Sei sulla pagina 1di 146

DEPARTAMENTO DE LENGUAS MODERNAS

ITALIANO
NIVEL ELEMENTAL
Prof. Claudia Fernández Speie

Autoras: Claudia Fernández Speier e Irene Scheiner


Año académico 2020
PRIMA SEZIONE
Testi e attività didattiche
1.
1. Osserva le carte geografiche dell’Italia, e rispondi:
a. Puoi ubicare alcune città e regioni? Quante ne conoscevi?
b. Puoi segnare i confini naturali (mari e montagne)?
c. Qual è la percentuale di terreno montuoso?

֍ Per approfondire guarda il video “Città italiane”


https://youtu.be/nWbkpDakhRE?si=Gwnfk3kcobx0-5-G
Scrivete sette città che gli intervistati nominano:

In quali città o regioni nominate nel video posso fare vita di mare e di montagna?

Indovinate cosa c'è in città sottolinea quello che dicono le persone intervistate

-Venezia Piazza San Marco, il Ponte dei Sospiri, le gondole, la laguna, il Ponte di Calatrava
-Roma Piazza Navona, La Fontana di Trevi, Il Vaticano, Trastevere, Trinità dei Monti
-Milano La Scala, gli affari, il Castello Sforzesco, la moda, i Navigli
-Siena Il Palio, la Cattedrale, Piazza del Campo, la Torre del Mangia
-Asti Il Palio, i palazzi medievali, lo spumante, la città di Alfieri
-Napoli Il Teatro San Carlo, la pizza, il Vesuvio, Piazza del Plebiscito, il carattere della gente
-Palermo L’architettura araba, il Palazzo dei Normanni, il buon cibo, il mercato Ballarò
-Firenze Il Ponte Vecchio, Piazza del Duomo, Gli Uffizi, Galleria dell’Accademia, Brunelleschi

In gruppi. Avete già visitatol'Italia? Cosa volete visitare in futuro? Parlatene con i vostri compagni.
2.
L’Italia geografica
Testo adattato da http://www.zanichellibenvenuti.it/materiali/pdf/geografia

L’Italia è una penisola nell’Europa meridionale, al centro del Mar Mediterraneo, con due grandi
isole. In Europa, l’Italia è un Paese abbastanza grande, con tre climi e tanti vulcani.
L’Italia è cambiata nel tempo: prima sono nate le montagne, poi le pianure. Ha due grandi
catene di montagne: le Alpi e gli Appennini. Le colline sono molte, e poche le pianure.
5 Si divide in tre parti: l’Italia continentale, che è attaccata all’Europa continentale; a nord è
chiusa dalla catena delle Alpi, a sud arriva fino alla linea che è tra le città di La Spezia e Rimini.
Il Mar Mediterraneo ha delle parti: vicino all’Italia si chiamano: Mar Ligure, Mar Tirreno, Mare
Adriatico e Mar Ionio. Il Mar Ligure va dalla Liguria alla Corsica: è piccolo, ma profondo, e le
montagne arrivano fino al mare. Le coste sono alte e le spiagge sono poche e piccole. Il Mar
10 Tirreno va dalla Corsica alla Sicilia: è il più grande mare italiano. È molto profondo (arriva fino
a più di 3500 metri), ma non ha molti pesci. Le coste spesso sono alte, ma ci sono anche grandi
spiagge. Il Mare Adriatico va dal Golfo di Venezia al Canale d’Otranto, è un mare poco
profondo (quasi sempre meno di 100 metri) e abbastanza ricco di pesci. Le coste del Mare
Adriatico in Italia sono basse, con grandi spiagge. Il Mar Ionio va dal Canale d’Otranto al sud
15 della Sicilia, è un mare molto profondo (vicino alla Grecia arriva fino a più di 5000 metri). Le
coste sono alte.
L’Italia è molto lunga e abbastanza stretta: è lunga quasi 1200 chilometri ed è larga, al
massimo, 530 chilometri.
Il clima di montagna (si chiama anche clima continentale freddo) è sulla catena di montagne
20 che si chiama Alpi e sulle cime più alte degli Appennini. Gli inverni sono lunghi e molto freddi,
spesso si va a meno di 0° (zero gradi) e nevica molto. Le estati sono brevi e fresche con molte
piogge. Il clima delle pianure e delle colline (che si chiama anche clima continentale temperato)
lo trovi in molte parti dell’Italia del nord e del centro. Gli inverni sono freddi, le estati calde.
Piove abbastanza, soprattutto in primavera e in autunno. Il clima delle coste (clima
25 mediterraneo) lo trovi soprattutto nell’Italia del sud e nelle isole. Gli inverni sono miti (a
gennaio, in media, ci sono 10°) e le estati calde (a luglio, in media, ci sono 25°). Piove solo in
inverno, quasi mai in estate.
Come vedi dalla carta fisica, l’Italia ha tanti vulcani. Molti sono spenti: sono diventati delle
normali montagne, perché non “bolle” più niente dentro di loro e non fanno più paura all’uomo.
30 Anzi, vicino ai vulcani spenti la terra è fertile e si può coltivare bene. Altri vulcani, invece, sono
attivi. Sono come delle montagne che dormono, ma che possono sempre svegliarsi ed eruttare
(buttare fuori) lava, cenere, pietre infuocate, perché dentro di loro la terra “bolle” ancora. Tre
vulcani attivi sono in nella regione della Campania: vicino alla grande città di Napoli c’è il più
famoso, che è il Vesuvio. Quattro sono in Sicilia; il più famoso è l’Etna.
35 Le montagne italiane sono raggruppate in due catene: la catena delle Alpi a nord e la catena
degli Appennini al centro e al sud. Le Alpi sono il confine naturale dell’Italia a nord. Le Alpi
sono montagne giovani: per questo hanno cime molto alte. Le cime più alte sono: il Monte
Bianco, alto 4807 metri; il Monte Rosa, alto 4637 metri; e il Monte Cervino, alto 4478 metri.
Tutte e tre queste montagne sono nella Valle d’Aosta. Gli Appennini sono montagne meno
40 giovani, un po’ più basse delle Alpi. Le cime più alte degli Appennini sono: il Gran Sasso, alto
2912 metri, e la Maiella, alta 2795 metri.
L’Italia ha molte colline, soprattutto al centro e al sud. Nell’Italia settentrionale, ci sono tante
colline in Piemonte (la regione più a ovest), e ha invece poche pianure. Le colline sono alte fra
300 e 600 metri. La pianura più importante è la Pianura Padana, che continua con la Pianura
45 Veneta. Tutte e due si trovano nell’Italia settentrionale (o Italia continentale). La Pianura
Padana è stata formata dal fiume Po e dai fiumi che si buttano nel Po (i suoi affluenti). Nell’Italia
centrale e meridionale le pianure sono poche e abbastanza piccole. Sono soprattutto vicino alle
coste.
L’Italia ha pochi grandi fiumi (come ha poche grandi pianure). I grandi fiumi nascono da
50 montagne alte, con molta neve e ghiaccio, e ricevono anche le acque degli affluenti. L’insieme
del fiume e dei suoi affluenti si chiama bacino.
Il fiume più grande e più lungo è il Po, che riceve molti affluenti: forma così un grande bacino
nell’Italia settentrionale. Gli altri bacini importanti sono quelli dell’Adige (e poi del Tevere e
dell’Arno. Nell’Italia meridionale non ci sono né grandi fiumi né grandi bacini. L’Italia ha molti
55 laghi; i più grandi sono quelli delle Alpi: il Lago Maggiore, il Lago di Como e il Lago di Garda
(il più grande d’Italia). Hanno forma lunga e stretta, perché sono nati dai ghiacciai. Quando le
lingue di ghiaccio si sono sciolte, si sono riempiti d’acqua. Nell’Italia centrale ci sono invece
tanti laghi che sono nati perché la terra è sprofondata (laghi tettonici) o dai vulcani (laghi
vulcanici). Quando i vulcani si sono spenti, il cratere si è riempito d’acqua. Il lago più grande
60 è il Lago Trasimeno (che è tettonico). Nell’Italia meridionale, non ci sono laghi importanti.

1. Dopo aver letto il testo, risolvi gli esercizi.


a. Indica la tipologia del testo e il suo destinatario.
b. Metti un titolo ad ogni paragrafo. Confronta con i compagni.
c. Elenca le stagioni dell’anno e i mesi che appaiono nel testo, insieme ai loro
articoli.
d. Cerca tutti i termini appartenenti alla microlingua della geografia. Confronta
con un tuo compagno.

2. Deduci alcuni significati, senza usare il vocabolario:


a. Che parola si usa per indicare i vulcani non piú attivi?
b. Che aggettivo va in mezzo? Caldo ………. freddo

c. Traduci queste frasi, che contengono dei “falsi amici”:


Si divide in tre parti: l’Italia continentale, che è attaccata all’Europa continentale. (r. 5)
L’Italia è molto lunga e abbastanza stretta: è lunga quasi 1200 chilometri ed è larga, al
massimo, 530 chilometri. (r. 17-18)
d. Traduci la seguente frase: Gli inverni sono freddi, le estati calde (r. 23).
3. Osserva i seguenti aspetti della lingua:
a. la collina – le colline; la catena - le catene; la pianura - le pianure; la regione- le
regioni;
b. il vulcano – i vulcani; il fiume - i fiumi; il lago – i laghi;
c. e / è: L’Italia è una penisola. Il fiume più grande e più lungo è il Po. L’Italia è molto
lunga e abbastanza stretta.
d. L’Italia ha molte colline (r. 42). Hanno forma lunga e stretta (r. 56).
e. queste montagne sono nella Valle d’Aosta (r. 39); le pianure sono poche (r.
47).
f. vicino alla grande città di Napoli c’è il più famoso, che è il Vesuvio (r. 33-34);
non ci sono laghi importanti (r. 60).
g. si divide / si chiama / svegliarsi / si trovano / si sono sciolte / si sono riempiti / si sono
spenti

֍ Per approfondire guarda il video (fino al minuto 2:30) e rispondi alle domande:
https://www.youtube.com/watch?v=mH4wjwTzv3g

a. Cosa offre l’Italia?


b. Quali sono i mari dell’Italia?
c. Com’è il territorio italiano?

2. Ora guardate il video dal minuto 2:30 fino alla fine e scrivete (in spagnolo) cinque
domande la cui risposta ci sia nel video.
3.

Le regioni d'Italia
Tutte belle da visitare!
L'Italia è divisa in regioni, province e comuni. Le regioni d'Italia sono 20, con 110 province e
un totale di 8101 comuni.
Diversamente da paesi come l'Inghilterra e la Francia, solo per fare due esempi, l'Italia è stata
unificata solo nel 1861 e prima di allora era divisa in molti regni e repubbliche, ciascuno con la
5 sua amministrazione, moneta, lingua e molte tradizioni. Questo spiega perché, ancora oggi,
le tradizioni, gli usi, il cibo, il vino, i dialetti e gli accenti, persino i paesaggi naturali e
architettonici variino moltissimo da regione a regione e gli abitanti delle varie regioni siano
molto orgogliosi delle loro tradizioni.
Per me, questo è ciò che rende l'Italia così interessante, perché lo è spazio relativamente piccolo,
10 da nord a sud, da est a ovest, e c'è qualcosa per ogni gusto.
Tutte le regioni italiane offrono una varietà di attrazioni, come alte montagne innevate dove
sciare e praticare altri sport invernali e ammirare il paesaggio, specie lungo il confine
settentrionale ma anche in alcune zone dell'Appennino; città d'arte grandi e piccole, con
architetture spettacolare di ogni periodo e stile; delizie culinarie con i vari piatti tipici
15 regionali, artigianato locale in tutta la penisola, dai vetri agli ori, ai merletti, bellezze naturali in
montagna, in campagna, al mare.
Quindici regioni su venti, tra cui due isole, sono bagnate dal mare, con circa 7500 km di coste,
perciò c'è una vastissima scelta di località e paesaggi, dalle spiagge di sabbie di vari colori, alle
scogliere, pure di vari colori. Da molte regioni d'Italia partono molti collegamenti marittimi con
20 altre località, così come molte società di navigazione che organizzano crociere, intorno alla
penisola e molto più lontano.

Lavora con un compagno o compagna.


1. Dopo aver letto il testo (tratto da http://www.calendarioitaliano.com/regioni-
d-italia.html), risolvete gli esercizi.
a. Che tipo di testo è? Accademico? Didattico? Turistico?
b. Perché, secondo gli autori, l’Italia è cosí diversa in ogni regione?
c. Quali sono, secondo gli autori, le attrazioni che l’Italia offre ai turisti?
d. Quante regioni sono sulla costa?
e. Da quanti anni l´Italia è unificata?
f. Nel secondo paragrafo ci sono due “falsi amici”. Quali?
g. Traducete il terzo parágrafo (da Per me fino a gusto). Controllate con la classe.
h. Fate un elenco delle attrazioni che offre l’Italia.
i. Identificate il sostantivo alla base della parola innevate (r. 11).
2. Cerca le parole della griglia nei testi letti, e inserisci gli articoli.

Masch ______ confine / _____ mare _____ dialetti

______ paesaggio _____ vulcani

______ spazio _____ Appennini

______ Arno _____ accenti

Femm ______ Francia ______ regioni

______ regione ______ isole

______ Italia

Osserva la griglia insieme all’insegnante.


4. L’Italia pittoresca e varia / Qui occorre andar piano
1. Dopo aver letto L’Italia pittoresca e varia e Qui occorre andar piano, tratti da
Bormioli, M. e Pellegrinetti, A., Letture italiane per stranieri II, Milano: Mondadori,
1954), rispondere alle domande:
a. Di quale epoca credi che siano i testi? Da quali elementi emerge la tua impressione?
b. Di che tipo di testi si tratta? Informativi? Letterari? Turistici?
c. Trovi qualche elemento ideologico nei testi?
d. Perché, secondo l’autore, in Italia si deve andar piano?
e. Qual è, secondo l’autore, l’Italia vera?
2. Lavora con un compagno o compagna:
a. Sottolineate tutte le parole che avevate visto sugli altri testi della dispensa.
b. Elencate i punti cardinali.
c. Trascrivete i termini relativi ai colori.
d. Identificate i due “falsi amici” che ci sono in uno dei titoli, e inseriteli nello schema a p. 86.
3. Osservate gli accenti scritti, che non avete visto sugli altri testi. In genere, in italiano si
usano poco; in questo caso, servono a indicare la pronuncia di ogni parola ai lettori
stranieri. Rispondete ora alle domande:
a. Su quali vocali appaiono gli accenti?
b. Di che tipo sono gli accenti?
4. Con l’aiuto dell’insegnante, osserva lo schema delle vocali toniche dell’italiano, e
l’alfabeto con le realizzazioni fonetiche di ogni grafia:
5. Con l’aiuto dell’insegnante, prova a leggere ad alta voce qualche frase di
uno dei testi.

֍ 6. Per approfondire, vedi il video“Roma in un giorno” in


www.youtube.com/watch?v=m1SO_znPFwg

֍ 7. Per approfondire guarda questi due video sulla Festa dei Ceri e la
Corsa dei Ceri a Gubbio.
https://www.youtube.com/watch?v=tL98GPzZLT0
https://www.youtube.com/watch?v=RiwzpS2-qX8

Rispondi:
1. Quando e dove si svolge questa corsa’
2. Che cosa sono i ceri?
3. Di che cosa sono fatti?
4. Quanto pesa ogniuno?
5. Qual è il requisito per essere ceraiolo?
6. Quali sono le regole di questa corsa?

→ Per approfondire, leggi il testo sul Palio di Siena nella seconda sezione (p. 88).
֍Se vuoi vedere il Palio del 16 agosto 2019, puoi farlo in
https://www.youtube.com/watch?v=UhPhhPxfTXQ.
5.
ITALIANI FAMOSI

1. Insieme a dei compagni, riempi le colonne con i nomi degli italiani che conosci, e
confronta con un altro gruppo.

SCRITTORI PITTORI SCIENZIATI ATTORI REGISTI FILOSOFI

2. Prima di leggere le biografie di Galileo Galilei e Alessandro Manzoni, scrivete


quello che conoscete di ognuno.

3. Leggete ora le due biografie, e distinguete con diversi segni o colori le informazioni
note dalle nuove.

Galileo Galilei

1. ______________________________________________________________
5
«La matematica è l'alfabeto in cui Dio ha scritto l'Universo». Queste parole pronunciate
da Galileo Galilei dicono molto su di lui: fisico, filosofo, matematico e astronomo, è
considerato il padre della scienza moderna perché creò il metodo scientifico, basato
sull'osservazione oggettiva della realtà.
10 Processato dalla Chiesa di Roma, cercò di spiegare da cattolico la teoria eliocentrica
prima di essere costretto ad abiurare.

2. ______________________________________________________________

15 A Pisa si specializza in matemática. Nato a Pisa nel 1564, Galileo iniziò nel 1580 a
studiare medicina presso l'Università della sua città, prima di scegliere nel 1583 di
specializzarsi in matematica. A fargli da insegnante fu Ostilio Ricci, che riteneva che
la matematica fosse una scienza non astratta, ma utile per risolvere i problemi pratici.
Fino al 1585 Galileo rimase a Pisa dove studiò anche fisica e dove fece la sua prima
20 scoperta: si racconta che osservando la lucerna posta sul soffitto della cattedrale di
Pisa scoprì l'isocronismo delle oscillazioni del pendolo.

3. ______________________________________________________________
25
Dal 1589 insegnò a Pisa e nel 1592 venne chiamato presso l'università di Padova dove
fu docente fino al 1610. I diciotto anni trascorsi nella città veneta furono definiti da
Galileo «i migliori di tutta la mia età».
Nello studio di Padova Galileo creò una piccola officina nella quale eseguiva
30 esperimenti e fabbricava strumenti che vendeva per arrotondare lo stipendio: qui
inventò nel 1593 la macchina per portare l'acqua a livelli più alti, che fu utilizzata a
Venezia.

4. ______________________________________________________________
35
Nel 1604 apparve nei cieli europei una supernova. Si dice che Galileo ne approfittò
per creare oroscopi a pagamento, ma soprattutto per costruire e perfezionare tra 1604
e 1609 il cannocchiale, strumento inventato in Olanda, usato da Galileo per la prima
volta per osservare le stelle.
40
5. ______________________________________________________________

Per tutto il 1610 Galileo:


Acquisì informazioni precise sulla superficie della luna, stabilendo che presentava
45 delle irregolarità.
Studiò la Via Lattea, che si rivelò un insieme di stelle lontanissime, che allargavano i
confini dell'universo.
Scoprì i quattro maggiori satelliti di Giove, osservando che anche i pianeti possono
avere dei satelliti.
50 Scrutò il sole, vedendovi delle macchie in movimento.
Le nuove scoperte vennero pubblicate nel 1611 nel Sidereus Nuncius, opera che
Galileo inviò al granduca di Toscana Cosimo II de Medici e che gli valse una posizione
da insegnante a Firenze, e nel 1613 nell'Istoria delle macchie solari e loro accidenti.
Le teorie di Galileo attirano l'attenzione della Chiesa. Nel 1611 la Chiesa e il
55 Sant'Uffizio iniziarono a prestare attenzione alle opere di Galileo. Per questo e per il
peso accademico dei docenti Gesuiti del Collegio romano, il matematico pisano si recò
nel marzo 1611 a Roma, dove fu accolto da papa Paolo IV e dove fu iscritto
all'Accademia dei Lincei.

60 [Tratto da https://www.studenti.it/galileo-galilei-biografia-scoperte.html]

Alessandro Manzoni

65 6.______________________________________________________________
Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785 da Giulia Beccaria, figlia dell’illuminista
Cesare Beccaria. I primi anni di collegio lasciano in lui un ricordo del tutto negativo ma
lo avviano alla conoscenza di autori moderni come Alfieri e Parini e alla lettura dei
70 pensatori francesi illuministi: la discendenza da Beccaria e l’ambiente milanese
pongono sicuramente delle solide basi per il pensiero di Manzoni che, come vedremo
fra poco, recepisce molti elementi dalla cultura illuminista rielaborandoli poi secondo
la sua personale visione del mondo.

75

7.______________________________________________________________

Nel 1805 Alessandro Manzoni si trasferí a Parigi dove la madre viveva con Carlo
80 Imbonati, il nuovo compagno che morì però improvvisamente prima dell’arrivo del
giovane in Francia. Questo evento luttuoso portò ad un forte legame fra Manzoni e sua
madre che non si attenuò mai.

8.______________________________________________________________
85
Nel 1808 sposa, con rito calvinista, Enrichetta Blondel, che fu sua compagna anche
nel graduale processo di conversione verso il giansenismo che avvenne dopo il
“miracolo di San Rocco” quando Manzoni, durante la festa patronale, si perse nella
grande calca parigina e, preso dal panico, invocò Dio perché riuscisse a ritrovare sua
90 moglie e la strada di casa.

9.______________________________________________________________

La conversione religiosa di Alessandro Manzoni coincide con un distacco definitivo


95 dalla poesia classicheggiante e neoclassica: compone gli Inni Sacri e le prime tragedie,
fra cui spicca il Conte di Carmagnola; vedremo in seguito queste opere.
Ancora a Parigi nel 1819 frequenta lo storico francese J. Thierry da cui trarrà l’idea,
fondamentale per la sua produzione artistica, dell’esigenza di una storiografia che nella
sua indagine sia attenta alle masse e non solo ai governi o ai regnanti.
100
10.______________________________________________________________

Dal 1820 Manzoni è a Milano e comincia per lui un periodo appartato ma


assolutamente creativo. Comincia in questi anni la stesura della prima versione del
105 suo romanzo storico d’eccellenza (I promessi sposi) che viene pubblicato in una prima
edizione del 1821-1823 con il titolo di Fermo e Lucia.

11.______________________________________________________________

110 Gli anni seguenti vedono Alessandro Manzoni impegnato in una profonda riflessione
sulla storiografia e sulla lingua italiana, argomento con cui si esprime il suo impegno
nel processo risorgimentale: se è vero che fatta l’Italia bisognava fare gli italiani (come
si espresse D’Azeglio) la questione della lingua diventava secondo Manzoni un
tassello fondamentale per la costruzione di questa identità. Ricordiamo che in Italia
115 solo la lingua letteraria ha uno statuto ormai riconosciuto sul piano nazionale, si usa
cioè il fiorentino come lingua ufficiale scritta, ma il resto del popolo oltre a parlare
esclusivamente dialetto è anche analfabeta e il fiorentino pone la popolazione davanti
alla stessa difficoltà che si avrebbe davanti una lingua straniera.
La predilezione per una lingua semplice. Alessandro Manzoni, che dal 1861 è
120 senatore del neonato regno d’Italia, in linea con le idee romantiche che sposò nel corso
della sua vita, predilesse una lingua fiorentina ma semplice: non il fiorentino aulico e
pomposo degli scritti letterari ma una lingua schietta, popolare, che accogliesse anche
i termini più pratici e comprensibili delle parlate locali (oltre il fiorentino di base quindi)
e i termini stranieri circolanti all’epoca.
125
La morte di Manzoni avvenne a Milano nel 1873 e fu occasione di solenni cerimonie
che ispirarono anche una Messa da Requiem di Giuseppe Verdi.

130 12.______________________________________________________________

Alessandro Manzoni soffriva di depressione, attacchi di panico e agorafobia. La sua


vita fu condizionata da malesseri che lo portarono a temere gli spazi aperti ed i luoghi
affollati a tal punto da uscire solo accompagnato.

Tratto da https://www.studenti.it/alessandro-manzoni-biografia.html

4. Dalle due biografie sono stati cancellati e mescolati i titoli dei paragrafi.
Assegnate ogni sottotitolo al paragrafo numerato corrispondente.

a. Il perfezionamento del cannocchiale


b. La conversione ed il distacco dalla poesia classicheggiante
c. Il rientro a Milano
d. Formazione
e. Anni di scoperte
f. Curiosità
g. Il trasferimento a Parigi
h. Introduzione
i. Il periodo padovano
j. Matrimonio
k. Galileo Galilei: biografia, opere e scoperte iniziali
l. Questione della lingua e unità nazionale

5. Lavorate in coppie. Cerchiate tutti i verbi al passato che riconoscete, e controllate


con la classe.

→ Per approfondire, leggi le altre biografie nella seconda sezione, p. 90.

6. Osservate il quadro del sistema verbale italiano. In ogni casella appare la forma
della terza persona singolare delle tre coniugazioni: parlare, temere e partire. Che
rapporto c’è tra i tempi della prima colonna e quelli della seconda?
7. Confrontate il sistema verbale italiano con quello dello spagnolo: a quale tempo
corrisponde ogni tempo? Esiste qualche forma verbale in una delle lingue che non
esista nell’altra?

8. Insieme all’insegnante, riflettete sugli elementi contrastivi segnalati dopo lo schema:


che problemi di comprensione testuale potrebbero derivarne?

9. Cercate esempi, nei testi già letti, di tempi attivi composti con l’ausiliare essere, e
cercate di tradurli.

IL SISTEMA VERBALE

MODO INDICATIVO

PRESENTE PASSATO PROSSIMO


parla, teme, parte. ha parlato, ha temuto, è partito-a.

IMPERFETTO TRAPASSATO PROSSIMO


parlava, temeva, partiva. aveva parlato, aveva temuto, era partito-a

PASSATO REMOTO TRAPASSATO REMOTO

parlò, temette/é, partí. ebbe parlato, ebbe temuto, fu partito-a.

FUTURO SEMPLICE FUTURO ANTERIORE


parlerà, temerà, partirà. avrà parlato, avrà temuto, sarà partito-a.

MODO CONDIZIONALE

PRESENTE PASSATO
parlerebbe, amerebbe, partirebbe. avrebbe parlato, avrebbe temuto, sarebbe partito-a.

MODO CONGIUNTIVO

PRESENTE PASSATO
che lei o lui parli, tema, parta. che lei o lui abbia parlato, abbia temuto, sia partita
o partito.

IMPERFETTO TRAPASSATO
che lei o lui parlasse, temesse, che lei o lui avesse parlato, avesse temuto, fosse
partisse. partita o partito.

MODO IMPERATIVO

(che lei o lui) parli, tema, parta.

NOTE:
A. Il pronome di seconda persona singolare di trattamento formale è lei, come
quello femminile di terza persona; come in spagnolo, il verbo lo accompagna
coniugato in terza persona.
B. La distribuzione prescrittiva dei diversi tempi passati è analoga a quella dello
spagnolo. Ma, come nello spagnolo, la loro effettiva distribuzione dipende dalle
aree geografiche.
C. Il modo congiuntivo si usa in italiano con maggior frequenza che in spagnolo.
In genere, i verbi della frase principale che non implicano certezza (come
pensare, credere, considerare, ritenere, domandarsi, non sapere) reggono il
congiuntivo nella subordinata.
D. Il modo condizionale svolge le stesse funzioni che svolge in spagnolo. Il solo
uso contrastivo riguarda l’espressione del futuro in rapporto con il passato della
principale: in spagnolo si usa il condizionale presente (“Me dijo que vendría”) e
in italiano il condizionale passato (“Mi ha detto che sarebbe venuto”).
E. L’imperativo informale (tu) parla, temi, parti; in negativo, si usa la negazione
dell’infinito: non parlare, non temere, non partire.

10. Dopo aver esaminato lo schema dei verbi con l’insegnante, cercate nei testi già
visti esempi dei diversi modi e tempi. Esempio: Nel primo testo (L’Italia geografica)
osserva anche i verbi pronominali (chiamarsi, dividersi, ecc.) Riempite lo schema del
presente indicativo di chiamarsi, e controllate con la classe.

