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I giardini ideali di Tanizaki Manuela Ippolito MCC/00976

I giardini giapponesi (日本庭園, nihon teien) sono luoghi tradizionali che riproducono in
miniatura paesaggi classici del Giappone. Sono un elemento fondamentale della tradizione
giapponese, infatti, la letteratura ad essi legata è molto antica e nel corso del tempo si sono
sviluppate molteplici tipologie di giardino, con delle implicazioni specifiche di tipo
religioso o filosofico. Hanno origine nel periodo Asuka e sono nati nell’isola di Honshū; per
questo motivo, la loro estetica riprende gli elementi naturali predominanti di quell’area:
vulcani, ruscelli, laghi, valli e spiaggette pietrose.
Osservare questi giardini serve a comprendere la concezione stessa che i giapponesi hanno
della natura, la quale va a mescolarsi perfettamente con l’architettura umana. Si può dire che
abbiano la funzione di rappresentare tutti gli elementi presenti in natura in forma
miniaturizzata. Chi entra in un giardino giapponese dovrebbe percepire l’ordine naturale e la
presenza costante della natura, anche nella vita umana. Proprio per questo, sono dei luoghi
di serenità e armonia, in cui ritrovare l’ordine cosmico.
All’interno di alcune opere di Tanizaki Jun’ichirō (谷崎 潤一郎), come Sasame Yuki (Neve
Sottile, 細雪), troviamo il giardino come elemento evocativo molto forte che, all’interno di
quest’opera, è un luogo ameno, portatore di serenità e di un’armonia che la frenetica vita
umana ha perduto. Sasame Yuki, infatti, racconta la storia della famiglia Makioka e della sua
decadenza. Questo romanzo è strutturato in maniera tale da creare degli eventi ciclicamente
ripetuti (il più significativo, lo hanami), i quali vanno a scandire perfettamente il
progressivo e costante declino di questa famiglia. L’opera ha come oggetto la ricerca di un
marito per Yukiko, la terza sorella; tuttavia, perché questo si realizzi passano diversi anni e
numerosi rifiuti e malattie portano progressivamente a un declino della serenità familiare.
L’impermanenza è, difatti, uno dei leitmotiv dell’opera. Per combatterla, oltre alla
celebrazione di questi momenti che ciclicamente si ripetono, seguendo una sorta di ritualità,
si ricerca quello che in giapponese è definito yutori. Con questo termine si intende uno
spazio per sé, per riconciliarsi con la propria interiorità. Lo yutori in questione è proprio il
giardino. La prima volta in cui viene menzionato è nel 1937 quando Yukiko è arrabbiata con
Sachiko perché non le ha riferito della proposta di matrimonio da parte del signor Nomura,
arrivata circa un mese prima:
Yukiko, raccolto il kimono della sorella, lo appese all’attaccapanni e ripiegò con cura l’obi e gli
altri indumenti. Poi, appoggiata al davanzale, rimase lungamente a guardare il giardino. […]
Sebbene fosse piccolo, il giardino includeva due o tre vecchi pini; al di là della siepe, in
direzione nord e ovest, si scorgeva l’ampia catena montuosa del Rokkö. Ritornando a Ashiya
dopo aver trascorso alcuni giorni nella casa di Osaka, Yukiko provava sempre la sensazione di
rivivere.

Inoltre, il romanzo sembra essere diviso in due parti: prima e dopo l’alluvione. Gli hanami
prima dell’alluvione sono i più felici, quelli dopo l’alluvione saranno sempre più
deprimenti, la componente della ritualità si andrà progressivamente perdendo, così come lo
splendore e la serenità della famiglia e del Giappone stesso (durante l’ultimo hanami non è
concesso loro indossare i kimono, per evitare gli sprechi, e invece di andare come sempre al
ristorante, fanno una sorta di picnic). Il giardino, però, quando viene descritto nell’estate del
1938, sembra non essere stato sfiorato dall’alluvione. Sachiko osserva Yukiko passeggiarci
dentro:
Due farfallette bianche scherzavano sul prato, reso più lucido e fresco dalla pioggia. In
mezzo alle erbacce, fra l’albero di sandalo e il lillà, un piccione allungava il
collo per pescare qualcosa nelle pozzanghere. A giudicare da quello
spettacolo così sereno, non si sarebbe mai creduto che ci fosse stata un’alluvione.

