7π 7π 3 3 3
z1 = 3 cos + i sin =− − i,
6 6 2 2
     √
11π 11π 3 3 3
z2 = 3 cos + i sin = − i.
6 6 2 2

• 3z + 5 − 4z + i = 0, che scrivendo z = x + iy, diventa

3z + 5 − 4z + i = 0 ⇐⇒ (3x + 5 − 4x) + (3y + 4y + 1)i = 0,

cioè ( (
3x + 5 − 4x = 0, x = 5,
⇐⇒
3y + 4y + 1 = 0 y = − 71 ,

quindi la soluzione è z3 = 5 − 17 i.

In conclusione, l’insieme delle soluzioni dell’equazione di partenza è


( √ √ )
3 3 3 3 3 3 1
{z0 , z1 , z2 , z3 } = 3i, − − i, − i, 5 − i .
2 2 2 2 7

Enunciamo senza dimostrazione il seguente profondo risultato.

Teorema 7.2 (Formula di Eulero). Sia θ ∈ R. Vale

eiθ = cos(θ) + i sin(θ).

Osservazione 7.4. Sia z = s + iθ, s, θ ∈ R. Allora dalla Formula di Eulero, si ha:

ez = es+iθ = es · eiθ = es (cos(θ) + i sin(θ)).

140
Osservazione 7.5. Sia z ∈ C un numero complesso avente modulo r ∈ R, r ≥ 0 e
argomento θ ∈ R, quindi
z = r(cos(θ) + i sin θ).
Dalla formula di Eulero segue immediatamente

z = reiθ .

La precedente scrittura è detta forma esponenziale di z.

Osservazione 7.6. Una volta nota la formula di Eulero è possibile ritrovare la formula di
De Moivre. Infatti, siano θ ∈ R, n ∈ N, si ha:
 n
(cos θ + i sin θ)n = eiθ = einθ = cos(nθ) + i sin(nθ).

Esempio 7.6. Sia z = (1 + i)10 . Vogliamo riscrivere z in forma algebrica. Prima di tutto
poniamo w = 1 + i, si ha (verificare per esercizio):
√ π
|w| = 2, Arg(w) = .
4
Allora, usando la formula di De Moivre, abbiamo
√  √ 10
π   π      
10 5π 5π
w = 2 cos + i sin =⇒ w = ( 2) cos + i sin ,
4 4 2 2

cioè z = w10 = 32i.


Volendo utilizzare la formula di Eulero si avrebbe
√ π √ 5
w = 2ei 4 =⇒ z = w10 = ( 2)10 ei 2 π = 32i.
3
Esempio 7.7. Sia z = e(2+i) ∈ C. Vogliamo riscrivere z in forma algebrica. Prima di
tutto abbiamo:

(2 + i)3 = (2 + i)2 (2 + i) = (4 + 4i − 1)(2 + i) = 6 + 3i + 8i − 4 = 2 + 11i.

Dalla formula di Eulero si ottiene allora

z = e2+11i = e2 (cos(11) + i sin(11)) = e2 cos(11) + ie2 sin(11).

141
8 Esercizi

Esercizio 8.1. Studiare la topologia del seguente insieme


 
1
A = x ∈ R t.c. log(|x|) ≤ .
2

Esercizio 8.2. Studiare la topologia del seguente insieme


n 2
o
A = x ∈ R t.c. 4e−x − 3 ≥ 1 .

Esercizio 8.3. Studiare la topologia del seguente insieme

n2 + 1
 
1
A = x, y ∈ R t.c. x = , y= , n∈N .
n2 n

Esercizio 8.4. Studiare il seguente limite

cos(5πn) n
 
1
lim 1+ .
n→+∞ 2cos(3πn) n

Esercizio 8.5. Studiare il seguente limite:

2 sin(x3 (x + 2)) + 1 − 4 tan(x(log(1 + x2 ))) − cos(x2 (x − 1))


lim p .
x→0+ 3
cosh(x2 ) − ex sin(x2 (x+3)) + sinh(x3 (x2 + 3))

Esercizio 8.6. Studiare il seguente limite:

log(1 + x5 ) + x sin(x + x3 ) − x sinh(x + x3 )


lim .
x→0+ cosh(x − x2 ) + cos(x − x2 ) − 2(ex2 )2 + 4x2

142
Esercizio 8.7. Studiare la seguente funzione:
− 1
(
e |x−2| , x 6= 2,
f (x) =
0, x = 2.

Esercizio 8.8. Calcolare il seguente integrale:


Z π
6
e5 sin(3x) cos(π sin(3x)) cos(3x)dx.
0

Esercizio 8.9. Calcolare il seguente integrale:


Z 1
x3
12
dx.
0 1+x

Esercizio 8.10. Calcolare il seguente integrale:

(sinh2 (x) + 1)(7 cosh3 (x) + 2) sinh(x)


Z log 3
dx.
0 cosh6 (x) + 2 cosh3 (x) + 1

Esercizio 8.11. Sia α ∈ R, α ≥ 0. Studiare la convergenza del seguente integrale


Z +∞
1
dx,
2 x(log(x))α
al variare del parametro α.