11. Cercate l’infinito e il significato dei verbi che non capite.

Come in tutte le lingue, in italiano i verbi piú frequenti sono i piú irregolari. Ecco il
presente indicativo di alcuni verbi di alta frequenza:

AVERE ESSERE DARE FARE DIRE

Io ho Io sono Io do Io faccio Io dico

Tu hai Tu sei Tu dai Tu fai Tu dici

Lui /Lei ha Lui / Lei è Lui / Lei dà Lui / Lei fa Lui / Lei dice

Noi abbiamo Noi siamo Noi diamo Noi facciamo Noi diciamo

Voi avete Voi siete Voi date Voi fate Voi dite

Loro hanno Loro sono Loro danno Loro fanno Loro dicono
CHIAMARSI

Io …… chiamo

Tu ……. chiami

Lui / Lei …… …………..

Noi ci chiamiamo

Voi vi chiamate

Loro …… ……………...
6.
DIZIONARI
Lavora con un gruppo di compagni. Osservate nelle seguenti pagine le definizioni di italiano. Quale
credete che provenga da un dizionario (Zingarelli 1995) e quale da un’enciclopedia (Zanichelli
1996)?
1. Che significa ogni abbreviazione? Scrivetelo sulle righe all’estremo di ogni
freccia, e confrontate con il resto della classe.
2. Usate il dizionario. Scegliete uno dei testi della dispensa con il quale avete già
lavorato, e cercate le parole che non capite dal contesto.
3. Quali delle seguenti parole si trovano sul vocabolario? Spiegate perché le altre
non ci sono, e scrivete accanto a ognuna di esse la parola corrispondente che
vi si trova, o il tipo di testo che potete consultare per avere informazioni.

Italia
fiumi
scelta
perse
scoperta
paese,
eseguiva
solide
oltre
schietta,
luoghi
fece
Beccaria
7.
NON È IMPORTANTE SAPERE TUTTO, MA SAPERE DOVE
CERCARE: PICCOLA GUIDA PRATICA ALL’USO DEL DIZIONARIO
Vera Gheno [tratto da www.centodieci.it]

Tutti quanti, almeno una volta nella vita, abbiamo consultato un dizionario. Per molti, la
consultazione sarà legata a ricordi scolastici, alla sacralità dell’atto di aprire il volume
polveroso sfogliandone le pagine. Come vedremo, questa attività non dovrebbe finire con la
fine degli studi.
5 Esistono diversi tipi di dizionario, a seconda di quello che vogliamo sapere di una parola.
Il dizionario etimologico si concentra sul momento della nascita di un termine: ci descrive
da dove deriva (ad esempio, dal latino o da una lingua straniera) o come si è formato (tramite
suffissazione, composizione, ecc.). Un grande classico è il Cortelazzo-Zolli.
Il dizionario storico narra la storia della parola nel corso dei secoli (o degli anni), dalla sua
10 nascita a oggi. Il dizionario storico più famoso per l’italiano è il Grande Dizionario della Lingua
Italiana, detto “il Battaglia”, dal nome del suo primo curatore. In questo momento non lo si
può ancora consultare in rete, ma la sua digitalizzazione è in corso d’opera.
Il dizionario dell’uso o sincronico è invece quello che consultiamo normalmente per
conoscere il significato delle parole oggi in uso. Sono sincronici lo Zingarelli, il Devoto-Oli,
15 il Sabatini Coletti, il De Mauro ecc.
Ricordiamo anche l’esistenza dei dizionari specialistici, che si concentrano su un settore
particolare della lingua (come la medicina, la botanica, l’astronomia, la linguistica),
dei dizionari di sinonimi e contrari, dei dizionari bilingui o multilingui, dei dizionari
analogici (che forniscono un approccio concettuale alla ricerca lessicale), dei dizionari
20 inversi (che sono in ordine alfabetico partendo dalla fine della parola).
Una lingua di cultura è fatta di diverse centinaia di migliaia di parole, secondo alcuni fino al
milione; un vocabolario ne registra sempre molte meno. Una persona, invece, conosce
intorno alle 25.000 parole alla fine delle scuole superiori. Proprio per la differenza tra
numero di parole contenute in un dizionario e quelle mediamente conosciute da un italiano
25 di media cultura, la consultazione di un vocabolario dovrebbe rimanere una sana abitudine
per tutta la vita. In fondo, lo diceva anche Umberto Eco, “la persona colta non è quella che
sa tutto, ma quella che sa dove trovare l’informazione giusta quando le serve”.

Dopo aver letto l’articolo, rispondi alle domande e risolvi le attività:

1. Conoscevi tutti i tipi di dizionario che menziona il testo? Li avevi usati tutti? In che
lingua? Quali usi abitualmente per studiare?
2. In che persona verbale è redatto il testo? Quale effetto deriva da questa scelta? Indica
gli elementi linguistici che rimandano a questa persona, e controlla con un compagno o
compagna.
3. Lavora in un piccolo gruppo (di tre o quattro persone). Traducete, con l’eventuale aiuto
dell’insegnante, la seguente frase del testo; confrontate poi con il resto della classe:
Una lingua di cultura è fatta di diverse centinaia di migliaia di parole, secondo alcuni fino al
milione; un vocabolario ne registra sempre molte meno. Una persona, invece, conosce
intorno alle 25.000 parole alla fine delle scuole superiori. Proprio per la differenza tra
numero di parole contenute in un dizionario e quelle mediamente conosciute da un italiano
di media cultura, la consultazione di un vocabolario dovrebbe rimanere una sana abitudine
per tutta la vita.

4. Completa la tabella con le informazioni del testo:

TIPO DI INFORMAZIONI ESEMPI NOME ED ESEMPI


DIZIONARIO CHE VI SI IN SPAGNOLO
TROVANO

di uso o sincronico

storico

etimologico

analogico

specialistico

inverso

5. Cerca dei dizionari italiani in rete, e completa i vuoti della tabella.

→ Per approfondire, leggi la storia del primo dizionario italiano nella seconda sezione (p. 96).
8.
La nascita della lingua italiana
di Luca Serianni - Dizionario di Storia (2010) [tratto da
www.treccani.it/enciclopedia/la-nascita-della-lingua-italiana_%28Dizionario-di-Storia%29/]

Quando parliamo di nascita e di morte di una lingua, ricorriamo a metafore non sempre
pertinenti. A rigore, una lingua muore solo quando si spegne l’ultimo dei suoi parlanti: si calcola
che si trovino in condizione di rischio circa la metà delle 6000 lingue oggi esistenti nel mondo,
quelle parlate da poche centinaia o migliaia di individui, specie in Australia e nelle Americhe.
5 Il fenomeno è talvolta documentabile, grazie al progresso degli studi: l’ultimo parlante del
dalmatico, una lingua romanza ancora parzialmente in uso nell’Isola di Veglia in epoca
moderna, morì nel 1898; adottando criteri analoghi, possiamo dire che il manx (Isola di Man)
si è spento nel 1974, il cupeño (California) nel 1987, l’ubykh (Turchia) nel 1992.
Molto più arduo, o meglio impossibile, dire quando una lingua nasce. In realtà, non abbiamo
10 mai una separazione netta tra una lingua madre e una lingua figlia, come avviene negli
organismi biologici, ma solo una lenta trasformazione, il cui punto d’arrivo è percepito, dai
parlanti stessi o dagli studiosi moderni, come realtà autonoma e irriducibile rispetto al punto di
partenza. Il processo è interamente induttivo per le lingue il cui capostipite è solo ricostruito,
come per le lingue indoeuropee; è ben analizzabile, invece, nel caso delle lingue romanze, che
15 discendono da una lingua nota e documentata: il latino. […]
Il 10° sec. può in effetti essere considerato il secolo, non già della nascita (evento storicamente
non accertabile), ma dell’avvenuta percezione di un volgare italoromanzo come idioma
autonomo: se è vano andare alla ricerca di un «certificato di nascita», è possibile − per restare
all’interno della metafora anagrafica − indicare un certificato di esistenza in vita. I fondamenti
20 di questa affermazione sono di vario tipo, diretti e indiretti.
Tra quelli diretti, si deve menzionare il fatto che le più antiche testimonianze […] danno conto
dell’emersione del volgare in aree diverse, senza rapporti reciproci: segno di un avvenuto e
generalizzato distacco, nella coscienza degli scriventi, tra l’abituale latino e il volgare già da
tempo adoperato nella comunicazione orale. Specificamente al 10° sec. rinviano le più antiche
25 testimonianze di un fenomeno fonetico che è l’ultimo a compiersi nel passaggio latino-volgare
toscano (poi italiano senza aggettivi): il passaggio dei nessi di consonante + l a consonante + i
semiconsonantica (plus › più, clamare › chiamare, florem › fiore ecc.); la più antica
testimonianza del fenomeno è stata rintracciata in una carta lucchese (in latino) del 999:
Vallechio, cioè Vallecchio ‹ *valliculum (A. Castellani, Saggi di linguistica e filologia italiana
30 e romanza, 1980). [...]
La «nascita» dell’italiano dal latino non ha implicato la sostituzione di un codice linguistico
con un altro: ha comportato solo il venir meno di quel tipo di latino sopravvissuto nell’Alto
Medioevo come lingua primaria, appresa dalla madre o dalla balia. Com’è noto, il latino resta
a lungo la lingua della scrittura e in generale della cultura, anche come mediatore dei grecismi,
35 in diversi ambiti (più a lungo, come lingua liturgica della Chiesa cattolica; ma assai radicato −
ed esclusivo fino al 18° sec. − è il suo uso come lingua dell’istruzione universitaria); in latino
scrivono la maggior parte delle loro opere diversi autori della letteratura italiana fino al
Cinquecento (l’esempio più clamoroso è quello del Petrarca). Le lingue romanze, infine, hanno
attinto dal latino una parte decisiva del proprio lessico: in italiano sono «latinismi», ossia parole
40 mediate dal latino, non trasmesse per via ereditaria, di generazione in generazione, vocaboli
correnti come cibo, modo, numero, pensare (le rispettive forme «popolari» sarebbero, o sono,
*cevo, *muodo, novero, pesare). In spagnolo e soprattutto in francese il latino ha condizionato
le rispettive ortografie: si pensi solo al mantenimento dell’h per puro omaggio etimologico in
franc. histoire, spagn. historia (rispetto all’ital. storia) o hiver (rispetto a spagn. invierno, ital.
45 Inverno).

1) Dopo aver letto La nascita della lingua italiana, rispondi alle domande:

a
. Perché, secondo Serianni, la metafora della nascita non è pertinente per riferirsi all’origine
di una lingua?
b. Qual è la differenza tra la ricostruzione della storia delle lingue romanze e quella delle
altre lingue indoeuropee?
c. Che fenomeno accadde, per l’italiano, nel X secolo?
d. Che funzioni continuò a svolgere il latino dopo il X secolo?
e. Che sono i latinismi? Conoscevate questo concetto? C’è tra gli esempi dati da Serianni
per l’italiano qualche coppia di termini esistente anche in spagnolo?

2) Lavora con un gruppo di compagni. Senza usare il dizionario, con l’aiuto del contesto,
provate a dedurre il significato delle seguenti parole:
a. si spegne (r. 2); ricordate il termine nel testo L’Italia geografica (p. 3), a
proposito dei vulcani.
b. capostipite (r. 13)
c. nota (r. 15)
d. volgare (r. 17, 22, 23, 25)
e. resta (r. 33)
f. Chiesa (r. 35)
g. hanno attinto (r. 38-39)

3) Cercate nel testo le espressioni di senso equivalente a hasta, entre, nunca, muy, como se sabe, por
último.
4) Identificate l’infinito delle seguenti forme verbali:
ricorriamo (r. 1); appresa (r. 33); trasmesse (r. 40).

3. Indica il referente dei seguenti pronomi


a. quelle (r. 4)
b. questa (r. 20)
c. suo (r. 36)
d. loro* (r. 37)
*loro, falso amico da aggiungere all’elenco di p. 86, è un pronome di terza persona
plurale, in questo caso possessivo. È già apparso in caso nominativo (come
soggetto) nel paradigma dei verbi (p. 16), e comparirà altre volte come accusativo
(complemento oggetto diretto: Ho trovato loro a casa) e come dativo (complemento
oggetto indiretto: Ho regalato loro tutti i libri): vedi quadro a p. 16.

4. Con l’aiuto dell’insegnante, osservate i seguenti elementi linguistici:


a. voce passiva con gli ausiliari essere e venire;
b. i connettori quindi e dunque (da inserire nello schema a pag. 86)
c. il falso amico distinto (participio di distinguere).

5.. Con aiuto di un dizionario etimologico, cerca il fratello popolare dei seguenti latinismi
in spagnolo:
materia, delicado, pólipo, radio, húmero, músculo, estricto, pleno, plano, fibra, módulo, madrugar, mancillar, clav,
ecológico. E ora cerca il fratello colto di obra, palabra, lidiar, colgar, estrecho, espejo.

6. Con l’aiuto dell’insegnante, scrivi accanto a ogni paio di parole risultante dall’item 5 la o
le parole italiane della stessa origine.

→ Per approfondire, leggi Le lingue romanze e i primi documenti del volgare italiano, nella
seconda sezione (p. 97).
9.
La diffusione di una lingua unitaria
1. Prima di leggere il testo La diffusione di una lingua unitaria, tratto da AAVV, Il filo rosso.
Antologia e storia della letteratura italiana vol I (Roma-Bari: Laterza, 2006), prova a rispondere
insieme a dei compagni le seguenti domande (leggete tutte le domande prima di rispondere:
questo vi orienterà):
a. Quando si uní politicamente l’Italia?
b. Quale era la situazione linguistica degli italiani alla fine dell’Ottocento?
c. Quali fenomeni favorirono la diffusione dell’italiano?
d. Che atteggiamento aveva la scuola nei confronti dei dialetti?
e. Che nazione fu modello per la concentrazione del Regno d’Italia?
2. Ora leggete il testo, e rintracciate le risposte ad ogni domanda: mettete accanto a ogni paragrafo
la lettera della domanda corrispondente. Attenzione: esse non sono in ordine.
3. Rileggete con attenzione ogni paragrafo, verificate ed eventualmente correggete le domande che
avete formulato prima della lettura.
4. Con l’aiuto del docente, osservate l’uso del pronome ne, presente due volte nell’ultimo paragrafo.

→ Per approfondire, leggi il testo sul policentrismo linguistico nella seconda sezione (p. 102).
10.
L’insegnamento della lingua italiana in Argentina
Maria Emilia Pandolfi, 2007
1)

È noto che al momento dell’arrivo degli italiani la società argentina non era affatto omogenea. Il fenomeno
migratorio si sovrapponeva alla preesistente questione dell’identità non ancora risolta. D’altro canto
l’immigrazione italiana era altrettanto eterogenea e la questione della lingua si correlava alla mancata
uniformità culturale.
(5) L’immigrazione italiana trovò dunque nel paese che la accolse serie difficoltà a mantenere un’identità
italiana nel senso vero e proprio. Il forte desiderio e bisogno di integrazione sociale portò spesso alla
perdita della lingua di provenienza o, addirittura, alla dimenticanza. Il basso livello di scolarizzazione
degli italiani arrivati che non parlavano né tantomeno scrivevano in italiano ma comunicavano nel loro
dialetto fu causa di progressiva argentinizzazione della lingua degli immigrati.
Linguisticamente, l’immigrazione non poté mantenere quindi l’italiano perché non ce l’aveva né tanto
meno contribuire alla sua diffusione. La realtà della frammentarietà linguistica e culturale lo ostacolavano
in particolar modo.
Elementi strutturali dei diversi dialetti si sovrapposero alla lingua locale, alcuni dei quali furono assimilati
dal sistema linguistico ufficiale e altri, invece, attraverso l’impatto linguistico con le varianti parlate nel
Río de la Plata, diedero vita a nuove varianti quali il cocoliche e il lunfardo.

2)

Al fenomeno di argentinizzazione si affiancò un'altra interessante realtà. Gli italiani avevano serie
difficoltà a comunicare tra loro perché la diversità di provenienze e la dialettofonia glielo impediva. Il
bisogno di comunicare tra connazionali portò a un processo di riscoperta e avvicinamento dell’italiano, e
quindi all’italianizzazione dei dialetti passando attraverso le varianti dell’italiano regionale. Per questo
motivo si dice che l’immigrazione contribuì vistosamente alla diffusione dell’italiano.
Per i gruppi immigratori il mantenimento della lingua di origine dipendeva dal tipo di immigrazione che
s’intraprendeva e dal relativo atteggiamento degli immigranti nei confronti di un eventuale rimpatrio.
Infatti coloro che lasciavano le loro terre con lo scopo di rientrarvi dopo aver fatto fortuna o meno
all’estero, proteggevano la loro identità linguistica e culturale con maggior zelo. Gli italiani che
emigravano in altri paesi europei lo facevano in modo temporáneo mentre l’emigrazione transoceánica
veniva percepita come definitiva. L'immigrazione italiana quindi, arrivata in Argentina, veniva per
rimanerci e far venire a poco a poco il resto delle famiglie rimaste in Italia. Questo spiega in parte quanto
sia stato difficile mantenere l’identità linguistica e quanto il bisogno di sopravvivenza li abbia portati a
imparare subito la lingua locale. Per le seconde e terze generazioni, in molti dei casi, si ebbe una
conoscenza passiva della lingua dei genitori. Genitori che si esprimevano in dialetto e figli che
rispondevano in spagnolo fu il paradigma linguistico ricorrente all’interno della comunità italiana sempre
più argentinizzata.
I dialetti più rappresentativi si mantennero comunque con caratteristiche arcaiche, come vere isole
linguistiche, grazie alla vitalità endogamica delle colonie e allo sforzo delle associazioni.

3)

La diversificata provenienza degli immigranti italiani se da una parte portò a una forte amalgamazione
linguistica e culturale con la realtà locale, accentuò dall’altra forti condizioni di conservazione
regionalistica. È così che si spiega la vitalità associazionistica che, sin dai primi anni del fenomeno
immigratorio, aiutò a conservare tanti aspetti del patrimonio linguistico e culturale degli immigranti.
La lingua italiana subì una notevole riduzione dei suoi ambiti di uso, come conseguenza delle condizioni
generali della comunità. Il contesto urbano in particolare portò a forme di integrazione spesso traumatiche.
Così per esempio, nel caso di Buenos Aires, il conventillo era l’abitazione degli immigranti, case con
cortili interni, dove convivevano spesso in sovraffollamento immigranti di diverse provenienze e dove
avvenivano gli scambi linguistici più svariati.
Praticamente inesistenti furono le misure istituzionali di conservazione linguistica sia da parte del governo
italiano che da quello argentino. Decisivo fu il ruolo della scuola pubblica per i figli degli immigranti la
quale impose una scolarizzazione monolingue e non ebbe in alcuna considerazione la lingua di
provenienza degli iscritti. D’altro canto però è da rilevare il ruolo di primaria importanza che ebbero i
giornali italiani assai numerosi nella comunità di immigrati, dai primi, repubblicani a quelli di stampo
monarchico, socialista, anarchico, cattolico. All’inizio del secolo il secondo giornale per tiratura a Buenos
Aires era “La Patria degli italiani”.
(53) Complessivamente, in diversa misura e con caratteristiche differenti, si verifica in Argentina un certo
contatto con l’italiano sia da parte degli immigranti italiani e i loro discendenti che da coloro che lo
studiano. Con una base di partenza diversa, nei primi si tratta della lingua madre che, a seconda delle
esperienze, si è andata lentamente indebolendo mentre negli altri è una lingua seconda che si va via via
conquistando.
Nel caso degli immigranti, che la lingua madre diventasse ogni volta più lontana si spiega dai vincoli
sempre più radi tra l’Italia e l’italiano e dal fatto che l’immigrazione transoceanica venne sempre
concepita come definitiva (vedi 1.4). D’altra parte la vicinanza strutturale con la lingua locale e
una comprensione relativamente trasparente contribuirono a far sì che quest'ultima venisse imparata più
velocemente pur riscontrandosi interferenze di svariata tipologia.
4)

(63) Nel passaggio dalla prima alla seconda generazione il parametro che cambia fondamentalmente è il fattore
età legato alle possibilità di accesso alla scolarizzazione. Non solo: la differenza avviene anche a livello
metalinguistico. Si verifica nei parlanti della seconda generazione una consapevolezza della norma
linguistica e dei contesti d’uso.
Per la seconda generazione l’italiano aveva una chiara contrapposizione con la lingua locale, tanto che
per impararla diventava quasi una condizione dimenticare l’italiano e ancora di più le varianti subordinate.
Lo scontro con la nuova lingua avveniva spesso in condizioni psicologicamente difficili. La
socializzazione primaria per i figli di immigranti si verificava attraverso il dialetto di casa e, se non c’era
stata mediazione attraverso i fratelli o amici più grandi, il primo contatto accadeva a scuola dove il
patrimonio linguistico che l’immigrante portava era considerato tutt’altro che un pregio ma un ostacolo
all'apprendimento della lingua del posto. C. Bettoni ritiene che all'estero l’italiano della prima
generazione si mescola con la nuova lingua e ne subisce l’interferenza, poi con la seconda generazione
subisce anche un processo di erosione (Bettoni 1997:433).
(77) Infatti l’italiano della prima generazione lascia inalterate le strutture foniche e sintattiche mentre adotta
a livello lessicale molti termini della lingua locale nonché numerose interiezioni e espressioni
intercalari i quali denotano un’emotiva identificazione con gli elementi più istintivi della lingua locale
(Bettoni 1997: 434). Le interferenze si verificano a livello di prestiti di nomi, elementi dell'organizzazione
sociale del paese, del lavoro, dell’ordinamento scolastico, dell’alimentazione, ecc. Si tratta in tutti i casi
di prestiti considerati necessari.
La seconda generazione eredita dai genitori tutti questi prestiti e li adatta fonicamente. Quindi a livello
fonetico non c’è più alcuna interferenza. Se ne riscontrano invece a livello lessicale o morfo-sintattico. Si
pensi per esempio all’ordine impreciso dei pronomi atoni composti (me se cayó al posto di se me cayó =
mi è caduto) o delle correlazioni dei tempi verbali (me prometió que habría venido al posto di me prometió
que vendría = mi ha promesso che sarebbe venuto) per i parlanti meno istruiti.

Tratto da Emilia Pandolfi, L 'insegnamento della lingua italiana in Argentina,


in www.italicon.it, 2007.
1. Sono stati cancellati e mescolati i titoli dei paragrafi; assegna ogni sottotitolo al
paragrafo numerato corrispondente.
a. Le possibilità di conservazione della lingua
b. L’italiano dalla prima alla seconda generazione
c. Argentinizzazione versus italianizzazione della lingua
d. Italiano e società locale. Il problema dell’identità.
2. Rispondi e indica in quale paragrafo/righe hai trovato l’informazione.
a. A quale/i società si riferisce l’autrice quando parla di eterogeneità?
b. Quale fu la causa della progressiva argentinizzazione della lingua degli
immigrati?
c. Perché l’immigrazione non potè mantenere l’italiano?
d. Perché l’immigrazione contribuì alla diffusione dell’italiano?
e. Gli immigranti proteggevano la loro identità linguistica e culturale? Perché?
f. Quale fu il paradigma linguistico ricorrente all’interno della comunità italiana
sempre più argentinizzata?
g. Quali due fenomeni contribuirono all’apprendimento veloce dello spagnolo?
h. Quali interferenze si verificarono?

3. Fa’ un breve schema con le differenze tra la 1ª e la 2ª generazione.

4. Osserva gli elementi evidenziati del primo paragrafo:

Il problema dell’identita. È noto che al momento dell’arrivo degli italiani (...) Il fenomeno
migratorio si sovrapponeva alla preesistente questione dell’identità non ancora risolta. (...)
L’immigrazione italiana era altrettanto eterogenea e la questione della lingua si correlava alla
mancata uniformità culturale.

Si verifica lo stesso fenomeno delle “contracciones” dello spagnolo:


Correggi le frasi: *Voy a el (____) cine? *Es de el (____) alumno.

5. Rileggi la frase dove c’è la parola dimenticanza (r. 7) e cerca di dedurre a quale
verbo corrisponde. Traducila.

6. Segna, elenca e traduci i verbi al passato del terzo paragrafo.

7. Osserva e traduci l’espressione una lingua seconda che si va via via conquistando. (r.
56)

8. Cerca il “falso amico” della riga 54 e traducilo.

9. Connettore: Cerca di tradurre la frase adotta a livello lessicale molti termini della lingua
locale nonché numerose interiezioni. (r. 77-78)

→ Per approfondire, leggi il testo di sulla lingua degli emigrati nella seconda sezione (p. 106).
11. Dante «padre della lingua»
1. Durante la prima lettura del capitolo su Dante tratto dalla Storia della lingua italiana di Bruno
Migliorini (Roma: Bompiani, 1987), metti un titolo sul margine di ogni paragrafo.
Confronta poi con dei compagni.
2. Rispondi alle seguenti domande:
a. Qual è il progetto culturale laico di Dante? Che rapporto ha questo progetto con la lingua?
b. Per che, secondo Migliorini, si può affermare che Dante è il padre della lingua italiana?
c. Che differenza c’è tra la funzione svolta nella storia dell’italiano dai due “trattati incompleti”
(il De Vulgari Eloquentia e il Convivio) e la Commedia?
3. Insieme a dei compagni, cercate di dedurre, senza usare il vocabolario, il significato delle
seguenti espressioni:
vulgata (r. 1), prendere le mosse (r. 5), spettare (r. 6), assurgere (r. 19).

4. Insieme all’insegnante, osservate l’espressione non si opponevano che (r. 15) e il participio
presente valenti (r. 36), da aggiungere all’elenco dei falsi amici. Cercate ora di associare i
seguenti participi ai loro infiniti: riguardante, operanti, referente.
5. Osservate le frasi tra virgolette, e spiegate la loro funzione all’interno del testo.
12.
Dante Alighieri. Biografia e opere
1. Sulla base delle biografie lette, che informazione c’è in ogni biografia? Che
dovrebbe esserci nella biografia di uno scrittore? Condividete con la classe.
2. Lavora con un gruppo. Quali delle informazioni elencate nella risposta
precedente avete su Dante Alighieri?
3. Prima di leggere, sulla base delle vostre conoscenze, indicate se le seguenti
affermazioni sono vere o false:
a. Dante nacque e morí a Firenze.
b. Dante scrisse tutte le sue opere in esilio.
c. La produzione giovanile di Dante si caratterizza per lo sperimentalismo.
d. La Vita Nuova e le Rime sono i due libri della giovinezza di Dante.
e. La Monarchia è scritto in latino.
f. Dante appoggia il programma imperiale di Arrigo VII.
g. Il titolo Divina Commedia appare per la prima volta nel XVI secolo.
h. Dante si propone, con il suo poema, rinnovare moralmente il mondo.
i. La terza guida di Dante nel viaggio ultraterreno è Beatrice.

4. Ora leggete il testo, cercando questi elementi, verificando le vostre risposte al


vero-falso e indicando in che paragrafi si trovano le informazioni relative.

