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ITALIANO
NIVEL ELEMENTAL
Prof. Claudia Fernández Speie
In quali città o regioni nominate nel video posso fare vita di mare e di montagna?
Indovinate cosa c'è in città sottolinea quello che dicono le persone intervistate
-Venezia Piazza San Marco, il Ponte dei Sospiri, le gondole, la laguna, il Ponte di Calatrava
-Roma Piazza Navona, La Fontana di Trevi, Il Vaticano, Trastevere, Trinità dei Monti
-Milano La Scala, gli affari, il Castello Sforzesco, la moda, i Navigli
-Siena Il Palio, la Cattedrale, Piazza del Campo, la Torre del Mangia
-Asti Il Palio, i palazzi medievali, lo spumante, la città di Alfieri
-Napoli Il Teatro San Carlo, la pizza, il Vesuvio, Piazza del Plebiscito, il carattere della gente
-Palermo L’architettura araba, il Palazzo dei Normanni, il buon cibo, il mercato Ballarò
-Firenze Il Ponte Vecchio, Piazza del Duomo, Gli Uffizi, Galleria dell’Accademia, Brunelleschi
In gruppi. Avete già visitatol'Italia? Cosa volete visitare in futuro? Parlatene con i vostri compagni.
2.
L’Italia geografica
Testo adattato da http://www.zanichellibenvenuti.it/materiali/pdf/geografia
L’Italia è una penisola nell’Europa meridionale, al centro del Mar Mediterraneo, con due grandi
isole. In Europa, l’Italia è un Paese abbastanza grande, con tre climi e tanti vulcani.
L’Italia è cambiata nel tempo: prima sono nate le montagne, poi le pianure. Ha due grandi
catene di montagne: le Alpi e gli Appennini. Le colline sono molte, e poche le pianure.
5 Si divide in tre parti: l’Italia continentale, che è attaccata all’Europa continentale; a nord è
chiusa dalla catena delle Alpi, a sud arriva fino alla linea che è tra le città di La Spezia e Rimini.
Il Mar Mediterraneo ha delle parti: vicino all’Italia si chiamano: Mar Ligure, Mar Tirreno, Mare
Adriatico e Mar Ionio. Il Mar Ligure va dalla Liguria alla Corsica: è piccolo, ma profondo, e le
montagne arrivano fino al mare. Le coste sono alte e le spiagge sono poche e piccole. Il Mar
10 Tirreno va dalla Corsica alla Sicilia: è il più grande mare italiano. È molto profondo (arriva fino
a più di 3500 metri), ma non ha molti pesci. Le coste spesso sono alte, ma ci sono anche grandi
spiagge. Il Mare Adriatico va dal Golfo di Venezia al Canale d’Otranto, è un mare poco
profondo (quasi sempre meno di 100 metri) e abbastanza ricco di pesci. Le coste del Mare
Adriatico in Italia sono basse, con grandi spiagge. Il Mar Ionio va dal Canale d’Otranto al sud
15 della Sicilia, è un mare molto profondo (vicino alla Grecia arriva fino a più di 5000 metri). Le
coste sono alte.
L’Italia è molto lunga e abbastanza stretta: è lunga quasi 1200 chilometri ed è larga, al
massimo, 530 chilometri.
Il clima di montagna (si chiama anche clima continentale freddo) è sulla catena di montagne
20 che si chiama Alpi e sulle cime più alte degli Appennini. Gli inverni sono lunghi e molto freddi,
spesso si va a meno di 0° (zero gradi) e nevica molto. Le estati sono brevi e fresche con molte
piogge. Il clima delle pianure e delle colline (che si chiama anche clima continentale temperato)
lo trovi in molte parti dell’Italia del nord e del centro. Gli inverni sono freddi, le estati calde.
Piove abbastanza, soprattutto in primavera e in autunno. Il clima delle coste (clima
25 mediterraneo) lo trovi soprattutto nell’Italia del sud e nelle isole. Gli inverni sono miti (a
gennaio, in media, ci sono 10°) e le estati calde (a luglio, in media, ci sono 25°). Piove solo in
inverno, quasi mai in estate.
Come vedi dalla carta fisica, l’Italia ha tanti vulcani. Molti sono spenti: sono diventati delle
normali montagne, perché non “bolle” più niente dentro di loro e non fanno più paura all’uomo.
30 Anzi, vicino ai vulcani spenti la terra è fertile e si può coltivare bene. Altri vulcani, invece, sono
attivi. Sono come delle montagne che dormono, ma che possono sempre svegliarsi ed eruttare
(buttare fuori) lava, cenere, pietre infuocate, perché dentro di loro la terra “bolle” ancora. Tre
vulcani attivi sono in nella regione della Campania: vicino alla grande città di Napoli c’è il più
famoso, che è il Vesuvio. Quattro sono in Sicilia; il più famoso è l’Etna.
35 Le montagne italiane sono raggruppate in due catene: la catena delle Alpi a nord e la catena
degli Appennini al centro e al sud. Le Alpi sono il confine naturale dell’Italia a nord. Le Alpi
sono montagne giovani: per questo hanno cime molto alte. Le cime più alte sono: il Monte
Bianco, alto 4807 metri; il Monte Rosa, alto 4637 metri; e il Monte Cervino, alto 4478 metri.
Tutte e tre queste montagne sono nella Valle d’Aosta. Gli Appennini sono montagne meno
40 giovani, un po’ più basse delle Alpi. Le cime più alte degli Appennini sono: il Gran Sasso, alto
2912 metri, e la Maiella, alta 2795 metri.
L’Italia ha molte colline, soprattutto al centro e al sud. Nell’Italia settentrionale, ci sono tante
colline in Piemonte (la regione più a ovest), e ha invece poche pianure. Le colline sono alte fra
300 e 600 metri. La pianura più importante è la Pianura Padana, che continua con la Pianura
45 Veneta. Tutte e due si trovano nell’Italia settentrionale (o Italia continentale). La Pianura
Padana è stata formata dal fiume Po e dai fiumi che si buttano nel Po (i suoi affluenti). Nell’Italia
centrale e meridionale le pianure sono poche e abbastanza piccole. Sono soprattutto vicino alle
coste.
L’Italia ha pochi grandi fiumi (come ha poche grandi pianure). I grandi fiumi nascono da
50 montagne alte, con molta neve e ghiaccio, e ricevono anche le acque degli affluenti. L’insieme
del fiume e dei suoi affluenti si chiama bacino.
Il fiume più grande e più lungo è il Po, che riceve molti affluenti: forma così un grande bacino
nell’Italia settentrionale. Gli altri bacini importanti sono quelli dell’Adige (e poi del Tevere e
dell’Arno. Nell’Italia meridionale non ci sono né grandi fiumi né grandi bacini. L’Italia ha molti
55 laghi; i più grandi sono quelli delle Alpi: il Lago Maggiore, il Lago di Como e il Lago di Garda
(il più grande d’Italia). Hanno forma lunga e stretta, perché sono nati dai ghiacciai. Quando le
lingue di ghiaccio si sono sciolte, si sono riempiti d’acqua. Nell’Italia centrale ci sono invece
tanti laghi che sono nati perché la terra è sprofondata (laghi tettonici) o dai vulcani (laghi
vulcanici). Quando i vulcani si sono spenti, il cratere si è riempito d’acqua. Il lago più grande
60 è il Lago Trasimeno (che è tettonico). Nell’Italia meridionale, non ci sono laghi importanti.
֍ Per approfondire guarda il video (fino al minuto 2:30) e rispondi alle domande:
https://www.youtube.com/watch?v=mH4wjwTzv3g
2. Ora guardate il video dal minuto 2:30 fino alla fine e scrivete (in spagnolo) cinque
domande la cui risposta ci sia nel video.
3.
Le regioni d'Italia
Tutte belle da visitare!
L'Italia è divisa in regioni, province e comuni. Le regioni d'Italia sono 20, con 110 province e
un totale di 8101 comuni.
Diversamente da paesi come l'Inghilterra e la Francia, solo per fare due esempi, l'Italia è stata
unificata solo nel 1861 e prima di allora era divisa in molti regni e repubbliche, ciascuno con la
5 sua amministrazione, moneta, lingua e molte tradizioni. Questo spiega perché, ancora oggi,
le tradizioni, gli usi, il cibo, il vino, i dialetti e gli accenti, persino i paesaggi naturali e
architettonici variino moltissimo da regione a regione e gli abitanti delle varie regioni siano
molto orgogliosi delle loro tradizioni.
Per me, questo è ciò che rende l'Italia così interessante, perché lo è spazio relativamente piccolo,
10 da nord a sud, da est a ovest, e c'è qualcosa per ogni gusto.
Tutte le regioni italiane offrono una varietà di attrazioni, come alte montagne innevate dove
sciare e praticare altri sport invernali e ammirare il paesaggio, specie lungo il confine
settentrionale ma anche in alcune zone dell'Appennino; città d'arte grandi e piccole, con
architetture spettacolare di ogni periodo e stile; delizie culinarie con i vari piatti tipici
15 regionali, artigianato locale in tutta la penisola, dai vetri agli ori, ai merletti, bellezze naturali in
montagna, in campagna, al mare.
Quindici regioni su venti, tra cui due isole, sono bagnate dal mare, con circa 7500 km di coste,
perciò c'è una vastissima scelta di località e paesaggi, dalle spiagge di sabbie di vari colori, alle
scogliere, pure di vari colori. Da molte regioni d'Italia partono molti collegamenti marittimi con
20 altre località, così come molte società di navigazione che organizzano crociere, intorno alla
penisola e molto più lontano.
______ Italia
֍ 7. Per approfondire guarda questi due video sulla Festa dei Ceri e la
Corsa dei Ceri a Gubbio.
https://www.youtube.com/watch?v=tL98GPzZLT0
https://www.youtube.com/watch?v=RiwzpS2-qX8
Rispondi:
1. Quando e dove si svolge questa corsa’
2. Che cosa sono i ceri?
3. Di che cosa sono fatti?
4. Quanto pesa ogniuno?
5. Qual è il requisito per essere ceraiolo?
6. Quali sono le regole di questa corsa?
→ Per approfondire, leggi il testo sul Palio di Siena nella seconda sezione (p. 88).
֍Se vuoi vedere il Palio del 16 agosto 2019, puoi farlo in
https://www.youtube.com/watch?v=UhPhhPxfTXQ.
5.
ITALIANI FAMOSI
1. Insieme a dei compagni, riempi le colonne con i nomi degli italiani che conosci, e
confronta con un altro gruppo.
3. Leggete ora le due biografie, e distinguete con diversi segni o colori le informazioni
note dalle nuove.
Galileo Galilei
1. ______________________________________________________________
5
«La matematica è l'alfabeto in cui Dio ha scritto l'Universo». Queste parole pronunciate
da Galileo Galilei dicono molto su di lui: fisico, filosofo, matematico e astronomo, è
considerato il padre della scienza moderna perché creò il metodo scientifico, basato
sull'osservazione oggettiva della realtà.
10 Processato dalla Chiesa di Roma, cercò di spiegare da cattolico la teoria eliocentrica
prima di essere costretto ad abiurare.
2. ______________________________________________________________
15 A Pisa si specializza in matemática. Nato a Pisa nel 1564, Galileo iniziò nel 1580 a
studiare medicina presso l'Università della sua città, prima di scegliere nel 1583 di
specializzarsi in matematica. A fargli da insegnante fu Ostilio Ricci, che riteneva che
la matematica fosse una scienza non astratta, ma utile per risolvere i problemi pratici.
Fino al 1585 Galileo rimase a Pisa dove studiò anche fisica e dove fece la sua prima
20 scoperta: si racconta che osservando la lucerna posta sul soffitto della cattedrale di
Pisa scoprì l'isocronismo delle oscillazioni del pendolo.
3. ______________________________________________________________
25
Dal 1589 insegnò a Pisa e nel 1592 venne chiamato presso l'università di Padova dove
fu docente fino al 1610. I diciotto anni trascorsi nella città veneta furono definiti da
Galileo «i migliori di tutta la mia età».
Nello studio di Padova Galileo creò una piccola officina nella quale eseguiva
30 esperimenti e fabbricava strumenti che vendeva per arrotondare lo stipendio: qui
inventò nel 1593 la macchina per portare l'acqua a livelli più alti, che fu utilizzata a
Venezia.
4. ______________________________________________________________
35
Nel 1604 apparve nei cieli europei una supernova. Si dice che Galileo ne approfittò
per creare oroscopi a pagamento, ma soprattutto per costruire e perfezionare tra 1604
e 1609 il cannocchiale, strumento inventato in Olanda, usato da Galileo per la prima
volta per osservare le stelle.
40
5. ______________________________________________________________
60 [Tratto da https://www.studenti.it/galileo-galilei-biografia-scoperte.html]
Alessandro Manzoni
65 6.______________________________________________________________
Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785 da Giulia Beccaria, figlia dell’illuminista
Cesare Beccaria. I primi anni di collegio lasciano in lui un ricordo del tutto negativo ma
lo avviano alla conoscenza di autori moderni come Alfieri e Parini e alla lettura dei
70 pensatori francesi illuministi: la discendenza da Beccaria e l’ambiente milanese
pongono sicuramente delle solide basi per il pensiero di Manzoni che, come vedremo
fra poco, recepisce molti elementi dalla cultura illuminista rielaborandoli poi secondo
la sua personale visione del mondo.
75
7.______________________________________________________________
Nel 1805 Alessandro Manzoni si trasferí a Parigi dove la madre viveva con Carlo
80 Imbonati, il nuovo compagno che morì però improvvisamente prima dell’arrivo del
giovane in Francia. Questo evento luttuoso portò ad un forte legame fra Manzoni e sua
madre che non si attenuò mai.
8.______________________________________________________________
85
Nel 1808 sposa, con rito calvinista, Enrichetta Blondel, che fu sua compagna anche
nel graduale processo di conversione verso il giansenismo che avvenne dopo il
“miracolo di San Rocco” quando Manzoni, durante la festa patronale, si perse nella
grande calca parigina e, preso dal panico, invocò Dio perché riuscisse a ritrovare sua
90 moglie e la strada di casa.
9.______________________________________________________________
11.______________________________________________________________
110 Gli anni seguenti vedono Alessandro Manzoni impegnato in una profonda riflessione
sulla storiografia e sulla lingua italiana, argomento con cui si esprime il suo impegno
nel processo risorgimentale: se è vero che fatta l’Italia bisognava fare gli italiani (come
si espresse D’Azeglio) la questione della lingua diventava secondo Manzoni un
tassello fondamentale per la costruzione di questa identità. Ricordiamo che in Italia
115 solo la lingua letteraria ha uno statuto ormai riconosciuto sul piano nazionale, si usa
cioè il fiorentino come lingua ufficiale scritta, ma il resto del popolo oltre a parlare
esclusivamente dialetto è anche analfabeta e il fiorentino pone la popolazione davanti
alla stessa difficoltà che si avrebbe davanti una lingua straniera.
La predilezione per una lingua semplice. Alessandro Manzoni, che dal 1861 è
120 senatore del neonato regno d’Italia, in linea con le idee romantiche che sposò nel corso
della sua vita, predilesse una lingua fiorentina ma semplice: non il fiorentino aulico e
pomposo degli scritti letterari ma una lingua schietta, popolare, che accogliesse anche
i termini più pratici e comprensibili delle parlate locali (oltre il fiorentino di base quindi)
e i termini stranieri circolanti all’epoca.
125
La morte di Manzoni avvenne a Milano nel 1873 e fu occasione di solenni cerimonie
che ispirarono anche una Messa da Requiem di Giuseppe Verdi.
130 12.______________________________________________________________
Tratto da https://www.studenti.it/alessandro-manzoni-biografia.html
4. Dalle due biografie sono stati cancellati e mescolati i titoli dei paragrafi.
Assegnate ogni sottotitolo al paragrafo numerato corrispondente.
6. Osservate il quadro del sistema verbale italiano. In ogni casella appare la forma
della terza persona singolare delle tre coniugazioni: parlare, temere e partire. Che
rapporto c’è tra i tempi della prima colonna e quelli della seconda?
7. Confrontate il sistema verbale italiano con quello dello spagnolo: a quale tempo
corrisponde ogni tempo? Esiste qualche forma verbale in una delle lingue che non
esista nell’altra?
9. Cercate esempi, nei testi già letti, di tempi attivi composti con l’ausiliare essere, e
cercate di tradurli.
IL SISTEMA VERBALE
MODO INDICATIVO
MODO CONDIZIONALE
PRESENTE PASSATO
parlerebbe, amerebbe, partirebbe. avrebbe parlato, avrebbe temuto, sarebbe partito-a.
MODO CONGIUNTIVO
PRESENTE PASSATO
che lei o lui parli, tema, parta. che lei o lui abbia parlato, abbia temuto, sia partita
o partito.
IMPERFETTO TRAPASSATO
che lei o lui parlasse, temesse, che lei o lui avesse parlato, avesse temuto, fosse
partisse. partita o partito.
MODO IMPERATIVO
NOTE:
A. Il pronome di seconda persona singolare di trattamento formale è lei, come
quello femminile di terza persona; come in spagnolo, il verbo lo accompagna
coniugato in terza persona.
B. La distribuzione prescrittiva dei diversi tempi passati è analoga a quella dello
spagnolo. Ma, come nello spagnolo, la loro effettiva distribuzione dipende dalle
aree geografiche.
C. Il modo congiuntivo si usa in italiano con maggior frequenza che in spagnolo.
In genere, i verbi della frase principale che non implicano certezza (come
pensare, credere, considerare, ritenere, domandarsi, non sapere) reggono il
congiuntivo nella subordinata.
D. Il modo condizionale svolge le stesse funzioni che svolge in spagnolo. Il solo
uso contrastivo riguarda l’espressione del futuro in rapporto con il passato della
principale: in spagnolo si usa il condizionale presente (“Me dijo que vendría”) e
in italiano il condizionale passato (“Mi ha detto che sarebbe venuto”).
E. L’imperativo informale (tu) parla, temi, parti; in negativo, si usa la negazione
dell’infinito: non parlare, non temere, non partire.
10. Dopo aver esaminato lo schema dei verbi con l’insegnante, cercate nei testi già
visti esempi dei diversi modi e tempi. Esempio: Nel primo testo (L’Italia geografica)
osserva anche i verbi pronominali (chiamarsi, dividersi, ecc.) Riempite lo schema del
presente indicativo di chiamarsi, e controllate con la classe.
Come in tutte le lingue, in italiano i verbi piú frequenti sono i piú irregolari. Ecco il
presente indicativo di alcuni verbi di alta frequenza:
Lui /Lei ha Lui / Lei è Lui / Lei dà Lui / Lei fa Lui / Lei dice
Noi abbiamo Noi siamo Noi diamo Noi facciamo Noi diciamo
Voi avete Voi siete Voi date Voi fate Voi dite
Loro hanno Loro sono Loro danno Loro fanno Loro dicono
CHIAMARSI
Io …… chiamo
Tu ……. chiami
Noi ci chiamiamo
Voi vi chiamate
Loro …… ……………...
6.
DIZIONARI
Lavora con un gruppo di compagni. Osservate nelle seguenti pagine le definizioni di italiano. Quale
credete che provenga da un dizionario (Zingarelli 1995) e quale da un’enciclopedia (Zanichelli
1996)?
1. Che significa ogni abbreviazione? Scrivetelo sulle righe all’estremo di ogni
freccia, e confrontate con il resto della classe.
2. Usate il dizionario. Scegliete uno dei testi della dispensa con il quale avete già
lavorato, e cercate le parole che non capite dal contesto.
3. Quali delle seguenti parole si trovano sul vocabolario? Spiegate perché le altre
non ci sono, e scrivete accanto a ognuna di esse la parola corrispondente che
vi si trova, o il tipo di testo che potete consultare per avere informazioni.
Italia
fiumi
scelta
perse
scoperta
paese,
eseguiva
solide
oltre
schietta,
luoghi
fece
Beccaria
7.
NON È IMPORTANTE SAPERE TUTTO, MA SAPERE DOVE
CERCARE: PICCOLA GUIDA PRATICA ALL’USO DEL DIZIONARIO
Vera Gheno [tratto da www.centodieci.it]
Tutti quanti, almeno una volta nella vita, abbiamo consultato un dizionario. Per molti, la
consultazione sarà legata a ricordi scolastici, alla sacralità dell’atto di aprire il volume
polveroso sfogliandone le pagine. Come vedremo, questa attività non dovrebbe finire con la
fine degli studi.
5 Esistono diversi tipi di dizionario, a seconda di quello che vogliamo sapere di una parola.
Il dizionario etimologico si concentra sul momento della nascita di un termine: ci descrive
da dove deriva (ad esempio, dal latino o da una lingua straniera) o come si è formato (tramite
suffissazione, composizione, ecc.). Un grande classico è il Cortelazzo-Zolli.