Esercizio 8.12. Studiare la convergenze del seguente integrale


Z +∞
x3α + x2
dx,
0 e|α|x2 + x3 − 1
al variare del parametro α ∈ R.

143
Esercizio 8.13. Studiare la convergenze del seguente integrale
Z 2 2 α
x − 4x + 4
dx
−2 x+2

al variare del parametro α ∈ R.

Esercizio 8.14. Sia α ∈ R, α ≥ 0. Studiare la convergenza del seguente integrale


Z +∞
sin(xα )
√ dx,
0 x2 ( 3 x + 4)

al variare del parametro α.

Esercizio 8.15. Sia α ∈ R, α ≥ 0. Studiare la convergenza del seguente integrale

sinh x1α (2x3 + 4x + 3)


Z +∞ 
p dx,
2
α
(2x − 4)3

al variare del parametro α.

Esercizio 8.16. Studiare la convergenze della seguente serie


+∞
X 1
n(log(n))α
n=2

al variare del parametro α ∈ R.

Esercizio 8.17. Studiare la convergenze della seguente serie


+∞
X αn
1 + α2n
n=1

al variare del parametro α ∈ R.

144
Esercizio 8.18. Studiare la convergenze della seguente serie
+∞   n
X
2 |α| 2
α +
n
n=1

al variare del parametro α ∈ R.

Esercizio 8.19. Studiare la convergenze della seguente serie


+∞
X (n + 1)3n
n((2n + 6)α)3n
n=1

al variare del parametro α ∈ R (α 6= 0).

Esercizio 8.20. Studiare la convergenze della seguente serie


+∞ 
1 − |α| n log(n)
X 

5 n
n=1

al variare del parametro α ∈ R.

Esercizio 8.21. Studiare la convergenze della seguente serie


+∞
X
nnα αn
n=1

al variare del parametro α ∈ R.

Esercizio 8.22. Risolvere la seguente equazione in C.

(z + |z|) · (z̄ 4 + 4) = 0.

Esercizio 8.23. Risolvere la seguente equazione in C.


2
2zRe(z) = z + 2i .

145
Esercizio 8.24. Risolvere la seguente equazione in C.

(3z + 2)4 = 8(i 3 − 1).

Esercizio 8.25. Risolvere la seguente equazione in C.

(z + z)(z 3 + i)(z + i)2 = 0.

Esercizio 8.26. Risolvere la seguente equazione in C.


 
1
Im = −1, z 6= 0.
z

146
8.1 Soluzioni.

Esercizio 8.1
Risolvendo la disequazione si ottiene
 √  √ 
A = − e, 0 ∪ 0, e ,

da cui
√  √ 
Int(A) = − e, 0 ∪ 0, e 6= A
 √ √ 
Der(A) = − e, e ,
 √ √
F r(A) = − e, 0, e ,
 √ √ 
A = − e, e 6= A,

sup A = e ∈ A,

max A = e,

inf A = − e ∈ A,

min A = − e.

In particolare, A non è aperto, non è chiuso, è limitato, non è compatto.

Esercizio 8.2
Risolvendo la disequazione si ottiene
 p i hp 
A = −∞, − log 2 ∪ {0} ∪ log 2, +∞ ,

da cui
 p  p 
Int(A) = −∞, − log 2 ∪ log 2, +∞ 6= A,
 p i hp 
Der(A) = −∞, − log 2 ∪ log 2, +∞ ,
n p p o
F r(A) = − log 2, 0, log 2 ,
A = A,
sup A = +∞,
@ max A,
inf A = −∞
@ min A.

In particolare, A non è aperto, è chiuso, non è limitato, non è compatto.

147
Esercizio 8.3
Si ha

Int(A) = ∅ =
6 A,
Der(A) = {0, 1},
F r(A) = A ∪ {0},
A = A ∪ {0} =
6 A,
sup A = 2 ∈ A,
max A = 2,
inf A = 0 ∈
/A
@ min A.

In particolare, A non è aperto, non è chiuso, è limitato, non è compatto.

Esercizio 8.4
Siano {akn } e {ahn } le sottosuccessioni individuate da kn = 2n, hn = 2n + 1. Allora

1 2n
 
1 e
akn = a2n = 1+ =⇒ lim akn = ,
2 2n n→+∞ 2

 2n+1
1 1 2
ahn = a2n+1 = 1− =⇒ lim ahn = .
2−1 2n + 1 n→+∞ e

Quindi
@ lim an .
n→+∞

Esercizio 8.5
Studiamo separatamente il numeratore e il denominatore.