Dante Alighieri. Biografia e opere


[Tratto da Grosser, Grandi, Pontiggia, Ubezio, Il canone letterario, COMPACT, Milano:
Principato, 2010]
Dante, considerato unanimemente il padre della nostra letteratura in versi e in prosa, nasce a
Firenze, una delle città più ricche e prospere d’Europa, nel 1265. La sua formazione culturale si
svolge sotto la guida di Brunetto Latini, che gli trasmette una concezione civile e impegnata della
cultura, e di Guido Cavalcanti, il maggior poeta in lingua volgare della sua generazione, che lo
5 introduce negli ambienti stilnovistici fiorentini. Carattere aspro e battagliero, Dante partecipa
attivamente alla vita politica della città, militando nella fazione dei Guelfi bianchi: nel 1296 fa
parte del Consiglio dei Cento; nel 1300 viene eletto priore. Esiliato e in seguito condannato a
morte (1302), il poeta – dopo una breve parentesi in cui tenta di rientrare in Firenze facendo lega
con gli altri Bianchi fuoriusciti – comincia una vita itinerante, vagando per le corti dell’Italia
10 centrale e settentrionale. Fra il 1310 e il 1313 si schiera a favore di Arrigo VII di Lussemburgo,
cercando di promuovere il suo programma politico di riaffermazione dell’autorità imperiale. Nel
1315 rifiuta un’amnistia deliberata dal governo fiorentino, ritenendo infamanti le condizioni
poste. Muore a Ravenna, dov’era ospite di Guido Novello da Polenta, nel 1321.
Alla fase fiorentina appartengono la maggior parte delle Rime (il libro nel quale i posteri hanno
15 raccolto tutta la produzione lirica di Dante, ad esclusione delle poesie già comprese nella Vita
Nuova e nel Convivio) e la Vita Nuova, opera autobiografica giovanile mista di prosa e di versi, in
cui Dante rievoca il proprio amore per Beatrice, la donna-miracolo inviata sulla terra a
manifestare, con la sua bellezza e la sua virtù, la perfezione divina. Se la Vita Nuova si presenta
come un libro stilisticamente e linguisticamente compatto, le Rime si presentano al contrario
20 come una raccolta di carattere sperimentale, da cui emerge la volontà di saggiare una
molteplicità di modi espressivi, dal genere comico-realistico al genere tragico, dalle rime dolci
alle rime aspre, con esiti sempre straordinari sul piano concettuale ed espressivo.
Ai primi anni dell’esilio appartengono il Convivio e il De vulgari eloquentia, due trattati entrambi
incompiuti: nel primo Dante si propone di comporre una sorta di enciclopedia del sapere
25 filosofico contemporaneo ad uso di un pubblico laico di non specialisti (di qui la scelta del
volgare); nel secondo intende porre la questione dell’uso letterario del volgare in generale e della
lingua italiana in particolare, considerata ormai matura per poter competere con il sublime
modello del latino. Successivo è invece il terzo trattato, intitolato Monarchia, un’esposizione
organica in lingua latina del pensiero politico-religioso di Dante, teso a difendere l’autonomia
30 dell’istituto imperiale di contro alle pretese teocratiche della Chiesa.
L’opera maggiore, e la più ispirata, di Dante resta la Commedia, il «poema sacro» che assumerà
l’appellativo di Divina, per l’altezza dell’argomento non meno che per la sua prodigiosa
perfezione artistica, solo nell’edizione veneziana del 1555 curata da Ludovico Dolce. La Divina
Commedia è un poema didascalicoallegorico in terzine incatenate di endecasillabi, suddiviso in
35 tre cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso), ciascuna di 33 canti, più un canto (il primo
dell’Inferno) che funge da prologo dell’intera opera, per un totale di cento canti. Il poema,
composto in un periodo verosimilmente compreso fra il 1304 e il 1321, anno di morte dell’autore,
narra di un viaggio attraverso i tre regni dell’oltretomba cristiano compiuto per volontà di Dio dal
poeta stesso, investito di una missione provvidenziale che riguarda l’umanità intera. Tre guide si
40 affiancano a Dante per orientarlo alla salvezza celeste: il poeta latino Virgilio nell’Inferno en el
Purgatorio; Beatrice, la donna amata in gioventù, colei che – come dice il nome – porta
beatitudine, nel Paradiso terrestre e nel Paradiso; san Bernardo, cui viene affidato il compito di
avviare il protagonista alla visione di Dio, negli ultimi canti del Paradiso. Grande summa del
sapere medievale – teologico, filosofico, scientifico, letterario –, la Commedia si pone come
45 un’opera profetica destinata a scuotere le coscienze contemporanee e ad avviarle a una nuova
epoca di rigenerazione spirituale e morale (renovatio), sulla scia dei movimenti religiosi – primo
fra tutti quello francescano – che avevano intrapreso da oltre un secolo un vasto processo di
rinnovamento della Chiesa e della società.

5. Dopo aver letto il testo, tornate all’esercizio 3, ed eventualmente correggete le


vostre risposte.
6. Con l’aiuto dell’insegnante, osservate i connettori di qui e invece, e associateli a quelli
già visti.
7. Cercate gli infiniti di ritenendo (r. 12) poste (r. 13), teso (r. 29), compiuto (r. 38).
8. Indica il referente dei seguenti pronomi:
gli (r. 3), cui (r. 20), cui (r. 42), avviarle (r. 45), quello (r. 47).
9. Cercate le parole composte, e dividetele nei loro elementi morfologici.
10. Cercate dei participi presenti (come quelli elencati nell’esercizio 4 del testo 11, a
p. 35), e tentate di dedurre il loro significato.
11. Traducete le seguenti espressioni:
a. nel 1300 viene eletto priore (r. 7)
b. ad esclusione delle poesie già comprese nella Vita Nuova e nel Convivio (r.
15)
c. teso a difendere l’autonomia dell’istituto imperiale di contro alle pretese
teocratiche della Chiesa (r. 29-30)
d. dal poeta stesso (r. 38-39)
e. san Bernardo, cui viene affidato il compito di avviare il protagonista alla
visione di Dio (r. 42-43)
f. sulla scia dei movimenti religiosi (r. 46)

12. Osservate i verbi affidare e avviare (presenti nell’item 11c): sono formati dal prefisso
a, piú un sostantivo; con l’aiuto dell’insegnante, identificate i sostantivi della loro
base. Puoi collegarli al significato dei verbi?
13. Osservate nel loro contesto i falsi amici esiti (r. 22), resta (r. 31), opera (r. 45), primo
(r. 46), e aggiungeteli all’elenco di p. 86.

֍ 13. Per approfondire guarda il video LE PILLOLE DELLA DANTE RAI in:
https://www.raicultura.it/speciali/litalianodallatinoaoggi

(INDICE LUCA SERIANNI) Introduzione all´italiano,dal latino a oggi e RISPONDI:

a. Quali nomi noti fa Luca Serianni?

b. Cosa rappresentano?

c. Che cosa comprende la storia della lingua?

d. Da quale latino deriva l´italiano?

e. Perchè si cita l´epigrafe di Lucio Cornelio Scipione?

f. Quali esempi da di parole italiane che derivano dal latino? ( 3 esempi)

g. Che importanza hanno i latinismi nell´italiano?

h. Quale importanza ha l´ordine delle parole?

i. Quale latino parliamo oggi?

→ Per approfondire, leggi il testo sulla Divina Commedia nella seconda sezione (p.
108).
13.
(tratto da Piero Adorno, Storia dell’arte italiana, Firenze: D’Anna, 1993)

1. Dopo aver letto il testo, rispondete:


a. Qual è il significato etimologico del termine Metafisica (metà physicà)?
b. E come viene usato oggi?
2. Osservate e traducete:
a. Sia parlando di luoghi, sia di pitture proprie o del grandi maestri (r. 4)
b. a quelle opere di Aristotele in cui si tratta delle “cause prime” della realtà da lui
collocate “dopo” (r. 7)
c. Oggi dimenticato il significato originario lo si usa* per esprimere ciò che è oltre
l’apparenza fisica, ossia l’essenza intima della realtà (r. 9)
d. logica ambientale in cui siamo abituati a vederlo (r. 16)
e. un oggetto qualsiasi isolato dal contesto in cui vive e inserito in un’altro (r. 17)

* di questa struttura si è parlato nel testo precedente

3. Qual è il referente dei pronomi evidenziati nelle frasi precedenti?

Ecco alcuni pronomi del primo paragrafo di pag. 796 (r. 11-13):
gli attribuisce:
descriverla:
la interpreta:
e ancora: siamo abituati a vederlo (r.16):

Con l’aiuto dell’insegnante cercate di classificarli negli schemi

Pronomi di 3ª persona:

Pronomi diretti
S P
M
F

Pronomi indiretti
S P
M
F
4. Traducete il paragone delle righe 723-725. (r. 20-22)

5. Traducete la frase che contiene il falso amico solitamente (r.723).


6. Identificate, classificate e cercate i sinonimi dei

- connettori: tuttavia (r.14) qualsiasi (r.16) e oppure (r.26); inseriteli


nello schema di p. 86;

- possessivi: la sua vita (r.14) - la sua pittura (r.15) - la loro funzione


(r.25)

֍ 7. Per approfondire guarda il video in


https://www.youtube.com/watch?v=hUHZB2vFDDE&t=1s (fino a 5:05) e risolvi gli esercizi:

a. Spiega la nascita del primo ospedale per malattie nervose.


b. Come nasce la scuola metafisica?
c. Racconta cosa fanno i fratelli De Chirico.
d. Come sono le immagini di Giorgio De Chirico?

→ Per approfondire, leggi il testo di De Chirico sull’arte metafisica nella seconda


sezione (p. 118).
14.
Gli italiani, sempre piú mammoni
mammóne1 agg. e s. m. (f. -a) [der. di mamma]. – Nel linguaggio fam., che o chi
è molto attaccato alla mamma.
GARZANTI: mammone 1
[mam-mó-ne] n.m.
f. -a; pl.m. -i, f. -e
(fam.) bambino sempre attaccato alla mamma | adulto troppo legato alla madre.
[Tratto da
https://d.repubblica.it/lifestyle/2017/06/28/news/marito_mammone_cosa_fare_paolo_crepet_iden
tikit_del_mammone_come_liberarsi_della_suocera_invadente-3585110/]

Paolo Crepet: Consigli per gestire (e cambiare) un uomo mammone

Uomini che non hanno ancora tagliato il cordone ombelicale che li unisce* alle madri. Come
gestire un compagno “mammone”? “Avere una relazione con un mammone vuol dire vivere
un triangolo con una donna che non avrà mai eguali, cioè sua madre” spiega Paolo Crepet.
“Il confronto con lei sarà costante e incessante, e rischia di minare l’intimità di coppia. Ma è
5 possibile aiutarlo a diventare adulto, più autonomo e indipendente”. Come? Consigli
dispensati per noi dal noto psichiatra

DI VERONICA MAZZA - 28 Giugno 2017

1. ________________________
10
Lo dicono gli ultimi dati dell’Eurostat: il 67% dei giovani adulti
tra i 18 e i 34 anni vive ancora con mamma e papà, il 20% in più
della media europea. E 3 su 4 sono uomini. Anche il Rapporto
2017 su "Il Divario generazionale tra conflitti e solidarietà” della
15 Fondazione Visentini conferma questo trend: l’autonomia
economica e finanziaria arriva solo intorno ai 40
anni. Insomma, dire addio al nido familiare diventa sempre più difficile, così come trovare una
propria indipendenza e questo si ripercuote inevitabilmente anche sui rapporti sentimentali. E
se tra questi eterni adolescenti che hanno difficoltà a staccare il cordone ombelicale dalla
20 mamma ci fosse anche il tuo partner? Come si fa a vivere questa relazione senza che diventi un
“triangolo” per l’onnipresente figura materna? E poi, c’è la possibilità di aiutarlo a svincolarsi
da lei e dargli così una mano a farlo diventare finalmente un maschio adulto? Ne abbiamo
parlato con Paolo Crepet, famoso psichiatra, sociologo e scrittore, che ci ha consigliato anche
5 mosse per vivere in modo proattivo una storia d’amore con questo tipo di uomini.
25
2. _____________________________________

Che il mercato del lavoro sia in crisi per le giovani generazioni è un dato di fatto sotto gli occhi
30 di tutti. Ma a non far spiccare il volo a questi nuovi mammoni è anche un atteggiamento
culturale iperprotettivo da parte delle famiglie, che non aiuta i ragazzi a cavalcare il
cambiamento professionale che è in atto. “È sbagliato pensare che i giovani di oggi possano
fare lo stesso lavoro dei loro padri, perché la situazione lavorativa è totalmente mutata, nella
maniera più drammatica che si potesse immaginare”, dice Crepet. “Se da un lato sono cambiati
35 gli orari e gli stipendi, dall’altro lato anche la formazione si è abbassata di livello: sono recenti
i dati che affermano che l’Italia è penultima in Europa per numero di laureati. Dietro di noi c’è
solo la Romania. Non si è preparati a sufficienza per svolgere lavori in cui invece è richiesta
un’alta qualifica e contemporaneamente si rifiutano mestieri di basso profilo, perché poco
gratificanti o troppo stressanti. E spesso questo rigetto non parte dai ragazzi, ma dagli stessi
40 genitori che diventano quelli che io chiamo i “sindacati familiari italiani”. Il risultato? Ci sono
più di 2 milioni di “Neet”, acronimo l'acronimo inglese di "not (engaged) in education,
employment or training", cioè tutti questi “quasi adulti” che non studiano e non lavorano, che
continuano a essere mantenuti e stipendiati dalla famiglia e che per questo fanno fatica a
diventare maturi ed emancipati, capaci di camminare sulle loro gambe. Ecco perché oggi i
45 mammoni sono anche e soprattutto un problema culturale”.

3. _____________________________________________________________________

Se ti capita di uscire con un 30-40enne che vive ancora a casa, per svariati motivi, non illuderti
50 che possa essere un uomo indipendente e pronto ad avere una relazione dove tu sarai l’unica
donna della sua vita. “Le donne, a mio avviso, dovrebbero smetterla di pensare di voler
cambiare gli uomini. Quando incontri un tipo del genere, il mio consiglio preventivo è di
cogliere l’occasione del primo incontro per capire veramente chi è, facendogli le domande
giuste, non quelle che alimentano le tue fantasticherie. Devi vedere se è realmente il candidato
55 ideale per diventare il tuo compagno e non farti distrarre solo dai suoi occhi blu o dalle sue
spalle larghe”, consiglia Crepet. “Sappi che i mammoni sono persone rigide, che amano una
vita regolata, perché cercano protezione nella routine. Quindi se tutte le domeniche vanno a
pranzo da mamma, anche quando starà con te le sue abitudini non cambieranno. Di solito non
sono persone intraprendenti e di successo sul lavoro, proprio perché non sono fatti per
60 l’indipendenza e per l’autonomia. Altro fattore da tenere in considerazione è che non sarai mai
la figura femminile più importante della sua vita. Avere una relazione con un mammone vuol
dire vivere un triangolo con una donna che non avrà mai eguali, cioè sua madre. Anzi il
confronto con le sue qualità e le sue doti, sarà costante e incessante. Come la sua presenza, che
metterà a rischio l’intimità di coppia”, dice Paolo Crepet.
65

4. ______________________________________________________

Nessuna donna vuole avere il secondo posto nel cuore di un uomo, ma quando hai una relazione
con un uomo così, quello è il posto cui sei destinata. “Non c’è nulla di male a innamorarsi di
70 un mammone, a patto che si accetti il pacchetto completo, quindi anche la figura della “regina”
madre. Di solito chi perde la testa per tipi così, è una donna con poca autostima di sé, perché sa
già che il suo partner preferirà sempre sua madre a lei. Oppure è semplicemente una “furbetta”,
cioè non si vuole impegnare fino in fondo e coglie il lato comodo della situazione, cioè non
dovrà sorbirselo da sola, ma potrà continuare a contare sulle cure amorevoli della mamma. Che
75 magari le farà trovare sempre la cena pronta o i vestiti lavati e stirati. Ma lo scotto da pagare
può essere alto, perché l’avrà sempre tra i piedi”, afferma Crepet. “Non è mai il caso di farle la
guerra, perché di solito vince sempre lei. Meglio averla come alleata, anche se questo non ti
metterà al riparo dalla sua invadenza”.

* Unisce: questo verbo è simile a capisce e finisce.


1. a) Dopo aver letto, rispondete in coppie:

a. Che tipo di testo è? Chi è il suo destinatario?


b. Su cento giovani adulti, quanti vivono ancora dai genitori? E di questi, quanti sono
maschi e quante femmine?
c. In Europa è EUROSTAT (r.11), in Italia si chiama ISTAT; e in Argentina?
d. Perché l’autore chiama “sindacati familiari italiani” (r. 41-42) i genitori dei
mammoni?
e. Neet è l’acronimo inglese di "not (engaged) in education, employment or training"
(r. 42-43); come vengono chiamati questi ragazzi in spagnolo?
f. Come vivono i mammoni e quali sono le loro caratteristiche psicologiche?

1. b) Indica in quale parágrafo/righe hai trovato l’informazione:

2. Sono stati cancellati e mescolati i titoli dei paragrafi; assegnate ogni sottotitolo al paragrafo
numerato corrispondente.

- a) Identikit del “cocco di mamma” del nuovo millennio.


- b) Il mammone lo riconosci al primo appuntamento.
- c) Come comportarsi con “l’altra”, cioè la sua mamma.
- d) Italiani sempre più mammoni.

3. Traducete le frasi e osservate i pronomi:


- Ma è possibile aiutarlo a diventare adulto(r. 5)
- il cordone ombelicale che li unisce alle madri (r. 1)
- Meglio averla come alleata, (r. 80)
- Non è mai il caso di farle la guerra (r. 79)
- Che magari le farà trovare sempre la cena pronta (r. 77)
- Lo dicono gli ultimi dati dell’Eurostat (r. 11)
- c’è la possibilità di aiutarlo a svincolarsi da lei e dargli così una mano a farlo diventare finalmente un
maschio adulto (r. 21-22)
- Le donne, a mio avviso, dovrebbero smetterla di pensare di voler cambiare gli uomini. (r. 53-54)
- per capire veramente chi è, facendogli le domande giuste, non quelle che alimentano le tue fantasticherie. (r.
55-56)
4. Segnate in queste frasi tutti i verbi (coniugati e non coniugati).
- Devi vedere se è realmente il candidato ideale. (r. 56)
- Nessuna donna vuole avere il secondo posto nel cuore di un uomo. (r. 70)
- Avere una relazione con un mammone vuol dire vivere un triangolo. (r. 2 e 64)
- dovrebbero smetterla di pensare di voler cambiare gli uomini.
- non si vuole impegnare fino in fondo e coglie il lato comodo della situazione. (r. 75)
- Ma lo scotto da pagare può essere alto, perché l’avrà sempre tra i piedi. (r. 78)

5. Ecco il presente indicativo dei verbi modali o servili; rileggete le frasi e completate lo schema.

DOVERE POTERE VOLERE

Io devo Io posso Io voglio

Tu ...............(r. 56) Tu puoi Tu vuoi

Lui / Lei deve Lui / Lei ................(r. 78) Lui / Lei ........... (r. 2, 64, 70, 75)

Noi dobbiamo Noi possiamo Noi vogliamo

Voi dovete Voi potete Voi volete

Loro devono Loro possono Loro vogliono

E al futuro? Hai notato questi verbi: dovrà, potrà? (r. 76) Nel testo ci sono tanti altri verbi al
futuro (vedi schema dei verbi a p. 16).

6. Il participio passato di DIRE è detto; quello di FARE è fatto; quello di ESSERE è stato.
Il resto dei verbi dello schema ha il participio regolare, quindi puoi completare gli spazi:

PARTICIPIO PASSATO DI AVERE: …………………………………...


PARTICIPIO PASSATO DI DARE: …………………………………...
PARTICIPIO PASSATO DI SAPERE: …………………………………...
PARTICIPIO PASSATO DI POTERE: …………………………………...
PARTICIPIO PASSATO DI VOLERE: ……………………………………

7. Cercate questi elementi nel testo, e traducete le frasi che li contengono:

- i falsi amici coppia (r. 4) e di solito(r. 60, 64);


- i connettori quindi (r. 72), oppure (r. 74), cioè (r. 4, 64), ancora (r. 1), insomma (r. 17),
ma (r. 4), magari (r. 17).

8. Osservate e traducete le espressioni:

- a patto che (r. 72)


- contare su (r. 76-77)

9. Traducete la seguente frase:

È sbagliato pensare che i giovani di oggi possano fare lo stesso lavoro dei loro padri, perché la
situazione lavorativa è totalmente mutata, nella maniera piú drammatica che si potesse
immaginare”, dice Crepet. “Se da un lato sono cambiati gli orari e gli stipendi, dall’altro lato
anche la formazione si è abbassata di livello: sono recenti i dati che affermano che l’Italia è
penultima in Europa per numero di laureati. (r. 33, 37)
15.

L’amica geniale (recensione)


Prima di leggere la recensione dell’Amica geniale
(tratto da https://www.letture.org/l-amica-geniale-elena-ferrante-trama-recensione),
rispondi insieme a dei compagni alle seguenti domande:
1. Avete sentito parlare di Elena Ferrante? Sapete chi è?
2. Conoscete la sua tetralogia napoletana? Sapete come si è tradotto il suo titolo in
spagnolo?
Mentre leggete il testo, sottolineate le parole che hanno il significato delle espressioni che
seguono (sono nello stesso ordine del testo):
amistad, corresponde, por último, eventos, cumple la función de, escuela primaria, ambas.

L’amica geniale

Chi è l’amica geniale? Nel romanzo di Elena Ferrante, che racconta la storia di
un’amicizia, quella tra Elena Greco (Lenù) e Raffaella Cerullo (Lila), questa figura
spetta probabilmente a Lila, quella delle due che osa sempre di più, quella che,
apparentemente, non ha mai paura di nulla e che cerca con tutte le sue forze di
5 evadere dalla propria, grigia, esistenza in un miserabile quartiere napoletano.
L’amica geniale è il primo volume di una tetralogia incentrata sul rapporto che lega le
due protagoniste attraverso gli anni delle loro esistenze; in questo primo libro viene
narrata la loro infanzia ed adolescenza; nel secondo volume (Storia del nuovo
cognome) Lila e Lenù sono ormai adulte; nel terzo volume (Storia di chi fugge e di chi
10 resta) le due amiche stanno attraversando quella fase della vita in cui si incomincia a
considerare l’approssimarsi del periodo dei bilanci, che non sempre si rivelano positivi;
nell’ultimo volume, infine, (Storia della bambina perduta) si conclude un ciclo di vita e
la storia finisce con la vecchiaia.

Trama
15 La narrazione viene condotta in prima persona da Elena, una guida ideale che conduce
il lettore attraverso le tante vicende raccontate.

Lina e Lenù abitano nello stesso quartiere degradato di una Napoli che funge da
sfondo, ma anche da protagonista della loro storia. […] La loro amicizia nasce fin dalla
primissima infanzia e si consolida durante gli anni della scuola elementare, quando le
20 due bambine diventano inseparabili, anche in relazione al fatto che entrambe vivono
con grande insofferenza le rigide regole di comportamento imposte dal rione. Il loro più
grande desiderio è quello di poter evadere, un giorno, da quella soffocante atmosfera.

[…]

Recensione del romanzo


25 L’amica geniale viene considerato, a ragione, una storia “al femminile”, in quanto le
due protagoniste sono donne ed intorno a loro si incentra tutta la storia. Si tratta di un
romanzo di formazione, che ricalca le grandi epopee popolari, dove gli eventi spesso
si evolvono, rovesciando situazioni che sembravano completamente differenti.

I sentimenti rappresentano un substrato potente che attraversa ogni vicenda,


30 permeandola di quella partecipazione emotiva che quasi travolge il lettore. Questa
storia, in definitiva, al di là delle numerose vicende narrate, rimane sostanzialmente un
atto d’amore e di amicizia tra due persone.

1. Dopo aver letto la recensione de L’amica geniale, risolvi le attività:


a. Senza usare il dizionario, prova a tradurre le seguenti parole, e confronta con un
gruppo di compagni:
romanzo (r. 1, 24, 27), paura (r. 4), rapporto (r. 4, presente anche nel testo Dante padre della lingua,
e Gli italiani sempre piú mammoni), quartiere (r. 5, 17), bilanci (r. 11), vecchiaia (r. 13), travolgere (r.
30), sembrare (r. 28).
b. Trascrivete le forme che trovate in voce passiva.
c. Osservate, insieme all’insegnante, le espressioni ormai (r. 9), non… ma anche (r. 17-
18), il possessivo loro (r. 18, 21), ogni (r. 29).
d. Aggiungete all’elenco di p. 86 tutti i falsi amici che trovi negli esercizi precedenti.

→ Per approfondire, leggi Elena Ferrante e il romanzo del Settecento. Una riflessione
sull'identità del romanzo italiano (seconda sezione, p. 120)
16.

Lavora con un compagno o compagna. Mentre leggete il testo sulla scuola Montessori (tratto da
http://genitoricrescono.com/metodo-montessori-scuola-moderna/), scegliete cinque espressioni
non trasparenti il cui significato possa essere dedotto dal contesto, e create un esercizio –analogo
all’esercizio 2 del testo 8–, che un’altra coppia di compagni dovrà risolvere. Una volta scritto,
passatelo a un’altra coppia, e poi correggete tutti insieme con la guida dell’insegnante.

La mia esperienza alla scuola Montessori

Nei giorni scorsi è iniziata la nostra avventura nella scuola Montessori, dove ho deciso di
iscrivere i miei figli.

Ho letto e riletto tutto quello che potevo, ho visitato la scuola, ho visto come vi si lavora. E ho
capito che il metodo Montessori significa semplicemente libertà, (auto)disciplina e rispetto.

5 Ma ovviamente il metodo da solo non basta. La cosa più importante, che si tratti di scuola
Montessori o di qualunque altro tipo di scuola, sono le persone. Una scuola Montessori può
diventare una tristissima prigione se gli insegnanti sono troppo rigidi, così come una
monoclasse improvvisata in un campo profughi può essere nutrimento per lo spirito se
l’insegnante lavora con passione. [...]

10 Ma in che cosa consiste il metodo Montessori? Non è semplice spiegarlo in poche righe, ma
possiamo vederne alcuni aspetti fondamentali:

1. La mente assorbente. Secondo Maria Montessori il bambino da zero a sei anni assorbe
con una grande facilità tutto ciò che lo circonda attraverso i sensi. Per questo la Montessori
ha creato una serie di materiali sensoriali che permettono di rappresentare materialmente
15 concetti astratti che sarebbero, in un altro modo, molto più difficili da elaborare.

2. L’importanza dell’ambiente. Il bambino assorbe tutto ciò che ha intorno. Se sente


parlare una lingua, la imparerà. Se è libero di manipolare gli oggetti che trova, imparerà a
farlo correttamente. Per questo la Montessori suggerisce di creare nelle nostre case un
ambiente “a misura di bambino”. Significa semplicemente che il bambino imparerà prima,
20 meglio e senza frustrazioni ad essere autonomo se l’ambiente lo consente. [...] Negli
ambienti studiati apposta per loro, i bambini possono muoversi tranquillamente e non
devono stare immobili e in silenzio ad ascoltare passivamente. Possono alzarsi,
camminare, sedersi a terra, discutere con i compagni. Ma, soprattutto, possono lavorare
in autonomia (da soli o in piccoli gruppi) ed imparare attraverso la sperimentazione
25 diretta.
3. Le classi di età miste. Nelle scuole Montessori i bambini sono suddivisi in classi di 3-6
anni, 6-12 annni, 12-15 e così via. In questo modo i bambini interagiscono non solo con i
propri coetanei ma anche con allievi più grandi o più piccoli. E se i piccoli sono stimolati
dalle attività che i grandi svolgono sotto i loro occhi, i grandi possono sentirsi utili aiutando
30 i loro compagni più giovani.