Il dizionario storico narra la storia della parola nel corso dei secoli (o degli anni), dalla sua
10 nascita a oggi. Il dizionario storico più famoso per l’italiano è il Grande Dizionario della Lingua
Italiana, detto “il Battaglia”, dal nome del suo primo curatore. In questo momento non lo si
può ancora consultare in rete, ma la sua digitalizzazione è in corso d’opera.
Il dizionario dell’uso o sincronico è invece quello che consultiamo normalmente per
conoscere il significato delle parole oggi in uso. Sono sincronici lo Zingarelli, il Devoto-Oli,
15 il Sabatini Coletti, il De Mauro ecc.
Ricordiamo anche l’esistenza dei dizionari specialistici, che si concentrano su un settore
particolare della lingua (come la medicina, la botanica, l’astronomia, la linguistica),
dei dizionari di sinonimi e contrari, dei dizionari bilingui o multilingui, dei dizionari
analogici (che forniscono un approccio concettuale alla ricerca lessicale), dei dizionari
20 inversi (che sono in ordine alfabetico partendo dalla fine della parola).
Una lingua di cultura è fatta di diverse centinaia di migliaia di parole, secondo alcuni fino al
milione; un vocabolario ne registra sempre molte meno. Una persona, invece, conosce
intorno alle 25.000 parole alla fine delle scuole superiori. Proprio per la differenza tra
numero di parole contenute in un dizionario e quelle mediamente conosciute da un italiano
25 di media cultura, la consultazione di un vocabolario dovrebbe rimanere una sana abitudine
per tutta la vita. In fondo, lo diceva anche Umberto Eco, “la persona colta non è quella che
sa tutto, ma quella che sa dove trovare l’informazione giusta quando le serve”.
1. Conoscevi tutti i tipi di dizionario che menziona il testo? Li avevi usati tutti? In che
lingua? Quali usi abitualmente per studiare?
2. In che persona verbale è redatto il testo? Quale effetto deriva da questa scelta? Indica
gli elementi linguistici che rimandano a questa persona, e controlla con un compagno o
compagna.
3. Lavora in un piccolo gruppo (di tre o quattro persone). Traducete, con l’eventuale aiuto
dell’insegnante, la seguente frase del testo; confrontate poi con il resto della classe:
Una lingua di cultura è fatta di diverse centinaia di migliaia di parole, secondo alcuni fino al
milione; un vocabolario ne registra sempre molte meno. Una persona, invece, conosce
intorno alle 25.000 parole alla fine delle scuole superiori. Proprio per la differenza tra
numero di parole contenute in un dizionario e quelle mediamente conosciute da un italiano
di media cultura, la consultazione di un vocabolario dovrebbe rimanere una sana abitudine
per tutta la vita.
di uso o sincronico
storico
etimologico
analogico
specialistico
inverso
→ Per approfondire, leggi la storia del primo dizionario italiano nella seconda sezione (p. 96).
8.
La nascita della lingua italiana
di Luca Serianni - Dizionario di Storia (2010) [tratto da
www.treccani.it/enciclopedia/la-nascita-della-lingua-italiana_%28Dizionario-di-Storia%29/]
Quando parliamo di nascita e di morte di una lingua, ricorriamo a metafore non sempre
pertinenti. A rigore, una lingua muore solo quando si spegne l’ultimo dei suoi parlanti: si calcola
che si trovino in condizione di rischio circa la metà delle 6000 lingue oggi esistenti nel mondo,
quelle parlate da poche centinaia o migliaia di individui, specie in Australia e nelle Americhe.
5 Il fenomeno è talvolta documentabile, grazie al progresso degli studi: l’ultimo parlante del
dalmatico, una lingua romanza ancora parzialmente in uso nell’Isola di Veglia in epoca
moderna, morì nel 1898; adottando criteri analoghi, possiamo dire che il manx (Isola di Man)
si è spento nel 1974, il cupeño (California) nel 1987, l’ubykh (Turchia) nel 1992.
Molto più arduo, o meglio impossibile, dire quando una lingua nasce. In realtà, non abbiamo
10 mai una separazione netta tra una lingua madre e una lingua figlia, come avviene negli
organismi biologici, ma solo una lenta trasformazione, il cui punto d’arrivo è percepito, dai
parlanti stessi o dagli studiosi moderni, come realtà autonoma e irriducibile rispetto al punto di
partenza. Il processo è interamente induttivo per le lingue il cui capostipite è solo ricostruito,
come per le lingue indoeuropee; è ben analizzabile, invece, nel caso delle lingue romanze, che
15 discendono da una lingua nota e documentata: il latino. […]
Il 10° sec. può in effetti essere considerato il secolo, non già della nascita (evento storicamente
non accertabile), ma dell’avvenuta percezione di un volgare italoromanzo come idioma
autonomo: se è vano andare alla ricerca di un «certificato di nascita», è possibile − per restare
all’interno della metafora anagrafica − indicare un certificato di esistenza in vita. I fondamenti
20 di questa affermazione sono di vario tipo, diretti e indiretti.
Tra quelli diretti, si deve menzionare il fatto che le più antiche testimonianze […] danno conto
dell’emersione del volgare in aree diverse, senza rapporti reciproci: segno di un avvenuto e
generalizzato distacco, nella coscienza degli scriventi, tra l’abituale latino e il volgare già da
tempo adoperato nella comunicazione orale. Specificamente al 10° sec. rinviano le più antiche
25 testimonianze di un fenomeno fonetico che è l’ultimo a compiersi nel passaggio latino-volgare
toscano (poi italiano senza aggettivi): il passaggio dei nessi di consonante + l a consonante + i
semiconsonantica (plus › più, clamare › chiamare, florem › fiore ecc.); la più antica
testimonianza del fenomeno è stata rintracciata in una carta lucchese (in latino) del 999:
Vallechio, cioè Vallecchio ‹ *valliculum (A. Castellani, Saggi di linguistica e filologia italiana
30 e romanza, 1980). [...]
La «nascita» dell’italiano dal latino non ha implicato la sostituzione di un codice linguistico
con un altro: ha comportato solo il venir meno di quel tipo di latino sopravvissuto nell’Alto
Medioevo come lingua primaria, appresa dalla madre o dalla balia. Com’è noto, il latino resta
a lungo la lingua della scrittura e in generale della cultura, anche come mediatore dei grecismi,
35 in diversi ambiti (più a lungo, come lingua liturgica della Chiesa cattolica; ma assai radicato −
ed esclusivo fino al 18° sec. − è il suo uso come lingua dell’istruzione universitaria); in latino
scrivono la maggior parte delle loro opere diversi autori della letteratura italiana fino al
Cinquecento (l’esempio più clamoroso è quello del Petrarca). Le lingue romanze, infine, hanno
attinto dal latino una parte decisiva del proprio lessico: in italiano sono «latinismi», ossia parole
40 mediate dal latino, non trasmesse per via ereditaria, di generazione in generazione, vocaboli
correnti come cibo, modo, numero, pensare (le rispettive forme «popolari» sarebbero, o sono,
*cevo, *muodo, novero, pesare). In spagnolo e soprattutto in francese il latino ha condizionato
le rispettive ortografie: si pensi solo al mantenimento dell’h per puro omaggio etimologico in
franc. histoire, spagn. historia (rispetto all’ital. storia) o hiver (rispetto a spagn. invierno, ital.
45 Inverno).
1) Dopo aver letto La nascita della lingua italiana, rispondi alle domande:
a
. Perché, secondo Serianni, la metafora della nascita non è pertinente per riferirsi all’origine
di una lingua?
b. Qual è la differenza tra la ricostruzione della storia delle lingue romanze e quella delle
altre lingue indoeuropee?
c. Che fenomeno accadde, per l’italiano, nel X secolo?
d. Che funzioni continuò a svolgere il latino dopo il X secolo?
e. Che sono i latinismi? Conoscevate questo concetto? C’è tra gli esempi dati da Serianni
per l’italiano qualche coppia di termini esistente anche in spagnolo?
2) Lavora con un gruppo di compagni. Senza usare il dizionario, con l’aiuto del contesto,
provate a dedurre il significato delle seguenti parole:
a. si spegne (r. 2); ricordate il termine nel testo L’Italia geografica (p. 3), a
proposito dei vulcani.
b. capostipite (r. 13)
c. nota (r. 15)
d. volgare (r. 17, 22, 23, 25)
e. resta (r. 33)
f. Chiesa (r. 35)
g. hanno attinto (r. 38-39)
3) Cercate nel testo le espressioni di senso equivalente a hasta, entre, nunca, muy, como se sabe, por
último.
4) Identificate l’infinito delle seguenti forme verbali:
ricorriamo (r. 1); appresa (r. 33); trasmesse (r. 40).
5.. Con aiuto di un dizionario etimologico, cerca il fratello popolare dei seguenti latinismi
in spagnolo:
materia, delicado, pólipo, radio, húmero, músculo, estricto, pleno, plano, fibra, módulo, madrugar, mancillar, clav,
ecológico. E ora cerca il fratello colto di obra, palabra, lidiar, colgar, estrecho, espejo.
6. Con l’aiuto dell’insegnante, scrivi accanto a ogni paio di parole risultante dall’item 5 la o
le parole italiane della stessa origine.
→ Per approfondire, leggi Le lingue romanze e i primi documenti del volgare italiano, nella
seconda sezione (p. 97).
9.
La diffusione di una lingua unitaria
1. Prima di leggere il testo La diffusione di una lingua unitaria, tratto da AAVV, Il filo rosso.
Antologia e storia della letteratura italiana vol I (Roma-Bari: Laterza, 2006), prova a rispondere
insieme a dei compagni le seguenti domande (leggete tutte le domande prima di rispondere:
questo vi orienterà):
a. Quando si uní politicamente l’Italia?
b. Quale era la situazione linguistica degli italiani alla fine dell’Ottocento?
c. Quali fenomeni favorirono la diffusione dell’italiano?
d. Che atteggiamento aveva la scuola nei confronti dei dialetti?
e. Che nazione fu modello per la concentrazione del Regno d’Italia?
2. Ora leggete il testo, e rintracciate le risposte ad ogni domanda: mettete accanto a ogni paragrafo
la lettera della domanda corrispondente. Attenzione: esse non sono in ordine.
3. Rileggete con attenzione ogni paragrafo, verificate ed eventualmente correggete le domande che
avete formulato prima della lettura.
4. Con l’aiuto del docente, osservate l’uso del pronome ne, presente due volte nell’ultimo paragrafo.
→ Per approfondire, leggi il testo sul policentrismo linguistico nella seconda sezione (p. 102).
10.
L’insegnamento della lingua italiana in Argentina
Maria Emilia Pandolfi, 2007
1)
È noto che al momento dell’arrivo degli italiani la società argentina non era affatto omogenea. Il fenomeno
migratorio si sovrapponeva alla preesistente questione dell’identità non ancora risolta. D’altro canto
l’immigrazione italiana era altrettanto eterogenea e la questione della lingua si correlava alla mancata
uniformità culturale.
(5) L’immigrazione italiana trovò dunque nel paese che la accolse serie difficoltà a mantenere un’identità
italiana nel senso vero e proprio. Il forte desiderio e bisogno di integrazione sociale portò spesso alla
perdita della lingua di provenienza o, addirittura, alla dimenticanza. Il basso livello di scolarizzazione
degli italiani arrivati che non parlavano né tantomeno scrivevano in italiano ma comunicavano nel loro
dialetto fu causa di progressiva argentinizzazione della lingua degli immigrati.
Linguisticamente, l’immigrazione non poté mantenere quindi l’italiano perché non ce l’aveva né tanto
meno contribuire alla sua diffusione. La realtà della frammentarietà linguistica e culturale lo ostacolavano
in particolar modo.
Elementi strutturali dei diversi dialetti si sovrapposero alla lingua locale, alcuni dei quali furono assimilati
dal sistema linguistico ufficiale e altri, invece, attraverso l’impatto linguistico con le varianti parlate nel
Río de la Plata, diedero vita a nuove varianti quali il cocoliche e il lunfardo.
2)
Al fenomeno di argentinizzazione si affiancò un'altra interessante realtà. Gli italiani avevano serie
difficoltà a comunicare tra loro perché la diversità di provenienze e la dialettofonia glielo impediva. Il
bisogno di comunicare tra connazionali portò a un processo di riscoperta e avvicinamento dell’italiano, e
quindi all’italianizzazione dei dialetti passando attraverso le varianti dell’italiano regionale. Per questo
motivo si dice che l’immigrazione contribuì vistosamente alla diffusione dell’italiano.
Per i gruppi immigratori il mantenimento della lingua di origine dipendeva dal tipo di immigrazione che
s’intraprendeva e dal relativo atteggiamento degli immigranti nei confronti di un eventuale rimpatrio.
Infatti coloro che lasciavano le loro terre con lo scopo di rientrarvi dopo aver fatto fortuna o meno
all’estero, proteggevano la loro identità linguistica e culturale con maggior zelo. Gli italiani che
emigravano in altri paesi europei lo facevano in modo temporáneo mentre l’emigrazione transoceánica
veniva percepita come definitiva. L'immigrazione italiana quindi, arrivata in Argentina, veniva per
rimanerci e far venire a poco a poco il resto delle famiglie rimaste in Italia. Questo spiega in parte quanto
sia stato difficile mantenere l’identità linguistica e quanto il bisogno di sopravvivenza li abbia portati a
imparare subito la lingua locale. Per le seconde e terze generazioni, in molti dei casi, si ebbe una
conoscenza passiva della lingua dei genitori. Genitori che si esprimevano in dialetto e figli che
rispondevano in spagnolo fu il paradigma linguistico ricorrente all’interno della comunità italiana sempre
più argentinizzata.
I dialetti più rappresentativi si mantennero comunque con caratteristiche arcaiche, come vere isole
linguistiche, grazie alla vitalità endogamica delle colonie e allo sforzo delle associazioni.
3)
La diversificata provenienza degli immigranti italiani se da una parte portò a una forte amalgamazione
linguistica e culturale con la realtà locale, accentuò dall’altra forti condizioni di conservazione
regionalistica. È così che si spiega la vitalità associazionistica che, sin dai primi anni del fenomeno
immigratorio, aiutò a conservare tanti aspetti del patrimonio linguistico e culturale degli immigranti.
La lingua italiana subì una notevole riduzione dei suoi ambiti di uso, come conseguenza delle condizioni
generali della comunità. Il contesto urbano in particolare portò a forme di integrazione spesso traumatiche.
Così per esempio, nel caso di Buenos Aires, il conventillo era l’abitazione degli immigranti, case con
cortili interni, dove convivevano spesso in sovraffollamento immigranti di diverse provenienze e dove
avvenivano gli scambi linguistici più svariati.
Praticamente inesistenti furono le misure istituzionali di conservazione linguistica sia da parte del governo
italiano che da quello argentino. Decisivo fu il ruolo della scuola pubblica per i figli degli immigranti la
quale impose una scolarizzazione monolingue e non ebbe in alcuna considerazione la lingua di
provenienza degli iscritti. D’altro canto però è da rilevare il ruolo di primaria importanza che ebbero i
giornali italiani assai numerosi nella comunità di immigrati, dai primi, repubblicani a quelli di stampo
monarchico, socialista, anarchico, cattolico. All’inizio del secolo il secondo giornale per tiratura a Buenos
Aires era “La Patria degli italiani”.
(53) Complessivamente, in diversa misura e con caratteristiche differenti, si verifica in Argentina un certo
contatto con l’italiano sia da parte degli immigranti italiani e i loro discendenti che da coloro che lo
studiano. Con una base di partenza diversa, nei primi si tratta della lingua madre che, a seconda delle
esperienze, si è andata lentamente indebolendo mentre negli altri è una lingua seconda che si va via via
conquistando.
Nel caso degli immigranti, che la lingua madre diventasse ogni volta più lontana si spiega dai vincoli
sempre più radi tra l’Italia e l’italiano e dal fatto che l’immigrazione transoceanica venne sempre
concepita come definitiva (vedi 1.4). D’altra parte la vicinanza strutturale con la lingua locale e
una comprensione relativamente trasparente contribuirono a far sì che quest'ultima venisse imparata più
velocemente pur riscontrandosi interferenze di svariata tipologia.
4)
(63) Nel passaggio dalla prima alla seconda generazione il parametro che cambia fondamentalmente è il fattore
età legato alle possibilità di accesso alla scolarizzazione. Non solo: la differenza avviene anche a livello
metalinguistico. Si verifica nei parlanti della seconda generazione una consapevolezza della norma
linguistica e dei contesti d’uso.
Per la seconda generazione l’italiano aveva una chiara contrapposizione con la lingua locale, tanto che
per impararla diventava quasi una condizione dimenticare l’italiano e ancora di più le varianti subordinate.
Lo scontro con la nuova lingua avveniva spesso in condizioni psicologicamente difficili. La
socializzazione primaria per i figli di immigranti si verificava attraverso il dialetto di casa e, se non c’era
stata mediazione attraverso i fratelli o amici più grandi, il primo contatto accadeva a scuola dove il
patrimonio linguistico che l’immigrante portava era considerato tutt’altro che un pregio ma un ostacolo
all'apprendimento della lingua del posto. C. Bettoni ritiene che all'estero l’italiano della prima
generazione si mescola con la nuova lingua e ne subisce l’interferenza, poi con la seconda generazione
subisce anche un processo di erosione (Bettoni 1997:433).
(77) Infatti l’italiano della prima generazione lascia inalterate le strutture foniche e sintattiche mentre adotta
a livello lessicale molti termini della lingua locale nonché numerose interiezioni e espressioni
intercalari i quali denotano un’emotiva identificazione con gli elementi più istintivi della lingua locale
(Bettoni 1997: 434). Le interferenze si verificano a livello di prestiti di nomi, elementi dell'organizzazione
sociale del paese, del lavoro, dell’ordinamento scolastico, dell’alimentazione, ecc. Si tratta in tutti i casi
di prestiti considerati necessari.
La seconda generazione eredita dai genitori tutti questi prestiti e li adatta fonicamente. Quindi a livello
fonetico non c’è più alcuna interferenza. Se ne riscontrano invece a livello lessicale o morfo-sintattico. Si
pensi per esempio all’ordine impreciso dei pronomi atoni composti (me se cayó al posto di se me cayó =
mi è caduto) o delle correlazioni dei tempi verbali (me prometió que habría venido al posto di me prometió
que vendría = mi ha promesso che sarebbe venuto) per i parlanti meno istruiti.
Il problema dell’identita. È noto che al momento dell’arrivo degli italiani (...) Il fenomeno
migratorio si sovrapponeva alla preesistente questione dell’identità non ancora risolta. (...)
L’immigrazione italiana era altrettanto eterogenea e la questione della lingua si correlava alla
mancata uniformità culturale.
5. Rileggi la frase dove c’è la parola dimenticanza (r. 7) e cerca di dedurre a quale
verbo corrisponde. Traducila.
7. Osserva e traduci l’espressione una lingua seconda che si va via via conquistando. (r.
56)
9. Connettore: Cerca di tradurre la frase adotta a livello lessicale molti termini della lingua
locale nonché numerose interiezioni. (r. 77-78)
→ Per approfondire, leggi il testo di sulla lingua degli emigrati nella seconda sezione (p. 106).
11. Dante «padre della lingua»
1. Durante la prima lettura del capitolo su Dante tratto dalla Storia della lingua italiana di Bruno
Migliorini (Roma: Bompiani, 1987), metti un titolo sul margine di ogni paragrafo.
Confronta poi con dei compagni.
2. Rispondi alle seguenti domande:
a. Qual è il progetto culturale laico di Dante? Che rapporto ha questo progetto con la lingua?
b. Per che, secondo Migliorini, si può affermare che Dante è il padre della lingua italiana?
c. Che differenza c’è tra la funzione svolta nella storia dell’italiano dai due “trattati incompleti”
(il De Vulgari Eloquentia e il Convivio) e la Commedia?
3. Insieme a dei compagni, cercate di dedurre, senza usare il vocabolario, il significato delle
seguenti espressioni:
vulgata (r. 1), prendere le mosse (r. 5), spettare (r. 6), assurgere (r. 19).
4. Insieme all’insegnante, osservate l’espressione non si opponevano che (r. 15) e il participio
presente valenti (r. 36), da aggiungere all’elenco dei falsi amici. Cercate ora di associare i
seguenti participi ai loro infiniti: riguardante, operanti, referente.
5. Osservate le frasi tra virgolette, e spiegate la loro funzione all’interno del testo.
12.
Dante Alighieri. Biografia e opere
1. Sulla base delle biografie lette, che informazione c’è in ogni biografia? Che
dovrebbe esserci nella biografia di uno scrittore? Condividete con la classe.
2. Lavora con un gruppo. Quali delle informazioni elencate nella risposta
precedente avete su Dante Alighieri?
3. Prima di leggere, sulla base delle vostre conoscenze, indicate se le seguenti
affermazioni sono vere o false:
a. Dante nacque e morí a Firenze.
b. Dante scrisse tutte le sue opere in esilio.
c. La produzione giovanile di Dante si caratterizza per lo sperimentalismo.
d. La Vita Nuova e le Rime sono i due libri della giovinezza di Dante.
e. La Monarchia è scritto in latino.
f. Dante appoggia il programma imperiale di Arrigo VII.
g. Il titolo Divina Commedia appare per la prima volta nel XVI secolo.
h. Dante si propone, con il suo poema, rinnovare moralmente il mondo.
i. La terza guida di Dante nel viaggio ultraterreno è Beatrice.