• Studiamo il numeratore, per x → 0+ :

x4
  
3 3 2 4

N (x) = 2 x (x + 2) + o(x (x + 2)) + 1 − 4 tan x x − + o(x ) −
2
(x2 (x − 1))2
 
− 1− + o(x4 ) =
2
x2 5
= 4x3 + 2x4 + o(x4 ) + 1 − 4(x3 + o(x4 )) − 1 + + o(x4 ) = x4 + o(x4 ).
2 2

148
• Studiamo il denominatore, per x → 0+ :
 13
x4

4 2 3
D(x) = 1 + + o(x ) − ex(x (x+3)+o(x )) + (x3 (x2 + 3) + o(x4 )) =
2
 4 
1 x
=1+ + o(x ) + o(x4 ) − (1 + 3x3 + x4 + o(x4 ) + o(x4 ))+
4
3 2
5
+ 3x3 + o(x4 ) = − x4 + o(x4 ).
6

Allora
5 4 5 5
x + o(x4 ) x4

N (x) 2 + o(1) 
lim = lim 25 4 = lim −5 = 2
= −3.
x→0+ D(x) x→0+ − x + o(x4 )
6
x→0+ x4
6 + o(1) − 56

Esercizio 8.6
Studiamo separatamente il numeratore e il denominatore.

• Studiamo il numeratore, per x → 0+ :

(x + x3 )3
 
4 3 3 3
N (x) = o(x ) + x (x + x ) − (x + x ) − 2 + o(x ) =
3!
1 1
= o(x4 ) − x4 + o(x4 ) = − x4 + o(x4 ).
3 3

• Studiamo il denominatore, per x → 0+ :

(x − x2 )2 (x − x2 )2 (x − x2 )4
 
4
D(x) = 1 + 1 + − +2 + o(x ) −
2! 2! 4!
(2x2 )2
 
− 2 1 + 2x2 + + o(x4 ) + 4x2 =
2!
1
= 2 + x4 + o(x4 ) − 2 − 4x2 − 4x4 + o(x4 ) + 4x2 =
12
47
= − x4 + o(x4 ).
12

Allora
x4 − 13 + o(1) − 31

N (x) 4
lim = lim 4 47
 = 47 = .
x→0 + D(x) x→0 x −
+
12 + o(1) − 12 47

149
Esercizio 8.7
Il dominio della funzione è tutto R, quindi f : R → R.
Studiamo il comportamento di f nel punto di raccordo x = 2 e all’infinito:

lim f (x) = 1, lim = 0 = f (2),


x→±∞ x→2±

quindi, in particolare f ∈ C(R, R). Inoltre y = 1 è asintoto orizzontale.


Studiamo ora la derivata prima, per x 6= 2:
1
− |x−2| sgn(x − 2)
f 0 (x) = e .
|x − 2|2
Studiamo il comportamento per x → 2:

lim f 0 (x) = 0 = f 0 (2),


x→2

quindi, in particolare f ∈ C 1 (R, R).


Inoltre
f 0 (x) ≥ 0 ⇐⇒ x ≥ 2,
che implica che la funzione è monotona crescente sull’intervallo (2, +∞), in particolare
x = 2 è punto di minimo globale.
Studiamo ora la derivata seconda, per x 6= 2:
1

f 00 (x) = e |x−2|4 (1 − 2|x − 2|).

Studiamo il comportamento per x → 2:

lim f 00 (x) = 0 = f 00 (2),


x→2

quindi, in particolare f ∈ C 1 (R, R). Iterando, si troverebbe f ∈ C ∞ (R, R).


Inoltre
3 5
f 00 (x) ≥ 0 ⇐⇒ ≤x≤ ,
2 2
che implica che la funzione è convessa sull’intervallo 2 , 2 , in particolare x = 32 , x =
3 5 5

2
sono punti di flesso.