4. Niente voti. Sì, perché nelle scuole Montessori non ci sono voti, non ci sono compiti,
non ci sono bocciature. I materiali montessoriani hanno in sé la correzione dell’errore.
Questo significa che il bambino si accorge da sé di aver sbagliato e può riprovare finché
non riuscirà a trovare la soluzione corretta. Quando un bambino (questo vale in realtà
35 anche per gli adulti) realizza ciò a cui stava lavorando, è naturalmente soddisfatto e
contento di sé. Quando non riesce a portare a termine il suo compito, vivrà un senso di
frustrazione. Questi sentimenti sono più che sufficienti per spingere il bambino verso la
riuscita, senza bisogno di interventi esterni come elogi o punizioni.

1. Indicate se le affermazioni sono vere o false; nel caso siano false, giustificate:
a. Secondo l’autrice dell’articolo, il buon funzionamento di una scuola
dipende dagli insegnanti.
b. Il metodo Montessori propone l’uso di materiali creati ad hoc per i
bambini piccoli.
c. Nel metodo Montessori, i bambini di tutte le età lavorano nella stessa
classe.
d. Nelle attività svolte in classe, i bambini piú grandi aiutano gli insegnanti.
e. Nelle scuole Montessori gli adulti stimolano i bambini attraverso elogi
e punizioni.

2. Indicate i referenti dei pronomi che seguono:

lo (r. 13); loro (r. 30 ); questi (r. 37)

3. Traducete le seguenti espressioni:


a. tutto ciò che lo circonda (r. 13)
b. In questo modo i bambini interagiscono non solo con i propri coetanei ma
anche con allievi piú grandi o piú piccoli (r. 27-28)
c. senza bisogno di interventi esterni (r. 40-41)

4. Osservate, insieme all’insegnante, i pronomi vi (r. 3) e ne (r. 11: vederne).


5. Identificate le parole del testo che corrispondono ai termini spagnoli notas e
tareas. Probabilmente l’insegnante le ha usate durante il corso.
17.
L’università italiana

[tratto da https://www.skuola.net/storia-medievale/universita-nascita.html]

La nascita delle università


Una delle novità del XII secolo è stata la nascita delle Università, istituzioni in cui gli studenti avevano
una parte attiva: partecipavano alle elezioni delle autorità accademiche, e finanziavano e gestivano in
parte l’Università stessa. I professori non sempre appartenevano al territorio in cui si insegnava;
5 dovevano essere in possesso di una licentia docendi concessa dalla Chiesa. Maestri e professori per
poter entrare in una corporazione dovevano superare un esame di ammissione nella materia in cui
erano più istruiti. L’esame per ottenere la licentia docendi era basato su una lezione che rappresentava
il primo atto con cui cominciava l’insegnamento.

Le università italiane
10 Tra le università che sorgono in questo periodo ricordiamo lo Studium fondato a Bologna nel 1088 che
divenne, insieme all’Università di Pavia, un centro famoso per lo studio del diritto. Dunque, se Salerno
dal IX secolo dava lustro all’Italia in campo medico e Bologna in campo giuridico, la Toscana, terra di
lotte tra papato e impero e culla di arte, cultura e politica, è da ricordare per lo sviluppo linguistico. In
questo periodo si sviluppa la letteratura e l’arte: l’architettura poté svilupparsi grazie alle commissioni
15 di torri, mura difensive e palazzi comunali; la pittura assunse importanza perché pittori, scultori e
decoratori vengono chiamati ad abbellire le mura di palazzi e chiese appena sorti. Fu questo il periodo
di Giotto, Cimabue e Piero della Francesca.

20 Medioevo - Scuola e università


[Tratto da https://www.skuola.net/storia-medievale/medioevo-scuola-universita.html]

Appunto di storia sulla scuola nel medioevo e spiegazione dei metodi di istruzione utilizzati nelle
università
25 La scuola e la nascita delle università

La maggior parte della popolazione era analfabeta in quanto era molto costoso far studiare i propri
figli; così, potevano farlo solo i nobili o i borghesi con grandi disponibilità economiche. Inoltre, con
lo sviluppo e l'intensificazione delle attività mercantili ci fu l'esigenza di un livello di istruzione maggior
30 per fare i calcoli e saper leggere.

Le scuole erano private e il maestro doveva stipulare un contratto con un gruppo di famiglie nel quale
veniva definito lo stipendio e i doni stagionali in occasione delle festività che doveva ricevere il
maestro (es: vino, uova, grano...).
35
L'insegnamento era basato su due livelli di istruzione:
1° livello: studio della grammatica e del latino e imparavano a leggere e scrivere;
2° livello: scuola dell'abaco considerata la più importante in ambito mercantile.
40 Dopo aver frequentato entrambi i livelli di istruzione potevano accedere alle università dove gli
studenti e i professori si univano insieme formando delle associazioni con proprie regole approvate
dall'Imperatore, dal Papa e dal Re.
La lingua utilizzata negli elaborati scritti doveva essere assolutamente il latino che però non era
utilizzata per il parlato.
45 Leggevano e spiegavano i testi di autori greci, latini e testi biblici. Inoltre non potevano avere idee
personali e non potevano condividerle e commentarle nelle classi.

Le università più importanti e antiche sono:

50 1. Università di Bologna: è l'università più antica d'Europa famosa per gli studi di diritto e fu
fondata nel 1088.
2. Università di Parigi: fondata nel XI secolo famosa per gli studi di teologia.
3. Università di Salerno: fondata tra il XI e il XII secolo famosa per gli studi di medicina. In questa
università nacque la "scuola medica salernitana”.

1. Dopo aver letto i testi, indica quali delle seguenti informazioni si trovano nel
testo:

Data di fondazione delle prime università.


Sistema di insegnamento.
Rapporto tra lo sviluppo delle città e creazione dei corsi di laurea.
Lingua utilizzata durante le lezioni.
Modo di accesso alle università (insegnanti).
Modo di accesso alle università (studenti).
Classi sociali che potevano studiare.
Percentuali di uomini e donne che potevano studiare.

2. Lavora con un gruppo di compagni: potete dedurre, senza l’aiuto del


vocabolario, il significato di sviluppo (r. 13, 29)/ svilupparsi (r.14).
3. Redigete un esercizio di Vero/Falso, nell’ordine in cui le informazioni
appaiono nel testo, e passatelo a un altro gruppo perché lo risolva. Un terzo
gruppo corregge, e si confronta in plenum.

֍ Per approfondire, vedi i video sull’universitá in https://www.skuola.net/storia-


medievale/universita-nascita.html E anche su https://www.skuola.net/storia-
medievale/medioevo-scuola-universita.html
18.
LA SCUOLA NORMALE DI PISA [tratto da https://www.sns.it/it/storia/]
La Scuola Normale Superiore è un istituto pubblico di istruzione universitaria
dalle caratteristiche uniche. Selezione degli allievi esclusivamente in base al
merito, lezioni in forma seminariale, profondo intreccio didattica/ricerca, vita
collegiale integrata, grande apertura agli scambi internazionali secondo il
5 miglior modello delle Scuole Superiori universitarie europee.

La fondazione - Il periodo Napoleonico

Il decreto napoleonico del 18 ottobre 1810, relativo agli “stabilimenti di istruzione pubblica” in
Toscana - provincia dell’impero francese a partire dal 1807 - stabilisce l’istituzione a Pisa di un
10 “Pensionato accademico” per gli studenti universitari. Venticinque posti del pensionato
vengono messi a concorso per studenti delle facoltà di Lettere e Scienze, per creare una
succursale dell’École Normale Supérieure di Parigi.

Nasce così, per volontà di Napoleone, la Scuola Normale Superiore di Pisa. Il termine
“Normale” si riferisce alla sua missione didattica primaria, formare insegnanti di scuola media
15 superiore che trasmettessero le “norme”, cioè che educassero i cittadini all’obbedienza alle
leggi e all’Imperatore.

Il 22 febbraio 1811 viene emanato il primo bando di concorso, ma la Normale pisana inizia la
sua attività solo nel 1813, quando i primi studenti di Lettere e Scienze si stabiliscono alla
Scuola.
20 La prima sede è presso il convento di San Silvestro: un pensionato a metà tra un ordine militare
e un convento, in cui la vita degli studenti è segnata da un rigido Regolamento di disciplina.
Seguendo il modello francese, la Scuola viene affidata a un “Direttore”, coadiuvato dal “Sotto-
direttore” e dall'“Economo”, addetti all’amministrazione, alla vigilanza degli studi e alla tutela
dell’ordine.

25 La Normale era riservata a quel tempo ai migliori alunni selezionati alla fine dei corsi liceali,
di età compresa fra i 17 e i 24 anni, che durante i due anni di studi conseguivano anche i gradi
nelle facoltà di Lettere e Scienze dell’Università imperiale. Gli studenti avevano impegni
particolari ed erano obbligati a seguire corsi aggiuntivi: venivano seguiti da quattro
“Ripetitori”, scelti dal Direttore tra gli allievi stessi della Normale, che quotidianamente
30 “ripetevano” le lezioni universitarie e coordinavano le “conferenze”, una sorta di seminari. Con
questo tirocinio qualificato alle spalle, dopo il diploma, i giovani si impegnavano ad insegnare
nelle scuole secondarie per almeno dieci anni.

La Scuola Normale napoleonica ha una vita breve: il solo anno accademico 1813/14, durante il
quale è Direttore il fisico Ranieri Gerbi. Il 6 aprile 1814 Napoleone firma l’atto di abdicazione:
35 il rientro del granduca Ferdinando III sul trono di Toscana coincide con la chiusura della
Scuola, nonostante i vari tentativi per salvarla in nome della sua funzione.
[…]

Dal dopoguerra ad oggi

40 La Normale è oggi una scuola di élite a base ugualitaria, che premia il talento, il merito
e le potenzialità dei propri allievi a prescindere dalla loro provenienza sociale e dal loro
curriculum di studi precedente. Il suo scopo è formare studiosi, professionisti e
cittadini dalla formazione culturale ampia e dal forte spirito critico.

Fondamentali sono anche le relazioni e le collaborazioni che la Scuola ha saputo


45 stabilire in questi anni con le principali istituzioni universitarie e di ricerca nazionali
ed internazionali, favorendo la mobilità di studenti e docenti e la partecipazione a corsi
integrati e programmi di ricerca.

La Scuola fornisce inoltre ai propri allievi ed ex allievi un servizio di placement per


promuovere i rapporti e i collegamenti con importanti realtà professionali e favorire
50 un inserimento qualificato dei propri laureati nel mondo del lavoro.

Questo percorso ha preso il via con la legge del 7 marzo 1967, che dà vita alla Scuola
Normale Superiore di studi universitari e di perfezionamento, inizialmente dipendente
dall’ateneo pisano ma ben presto autonoma.

Lo Statuto del 1969 definisce il nuovo quadro formativo della Scuola e il profilo di
55 Istituto di alta formazione scientifica: in particolare vengono stabiliti un forte
allargamento del corpo docente interno, la fondazione ed il potenziamento delle
strutture di ricerca e l’ampliamento del numero di allievi dei Corsi ordinari e di
Perfezionamento. La legge del 18 giugno 1989 riconoscerà infine l’equipollenza del
diploma di perfezionamento della Scuola al titolo di dottore di ricerca rilasciato dagli
60 atenei italiani.

Proprio per il corso di Perfezionamento, dall’anno accademico 2014/2015 l’offerta


didattica è stata ampliata grazie alla fusione con l’Istituto Italiano di Scienze Umane
(SUM) di Firenze, ora Dipartimento di Scienze politico sociali della Normale, e
successivamente, dall’anno accademico 2018/2019, con la nascita dell’Istituto di Studi
65 Avanzati Carlo Azeglio Ciampi.

Nel 2018 la Normale si è federata con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e con lo
Iuss – Scuola Universitaria Superiore di Pavia, per offrire nuove opportunità formative
che integrino le competenze delle tre istituzioni in determinati ambiti quali le
discipline economico-politiche e lo studio delle dinamiche chimico-fisiche che
70 influenzano i cambiamenti climatici con le relative ripercussioni nell’agroalimentare.
1. Dopo aver letto il testo sulla Scuola Normale di Pisa, rispondi alle domande:
a. Quali sono i periodi della storia della Scuola Normale di Pisa compresi dal
testo? Perché credi che siano stati scelti? Che periodi immagini che ci siano
nel testo originale, segnati qua con [...]?
b. Come e quando nasce la Scuola Normale di Pisa?
c. Che vuol dire, in questo contesto, il termine normale?
d. Perché si può affermare che è un’istituzione di élite?
e. Che dovevano fare gli studenti dopo essersi laureati?
f. Quando e perché si chiude questa prima Scuola?
g. A che si riferisce il termine (non italiano) placement (r. 49)?
h. Che stabiliscono i provvedimenti del 1967-1969 e del 1989?
i. Quali sono i cambiamenti degli ultimi anni?
2. Cercate nel testo le espressioni analoghe a intercambios, independientemente de, se ha
asociado, investigación, equivalencia, otorgado.
3. Sottolineate nel testo e trascrivete i verbi al presente terminati in -isce / iscono;
cercate quindi i loro infiniti.
4. Insieme a un gruppo di compagni, confrontate la storia della Scuola Normale di
Pisa con quella della Escuela Normal argentina. Servitevi da Internet se necessario.

֍ 5. Per approfondire su Come funziona l'Università Italiana: i Corsi di Laurea,


Percorso e Consigli guarda il video in :https://youtu.be/5Xnalj5tMqA
E poi rispondi alle seguenti domande
1. Cos’è una laurea a ciclo unico?
2. Ci si può fermare alla laurea di 3 andani?
3. Come si diventa professionista?
4. Quali sono i quattro elementi principali del percorso? Descrivili.

→ Per approfondire, leggi il Discorso di Luigi Ambrosio alla cerimonia di consegna dei
Premi Balzan 2019 nella seconda sezione (p. 127).
19.
Ingegneria ma non solo. Quali sono le lauree più utili per trovare
lavoro?
tratto da https://www.repubblicadeglistagisti.it/article/quale-laurea-per-trovare-lavoro

Non tutte le lauree sono


uguali, tanto meno quando si
abbandonano le aule
universitarie e si bussa alla porta
5 del mondo del lavoro.
AlmaLaurea e l'Istat hanno
misurato la spendibilità del
titolo al termine degli studi e il
panorama non appare
10 confortante: nei primi mesi del
2009 le aziende hanno richiesto
meno laureati, con un calo del
23% rispetto all'anno precedente. Ne hanno risentito tutti, anche i percorsi
di studio che in genere si trovano al vertice dell'occupazione: basta pensare
15 al -35% registrato per i laureati in economia e statistica, ma anche al -24% di
ingegneria.
Al di là della crisi, però, sono queste le facoltà che offrono maggiori sbocchi
occupazionali: gli ingegneri, dopo cinque anni di studi, possono contare su
un posto a tempo indeterminato nell'82% dei casi, in particolare se si è
20 specializzati in meccanica, ingegneria delle telecomunicazioni o chimica. Tra
i più appetibili ci sono anche i dottori in chimica farmaceutica, economia
aziendale e odontoiatria. A un anno dalla laurea, invece, restano disoccupati
medici e laureati in giurisprudenza, ma solo perché intraprendono corsi di
specializzazione o il praticantato post-laurea. Diversa la situazione per i
25 laureati in lettere, psicologia e nelle discipline scientifiche: per loro la
differenza non sta solo nella possibilità di un contratto, ma anche nella
retribuzione, più bassa di circa 300 euro al mese rispetto ai colleghi delle
aree medica e tecnica.

30 La situazione occupazionale si differenzia molto per lauree triennali o


specialistiche e i risultati che emergono sono differenti a breve o a medio
termine. Se in una laurea di primo livello si cerca la certezza di ottenere
presto un posto di lavoro, meglio puntare sulle facoltà che preparano alle
professioni sanitarie, come infermieristica oppure ostetricia. A un anno dalla
35 conclusione degli studi l'84% ha già un posto, con un contratto a tempo
indeterminato e un buon livello di retribuzione. Si tratta di percorsi
professionalizzanti di cui c'è una forte domanda. Per tutte le altre discipline,
invece, meglio proseguire con una laurea specialistica: la triennale sembra
non offrire chance a lungo termine, e anche chi trova presto un lavoro vede
40 crescere più lentamente la propria carriera rispetto ai colleghi specializzati.
Chi ha una laurea in psicologia, biologia o ingegneria quattro volte su cinque
prosegue gli studi; un dato ancora più vero per i gruppi economico-statistico,
politico-sociale e letterario.
Al termine delle lauree magistrali o di secondo livello il quadro è molto
45 diverso: i medici ottengono buoni risultati a cinque anni dalla laurea, dopo
aver conseguito la specializzazione o aver completato il tirocinio. Lo stesso
vale per gli studi giuridici, mentre ingegneri, architetti e laureati in economia
continuano ad essere avvantaggiati sia per le possibilità di lavoro che per i
livelli retributivi.
50 Non bisogna sottovalutare il rapporto tra titolo di studio e occupazione: i
laureati risultano in grado di reagire meglio ai cambiamenti del mercato del
lavoro, e nell'intero arco della vita lavorativa il titolo si rivela premiante.
Rispetto a chi ha solo il diploma, i "dottori" hanno un 10% in più di possibilità
di ottenere un lavoro e guadagnano in media il 65% in più dei colleghi senza
55 laurea. Eppure in tanti nella loro vita intraprendono carriere che non sono in
linea con il percorso di studi. Oltre il 20% dei giovani svolge un lavoro per
cui il titolo conseguito non è fondamentale: si tratta soprattutto di laureati in
lettere, psicologia, lingue e corsi di primo livello di giurisprudenza.
Ma come valutano i selezionatori la laurea nel curriculum? Il "pezzo di carta"
60 ha un valore, ma ad alcune condizioni. Gli "head hunter" interpellati
dalla Repubblica degli Stagisti sono d'accordo su un punto: in facoltà non ci si
deve invecchiare. Che si tratti di laurea o master, gli studi vanno finiti nei
tempi previsti, meglio se con un buon voto – ma soprattutto integrati con
esperienze lavorative o di stage. Periodi di studio all'estero, conoscenza delle
65 lingue e forte motivazione sono altri elementi che possono far crescere in
valore la laurea. Là dove non è richiesta una determinata specializzazione,
sono questi i parametri in base ai quali le aziende cercano il
personale: vengono così rivalutate le lauree in filosofia, lettere o psicologia,
ma solo se il percorso di studi è affiancato da attività collaterali che hanno
70 permesso allo studente di arrivare alla fine dell'università con già
un'esperienza.

Eleonora Della Ratta


[nell'immagine, la tabella della condizione occupazionale dei laureati di primo livello a un anno
dalla fine degli studi]
1. Dopo aver letto il testo rispondete in coppie:
a. Per quale motivo al termine degli studi il panorama non appare molto
confortante?
b. Quali sono i laureati più “richiesti”?
c. Perché a un anno della laurea restano disoccupati medici e avvocati?
d. Quali sono i laureati che guadagnano di meno?
e. In base a quali parametri le aziende cercano il personale?
f. Quali altri aspetti, oltre la laurea, apprezzano i selezionatori o head hunter?

2. Traducete: Non tutte le lauree sono uguali, tanto meno quando si


abbandonano le aule universitarie e si bussa alla porta del mondo del lavoro.
(r. 1-5)

3. Osservate: “Rispetto a chi ha solo il diploma, i "dottori" hanno un 10% in più di


possibilità di ottenere un lavoro e guadagnano in media il 65% in più dei colleghi senza
laurea”. (r. 53-55)

Il diploma si ottiene dopo aver completato ___________________________


La laurea si ottiene dopo aver completato ___________________________

4. Osservate l’uso del pronome chi e cercate di tradurre il paragrafo. (r. 37-42)

Per tutte le altre discipline, invece, meglio proseguire con una laurea specialistica: la triennale sembra
non offrire chance a lungo termine, e anche chi trova presto un lavoro vede crescere più lentamente
la propria carriera rispetto ai colleghi specializzati. Chi ha una laurea in psicologia, biologia o
ingegneria quattro volte su cinque prosegue gli studi.

→ Per approfondire, leggi il testo sui diplomati e il lavoro nella seconda sezione, p.
129.
20.
Federico Fellini
Frammenti autobiografici
Prima di leggere i testi scritti da Federico Fellini (pubblicati da L’Unità/Il
castoro, 1994), parlatene con la classe: Conoscete Fellini? Quali dei dei suoi
film avete visto? Quali sono le loro caratteristiche?
1. Lavorate in gruppi di tre o quattro studenti. Leggete i titoli dei paragrafi. Ogni
gruppo ne sceglie due o tre, di circa una pagina di estensione in tutto. Cercate
che fra tutti vengano letti tutti i paragrafi.
2. Leggete i testi scelti, e fate le seguente attività:
a. riassumete il contenuto di ogni brano in una o due frasi scritte, da leggere
agli altri;
b. scegliete la frase o proposizione che vi piace di piú;
c. Individualmente, traducete le frasi scelte da tutti i gruppi;
d. Confrontate le vostre traduzioni con il resto della classe.
Ora leggi l’intero testo e risolvi gli esercizi:
1. Su FILM COME VIAGGIO
Tradurre l’intero paragrafo.

2. Su LA MIA FILOSOFIA
a. Mettere in rapporto l’idea sul neo-realismo con i brani 6 e 7.
b. Osservare l’uso della preposizione su (r. 1, 2 e 5), e associare al suo uso in questi titoli (Su
FILM COME VIAGGIO, Su LA MIA FILOSOFIA, ecc.) Come ogni preposizione, può
essere legata all’articolo: in questi casi, che articoli sono?

3. Su DA SCENEGGIATORE A REGISTA
Rispondere alle domande:
a. Quali attività della regia preoccupavano Fellini?
b. Quali parole si usano per descrivere il malesse durante il rodaggio?
c. In che frase appare un contrasto tra i timori iniziali e l’effettivo lavoro di Fellini? Attraverso
quale connettore si indica l’opposizione?

4. Su FARE IL CINEMA CON LIBERTÀ


a. cercare l’infinito di parve, fu, piacque, appreso.
b. trascrivere tutti i verbi coniugati al passato remoto.

5. Su I DISEGNI
Scrivere la domanda cui responde il paragrafo.

6. Su LA VISIONE POLITICA
a. Tradurre le espressioni intendo dire (r. 1), mi allontana istintivamente (r. 6), quasi ogni
giorno (r. 12).
b. Osservare il pronome ne a riga 11: a che elemento del testo si riferisce?

7. Su CINEMA-VERITÀ
a. Scrivere una frase, in spagnolo, che metta in rapporto le idee del paragrafo LA
VISIONE POLITICA con le idee di questo.
b. Osservare le strutture comparative delle righe 2, 4 e 5: che elemento contrastivo
con lo spagnolo appare nelle due prime?
c. Osservare l’uso di piuttosto.

8. Su LA LUCE
a. Rileggere ogni serie di verbi e aggettivi, e cercare di capirne il senso senza usare il
vocabolario.
b. Osservare il verbo rendere (r. 5) e diventare (r. 6), e riempite gli spazi che seguono con
ognuno di essi:
I falsi amici …………….. difficile l’italiano.
Lo studio …………… bello quando la materia è interessante.
9. Su IL COLORE
Rispondi alle domande:
a. Che evoluzione del pensiero di Fellini nei confronti del colore appare nel
frammento?
b. Quali erano le preoccupazioni di Fellini per quel che riguarda il colore nel cinema?
c. Che sentimenti e idee esprime Fellini sul cinema in bianco e nero?

10. Su SATYRICON
Sottolineare le espressioni di uso generale che possono avere alta frequenza nei testi di
argomenti diversi da questo.
11. Su ROSSELLINI
Identificare le cose che Fellini riconosce a Rossellini, e quali no.

12. Su IL LAVORO CON L’ATTORE


a. Mettere in rapporto il participio tratti con l’uso di tratto che appare nella
presentazione di tutti i testi della dispensa e individuare l’infinito: si capisce il suo
senso?
b. Tradurre mi capita spesso di dire.

13. Su LE FACCE
a. Senza usare il dizionario, dedurre il significato di scelta e di comparsa (falso amico).
b. Sottolineare tutti gli avverbi e le espressioni verbali di frequenza, e metterli in ordine
progressivo, da mai a sempre.

֍ Per approfondire, vedi il video su Fellini in www.youtube.com/watch?v=I1qjUwWbI8E

֍ Vedi il video di Federico FELLINI intervistato da Enzo Biagi in


https://www.youtube.com/watch?v=7AN5wlQPMeU

Federico FELLINI intervistato da Enzo Biagi (2) INEDITO (youtube.com)

Ascolta i primi 1:20 minuti dell’intervista fatta da Enzo Biagi a Fellini, e la testimonianza di Giulietta

Masina

1. Inserisci nella colonna giusta gli attributi di cui parla Giulietta:

caricatura - sposina - grottesco -esasperata - dolcissima

Archetipo femminile nei film “Lo sceicco bianco”, “I Vitelloni”

Archetipo femminile nei film “Le citta’ delle donne”, “Casanova”

2. Lavora con una compagna. Potete spiegare con le vostre parole in cosa consiste la progressione

della figura femminile che Giulietta osserva nell’opera di Fellini?


21.

Da ''La dolce vita'' a ''La grande bellezza''. Un viaggio lungo


quarant'anni
[Tratto da https://www.tesionline.it/tesi/48061/Il-cinema-italiano-tra-gli-anni-%2760-e-%2770]

Questa tesi di laurea analizza due periodi storici italiani: gli anni del miracolo economico
italiano, dal 1958 al 1963 e gli anni a ridosso del nuovo millennio, dal 1990 ai nostri giorni. Lo
studio è improntato sull'evoluzione della vita degli italiani durante due periodi storici così
vicini, eppure distanti tra loro, prendendo in esame due prodotti cinematografici. I due film
5 scelti per l'analisi sono La dolce vita di Federico Fellini e La grande bellezza di Paolo
Sorrentino. La scelta non è stata propriamente casuale.

La dolce vita, infatti, è un film che senza ombra di dubbio rappresenta un'epoca, un film che
ha fatto la storia e che ancora oggi vive nell'immaginario degli italiani e che, soprattutto, ha
contribuito a dare un'idea precisa dell'Italia e degli italiani all'estero. Anche se all'epoca
10 scatenò non poche polemiche, La dolce vita è il film che ha fatto diventare Fellini conosciuto
in tutto il mondo e che ha mostrato Roma e tutti i suoi abitanti sotto una luce diversa. Con La
dolce vita si intuisce sempre di più come il cinema di Fellini sia legato a doppio filo con la
realtà storica italiana e rappresenta a pieno sia la cultura popolare che il cammino fatto dagli
italiani dal dopoguerra al boom economico.