12. Osservate i verbi affidare e avviare (presenti nell’item 11c): sono formati dal prefisso
a, piú un sostantivo; con l’aiuto dell’insegnante, identificate i sostantivi della loro
base. Puoi collegarli al significato dei verbi?
13. Osservate nel loro contesto i falsi amici esiti (r. 22), resta (r. 31), opera (r. 45), primo
(r. 46), e aggiungeteli all’elenco di p. 86.
֍ 13. Per approfondire guarda il video LE PILLOLE DELLA DANTE RAI in:
https://www.raicultura.it/speciali/litalianodallatinoaoggi
b. Cosa rappresentano?
→ Per approfondire, leggi il testo sulla Divina Commedia nella seconda sezione (p.
108).
13.
(tratto da Piero Adorno, Storia dell’arte italiana, Firenze: D’Anna, 1993)
Ecco alcuni pronomi del primo paragrafo di pag. 796 (r. 11-13):
gli attribuisce:
descriverla:
la interpreta:
e ancora: siamo abituati a vederlo (r.16):
Pronomi di 3ª persona:
Pronomi diretti
S P
M
F
Pronomi indiretti
S P
M
F
4. Traducete il paragone delle righe 723-725. (r. 20-22)
Uomini che non hanno ancora tagliato il cordone ombelicale che li unisce* alle madri. Come
gestire un compagno “mammone”? “Avere una relazione con un mammone vuol dire vivere
un triangolo con una donna che non avrà mai eguali, cioè sua madre” spiega Paolo Crepet.
“Il confronto con lei sarà costante e incessante, e rischia di minare l’intimità di coppia. Ma è
5 possibile aiutarlo a diventare adulto, più autonomo e indipendente”. Come? Consigli
dispensati per noi dal noto psichiatra
1. ________________________
10
Lo dicono gli ultimi dati dell’Eurostat: il 67% dei giovani adulti
tra i 18 e i 34 anni vive ancora con mamma e papà, il 20% in più
della media europea. E 3 su 4 sono uomini. Anche il Rapporto
2017 su "Il Divario generazionale tra conflitti e solidarietà” della
15 Fondazione Visentini conferma questo trend: l’autonomia
economica e finanziaria arriva solo intorno ai 40
anni. Insomma, dire addio al nido familiare diventa sempre più difficile, così come trovare una
propria indipendenza e questo si ripercuote inevitabilmente anche sui rapporti sentimentali. E
se tra questi eterni adolescenti che hanno difficoltà a staccare il cordone ombelicale dalla
20 mamma ci fosse anche il tuo partner? Come si fa a vivere questa relazione senza che diventi un
“triangolo” per l’onnipresente figura materna? E poi, c’è la possibilità di aiutarlo a svincolarsi
da lei e dargli così una mano a farlo diventare finalmente un maschio adulto? Ne abbiamo
parlato con Paolo Crepet, famoso psichiatra, sociologo e scrittore, che ci ha consigliato anche
5 mosse per vivere in modo proattivo una storia d’amore con questo tipo di uomini.
25
2. _____________________________________
Che il mercato del lavoro sia in crisi per le giovani generazioni è un dato di fatto sotto gli occhi
30 di tutti. Ma a non far spiccare il volo a questi nuovi mammoni è anche un atteggiamento
culturale iperprotettivo da parte delle famiglie, che non aiuta i ragazzi a cavalcare il
cambiamento professionale che è in atto. “È sbagliato pensare che i giovani di oggi possano
fare lo stesso lavoro dei loro padri, perché la situazione lavorativa è totalmente mutata, nella
maniera più drammatica che si potesse immaginare”, dice Crepet. “Se da un lato sono cambiati
35 gli orari e gli stipendi, dall’altro lato anche la formazione si è abbassata di livello: sono recenti
i dati che affermano che l’Italia è penultima in Europa per numero di laureati. Dietro di noi c’è
solo la Romania. Non si è preparati a sufficienza per svolgere lavori in cui invece è richiesta
un’alta qualifica e contemporaneamente si rifiutano mestieri di basso profilo, perché poco
gratificanti o troppo stressanti. E spesso questo rigetto non parte dai ragazzi, ma dagli stessi
40 genitori che diventano quelli che io chiamo i “sindacati familiari italiani”. Il risultato? Ci sono
più di 2 milioni di “Neet”, acronimo l'acronimo inglese di "not (engaged) in education,
employment or training", cioè tutti questi “quasi adulti” che non studiano e non lavorano, che
continuano a essere mantenuti e stipendiati dalla famiglia e che per questo fanno fatica a
diventare maturi ed emancipati, capaci di camminare sulle loro gambe. Ecco perché oggi i
45 mammoni sono anche e soprattutto un problema culturale”.
3. _____________________________________________________________________
Se ti capita di uscire con un 30-40enne che vive ancora a casa, per svariati motivi, non illuderti
50 che possa essere un uomo indipendente e pronto ad avere una relazione dove tu sarai l’unica
donna della sua vita. “Le donne, a mio avviso, dovrebbero smetterla di pensare di voler
cambiare gli uomini. Quando incontri un tipo del genere, il mio consiglio preventivo è di
cogliere l’occasione del primo incontro per capire veramente chi è, facendogli le domande
giuste, non quelle che alimentano le tue fantasticherie. Devi vedere se è realmente il candidato
55 ideale per diventare il tuo compagno e non farti distrarre solo dai suoi occhi blu o dalle sue
spalle larghe”, consiglia Crepet. “Sappi che i mammoni sono persone rigide, che amano una
vita regolata, perché cercano protezione nella routine. Quindi se tutte le domeniche vanno a
pranzo da mamma, anche quando starà con te le sue abitudini non cambieranno. Di solito non
sono persone intraprendenti e di successo sul lavoro, proprio perché non sono fatti per
60 l’indipendenza e per l’autonomia. Altro fattore da tenere in considerazione è che non sarai mai
la figura femminile più importante della sua vita. Avere una relazione con un mammone vuol
dire vivere un triangolo con una donna che non avrà mai eguali, cioè sua madre. Anzi il
confronto con le sue qualità e le sue doti, sarà costante e incessante. Come la sua presenza, che
metterà a rischio l’intimità di coppia”, dice Paolo Crepet.
65
4. ______________________________________________________
Nessuna donna vuole avere il secondo posto nel cuore di un uomo, ma quando hai una relazione
con un uomo così, quello è il posto cui sei destinata. “Non c’è nulla di male a innamorarsi di
70 un mammone, a patto che si accetti il pacchetto completo, quindi anche la figura della “regina”
madre. Di solito chi perde la testa per tipi così, è una donna con poca autostima di sé, perché sa
già che il suo partner preferirà sempre sua madre a lei. Oppure è semplicemente una “furbetta”,
cioè non si vuole impegnare fino in fondo e coglie il lato comodo della situazione, cioè non
dovrà sorbirselo da sola, ma potrà continuare a contare sulle cure amorevoli della mamma. Che
75 magari le farà trovare sempre la cena pronta o i vestiti lavati e stirati. Ma lo scotto da pagare
può essere alto, perché l’avrà sempre tra i piedi”, afferma Crepet. “Non è mai il caso di farle la
guerra, perché di solito vince sempre lei. Meglio averla come alleata, anche se questo non ti
metterà al riparo dalla sua invadenza”.
2. Sono stati cancellati e mescolati i titoli dei paragrafi; assegnate ogni sottotitolo al paragrafo
numerato corrispondente.
5. Ecco il presente indicativo dei verbi modali o servili; rileggete le frasi e completate lo schema.
Lui / Lei deve Lui / Lei ................(r. 78) Lui / Lei ........... (r. 2, 64, 70, 75)
E al futuro? Hai notato questi verbi: dovrà, potrà? (r. 76) Nel testo ci sono tanti altri verbi al
futuro (vedi schema dei verbi a p. 16).
6. Il participio passato di DIRE è detto; quello di FARE è fatto; quello di ESSERE è stato.
Il resto dei verbi dello schema ha il participio regolare, quindi puoi completare gli spazi:
È sbagliato pensare che i giovani di oggi possano fare lo stesso lavoro dei loro padri, perché la
situazione lavorativa è totalmente mutata, nella maniera piú drammatica che si potesse
immaginare”, dice Crepet. “Se da un lato sono cambiati gli orari e gli stipendi, dall’altro lato
anche la formazione si è abbassata di livello: sono recenti i dati che affermano che l’Italia è
penultima in Europa per numero di laureati. (r. 33, 37)
15.
L’amica geniale
Chi è l’amica geniale? Nel romanzo di Elena Ferrante, che racconta la storia di
un’amicizia, quella tra Elena Greco (Lenù) e Raffaella Cerullo (Lila), questa figura
spetta probabilmente a Lila, quella delle due che osa sempre di più, quella che,
apparentemente, non ha mai paura di nulla e che cerca con tutte le sue forze di
5 evadere dalla propria, grigia, esistenza in un miserabile quartiere napoletano.
L’amica geniale è il primo volume di una tetralogia incentrata sul rapporto che lega le
due protagoniste attraverso gli anni delle loro esistenze; in questo primo libro viene
narrata la loro infanzia ed adolescenza; nel secondo volume (Storia del nuovo
cognome) Lila e Lenù sono ormai adulte; nel terzo volume (Storia di chi fugge e di chi
10 resta) le due amiche stanno attraversando quella fase della vita in cui si incomincia a
considerare l’approssimarsi del periodo dei bilanci, che non sempre si rivelano positivi;
nell’ultimo volume, infine, (Storia della bambina perduta) si conclude un ciclo di vita e
la storia finisce con la vecchiaia.
Trama
15 La narrazione viene condotta in prima persona da Elena, una guida ideale che conduce
il lettore attraverso le tante vicende raccontate.
Lina e Lenù abitano nello stesso quartiere degradato di una Napoli che funge da
sfondo, ma anche da protagonista della loro storia. […] La loro amicizia nasce fin dalla
primissima infanzia e si consolida durante gli anni della scuola elementare, quando le
20 due bambine diventano inseparabili, anche in relazione al fatto che entrambe vivono
con grande insofferenza le rigide regole di comportamento imposte dal rione. Il loro più
grande desiderio è quello di poter evadere, un giorno, da quella soffocante atmosfera.
[…]
→ Per approfondire, leggi Elena Ferrante e il romanzo del Settecento. Una riflessione
sull'identità del romanzo italiano (seconda sezione, p. 120)
16.
Lavora con un compagno o compagna. Mentre leggete il testo sulla scuola Montessori (tratto da
http://genitoricrescono.com/metodo-montessori-scuola-moderna/), scegliete cinque espressioni
non trasparenti il cui significato possa essere dedotto dal contesto, e create un esercizio –analogo
all’esercizio 2 del testo 8–, che un’altra coppia di compagni dovrà risolvere. Una volta scritto,
passatelo a un’altra coppia, e poi correggete tutti insieme con la guida dell’insegnante.
Nei giorni scorsi è iniziata la nostra avventura nella scuola Montessori, dove ho deciso di
iscrivere i miei figli.
Ho letto e riletto tutto quello che potevo, ho visitato la scuola, ho visto come vi si lavora. E ho
capito che il metodo Montessori significa semplicemente libertà, (auto)disciplina e rispetto.
5 Ma ovviamente il metodo da solo non basta. La cosa più importante, che si tratti di scuola
Montessori o di qualunque altro tipo di scuola, sono le persone. Una scuola Montessori può
diventare una tristissima prigione se gli insegnanti sono troppo rigidi, così come una
monoclasse improvvisata in un campo profughi può essere nutrimento per lo spirito se
l’insegnante lavora con passione. [...]
10 Ma in che cosa consiste il metodo Montessori? Non è semplice spiegarlo in poche righe, ma
possiamo vederne alcuni aspetti fondamentali:
1. La mente assorbente. Secondo Maria Montessori il bambino da zero a sei anni assorbe
con una grande facilità tutto ciò che lo circonda attraverso i sensi. Per questo la Montessori
ha creato una serie di materiali sensoriali che permettono di rappresentare materialmente
15 concetti astratti che sarebbero, in un altro modo, molto più difficili da elaborare.
4. Niente voti. Sì, perché nelle scuole Montessori non ci sono voti, non ci sono compiti,
non ci sono bocciature. I materiali montessoriani hanno in sé la correzione dell’errore.
Questo significa che il bambino si accorge da sé di aver sbagliato e può riprovare finché
non riuscirà a trovare la soluzione corretta. Quando un bambino (questo vale in realtà
35 anche per gli adulti) realizza ciò a cui stava lavorando, è naturalmente soddisfatto e
contento di sé. Quando non riesce a portare a termine il suo compito, vivrà un senso di
frustrazione. Questi sentimenti sono più che sufficienti per spingere il bambino verso la
riuscita, senza bisogno di interventi esterni come elogi o punizioni.
1. Indicate se le affermazioni sono vere o false; nel caso siano false, giustificate:
a. Secondo l’autrice dell’articolo, il buon funzionamento di una scuola
dipende dagli insegnanti.
b. Il metodo Montessori propone l’uso di materiali creati ad hoc per i
bambini piccoli.
c. Nel metodo Montessori, i bambini di tutte le età lavorano nella stessa
classe.
d. Nelle attività svolte in classe, i bambini piú grandi aiutano gli insegnanti.
e. Nelle scuole Montessori gli adulti stimolano i bambini attraverso elogi
e punizioni.
[tratto da https://www.skuola.net/storia-medievale/universita-nascita.html]
Le università italiane
10 Tra le università che sorgono in questo periodo ricordiamo lo Studium fondato a Bologna nel 1088 che
divenne, insieme all’Università di Pavia, un centro famoso per lo studio del diritto. Dunque, se Salerno
dal IX secolo dava lustro all’Italia in campo medico e Bologna in campo giuridico, la Toscana, terra di
lotte tra papato e impero e culla di arte, cultura e politica, è da ricordare per lo sviluppo linguistico. In
questo periodo si sviluppa la letteratura e l’arte: l’architettura poté svilupparsi grazie alle commissioni
15 di torri, mura difensive e palazzi comunali; la pittura assunse importanza perché pittori, scultori e
decoratori vengono chiamati ad abbellire le mura di palazzi e chiese appena sorti. Fu questo il periodo
di Giotto, Cimabue e Piero della Francesca.
Appunto di storia sulla scuola nel medioevo e spiegazione dei metodi di istruzione utilizzati nelle
università
25 La scuola e la nascita delle università
La maggior parte della popolazione era analfabeta in quanto era molto costoso far studiare i propri
figli; così, potevano farlo solo i nobili o i borghesi con grandi disponibilità economiche. Inoltre, con
lo sviluppo e l'intensificazione delle attività mercantili ci fu l'esigenza di un livello di istruzione maggior
30 per fare i calcoli e saper leggere.
Le scuole erano private e il maestro doveva stipulare un contratto con un gruppo di famiglie nel quale
veniva definito lo stipendio e i doni stagionali in occasione delle festività che doveva ricevere il
maestro (es: vino, uova, grano...).
35
L'insegnamento era basato su due livelli di istruzione:
1° livello: studio della grammatica e del latino e imparavano a leggere e scrivere;
2° livello: scuola dell'abaco considerata la più importante in ambito mercantile.
40 Dopo aver frequentato entrambi i livelli di istruzione potevano accedere alle università dove gli
studenti e i professori si univano insieme formando delle associazioni con proprie regole approvate
dall'Imperatore, dal Papa e dal Re.
La lingua utilizzata negli elaborati scritti doveva essere assolutamente il latino che però non era
utilizzata per il parlato.
45 Leggevano e spiegavano i testi di autori greci, latini e testi biblici. Inoltre non potevano avere idee
personali e non potevano condividerle e commentarle nelle classi.
50 1. Università di Bologna: è l'università più antica d'Europa famosa per gli studi di diritto e fu
fondata nel 1088.
2. Università di Parigi: fondata nel XI secolo famosa per gli studi di teologia.
3. Università di Salerno: fondata tra il XI e il XII secolo famosa per gli studi di medicina. In questa
università nacque la "scuola medica salernitana”.
1. Dopo aver letto i testi, indica quali delle seguenti informazioni si trovano nel
testo:
Il decreto napoleonico del 18 ottobre 1810, relativo agli “stabilimenti di istruzione pubblica” in
Toscana - provincia dell’impero francese a partire dal 1807 - stabilisce l’istituzione a Pisa di un
10 “Pensionato accademico” per gli studenti universitari. Venticinque posti del pensionato
vengono messi a concorso per studenti delle facoltà di Lettere e Scienze, per creare una
succursale dell’École Normale Supérieure di Parigi.
Nasce così, per volontà di Napoleone, la Scuola Normale Superiore di Pisa. Il termine
“Normale” si riferisce alla sua missione didattica primaria, formare insegnanti di scuola media
15 superiore che trasmettessero le “norme”, cioè che educassero i cittadini all’obbedienza alle
leggi e all’Imperatore.
Il 22 febbraio 1811 viene emanato il primo bando di concorso, ma la Normale pisana inizia la
sua attività solo nel 1813, quando i primi studenti di Lettere e Scienze si stabiliscono alla
Scuola.
20 La prima sede è presso il convento di San Silvestro: un pensionato a metà tra un ordine militare
e un convento, in cui la vita degli studenti è segnata da un rigido Regolamento di disciplina.
Seguendo il modello francese, la Scuola viene affidata a un “Direttore”, coadiuvato dal “Sotto-
direttore” e dall'“Economo”, addetti all’amministrazione, alla vigilanza degli studi e alla tutela
dell’ordine.
25 La Normale era riservata a quel tempo ai migliori alunni selezionati alla fine dei corsi liceali,
di età compresa fra i 17 e i 24 anni, che durante i due anni di studi conseguivano anche i gradi
nelle facoltà di Lettere e Scienze dell’Università imperiale. Gli studenti avevano impegni
particolari ed erano obbligati a seguire corsi aggiuntivi: venivano seguiti da quattro
“Ripetitori”, scelti dal Direttore tra gli allievi stessi della Normale, che quotidianamente
30 “ripetevano” le lezioni universitarie e coordinavano le “conferenze”, una sorta di seminari. Con
questo tirocinio qualificato alle spalle, dopo il diploma, i giovani si impegnavano ad insegnare
nelle scuole secondarie per almeno dieci anni.
La Scuola Normale napoleonica ha una vita breve: il solo anno accademico 1813/14, durante il
quale è Direttore il fisico Ranieri Gerbi. Il 6 aprile 1814 Napoleone firma l’atto di abdicazione:
35 il rientro del granduca Ferdinando III sul trono di Toscana coincide con la chiusura della
Scuola, nonostante i vari tentativi per salvarla in nome della sua funzione.
[…]
40 La Normale è oggi una scuola di élite a base ugualitaria, che premia il talento, il merito
e le potenzialità dei propri allievi a prescindere dalla loro provenienza sociale e dal loro
curriculum di studi precedente. Il suo scopo è formare studiosi, professionisti e
cittadini dalla formazione culturale ampia e dal forte spirito critico.
Questo percorso ha preso il via con la legge del 7 marzo 1967, che dà vita alla Scuola
Normale Superiore di studi universitari e di perfezionamento, inizialmente dipendente
dall’ateneo pisano ma ben presto autonoma.
Lo Statuto del 1969 definisce il nuovo quadro formativo della Scuola e il profilo di
55 Istituto di alta formazione scientifica: in particolare vengono stabiliti un forte
allargamento del corpo docente interno, la fondazione ed il potenziamento delle
strutture di ricerca e l’ampliamento del numero di allievi dei Corsi ordinari e di
Perfezionamento. La legge del 18 giugno 1989 riconoscerà infine l’equipollenza del
diploma di perfezionamento della Scuola al titolo di dottore di ricerca rilasciato dagli
60 atenei italiani.
Nel 2018 la Normale si è federata con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e con lo
Iuss – Scuola Universitaria Superiore di Pavia, per offrire nuove opportunità formative
che integrino le competenze delle tre istituzioni in determinati ambiti quali le
discipline economico-politiche e lo studio delle dinamiche chimico-fisiche che
70 influenzano i cambiamenti climatici con le relative ripercussioni nell’agroalimentare.
1. Dopo aver letto il testo sulla Scuola Normale di Pisa, rispondi alle domande:
a. Quali sono i periodi della storia della Scuola Normale di Pisa compresi dal
testo? Perché credi che siano stati scelti? Che periodi immagini che ci siano
nel testo originale, segnati qua con [...]?
b. Come e quando nasce la Scuola Normale di Pisa?
c. Che vuol dire, in questo contesto, il termine normale?
d. Perché si può affermare che è un’istituzione di élite?
e. Che dovevano fare gli studenti dopo essersi laureati?
f. Quando e perché si chiude questa prima Scuola?
g. A che si riferisce il termine (non italiano) placement (r. 49)?
h. Che stabiliscono i provvedimenti del 1967-1969 e del 1989?
i. Quali sono i cambiamenti degli ultimi anni?