Infine, la presenza del giardino ha la funzione di evidenziare la distanza con Tokyo, che non
ne possiede uno, è grigia e priva di tradizioni. Yukiko, in particolare, ogni volta che si trova
in giardino, ritrova la sua pace e teme fortemente il momento in cui dovrà lasciare Ashiya ed
andare a Tokyo. La componente simbolica principale del giardino è questa sua immutabilità
anche di fronte alle catastrofi naturali. A differenza della vita delle sorelle Makioka che,
purtroppo, è soggetta all’impermanenza del tempo, il giardino resta sempre lo stesso e per
questo costituisce un microcosmo ideale, un paradiso. Questa idealizzazione del giardino e
del Kansai stesso è un altro elemento portante all’interno di Yume no Ukihashi (Il ponte dei
sogni, 夢の浮橋).
In questo racconto, si avverte la continuità con la tradizione giapponese. Molti sono gli
elementi che richiamano Kyōto, espressione massima del Giappone tradizionale. Tadasu
vive nella foresta che si trova sotto il santuario di Shimogamo, a Kyōto; prende il cognome
da un distretto a sud-est di Kyōto. Tuttavia, in realtà Tadasu ha pochissime interazioni con il
mondo esterno, che viene accennato appena. Egli vive in un mondo isolato e idealizzato, che
può essere racchiuso all’interno del giardino; nell’opera, esso rappresenta il centro di questo
isolamento, un microcosmo perfetto in cui vengono rappresentati tutti gli elementi della vita
stessa. Dalle prime pagine, Tadasu associa questo luogo ai suoi ricordi di infanzia e ai
ricordi della madre defunta:
Quando avevo tre o quattro anni, ero incantato dal tonfo ripetuto del nostro mortaio ad acqua.
“Tadasu!” chiamava la mamma. “Non avvicinarti o cadrai nello stagno!” Ma dimenticando tutte
le volte che mi aveva fermato, io correvo fuori in giardino e mi aprivo il cammino tra gli alti
steli di bambù della collina artificiale, tentando di raggiungere la sponda del ruscello.

Il suono del mortaio d’acqua viene pian piano associato alla voce della madre e diventa
inoltre metafora dello scorrere naturale degli eventi. Infatti, all’interno di quest’opera come
in Neve Sottile, il fluire degli eventi segue le stagioni, eppure, quando esso viene interrotto
per cause artificiali, provenienti dal mondo esterno, il flusso dell’acqua nel mortaio si
interrompe e gli eventi vengono ordinati seguendo il calendario.
All’interno dello stesso giardino c’è un ulteriore spazio, oltre lo stagno, la casa del tè, stanza
dei giochi preferita di Tadasu:
Adoravo quell’angusto edificio dal tetto basso perché mi sembrava proprio la casa ideale per i
giochi di un bambino. Vi giocavo per ore: sdraiandomi sul pavimento ricoperto di stuoie,
passando e ripassando per le minuscole porte[…]
Ancora, lo stagno, uno dei punti più importanti del giardino panoramico, era il luogo in cui
le sere d’estate Tadasu e i genitori si ritrovavano per cenare.
Il giardino, dunque, in Neve Sottile e ancor di più ne Il ponte dei sogni, è un vero e proprio
simbolo di equilibrio cosmico, che viene perennemente turbato dagli eventi della vita umana
e che, per questa ragione, diventa ancora più significativo. È un luogo di rifugio, una sintesi
perfetta della natura e della vita, in cui i personaggi si sentono al sicuro e riconciliati con se
stessi. Questa idealizzazione mostra chiaramente i legami che l’autore ha con la cultura
tradizionale giapponese, espressi anche dai diversi richiami, all’interno di entrambe le
opere, a rituali, usanze e strumenti musicali tipicamente giapponesi. Nell’immagine del
giardino, quindi, Tanizaki individua la rappresentazione del concetto stesso di armonia, un
ideale di perfezione che tuttavia non salva i protagonisti delle sue opere dalle crudeli
vicissitudini della vita umana.

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