15 Scegliere La grande bellezza come film speculare de La dolce vita è stato facile e,
probabilmente, appare anche un po' scontato. La scelta non è stata, però, voluta dal caso: dal
1960 (anno di uscita nelle sale del capolavoro felliniano) ad oggi non è stato prodotto, in Italia,
nessun film che inquadrasse un contesto storico e lo rappresentasse efficacemente così come
ha fatto, in realtà, il film di Paolo Sorrentino. Nonostante le polemiche e un'accoglienza a dir
20 poco glaciale dalla maggior parte dei critici italiani, e soprattutto nonostante le accuse di voler
imitare blandamente il capolavoro felliniano, La grande bellezza è l'unico film che riesce,
mediante una passeggiata in una Roma esausta ma bellissima e affollata dai suoi freaks, a
rappresentare uno spaccato della vacua società in cui stiamo vivendo.
Questa tesi si sviluppa, nei primi due capitoli, in modo simmetrico. Nel primo capitolo è
25 analizzato, in modo approfondito, il contesto storico, sociale e culturale dell'Italia durante il
boom economico, vengono fatti brevi accenni bibliografici su Federico Fellini e poi viene
analizzato La dolce vita, approfondendone, in modo particolareggiato, la trama, gli episodi, i
personaggi principali che ci vengono mostrati nel film, l'ambientazione e, infine, l'accoglienza
del film da parte di pubblico e critica. Allo stesso modo, il secondo capitolo approfondisce il
30 complesso quadro storico italiano dall'inizio degli anni Novanta fino agli eventi del 2013, e
dopo una breve bibliografia di Paolo Sorrentino si passa all'analisi di trama, personaggi,
ambientazioni, critiche e lodi de La grande bellezza. Il terzo capitolo si propone come il fulcro
di tutto l'elaborato, mediante un attento parallelismo tra i due film, enfatizzandone i punti in
comune, e dimostrando come La dolce vita e La grande bellezza siano due film quasi
35 complementari che riescono a raccontare, in modo analogo ma al contempo insolito, una città
come Roma e un Paese come l'Italia.
1. Dopo aver letto il testo rispondi:
a. Che tipo di testo è e chi sono i suoi destinatari?
b. Avete visto questi film? Se sí, racconta quello che ricordi; se invece non li hai
visti, cerca di immaginare il loro argomento.
c. Come sono stati accolti i film dai critici italiani?
d. Che cambiamenti economici raffigura il passaggio dal primo al secondo film?
e. Come rappresenta La grande bellezza la società italiana?
f. Che opinione vi merita la materia di questa tesi?
g. Quali film argentini pensi che rappresentino la società argentina? Sceglietene
2 o 3 e giustificate la vostra risposta.

2. Osservate la griglia e inserite le preposizioni articolate come negli esempli:

il lo l’ la i gli le

di del

da

in nella

3. Rileggete il testo e quelli di Fellini, ed elencate i termini della microlingua del cinema.
C’è un falso amico: quale?
22.

Chi sono le sardine. Storia di un movimento e del suo


nome
Dai social alla piazza, la rapida parabola del nuovo movimento
anti-lega con molti dubbi e i soliti slogan anti-Salvini
Prima Bologna, poi Modena. E' la breve ma già rumorosa storia delle "sardine", il
movimento di protesta anti Salvini che sta cercando di porsi come argine al
5 centrodestra nelle prossime elezioni regionali in programma in Emilia fine gennaio.
"Nessun insulto, nessun simbolo, nessun partito". Parola di Mattia Santoni, 32 anni,
laureato in scienze politiche collaboratore per una rivista legata Romano Prodi, uno
degli ideatori del cosiddetto movimento delle sardine.

Da dove nasce il movimento delle sardine.

10 Un'idea, come ha spiegato il giovane al «Resto del Carlino», nata nel corso di una notte
insonne insieme a tre amici: Roberto Morotti, 31 anni, ingegnere, Giulia Trappoloni,
30 anni, fisioterapista, Andrea Garreffa, 30 anni, guida turística. Santoni non poteva
accettare che nella rossa Bologna la Lega di Matteo Salvini facesse campagna elettorale
a sostegno della candidatura di Lucia Borgonzoni alla poltrona di presidente della
15 regione Emilia Romagna in opposizione al presidente uscente, il piddino Stefano
Bonaccini.

Da qui l'idea che all'appuntamento leghista per il 14 novembre al Paladozza venisse


contrapposta una sorta di manifestazione flash mob di piazza in funzione anti-Lega.
Volevamo essere almeno uno in più di loro, la mattina dopo ci siamo sentiti e abbiamo
20 organizzato tutto velocemente" ha ricordato ancora Santoni.

Perché "sardine”
Il nome “sardine" nasce dall'idea di stare tutti stretti stretti come sardine in una scatola
a dimostrazione che la piazza antileghista é forte e numerosa. Vicini e silenziosi come
pesci per abbassare i toni da quella che via Facebook é stata definita "retorica
25 populista". L'invito - definitivo - recitava: "Nessuna bandiera, nessun partito, nessun
insulto. Crea la tua sardina, partecipa alla prima rivoluzione ittica della storia". Dato
che il Paladozza, dove era in programma la manifestazione della Bergonzoni di Salvini
può contenere 5.570 persone ai 4 amici sarebbe bastato metterne insieme 6.000 per
superare il rivale.

30 Il tam tam non poteva che partire da Facebook con la creazione dell'evento "Seimila
sardine contro Salvini" dove si invitavano bolognesi ad accorrere numerosi in piazza
spiegando: "Il Paladozza ha una capienza massima di 5.570 persone. Non puoi andare
oltre, per problemi di sicurezza e soprattutto di spazio. Ecco allora che vogliamo
lanciare un flash-mob: abbiamo misurato che sul crescentone di Piazza Maggiore ci
35 stanno fino 6.000 persone".

Da Bologna a Modena

E così in 15mila sono arrivati giovedì 14 novembre a Piazza Maggiore, armati di sardine
di cartone per quella che non avrebbe dovuto essere una manifestazione politica ma un
flash mob della società civile. In realtà in molti ci vedono dietro burattinai della sinistra
40 che, da dietro le quinte, tessono le file di un potenziale movimento nato dal basso. I
ragazzi, inoltre, non si sono fatti trovare impreparati al successo della loro "rivoluzione
ittica" prontamente si sono fatti "ponte" - come detto al «Resto del Carlino» - per
organizzare analoghi eventi altrove. Dopo Bologna, infatti, è stata la volta di Modena,
dove gli anti Salvini sono stati 7.000 stretti come sardine in Piazza Grande. Anche in
45 questo caso l'antileghismo era tutto indirizzato boicottare la candidatura della
Borgonzoni alla guida della regione. Via Facebook digitando "6.000 sardine"
compaiono eventi in fieri in mezza Italia: da Firenze a Torino o Rimini. E se il
segretario Pd Nicola Zingaretti plaude l'iniziativa indirizzando la paternità del
movimentismo ittico sotto l'ala partitica, Matteo Salvini ricorda che tra gli
50 organizzatori c'è anche chi, senza andare troppo sul sottile, in passato gli ha augurato
la morte. Alla faccia del clima d'odio di violenza.

[Tratto da https://www.panorama.it/news/sardine-storia-movimento-nome-lega-salvini]

1. Dopo aver letto l’articolo, rispondi insieme a un compagno o compagna:


a. Chi sono stati gli ideatori del movimento delle sardine?
b. Che cosa vuol dire “Nessuna bandiera, nessun insulto, nessun simbolo,
nessun partito”? Spiegate il concetto.
c. Quante persone volevano riunire e quante ce ne sono state quel 14
novembre a Piazza maggiore?

2. Con l’aiuto del dizionario e della rete, cercate di spiegare che cosa vogliono dire le
seguenti espressioni:
la rossa Bologna (r. 13)
ci vedono dietro burattinai della sinistra (r. 39)
dietro le quinte (r. 40)
tessono le file (r. 40)
3. Trovate nel testo le preposizioni articolate dal, alla e nelle, e traducete le frasi che le
includono.
4. Osservate queste forme verbali: facesse - venisse. Qual è il loro infinito?
5. Avete trovato qualche falso amico?
6. Rintracciate nel testo le forme verbali ha spiegato - ci siamo sentiti - abbiamo organizzato - ha
ricordato; traducete le frasi che le contengono e cercate di dedurre il loro infinito.
7. Leggete queste espressioni nei loro contesti: antileghista (r. 23) /antileghismo (r. 45) - stretti
stretti (r. 23). Capite il loro significato?

→ Per approfondire, leggi il testo sul sistema politico italiano nella seconda sezione
(p. 130).
23.
LA QUESTIONE MERIDIONALE
Lavora con un compagno o compagna:
1. Qualcuno di voi è stato in Italia? Avete sentito parlare delle differenze tra
Nord e Sud? Che immagini avete delle due zone?
2. Mettete in ogni colonna i termini di significato analogo e gli elementi del
loro immaginario:

SUD NORD

3. Confrontate con la classe e aggiungete, con l’aiuto dell’insegnante, altri


termini che associate con il Sud e il Nord di Italia.

4. Leggete ora il testo, e poi risolvete le attività.


La questione meridionale, di Guido Pescosolido - Dizionario di Storia (2010) [Testo adattato
da www.treccani.it/enciclopedia/la-questione-meridionale_%28Dizionario-di-Storia%29/]
L’espressione «questione meridionale» indica l’insieme dei problemi posti dall’esistenza nel
Mezzogiorno d’Italia dal 1861 sino a oggi di un più basso livello di sviluppo economico, di un
diverso e più arretrato sistema di relazioni sociali, di un più debole svolgimento di molti e
importanti aspetti della vita civile rispetto alle regioni centrosettentrionali.
5 Il grave degrado della vita amministrativa e dei sistemi di potere locali e l’indigenza in cui
versavano nel Mezzogiorno le masse popolari furono portati per la prima volta all’attenzione
dell’opinione pubblica nazionale e delle classi dirigenti nei primi anni Settanta dell’Ottocento
dagli studi di P. Villari e dalle inchieste di L. Franchetti e S. Sonnino, che denunciarono
l’insufficienza dell’azione dello Stato nel Mezzogiorno, [...] riponendo nello Stato unitario
10 stesso qualunque speranza di soluzione dei problemi meridionali. La proposta di rimedio dei
mali descritti fu, infatti, una serie di riforme promosse dal governo in materia economica,
sociale e amministrativa (alleggerimento del carico fiscale, facilitazioni creditizie, riforma dei
contratti agrari).
A partire dalla metà degli anni Ottanta si ebbe una differenziazione strutturale degli apparati
15 produttivi della penisola molto più accentuata di quella esistente nel 1861, quando Nord e Sud
avevano entrambi un’economia largamente agricolo-commerciale e un apparato industriale
minimo. Dagli anni Ottanta a un Mezzogiorno persistentemente agricolo-commerciale si
contrappose un’Italia settentrionale sensibilmente industrializzata. La differenza di reddito
pro capite tra le due macroaree cominciò allora a crescere sensibilmente. Le plebi meridionali
20 diedero luogo tra la metà degli anni Ottanta e lo scoppio della Prima guerra mondiale alla più
grande emigrazione di massa all’estero della storia del Mezzogiorno.
Nell’ambito del pensiero meridionalista comparvero nomi nuovi. G. Fortunato, F.S. Nitti, A. De
Viti De Marco, G. Salvemini, L. Einaudi sostennero che tra Ottocento e Novecento esistevano
due Italie, geografiche, economiche, sociali, che procedevano a velocità diverse. Il
25 protezionismo introdotto nel 1887, mentre favoriva la cerealicoltura estensiva del latifondo,
esponeva le esportazioni di prodotti dell’agricoltura specializzata del Mezzogiorno alle
ritorsioni commerciali francesi. Il Sud era ridotto a mercato coloniale delle industrie
settentrionali, nell’interesse degli industriali del Nord e dei latifondisti del Sud, alleati in un
blocco politico-sociale conservatore e protezionista.
30 Per Salvemini questo stato di cose poteva essere scardinato solo mediante un’azione politica
dal basso tendente al cambiamento radicale della forma dello Stato in senso federalista.
Operai del Nord e contadini del Sud avrebbero dovuto lottare per l’introduzione del suffragio
universale e, attraverso i mutati equilibri politici che ne sarebbero conseguiti, spezzare il
blocco protezionista tra industriali e latifondisti che danneggiava non solo il Mezzogiorno ma
35 l’intera economia nazionale.
Al contrario di Salvemini, Nitti, dopo una prima fase liberista e dopo avere messo in luce come
lo Stato italiano avesse drenato risorse dal Sud al Nord attraverso le leve della politica fiscale
e della spesa pubblica, si convinse della giustezza della scelta protezionista. In un contesto
internazionale di altissima competitività essa soltanto poteva garantire al Paese un avvenire
40 industriale, senza il quale l’Italia intera sarebbe stata condannata all’arretratezza permanente.
Alla luce di tale superiore interesse nazionale si poteva anche giustificare il sacrificio del Sud,
a patto però che lo Stato si facesse carico di una politica correttiva dello squilibrio
promuovendo anche nel Mezzogiorno, con interventi legislativi specifici, un processo di
industrializzazione, collegato a un razionale riordino delle risorse idrogeologiche indispensabili
45 allo sviluppo della produzione di energia elettrica. La legislazione speciale a favore delle
regioni meridionali varata dal governo Giolitti all’inizio del sec. 20° derivò soprattutto da
questa sua analisi.
Per quanto apprezzabili, i risultati della legislazione speciale, fra cui la costruzione
dell’impianto siderurgico di Bagnoli a Napoli, l’acquedotto pugliese, la direttissima Roma-
50 Napoli, non ridussero però, né tanto meno annullarono il divario Nord-Sud. Le necessità
belliche della Prima guerra mondiale, le successive politiche di restringimento degli scambi di
merci e risorse umane affermatesi a livello mondiale tra gli anni Venti e Trenta, le scelte di
politica demografica del fascismo e infine la Seconda guerra mondiale e la ricostruzione
agirono tutte in modo che alla fine degli anni Quaranta del Novecento il dislivello economico
55 Nord-Sud raggiungesse i suoi massimi storici.
All’indomani del secondo conflitto mondiale si ebbe una vigorosa ripresa dell’azione di
denuncia e proposta dei maggiori meridionalisti, nonché dei partiti che si riaffacciavano
ufficialmente alla vita politica. Di fronte alla gravità del divario apparvero subito fuori tempo
le posizioni della destra liberista, favorevole all’attesa dei tempi lunghi della crescita
60 spontanea dell’economia meridionale. Tutte le altre forze intellettuali e politiche ritenevano
indispensabile e urgente un intervento straordinario dello Stato sugli assetti socioeconomici
del Mezzogiorno. Le differenze strategiche tra forze di ispirazione comunista, socialista,
liberal-democratica e cattolica erano tuttavia marcate. Il PCI riproponeva sostanzialmente
immutata la strategia di alleanza tra operai del Nord e contadini del Sud che Gramsci
65 all’indomani del primo conflitto mondiale aveva ripreso da Salvemini, inserendola nel disegno
rivoluzionario marxista del suo partito. La riforma agraria fu concepita come strumento di
avvio di un processo rivoluzionario degli assetti sociali e politici dell’intera società meridionale
e nazionale. Fu in questa prospettiva che il Partito comunista, fiancheggiato dalla rivista
Cronache meridionali, assunse una posizione avversa a quasi tutti i provvedimenti specifici
70 varati a favore del Sud negli anni Cinquanta, inclusa l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno
e, più tardi, la stessa adesione al MEC. Alla riforma agraria guardavano con favore anche
esponenti importanti del mondo cattolico. Riprendendo la linea di L. Sturzo, essi vedevano
nella formazione di una piccola proprietà coltivatrice lo strumento principe per il rilancio del
processo di modernizzazione di una società rurale meridionale elettoralmente controllata
75 dalla DC [Democrazia Cristiana]. La riforma agraria era al centro anche del «grande disegno»
di M. Rossi Doria e del meridionalismo socialista non inserito nell’orbita comunista. Nella
riforma Rossi Doria vedeva un fondamentale strumento modernizzatore sul modello delle
esperienze delle aree arretrate degli Stati Uniti. Le soluzioni prospettate puntavano a duraturi
e significativi miglioramenti produttivistici, anche se insufficienti a riequilibrare il rapporto tra
80 popolazione e risorse nel Mezzogiorno, un rapporto irrimediabilmente compromesso dalla
politica demografica fascista. Rossi Doria vedeva pertanto inevitabile una nuova ondata
migratoria dal Sud, come unica condizione per la creazione in tempi brevi di un’agricoltura
competitiva e l’avvio di uno sviluppo economico autopropulsivo, che avrebbe potuto in un
secondo tempo estendersi anche ad attività industriali.
85 La riforma agraria, che pure attraverso la «legge Sila» e la «legge stralcio» assestò un duro
colpo alla proprietà terriera assenteista, non rispose comunque alle aspettative di Rossi Doria.
A trainare la modernizzazione dell’agricoltura meridionale non furono mai le aree interne
investite dalla riforma, ma quelle costiere dell’agricoltura specializzata. Tanto meno la riforma
agraria fu il volano del processo di radicale sovvertimento economico e sociale preconizzato
90 dalla sinistra comunista. Il più grande processo di trasformazione della società meridionale
della nostra storia, anche se non si è concluso con la rimozione del divario, è avvenuto solo
grazie alla destinazione di una mole senza precedenti di risorse oltre che al settore agricolo
anche e soprattutto al secondario e terziario, come aveva intuito a suo tempo Nitti e come
sostennero a partire dal 1946 i fondatori della SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo
95 dell’industria nel Mezzogiorno), e poi i meridionalisti liberaldemocratici [...]. Costoro negli anni
Cinquanta ritenevano ormai improrogabile l’equiparazione del Mezzogiorno al benessere e
alla civiltà delle democrazie industriali dell’Occidente, mediante uno sviluppo che rendesse
quella meridionale una società pienamente e organicamente sviluppata in tutte le sue
componenti, rurali e urbane. E ciò attraverso un intervento straordinario che doveva avvenire
100 non solo attraverso leggi speciali come quelle dell’inizio del sec. 20°, ma anche attraverso
istituzioni finalizzate alla loro applicazione: soprattutto la Cassa per il Mezzogiorno.
La politica di intervento straordinario si concluse senza annullare il divario Nord-Sud e la sua
liquidazione sancì una crisi gravissima del meridionalismo e per alcuni anni una scomparsa
della questione meridionale dall’agenda politica del Paese. Ciò avvenne per una serie di cause:
105 crisi petrolifera, assenza di un’efficace programmazione delle forze politiche e sindacali che
non volevano attuare una rigida politica dei redditi e di contenimento dei consumi, uniformità
dei livelli salariali tra Nord e Sud che scoraggiava gli investimenti, insufficienza delle classi
dirigenti regionali di fronte alla prova dell’autonomia, crescita della malavita organizzata, uso
clientelare di parte cospicua delle risorse destinate al Mezzogiorno. Tuttavia, va anche detto
110 che l’intervento straordinario resta a tutt’oggi l’unica strategia che si sia rivelata capace, al
saldo di tutti i suoi risvolti negativi, di fare del Mezzogiorno una delle aree più progredite del
Mediterraneo, radicalmente diversa per struttura produttiva e configurazione sociale da
quella di sessant’anni addietro.
Il persistere del divario, e soprattutto l’assenza nel Mezzogiorno di una condizione strutturale
115 per cui la sua economia sia in grado di mantenere, senza il sostegno di aiuti esterni, uno
sviluppo autopropulsivo superiore a quello del Centro-Nord è peraltro un problema che non
è possibile in alcun modo ignorare. Sembra ancora attuale quanto scrisse nel 1959 R. Romeo
a proposito del ruolo del Mezzogiorno nella storia dello sviluppo economico italiano. Romeo
sostenne che il sacrificio del Mezzogiorno, ancorché obbligato, era stato altamente funzionale,
120 se non addirittura essenziale, allo sviluppo dell’industria settentrionale e dell’intera economia
nazionale fino alla Seconda guerra mondiale. Tuttavia l’arretratezza accumulata dal Sud a
causa dello sviluppo capitalistico nazionale protetto rischiava di trasformarsi ormai in un
fattore di grave rallentamento della stessa economia settentrionale. Ed è quest’ultimo
concetto che ci ricorda che è nell’interesse dell’intera comunità nazionale, e non solo del
125 Mezzogiorno, interrogarsi sulla natura odierna della questione meridionale e sui suoi possibili
rimedi.

5. Rispondete alle domande:


a. Perché alla riga 2 si parla dell’anno 1861? Che significa questa data?
b. Quali furono le misure statali di appoggio alle regioni del Sud?
c. Quali furono le cause della piú grande emigrazione meridionale?
d. Quale fenomeno politico-economico osservarono i pensatori meridionalisti?
e. Che differenza c’è tra la proposta di Salvemini e quella di Nitti?
f. Quali risultati ottennero gli interventi statali del primo Novecento in favore del
Sud?
g. Dopo la seconda guerra mondiale, quali forze politiche appoggiavano l’aiuto statale
al Sud e quali no? Perché?
h. Qual era la posizione di Rossi Doria?
i. Che conseguenze ebbe la politica di interventi straordinari del secondo Novecento?
Perché?
j. Qual è l’idea di R. Romeo che condivide Guido Pescosolido?
k. A quale conclusione arriva l’articolo? Che ideologia pensate che manifesti questa
conclusione?

6. Cercate l’infinito delle seguenti forme verbali:


a. comparvero (r. 18)
b. ebbe (r. 14, 56)

7. Traducete la seguente frase:


Tuttavia, va anche detto che l’intervento straordinario resta a tutt’oggi l’unica strategia che si sia rivelata
capace, al saldo di tutti i suoi risvolti negativi, di fare del Mezzogiorno una delle aree più progredite del
Mediterraneo, radicalmente diversa per struttura produttiva e configurazione sociale da quella di
sessant’anni addietro. (r. 109-112)
8. Osservate i seguenti elementi linguistici:
a. il termine insieme (r. 1), qui come sostantivo;
b. la preposizione sino a (r. 2, uguale a fino a, a r. 21);
c. il verbo scoraggiare: da quale radice deriva? Insieme all’insegnante, vedete altri verbi
formati dal prefisso s- con valore privativo e i loro contrari (scoprire, scomparire,
scordare, scontare, spostare, scardinare, ecc.): alcuni di essi sono nel testo.
d. i connettori nonché (r. 57), tuttavia (r. 63, 109, r. 121: falso amico); anche se (r. 79.91);
comunque (r. 86), ancorché (r. 119), addirittura (r. 120), da aggiungere allo schema di p.
86.
→ Per approfondire, leggi i testi di Saviano e di Carlo Levi, che riguardano diversi
aspetti della Questione meridionale (seconda sezione, p. 133 e p. 136).
24.
Antonio Gramsci. Letteratura e vita nazionale
1. Prima di leggere i brani di Letteratura e vita nazionale, di Antonio Gramsci, lavora in gruppo
con compagni di diversi corsi di laurea: conoscete Gramsci? Che sapete di lui? Avete letto
qualche suo testo?
2. Leggete ora l’inizio del testo, fino alla riga 54, mettendo dei titoli marginali a ogni paragrafo.
Confrontate con il resto della classe.
3. Sulla base di questa prima lettura, come pensate che veda Gramsci il problema della
letteratura nazionale (segnato con 9)? Con quali altri problemi immaginate che Gramsci
associ quelli letterari?
4. Leggete l’ultima parte del testo, e risassumetela in spagnolo in tre frasi.
5. Rileggete il testo individualmente, in silenzio, e sottolineate le frasi che non si capiscono
senza ricorrere al dizionario. Confrontate con gli studenti del gruppo: avete sottolineato le
stesse frasi? potete capirli lavorando insieme? Consultate infine l’insegnante per confermare
quello che avete capito.
6. Qualcuno di voi ha frequentato la materia Letteratura italiana? In questo caso, conoscevate
queste idee di Gramsci? Avevate un’immagine poco popolare della letteratura italiana?

Antonio Gramsci Letteratura e vita nazionale (frammenti adattati dai


Quaderni dal carcere)
Carattere non nazionale-popolare della letteratura italiana.
Nesso di problemi. Polemiche sorte nel periodo di formazione della nazione italiana e della
lotta per l'unità politica e territoriale e che hanno continuato e continuano ad ossessionare
almeno una parte degli intellettuali italiani. Alcuni di tali problemi (come quello della lingua)
molto antichi. Risalgono ai primi tempi della formazione di una unità culturale italiana. Nati
5 per il confronto tra le condizioni generali dell'Italia e quelle di altri paesi, specialmente della
Francia o per il riflesso di condizioni peculiari italiane come il fatto che la penisola fu la sede
dell'Impero Romano e divenne la sede del maggiore centro della religione cristiana. L'insieme
di questi problemi è il riflesso della faticosa elaborazione di una nazione italiana di tipo
moderno, contrastata da condizioni di equilibrio di forze interne e internazionali. [...] Nessuno
10 ha mai presentato questi problemi come un insieme collegato e coerente, ma ognuno di essi
si è ripresentato periodicamente a seconda di interessi polemici immediati, non sempre
chiaramente espressi, senza volontà di approfondimento; la trattazione ne è stata perciò fatta
in forma astrattamente culturale, intellettualistica, senza prospettiva storica esatta e pertanto
senza la ricerca di una soluzione politico-sociale concreta e coerente. Quando si dice che non
15 è mai esistita una coscienza dell'unità organica di tali problemi occorre intendersi: forse è vero
che non si è avuto il coraggio di impostare esaurientemente la quistione, perché da una tale
impostazione rigorosamente critica e consequenziaria si temeva derivassero immediatamente
pericoli vitali per la vita nazionale unitaria; questa timidezza di molti intellettuali italiani deve
essere a sua volta spiegata, ed è caratteristica della nostra vita nazionale. D'altronde pare
20 inconfutabile che nessuno di tali problemi può essere risolto isolatamente (in quanto essi sono
ancora attuali e vitali). Pertanto una trattazione critica e spassionata di tutte queste questioni
che ancora ossessionano gli intellettuali e anzi vengono oggi presentate come in via di
organica soluzione [...] può dare la traccia piú utile per ricostruire i caratteri fondamentali della
vita culturale italiana, e delle esigenze che da essi sono indicate e proposte per la soluzione.
25 Ecco il «catalogo» delle piú significative questioni da esaminare ed analizzare: 1) «Perché la
letteratura italiana non è popolare in Italia?» (per usare l'espressione di Ruggero Bonghi); 2)
esiste un teatro italiano: polemica impostata da Ferdinando Martini e che va collegata con
l'altra sulla maggiore o minore vitalità del teatro dialettale e di quello in lingua; 3) questione
della lingua nazionale, cosí come fu impostata da Alessandro Manzoni; 4) se sia esistito un
30 romanticismo italiano; 5) è necessario provocare in Italia una riforma religiosa come quella
protestante: cioè l'assenza di lotte religiose vaste e profonde determinata dall'essere stata in
Italia la sede del papato quando fermentarono le innovazioni politiche che sono alla base degli
Stati moderni fu origine di progresso o di regresso?; 6) l'Umanesimo e il Rinascimento sono
stati progressivi o regressivi?; 7) impopolarità del Risorgimento ossia indifferenza popolare nel
35 periodo delle lotte per l'indipendenza e l'unità nazionale; 8) apoliticismo del popolo italiano
che viene espresso con le frasi di «ribellismo», di «sovversivismo», di «antistatalismo»
primitivo ed elementare; 9) non esistenza di una letteratura popolare in senso stretto
(romanzi d'appendice, d'avventure, scientifici, polizieschi ecc.) e «popolarità» persistente di
questo tipo di romanzo tradotto da lingue straniere, specialmente dal francese; non esistenza
40 di una letteratura per l'infanzia. In Italia il romanzo popolare di produzione nazionale è quello
anticlericale oppure le biografie di briganti. Si ha però un primato italiano nel melodramma,
che in un certo senso è il romanzo popolare musicato. Una delle ragioni per cui tali problemi
non sono stati trattati esplicitamente e criticamente è da trovarsi nel pregiudizio retorico
(d'origine letteraria) che la nazione italiana sia sempre esistita da Roma antica ad oggi e su
45 alcuni altri idoli e borie intellettuali che se furono «utili» politicamente nel periodo della lotta
nazionale, come motivo per entusiasmare e concentrare le forze, sono inette criticamente e,
in ultima istanza, diventano un elemento di debolezza, perché non permettono di apprezzare
giustamente lo sforzo compiuto dalle generazioni che realmente lottarono per costituire
l'Italia moderna e perché inducono a una sorta di fatalismo e di aspettazione passiva di un
50 avvenire che sarebbe predeterminato completamente dal passato. [...] Anche la letteratura
regionale è stata essenzialmente folcloristica e pittoresca: il popolo «regionale» era visto
«paternalisticamente», dall'esterno, con spirito disincantato, cosmopolitico, da turisti in cerca
di sensazioni forti e originali per la loro crudezza. Agli scrittori italiani ha proprio nuociuto
l'«apoliticismo» intimo, verniciato di retorica nazionale verbosa. [...]
55 Mi pare che il problema è sempre da porre partendo dalla domanda: «Perché scrivono i
poeti? Perché dipingono i pittori? ecc.». Il Croce risponde, su per giú: per ricordare le proprie
opere, dato che, secondo l'estetica crociana, l'opera d'arte è «perfetta» anche già e solo nel
cervello dell'artista. Ciò che potrebbe ammettersi approssimativamente e in un certo senso.
Ma solo approssimativamente e in un certo senso. In realtà si ricade nella questione della
60 «natura dell'uomo» e nella questione «cos'è l'individuo?». Se non si può pensare l'individuo
fuori della società, e quindi se non si può pensare nessun individuo che non sia storicamente
determinato, è evidente che ogni individuo e anche l'artista, e ogni sua attività, non può essere
pensata fuori della società, di una società determinata. L'artista pertanto non scrive o dipinge,
ecc., cioè non «segna» esteriormente i suoi fantasmi solo per «un suo ricordo», per poter
65 rivivere l'istante della creazione, ma è artista solo in quanto «segna» esteriormente,
oggettivizza, storicizza i suoi fantasmi. Ma ogni individuo-artista è tale in modo piú o meno
largo e comprensivo, piú o meno «storico» o «sociale». [...]
È da notare come in Italia il concetto di cultura sia prettamente libresco: i giornali letterari si
occupano di libri o di chi scrive libri. Articoli di impressioni sulla vita collettiva, sui modi di
70 pensare, sui «segni del tempo», sulle modificazioni che avvengono nei costumi, ecc., non se
ne leggono mai. Differenza tra la letteratura italiana e le altre letterature. In Italia mancano i
memorialisti e sono rari i biografi e gli autobiografi. Manca l'interesse per l'uomo vivente, per
la vita vissuta. [...] È un altro segno del distacco degli intellettuali italiani dalla realtà popolare-
nazionale.
75 Consenso della nazione o degli «spiriti eletti». Cosa deve interessare di piú un artista, il
consenso all'opera sua della «nazione» o quello degli «spiriti eletti»? Ma può esserci
separazione tra «spiriti eletti» e «nazione»? Il fatto che la questione sia stata posta e si
continui a porre in questi termini, mostra per se stesso una situazione determinata
storicamente di distacco tra intellettuali e nazione. Quali sono poi gli «spiriti» reputati
80 «eletti»? Ogni scrittore o artista ha i suoi «spiriti eletti», cioè si ha la realtà di una disgregazione
degli intellettuali in sette di «spiriti eletti», disgregazione che appunto dipende dalla non
aderenza alla nazione-popolo, dal fatto che il «contenuto» sentimentale dell'arte, il mondo
culturale è astratto dalle correnti profonde della vita popolare-nazionale, che essa stessa
rimane disgregata e senza espressione. Ogni movimento intellettuale diventa o ridiventa
85 nazionale se si è verificata una «andata al popolo», se si è avuta una fase «Riforma» e non solo
una fase «Rinascimento» e se le fasi «Riforma-Rinascimento» si susseguono organicamente e
non coincidono con fasi storiche distinte (come in Italia, in cui tra il movimento comunale –
riforma – e quello del Rinascimento c'è stato uno iato storico dal punto di vista della
partecipazione popolare alla vita pubblica). Anche se si dovesse cominciare con lo scrivere
90 «romanzi d'appendice» e versi da melodramma, senza un periodo di andata al popolo non c'è
«Rinascimento» e non c'è letteratura nazionale.