2. Cercate nel testo le espressioni analoghe a intercambios, independientemente de, se ha
asociado, investigación, equivalencia, otorgado.
3. Sottolineate nel testo e trascrivete i verbi al presente terminati in -isce / iscono;
cercate quindi i loro infiniti.
4. Insieme a un gruppo di compagni, confrontate la storia della Scuola Normale di
Pisa con quella della Escuela Normal argentina. Servitevi da Internet se necessario.
→ Per approfondire, leggi il Discorso di Luigi Ambrosio alla cerimonia di consegna dei
Premi Balzan 2019 nella seconda sezione (p. 127).
19.
Ingegneria ma non solo. Quali sono le lauree più utili per trovare
lavoro?
tratto da https://www.repubblicadeglistagisti.it/article/quale-laurea-per-trovare-lavoro
4. Osservate l’uso del pronome chi e cercate di tradurre il paragrafo. (r. 37-42)
Per tutte le altre discipline, invece, meglio proseguire con una laurea specialistica: la triennale sembra
non offrire chance a lungo termine, e anche chi trova presto un lavoro vede crescere più lentamente
la propria carriera rispetto ai colleghi specializzati. Chi ha una laurea in psicologia, biologia o
ingegneria quattro volte su cinque prosegue gli studi.
→ Per approfondire, leggi il testo sui diplomati e il lavoro nella seconda sezione, p.
129.
20.
Federico Fellini
Frammenti autobiografici
Prima di leggere i testi scritti da Federico Fellini (pubblicati da L’Unità/Il
castoro, 1994), parlatene con la classe: Conoscete Fellini? Quali dei dei suoi
film avete visto? Quali sono le loro caratteristiche?
1. Lavorate in gruppi di tre o quattro studenti. Leggete i titoli dei paragrafi. Ogni
gruppo ne sceglie due o tre, di circa una pagina di estensione in tutto. Cercate
che fra tutti vengano letti tutti i paragrafi.
2. Leggete i testi scelti, e fate le seguente attività:
a. riassumete il contenuto di ogni brano in una o due frasi scritte, da leggere
agli altri;
b. scegliete la frase o proposizione che vi piace di piú;
c. Individualmente, traducete le frasi scelte da tutti i gruppi;
d. Confrontate le vostre traduzioni con il resto della classe.
Ora leggi l’intero testo e risolvi gli esercizi:
1. Su FILM COME VIAGGIO
Tradurre l’intero paragrafo.
2. Su LA MIA FILOSOFIA
a. Mettere in rapporto l’idea sul neo-realismo con i brani 6 e 7.
b. Osservare l’uso della preposizione su (r. 1, 2 e 5), e associare al suo uso in questi titoli (Su
FILM COME VIAGGIO, Su LA MIA FILOSOFIA, ecc.) Come ogni preposizione, può
essere legata all’articolo: in questi casi, che articoli sono?
3. Su DA SCENEGGIATORE A REGISTA
Rispondere alle domande:
a. Quali attività della regia preoccupavano Fellini?
b. Quali parole si usano per descrivere il malesse durante il rodaggio?
c. In che frase appare un contrasto tra i timori iniziali e l’effettivo lavoro di Fellini? Attraverso
quale connettore si indica l’opposizione?
5. Su I DISEGNI
Scrivere la domanda cui responde il paragrafo.
6. Su LA VISIONE POLITICA
a. Tradurre le espressioni intendo dire (r. 1), mi allontana istintivamente (r. 6), quasi ogni
giorno (r. 12).
b. Osservare il pronome ne a riga 11: a che elemento del testo si riferisce?
7. Su CINEMA-VERITÀ
a. Scrivere una frase, in spagnolo, che metta in rapporto le idee del paragrafo LA
VISIONE POLITICA con le idee di questo.
b. Osservare le strutture comparative delle righe 2, 4 e 5: che elemento contrastivo
con lo spagnolo appare nelle due prime?
c. Osservare l’uso di piuttosto.
8. Su LA LUCE
a. Rileggere ogni serie di verbi e aggettivi, e cercare di capirne il senso senza usare il
vocabolario.
b. Osservare il verbo rendere (r. 5) e diventare (r. 6), e riempite gli spazi che seguono con
ognuno di essi:
I falsi amici …………….. difficile l’italiano.
Lo studio …………… bello quando la materia è interessante.
9. Su IL COLORE
Rispondi alle domande:
a. Che evoluzione del pensiero di Fellini nei confronti del colore appare nel
frammento?
b. Quali erano le preoccupazioni di Fellini per quel che riguarda il colore nel cinema?
c. Che sentimenti e idee esprime Fellini sul cinema in bianco e nero?
10. Su SATYRICON
Sottolineare le espressioni di uso generale che possono avere alta frequenza nei testi di
argomenti diversi da questo.
11. Su ROSSELLINI
Identificare le cose che Fellini riconosce a Rossellini, e quali no.
13. Su LE FACCE
a. Senza usare il dizionario, dedurre il significato di scelta e di comparsa (falso amico).
b. Sottolineare tutti gli avverbi e le espressioni verbali di frequenza, e metterli in ordine
progressivo, da mai a sempre.
Ascolta i primi 1:20 minuti dell’intervista fatta da Enzo Biagi a Fellini, e la testimonianza di Giulietta
Masina
2. Lavora con una compagna. Potete spiegare con le vostre parole in cosa consiste la progressione
Questa tesi di laurea analizza due periodi storici italiani: gli anni del miracolo economico
italiano, dal 1958 al 1963 e gli anni a ridosso del nuovo millennio, dal 1990 ai nostri giorni. Lo
studio è improntato sull'evoluzione della vita degli italiani durante due periodi storici così
vicini, eppure distanti tra loro, prendendo in esame due prodotti cinematografici. I due film
5 scelti per l'analisi sono La dolce vita di Federico Fellini e La grande bellezza di Paolo
Sorrentino. La scelta non è stata propriamente casuale.
La dolce vita, infatti, è un film che senza ombra di dubbio rappresenta un'epoca, un film che
ha fatto la storia e che ancora oggi vive nell'immaginario degli italiani e che, soprattutto, ha
contribuito a dare un'idea precisa dell'Italia e degli italiani all'estero. Anche se all'epoca
10 scatenò non poche polemiche, La dolce vita è il film che ha fatto diventare Fellini conosciuto
in tutto il mondo e che ha mostrato Roma e tutti i suoi abitanti sotto una luce diversa. Con La
dolce vita si intuisce sempre di più come il cinema di Fellini sia legato a doppio filo con la
realtà storica italiana e rappresenta a pieno sia la cultura popolare che il cammino fatto dagli
italiani dal dopoguerra al boom economico.
15 Scegliere La grande bellezza come film speculare de La dolce vita è stato facile e,
probabilmente, appare anche un po' scontato. La scelta non è stata, però, voluta dal caso: dal
1960 (anno di uscita nelle sale del capolavoro felliniano) ad oggi non è stato prodotto, in Italia,
nessun film che inquadrasse un contesto storico e lo rappresentasse efficacemente così come
ha fatto, in realtà, il film di Paolo Sorrentino. Nonostante le polemiche e un'accoglienza a dir
20 poco glaciale dalla maggior parte dei critici italiani, e soprattutto nonostante le accuse di voler
imitare blandamente il capolavoro felliniano, La grande bellezza è l'unico film che riesce,
mediante una passeggiata in una Roma esausta ma bellissima e affollata dai suoi freaks, a
rappresentare uno spaccato della vacua società in cui stiamo vivendo.
Questa tesi si sviluppa, nei primi due capitoli, in modo simmetrico. Nel primo capitolo è
25 analizzato, in modo approfondito, il contesto storico, sociale e culturale dell'Italia durante il
boom economico, vengono fatti brevi accenni bibliografici su Federico Fellini e poi viene
analizzato La dolce vita, approfondendone, in modo particolareggiato, la trama, gli episodi, i
personaggi principali che ci vengono mostrati nel film, l'ambientazione e, infine, l'accoglienza
del film da parte di pubblico e critica. Allo stesso modo, il secondo capitolo approfondisce il
30 complesso quadro storico italiano dall'inizio degli anni Novanta fino agli eventi del 2013, e
dopo una breve bibliografia di Paolo Sorrentino si passa all'analisi di trama, personaggi,
ambientazioni, critiche e lodi de La grande bellezza. Il terzo capitolo si propone come il fulcro
di tutto l'elaborato, mediante un attento parallelismo tra i due film, enfatizzandone i punti in
comune, e dimostrando come La dolce vita e La grande bellezza siano due film quasi
35 complementari che riescono a raccontare, in modo analogo ma al contempo insolito, una città
come Roma e un Paese come l'Italia.
1. Dopo aver letto il testo rispondi:
a. Che tipo di testo è e chi sono i suoi destinatari?
b. Avete visto questi film? Se sí, racconta quello che ricordi; se invece non li hai
visti, cerca di immaginare il loro argomento.
c. Come sono stati accolti i film dai critici italiani?
d. Che cambiamenti economici raffigura il passaggio dal primo al secondo film?
e. Come rappresenta La grande bellezza la società italiana?
f. Che opinione vi merita la materia di questa tesi?
g. Quali film argentini pensi che rappresentino la società argentina? Sceglietene
2 o 3 e giustificate la vostra risposta.
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3. Rileggete il testo e quelli di Fellini, ed elencate i termini della microlingua del cinema.
C’è un falso amico: quale?
22.
10 Un'idea, come ha spiegato il giovane al «Resto del Carlino», nata nel corso di una notte
insonne insieme a tre amici: Roberto Morotti, 31 anni, ingegnere, Giulia Trappoloni,
30 anni, fisioterapista, Andrea Garreffa, 30 anni, guida turística. Santoni non poteva
accettare che nella rossa Bologna la Lega di Matteo Salvini facesse campagna elettorale
a sostegno della candidatura di Lucia Borgonzoni alla poltrona di presidente della
15 regione Emilia Romagna in opposizione al presidente uscente, il piddino Stefano
Bonaccini.
Perché "sardine”
Il nome “sardine" nasce dall'idea di stare tutti stretti stretti come sardine in una scatola
a dimostrazione che la piazza antileghista é forte e numerosa. Vicini e silenziosi come
pesci per abbassare i toni da quella che via Facebook é stata definita "retorica
25 populista". L'invito - definitivo - recitava: "Nessuna bandiera, nessun partito, nessun
insulto. Crea la tua sardina, partecipa alla prima rivoluzione ittica della storia". Dato
che il Paladozza, dove era in programma la manifestazione della Bergonzoni di Salvini
può contenere 5.570 persone ai 4 amici sarebbe bastato metterne insieme 6.000 per
superare il rivale.
30 Il tam tam non poteva che partire da Facebook con la creazione dell'evento "Seimila
sardine contro Salvini" dove si invitavano bolognesi ad accorrere numerosi in piazza
spiegando: "Il Paladozza ha una capienza massima di 5.570 persone. Non puoi andare
oltre, per problemi di sicurezza e soprattutto di spazio. Ecco allora che vogliamo
lanciare un flash-mob: abbiamo misurato che sul crescentone di Piazza Maggiore ci
35 stanno fino 6.000 persone".
Da Bologna a Modena
E così in 15mila sono arrivati giovedì 14 novembre a Piazza Maggiore, armati di sardine
di cartone per quella che non avrebbe dovuto essere una manifestazione politica ma un
flash mob della società civile. In realtà in molti ci vedono dietro burattinai della sinistra
40 che, da dietro le quinte, tessono le file di un potenziale movimento nato dal basso. I
ragazzi, inoltre, non si sono fatti trovare impreparati al successo della loro "rivoluzione
ittica" prontamente si sono fatti "ponte" - come detto al «Resto del Carlino» - per
organizzare analoghi eventi altrove. Dopo Bologna, infatti, è stata la volta di Modena,
dove gli anti Salvini sono stati 7.000 stretti come sardine in Piazza Grande. Anche in
45 questo caso l'antileghismo era tutto indirizzato boicottare la candidatura della
Borgonzoni alla guida della regione. Via Facebook digitando "6.000 sardine"
compaiono eventi in fieri in mezza Italia: da Firenze a Torino o Rimini. E se il
segretario Pd Nicola Zingaretti plaude l'iniziativa indirizzando la paternità del
movimentismo ittico sotto l'ala partitica, Matteo Salvini ricorda che tra gli
50 organizzatori c'è anche chi, senza andare troppo sul sottile, in passato gli ha augurato
la morte. Alla faccia del clima d'odio di violenza.
[Tratto da https://www.panorama.it/news/sardine-storia-movimento-nome-lega-salvini]
2. Con l’aiuto del dizionario e della rete, cercate di spiegare che cosa vogliono dire le
seguenti espressioni:
la rossa Bologna (r. 13)
ci vedono dietro burattinai della sinistra (r. 39)
dietro le quinte (r. 40)
tessono le file (r. 40)
3. Trovate nel testo le preposizioni articolate dal, alla e nelle, e traducete le frasi che le
includono.
4. Osservate queste forme verbali: facesse - venisse. Qual è il loro infinito?
5. Avete trovato qualche falso amico?
6. Rintracciate nel testo le forme verbali ha spiegato - ci siamo sentiti - abbiamo organizzato - ha
ricordato; traducete le frasi che le contengono e cercate di dedurre il loro infinito.
7. Leggete queste espressioni nei loro contesti: antileghista (r. 23) /antileghismo (r. 45) - stretti
stretti (r. 23). Capite il loro significato?
→ Per approfondire, leggi il testo sul sistema politico italiano nella seconda sezione
(p. 130).
23.
LA QUESTIONE MERIDIONALE
Lavora con un compagno o compagna:
1. Qualcuno di voi è stato in Italia? Avete sentito parlare delle differenze tra
Nord e Sud? Che immagini avete delle due zone?
2. Mettete in ogni colonna i termini di significato analogo e gli elementi del
loro immaginario:
SUD NORD
troverai molti termini che sono nel testo sulla Questione meridionale.
25.
Recensione del film I cento passi
[Tratto da https://movieplayer.it/articoli/l-ostinata-lotta-di-un-uomo-onesto_156/]
Marco Tullio Giordana dirige un ottimo Luigi Lo Cascio con intensità e partecipazione.
A Cinisi, Palermo, si consuma la storia vera di Peppino Impastato ribellatosi al padre mafioso e alla cultura
del silenzio. La sua adolescenza coincide con il '68. La denuncia di Peppino non conosce compromessi passando
5 per i circoli culturali, comizi politici, e Radio Aut, l'emittente locale. I cento passi sono quelli che separano la casa
di Peppino da quella del boss Badalamenti, suo zio.
Onora tuo padre è il primo e più importante comandamento per gli uomini di Cinisi. Onora tuo padre è la frase che
Luigi Impastato ripete al figlio Peppino prendendolo per il collo e implorandolo di ripeterla, ascoltarla, seguirla.
Già, l'onore! Quella parola che rimbalza sulle bocche degli uomini di mafia. Quella parola in nome della quale
10 si commettono omicidi ed ogni sorta di efferatezze, coperte da un silenzio colpevole quasi quanto gli esecutori.
La pungente e scomoda ironia di Peppino, dai microfoni della piccola emittente libera Radio Aut, è l'arma più
forte, l'esplosivo più potente contro il governo "dell'onorevole" don Tano, Gaetano Badalamenti, capo indiscusso
del regno di Mafiopoli-Cinisi.
Ogni sopruso, ogni imbroglio, ogni ingiustizia viene smascherata dalle sarcastiche parole di Peppino, militante nel
15 partito comunista, e disonore della famiglia.
Voce fuori dal coro, pecorella smarrita di quel gregge di pecoroni, che procede senza mai voltarsi.
Peppino ebbe il coraggio, la forza, l'incoscienza di voltarsi, di voltare le spalle a quello zio potente e pericoloso, e con
lui a suo padre.
Il rapporto conflittuale tra padre e figlio, molto presente ne I Cento Passi, è anche il tema del ciclo al quale il film
20 appartiene.
Nell'infanzia di Peppino, il padre è presente solo nell'impartire il rispetto e la sottomissione al clan, che si manifesta
nella poesia imparata a memoria e recitata davanti a tutta la famiglia mafiosa.
Il punto di riferimento è invece l'amato zio Cesare, mafioso ma non accomodante, che per questo viene fatto saltare
in aria.
25 Interessante è notare come al funerale dello zio, il piccolo Peppino rimanga in disparte; sprofondato in quell'enorme
poltrona rossa, i suoi vispi e puri occhi neri guardano ogni cosa, scrutano ogni persona soffermandosi su zio Tano,
che come entra fa abbassare gli sguardi e cessare le preghiere.
Poi l'adolescenza, di colore rosso come le bandiere che vuole rappresentare. Comunista si chiama il nemico dei mafiosi,
Peppino il nemico di Cinisi.
30 Iniziano così le manifestazioni di piazza, i giornali di denuncia, le trasmissioni della radio di provincia, il '68 e le
contestazioni. Impastato figlio si fa leader e portatore del movimento libertario contro Impastato padre, roccaforte di
quei valori mafiosi tradizionali.
Con orgoglio e rabbia Peppino percorre quei cento passi, che separano la sua casa da quella di don Tano. Con
passione e forza urla la sua indignazione verso i servili leccapiedi dei potenti, a partire da suo padre. Afflitto e
35 rassegnato per aver fallito nell'educazione del figlio ribelle, Luigi Impastato preferisce partire, lasciare quella casa
ormai disonorata. Ma il suo ritorno è un tentativo di riconciliazione, un ultimo disperato tentativo di proteggerlo.
L'orgoglio paterno prevale su quello mafioso.
Straordinari tutti gli interpreti, a cominciare dal protagonista Luigi Lo Cascio, nuova promessa del cinema italiano,
fino al fedele compagno al quale è affidato l'ultimo commosso discorso a Radio Aut, prima di chiudere i battenti.
40 Una storia vera quella di Peppino Impastato, morto ammazzato a Cinisi il 9 maggio 1978, giorno in cui la stampa
si occupava del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, avvenimento ben più importante del piccolo siciliano di
provincia. Suicidio si disse per vent'anni, prima che Gaetano Badalamenti fosse ritenuto responsabile. Le immagini
finali del corteo funebre sono scandite dai pugni alzati, e accese dal rosso delle bandiere. Colore che sfuma in un
bianco e nero, quasi a consacrare e consegnare quel piccolo uomo alla memoria, ripercorrendo quei cento passi, ora
45 accompagnato da mille voci.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
--
[Tratto da https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/i-cento-passi/37266/]
50
Dalle note di regia: "Questo non è un film sulla mafia, non appartiene al genere. E' piuttosto un film
sull'energia, sulla voglia di costruire, sull'immaginazione e la felicità di un gruppo di ragazzi che hanno osato
guardare il cielo e sfidare il mondo nell'illusione di cambiarlo. E' un film sul conflitto familiare, sull'amore e la
disillusione, sulla vergogna di appartenere a uno stesso sangue. E' un film su ciò che di buono i ragazzi del'68 sono
55 riusciti a fare, sulle loro utopie, sul loro coraggio. Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non
esista (ma questo non riguarda solo i siciliani) molto si deve all'esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia,
al loro dolore, alla loro allegra disobbedienza.
1. Con l’aiuto del dizionario cerca di spiegare che cosa vogliono dire le seguenti
espressioni:
- pecorella smarrita (r.16)
- saltare in aria (r. 23-24)
- chiudere i battenti (r.39)
- leccapiedi (r.34)
2. Traduci le seguenti frasi, contenenti preposizioni articolate:
Quella parola che rimbalza sulle bocche degli uomini di mafia. Quella parola in nome della
quale si commettono omicidi ed ogni sorta di efferatezze, coperte da un silenzio colpevole quasi
quanto gli esecutori. (r. 9-11)
La pungente e scomoda ironia di Peppino, dai microfoni della piccola emittente libera Radio Aut,
è l'arma più forte, l'esplosivo più potente contro il governo " dell'onorevole" don Tano, Gaetano
Badalamenti, capo indiscusso del regno di Mafiopoli-Cinisi. (r. 12-14)
Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non esista (ma questo non riguarda
solo i siciliani) molto si deve all'esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia, al loro dolore,
alla loro allegra disobbedienza. (r. 57-59)
[Tratto da https://doc.studenti.it/tema/italiano/chiesa-stato.html]
La complessa vicenda dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, con Roma
simbolo delle massime istituzioni di entrambi, è lunga quasi un secolo e mezzo.
La celebre frase espressa da Cavour nei discorsi del 1861 al primo Parlamento italiano “libera
Chiesa in libero Stato” è un principio ancora oggi assolutamente moderno. Cavour si dichiarava
5 cattolico, ma non voleva che lo Stato fosse cattolico.
Aveva a paragone il modello degli Stati Uniti, dove lo Stato non aveva alcuna caratteristica
religiosa.