Esercizio 8.8
Con il cambio di variabile t = sin(3x), l’integrale diventa
Z π
1 1 5t
Z
6
5 sin(3x) 1
e cos(π sin(3x)) cos(3x)dx = e cos(πt)dt = I.
0 3 0 3
Integrando ora per parti, si ha
1
π 1 5t
 5t Z
e
I= cos(πt) + e sin(πt)dt.
5 0 5 0

150
Integrando ancora una volta per parti, si ottiene
 5t 1  5t 1 !  1
e π e π e5t π e5t π2
I= cos(πt) + sin(πt) − I = cos(πt) + sin(πt) − I.
5 0 5 5 0 5 5 5 5 0 25

Quindi, ponendo
1
e5t π e5t

A= cos(πt) + sin(πt) ,
5 5 5 0
si ha
π2 25
I =A− I ⇐⇒ I = A.
25 25 + π 2
In definitiva
Z π  5t 1
6
5 sin(3x) 1 25 e π e5t
e cos(π sin(3x)) cos(3x)dx = · cos(πt) + sin(πt) =
0 3 25 + π 2 5 5 5 0
5e5 + 5
=− .
3π 2 + 75

Esercizio 8.9
Con il cambio di variabile t = x4 , l’integrale diventa
Z 1
x3 1 1 1 1 1
Z Z
1
12
dx = 3
dt = 2 − t + 1)
dt.
0 1 + x 4 0 1 + t 4 0 (t + 1)(t

A questo punto, poiché il fattore al denominatore t2 − t + 1 non ha zeri, usando il teorema


dei fratti semplici, esistono tre costanti reali, che chiamiamo A, B, C, tali che

1 A Bt + C A(t2 − t + 1) + (Bt + C)(t + 1)


= + 2 = .
(t + 1)(t2 − t + 1) t+1 t −t+1 (t + 1)(t2 − t + 1)

Eguagliando i coefficienti dello stesso ordine dei numeratori del primo e ultimo termine,
abbiamo
 
1
A + B = 0
 A = 3

−A + B + C = 0 =⇒ B = − 13
 
A+C =1 C = 23
 

Quindi
1 1 1 1 t−2
= · − · =
(t + 1)(t2 − t + 1) 3 t + 1 3 t2 − t + 1
1 1 1 2t − 1 1 1
= · − · + · ,
3 t + 1 6 t2 − t + 1 2 t2 − t + 1

151
e osserviamo che  2 
1
3  t −
t2 − t + 1 = q 2
+ 1 .
4 3
4

In definitiva
1
x3
Z
12
dx
0 1+x
1 1 1
Z
= dt =
4 0 1 + t3
1 1
Z
1
= dt =
4 0 (t + 1)(t2 − t + 1)
1 11 2t − 1
Z
1 1 1 1
= · − · + · dt =
4 0 3 t + 1 6 t2 − t + 1 2 t2 − t + 1
  1
1
1 1 1 t−
log t2 − t + 1 + √ arctan  q 2  =

=  log(|t + 1|) −
12 24 4 3 3
4 0
1 π
= log(2) + √ .
12 12 3

Esercizio 8.10
Con il cambio di variabile t = cosh3 (x), e ricordando la relazione sinh2 (x) + 1 = cosh2 (x),
l’integrale diventa

1 t1 7t + 2 1 7 t1 2t + 2
Z  Z Z t1 
1
dt = dt − 5 =
3 1 t2 + 2t + 1 3 2 1 t2 + 2t + 1 2
1 t + 2t + 1
1 t1
 
1 7
= log(t2 + 2t + 1) + 5 =
3 2 t+1 1
7 log 152 245

27 − 7 log (2) − 152
= ,
3
3
dove t1 = 35 .

152
Esercizio 8.11
Distinguiamo tre casi.
Z +∞
1
• α = 0. Allora dx non converge.
2 x
1
• α > 0, α 6= 1. Allora f (x) = ammette una primitiva
x(log(x))α

(log(x))−α+1
F (x) = .
−α + 1
Quindi, si ha
Z t
lim f (x)dx = lim (F (t) − F (2)) =
t→+∞ 2 t→+∞
 
1 1
= lim − .
t→+∞ (−α + 1) log(x)α−1 (−α + 1) log(2)α−1

Perciò (
Z +∞
converge α > 1,
f (x)dx
2 diverge α < 1.

1
• α = 1. Allora f (x) = ammette una primitiva F (x) = log(log(x)). Quindi,
x log(x)
si ha
Z t
lim f (x)dx = lim (F (t) − F (2)) =
t→+∞ 2 t→+∞

= lim (log(log(t)) − log(log(2))) .


t→+∞
Z +∞
Perciò f (x)dx diverge.
2

In definitiva, l’integrale di partenza converge se e solo se α > 1.

Esercizio 8.12
Sia f la funzione integranda e sia c ∈ (0, +∞). Allora l’integrale di partenza si riscrive
Z +∞ Z c Z +∞
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx = I + II;
0 0 c

quindi convergerà se e solo se convergono entrambi gli integrali nella somma.