֍ Per approfondire, vedi il video in cui Berlinguer racconta la formazione di


Gramsci in Sardegna,
https://www.youtube.com/watch?v=dazOW1JUvWs
(Sardegna Ritratti - Antonio Gramsci 1/3 (youtube.com)

troverai molti termini che sono nel testo sulla Questione meridionale.
25.
Recensione del film I cento passi

[Tratto da https://movieplayer.it/articoli/l-ostinata-lotta-di-un-uomo-onesto_156/]

I cento passi (2000)


RECENSIONE di ALESSANDRA SESSA — 17/04/2003

L'ostinata lotta di un uomo onesto

Marco Tullio Giordana dirige un ottimo Luigi Lo Cascio con intensità e partecipazione.

A Cinisi, Palermo, si consuma la storia vera di Peppino Impastato ribellatosi al padre mafioso e alla cultura
del silenzio. La sua adolescenza coincide con il '68. La denuncia di Peppino non conosce compromessi passando
5 per i circoli culturali, comizi politici, e Radio Aut, l'emittente locale. I cento passi sono quelli che separano la casa
di Peppino da quella del boss Badalamenti, suo zio.

Onora tuo padre è il primo e più importante comandamento per gli uomini di Cinisi. Onora tuo padre è la frase che
Luigi Impastato ripete al figlio Peppino prendendolo per il collo e implorandolo di ripeterla, ascoltarla, seguirla.
Già, l'onore! Quella parola che rimbalza sulle bocche degli uomini di mafia. Quella parola in nome della quale
10 si commettono omicidi ed ogni sorta di efferatezze, coperte da un silenzio colpevole quasi quanto gli esecutori.

La pungente e scomoda ironia di Peppino, dai microfoni della piccola emittente libera Radio Aut, è l'arma più
forte, l'esplosivo più potente contro il governo "dell'onorevole" don Tano, Gaetano Badalamenti, capo indiscusso
del regno di Mafiopoli-Cinisi.

Ogni sopruso, ogni imbroglio, ogni ingiustizia viene smascherata dalle sarcastiche parole di Peppino, militante nel
15 partito comunista, e disonore della famiglia.

Voce fuori dal coro, pecorella smarrita di quel gregge di pecoroni, che procede senza mai voltarsi.

Peppino ebbe il coraggio, la forza, l'incoscienza di voltarsi, di voltare le spalle a quello zio potente e pericoloso, e con
lui a suo padre.

Il rapporto conflittuale tra padre e figlio, molto presente ne I Cento Passi, è anche il tema del ciclo al quale il film
20 appartiene.

Nell'infanzia di Peppino, il padre è presente solo nell'impartire il rispetto e la sottomissione al clan, che si manifesta
nella poesia imparata a memoria e recitata davanti a tutta la famiglia mafiosa.

Il punto di riferimento è invece l'amato zio Cesare, mafioso ma non accomodante, che per questo viene fatto saltare
in aria.
25 Interessante è notare come al funerale dello zio, il piccolo Peppino rimanga in disparte; sprofondato in quell'enorme
poltrona rossa, i suoi vispi e puri occhi neri guardano ogni cosa, scrutano ogni persona soffermandosi su zio Tano,
che come entra fa abbassare gli sguardi e cessare le preghiere.

Poi l'adolescenza, di colore rosso come le bandiere che vuole rappresentare. Comunista si chiama il nemico dei mafiosi,
Peppino il nemico di Cinisi.

30 Iniziano così le manifestazioni di piazza, i giornali di denuncia, le trasmissioni della radio di provincia, il '68 e le
contestazioni. Impastato figlio si fa leader e portatore del movimento libertario contro Impastato padre, roccaforte di
quei valori mafiosi tradizionali.

Con orgoglio e rabbia Peppino percorre quei cento passi, che separano la sua casa da quella di don Tano. Con
passione e forza urla la sua indignazione verso i servili leccapiedi dei potenti, a partire da suo padre. Afflitto e
35 rassegnato per aver fallito nell'educazione del figlio ribelle, Luigi Impastato preferisce partire, lasciare quella casa
ormai disonorata. Ma il suo ritorno è un tentativo di riconciliazione, un ultimo disperato tentativo di proteggerlo.
L'orgoglio paterno prevale su quello mafioso.

Straordinari tutti gli interpreti, a cominciare dal protagonista Luigi Lo Cascio, nuova promessa del cinema italiano,
fino al fedele compagno al quale è affidato l'ultimo commosso discorso a Radio Aut, prima di chiudere i battenti.

40 Una storia vera quella di Peppino Impastato, morto ammazzato a Cinisi il 9 maggio 1978, giorno in cui la stampa
si occupava del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, avvenimento ben più importante del piccolo siciliano di
provincia. Suicidio si disse per vent'anni, prima che Gaetano Badalamenti fosse ritenuto responsabile. Le immagini
finali del corteo funebre sono scandite dai pugni alzati, e accese dal rosso delle bandiere. Colore che sfuma in un
bianco e nero, quasi a consacrare e consegnare quel piccolo uomo alla memoria, ripercorrendo quei cento passi, ora
45 accompagnato da mille voci.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
--

[Tratto da https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/i-cento-passi/37266/]

50

Dalle note di regia: "Questo non è un film sulla mafia, non appartiene al genere. E' piuttosto un film
sull'energia, sulla voglia di costruire, sull'immaginazione e la felicità di un gruppo di ragazzi che hanno osato
guardare il cielo e sfidare il mondo nell'illusione di cambiarlo. E' un film sul conflitto familiare, sull'amore e la
disillusione, sulla vergogna di appartenere a uno stesso sangue. E' un film su ciò che di buono i ragazzi del'68 sono
55 riusciti a fare, sulle loro utopie, sul loro coraggio. Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non
esista (ma questo non riguarda solo i siciliani) molto si deve all'esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia,
al loro dolore, alla loro allegra disobbedienza.

1. Con l’aiuto del dizionario cerca di spiegare che cosa vogliono dire le seguenti
espressioni:
- pecorella smarrita (r.16)
- saltare in aria (r. 23-24)
- chiudere i battenti (r.39)
- leccapiedi (r.34)
2. Traduci le seguenti frasi, contenenti preposizioni articolate:
Quella parola che rimbalza sulle bocche degli uomini di mafia. Quella parola in nome della
quale si commettono omicidi ed ogni sorta di efferatezze, coperte da un silenzio colpevole quasi
quanto gli esecutori. (r. 9-11)

La pungente e scomoda ironia di Peppino, dai microfoni della piccola emittente libera Radio Aut,
è l'arma più forte, l'esplosivo più potente contro il governo " dell'onorevole" don Tano, Gaetano
Badalamenti, capo indiscusso del regno di Mafiopoli-Cinisi. (r. 12-14)

Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non esista (ma questo non riguarda
solo i siciliani) molto si deve all'esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia, al loro dolore,
alla loro allegra disobbedienza. (r. 57-59)

3. Osserva queste forme verbali: si consuma - si commetono - si manifesta - soffermandosi


- si occupava.. Qual è il loro infinito?
4. Hai trovato qualche falso amico?
5. Nel testo fa riferimento a due persone che muoiono lo stesso giorno: chi sono?
6. Osserva questi pronomi:
Onora tuo padre è la frase che Luigi Impastato ripete al figlio Peppino prendendolo per il
collo e implorandolo di ripeterla, ascoltarla, seguirla. (r. 7-9)
Ora traduci le frasi.
→ Per approfondire, leggi il testo sulla Storia della Mafia (seconda sezione, p. 137).
26.
Il seguente testo è stato scritto da uno studente della scuola superiore. Durante la lettura, cerca di
individuare gli elementi che manifestano la sua condizione di scrittore non professionista.
RAPPORTI TRA STATO E CHIESA

[Tratto da https://doc.studenti.it/tema/italiano/chiesa-stato.html]

La complessa vicenda dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, con Roma
simbolo delle massime istituzioni di entrambi, è lunga quasi un secolo e mezzo.
La celebre frase espressa da Cavour nei discorsi del 1861 al primo Parlamento italiano “libera
Chiesa in libero Stato” è un principio ancora oggi assolutamente moderno. Cavour si dichiarava
5 cattolico, ma non voleva che lo Stato fosse cattolico.
Aveva a paragone il modello degli Stati Uniti, dove lo Stato non aveva alcuna caratteristica
religiosa.
RAPPORTO STATO CHIESA DALL'UNITA' D'ITALIA AI PATTI LATERANENSI
Dal 1870 ad oggi però non sempre il rapporto tra l’Italia e la Santa Sede è stato un modello di
10 collaborazione: anche dopo il Concordato del 1929 (Patti Lateranensi) c’è sempre stata una
convivenza trascorsa tra reciproci vantaggi e diffidenze. L’accordo tra lo Stato Italiano e la
Santa Sede fu firmato allo scopo di stabilire un mutuo riconoscimento tra il Regno d’Italia e la
Città del Vaticano. I patti garantirono alla Chiesa il riconoscimento della religione cattolica
come unica religione di Stato in Italia con l’inserimento dell‘insegnamento della religione
15 cattolica nelle scuole pubbliche.
RAPPORTI TRA STATO E CHIESA NELLA COSTITUZIONE
Questi accordi vennero poi riconfermati dalla Costituzione del 1947, dove l’art. 7 dichiara che
“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro
rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi”. Venne quindi riconfermata la religione cattolica
20 come religione di Stato, anche se il successivo art. 8 della Costituzione dice che tutte le
confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge e che tutte le religioni diverse
da quella cattolica hanno diritto di organizzarsi se non in contrasto con l’ordinamento giuridico
italiano. Questo fu un bel passo verso la libertà di religione.
Con il nuovo concordato firmato nel 1984 la religione cattolica non è più considerata come
25 sola religione dello Stato Italiano e quindi l’insegnamento nella scuola non è più un obbligo
ma ha carattere facoltativo.
RAPPORTI TRA STATO E CHIESA OGGI Da qui sono sorte tutte le discussioni sulla presenza dei
crocifissi negli edifici pubblici. Nelle scuole, nelle aule di tribunale, negli ospedali si trova
spesso esposto il crocifisso. Negli ultimi anni sono state formulate diverse richieste di
30 rimozione del crocifisso. Richieste sempre respinte perché la sua presenza viene attribuita al
patrimonio storico-culturale italiano. D’altra parte i fautori della rimozione sostengono che in
uno Stato laico, che non prevede religioni di Stato, la presenza di un simbolo cristiano è un
privilegio per la religione cattolica. Quindi, poiché non è possibile esporre i simboli di tutte le
religioni, andrebbe tolto il crocifisso.
35 Tanti altri argomenti, però - il referendum sul divorzio, l’aborto, la procreazione assistita -
hanno da sempre caratterizzato il delicato equilibrio tra laicità e religione. Anche i Presidenti
della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro prima e dopo Giorgio Napolitano - recatosi proprio
lunedì 20 novembre in udienza dal Papa - hanno affermato con decisione il carattere laico
della Stato italiano.
40 Del discorso pronunciato da Scalfaro in visita a Giovanni Paolo II riporto una frase significativa:
“La laicità dello Stato, che è presupposto di libertà ed eguaglianza per ogni fede religiosa, non
toglie, ma aumenta l’impegno di chi vive, o cerca di vivere, i valori cristiani”.

1. Per capire questo testo, quali degli elementi che seguono devono essere noti
o cercati in un’enciclopedia? Quali invece si capiscono abbastanza dal
contesto?
Santa Sede, Patti Lateranensi, Vaticano, Scalfaro, Napolitano, Giovanni Paolo
II, crocifisso.
2. Indica l’evoluzione della presenza della religione cattolica nella scuola italiana
durante le successive fasi storiche.
3. Spiega in che cosa consiste il dibattito sul crocifisso.
4. Osserva insieme alla classe e all’insegnante le forme di voce passiva con gli
ausiliari venire e andare.
5. Traduci insieme a un gruppo di compagni le seguenti espressioni, e confronta
poi con gli altri gruppi:
a. c’è sempre stata una convivenza trascorsa tra reciproci vantaggi e diffidenze (r. 11)
b. Venne quindi riconfermata la religione cattolica come religione di Stato, anche se il successivo
art. 8 della Costituzione dice che tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti
alla legge (r. 19-21)
c. poiché non è possibile esporre i simboli di tutte le religioni, andrebbe tolto il crocifisso (r. 33-
34).
6. Sottolineate tutti i connettori, e aggiungeteli all’elenco di p. 86.
֍ 7 Per approfondire, vedi il video sui Patti Lateranesi in
https://www.youtube.com/watch?v=Dxn9qDVbRUk
Guarda il video e rispondi in spagnolo:
a) Quali sono stati i vantaggi che ottennero il Fascismo e il Vaticano con i patti Lateranensi?
b) Ci sono stati soltanto vantaggi economici oppure anche vantaggi di altro tipo?
27.
[Tratto da
https://www.repubblica.it/cronaca/2019/10/15/news/greenpeace_rintraccia_in_polonia_45_to
nnellate_di_rifiuti_italiani-238644366/]

Greenpeace rintraccia in Polonia 45 tonnellate di rifiuti italiani

La denuncia degli attivisti: "Cento balle di plastica destinate al riciclo sono state
abbandonate in un distributore dismesso". Le autorità polacche: "Rifiuti illegali"
ROMA - Quarantacinque tonnellate di plastica italiana alle spalle di un distributore di
benzina dismesso. Nell'area di Gliwice, sud della Polonia. Le ha trovate Greenpeace
5 Italia, che all'inizio di settembre aveva già individuato un sito illegale di stoccaggio
nella provincia di Smirne, in Turchia. La questione seria è che le ultime cento balle
ammassate a Gliwice, di cui appunto almeno cinquanta di provenienza italiana, sono
rifiuti riciclabili con ogni probabilità prodotti nel nostro Paese.
La squadra investigativa di Greenpeace è salita a Gliwice e ha documentato la
10 presenza di etichette "di noti prodotti italiani" passati, come rifiuto, dall'impianto
italiano della ditta Di Gennaro spa, centro di selezione con sede a Marcianise, area
industriale del Casertano, che opera anche per Corepla, il Consorzio nazionale per il
recupero e il riciclo.

15 Montagne di rifiuti italiani abbandonati in


Polonia, il video denuncia di Greenpeace
"Quello che abbiamo documentato in Polonia è inaccettabile e vanifica gli sforzi quotidiani
di migliaia di cittadini nel separare e differenziare correttamente i rifiuti in plastica",
dice Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
20 "Questo caso conferma che il sistema non riesce a gestire in modo appropriato l'enorme
quantità di rifiuti in plastica. Riciclare non è la soluzione, è necessario ridurre subito la
produzione a partire dalla frazione di difficile riciclo, l'usa e getta".

La spedizione effettuata dall'azienda Di Gennaro, tramite l'intermediario Agf Umbria, da sedici


25 mesi è al centro di un contenzioso tra Polonia e Italia. A giugno 2018 l'Ispettorato generale per
la protezione ambientale polacco (Gios), in un dossier che ha condiviso con la stessa
associazione ambientalista, ha contestato alcune anomalie nella spedizione: lo scarico dei
rifiuti in un sito diverso da quello indicato nei documenti, per esempio, e un'errata attribuzione
del Codice europeo del rifiuto (Cer). Le autorità polacche hanno definito il trasporto di rifiuti
30 "illegale". Nel luglio e nel novembre 2018 l'ente polacco ha inviato due lettere alla Regione
Campania. Per l'Uod, Autorizzazioni ambientali e rifiuti di Napoli, tuttavia, "le balle ritrovate
sono state recuperate secondo la legge". Dello stesso avviso, spiega Greenpeace, sono le
aziende Agf Umbria e appunto Di Gennaro.

35 "Sulla carta è previsto che chi produce un rifiuto debba anche avere comunicazione su come
sia stato smaltito. Questo avviene affidandosi ai documenti, ma un controllo di tutte queste
fasi non sempre c'è", ha commentato Roberto Pennisi, sostituto procuratore della Direzione
nazionale antimafia.

1. Dopo aver letto il testo, rispondi:


a) Di che cosa si occupa Gennaro Spa?
b) Perché non basta riciclare secondo il giornalista?
c) Quali sono le due anomalie verificatesi?
d) Qual è l’ufficio che si occupa di controllare?
2. Traduci le frasi che contengono parole in grassetto.
3. Traduci questo paragrafo, facendo attenzione al falso amico evidenziato in grassetto (r. 25-
29):
A giugno 2018 l'Ispettorato generale per la protezione ambientale polacco (Gios), in un dossier che ha
condiviso con la stessa associazione ambientalista, ha contestato alcune anomalie nella spedizione: lo
scarico dei rifiuti in un sito diverso da quello indicato nei documenti, per esempio, e un'errata attribuzione del
Codice europeo del rifiuto (Cer).
Qual è l’infinito del verbo? Cerca alcuni sinonimi di questa parola.
4. Nel seguente paragrafo, qual è l’antecedente di questo?
"Sulla carta è previsto che chi produce un rifiuto debba anche avere comunicazione su come
sia stato smaltito. Questo avviene affidandosi ai documenti, ma un controllo di tutte queste
fasi non sempre c'è". (r. 35-37)

֍ 5. Per approfondire, vedi il video scherzoso in


https://www.youtube.com/watch?v=rE4fRFkjtl4.

→ Per approfondire, leggi il testo sull’ecologia come tema dell’esame di maturità (seconda
sezione, p. 140).
CONNETTORI LOGICI

consecutivi causali finali esplicativi avversativi avversativi


parziali

pertanto perché perché ossia però anche se

allora perciò affinché cioè ma ciò nonostante

tuttavia

FALSI AMICI

PAROLA SIGNIFICATO PAROLA SIGNIFICATO

attaccata ( 2)

fino ( 2)

spesso ( 2)
SECONDA SEZIONE
Testi di approfondimento
CHE COSA E' IL PALIO DI SIENA
[Tratto da https://www.ilpalio.org/cosa_e_palio.htm]
Il Palio non è una manifestazione riesumata ed organizzata a scopo turistico:
è la vita del popolo senese nel tempo e nei diversi suoi aspetti e sentimenti.
Esso ha origini remote, con alcuni regolamenti ancor oggi validi dal 1633,
anno in cui è documentato con certezza che venne corso il primo Palio con i
cavalli, così come ancora avviene, in continuità mai interrotta (ad eccezione
del periodo delle due guerre mondiali del XX° secolo).
Il territorio della Città è diviso in diciassette Contrade con dei confini stabiliti
nel 1729 dal Bando di Violante di Baviera, Governatrice della Città.
Ogni Contrada è come un piccolo stato, retto da un Seggio con a capo il Priore
e guidato nella "giostra" da un Capitano, coadiuvato da due o tre contradaioli
detti "mangini" o "tenenti".
Possiede, entro il suo territorio, una Chiesa, detta "Oratorio", con annessa la
sede ufficiale, dotata di un Museo, ove viene custodito tutto il suo patrimonio:
cimeli, drappelloni delle vittorie, costumi della Comparsa - quelli in uso e molti
di antica data - bandiere, archivio e tutto quanto altro concerne la vita della
Contrada stessa.
Si giunge pertanto alla mattina del 29 giugno (per il Palio di luglio) o quella
del 13 di agosto, quando iniziano gli intensi quattro giorni di preparativi al
Palio.
Il complesso meccanismo della festa raggiunge il suo compimento con lo
scoppio del mortaretto che annuncia l'uscita dei cavalli dall'Entrone. Ad ogni
fantino viene consegnato un nerbo di bue con il quale potrà incitare il cavallo
o ostacolare gli avversari durante la corsa. Quindi si procede
all'avvicinamento verso la "mossa", ossia il punto dove sono stati tesi due
canapi tra i quali saranno chiamati ad allinearsi cavalli e fantini. L'ordine di
entrata è stabilito dalla sorte, infatti le Contrade vengono chiamate secondo
l'ordine di estrazione, deciso segretamente e declamato ad alta voce dal
mossiere. Nella Piazza regna l'assoluto silenzio. La decima e ultima, entrerà
invece di "rincorsa" quando lo riterrà più opportuno, decidendo così il
momento della partenza. Se la partenza non sarà valida, uno scoppio del
mortaretto fermerà i cavalli. Quest'ultimi dovranno compiere tre giri di pista
per circa 1000 metri e solo al primo arrivato sarà riservata la gloria della
vittoria. Chi vince è comunque il cavallo, infatti può arrivare anche "scosso",
ossia senza fantino.
I festeggiamenti iniziano subito: i contradaioli ricevono il Palio e con quello si
recano alla Basilica della Madonna di Provenzano (per il Palio di luglio) o in
Duomo (ad agosto) per cantare il Maria Mater Gratiae di ringraziamento alla
Madonna. Da questo momento in poi ogni occasione sarà buona per ricordare
alla città la vittoria conquistata sul Campo, fino all'autunno, quando, tra il
mese di settembre e i primi giorni di ottobre, nel rione vittorioso addobbato
a festa, si svolgerà la "cena della vittoria" a cui parteciperanno migliaia di
contradaioli e, al posto d'onore, il cavallo vittorioso, vero e proprio ammirato
eroe.
Il Palio di Siena è una secolare celebrazione alla quale partecipa
spontaneamente tutto il popolo senese senza pertanto che vi sia la necessità
di una organizzazione ufficiale per il coordinamento dei vari servizi. Per questo
motivo anche la vendita dei posti nelle tribune, nei balconi ed alle finestre, è
effettuata singolarmente dai rispettivi proprietari che spesso hanno i negozi
che si affacciano nella Piazza del Campo o le abitazioni nelle vie adiacenti.
L’accesso alle tribune è ammesso fintanto che i Vigili Urbani non hanno
effettuato lo sgombero del pubblico dalla pista, dopodichè è eccezionalmente
concesso dalle autorità di polizia, che svolgono il servizio di sicurezza, di far
transitare attraverso appositi passaggi, particolarmente stretti, gli spettatori
ritardatari in possesso di regolare biglietto di prenotazione. E' tuttavia
raccomandabile raggiungere la Piazza almeno un’ora prima che il Corteo
Storico entri in Piazza (quindi alle 16,15 per il Palio di luglio e alle 15,45 per
il Palio di agosto). All’interno della Piazza del Campo è data facoltà al pubblico
di assistere al Palio gratuitamente. E' forse la maniera più emozionante per
vedere la corsa, mischiati insieme ai senesi.. All'interno della Piazza si
possono acquistare delle bibite, ma attenzione: talvolta fa caldo (portatevi un
cappellino) e non ci sono gabinetti! Si raccomanda inoltre di non indossare
cappelli a tesa larga e di alzare tablet o macchine fotografiche durante le fasi
imminenti della corsa, perché i contradaioli possono reagire male. Inoltre dal
2017 è vietato portare bambini al di sotto dei 10 anni e, se possibile, lasciate
gli zaini a casa o in albergo, perché vengono tutti controllati e questo rallenta
le operazioni di ingresso in Piazza per tutti, contradaioli e turisti o visitatori!

Se vuoi vedere il Palio del 16 agosto 2019, puoi farlo in


https://www.youtube.com/watch?v=UhPhhPxfTXQ.
Giordano Bruno. Filosofo e religioso italiano
Anno di nascita: 1548
Luogo di nascita: Nola, Italia
Data di norte: Giovedì 17 febbraio 1600 (a 52 anni)
Luogo di norte: Roma, Italia
Causa: Arso vivo perché eretico

Biografia • Accademico di nulla accademia

Giordano Bruno nasce a Nola, vicino a Napoli, nel 1548 da una nobile famiglia campana. Sin
da ragazzo avverte la vocazione al sacerdozio: compiuti i primi studi a Napoli, all'età di 17
anni entra come novizio nel convento di San Domenico sostituendo il proprio nome, Filippo,
con quello di Giordano, e sette anni dopo è ordinato sacerdote.