RAPPORTO STATO CHIESA DALL'UNITA' D'ITALIA AI PATTI LATERANENSI
Dal 1870 ad oggi però non sempre il rapporto tra l’Italia e la Santa Sede è stato un modello di
10 collaborazione: anche dopo il Concordato del 1929 (Patti Lateranensi) c’è sempre stata una
convivenza trascorsa tra reciproci vantaggi e diffidenze. L’accordo tra lo Stato Italiano e la
Santa Sede fu firmato allo scopo di stabilire un mutuo riconoscimento tra il Regno d’Italia e la
Città del Vaticano. I patti garantirono alla Chiesa il riconoscimento della religione cattolica
come unica religione di Stato in Italia con l’inserimento dell‘insegnamento della religione
15 cattolica nelle scuole pubbliche.
RAPPORTI TRA STATO E CHIESA NELLA COSTITUZIONE
Questi accordi vennero poi riconfermati dalla Costituzione del 1947, dove l’art. 7 dichiara che
“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro
rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi”. Venne quindi riconfermata la religione cattolica
20 come religione di Stato, anche se il successivo art. 8 della Costituzione dice che tutte le
confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge e che tutte le religioni diverse
da quella cattolica hanno diritto di organizzarsi se non in contrasto con l’ordinamento giuridico
italiano. Questo fu un bel passo verso la libertà di religione.
Con il nuovo concordato firmato nel 1984 la religione cattolica non è più considerata come
25 sola religione dello Stato Italiano e quindi l’insegnamento nella scuola non è più un obbligo
ma ha carattere facoltativo.
RAPPORTI TRA STATO E CHIESA OGGI Da qui sono sorte tutte le discussioni sulla presenza dei
crocifissi negli edifici pubblici. Nelle scuole, nelle aule di tribunale, negli ospedali si trova
spesso esposto il crocifisso. Negli ultimi anni sono state formulate diverse richieste di
30 rimozione del crocifisso. Richieste sempre respinte perché la sua presenza viene attribuita al
patrimonio storico-culturale italiano. D’altra parte i fautori della rimozione sostengono che in
uno Stato laico, che non prevede religioni di Stato, la presenza di un simbolo cristiano è un
privilegio per la religione cattolica. Quindi, poiché non è possibile esporre i simboli di tutte le
religioni, andrebbe tolto il crocifisso.
35 Tanti altri argomenti, però - il referendum sul divorzio, l’aborto, la procreazione assistita -
hanno da sempre caratterizzato il delicato equilibrio tra laicità e religione. Anche i Presidenti
della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro prima e dopo Giorgio Napolitano - recatosi proprio
lunedì 20 novembre in udienza dal Papa - hanno affermato con decisione il carattere laico
della Stato italiano.
40 Del discorso pronunciato da Scalfaro in visita a Giovanni Paolo II riporto una frase significativa:
“La laicità dello Stato, che è presupposto di libertà ed eguaglianza per ogni fede religiosa, non
toglie, ma aumenta l’impegno di chi vive, o cerca di vivere, i valori cristiani”.
1. Per capire questo testo, quali degli elementi che seguono devono essere noti
o cercati in un’enciclopedia? Quali invece si capiscono abbastanza dal
contesto?
Santa Sede, Patti Lateranensi, Vaticano, Scalfaro, Napolitano, Giovanni Paolo
II, crocifisso.
2. Indica l’evoluzione della presenza della religione cattolica nella scuola italiana
durante le successive fasi storiche.
3. Spiega in che cosa consiste il dibattito sul crocifisso.
4. Osserva insieme alla classe e all’insegnante le forme di voce passiva con gli
ausiliari venire e andare.
5. Traduci insieme a un gruppo di compagni le seguenti espressioni, e confronta
poi con gli altri gruppi:
a. c’è sempre stata una convivenza trascorsa tra reciproci vantaggi e diffidenze (r. 11)
b. Venne quindi riconfermata la religione cattolica come religione di Stato, anche se il successivo
art. 8 della Costituzione dice che tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti
alla legge (r. 19-21)
c. poiché non è possibile esporre i simboli di tutte le religioni, andrebbe tolto il crocifisso (r. 33-
34).
6. Sottolineate tutti i connettori, e aggiungeteli all’elenco di p. 86.
֍ 7 Per approfondire, vedi il video sui Patti Lateranesi in
https://www.youtube.com/watch?v=Dxn9qDVbRUk
Guarda il video e rispondi in spagnolo:
a) Quali sono stati i vantaggi che ottennero il Fascismo e il Vaticano con i patti Lateranensi?
b) Ci sono stati soltanto vantaggi economici oppure anche vantaggi di altro tipo?
27.
[Tratto da
https://www.repubblica.it/cronaca/2019/10/15/news/greenpeace_rintraccia_in_polonia_45_to
nnellate_di_rifiuti_italiani-238644366/]
La denuncia degli attivisti: "Cento balle di plastica destinate al riciclo sono state
abbandonate in un distributore dismesso". Le autorità polacche: "Rifiuti illegali"
ROMA - Quarantacinque tonnellate di plastica italiana alle spalle di un distributore di
benzina dismesso. Nell'area di Gliwice, sud della Polonia. Le ha trovate Greenpeace
5 Italia, che all'inizio di settembre aveva già individuato un sito illegale di stoccaggio
nella provincia di Smirne, in Turchia. La questione seria è che le ultime cento balle
ammassate a Gliwice, di cui appunto almeno cinquanta di provenienza italiana, sono
rifiuti riciclabili con ogni probabilità prodotti nel nostro Paese.
La squadra investigativa di Greenpeace è salita a Gliwice e ha documentato la
10 presenza di etichette "di noti prodotti italiani" passati, come rifiuto, dall'impianto
italiano della ditta Di Gennaro spa, centro di selezione con sede a Marcianise, area
industriale del Casertano, che opera anche per Corepla, il Consorzio nazionale per il
recupero e il riciclo.
35 "Sulla carta è previsto che chi produce un rifiuto debba anche avere comunicazione su come
sia stato smaltito. Questo avviene affidandosi ai documenti, ma un controllo di tutte queste
fasi non sempre c'è", ha commentato Roberto Pennisi, sostituto procuratore della Direzione
nazionale antimafia.
→ Per approfondire, leggi il testo sull’ecologia come tema dell’esame di maturità (seconda
sezione, p. 140).
CONNETTORI LOGICI
tuttavia
FALSI AMICI
attaccata ( 2)
fino ( 2)
spesso ( 2)
SECONDA SEZIONE
Testi di approfondimento
CHE COSA E' IL PALIO DI SIENA
[Tratto da https://www.ilpalio.org/cosa_e_palio.htm]
Il Palio non è una manifestazione riesumata ed organizzata a scopo turistico:
è la vita del popolo senese nel tempo e nei diversi suoi aspetti e sentimenti.
Esso ha origini remote, con alcuni regolamenti ancor oggi validi dal 1633,
anno in cui è documentato con certezza che venne corso il primo Palio con i
cavalli, così come ancora avviene, in continuità mai interrotta (ad eccezione
del periodo delle due guerre mondiali del XX° secolo).
Il territorio della Città è diviso in diciassette Contrade con dei confini stabiliti
nel 1729 dal Bando di Violante di Baviera, Governatrice della Città.
Ogni Contrada è come un piccolo stato, retto da un Seggio con a capo il Priore
e guidato nella "giostra" da un Capitano, coadiuvato da due o tre contradaioli
detti "mangini" o "tenenti".
Possiede, entro il suo territorio, una Chiesa, detta "Oratorio", con annessa la
sede ufficiale, dotata di un Museo, ove viene custodito tutto il suo patrimonio:
cimeli, drappelloni delle vittorie, costumi della Comparsa - quelli in uso e molti
di antica data - bandiere, archivio e tutto quanto altro concerne la vita della
Contrada stessa.
Si giunge pertanto alla mattina del 29 giugno (per il Palio di luglio) o quella
del 13 di agosto, quando iniziano gli intensi quattro giorni di preparativi al
Palio.
Il complesso meccanismo della festa raggiunge il suo compimento con lo
scoppio del mortaretto che annuncia l'uscita dei cavalli dall'Entrone. Ad ogni
fantino viene consegnato un nerbo di bue con il quale potrà incitare il cavallo
o ostacolare gli avversari durante la corsa. Quindi si procede
all'avvicinamento verso la "mossa", ossia il punto dove sono stati tesi due
canapi tra i quali saranno chiamati ad allinearsi cavalli e fantini. L'ordine di
entrata è stabilito dalla sorte, infatti le Contrade vengono chiamate secondo
l'ordine di estrazione, deciso segretamente e declamato ad alta voce dal
mossiere. Nella Piazza regna l'assoluto silenzio. La decima e ultima, entrerà
invece di "rincorsa" quando lo riterrà più opportuno, decidendo così il
momento della partenza. Se la partenza non sarà valida, uno scoppio del
mortaretto fermerà i cavalli. Quest'ultimi dovranno compiere tre giri di pista
per circa 1000 metri e solo al primo arrivato sarà riservata la gloria della
vittoria. Chi vince è comunque il cavallo, infatti può arrivare anche "scosso",
ossia senza fantino.
I festeggiamenti iniziano subito: i contradaioli ricevono il Palio e con quello si
recano alla Basilica della Madonna di Provenzano (per il Palio di luglio) o in
Duomo (ad agosto) per cantare il Maria Mater Gratiae di ringraziamento alla
Madonna. Da questo momento in poi ogni occasione sarà buona per ricordare
alla città la vittoria conquistata sul Campo, fino all'autunno, quando, tra il
mese di settembre e i primi giorni di ottobre, nel rione vittorioso addobbato
a festa, si svolgerà la "cena della vittoria" a cui parteciperanno migliaia di
contradaioli e, al posto d'onore, il cavallo vittorioso, vero e proprio ammirato
eroe.
Il Palio di Siena è una secolare celebrazione alla quale partecipa
spontaneamente tutto il popolo senese senza pertanto che vi sia la necessità
di una organizzazione ufficiale per il coordinamento dei vari servizi. Per questo
motivo anche la vendita dei posti nelle tribune, nei balconi ed alle finestre, è
effettuata singolarmente dai rispettivi proprietari che spesso hanno i negozi
che si affacciano nella Piazza del Campo o le abitazioni nelle vie adiacenti.
L’accesso alle tribune è ammesso fintanto che i Vigili Urbani non hanno
effettuato lo sgombero del pubblico dalla pista, dopodichè è eccezionalmente
concesso dalle autorità di polizia, che svolgono il servizio di sicurezza, di far
transitare attraverso appositi passaggi, particolarmente stretti, gli spettatori
ritardatari in possesso di regolare biglietto di prenotazione. E' tuttavia
raccomandabile raggiungere la Piazza almeno un’ora prima che il Corteo
Storico entri in Piazza (quindi alle 16,15 per il Palio di luglio e alle 15,45 per
il Palio di agosto). All’interno della Piazza del Campo è data facoltà al pubblico
di assistere al Palio gratuitamente. E' forse la maniera più emozionante per
vedere la corsa, mischiati insieme ai senesi.. All'interno della Piazza si
possono acquistare delle bibite, ma attenzione: talvolta fa caldo (portatevi un
cappellino) e non ci sono gabinetti! Si raccomanda inoltre di non indossare
cappelli a tesa larga e di alzare tablet o macchine fotografiche durante le fasi
imminenti della corsa, perché i contradaioli possono reagire male. Inoltre dal
2017 è vietato portare bambini al di sotto dei 10 anni e, se possibile, lasciate
gli zaini a casa o in albergo, perché vengono tutti controllati e questo rallenta
le operazioni di ingresso in Piazza per tutti, contradaioli e turisti o visitatori!
Giordano Bruno nasce a Nola, vicino a Napoli, nel 1548 da una nobile famiglia campana. Sin
da ragazzo avverte la vocazione al sacerdozio: compiuti i primi studi a Napoli, all'età di 17
anni entra come novizio nel convento di San Domenico sostituendo il proprio nome, Filippo,
con quello di Giordano, e sette anni dopo è ordinato sacerdote.
Giordano Bruno ripara a Roma dove, nel 1576, lascia l'abito talare. Riprende a viaggiare per
l'Italia, da Roma a Nola, a Savona, a Venezia, fino ad approdare a Ginevra dove abbraccia il
calvinismo. Dalla Svizzera si trasferisce a Tolosa, in Francia, dove si dedica all'insegnamento
e a Parigi, nel 1582, scrive le sue prime opere, fra le quali "De umbris idearum" e "Il
Candelaio" (in verità la sua prima opera, "De' segni de' tempi", risale al 1577).
Dal 1583 al 1585 è in Inghilterra, dove prosegue la produzione letteraria con la pubblicazione
de "La cena delle ceneri" e "De l'infinito universo et mondi": pubblicate nel 1584, entrambe
sposano le teorie copernicane sulla natura e sull'eliocentrismo, pur contrapponendo al
mondo finito di Copernico la sua idea di infinità dell'universo, ed accantonano
definitivamente i postulati aristotelici; con "Spaccio de la bestia trionfante" (1584) e "Degli
eroici furori" (1585), pone la conoscenza dell'universo quale fine ultimo della vita; del 1584
è anche "De la causa principio et uno", la sua opera più importante.
Nel 1591 è in Germania, a Francoforte, ed anche qui continua a scrivere componendo tre
poemetti latini "De triplici, minimo et mensura", "De monade, numero et figura" e "De
immenso et innumerabilibus".
Nello stesso anno è invitato a Venezia dal nobile Giovanni Mocenigo che desidera essere da
lui istruito sulla mnemotecnica e, probabilmente, avviato alla magia. Giordano Bruno si
trasferisce dunque nella città lagunare, non presagendo che quella decisione gli sarà fatale: il
Mocenigo, infatti, impressionato dalle idee fortemente temerarie dell'ex sacerdote fino ad
apparirgli inquietanti e blasfeme, lo denuncia al Sant'Uffizio facendolo arrestare e processare
prima a Venezia, dove ritratta in parte le proprie posizioni; poi l'inquisizione romana avoca
a sé il processo e chiede, ottenendola nel 1593, l'estradizione dalla Repubblica lagunare.
Nel 1599 il cardinale Bellarmino lo sollecita ad abiurare ed egli sembra accettare, ma le sue
dichiarazioni appaiono parziali e insufficienti. Dichiarato eretico, è condannato al rogo.
Per ordine di Papa Clemente VIII Giordano Bruno viene arso vivo a Roma, in Campo de'
Fiori, il 17 febbraio 1600, all'età di 52 anni. In quello stesso luogo, nel giugno 1889, su
iniziativa di un folto gruppo di uomini di cultura, Francesco Crispi erigerà un monumento
in sua memoria.
Giordano Bruno ha avuto la capacità, oltre che il coraggio, di esporre in chiave filosofica la
concezione pagana della vita nel Rinascimento rispetto a quella medievale. Delle sue idee egli
scrive: "Con questa filosofia mi si aggrandisce l'animo e mi si magnifica l'intelletto".
La sua vita così errabonda, fraintesa, perseguitata ed eroica lo porterà a definire sé stesso un
"accademico di nulla accademia". Illuminista ante litteram, il filosofo nolano rimane una delle
figure più sui generis nella storia della filosofia moderna.
Se questa scienza che grandi vantaggi porterà all'uomo, non servirà all'uomo per comprendere se stesso, finirà per
rigirarsi contro l'uomo.
Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della
nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto.
Colui che vede in se stesso tutte le cose è al tempo stesso tutte le cose.
La poesia non nasce da le regole, se non per leggerissimo accidente; ma le regole derivano da le poesie: e però tanti son
geni e specie di vere regole, quanti son geni e specie di veri poeti.
Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell'illusione dei sensi;
crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo
divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco.
L'altezza è profondità, l'abisso è luce inaccessa, la tenebra è chiarezza, il magno è parvo, il confuso è distinto, la lite è
amicizia, il dividuo è individuo, l'atomo è immenso.
Chi consistendo nel luogo e nel tempo, libererà le ragioni delle idee dal luogo e dal tempo, si conformerà agli enti
divini.
Dio è in ogni luogo e in nessuno, fondamento di tutto, di tutto governatore, non incluso nel tutto, dal tutto non escluso,
di eccellenza e comprensione egli il tutto, di defilato nulla, principio generatore del tutto, fine terminante il tutto.
https://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=2835&biografia=Giordano+Bruno
GIUSEPPE VERDI: VITA E OPERE
Giuseppe Verdi nasce a Busseto, in provincia di Parma, nel 1813 da una famiglia modesta.
I suoi studi musicali procedono con molta difficoltà, ma il suo carattere energico e volitivo, il grande
talento musicale e gli aiuti materiali e morali degli amici gli consentono di ultimarli e di diventare
uno dei più grandi esponenti del melodramma italiano.
La sua prima opera, Oberto conte di San Bonifacio viene rappresentata con esito positivo alla scala
di Milano nel 1839.
Purtroppo gravi lutti familiari incombono sul maestro (perde infatti la moglie e i due figlioletti in
breve tempo), che decide di lasciare Milano per fare ritorno a Busseto.
Negli anno seguenti riesce a riprendere l’attività musicale e nel 1842 giunge il primo successo con
il Nabucco: l’opera che parla dell’oppressione degli Ebrei da parte dei Babilonesi, viene interpretata
dai patrioti italiani come una metafora della dominazione austriaca. Così, alla vigilia della Prima
Guerra d’Indipendenza, l’arte di Verdi diventa il simbolo del patriottismo italiano.
Verdi sposa in seguito la grande cantante Giuseppina Strapponi, la prima interprete del Nabucco;
negli anni successivi prosegue l’attività produttiva con un ritmo più rallentato ma i suoi lavori
continuano a essere amati ed apprezzati dal pubblico di tutta Europa.
Si spegne a Milano, la città dei suoi trionfi, nel 1901.
Definizione di Melodramma
Genere teatrale in cui i personaggi si esprimono cantando e l'azione scenica è accompagnata dalla
musica. Il termine è sinonimo di opera e di opera lirica; il testo, in cui sono riportati i dialoghi, i
monologhi e le didascalie che spiegano l'azione scenica, è chiamato libretto.
Le opere
La produzione musicale di Verdi è quasi interamente rivolta al melodramma: nelle sue opere
simboleggia l’ansia, le speranze e le passioni del popolo italiano che in quegli anni vive le lotte
risorgimentali.La sua musica dallo stile semplice e drammatico riesce a suscitare forti emozioni e le
sue opere sono facili di comprensione e ricche di melodie toccanti.
Tra le sue moltissime composizioni ricordiamo Nabucco, la Messa da Requiem (in onore di
Alessandro manzoni) e Aida.
[Tratto da https://doc.studenti.it/tesina/musica/verdi.html]
Chi Alessandro Volta
Quando 18 febbraio 1745 – 5 marzo 1827
Eventi storici Scoperta del metano, Invenzione della pila
Famoso per L'invenzione della pila e la scoperta del metano
Frase celebre “Forse le medesime osservazioni, e le medesime idee si son presentate ad altri
prima di me, e sono stato prevenuto anche in queste, giacché i fenomeni, ossia gli effetti
ottenuti, han pur dovuto essere gli stessi in sostanza.”
Curiosità
Una delle qualità universalmente riconosciute ad Alessandro Volta è la modestia. Francesco
Mochetti, che ha lasciato alcune considerazioni sul celebre scienziato, scrive che «Nessuno […]
ebbe mai a dolersi di lui, come vantatore importuno delle sue scoperte, anzi nemmeno come
desideroso di volgere i consueti discorsi a quelle materie, nelle quali avrebbe potuto esser primo, e
far pompa del suo ingegno e delle sue cognizioni».
[Tratto da www.studenti.it/alessandro-volta-pila-biografia-invenzioni.html]
Michelangelo: biografia
Biografia e opere
Di questo primo alunnato presso il Ghirlandaio non si vede traccia nelle sue opere
successive; Michelangelo non ne parlò mai, come se ne fosse dimenticato, tale era la differenza di
temperamento fra maestro e allievo. E tuttavia dovette essere più consistente di quanto si creda,
almeno nell’apprendimento del mestiere e, soprattutto, nell’uso del disegno fiorentino, che resterà
sempre fondamentale per tutta la sua vita.
Recentemente sono stati individuati alcuni interventi del giovane allievo negli affreschi del
Ghirlandaio in Santa Maria Novella.
Più importante però è il periodo che Michelangelo trascorre in quel “Giardino di San Marco” di
cui si è parlato altrove, dove Lorenzo il Magnifico (che aveva preso a proteggere il ragazzo,
tenendolo in casa propria insieme ai suoi figli) aveva raccolto opere antiche e dove i giovani artisti
studiavano sotto la guida dello scultore Bertoldo, allievo di Donatello.
Il soggiorno di Michelangelo presso Lorenzo, negli anni della formazione, riveste un significato
tutto particolare per la convivenza del giovane artista con alcune fra massime personalità culturali
dell’epoca (come Poliziano, Pico della Mirandola e Marsilio Ficino), ospiti, come lui, in casa Medici.