153
• Studiamo I.
c
1 + x2
Z
Se α = 0, allora dx diverge poichè
0 x3

1 + x2 1
0 ≤ f (x) = 3
' 3 , per x → 0+ .
x x
Se α 6= 0 e x → 0+ , abbiamo
(
x3α + x2 x3α + x2 c1 se 3α ≥ 2
0 ≤ f (x) = |α|x2 ' '
e + x3 − 1 |α|x2 1
c2 x2−3α se 3α ≤ 2,

con c1 , c2 opportune costanti reali positive. Ora


Z c
c1 dx converge,
Z0 c
1 1
c2 2−3α dx converge ⇐⇒ 2 − 3α < 1 ⇐⇒ α > .
0 x 3

• Studiamo II. Z +∞
1
Se α = 0, allora 0 ≤ f (x) ' , per x → +∞, quindi f (x)dx diverge.
x c
Se α 6= 0, allora

x3α + x2
0 ≤ f (x) ' , per x → +∞,
e|α|x2
Z +∞
quindi f (x)dx converge.
c

In definitiva, l’integrale di partenza converge se e solo se α > 13 .

Esercizio 8.13
Sia f la funzione integranda e sia c ∈ (−2, 2). Allora l’integrale di partenza si riscrive
Z +∞ Z c Z 2
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx = I + II;
0 −2 c

quindi convergerà se e solo se convergono entrambi gli integrali nella somma.


• Studiamo I.
Per x → −2+ abbiamo
1
0 ≤ f (x) ' (16)α .
(x + 2)α
Ora
Z c
1
dx converge ⇐⇒ α < 1.
−2 (x + 2)α

154
• Studiamo II.
Per x → 2− abbiamo
1 1
0 ≤ f (x) ' .
4α (x − 2)−2α
Ora
Z 2
1 1
−2α
dx converge ⇐⇒ α > − .
c (x − 2) 2

In definitiva, l’integrale di partenza converge se e solo se − 12 < α < 1.

Esercizio 8.14
Sia f la funzione integranda e sia c ∈ (0, +∞). Allora l’integrale di partenza si riscrive
Z +∞ Z c Z +∞
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx = I + II;
0 0 c

quindi convergerà se e solo se convergono entrambi gli integrali nella somma.

• Studiamo I.
Per x → 0+ abbiamo
xα 1
0 ≤ f (x) '
2
= c1 2−α ,
x ·4 x
con c1 una opportuna costante reale positiva. Ora
Z c
1
2−α
dx converge ⇐⇒ 1 < α.
0 x

• Studiamo II.
Per x → +∞ abbiamo
| sin(xα )| | sin(xα )| 1
0 ≤ |f (x)| = 2
√3
' 1 ≤ 7.
x ( x + 4) x2 x 3 x3
Poiché
Z +∞
1
7 dx converge per ogni α > 0,
c x3
R +∞
allora dai teoremi del confronto si ha che c |f (x)| converge, quindi converge anche
R +∞
c f (x), ∀α > 0.

In definitiva, l’integrale di partenza converge se e solo se α > 1.

155
Esercizio 8.15
Sia f la funzione integranda e sia c ∈ (2, +∞). Allora l’integrale di partenza si riscrive
Z +∞ Z c Z +∞
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx = I + II;
0 2 c
quindi convergerà se e solo se convergono entrambi gli integrali nella somma.
• Studiamo I.
Per x → 2+ abbiamo
1

sinh 2α 27 1
0 ≤ f (x) ' 3 3 = c1 3 ,
2 (x − 2)
α α (x − 2) α
con c1 una opportuna costante reale positiva. Ora
Z c
1
3 dx converge ⇐⇒ α > 3.
2 (x − 2) α

• Studiamo II.
Per x → +∞ abbiamo
1 3
xα 2x 1
0 ≤ f (x) ' 3 3 3 , = c2
2 x α xα−3+ α
α

con c2 una opportuna costante reale positiva. Ora


Z +∞
1
3 dx converge ⇐⇒ α < 1, α > 3.
α−3+
c x α

In definitiva, l’integrale di partenza converge se e solo se α > 3.

Esercizio 8.16
Distinguiamo due casi.
P+∞ 1
• α ≤ 0. Allora la serie diverge per confronto con la serie n=1 n .

• α > 0. Allora la serie converge se e solo se α > 1, grazie al criterio integrale.


In definitiva, la serie di partenza converge se e solo se α > 1.

Esercizio 8.17
Sia an il termine generico della serie. Allora
|α|n
lim |an | = lim n = 0 ⇐⇒ |α| =
6 1.
n→+∞ n→+∞ 1 + α2

Distinguiamo due casi.