Appassionato di teologia e filosofia antica e moderna, dotato di animo irrequieto e fervido


acume non incline all'accettazione di dogmi senza averli prima sviscerati nel profondo,
gradualmente matura la convinzione panteistica - ispirata ad Eraclito - che Dio è l'universo
pur nella sua molteplicità; ma in tempi di piena Controriforma, forse i più bui nella storia
della Chiesa cattolica romana, la sua teoria gli costa l'accusa di eresia, costringendolo ad
abbandonare Napoli.

Giordano Bruno ripara a Roma dove, nel 1576, lascia l'abito talare. Riprende a viaggiare per
l'Italia, da Roma a Nola, a Savona, a Venezia, fino ad approdare a Ginevra dove abbraccia il
calvinismo. Dalla Svizzera si trasferisce a Tolosa, in Francia, dove si dedica all'insegnamento
e a Parigi, nel 1582, scrive le sue prime opere, fra le quali "De umbris idearum" e "Il
Candelaio" (in verità la sua prima opera, "De' segni de' tempi", risale al 1577).

Dal 1583 al 1585 è in Inghilterra, dove prosegue la produzione letteraria con la pubblicazione
de "La cena delle ceneri" e "De l'infinito universo et mondi": pubblicate nel 1584, entrambe
sposano le teorie copernicane sulla natura e sull'eliocentrismo, pur contrapponendo al
mondo finito di Copernico la sua idea di infinità dell'universo, ed accantonano
definitivamente i postulati aristotelici; con "Spaccio de la bestia trionfante" (1584) e "Degli
eroici furori" (1585), pone la conoscenza dell'universo quale fine ultimo della vita; del 1584
è anche "De la causa principio et uno", la sua opera più importante.

Nel 1591 è in Germania, a Francoforte, ed anche qui continua a scrivere componendo tre
poemetti latini "De triplici, minimo et mensura", "De monade, numero et figura" e "De
immenso et innumerabilibus".

Nello stesso anno è invitato a Venezia dal nobile Giovanni Mocenigo che desidera essere da
lui istruito sulla mnemotecnica e, probabilmente, avviato alla magia. Giordano Bruno si
trasferisce dunque nella città lagunare, non presagendo che quella decisione gli sarà fatale: il
Mocenigo, infatti, impressionato dalle idee fortemente temerarie dell'ex sacerdote fino ad
apparirgli inquietanti e blasfeme, lo denuncia al Sant'Uffizio facendolo arrestare e processare
prima a Venezia, dove ritratta in parte le proprie posizioni; poi l'inquisizione romana avoca
a sé il processo e chiede, ottenendola nel 1593, l'estradizione dalla Repubblica lagunare.

Nel 1599 il cardinale Bellarmino lo sollecita ad abiurare ed egli sembra accettare, ma le sue
dichiarazioni appaiono parziali e insufficienti. Dichiarato eretico, è condannato al rogo.
Per ordine di Papa Clemente VIII Giordano Bruno viene arso vivo a Roma, in Campo de'
Fiori, il 17 febbraio 1600, all'età di 52 anni. In quello stesso luogo, nel giugno 1889, su
iniziativa di un folto gruppo di uomini di cultura, Francesco Crispi erigerà un monumento
in sua memoria.

Giordano Bruno ha avuto la capacità, oltre che il coraggio, di esporre in chiave filosofica la
concezione pagana della vita nel Rinascimento rispetto a quella medievale. Delle sue idee egli
scrive: "Con questa filosofia mi si aggrandisce l'animo e mi si magnifica l'intelletto".

La sua vita così errabonda, fraintesa, perseguitata ed eroica lo porterà a definire sé stesso un
"accademico di nulla accademia". Illuminista ante litteram, il filosofo nolano rimane una delle
figure più sui generis nella storia della filosofia moderna.

Frasi di Giordano Bruno

Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia.

Se questa scienza che grandi vantaggi porterà all'uomo, non servirà all'uomo per comprendere se stesso, finirà per
rigirarsi contro l'uomo.

Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della
nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto.

Colui che vede in se stesso tutte le cose è al tempo stesso tutte le cose.

La poesia non nasce da le regole, se non per leggerissimo accidente; ma le regole derivano da le poesie: e però tanti son
geni e specie di vere regole, quanti son geni e specie di veri poeti.

Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell'illusione dei sensi;
crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo
divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco.

L'altezza è profondità, l'abisso è luce inaccessa, la tenebra è chiarezza, il magno è parvo, il confuso è distinto, la lite è
amicizia, il dividuo è individuo, l'atomo è immenso.

Chi consistendo nel luogo e nel tempo, libererà le ragioni delle idee dal luogo e dal tempo, si conformerà agli enti
divini.

Dio è in ogni luogo e in nessuno, fondamento di tutto, di tutto governatore, non incluso nel tutto, dal tutto non escluso,
di eccellenza e comprensione egli il tutto, di defilato nulla, principio generatore del tutto, fine terminante il tutto.

https://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=2835&biografia=Giordano+Bruno
GIUSEPPE VERDI: VITA E OPERE

Giuseppe Verdi nasce a Busseto, in provincia di Parma, nel 1813 da una famiglia modesta.
I suoi studi musicali procedono con molta difficoltà, ma il suo carattere energico e volitivo, il grande
talento musicale e gli aiuti materiali e morali degli amici gli consentono di ultimarli e di diventare
uno dei più grandi esponenti del melodramma italiano.
La sua prima opera, Oberto conte di San Bonifacio viene rappresentata con esito positivo alla scala
di Milano nel 1839.
Purtroppo gravi lutti familiari incombono sul maestro (perde infatti la moglie e i due figlioletti in
breve tempo), che decide di lasciare Milano per fare ritorno a Busseto.

GIUSEPPE VERDI: OPERE PRINCIPALI

Negli anno seguenti riesce a riprendere l’attività musicale e nel 1842 giunge il primo successo con
il Nabucco: l’opera che parla dell’oppressione degli Ebrei da parte dei Babilonesi, viene interpretata
dai patrioti italiani come una metafora della dominazione austriaca. Così, alla vigilia della Prima
Guerra d’Indipendenza, l’arte di Verdi diventa il simbolo del patriottismo italiano.
Verdi sposa in seguito la grande cantante Giuseppina Strapponi, la prima interprete del Nabucco;
negli anni successivi prosegue l’attività produttiva con un ritmo più rallentato ma i suoi lavori
continuano a essere amati ed apprezzati dal pubblico di tutta Europa.
Si spegne a Milano, la città dei suoi trionfi, nel 1901.

GIUSEPPE VERDI: OPERE

Definizione di Melodramma
Genere teatrale in cui i personaggi si esprimono cantando e l'azione scenica è accompagnata dalla
musica. Il termine è sinonimo di opera e di opera lirica; il testo, in cui sono riportati i dialoghi, i
monologhi e le didascalie che spiegano l'azione scenica, è chiamato libretto.

Le opere
La produzione musicale di Verdi è quasi interamente rivolta al melodramma: nelle sue opere
simboleggia l’ansia, le speranze e le passioni del popolo italiano che in quegli anni vive le lotte
risorgimentali.La sua musica dallo stile semplice e drammatico riesce a suscitare forti emozioni e le
sue opere sono facili di comprensione e ricche di melodie toccanti.
Tra le sue moltissime composizioni ricordiamo Nabucco, la Messa da Requiem (in onore di
Alessandro manzoni) e Aida.
[Tratto da https://doc.studenti.it/tesina/musica/verdi.html]
Chi Alessandro Volta
Quando 18 febbraio 1745 – 5 marzo 1827
Eventi storici Scoperta del metano, Invenzione della pila
Famoso per L'invenzione della pila e la scoperta del metano

Frase celebre “Forse le medesime osservazioni, e le medesime idee si son presentate ad altri
prima di me, e sono stato prevenuto anche in queste, giacché i fenomeni, ossia gli effetti
ottenuti, han pur dovuto essere gli stessi in sostanza.”

Alessandro Volta: biografia


Alessandro Volta, grande scienziato italiano, è ricordato principalmente per l'invenzione della pila
e la scoperta del metano.

Alessandro Volta: la vita


Alessandro Volta nacque a Como il 18 febbraio 1745 da don Filippo e donna Maddalena dei Conti
Inzaghi. Dal 1758 al 1760 seguì la Scuola di Retorica presso i gesuiti e qui iniziò il ginnasio.
Tuttavia, sin dalla giovane età Volta fu attratto dagli studi scientifici, nei quali fu praticamente
autodidatta. Completò gli studi al Seminario Benzi di Como dove conobbe il canonico Giulio
Cesare Gattoni che ne incoraggiò la vocazione scientifica.
Finito il ginnasio, Volta abbandonò gli studi ma continuò ad interessarsi dei fenomeni elettrici,
concentrandosi in particolare sulla produzione di elettricità per strofinio (definì fuoco elettrico la
proprietà acquisita dai corpi in questo senso). Nel 1769 pubblicò il suo primo lavoro, De vi
attractiva ignis electrici ac phaenomenis inde pendentibus (Sulla forza attrattiva del fuoco elettrico
e sui fenomeni che da essa dipendono).
Nel 1774 fu nominato Soprintendente e Reggente alle Regie Scuole di Como.

Alessandro Volta, uno sperimentatore


Approfondendo la teoria già sviluppata nel De vi actractiva, Volta dimostrò le sue doti di ottimo
sperimentatore dedicandosi alla produzione di strumenti (tra cui l’elettroforo, il condensatore e
la pila) e alla messa a punto di esperimenti che, come approfondiremo nelle sezioni successive, si
riveleranno molto utili.
Nel 1775, anno in cui costruì l’elettroforo perpetuo (in grado di fornire elettricità senza bisogno
di un continuo strofinio) che entrò in uso in tutti i laboratori europei, ottenne la cattedra di Fisica
Sperimentale presso il Regio Ginnasio di Como.

Curiosità
Una delle qualità universalmente riconosciute ad Alessandro Volta è la modestia. Francesco
Mochetti, che ha lasciato alcune considerazioni sul celebre scienziato, scrive che «Nessuno […]
ebbe mai a dolersi di lui, come vantatore importuno delle sue scoperte, anzi nemmeno come
desideroso di volgere i consueti discorsi a quelle materie, nelle quali avrebbe potuto esser primo, e
far pompa del suo ingegno e delle sue cognizioni».

[Tratto da www.studenti.it/alessandro-volta-pila-biografia-invenzioni.html]
Michelangelo: biografia

Michelangelo Buonarroti. La sua vita.

Il giorno 6 marzo 1475 nasce Michelangelo a Caprese, in Casentino, figlio di Ludovico,


appartenente a famiglia fiorentina di piccola nobiltà.
La nascita a Caprese è casuale. Il padre, funzionario della repubblica fiorentina, era stato nominato
podestà di quel paese e del vicino borgo di Chiusi della Verna. La magistratura podestarile veniva
affidata a persone non locali e durava solo sei mesi.
Alla scadenza del mandato tutta la famiglia tornò in patria, andando ad abitare in Settignano, sui
colli di Firenze. Michelangelo aveva appena un mese; è dunque fiorentino, perché a Firenze si è
formato come uomo e come artista.
Studia infatti a Firenze, nella bottega del Ghirlandaio, dove, tredicenne (1488), viene collocato dal
padre, il quale tuttavia dovette superare i propri pregiudizi, convinto che la professione intrapresa
dal figlio fosse manuale e perciò non degna del grado sociale della famiglia.

Biografia e opere

Di questo primo alunnato presso il Ghirlandaio non si vede traccia nelle sue opere
successive; Michelangelo non ne parlò mai, come se ne fosse dimenticato, tale era la differenza di
temperamento fra maestro e allievo. E tuttavia dovette essere più consistente di quanto si creda,
almeno nell’apprendimento del mestiere e, soprattutto, nell’uso del disegno fiorentino, che resterà
sempre fondamentale per tutta la sua vita.
Recentemente sono stati individuati alcuni interventi del giovane allievo negli affreschi del
Ghirlandaio in Santa Maria Novella.
Più importante però è il periodo che Michelangelo trascorre in quel “Giardino di San Marco” di
cui si è parlato altrove, dove Lorenzo il Magnifico (che aveva preso a proteggere il ragazzo,
tenendolo in casa propria insieme ai suoi figli) aveva raccolto opere antiche e dove i giovani artisti
studiavano sotto la guida dello scultore Bertoldo, allievo di Donatello.

Il soggiorno di Michelangelo presso Lorenzo, negli anni della formazione, riveste un significato
tutto particolare per la convivenza del giovane artista con alcune fra massime personalità culturali
dell’epoca (come Poliziano, Pico della Mirandola e Marsilio Ficino), ospiti, come lui, in casa Medici.
Michelangelo viene così preparandosi ad affrontare il problema dell’arte come impegno culturale,
primo ancora che manuale analogamente a Leonardo da Vinci “si dipinge con la mente non con la
mano”, egli afferma, aggiungendo che la scultura è “scientia studiosa”.
Per quanto riguarda il “Giardino di San Marco” (gli horti medicei) che sorgeva nei pressi
dell’omonima Basilica, ove erano alcuni possedimenti dei Medici, è opportuno permettere che
qualche studioso moderno nutre dubbi perfino sulla sua esistenza.

Michelangelo: La Pieta'

Nel 1494 va a Bologna, prima che i Medici cadano e Carlo VIII entri a Firenze; qui lavora all’arca
di S. Domenico e approfondisce i suoi studi. Tornato a Firenze, si appassiona alle prediche
infiammate del Savonarola; nel 1496 si reca a Roma dove comincia a farsi conoscere e dove riceve
una commissione che lo renderà celebre anche nell’ambiente romano: La pietà per S. Pietro (1498-
1499). Segue un intenso periodo di attività fiorentina, sia scultorea sia
pittorica; Michelangelo realizza, infatti, il David, il cartone della battaglia di Cascina per decorare
un Salone di Palazzo Vecchio, il Tondo Doni, raffigurante la Sacra Famiglia. Nel 1504, Giulio II lo
chiama a Roma commissionandogli il suo monumento funebre che sarà la “tragedia” della vita
di Michelangelo: appassionato all’elaborazione dell’opera, l’artista non potrà mai infatti portarla a
compimento per infinite e contrastate vicende col papa e con i suoi successori.
Intanto la sua fama aumenta e gli impegni si moltiplicano. Lo stesso Giulio II gli commissiona nel
1508 la decorazione del Soffitto della Cappella Sistina in Vaticano, che lo terrà impegnato fino al
1512. La scultura lo appassiona sopra ogni cosa, ma, contemporaneamente alla lunghissima e
discontinua applicazione alla tomba di Giulio II (per cui realizzò i Prigioni e il Mosè), elabora anche
progetti di opere architettoniche per i Medici, e precisamente la facciata per la basilica di S. Lorenzo
a Firenze (mai realizzata), la Cappella per le Tombe Medicee (o Sagrestia nuova di S. Lorenzo), la
Biblioteca Laurenziana.

[Tratto da doc.studenti.it/appunti/storia-dell-arte/2/michelangelo.html]
Il primo Vocabolario
[tratto da https://accademiadellacrusca.it]
● 12 dicembre 2011

Sempre intorno al 1590 l’attività dell’Accademia iniziò ad essere concentrata nella


preparazione del Vocabolario: i primi autori ad essere spogliati furono Dante nella
Divina Commedia, Boccaccio nel Decameron, e Petrarca nel Canzoniere e i criteri di
scelta degli autori citati vennero stabiliti coerentemente al fine che i vocabolaristi si
proponevano: mostrare e conservare la bellezza del fiorentino trecentesco.

La maggior parte degli spogli quindi interessò testi, non solo letterari, fiorentini del
Trecento, ma non mancarono aperture verso autori successivi (tra i quali Lorenzo de’
Medici, Berni, Machiavelli, Salviati stesso) e verso autori non fiorentini (Bembo,
Ariosto). Furono affrontate anche questioni di metodo, in particolar modo sul
trattamento delle voci dell’uso, di cui non si trovassero attestazioni antiche, e sul
problema dell’inserimento delle etimologie: per le prime si stabilì di allegare esempi
tratti da autori moderni fino a Monsignor della Casa, per le etimologie venne data
l’indicazione di considerare solo quelle “che abbiano gentilezza e sieno a proposito”;
in tutti e due i casi si rimandava comunque al giudizio dei Deputati per il Vocabolario,
una commissione di quattro accademici - Carlo Macinghi, Francesco Marinozzi, Piero
Segni e Francesco Sanleolini - nominati nel 1597 proprio per affrettare e facilitare il
lavoro di redazione del Vocabolario.

Anche nella compilazione furono seguiti gli stessi criteri, per cui gli scrittori fiorentini
del Trecento vennero citati per primi, dove era possibile con un esempio di prosa e
uno di poesia, dei non fiorentini si scelsero le parole più belle e di matrice fiorentina,
dei contemporanei le voci dell’uso.

Il Vocabolario degli Accademici della Crusca fu stampato a Venezia e uscì nel 1612,
suscitando immediatamente grande interesse e altrettanto accese dispute riguardo ai
criteri adottati; in particolare, a molti non piacque l’aperto fiorentinismo arcaizzante
proposto dal Vocabolario, che comunque rappresentò per secoli, in un’Italia
politicamente e linguisticamente divisa, il più prezioso e ricco tesoro della lingua
comune, il più forte legame interno alla comunità italiana, quindi lo strumento
indispensabile per tutti coloro che volevano scrivere in buon italiano.
Ebbe grande fortuna in tutta Europa e divenne modello di metodo lessicografico per le
altre accademie europee nella redazione dei vocabolari delle rispettive lingue
nazionali.
2. Le lingue romanze e i primi documenti del volgare italiano
(tratto da Grosser, Grandi, Pontiggia, Ubezio, Il canone
letterario, COMPACT, Milano: Principato, 2010)
Dalla lingua latina alle lingue volgari

La diffusione della lingua latina Nella sua espansione, Roma aveva diffuso nelle
province conquistate non solo leggi e istituzioni ma anche una lingua comune, il
latino, che si impose in ogni parte dell’impero, trovando resistenza soltanto nelle
regioni di lingua greca, in forza del prestigio e dell’autorevolezza culturale della civiltà
ellenica. La lingua rappresentò il fattore principale del processo di «romanizzazione»,
cioè di graduale assimilazione, politica e culturale, dei popoli con i quali il mondo
latino era venuto a contatto.
La Romània come entità linguistica Con la graduale estensione del diritto di
cittadinanza a tutti gli abitanti dell’Impero romano (processo che venne a compimento
nel 212 d.C.), il termine romanus aveva perduto il suo significato originario, etnico e
giuridico, per mantenere soltanto quello politico: «romano», in opposizione a
«barbaro», indicava semplicemente colui che faceva parte, in quanto uomo libero,
dell’organismo imperiale. Con la dissoluzione dell’Impero, fra V e VI secolo, il termine
perdette anche il suo tradizionale contenuto politico per acquisire un significato
puramente linguistico: «romano» era chi parlava la lingua latina, distinta dalle lingue
germaniche degli invasori. Da romanus derivò il sostantivo Romània, che designava
l’insieme dei territori in cui si parlava la lingua latina.
Latino scritto e latino parlato Quando tuttavia parliamo di lingua latina, dobbiamo
fare alcune precisazioni, e distinguere innanzitutto tra il latino scritto, a noi noto grazie
allo straordinario patrimonio letterario trasmesso fino ai nostri giorni, e il latino parlato,
di cui invece possediamo solo scarse testimonianze. Il latino letterario si era
mantenuto nel corso dei secoli relativamente stabile, sia grazie al formarsi di un
canone letterario (fondato su autori come Virgilio, Orazio, Sallustio, Cicerone), sia
grazie alla diffusione capillare di un apparato scolastico e di un sistema bibliotecario
finanziati dallo Stato; il latino parlato, al contrario, aveva continuato ad evolversi.
Questo latino, che chiameremo «volgare» (dal latino vulgus “popolo”), senza alcuna
connotazione spregiativa del termine, era il latino usato nella pratica quotidiana, non
solo dalle persone incolte ma anche da quelle istruite: una lingua che poteva variare
(nella pronuncia, nel lessico, nella sintassi) a seconda del ceto sociale, del grado di
cultura e del luogo di provenienza dei parlanti. Nel momento in cui l’Impero si
frantumò in diverse realtà particolaristiche, e venne meno la capacità di aggregazione
del potere centrale, la distanza fra latino letterario e latino parlato si accrebbe, fino a
che il latino letterario non fu più compreso dai parlanti, salvo da coloro che lo
studiavano e lo scrivevano.
Il latino medievale Da questo momento il latino letterario divenne una lingua
“straniera” che bisognava imparare. Non una lingua morta, tuttavia, perché continuò
a evolversi nelle forme varie e complesse del latino medievale, soprattutto dopo la
rinascita degli studi favorita in età carolingia da Carlo Magno. Non fu tanto il prestigio
di una lingua antica e divenuta ufficialmente lingua sacra della Chiesa a consentire
la lunga durata del latino, ma la sua ricchezza e la sua capacità di adattamento: il
variegato panorama della letteratura mediolatina (spesso trascurato) può infatti
comprendere l’elaborato latino dei documenti giudiziari e notarili, il lucido e rigoroso
latino della filosofia scolastica, come il latino vivacissimo e creativo dei goliardi (R
8.2), senza contare i generi che continuavano la tradizione classica e cristiana
(storiografia, epica, innologia ecc.).
Dal latino volgare alle lingue romanze È dunque dal latino volgare, e non da quello
scritto, che dobbiamo partire per comprendere i complessi processi di trasformazione
che portarono alla formazione dei volgari romanzi.
Ci chiederemo innanzitutto: perché da una sola lingua (il latino) si produssero diverse,
nuove entità linguistiche? Perché la frantumazione dell’unità imperiale sottopose il
latino volgare sia all’influsso delle lingue in uso prima dell’arrivo del latino (effetto di
substrato) sia all’influsso delle lingue di provenienza germanica (effetto di
superstrato). Nella Francia del Nord, ad esempio, il latino parlato si sviluppò sotto la
spinta del substrato celtico (anteriore alla conquista romana) e del superstrato
francone (la lingua parlata dagli invasori Franchi). Questo spiega perché non in tutte
le regioni dell’Impero occidentale si imponessero lingue derivate dal latino: nelle isole
britanniche, ad esempio, dove la conquista romana era stata parziale e l’elemento
latino non si era mai pienamente radicato, emersero con più forza le lingue indigene,
e meglio attecchirono quelle di derivazione germanica.
Le lingue volgari derivate dal latino sono dette neolatine o romanze: neolatine perché
si sono tutte evolute da una stessa lingua (estremizzando, potremmo dire che
l’italiano è un latino moderno); romanze perché parlate dagli abitanti della Romània,
il territorio dell’Impero romano che era andato disgregandosi sotto l’effetto delle
invasioni barbariche. Quando in età medievale troviamo espressioni come romana
lingua o rustica romana lingua, non dobbiamo pensare al latino, ma alle lingue
romanze da esso derivate, contrapposte al latino stesso o alle lingue germaniche
(thiotisca o teudisca lingua).
Semplificando, dalla lingua comune latina derivarono nel corso dei secoli diverse
lingue, fra cui le più importanti furono: il rumeno, il ladino (o retoromanzo), il dalmatico
(oggi estinto), l’italiano, il sardo, il francese (o lingua d’oïl), il provenzale (o lingua
d’oc), il catalano, il castigliano (il moderno spagnolo), il portoghese.
Trasformazioni nel passaggio dal latino al volgare italiano Limitandoci al volgare
italiano, proviamo a descrivere i più significativi mutamenti rispetto al latino:
– nel sistema linguistico latino, le vocali erano distinte sulla base della quantità, cioè
la durata dell’articolazione (breve o lunga). Tale distinzione poteva determinare
anche una differenza di significato: ad esempio po¯pulus (“pioppo”) e po˘pulus
(“popolo”); ma˘lum (“male”) e ma¯lum (“melo”), ve˘nit (“viene”, presente indicativo) e
ve¯nit (“venne”, perfetto). Nella lingua italiana tale criterio scompare: alla quantità si
sostituisce il timbro, cioè la pronuncia (aperta o chiusa). Si determina così un sistema
di sette vocali: a, i, u, e chiusa, e aperta, o chiusa, o aperta, da cui possono dipendere,
ancora una volta, differenze di significato: ad esempio ròsa (il fiore) si distingue per
la o aperta da rósa (participio passato femminile del verbo ródere), da leggersi con o
chiusa;
– i dittonghi latini si chiudono nel seguente modo: ae, oe si trasformano in e (aperta
o chiusa); au in o aperta. Es.: caelum > cielo; poena > pena; aurum > oro;RIA
– le vocali e le sillabe atone tendono a cadere (sincope): solidum > soldo; positum
>posto; calidum > caldo;
– scompare il genere neutro (la maggior parte dei vocaboli passa al maschile);

– scompare il sistema dei casi che determinava le funzioni logiche della lingua latina,
ora indicate mediante l’uso degli articoli (totalmente assenti in latino) e delle
preposizioni; e cadono dunque anche le terminazioni dei casi;
– scompaiono, nel sistema verbale, i deponenti (verbi di forma passiva, ma di
significato attivo), mentre resistono le quattro coniugazioni. Anche in questo caso si
assiste a un processo di semplificazione (scompaiono ad esempio le forme del supino
o dell’imperativo futuro). Il tempo futuro è costruito non più con le tradizionali
desinenze ma con forme perifrastiche (infinito del verbo + habeo): dormire habeo >
dormirò. La coniugazione passiva dei verbi viene costruita con l’ausiliare essere.

Le prime testimonianze delle lingue volgari


«Bilinguismo inconscio» e «bilinguità consapevole» Come si è visto, mentre il
latino scritto continuava durante l’età medievale la sua ricca e complessa storia, il
latino parlato si modificava gradualmente fino a dare origine a nuovi sistemi linguistici.
Col tempo si andò perciò determinando una situazione di bilinguismo: i chierici
continuavano ad usare il latino (lingua sovranazionale della cultura) quando
scrivevano o comunicavano con altri dotti, mentre facevano ricorso ai vari idiomi locali
nella vita quotidiana e familiare. La domanda che gli storici della lingua si sono posti
è in quale momento i parlanti si siano resi conto che le lingue volgari costituivano di
fatto nuovi sistemi linguistici ben distinti dal latino, da cui pure provenivano. Quando,
insomma, per ricorrere alle parole di un illustre linguista, Giacomo Devoto, si sia
passati da un «bilinguismo inconscio» a una situazione di «bilinguità consapevole».

Una testimonianza e un documento: il Concilio di Tours e i Giuramenti di


Strasburgo Non è certo un caso se ciò accadde per la prima volta in terra di Francia,
all’epoca della rinascita carolingia degli studi (IX secolo): il rinnovato impulso dato
alla lingua latina, da recuperare nelle sue forme più illustri, consentì di misurare il
divario tra il latino della grande tradizione letteraria e le lingue parlate, sia pure
derivate dal latino stesso.