Michelangelo viene così preparandosi ad affrontare il problema dell’arte come impegno culturale,
primo ancora che manuale analogamente a Leonardo da Vinci “si dipinge con la mente non con la
mano”, egli afferma, aggiungendo che la scultura è “scientia studiosa”.
Per quanto riguarda il “Giardino di San Marco” (gli horti medicei) che sorgeva nei pressi
dell’omonima Basilica, ove erano alcuni possedimenti dei Medici, è opportuno permettere che
qualche studioso moderno nutre dubbi perfino sulla sua esistenza.
Michelangelo: La Pieta'
Nel 1494 va a Bologna, prima che i Medici cadano e Carlo VIII entri a Firenze; qui lavora all’arca
di S. Domenico e approfondisce i suoi studi. Tornato a Firenze, si appassiona alle prediche
infiammate del Savonarola; nel 1496 si reca a Roma dove comincia a farsi conoscere e dove riceve
una commissione che lo renderà celebre anche nell’ambiente romano: La pietà per S. Pietro (1498-
1499). Segue un intenso periodo di attività fiorentina, sia scultorea sia
pittorica; Michelangelo realizza, infatti, il David, il cartone della battaglia di Cascina per decorare
un Salone di Palazzo Vecchio, il Tondo Doni, raffigurante la Sacra Famiglia. Nel 1504, Giulio II lo
chiama a Roma commissionandogli il suo monumento funebre che sarà la “tragedia” della vita
di Michelangelo: appassionato all’elaborazione dell’opera, l’artista non potrà mai infatti portarla a
compimento per infinite e contrastate vicende col papa e con i suoi successori.
Intanto la sua fama aumenta e gli impegni si moltiplicano. Lo stesso Giulio II gli commissiona nel
1508 la decorazione del Soffitto della Cappella Sistina in Vaticano, che lo terrà impegnato fino al
1512. La scultura lo appassiona sopra ogni cosa, ma, contemporaneamente alla lunghissima e
discontinua applicazione alla tomba di Giulio II (per cui realizzò i Prigioni e il Mosè), elabora anche
progetti di opere architettoniche per i Medici, e precisamente la facciata per la basilica di S. Lorenzo
a Firenze (mai realizzata), la Cappella per le Tombe Medicee (o Sagrestia nuova di S. Lorenzo), la
Biblioteca Laurenziana.
[Tratto da doc.studenti.it/appunti/storia-dell-arte/2/michelangelo.html]
Il primo Vocabolario
[tratto da https://accademiadellacrusca.it]
● 12 dicembre 2011
La maggior parte degli spogli quindi interessò testi, non solo letterari, fiorentini del
Trecento, ma non mancarono aperture verso autori successivi (tra i quali Lorenzo de’
Medici, Berni, Machiavelli, Salviati stesso) e verso autori non fiorentini (Bembo,
Ariosto). Furono affrontate anche questioni di metodo, in particolar modo sul
trattamento delle voci dell’uso, di cui non si trovassero attestazioni antiche, e sul
problema dell’inserimento delle etimologie: per le prime si stabilì di allegare esempi
tratti da autori moderni fino a Monsignor della Casa, per le etimologie venne data
l’indicazione di considerare solo quelle “che abbiano gentilezza e sieno a proposito”;
in tutti e due i casi si rimandava comunque al giudizio dei Deputati per il Vocabolario,
una commissione di quattro accademici - Carlo Macinghi, Francesco Marinozzi, Piero
Segni e Francesco Sanleolini - nominati nel 1597 proprio per affrettare e facilitare il
lavoro di redazione del Vocabolario.
Anche nella compilazione furono seguiti gli stessi criteri, per cui gli scrittori fiorentini
del Trecento vennero citati per primi, dove era possibile con un esempio di prosa e
uno di poesia, dei non fiorentini si scelsero le parole più belle e di matrice fiorentina,
dei contemporanei le voci dell’uso.
Il Vocabolario degli Accademici della Crusca fu stampato a Venezia e uscì nel 1612,
suscitando immediatamente grande interesse e altrettanto accese dispute riguardo ai
criteri adottati; in particolare, a molti non piacque l’aperto fiorentinismo arcaizzante
proposto dal Vocabolario, che comunque rappresentò per secoli, in un’Italia
politicamente e linguisticamente divisa, il più prezioso e ricco tesoro della lingua
comune, il più forte legame interno alla comunità italiana, quindi lo strumento
indispensabile per tutti coloro che volevano scrivere in buon italiano.
Ebbe grande fortuna in tutta Europa e divenne modello di metodo lessicografico per le
altre accademie europee nella redazione dei vocabolari delle rispettive lingue
nazionali.
2. Le lingue romanze e i primi documenti del volgare italiano
(tratto da Grosser, Grandi, Pontiggia, Ubezio, Il canone
letterario, COMPACT, Milano: Principato, 2010)
Dalla lingua latina alle lingue volgari
La diffusione della lingua latina Nella sua espansione, Roma aveva diffuso nelle
province conquistate non solo leggi e istituzioni ma anche una lingua comune, il
latino, che si impose in ogni parte dell’impero, trovando resistenza soltanto nelle
regioni di lingua greca, in forza del prestigio e dell’autorevolezza culturale della civiltà
ellenica. La lingua rappresentò il fattore principale del processo di «romanizzazione»,
cioè di graduale assimilazione, politica e culturale, dei popoli con i quali il mondo
latino era venuto a contatto.
La Romània come entità linguistica Con la graduale estensione del diritto di
cittadinanza a tutti gli abitanti dell’Impero romano (processo che venne a compimento
nel 212 d.C.), il termine romanus aveva perduto il suo significato originario, etnico e
giuridico, per mantenere soltanto quello politico: «romano», in opposizione a
«barbaro», indicava semplicemente colui che faceva parte, in quanto uomo libero,
dell’organismo imperiale. Con la dissoluzione dell’Impero, fra V e VI secolo, il termine
perdette anche il suo tradizionale contenuto politico per acquisire un significato
puramente linguistico: «romano» era chi parlava la lingua latina, distinta dalle lingue
germaniche degli invasori. Da romanus derivò il sostantivo Romània, che designava
l’insieme dei territori in cui si parlava la lingua latina.
Latino scritto e latino parlato Quando tuttavia parliamo di lingua latina, dobbiamo
fare alcune precisazioni, e distinguere innanzitutto tra il latino scritto, a noi noto grazie
allo straordinario patrimonio letterario trasmesso fino ai nostri giorni, e il latino parlato,
di cui invece possediamo solo scarse testimonianze. Il latino letterario si era
mantenuto nel corso dei secoli relativamente stabile, sia grazie al formarsi di un
canone letterario (fondato su autori come Virgilio, Orazio, Sallustio, Cicerone), sia
grazie alla diffusione capillare di un apparato scolastico e di un sistema bibliotecario
finanziati dallo Stato; il latino parlato, al contrario, aveva continuato ad evolversi.
Questo latino, che chiameremo «volgare» (dal latino vulgus “popolo”), senza alcuna
connotazione spregiativa del termine, era il latino usato nella pratica quotidiana, non
solo dalle persone incolte ma anche da quelle istruite: una lingua che poteva variare
(nella pronuncia, nel lessico, nella sintassi) a seconda del ceto sociale, del grado di
cultura e del luogo di provenienza dei parlanti. Nel momento in cui l’Impero si
frantumò in diverse realtà particolaristiche, e venne meno la capacità di aggregazione
del potere centrale, la distanza fra latino letterario e latino parlato si accrebbe, fino a
che il latino letterario non fu più compreso dai parlanti, salvo da coloro che lo
studiavano e lo scrivevano.
Il latino medievale Da questo momento il latino letterario divenne una lingua
“straniera” che bisognava imparare. Non una lingua morta, tuttavia, perché continuò
a evolversi nelle forme varie e complesse del latino medievale, soprattutto dopo la
rinascita degli studi favorita in età carolingia da Carlo Magno. Non fu tanto il prestigio
di una lingua antica e divenuta ufficialmente lingua sacra della Chiesa a consentire
la lunga durata del latino, ma la sua ricchezza e la sua capacità di adattamento: il
variegato panorama della letteratura mediolatina (spesso trascurato) può infatti
comprendere l’elaborato latino dei documenti giudiziari e notarili, il lucido e rigoroso
latino della filosofia scolastica, come il latino vivacissimo e creativo dei goliardi (R
8.2), senza contare i generi che continuavano la tradizione classica e cristiana
(storiografia, epica, innologia ecc.).
Dal latino volgare alle lingue romanze È dunque dal latino volgare, e non da quello
scritto, che dobbiamo partire per comprendere i complessi processi di trasformazione
che portarono alla formazione dei volgari romanzi.
Ci chiederemo innanzitutto: perché da una sola lingua (il latino) si produssero diverse,
nuove entità linguistiche? Perché la frantumazione dell’unità imperiale sottopose il
latino volgare sia all’influsso delle lingue in uso prima dell’arrivo del latino (effetto di
substrato) sia all’influsso delle lingue di provenienza germanica (effetto di
superstrato). Nella Francia del Nord, ad esempio, il latino parlato si sviluppò sotto la
spinta del substrato celtico (anteriore alla conquista romana) e del superstrato
francone (la lingua parlata dagli invasori Franchi). Questo spiega perché non in tutte
le regioni dell’Impero occidentale si imponessero lingue derivate dal latino: nelle isole
britanniche, ad esempio, dove la conquista romana era stata parziale e l’elemento
latino non si era mai pienamente radicato, emersero con più forza le lingue indigene,
e meglio attecchirono quelle di derivazione germanica.
Le lingue volgari derivate dal latino sono dette neolatine o romanze: neolatine perché
si sono tutte evolute da una stessa lingua (estremizzando, potremmo dire che
l’italiano è un latino moderno); romanze perché parlate dagli abitanti della Romània,
il territorio dell’Impero romano che era andato disgregandosi sotto l’effetto delle
invasioni barbariche. Quando in età medievale troviamo espressioni come romana
lingua o rustica romana lingua, non dobbiamo pensare al latino, ma alle lingue
romanze da esso derivate, contrapposte al latino stesso o alle lingue germaniche
(thiotisca o teudisca lingua).
Semplificando, dalla lingua comune latina derivarono nel corso dei secoli diverse
lingue, fra cui le più importanti furono: il rumeno, il ladino (o retoromanzo), il dalmatico
(oggi estinto), l’italiano, il sardo, il francese (o lingua d’oïl), il provenzale (o lingua
d’oc), il catalano, il castigliano (il moderno spagnolo), il portoghese.
Trasformazioni nel passaggio dal latino al volgare italiano Limitandoci al volgare
italiano, proviamo a descrivere i più significativi mutamenti rispetto al latino:
– nel sistema linguistico latino, le vocali erano distinte sulla base della quantità, cioè
la durata dell’articolazione (breve o lunga). Tale distinzione poteva determinare
anche una differenza di significato: ad esempio po¯pulus (“pioppo”) e po˘pulus
(“popolo”); ma˘lum (“male”) e ma¯lum (“melo”), ve˘nit (“viene”, presente indicativo) e
ve¯nit (“venne”, perfetto). Nella lingua italiana tale criterio scompare: alla quantità si
sostituisce il timbro, cioè la pronuncia (aperta o chiusa). Si determina così un sistema
di sette vocali: a, i, u, e chiusa, e aperta, o chiusa, o aperta, da cui possono dipendere,
ancora una volta, differenze di significato: ad esempio ròsa (il fiore) si distingue per
la o aperta da rósa (participio passato femminile del verbo ródere), da leggersi con o
chiusa;
– i dittonghi latini si chiudono nel seguente modo: ae, oe si trasformano in e (aperta
o chiusa); au in o aperta. Es.: caelum > cielo; poena > pena; aurum > oro;RIA
– le vocali e le sillabe atone tendono a cadere (sincope): solidum > soldo; positum
>posto; calidum > caldo;
– scompare il genere neutro (la maggior parte dei vocaboli passa al maschile);
– scompare il sistema dei casi che determinava le funzioni logiche della lingua latina,
ora indicate mediante l’uso degli articoli (totalmente assenti in latino) e delle
preposizioni; e cadono dunque anche le terminazioni dei casi;
– scompaiono, nel sistema verbale, i deponenti (verbi di forma passiva, ma di
significato attivo), mentre resistono le quattro coniugazioni. Anche in questo caso si
assiste a un processo di semplificazione (scompaiono ad esempio le forme del supino
o dell’imperativo futuro). Il tempo futuro è costruito non più con le tradizionali
desinenze ma con forme perifrastiche (infinito del verbo + habeo): dormire habeo >
dormirò. La coniugazione passiva dei verbi viene costruita con l’ausiliare essere.
Il titolo
Il titolo di Divina Commedia, con il quale universalmente siamo abituati a designare
il grande poema dantesco, apparve per la prima volta nell’edizione veneziana del
1555 curata da Ludovico Dolce, a indicare sia l’eccellenza dell’opera sia i suoi
contenuti ultramondani. Dante, nell’Inferno, designa la sua opera comedìa, con
accento alla greca, in due diversi passi (XVI, 128 questa comedìa; XXI, 2 la mia
comedìa). Alcuni studiosi pretendono che tale denominazione riguardi solo la
prima cantica, non il poema complessivo, dal momento che nell’ultima cantica
l’autore allude al poema con le espressioni sacrato poema (XXIII, 62) e poema sacro
(XXV, 1).
Non ci sarebbero dubbi sul titolo, se avessimo la completa certezza dell’autenticità
dell’Epistola a Cangrande della Scala: in questa lettera, inviata insieme ai primi
canti del Paradiso in una data probabilmente compresa fra il 1315 e il 1317, Dante
propone infatti per l’intero poema il titolo Comedìa (Libri titulus est: «Incipit
Comedia Dantis Alagherii, florentini natione, non moribus: «Incomincia la Comedìa
di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di costumi»), giustificandolo con due
argomenti, il primo di ordine contenutistico (inizio triste, conclusione lieta della
narrazione), il secondo di ordine stilistico (un linguaggio umile e dimesso): «E da
questo è chiaro che Comedìa si può definire la presente opera. Infatti se guardiamo
alla materia, all’inizio essa è paurosa e fetida perché tratta dell’Inferno, ma ha una
fine buona, desiderabile e gradita, perché tratta del Paradiso; per quel che riguarda
il linguaggio questo è dimesso e umile perché si tratta della parlata volgare che
usano anche le donnette» (Epistole, XIII, 31).
Un nuovo genere di sublime
Come sappiamo, nel De vulgari eloquentia Dante ha dimostrato che il volgare può
adattarsi anche allo stile più alto, quello «tragico»: sarebbe dunque sbagliato
pensare che Dante, nel passo dell’Epistola a Cangrande sopra riportato, voglia
definire «umile» lo stile della Divina Commedia solo perché è composta in lingua
volgare. Al contrario, come ha spiegato in un memorabile studio il filologo tedesco
Erich Auerbach, le indicazioni dantesche sullo stile umile e basso del suo poema
«non si riferiscono all’impiego della lingua italiana ma alla scelta delle espressioni
basse e al realismo molto accentuato in numerose parti del poema». Il problema di
dare un titolo conveniente alla materia della Divina Commedia sorge dunque dal
fatto che Dante ha composto un’opera che dissolve la tradizionale concezione degli
stili: il suo poema supera i confini di uno stile basso, ed affronta anzi il soggetto più
sublime che sia consentito a un uomo di fede, ovvero il racconto della visione
paradisiaca. Ma è un sublime che contiene in sé anche il basso, anche la realtà più
bassa e triviale, senza tuttavia venir meno all’idea di «poema sacro», di una poesia
cioè alta ed elevata, la cui fonte principale di ispirazione, come lo stesso Dante
indica in più punti del suo poema, è Dio stesso. Sotto questo aspetto, Dante sta
portando a maturazione un principio che già i padri della Chiesa (in particolare
sant’Agostino) avevano ben intuito nei testi evangelici, dove non solo i misteri
divini sono spiegati con un sermo humilis, uno stile semplice e dimesso, ma
protagonisti divengono spesso personaggi di basso rango, come Pietro, l’umile
pescatore che diviene apostolo e primo vescovo di Roma.
Argomento e guide
Argomento della Commedia è il viaggio compiuto da Dante (insieme protagonista
e narratore) nei tre regni dell’oltretomba cristiano. Tale viaggio si svolge in otto
giorni durante la primavera del 1300, anno del Giubileo indetto da Bonifacio VIII
per il rinnovamento del mondo cristiano, forse nella settimana pasquale che va
dalla mezzanotte del 7 aprile, venerdì santo, alla mezzanotte (o al mezzogiorno)
del 14 aprile (secondo altri, dal 25 marzo, data dell’incarnazione di Cristo, al 1°
aprile).
Dante, che inizia il viaggio «nel mezzo del cammin di nostra vita», cioè nel
trentacinquesimo anno di età, è accompagnato durante il cammino da Virgilio,
simbolo della ragione umana (Inferno e Purgatorio), e da Beatrice, simbolo della
Rivelazione e della Fede (Paradiso Terrestre, Paradiso). San Bernardo, uno dei
grandi mistici medievali, particolarmente noto per la sua devozione mariana (a lui
viene non a caso affidata la celebre preghiera alla Vergine di Paradiso XXXIII), lo
assisterà nei canti conclusivi, quando il poeta potrà accedere alla visione beatifica
della gloria divina.
Le fonti: la visione e il viaggio allegorico
La letteratura visionaria aveva conosciuto vasta diffusione fin dal primo affermarsi
del cristianesimo: e non poteva essere altrimenti per chi considerava la vita eterna
come la vera vita. Alcuni di questi testi erano del resto stati accolti nel canone delle
Sacre Scritture: si pensi al libro IV di Esdra (solo in seguito escluso) o all’Apocalisse
di san Giovanni, l’ultimo e il più impressionante dei libri del Nuovo Testamento.
Accanto ai testi canonici si diffusero anche opere letterarie che esercitarono una
notevole influenza sull’immaginario medievale: trattazioni ascetiche e
agiografiche (Vitae patrum [Le vite dei Padri]; Legenda aurea; De contemptu mundi
[Il dispezzo del mondo] di Innocenzo III; il maomettano Libro della Scala), opere
romanzesche (la Navigatio sancti Brandani [La navigazione di san Brandano]; La
leggenda del Purgatorio di San Patrizio; la Visio Tungdali) e visioni mistiche (la Visio
Alberici; i Dialogi [Dialoghi] di Gregorio Magno; il De eruditione hominis interioris
[La formazione dell’uomo interiore] di Riccardo di San Vittore; il Liber figurarum
[Libro delle figure] di Gioachino da Fiore; la Vita sancti Romualdi [Vita di san
Romualdo] di Pier Damiani). Grande fu in particolare la fortuna della Visio sancti
Pauli [La visione di san Paolo], tradotta per secoli in molte lingue volgari.
Fondamentali, per l’influenza decisiva che esercitarono su Dante, furono tuttavia i
classici latini: il VI libro dell’Eneide; il Somnium Scipionis [Il sogno di Scipione] di
Cicerone; i viaggi all’Averno delle Metamorfosi di Ovidio; il racconto della maga
Eritone nel Bellum civile [La guerra civile] di Lucano. Da Virgilio, in particolare,
Dante trasse diversi spunti per la rappresentazione spaziale dell’Inferno e
dell’Antipurgatorio.
Accanto alla letteratura visionaria, non meno importanza ebbe la letteratura di
viaggio, e in particolare il genere dei viaggi allegorici, che si era sviluppato a partire
dal XII secolo (si pensi, per restare nella sola Italia, al Tesoretto di Brunetto Latini).
È merito di Cesare Segre avere individuato gli elementi che collegano la Commedia
con i viaggi allegorici: la presenza di virtù non esclusivamente religiose; la pluralità
delle guide; l’impianto didattico (che consente di organizzare, per bocca di vari
personaggi, un organico discorso di carattere etico-religioso, artistico e
scientifico); l’elemento allegorico; la precisione (topografica, cronologica) del
racconto e delle descrizioni che si susseguono (mentre le visioni, generalmente, si
limitavano a flash e rapide escursioni prive di continuità e di organicità).
Un poema sacro
La Commedia è un autentico poema sacro, nel quale Dante mette in gioco l’intero
mondo e il suo destino, religioso e politico. Il viaggio non è solo un’invenzione
fantastica, una finzione: Dante vuole porsi realmente come terzo dopo Enea e dopo
Paolo (If II 10-36), fondatori dell’Impero e della Chiesa, per reintegrare l’ordine
divino scosso dalle discordie e dagli egoismi, dalle divisioni e dalle lotte intestine.
Alla base del poema c’è l’idea della provvidenzialità della storia umana: Nazareth
e Roma ne sono gli strumenti e la luce. Mondo pagano e mondo cristiano, mitologia
classica e Sacre Scritture confluiscono verso un unico fine, quello della salvezza
spirituale. Virgilio e Beatrice sono divisi nel battesimo, non nella luce che irradiano
e nella missione che svolgono.