156
• |α| < 1 =⇒ |an | ' |α|n . Quindi
+∞
X +∞
X +∞
X
n
|α| < 1 =⇒ |α| converge =⇒ |an | converge =⇒ an converge.
n=1 n=1 n=1

|α|n
• |α| > 1 =⇒ |an | ' |α|2n
. Usiamo il criterio del rapporto:
n
|α|n+1 |α|2 |α|
lim2n+1 n
= lim 2 n+1 −2n = 0 < 1
n→+∞ |α| |α| n→+∞ |α|
+∞ +∞ +∞
X |α|n X X
=⇒ converge =⇒ |an | converge =⇒ an converge.
|α|2n
n=1 n=1 n=1

In definitiva, la serie di partenza converge se e solo se α 6= ±1.

Esercizio 8.18
Il termine generico an della serie è non negativo per ogni n ∈ N. Usiamo quindi il criterio
della radice:  1
√ 2 |α| 2 1
lim n
an = lim α + = (α2 ) 2 = |α|.
n→+∞ n→+∞ n
Distinguiamo tre casi.

• |α| < 1 =⇒ la serie converge.

• |α| > 1 =⇒ la serie diverge.


n √
• |α| = 1 =⇒ an = 1 + n1 2 → e 6= 0 =⇒ la serie diverge.

In definitiva, la serie di partenza converge se e solo se −1 < α < 1.

Esercizio 8.19 P
Usiamo il criterio della radice sulla serie |an |:
p
n 1 (n + 1)3 1
lim |an | = lim √ 3 3 3
= 3 3.
n→+∞ n→+∞ n
n 2 (n + 3) |α| 2 |α|

Distinguiamo quattro casi.


1
|α| > 12 =⇒
 P
• 23 |α| 3 < 1 an converge ;.
1 1
 P
• 23 |α|3
> 1 |α| < 2 =⇒ an non converge ;

157
1 P+∞ 1 n+1 3n 1 1
• α= 2 =⇒ n=1 n ( n+3 ) non converge, visto che 0 ≤ an ' e2 n
;
P+∞
• α = − 12 =⇒ n 1 n+1 3n
n=1 (−1) n ( n+3 ) converge per il Criterio di Leibniz.

In definitiva, la serie di partenza converge se e solo se α ≤ − 12 , α > 12 .

Esercizio 8.20
La condizione necessaria di convergenza è
n
1 − |α| log(n) 1 − |α|
lim |an | = lim = 0 ⇐⇒ ≤ 1.
n→+∞ n→+∞ 5 n 5

Inoltre
p
n 1 − |α|
lim |an | = .
n→+∞ 5
Quindi, distinguiamo tre casi.
1−|α| P P
• 5 < 1 (−6 < α < 6) =⇒ |an | converge =⇒ an converge;

1−|α|
• 5 = 1, impossibile;
1−|α| P+∞ n log(n)
• 5 = −1 =⇒ n=1 (−1) n converge per il Criterio di Leibniz.

In definitiva, la serie di partenza converge se e solo se −6 ≤ α ≤ 6.

Esercizio 8.21 P
Usiamo il criterio della radice sulla serie |an |:
(
p +∞ se α > 0,
lim n |an | = lim nα |α| =
n→+∞ n→+∞ 0 < 1 se α ≤ 0.

Dunque, distinguiamo due casi.


P P
• α ≤ 0 =⇒ |an | converge =⇒ an converge;
P
• α > 0 =⇒ limn→+∞ an 6= 0 =⇒ an non converge.

In definitiva, la serie di partenza converge se e solo se α ≤ 0.

158
Esercizio 8.22
Distinguiamo due casi.

• z + |z| = 0. Sia z = x + iy, x, y ∈ R. Allora


( p (
p x + x2 + y 2 = 0, x = −|x|,
x + x2 + y 2 + iy = 0 ⇐⇒ ⇐⇒
y=0 y = 0.

Cioè x ≤ 0, y = 0.

• z̄ 4 + 4 = 0. Cerchiamo le radici quarte di −4 applicando le formule per le radici con


r = 4, θ = π (coniugando tali soluzioni troveremo la soluzione):
√4
 π π π π 
ωk = 4 cos +k + i sin +k , k = 0, 1, 2, 3,
4 2 4 4
cioè ω0,1 = i ± 1, ω2,3 = −i ∓ 1. Queste soluzioni sono chiuse rispetto all’operazione
di coniugazione, quindi

{z0 , z1 , z2 , z3 } = {ω0 , ω1 , ω2 , ω3 }.

L’insieme delle soluzioni coincide con

{i ± 1, −i ∓ 1} ∪ {x ∈ R | x ≤ 0}.

Esercizio 8.23
Sia z = x + iy, x, y ∈ R. Allora l’equazione diventa
2
2(x + iy)x = x + iy + 2i =(x − i(y + 2))2 = x2 − (y + 2)2 − 2x(y + 2)i
⇐⇒
2x2 + 2xyi = x2 − (y + 2)2 − 2x(y + 2)i
⇐⇒
(
2x2 = x2 − (y + 2)2 ,
2xy = −2x(y + 2)
⇐⇒
(
x2 = −(y + 2)2 ,
2x(2y + 2) = 0.

L’unica soluzione del sistema è x = 0, y = −2, cioè z = −2i.

159
Esercizio 8.24 √ 2
Partiamo col trovare le radici quarte di 8(i 3 − 1). Verificando che r = 16 e θ = 3 π,
possiamo usare le equazioni per le radici:

4
 π π π π 
ωk = 16 cos +k + i sin +k , k = 0, 1, 2, 3.
6 2 6 2
√ √
Troviamo ω0,2 = ±( 3 + 1), ω1,3 = ±(−1 + i 3).
Per trovare le soluzioni dell’equazione basta imporre
3zk + 2 = ωk , k = 0, 1, 2, 3.
Cioè
1 √ 1 √
z0 = ( 3 − 2 + i), z1 = (−3 + i 3),
3 3
1 √ 1 √
z2 = (− 3 − 2 − i), z3 = (−1 − i 3).
3 3

Esercizio 8.25
Distinguiamo tre casi.
• z + z = 0, con z = x + iy, diventa 2x = 0, cioè Re(z) = 0.
• z + i = 0 è equivalente a z = i.
• z 3 + i = 0 ⇐⇒
    
3 3 3
z = −i = 1 cos π + 2kπ + i sin π + 2kπ .
2 2
Quindi

    
3 π 2kπ π 2kπ
zk = 1 cos + + i sin + ,
2 3 2 3
√ √
3 3
cioè z0 = i, z1 = − 2 − 2i , z2 = 2 − 2i .
Le soluzioni dell’equazione sono pertanto gli elementi di
{z0 , z1 , z2 } ∪ {z ∈ C | Re(z) = 0}.

Esercizio 8.26
Sia z = x + iy, allora
1 1z x y
= = 2 −i 2 .
z zz x + y2 x + y2

160
1
 y
Quindi Im z = −1 ⇐⇒ − x2 +y 2 = −1, ovvero

1 2 1
 
2 2 2
x + y − y = 0 ⇐⇒ x + y − = ,
2 4

che è la circonferenza di raggio 21 centrata in 0, 12 nel piano di Gauss. Pertanto, le (infinite)




soluzioni dell’equazione sono i numeri complessi z ∈ C tali che

i 1
z− = .
2 2

161
Indice analitico
Algebra degli o-piccoli, 45 Forma esponenziale di un numero
Algebra dei limiti, 35 complesso, 141
Archimedeo, 22 Forma trigonometrica di un numero
Argomento di un numero complesso, 136 complesso, 136
Argomento principale di un numero Formula di De Moivre, 138
complesso, 136 Formula di Eulero, 140
Formula di Stirling, 51
Campo commutativo, 19 Formula di Taylor con resto di Lagrange,
Cardinalità, 23 87
Chiusura, 26 Formula di Taylor con resto di Peano, 86
Classe di equivalenza, 11 Frontiera, 26
Codominio, 6 Funzione, 6
Completezza sequenziale, 52 Funzione assolutamente integrabile in
Condizione necessaria per la convergenza senso generalizzato, 115
di una serie, 124 Funzione biunivoca, 8
Coniugato di un numero complesso, 136 Funzione composta, 8
Criteri del confronto per integrali Funzione concava, 92
generalizzati, 114 Funzione continua, 63
Criteri del confronto per le serie, 125 Funzione convessa, 92
Criterio del confronto, 35 Funzione derivabile, 71
Criterio del rapporto, 45 Funzione iniettiva, 7
Criterio del rapporto per le serie, 129 Funzione integrabile, 97
Criterio della radice, 48 Funzione integrabile in senso
Criterio della radice per le serie, 128 generalizzato, 112
Criterio di condensazione di Cauchy, 129 Funzione integrale, 103
Criterio di Leibniz, 132 Funzione inversa, 9
Criterio integrale, 126 Funzione limitata, 60
Funzione limitata inferiormente, 60
Derivata, 71 Funzione limitata superiormente, 60
Derivato, 26 Funzione monotona, 61
Differenza di insiemi, 4 Funzione monotona crescente, 60
Disuguaglianza di Bernoulli, 21 Funzione monotona decrescente, 60
Dominio, 6 Funzione suriettiva, 7
Funzione uniformemente continua, 69
Elemento separatore, 18
Funzioni asintoticamente equivalenti, 62
Estremante locale, 60
Funzioni di classe C 1 , 81
Estremo inferiore, 14
Funzioni di classe C ∞ , 84
Estremo inferiore di funzione, 59
Estremo superiore, 14 Gerarchia tra infiniti, 50
Estremo superiore di funzione, 59 Gruppo commutativo, 18