Tra la città degli uomini e la città di Dio si dà perfetta corrispondenza. Natura e
storia sono segni del trascendente, libro divino. Così Dante può introdurre nel suo
poema l’ampio e variegato ventaglio della cronaca contemporanea. Ma il realismo
dantesco è un realismo medievale, intimamente cristiano: tutto è visto con l’occhio
di Dio. Il particolare acquista senso solo nella totalità e nell’universalità di cui è
parte. Un fatto, in sé, non è niente, se non viene decifrato nei suoi sensi più alti. Alla
letteralità delle immagini, deve seguire il loro senso allegorico, morale,
sovratemporale. Vedere è visione, e dunque ispirazione: «I’ mi son un che, quando
/ Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando» (Pg XXIV
52-54).
Il poema comprende più di cinquecento figure individuate, metà contemporanee e
metà del mondo antico. Fra queste ultime, mitologia pagana e cristiana trovano
perfetta giuntura, nonostante la straziante separazione (ravvisabile pateticamente
in Virgilio) del battesimo. Opera profetica e apocalittica, secondo le aspettative
messianiche che avevano percorso tutto il secolo XIII, la Commedia si propone
anche come summa enciclopedica del sapere antico e medievale: cosmologico-
scientifico, teologico, filosofico, storico-politico, artistico-letterario. Al centro, la
figura di Dante, penitente e passeggero, ma soprattutto poeta, che descrive se
stesso già nella coscienza della propria gloria artistica, mentre viene accolto sesto,
tra Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e la guida Virgilio: «e più d’onore ancora assai
mi fenno» (If IV 100).
Simmetrie compositive
Non esiste forse opera, nella storia della letteratura di ogni tempo, che presenti
un’architettura più rigorosa e compatta, un impianto strutturale più ferreo della
Divina Commedia: in essa, ogni verso, ogni episodio appaiono legati per forza di
richiami interni e intertestuali al complesso sistema del poema (che a sua volta
rielabora, in virtù di una complessa rete di autocitazioni e di rimandi, tutta la
produzione dantesca giovanile e coeva, risignificandola). Ogni cantica, ad esempio,
esordisce con un’invocazione classica: alle semplici Muse; poi alle sante Muse e a
Calliope; infine ad Apollo e a Minerva, assistiti dal corteggio delle nove Muse. Si
leggano, contemporaneamente, i passi di If II 1-9; Pg I 1-12; Pd I 1-36, II, 1-15 e
XXIII 55-69: l’espansione e l’amplificazione dei tre proemi corrisponde alla ben
nota esigenza medievale di far corrispondere altezza dell’ispirazione e dello stile
all’impegno degli argomenti trattati. Ma gli esempi si potrebbero moltiplicare con
estrema facilità: tutte e tre le cantiche si concludono sulla parola stelle; il canto VI
di ognuna delle tre cantiche è di argomento politico, secondo una progressione che
porta il lettore a considerare dapprima la situazione di Firenze, poi dell’Italia,
infine dell’Impero cristiano.
Il cosmo dantesco poggia su fondamenti scientifici tradizionali, ereditati dal
pensiero classico (il sistema aristotelico-tolemaico, che disegnava la terra
immobile al centro del mondo) e su un vasto patrimonio di materiali visivi
(letterari, figurativi e folclorici), a loro volta rielaborati con lucida invenzione dal
poeta.
Il plurilinguismo dantesco Già nell’ambito della poesia lirica, come si è visto,
Dante si era dimostrato incline a sperimentare nuovi linguaggi poetici: si pensi alle
forme dolci e stilnovistiche delle poesie per Beatrice, alla durezza semantica e
sintattica delle petrose, alla giocosità comico-realistica della tenzone con Forese
Donati o alla solenne gravità delle rime dottrinali. Si trattava tuttavia di registri
stilistici differenti, nei quali, come insegnavano le poetiche medievali, si dava una
rigorosa equivalenza fra stile e argomento.
Ci si aspetterebbe dunque che Dante facesse una scelta linguistica e stilistica
omogenea per il suo poema, magari ricorrendo a quel volgare illustre che egli
stesso aveva teorizzato nel De vulgari eloquentia; o, al limite, che differenziasse le
tre cantiche, procedendo, in una sorta di ascesa ideale, dallo stile comico
dell’Inferno a quello tragico del Paradiso.
Al contrario, nella Divina Commedia il poeta fa uso di un plurilinguismo e di un
pluristilismo stratificato, in base al quale Francesca (nel V dell’Inferno) può servirsi
di espressioni degne di un poeta stilnovista, o Farinata (nel canto X) di un
linguaggio aulico e , mentre san Pietro (nel XXVII del Paradiso) può abbandonarsi
a versi di concitata e violenta energia realistica, tipiche dello stile basso.
Tale scelta, come si è già detto precedentemente, nasce da una precisa esigenza:
dar conto di una realtà umana e divina troppo complessa per essere irrigidita in
un unico registro o in un unico stile. Fermo restando dunque che l’ascesa
dall’inferno al Paradiso presuppone anche un’ascesa linguistica e stilistica pari
all’innalzamento della materia (e che dunque nell’Inferno è documentato il
maggior numero di termini del linguaggio aspro o comico-realistico, di vocaboli
scurrili e popolareschi, mentre nel Paradiso troviamo il maggior numero di termini
aulici, di latinismi, di neologismi), la mescolanza degli stili è una pratica consueta
dell’intero poema, cui corrisponde un significativo ampliamento lessicale.
Se la lingua di base adottata è il dialetto fiorentino (e non la lingua illustre,
sovramunicipale di cui aveva parlato nel suo tratto sul volgare italiano), Dante non
esita a utilizzare forme dei dialetti toscani e nazionali ogni volta che ne sente
l’esigenza; a tali forme si devono aggiungere latinismi (se ne contano circa
cinquecento nel complesso del poema), gallicismi e neologismi di conio dantesco
(come indiare, inluiare, insemprarsi ecc.). Né mancano termini gergali od osceni,
forme desuete e da tempo abbandonate dello stesso dialetto fiorentino,
espressioni di carattere plebeo e triviale, spesso accostati per contrasto a termini
di carattere aulico.
Dante sente insomma il bisogno di possedere una lingua poetica varia e ricca, di
non essere limitato dalle scelte, fino a inventare forme inedite quando la lingua
esistente (parlata o letteraria) non lo soddisfa. Si spiega allora facilmente la
presenza di doppioni e di sinonimi all’interno del poema: Dante può infatti usare,
a seconda delle convenienze (non solo metriche) sia diceva che dicea; vorrei
oppure vorria; fero, feron o fenno; tacque o tacette; manicare, manducare o
mangiare; speranza, speme o spene; specchio, speglio, speculo o miraglio.
Significativo è anche il procedimento mimetico, che spinge il poeta a far parlare i
suoi personaggi a seconda del loro contesto socio-linguistico o culturale: il
racconto di Pier delle Vigne, il celebre poeta siciliano, ad esempio, è condotto
secondo le regole dell’ars dictandi (di cui Piero era stato maestro); Bonagiunta da
Lucca usa il termine municipale issa, tipico della sua città. La mobilità della lingua
e la tensione dello stile nascono concretamente dalla drammaticità e dal
dinamismo della realtà storica, dal cozzare continuo tra la perfezione del mondo
divino (immutabile e realizzato in ogni sua parte) e l’imperfetta contingenza del
mondo terreno.
L’Inferno
Il Paradiso, infine, comprende nove cieli concentrici di materia diafana, mossi dagli
angeli, al centro dei quali, secondo le dottrine cosmologiche dell’antichità,
sta immobile la Terra. Nel cielo della luna appaiono a Dante gli spiriti che
mancarono ai voti; in quello di Mercurio gli spiriti attivi che troppo
amarono la gloria; in quello di Venere gli spiriti amanti; nel cielo del Sole gli
spiriti sapienti; nel cielo di Marte gli spiriti militanti; nel cielo di Giove gli
spiriti giusti; nel cielo di Saturno gli spiriti contemplativi. Seguono il cielo
delle Stelle Fisse, dove Dante assiste al trionfo di Cristo, di Maria e dei beati,
e il Primo Mobile, dove gli angeli appaiono in forma di nove cerchi
fiammeggianti che girano intorno a un luminosissimo Punto. Oltre il nono
cielo materiale, fuori del tempo e dello spazio, è il cielo Empireo, sede
puramente spirituale di Dio e dei beati.
Questi ultimi scendono via via nei nove cieli solo per far comprendere a Dante in
modo sensibile la diversa altezza dei loro meriti. Il cosmo celeste evocato
nel Paradiso si configura come luce e splendore: nella sola terza cantica le
occorrenze di luce (o luci) sono 73, di lume (o lumi) 69, di splendore 17: Dio
si manifesta al mondo come luce che digrada gerarchicamente da un cielo
all’altro, investendo del proprio splendore ogni creatura.
[Tratto da Piero Adorno, Storia dell’arte italiana, Firenze: D’Anna, 1993.]
5 consigli per gestire (e cambiare) un uomo
mammone DI VERONICA MAZZA, 28 Giugno 2017
[Tratto da
https://d.repubblica.it/lifestyle/2017/06/28/news/marito_mammone_cosa_fare_paolo_crepet_identikit_d
el_mammone_come_liberarsi_della_suocera_invadente-3585110/]
Anche se le probabilità sono basse perché il legame madre-figlio è molto forte, se sei veramente
innamorata e credi in lui, ci sono delle azioni che puoi fare per aiutarlo a svincolarsi da questa
dipendenza morbosa e dargli una mano a crescere, costruendo un vero rapporto a due.
1. Mettilo davanti alle sue responsabilità. Amare significa scegliere ed è bene che lui faccia
una scelta di campo, che dimostri quanto tenga a “voi”. Quindi se ogni Ferragosto si va da
mamma, per una volta puoi pretendere che venga con te in montagna, per una vacanza lontano
da tutti e tutto.
2. Usa gli aut aut. Punta i piedi, fissa dei paletti e porta avanti le tue decisioni, senza essere
accondiscendente. Nel rapporto non esistono solo le sue esigenze (e quelle della sua mamma),
ma anche le tue. Abbi il coraggio di tirarle fuori e non cercare mediazioni: se ti ama, saprà
venire anche dalla tua parte.
4. Tira fuori l’ironia e inverti i ruoli. Non prenderlo in giro, ma con delle battute fagli
capire che sta esagerando, come quando chiama la madre 20 volte al giorno. E se si irrita, fagli
notare cosa direbbe lui se tu ti comportassi così con i tuoi genitori.
5. Non lo tolleri più? Lascialo. Quando le hai provate tutte, ma hai perso ogni battaglia, non
ti resta che mollarlo. Con un’azione così forte lo metti con le spalle al muro e se ti viene a
cercare, quindi ti sceglie, c’è la possibilità che capisca i suoi errori e che il rapporto riparta da
nuove basi.
Elena Ferrante e il romanzo del Settecento. Una
riflessione sull'identità del romanzo italiano
Autore: Daniela Mangione
Testata: Diacritica
Data: 25 giugno 2019
URL: https://diacritica.it/letture-critiche/elena-ferrante-e-il-romanzo-del-settecento-una-
riflessione-sullidentita-del-romanzo-italiano-una-trama-ininterrotta.html
(https://diacritica.it/wp-content/uploads/Diacritica-V-25-25febbraio2019.pdf)
https://normalenews.sns.it/limportanza-di-dedicarsi-a-temi-di-ricerca-belli-discorso-di-
luigi-ambrosio-durante-la-consegna-dei-premi-balzan-2019]
Il peggioramento degli esiti occupazionali riguarda soprattutto gli uomini, che nel 2015
sono occupati nel 46,8% dei casi (51,2% nel 2011); rimane stabile al 40,4% la quota di
diplomate lavoratrici.
Nelle regioni meridionali l’inserimento nel mondo del lavoro continua a essere più
difficoltoso: i diplomati che lavorano quattro anni dopo la maturità sono il 37%, nel
Centro superano il 42% mentre al Nord è occupato un diplomato su due.
I gruppi di laurea più scelti dai diplomati sono: Economico-statistico (14,5% degli
immatricolati), Medico (13,8%) e Ingegneria (13,1%).
Fra i diplomati che lavorano nel 2015, uno su quattro (25,3%) è dipendente a tempo
indeterminato, l’11,5% è lavoratore autonomo, il restante 63,2% ha un’occupazione “non
stabile”; nel dettaglio, il 33,8% ha un contratto a tempo determinato, l’8,7% è alle
dipendenze senza contratto, il 13,8% ha un contratto a progetto, di prestazione d’opera,
voucher o una borsa di studio/lavoro e il 6,9% svolge attività formativa retribuita.
La stima dei laureati di I livello che hanno conseguito il titolo nel 2011 e che nel 2015
lavorano è pari al 72,8%; all’80,3% per i laureati di II livello a ciclo unico e all’84,5% per i
laureati specialistici biennali di II livello, valori stabili rispetto all’indagine sulla coorte dei
laureati nel 2007.
Si riduce il gap di genere nelle quote di occupati: il divario è maggiore nel caso dei laureati
di II livello, più contenuto per quelli di I livello.
Nel 2015, i livelli più elevati di occupazione (superiori al 93%) si riscontrano tra i laureati
di II livello nei gruppi Difesa e sicurezza, Medico e Ingegneria (99,4%, 96,5% e 93,9%).
L’inserimento nel mercato del lavoro è più difficile per i laureati, sia di I che di II livello,
nei gruppi Letterario (lavora il 61,7% dei laureati di I livello e il 73,4% di quelli di II livello)
e Geo-biologico (58,6% dei laureati di I livello e 76,5% di II livello). Critica è anche la
situazione dei laureati di I livello nel gruppo Psicologico (54,4% di occupati) e dei laureati
di II livello nel gruppo Giuridico (67,6%).
Sistema politico della Repubblica Italiana
[Tratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_politico_della_Repubblica_Italiana]
Schema del sistema politico italiano
Il sistema o ordinamento politico
della Repubblica Italiana è un
sistema politico improntato ad
una democrazia
rappresentativa nella forma
di Repubblica parlamentare.
Lo Stato è organizzato in maniera
centralizzata ed in base ad un
significativo decentramento
regionale.
L'Italia è una repubblica democratica
dal 2 giugno 1946, quando
la monarchia fu abolita
attraverso referendum e l'Assemblea
costituente venne eletta per stilare
la Costituzione, che venne
promulgata il 1º gennaio 1948.
Organizzazione generale
Il sistema politico italiano è organizzato secondo il principio di separazione dei poteri:
il potere legislativo è attribuito al Parlamento, al governo spetta il potere esecutivo,
mentre la magistratura, indipendente dall'esecutivo e dal potere legislativo, esercita
invece il potere giudiziario; il presidente della Repubblica è la massima carica
dello stato e ne rappresenta l'unità.
La legge fondamentale della Repubblica è la Costituzione, ossia il codice che indica i
principi fondamentali, i diritti e i doveri dei cittadini e ne fissa l'ordinamento. Il potere
legislativo statale spetta al Parlamento ai sensi dell'art. 70 della Costituzione,
suddiviso in due camere: il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati. Tutte
le leggi, in ultima istanza, devono essere promulgate dal presidente della Repubblica
il quale può rinviare al Parlamento una legge se ritiene che questa sia in contrasto con
la Costituzione (il cosiddetto veto sospensivo), ma esclusivamente per la prima volta.
Il Consiglio dei ministri si regge su una maggioranza parlamentare, tipicamente
costituita a partire da una consultazione elettorale tra tutti gli aventi diritto di voto.
La separazione dei poteri
Solo in casi di necessità ed urgenza il Governo può emanare un atto avente la forza
di legge e chiamato decreto legge, che deve essere confermato successivamente dal
Parlamento entro 60 giorni, pena la sua decadenza (anche retroattiva). Inoltre il
Parlamento può delegare il Governo tramite una legge chiamata legge delega affinché
legiferi su una certa materia stabilendo nel contempo i limiti e i tempi entro i quali il
Governo può muoversi nel legiferare. L'atto normativo emanato in questo modo dal
Governo prende il nome di decreto legislativo.
Vi sono poi casi nei quali il potere legislativo spetta al popolo sovrano, attraverso
l'istituto del referendum abrogativo e, in materia costituzionale, attraverso l'istituto del
referendum confermativo delle leggi costituzionali. In generale dunque il potere di
iniziativa legislativa viene attribuito a ciascun parlamentare, al popolo, attraverso
l'istituto della proposta di legge di iniziativa popolare effettuata tramite la raccolta di
almeno 50 000 firme, e al Governo, le cui proposte di legge devono comunque essere
controfirmate dal presidente della Repubblica.
Infine, è presente un rilevante controllo giurisdizionale sia sugli atti amministrativi che
sulla legislazione effettuato a due livelli (non molto differente dal judicial review,
revisione giudiziaria, del sistema statunitense, ma ben più estesa di quello
anglosassone classico, ossia del Regno Unito), in quanto sia i tribunali a livello diffuso
possono considerare una legge non costituzionale, ma limitandola al caso a loro
sottoposto, mentre è molto più utilizzato il sistema accentrato di controllo, su richiesta
del singolo giudice del tribunale, affidato alla Corte costituzionale che può dichiarare
illegittime le leggi anticostituzionali anche dopo la loro approvazione, espungendole
dall'ordinamento, ed impedendo al Parlamento di legiferare nuovamente sulla
medesima situazione.
Per quanto concerne gli atti amministrativi il controllo è effettuato da un serie di tribunali
amministrativi suddivisi su base regionale, i TAR, con appello al Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale, avente competenza territoriale nazionale. Con l'approvazione
del Codice del processo amministrativo nel 2010 il controllo sugli atti amministrativi
governativi e degli altri enti pubblici è diventato particolarmente penetrante, con
possibilità di richiedere le più opportune misure cautelari, sia in primo che secondo
grado, nonché il risarcimento del danno che l'atto amministrativo emanato dal pubblico
potere ha causato[1].
Potere legislativo.
Il potere legislativo spetta al Parlamento della Repubblica Italiana suddiviso in
due camere: il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati, i quali
separatamente, con le stesse mansioni assegnate dalla Costituzione, promuovono,
attraverso l'iniziativa dei suoi membri parlamentari, l'iniziativa legislativa che deve
essere approvata a maggioranza da ciascuna delle due camere, altrimenti rigettata.
[tratto da
https://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/03/08/news/il_sud_abbandonato_e_la_
scelta_di_abbracciare_i_partiti_della_rabbia-190731672/]
Oltre alle promesse di politiche assistenziali, sul voto meridionale ha pesato la sfiducia
(giustificata) verso i potentati politici tradizionali
di ROBERTO SAVIANO
08 marzo 2018
Chi ha vinto e chi ha perso le elezioni politiche in Italia? È fin troppo chiaro e le percentuali
sono sotto gli occhi di tutti, quindi non partirei dai numeri per raccontare cosa questo voto
significhi. Preferisco partire da quella parte di Italia dove spesso le cose si riescono a leggere
in maniera più chiara, quella parte di Italia che meno è entrata in questa campagna elettorale
e che meno entra in tutte le campagne elettorali ormai da moltissimo tempo. Quella parte di
Italia dove le forze politiche amano dragare voti, ma che, finché possono, evitano come la
peste. Partiamo dal Sud Italia che ci siamo abituati a considerare feudo di Berlusconi e, allo
stesso tempo, sede di un forte consenso al Partito democratico retto da ras locali che per
decenni hanno assicurato valanghe di voti.
E proprio Forza Italia e Pd, in queste politiche, hanno vissuto un'emorragia di elettori confluiti
in Lega e M5S. Quest'ultimo, con la promessa del reddito di cittadinanza, ha avuto un
consenso quasi plebiscitario proprio nelle regioni in cui, non esistendo un'economia
competitiva, l'unica speranza è la politica dei sussidi.
E anche in questo caso - sono anni che ne scrivo! - il Sud Italia è una ferita attraverso cui si
può guardare lontano. Accade che siano proprio le regioni del Sud, abbandonate dalla politica
nazionale e tenute fuori dal dibattito pubblico, a condizionare la direzione che il Paese intero
è destinato a prendere.
Ma oltre alle promesse di politiche assistenziali, sul voto al Sud, soprattutto in Campania, ha
pesato la sfiducia (più che giustificata) verso i potentati politici tradizionali. Dal caso mediatico-
giudiziario seguito all'inchiesta di Fanpage.it è emerso un quadro sconfortante di corruzione,
malcostume, familismo e conflitto di interessi; è stata la conferma, per molti italiani, che i partiti
che fino a questo momento hanno avuto in carico la gestione della cosa pubblica non sono
altro che centri di potere marci e che da loro nulla di buono ci si può aspettare.