Forma algebrica di un numero complesso, Immagine, 7


135 Insieme, 3
Forma cartesiana di un numero Insieme aperto, 26
complesso, 135 Insieme chiuso, 26

162
Insieme compatto, 42 Numero di Nepero, 43
Insieme complementare, 4
Insieme completo, 16 o-piccolo, 62
Insieme delle parti, 4 o-piccolo per successioni, 44
Insieme denso, 22
Parametro di finezza, 95
Insieme finito, 23
Parte immaginaria di un numero
Insieme induttivo, 20
complesso, 136
Insieme infinito, 23
Parte reale di un numero complesso, 136
Insieme limitato, 16
Polinomio, 85
Insieme limitato inferiormente, 16
Polinomio di Taylor, 86
Insieme limitato superiormente, 16
Primitiva, 82
Insieme numerabile, 23
Principio di induzione, 20
Insieme ordinato, 12
Prodotto cartesiano, 5
Insieme quoziente, 11
Punto aderente, 26
Insiemi equipotenti, 23
Punto critico, 76
Integrabilità di funzioni continue, 100
Punto di accumulazione, 26
Integrabilità di funzioni monotone, 99
Punto di frontiera, 26
Integrale di Riemann, 97
Punto di massimo, 59
Integrale generalizzato, 112
Punto di massimo locale, 59
Integrale inferiore, 96
Integrale superiore, 96 Punto di minimo, 59
Integrazione per parti, 106 Punto di minimo locale, 59
Integrazione per sostituzione, 107 Punto Interno, 26
Interno, 26 Punto isolato, 26
Intersezione di insiemi, 4 Radici n-esime di un numero complesso,
Intervalli, 25 138
Intorno, 25 rapporto incrementale, 71
Limite, 54 Relazione, 5
Limite di successione, 30 Relazione antisimmetrica, 11
Relazione d’ordine, 11
Maggiorante, 12 Relazione d’ordine totale, 11
Massimo, 13 Relazione di equivalenza, 11
Massimo di funzione, 59 Relazione riflessiva, 11
Media integrale, 102 Relazione simmetrica, 11
Minimo, 13 Relazione transitiva, 11
Minimo di Funzione, 59 Restrizione, 57
Minorante, 12 Retta tangente, 73
Misura di un intervallo, 95
Modulo di un numero complesso, 136 Scomposizione di un intervallo, 95
Serie, 121
Numeri complessi, 135 Serie assolutamente convergente, 131
Numeri interi, 21 Serie geometrica, 122
Numeri naturali, 20 Serie telescopica, 123
Numeri razionali, 22 Sezione di Dedekind, 18
Numeri reali, 19 Somma inferiore, 95
Numeri reali estesi, 27 Somma parziale, 121

163
Somma superiore, 95 Teorema della permanenza del segno, 58
Sottoinsieme, 4 Teorema della permanenza del segno per
Sottosuccessione, 33 successioni, 33
Successione, 30 Teorema di Abel-Dirichlet, 131
Successione convergente, 32 Teorema di Bernoulli-de l’Hôpital, 79
Successione di Cauchy, 52 Teorema di Bolzano-Weierstrass, 40
Successione divergente, 32 Teorema di Cantor, 24
Successione infinitesima, 32 Teorema di Cauchy, 77
Successione limitata, 38 Teorema di Cesàro, 49
Successione limitata inferiormente, 38 Teorema di Darboux, 82
Successione limitata superiormente, 38 Teorema di Fermat, 76
Successione monotona, 39 Teorema di Heine-Borel, 42
Successione monotona crescente, 39 Teorema di Heine-Cantor, 69
Successione monotona decrescente, 39 Teorema di Riemann, 99
Successione oscillante, 32 Teorema di Rolle, 77
Successioni asintoticamente equivalenti, Teorema di Weierstrass, 66
44 Teorema fondamentale del calcolo
integrale, 103
Teorema degli zeri di Bolzano, 66 Teorema ponte, 56
Teorema dei due carabinieri, 58 Teorema sul limite di funzioni monotone,
Teorema dei due carabinieri per 61
successioni, 34 Teorema sul limite di sottosuccessioni, 33
Teorema dei fratti semplici, 108 Teorema sul limite di successioni
Teorema dei valori intermedi, 67 monotone, 39
Test di convessità, 94
Teorema del valor medio di Lagrange, 78
Test di monotonia, 79
Teorema dell’unicità del limite, 57
Teorema dell’unicità del limite per Unione di insiemi, 4
successioni, 31
Teorema della media integrale, 102 Valore assoluto, 19

164

Potrebbero piacerti anche