Naturalmente non concordo con questa generalizzazione; i partiti sono composti da persone
e ciascuno risponde della propria onestà, del proprio lavoro e del proprio impegno, ma qui non
si tratta di ciò che penso io, quanto piuttosto del sentimento che hanno provato gli italiani di
fronte all'ennesima conferma dell'inadeguatezza dei partiti tradizionali. Le inchieste, gli
scandali, le prassi disinvolte e spregiudicate hanno spinto molti elettori del Sud ad accorciare
il proprio sguardo, a smetterla di puntare all'Europa per iniziare invece a occuparsi e
preoccuparsi solo di ciò che accade a un metro da sé. Come si può pensare all'Europa se le
cose qui non vanno bene? Lo scetticismo diffuso è stato una chiamata alle armi e il partito che
più di tutti ha risposto al bisogno di essere coinvolti in prima persona è il M5S.
È evidente che la promessa di rottamazione di Matteo Renzi è stata rottamata da Renzi stesso
e dall'unico modo che ha trovato in questi anni per occuparsi di Sud: la plateale promessa
della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina (cavallo di battaglia del più becero
berlusconismo) e la Apple Developer Academy di Napoli, spacciata come il primo segnale di
una ripresa economica sul territorio. Un corso per sviluppatori Apple, un unico corso e per
giunta calato in un contesto economicamente depresso, avrebbe dovuto fruttare a Renzi il
titolo di "amico del Sud". Una presa per i fondelli.
L'abbandono del Sud da parte dei partiti tradizionali ha portato a una necessità di
partecipazione, talvolta spinta fino alle estreme conseguenze e incline a stravolgere prassi
politiche e regole, pur di sentire che il proprio voto, che la propria preferenza ha avuto un
effetto reale. Gli italiani, oggi, soprattutto gli italiani del Sud, vogliono sapere esattamente come
il loro voto cambierà la loro quotidianità; e se le aziende continueranno a delocalizzare il lavoro,
se il lavoro nel Sud Italia resterà una speranza frustrata, almeno vogliono la certezza che chi
governerà si occuperà di loro, solo di loro, prima di loro.
E molti diranno: ecco che nasce il partito della rabbia, ma di che rabbia stiamo parlando?
Ancora di una rabbia cieca? Ancora di un voto di ribellione? No. Il voto al M5S e alla Lega
(ormai partito nazionale che aspira a rappresentare tutti) non è un voto esclusivamente di
ribellione, ma è un voto ormai ragionato che, tra le altre cose, avrebbe il merito di aver
asciugato (e molto) il voto di scambio. Questa volta l'elettorato è stato coeso nel dare consenso
a due partiti che sono specchio fedele dei loro elettori. Il voto non è stato semplicemente un
voto di protesta o di opinione, ma un voto di identità.
Lo storytelling renziano ha prodotto malanimo che a sua volta ha innescato una sorta di
egoismo sociale. Ormai quello che mi interessa è che a stare bene sia io, quindi quella forza
politica che promette attenzione a me che sono italiano è l'unica che posso ascoltare. Quella
che mi promette il reddito di cittadinanza in un Sud dove non solo manca il lavoro, ma anche
la speranza di lavoro, sta parlando proprio a me.
In Campania il M5S ha stravinto, e la sua vittoria si configura come un voto di liberazione dal
presidente della Regione Vincenzo De Luca, che è espressione di quella politica che Renzi
aveva promesso di rottamare. A Sud Renzi aveva due possibilità: un percorso lungo di riforma,
che significava scelta di candidati nuovi, oppure affidarsi ai feudi elettorali - un voto un lavoro,
un voto un favore - e ottenere velocemente vittoria sperando dall'alto di far cambiare rotta al
Sud una volta preso il potere. Ha scelto la strada più semplice e, sul tema politico più
importante, non è riuscito a impegnarsi su una strada di trasformazione.
Finanche i casi di cronaca nera (Macerata docet) sono stati utilizzati per fare comunicazione
politica. E paradossalmente questo agli italiani è piaciuto, la possibilità di non avere obblighi
morali, di poter essere liberamente incoerenti a seconda delle esigenze del momento.
Essere elettore di un partito progressista presuppone portare sulle proprie spalle valori che
nemmeno il partito per cui voti segue più. E allora che senso ha? Perché vivere il dissidio tra
una coerenza autoimposta, e per cui bisogna quotidianamente lottare, e la possibilità di essere
egoisticamente liberi?
Il M5S agli elettori del Sud non ha dato alcuna soluzione su come far partire davvero
l'economia, se non banali ricette di razionalizzazione delle spese e generiche promesse di
lotta alla corruzione. Ha dato però una cosa ben più grande: bersagli da colpire. Ha
capitalizzato la frustrazione, non chiedendo in cambio condotte di comportamento diverse,
anzi, supportando sintassi da haters e impiantando una politica basata sulla percezione della
realtà e non sulla realtà.
In Italia il 4 marzo ha vinto il malessere, non ha vinto la speranza e non ha vinto la voglia di un
futuro migliore. Il 4 marzo ha vinto l'idea di Stato chiuso, di nazione con confini alti e invalicabili,
invalicabili per gli esseri umani ma non per i capitali criminali (per loro le frontiere sono sempre
aperte). Il 4 marzo ha vinto l'euroscetticismo, trainato dell'America di Trump e dalla Brexit, e
ha perso l'idea di un'Europa unita e fiera dei suoi diritti, che l'avevano resa il posto migliore in
cui vivere. Il 4 marzo ha vinto una strana forma di nichilismo che, proclamando la propria libertà
da ogni coerenza, diventa libertà di essere cattivi.
Ma qual era l'alternativa? Questa volta non c'era. Lega e M5S hanno vinto perché dall'altra
parte non c'era niente. Più niente.
Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli
Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia.
Spinto qua e là alla ventura, non ho potuto finora mantenere la promessa fatta,
lasciandoli, ai miei contadini, di tornare fra loro, e non so davvero se e quando
potrò mai mantenerla. Ma, chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato
riandare con la memoria a quell'altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato
alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e
dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile
civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte.
– Noi non siamo cristiani, – essi dicono, – Cristo si è fermato a Eboli –. Cristiano
vuol dire, nel loro linguaggio, uomo: e la frase proverbiale che ho sentito tante
volte ripetere, nelle loro bocche non è forse nulla piú che l'espressione di uno
sconsolato complesso di inferiorità. Noi non siamo cristiani, non siamo uomini,
non siamo considerati come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che
le bestie, i fruschi, i frusculicchi, che vivono la loro libera vita diabolica o
angelica, perché noi dobbiamo invece subire il mondo dei cristiani, che sono di là
dall'orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto. Ma la frase ha un senso molto
piú profondo, che, come sempre, nei modi simbolici, è quello letterale. Cristo si è
davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno
e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato
qui, né vi è arrivato il tempo, né l'anima individuale, né la speranza, né il legame
tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. Cristo non è arrivato, come non
erano arrivati i romani, che presidiavano le grandi strade e non entravano fra i
monti e nelle foreste, né i greci, che fiorivano sul mare di Metaponto e di Sibari:
nessuno degli arditi uomini di occidente ha portato quaggiú il suo senso del tempo
che si muove, né la sua teocrazia statale, né la sua perenne attività che cresce su
se stessa. Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un
nemico o un visitatore incomprensivo. Le stagioni scorrono sulla fatica contadina,
oggi come tremila anni prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si è
rivolto a questa povertà refrattaria. Parliamo un diverso linguaggio: la nostra
lingua è qui incomprensibile. I grandi viaggiatori non sono andati di là dai confini
del proprio mondo; e hanno percorso i sentieri della propria anima e quelli del
bene e del male, della moralità e della redenzione. Cristo è sceso nell'inferno
sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle
nell'eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il
male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo
non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.
Storia della mafia
[Tratto da http://www.treccani.it/enciclopedia/mafia/]
mafia Complesso di organizzazioni criminali sorte in Sicilia nel 19° sec., diffuse
su base territoriale, rette dalla legge dell’omertà e strutturate gerarchicamente.
1. Storia
La m. nacque come braccio armato della nobiltà feudale per la repressione delle
rivendicazioni dei contadini. A fine Ottocento si strinsero i legami tra m. e
politica, con l’ascesa di mafiosi al potere locale e l’affermarsi della prassi dello
scambio di voti e favori, mentre si consolidava un rapporto di dominio-protezione
della m. sul territorio in cui operava. Il salto di qualità coincise con l’emigrazione
meridionale negli USA agli inizi del 20° secolo. La m. assunse allora un ruolo
importante nell’immigrazione clandestina, imponendo il proprio controllo sulla
forza-lavoro e il racket sulle attività dell’area occupata, e intensificando le
pratiche di scambio elettorale. Negli anni 1920 la domanda contadina di terra e le
misure governative per la formazione di nuove proprietà permisero alla m. di porsi
come intermediario tra latifondisti e cooperative contadine.
Durante il fascismo C. Mori, prefetto di Palermo (1925-28), fu inviato a stroncare
la m., intercettandone i tradizionali legami con la politica locale e rivendicando il
monopolio statale della violenza. Tra il 1943 e il 1945 la m., a cui gli Alleati si
erano appoggiati per preparare lo sbarco, strinse rapporti con il movimento
separatista e, dopo il 1945, con esponenti dei partiti al governo, che la
legittimarono come forza antisindacale, anticontadina e anticomunista. Mentre le
cosche locali si radicavano nel tessuto degli enti regionali, i mafiosi rientrati dagli
USA fecero della Sicilia la centrale mediterranea del narcotraffico e del traffico
di armi. La m. del palermitano si organizzò quindi in ‘cupola’ (Cosa nostra), avviò
un processo di controllo della criminalità organizzata e individuò nuovi settori di
profitto (edilizia, mercati generali, appalti), configurandosi negli anni 1960 come
m. ‘urbano-imprenditoriale’.
Negli anni 1970-80 la m. divenne protagonista del narcotraffico, intrecciando
rapporti con organizzazioni straniere.Nel 1979 iniziò una violenta offensiva volta
a rimuovere gli ostacoli alla sua crescita con l’uccisione di uomini politici,
poliziotti e magistrati, mentre si verificavano anche grandi conflitti intestini, dai
quali emerse vincitore il gruppo detto dei Corleonesi. Vittime della m. sono
caduti, tra gli altri, P. Mattarella nel 1980, P. La Torre e il generale C.A. Dalla
Chiesa nel 1982 e il giudice R. Chinnici nel 1983. Culmine di tale guerra è stato
nel 1992 l’assassinio dei giudici G. Falcone e P. Borsellino, del finanziere N.
Salvo e del deputato democristiano S. Lima. Nel frattempo, però, le rivelazioni di
una serie di mafiosi ‘pentiti’ hanno consentito di compiere passi importanti nella
lotta antimafia, istituendo fra l’altro un maxiprocesso a più di 400 persone nel
1986: sono stati arrestati i boss corleonesi L. Liggio, S. Riina e, nel 2006, B.
Provenzano, insieme a moltissimi altri capimafia.
2. Il fenomeno mafioso
La parola m. comparve nel 1863 prima in una commedia dialettale e subito dopo
in un documento della questura di Palermo. Tra Otto e Novecento, e fino a oggi,
con essa è stata indicata una fenomenologia criminale tipica della parte centro-
occidentale della Sicilia, caratterizzata da profondo radicamento nella cultura
locale e da connessioni con il potere politico ed economico. Dagli imprenditori di
vari settori dell’economia legale (commercio, edilizia, agricoltura) i mafiosi
pretendono tangenti promettendo di ‘proteggerli’ contro la delinquenza, ossia da
altri gruppi di m., e spesso per questa via diventano essi stessi imprenditori. Altra
attività è il commercio illegale (stupefacenti, armi, prodotti di contrabbando)
anche su larghissima scala.
In passato il fenomeno mafioso è stato considerato frutto di strutture economico-
sociali particolarmente arretrate, di un universo sociale composto da poveri
contadini, grandi latifondisti e grandi affittuari, i cosiddetti gabellotti, dai cui
ranghi provenivano molti capimafia. Altrettanto consolidata è l’interpretazione
che chiama in causa una cultura ‘mediterranea’ lontana dai concetti moderni di
Stato e legalità, incline a regolare i conflitti facendo ricorso alla legge non scritta
della vendetta o faida. Secondo tale lettura, la famiglia più o meno patriarcale
sarebbe il fulcro dell’organizzazione mafiosa, e la Sicilia ‘tradizionale’
esprimerebbe quest’unico modello di aggregazione sociale. La m. tuttavia è
riuscita a impiantarsi o riprodursi anche nell’ambiente ben più progredito degli
Stati Uniti, attraverso flussi migratori e traffici di scala transoceanica, e nel suo
stesso luogo d’origine è sopravvissuta con grande facilità al mutamento storico-
sociale intervenuto con l’avvento della modernità.
3. Struttura e dinamiche della mafia
La m. ha le caratteristiche di una società segreta, o di un insieme di società segrete,
sia pure collegate al complesso della cultura o della società siciliana, nelle quali
si entra attraverso un rito di affiliazione e che restano stabili nel tempo in
determinati territori. Oggi tale organizzazione viene indicata come Cosa nostra
ma anche in passato, quando quest’espressione non esisteva, si sapeva che la m.
si articolava in gruppi locali, i quali talvolta potevano agire d’accordo tra loro, in
altri casi competere e anche confliggere violentemente. Con riferimento
all’intrigo che in quei luoghi si consumava, questi gruppi erano detti cosche,
nasse, o anche talora partiti.
Non è peraltro vero che nell’Ottocento siciliano la famiglia fosse l’unico modello
possibile di aggregazione sociale. In quei tempi l’isola conosceva un fiorire di
confraternite, società di mutuo soccorso, circoli, e nel passaggio al nuovo secolo
anche una complessa struttura di partiti locali. Queste associazioni da un lato
rappresentarono modelli disponibili, e dall’altro luoghi all’interno dei quali le
fazioni più o meno mafiose poterono occultarsi. Per spiegare i caratteri di
segretezza e particolare compattezza riscontrabili nelle ‘fratellanze’ di m., molte
fonti ottocentesche chiamarono in causa anche il modello delle logge massoniche,
terreno classico degli intrighi dei gruppi dirigenti.
4. Guerre di m. e guerra alla mafia
Nel passato le istituzioni oscillarono tra lunghi periodi di tolleranza e tentativi più
o meno fortunati di repressione, come l’operazione condotta alla fine degli anni
1920 dal prefetto Mori. Quanto ai movimenti antimafia, un preconcetto piuttosto
diffuso vuole che prima degli anni 1970 non ne esistessero affatto. È vero invece
che i movimenti contadini, in particolare nel secondo dopoguerra, si sono
mobilitati contro il latifondo e appunto contro i gabellotti mafiosi; che si sono
avute grandi mobilitazioni di piazza e di stampa in occasione di eventi traumatici
precedenti, come gli assassini dell’ex direttore del Banco di Sicilia, E.
Notarbartolo, e del poliziotto italoamericano J. Petrosino. Troppo spesso la
stampa (e talora le forze politiche e la magistratura) descrive la m. come un
nemico onnipotente capace di controllare tutto e tutti. Si tratta di una
semplificazione comprensibile, alla luce della lunga durata del fenomeno e del
raggio delle complicità di cui esso ha goduto e tuttora gode, ma che in questa
forma estrema risulta erronea sotto il profilo fattuale, nonché controproducente
sotto quello etico-politico. Infatti la tesi secondo la quale l’avversario non è stato
mai contrastato può comportare l’idea che esso non sia contrastabile, inducendo
nell’opinione pubblica o nelle stesse autorità sconforto e passività. La m. può
essere efficacemente combattuta, ed è stata in particolare combattuta con buon
successo sia in Italia sia negli Stati Uniti a partire dall’inizio degli anni 1980,
grazie a nuove leggi, nuove istituzioni specializzate nel contrasto alla criminalità
organizzata, e agli stessi drammatici conflitti interni all’universo mafioso che
hanno visto molti affiliati (i pentiti) collaborare con le autorità e rivelare i segreti
dell’organizzazione.
Educazione ambientale a scuola. E torna il tema di storia alla maturità
[Tratto da https://www.repubblica.it/scuola/2019/11/05/news/fioramonti_scuola-240298932/]
di ILARIA VENTURI
Dopo l'introduzione dell'educazione civica come materia obbligatoria (senza ore o docenti aggiuntivi)
fatta dal predecessore, ora arriva tra i banchi anche l'educazione ambientale. Non che non si faccia già
nelle scuole, anzi. Ma il ministro all'Istruzione Lorenzo Fioramonti ha annunciato che non sarà più
materia facoltativa. "L'anno prossimo l'Italia sarà il primo Paese al mondo dove lo studio dei
cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile sarà obbligatorio" ha detto durante l'audizione in
commissione congiunta cultura di Camera e Senato.
Fioramonti ha spiegato le linee programmatiche del suo ministero, con il punto più critico, quello della
mancanza di risorse sul quale era già partito all'attacco: pochi fondi per la scuola nella Legge di Bilancio.
Dalla reintroduzione del tema specifico di storia alla Maturità all'educazione ambientale allle mense sino
ai nuovi concorsi, ecco i punti dell'audizione.
Il ministro ha spiegato che da settembre prossimo "tutte le scuole dedicheranno 33 ore all'anno, circa
un'ora a settimana, alle questioni relative ai cambiamenti climatici". Fioramonti ha detto che "molte
materie tradizionali, come geografia, matematica e fisica, saranno studiate in una nuova prospettiva
legata allo sviluppo sostenibile" e che "l'intero ministero sta cambiando affinchè la sostenibilità e il clima
siano al centro del modello educativo". Come accaduto per l'educazione civica, non sarà una materia
con professori dedicati e ore in più. Mentre sulla storia il ritorno tra le tracce di Maturità è stato
confermato. Dopo il manifesto promosso da Andrea Giardina, Liliana Segre e Andrea Camilleri e il
dibattito lanciato da Repubblica, Fioramonti ha ribadito che sarà reintrodotto il tema specifico, cancellato
dall'ex ministro Bussetti a seguito della revisione da parte della Commissione Serianni dell'esame di
Stato. "Ho fatto in modo che la traccia di storia venisse evidenziata tra quelle obbligatorie alla prossima
prova di maturità, come è stato richiesto da tanti storici e come da tempo veniva richiesto anche da
parte della società civile".
Il bando per il concorso straordinario per l'immissione in ruolo sarà indetto entro il 2019, riafferma
Fioramonti. "Potranno parteciparvi docenti con tre anni di servizio sia per le scuole statali che le
paritarie". E' uno degli effetti del decreto salva-precari bis che il presidente Mattarella ha firmato di
recente dopo aver modificato la norma che escludeva dal concorso i docenti che insegnano nelle scuole
paritarie. Il concorso (prevedibilmente sarà alla fine dell'autunno) porterà in ruolo entro settembre 2020
almeno 24 mila precari e all'abilitazione coloro che risulteranno "idonei". I docenti delle scuole paritarie
potranno partecipare alla selezione esclusivamente per conseguire l’abilitazione. Non è al momento
prevista una procedura di reclutamento di ulteriori docenti di religione cattolica", ha precisato il ministro.
Oggi in un'audizione alla Camera il ministro ha sottolineato il problema economico. "C'è una questione
di sottofinanziamento del Miur: le risorse sono state "ridotte drammaticamente, sia in termini economici
che umani. Il personale ammonta a tremila persone a fronte di seimila necessarie. Sono in via di
conclusione due concorsi: entro dicembre saranno assunti cinque nuovi dirigenti amministrativi e in
totale 30 nuove unità. Si prevede poi un concorso per 59 dirigenti tecnici e la possibilità di assumerne a
tempo determinato. Sarà definito un ulteriore piano straordinario assunzionale. E' prevista una nuova
struttura di livello dirigenziale per curare l'innovazione dei processi informativi del Miur, anche per
togliere troppi carichi di lavoro".
Le mense
Un tema toccato in audizione è anche quello delle mense scolastiche. "Per quanto riguarda il servizio
mensa, è di competenza dei Comuni ma serve uno sforzo che consenta di superare le differenze
territoriali: stiamo per firmare un protocollo con Anci per l'attuazione di forme di prevenzione di ogni tipo
di discriminazione con particolare attenzione al servizio mensa: servono altre risorse per garantire
uguaglianza di questi servizi su tutto il territorio nazionale".
Sebbene Fioramonti abbia trovato l'intesa con i sindacati confederali della scuola, non tutti sono
d'accordo sul decreto Salva-precari. Anief ha proclamato uno sciopero il 12 novembre con un sit-in in
piazza Montecitorio. Ed in risposta all'audizione il leader del sindacato Marcello Pacifico dice: "Il ministro
ci ascolti, abbiamo idee chiare, semplici e giuste per affrontarli" tutti i nodi della scuola, dalla sicurezza
al precariato, dai diplomati magistrali al sostegno.
INDICE
PRIMA SEZIONE. Testi e attività didattiche .............................................................................. 1
Mappe di Italia.......................................................................................................................... 2
Il sistema verbale.................................................................................................................... 16
Dizionari.................................................................................................................................. 19
Discorso di Luigi Ambrosio alla cerimonia di consegna dei Premi Balzan 2019 ................... 127
Roberto Saviano, Il Sud abbandonato e la scelta di abbracciare i partiti della rabbia ........ 133
Educazione ambientale a scuola. E torna il tema di storia alla maturità ............................. 140