Un documento emesso durante il concilio episcopale di Tours (813) esortava il clero


ad esprimersi non più in latino ma nelle lingue parlate dalla popolazione,
raccomandando di «tradurre comprensibilmente» le omelie «in lingua romanza o
tedesca, affinché tutti più facilmente possano comprendere quello che viene detto».
La consapevolezza che le lingue volgari erano ormai altra cosa dalla lingua latina
appare in modo ancora più evidente dal primo documento ufficiale in volgare romanzo
che conosciamo, i cosiddetti Giuramenti di Strasburgo (14 febbraio 842), riportati da
un testimone oculare, lo storico Nitardo, nelle sue Historiae in lingua latina.
L’occasione fu offerta dai giuramenti che due nipoti di Carlo Magno, Ludovico il
Germanico e Carlo il Calvo, fecero pronunciare ai rispettivi eserciti per sancire un
patto di alleanza.
Perché fossero comprensibili a tutti, tali giuramenti furono elaborati e pronunciati sia
in romana lingua sia in teudisca lingua dai due eserciti, uno francofono (quello di
Carlo), l’altro parlante lingua germanica (quello di Ludovico). Da questi giuramenti
risalta sia l’enorme differenza fra le due lingue (derivate da due diversi ceppi
linguistici), sia la distanza che si era ormai prodotta fra la lingua francese (o
galloromanza) e quella latina.
I primi documenti del volgare italiano Alla fine dell’VIII secolo o agli inizi del IX
risale un testo ritrovato solo nel 1925 nella Biblioteca Capitolare di Verona e indicato
generalmente come «Indovinello veronese». I primi due versi sono composti in un
latino intriso di volgarismi, mentre il terzo è latino perfettamente corretto: Se pareba
boves, alba pratalia araba; / albo versorio teneba, et negro semen seminaba./ Gratias
tibi agimus omnipotens sempiterne Deus. («Spingeva innanzi i buoi, bianchi prati
arava; / il bianco aratro teneva, e nero seme seminava. / Ti rendiamo grazie, o Dio
onnipotente ed eterno.») Il grazioso indovinello si fonda sull’analogia fra aratura e
scrittura: l’aratore (soggetto sottinteso) che spinge innanzi i buoi è lo scrittore; i buoi
sono le dita; l’aratro è la penna d’oca; i bianchi prati sono le pergamene; il nero seme
è l’inchiostro. Gli studiosi peraltro si chiedono se l’ignoto amanuense abbia scritto in
un latino inconsapevolmente intessuto di volgarismi, o se abbia scherzosamente
miscelato registri linguistici diversi; nel primo caso il testo potrebbe essere considerato
un prezioso documento della fase di transizione dal latino al volgare.
Dobbiamo perciò aspettare circa un secolo e mezzo, con i quattro Placiti Cassinesi
(960-963), per trovare le prime testimonianze scritte della nostra lingua volgare . Che
si tratti di sentenze e di documenti notarili, non deve stupire: sono proprio gli ambienti
come quelli giudiziari e notarili, costretti a mediare fra diverse lingue, diverse culture,
diversi destinatari sociali, a preoccuparsi per primi di elaborare un volgare scritto.
Giudici e notai, come vedremo, saranno molti dei primi scrittori in lingua italiana, a
cominciare da Iacopo da Lentini, «il Notaro» per eccellenza.
Dalla fine dell’XI secolo agli inizi del XIII si fanno più frequenti, e più vari, i documenti
in nostro possesso. Ancora una volta dall’ambiente notarile proviene la «Postilla
amiatina» (gennaio 1087), il primo testo volgare documentato in terra toscana,
un’aggiunta di tre versi in tono giocoso a una carta in cui Miciarello e sua moglie
Gualdrada facevano donazione di tutti i loro beni all’abbazia di San Salvatore in
Montamiata: «Ista cartula est de caput coctu: / ille adiuvet de illu rebottu, / qui mal
consiliu li mise in corpu» («Questa carta è di Capocotto [“Testa dura”, o “Testa calda”,
soprannome del donatore]: / gli dia aiuto contro il Maligno, che un mal consiglio gli
mise in corpo»). Come si vede, non mancano persistenti residui linguistici del latino
(est, caput, adiuvet, qui).
Degli stessi anni (1084-1100 ca) è la cosiddetta «Iscrizione di San Clemente», che
compare sull’affresco di un muro della chiesa di San Clemente in Roma. L’iscrizione è
parte in latino, parte in volgare, e va a commentare un gustoso episodio di epoca
protocristiana, descritto con un realismo caricaturale e grottesco. Il pagano Sisinnio dà
ordine ai propri servi (Gosmario, Albertello, Carboncello) di condurre al martirio san
Clemente, che compie tuttavia il miracolo: i servi si trovano infatti a trasportare non il
santo ma una colonna di marmo. Mentre il santo parla in latino (lingua nobile della
Chiesa), il pagano si esprime in volgare romanesco. Rivolgendosi ai servi dice infatti
(le parole appaiono sull’affresco a commentare le immagini, come in un moderno
fumetto): «Fili de le pute, traite [tirate] / Gosmari, Albertel, traite! / Fàlite dereto colo
palo [fagliti sotto col palo], Carvoncelle!». E il santo risponde: Duritia cordis vestri /
saxa traere meruistis («Per la durezza del vostro cuore, meritaste di trascinare sassi»).
I primi testi poetici in volgare italiano Mentre già in Provenza e in Francia si è
sviluppata una raffinata letteratura in lingua d’oc e d’oïl, la documentazione del nostro
volgare continua, per tutto il XII secolo, ad essere povera e scarna, anche se per la
prima volta compaiono frammenti di composizioni letterarie: è il caso dei quattro versi
di un Ritmo bellunese («ritmo» perché costituito di versi fondati sull’intensità degli
accenti) del 1193; o delle sperimentazioni di un poeta in lingua provenzale, Raimbaut
de Vaqueiras, autore dapprima (1190-1194 ca) di un contrasto bilingue in lingua d’oc
e in dialetto genovese e poi di un discordo plurilingue in cui, accanto a strofe in
provenzale, francese, guascone, gallego-portoghese, compare una strofa in lingua
italiana.
Tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo sono da collocare tre testi giullareschi: il
Ritmo laurenziano, in cui un giullare, in una lingua umbro-toscana, rivolge lodi a un
vescovo nella speranza di ricevere in dono un cavallo; il Ritmo cassinese, in cui un
monaco elogia la vita contemplativa e condanna quella mondana; il Ritmo su
sant’Alessio, testo di carattere agiografico, anch’esso di ambiente cassinese.
Bisognerà tuttavia aspettare la terza decade del Duecento per poter leggere i primi
decisivi componimenti poetici in lingua volgare, con il Cantico di san Francesco e le
liriche della scuola siciliana.
Le ragioni di tale ritardo saranno state verosimilmente più di una: forse una maggiore
persistenza della tradizione classica rispetto alle altre regioni europee; la presenza,
a cominciare dall’ambiente romano, di un clero meno disposto a rinunciare alla
propria autorità, di cui la lingua latina è l’espressione più evidente; la frantumazione
politica, e dunque linguistica, del nostro paese, condizione che avrà rilevanza fino
all’unità d’Italia. Resta il fatto che nessuna di queste ragioni può spiegare il ritardo
con cui la nostra letteratura volgare ebbe origine rispetto ad altre nazioni. Va tuttavia
aggiunto che tale ritardo non implica affatto un minore sviluppo culturale delle nostre
città e delle nostre corti, affidato fino al XIII secolo (e ancora oltre) o al latino o a
lingue volgari dotate di grande prestigio letterario: è il caso del provenzale, utilizzato
da diversi trovatori italiani, come Pier de la Caravana (o Cavarana), Alberto
Malaspina, Rambertino Buvalelli, Lanfranco Cigala, Bonifacio Calvo, e soprattutto
Sordello da Goito (1200 ca-1269), immortalato da Dante nel VI canto del Purgatorio.
[Tratto da Luca Serianni (a cura di), La lingua nella storia d’Italia, Roma: Società Dante Alighieri,
2002.]
Tratto da Luca Serianni (a cura di), La lingua nella storia d’Italia, Roma: Società Dante Alighieri, 2002.
La Divina Commedia [Tratto da Grosser, Grandi, Pontiggia, Ubezio, Il canone
letterario, COMPACT, Milano: Principato, 2010.]
La Divina Commedia è un poema didascalico in forma allegorica diviso in tre
cantiche: Inferno, Purgatorio, Paradiso. Ciascuna cantica comprende 33 canti, cui si
deve aggiungere un canto introduttivo al poema: in totale, dunque, 100 canti per
oltre 14.000 versi endecasillabi. Il metro è la terzina a rime incatenate,
probabilmente derivante dal sirventese popolaresco. La preponderanza del
numero tre (3 cantiche, 33 canti, strofe di 3 versi) esprime il valore sacro e
religioso del poema, posto interamente sotto il segno della fede e della renovatio
spirituale.

Datazione e diffusione dell’opera


Opera dell’esilio e della maturità, la Commedia fu composta in un periodo
generalmente compreso fra gli anni 1304-1307 e 1320-1321. Giorgio Petrocchi,
cui si deve un’importante edizione critica del poema, propone come data d’inizio il
1304, dunque il momento in cui Dante, rinunciando alla «compagnia malvagia e
scempia» (Pd XVII 62) dei fuoriusciti Bianchi che si erano alleati con i Ghibellini
per rientrare con la forza in Firenze, decise di “far parte per se stesso” (Pd XVII 69).
La maggior parte degli studiosi propende tuttavia per far iniziare l’Inferno intorno
agli anni 1306-1307, il Purgatorio dopo il 1308, il Paradiso dopo il 1316. La prima
cantica sarebbe stata completata verso il 1309-1310, la seconda verso il 1315: in
ogni caso Inferno e Purgatorio cominciarono a circolare e ad essere lette fin dagli
anni 1313-1314 (si trovano passi trascritti sui Memoriali bolognesi del 1317 e del
1319). Il Paradiso, tranne i canti già inviati agli amici (come testimoniano l’Epistola
a Cangrande della Scala e l’Ecloga a Giovanni del Virgilio), venne conosciuto
integralmente solo dopo la morte del poeta.
In assenza del manoscritto autografo di Dante, esistono più di seicento manoscritti
che attestano la straordinaria fortuna di cui l’opera godette sia presso gli ambienti
aristocratici e intellettuali, sia presso i ceti popolari. Il manoscritto più antico a noi
noto, sia pure indirettamente, fu trascritto a Firenze fra il 1330 e il 1331, dunque
circa dieci anni dopo la morte del poeta. Particolare eco ebbe, fra Trecento e
Quattrocento, il testo della Commedia approntato, insieme a quello della Vita
Nuova e a 15 canzoni, da Giovanni Boccaccio: l’edizione, tuttavia, appare
criticamente poco rigorosa, nonostante ancora la utilizzasse, all’inizio del
Cinquecento, Pietro Bembo. L’editio princeps, cioè la prima edizione a stampa
dell’opera, apparve a Foligno nel 1472. Fra le edizioni critiche novecentesche,
fondamentali furono quelle allestite da Giuseppe Vandelli (1921), Mario Casella
(1923) e Giorgio Petrocchi (1966-1967), che realizzò l’impresa avvalendosi
esclusivamente della tradizione manoscritta anteriore al Boccaccio.

Il titolo
Il titolo di Divina Commedia, con il quale universalmente siamo abituati a designare
il grande poema dantesco, apparve per la prima volta nell’edizione veneziana del
1555 curata da Ludovico Dolce, a indicare sia l’eccellenza dell’opera sia i suoi
contenuti ultramondani. Dante, nell’Inferno, designa la sua opera comedìa, con
accento alla greca, in due diversi passi (XVI, 128 questa comedìa; XXI, 2 la mia
comedìa). Alcuni studiosi pretendono che tale denominazione riguardi solo la
prima cantica, non il poema complessivo, dal momento che nell’ultima cantica
l’autore allude al poema con le espressioni sacrato poema (XXIII, 62) e poema sacro
(XXV, 1).
Non ci sarebbero dubbi sul titolo, se avessimo la completa certezza dell’autenticità
dell’Epistola a Cangrande della Scala: in questa lettera, inviata insieme ai primi
canti del Paradiso in una data probabilmente compresa fra il 1315 e il 1317, Dante
propone infatti per l’intero poema il titolo Comedìa (Libri titulus est: «Incipit
Comedia Dantis Alagherii, florentini natione, non moribus: «Incomincia la Comedìa
di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, non di costumi»), giustificandolo con due
argomenti, il primo di ordine contenutistico (inizio triste, conclusione lieta della
narrazione), il secondo di ordine stilistico (un linguaggio umile e dimesso): «E da
questo è chiaro che Comedìa si può definire la presente opera. Infatti se guardiamo
alla materia, all’inizio essa è paurosa e fetida perché tratta dell’Inferno, ma ha una
fine buona, desiderabile e gradita, perché tratta del Paradiso; per quel che riguarda
il linguaggio questo è dimesso e umile perché si tratta della parlata volgare che
usano anche le donnette» (Epistole, XIII, 31).
Un nuovo genere di sublime
Come sappiamo, nel De vulgari eloquentia Dante ha dimostrato che il volgare può
adattarsi anche allo stile più alto, quello «tragico»: sarebbe dunque sbagliato
pensare che Dante, nel passo dell’Epistola a Cangrande sopra riportato, voglia
definire «umile» lo stile della Divina Commedia solo perché è composta in lingua
volgare. Al contrario, come ha spiegato in un memorabile studio il filologo tedesco
Erich Auerbach, le indicazioni dantesche sullo stile umile e basso del suo poema
«non si riferiscono all’impiego della lingua italiana ma alla scelta delle espressioni
basse e al realismo molto accentuato in numerose parti del poema». Il problema di
dare un titolo conveniente alla materia della Divina Commedia sorge dunque dal
fatto che Dante ha composto un’opera che dissolve la tradizionale concezione degli
stili: il suo poema supera i confini di uno stile basso, ed affronta anzi il soggetto più
sublime che sia consentito a un uomo di fede, ovvero il racconto della visione
paradisiaca. Ma è un sublime che contiene in sé anche il basso, anche la realtà più
bassa e triviale, senza tuttavia venir meno all’idea di «poema sacro», di una poesia
cioè alta ed elevata, la cui fonte principale di ispirazione, come lo stesso Dante
indica in più punti del suo poema, è Dio stesso. Sotto questo aspetto, Dante sta
portando a maturazione un principio che già i padri della Chiesa (in particolare
sant’Agostino) avevano ben intuito nei testi evangelici, dove non solo i misteri
divini sono spiegati con un sermo humilis, uno stile semplice e dimesso, ma
protagonisti divengono spesso personaggi di basso rango, come Pietro, l’umile
pescatore che diviene apostolo e primo vescovo di Roma.

Argomento e guide
Argomento della Commedia è il viaggio compiuto da Dante (insieme protagonista
e narratore) nei tre regni dell’oltretomba cristiano. Tale viaggio si svolge in otto
giorni durante la primavera del 1300, anno del Giubileo indetto da Bonifacio VIII
per il rinnovamento del mondo cristiano, forse nella settimana pasquale che va
dalla mezzanotte del 7 aprile, venerdì santo, alla mezzanotte (o al mezzogiorno)
del 14 aprile (secondo altri, dal 25 marzo, data dell’incarnazione di Cristo, al 1°
aprile).
Dante, che inizia il viaggio «nel mezzo del cammin di nostra vita», cioè nel
trentacinquesimo anno di età, è accompagnato durante il cammino da Virgilio,
simbolo della ragione umana (Inferno e Purgatorio), e da Beatrice, simbolo della
Rivelazione e della Fede (Paradiso Terrestre, Paradiso). San Bernardo, uno dei
grandi mistici medievali, particolarmente noto per la sua devozione mariana (a lui
viene non a caso affidata la celebre preghiera alla Vergine di Paradiso XXXIII), lo
assisterà nei canti conclusivi, quando il poeta potrà accedere alla visione beatifica
della gloria divina.
Le fonti: la visione e il viaggio allegorico
La letteratura visionaria aveva conosciuto vasta diffusione fin dal primo affermarsi
del cristianesimo: e non poteva essere altrimenti per chi considerava la vita eterna
come la vera vita. Alcuni di questi testi erano del resto stati accolti nel canone delle
Sacre Scritture: si pensi al libro IV di Esdra (solo in seguito escluso) o all’Apocalisse
di san Giovanni, l’ultimo e il più impressionante dei libri del Nuovo Testamento.
Accanto ai testi canonici si diffusero anche opere letterarie che esercitarono una
notevole influenza sull’immaginario medievale: trattazioni ascetiche e
agiografiche (Vitae patrum [Le vite dei Padri]; Legenda aurea; De contemptu mundi
[Il dispezzo del mondo] di Innocenzo III; il maomettano Libro della Scala), opere
romanzesche (la Navigatio sancti Brandani [La navigazione di san Brandano]; La
leggenda del Purgatorio di San Patrizio; la Visio Tungdali) e visioni mistiche (la Visio
Alberici; i Dialogi [Dialoghi] di Gregorio Magno; il De eruditione hominis interioris
[La formazione dell’uomo interiore] di Riccardo di San Vittore; il Liber figurarum
[Libro delle figure] di Gioachino da Fiore; la Vita sancti Romualdi [Vita di san
Romualdo] di Pier Damiani). Grande fu in particolare la fortuna della Visio sancti
Pauli [La visione di san Paolo], tradotta per secoli in molte lingue volgari.
Fondamentali, per l’influenza decisiva che esercitarono su Dante, furono tuttavia i
classici latini: il VI libro dell’Eneide; il Somnium Scipionis [Il sogno di Scipione] di
Cicerone; i viaggi all’Averno delle Metamorfosi di Ovidio; il racconto della maga
Eritone nel Bellum civile [La guerra civile] di Lucano. Da Virgilio, in particolare,
Dante trasse diversi spunti per la rappresentazione spaziale dell’Inferno e
dell’Antipurgatorio.
Accanto alla letteratura visionaria, non meno importanza ebbe la letteratura di
viaggio, e in particolare il genere dei viaggi allegorici, che si era sviluppato a partire
dal XII secolo (si pensi, per restare nella sola Italia, al Tesoretto di Brunetto Latini).
È merito di Cesare Segre avere individuato gli elementi che collegano la Commedia
con i viaggi allegorici: la presenza di virtù non esclusivamente religiose; la pluralità
delle guide; l’impianto didattico (che consente di organizzare, per bocca di vari
personaggi, un organico discorso di carattere etico-religioso, artistico e
scientifico); l’elemento allegorico; la precisione (topografica, cronologica) del
racconto e delle descrizioni che si susseguono (mentre le visioni, generalmente, si
limitavano a flash e rapide escursioni prive di continuità e di organicità).

Dante narratore e personaggio


Dante (il cui nome compare esclusivamente in Pg XXX 55) non è solo il personaggio
protagonista del poema, ma anche il narratore. La distinzione risulta determinante
per la comprensione del poema e per il suo sviluppo narrativo: Danteagens (Dante-
personaggio), colui che intravediamo fin dai primi versi smarrito e pauroso,
incerto sul suo cammino, ha una percezione parziale e limitata dei fatti di cui fa
gradatamente esperienza; Dante-auctor (Dante-narratore), colui che scrive a
viaggio concluso, ha invece una percezione completa del viaggio intrapreso, di cui
conosce il senso provvidenziale e l’esito felice. Il personaggio e il poeta-narratore
interagiscono dinamicamente nel corso dell’intero poema, che è, va ribadito, un
itinerario morale alla ricerca della verità e della redenzione, un itinerario durante
il quale Dante personaggio cambia, fino a non essere più, al termine del racconto,
quello che era all’inizio: non più, insomma, un peccatore smarrito ma un uomo che
ha fatto esperienza del divino.
Se all’inizio della storia la distanza fra il personaggio e il poeta è dunque massima,
alla fine del poema pellegrino e poeta coincidono. La compresenza dei due punti di
vista garantisce al lettore, all’interno di ogni canto, una doppia esperienza: quella
tutta umana, confusa e imperfetta, del personaggio che viaggia in luoghi a lui ignoti;
quella globale e trascendente di chi scorge in ogni destino l’opera della somma
giustizia divina.
Questa doppia prospettiva è il fondamento della grandezza poetica della Commedia
si pensi a figure come quelle di Francesca da Rimini o di Ulisse, che i romantici
vollero trasformare, con una certa ingenuità, nella «prima donna del mondo
moderno» (De Sanctis) e nell’eroe magnanimo della conoscenza. Nella realtà del
poema, di fatto, essi rappresentano due esempi peccaminosi, di lussuria Francesca,
di frode intellettuale Ulisse. E tuttavia Dante non cancella la verità umana delle loro
vicende: il desiderio di avventura che porta Ulisse oltre le colonne d’Ercole è una
forma della verità del mondo, sia pure imperfetta, che convive, nello spazio del
poema, con il giudizio divino. Ulisse è davvero l’eroe magnanimo della conoscenza,
ma è anche il peccatore che Dio ha definitivamente cacciato in una bolgia infernale.
Chi negasse la doppia verità di queste figure, negherebbe la poesia della Commedia.
D’altro canto non potrebbe essere diversamente: colui che dice “io” nel corso del
poema è contemporaneamente un individuo storicamente determinato (cioè il
fiorentino Dante Alighieri, guelfo bianco esiliato ingiustamente nel 1302, che fa
valere i suoi odii e le sue passioni, che si commuove davanti al maestro Brunetto
Latini o si vendica di Filippo Argenti che un tempo lo aveva umiliato), ma anche
«l’uomo in generale» (Contini), il rappresentante di un’umanità fragile e traviata
che anela a ritrovare la retta via in un’epoca di grave crisi istituzionale e morale.
Allegoria e figura nella Commedia
La Divina Commedia è un poema di impianto allegorico. Lo stesso Dante, nel
Convivio, seguendo una vasta tradizione medievale, aveva distinto fra due diversi
generi di allegoria: l’allegoria dei poeti e l’allegoria dei teologi. Nel primo caso i fatti
narrati erano una pura invenzione del poeta, sotto la quale tuttavia si nascondeva
una verità di ordine morale o religioso; nel secondo il piano della narrazione si
fondava su un evento reale e storicamente accaduto. Il piano allegorico, inoltre,
andava inteso, sull’esempio delle Sacre Scritture, su tre livelli ben distinti: il livello
allegorico propriamente detto (cioè il significato nascosto); quello morale (ciò che
dobbiamo fare); quello anagogico (ciò a cui dobbiamo tendere). Mentre tuttavia lo
stesso Dante, nel Convivio, aveva detto di volersi servire dell’allegoria dei poeti,
tutto, nella Divina Commedia, fa pensare che Dante volesse servirsi dell’allegoria
dei teologi: il poema andrebbe dunque letto, al pari delle Sacre Scritture, come una
narrazione di eventi realmente accaduti, ciascuno dei quali nasconde un’allegoria,
cioè una serie di verità nascoste. Lo dimostra il fatto che le figure della narrazione
non sono mai astrazioni concettuali (come, ad esempio, nel caso dei poemi
allegorici di Brunetto Latini) ma sempre figure storicamente determinate, a
cominciare dalle guide (Virgilio, Beatrice, Bernardo).
Non meno importante, accanto alla tecnica allegorica, è l’uso nel poema di una
concezione anch’essa ben presente al mondo medievale, quella figurale: secondo
tale concezione, ciascun fatto accaduto non esauriva il suo significato nel suo
stesso accadere, ma andava inteso come un’anticipazione o una prefigurazione di
nuovi eventi futuri, che avrebbero dato compimento al fatto stesso, portandolo a
una perfezione conclusiva di senso. Diversamente dall’allegoria, in cui il significato
ulteriore è astratto (ad esempio Catone l’Uticense è allegoria della libertà morale),
la figura collega due fatti o due personaggi egualmente reali ed egualmente storici
(ad esempio Isacco, nell’Antico Testamento, è figura di Cristo). Il viaggio
ultraterreno di Dante obbedisce sistematicamente a tale idea: il poeta Virgilio
vissuto all’epoca di Augusto trova il suo compimento figurale nel Virgilio del
Limbo. La condizione ultraterrena dà infine compimento alla vita terrena, la
illumina svelandola nel suo ultimo, e definitivo, significato. La nozione di figura si
afferma come un principio strutturale dominante, al pari di quello di allegoria:
Catone, il custode del Purgatorio, non è dunque soltanto un’allegoria della libertà
morale, ma anche una personalità ben individuata che comprende e adempie la
figura storica di Catone morto ad Utica per non cadere nelle mani di Cesare.

Il motivo centrale del viaggio


Il viaggio è il motivo centrale della Commedia. Ma esso si compie qui e altrove, ora
e dopo, oppure ora e prima. Ogni figura è infatti contemporaneamente fissata in un
tempo doppio: mortale ed eterno. Ogni gesto, ogni battuta, ogni discorso non sono
opera del caso, rientrano in un piano teologico e provvidenziale: inchiodate alla
loro verità, le figure della Commedia ruotano intorno al personaggio Dante, che con
l’aiuto delle sue guide deve interpretarne i segni, il senso. Il viaggio non è dunque
altro che una metafora per indicare un itinerario interiore, quello che conduce
dalla selva del peccato alla luce della salvezza mediante l’aiuto divino. Non c’è
salvezza senza grazia: la ragione, i doni naturali, sono incapaci di elevarsi al divino.
Virgilio (allegoria della ragione) deve cedere il passo a Beatrice (allegoria della
rivelazione): i grandi sapienti del Limbo sono esclusi dalla felicità (Inferno, canto
IV).

Un poema sacro
La Commedia è un autentico poema sacro, nel quale Dante mette in gioco l’intero
mondo e il suo destino, religioso e politico. Il viaggio non è solo un’invenzione
fantastica, una finzione: Dante vuole porsi realmente come terzo dopo Enea e dopo
Paolo (If II 10-36), fondatori dell’Impero e della Chiesa, per reintegrare l’ordine
divino scosso dalle discordie e dagli egoismi, dalle divisioni e dalle lotte intestine.
Alla base del poema c’è l’idea della provvidenzialità della storia umana: Nazareth
e Roma ne sono gli strumenti e la luce. Mondo pagano e mondo cristiano, mitologia
classica e Sacre Scritture confluiscono verso un unico fine, quello della salvezza
spirituale. Virgilio e Beatrice sono divisi nel battesimo, non nella luce che irradiano
e nella missione che svolgono.
Tra la città degli uomini e la città di Dio si dà perfetta corrispondenza. Natura e
storia sono segni del trascendente, libro divino. Così Dante può introdurre nel suo
poema l’ampio e variegato ventaglio della cronaca contemporanea. Ma il realismo
dantesco è un realismo medievale, intimamente cristiano: tutto è visto con l’occhio
di Dio. Il particolare acquista senso solo nella totalità e nell’universalità di cui è
parte. Un fatto, in sé, non è niente, se non viene decifrato nei suoi sensi più alti. Alla
letteralità delle immagini, deve seguire il loro senso allegorico, morale,
sovratemporale. Vedere è visione, e dunque ispirazione: «I’ mi son un che, quando
/ Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando» (Pg XXIV
52-54).
Il poema comprende più di cinquecento figure individuate, metà contemporanee e
metà del mondo antico. Fra queste ultime, mitologia pagana e cristiana trovano
perfetta giuntura, nonostante la straziante separazione (ravvisabile pateticamente
in Virgilio) del battesimo. Opera profetica e apocalittica, secondo le aspettative
messianiche che avevano percorso tutto il secolo XIII, la Commedia si propone
anche come summa enciclopedica del sapere antico e medievale: cosmologico-
scientifico, teologico, filosofico, storico-politico, artistico-letterario. Al centro, la
figura di Dante, penitente e passeggero, ma soprattutto poeta, che descrive se
stesso già nella coscienza della propria gloria artistica, mentre viene accolto sesto,
tra Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e la guida Virgilio: «e più d’onore ancora assai
mi fenno» (If IV 100).

Il sistema morale dantesco: punizioni e premi, contrappasso e beatitudine


La Divina Commedia è un mondo perfettamente regolato in ogni sua parte: tanto
più regolato se si pensa che il tema fondamentale è quello della giustizia divina,
che distribuisce punizioni e premi secondo un’esatta gerarchia dei meriti e delle
colpe. La legge che governa i primi due regni è quella del contrappasso o
contrapasso (come si legge in If XXVIII 142), la cui validità era stata sostenuta dallo
stesso san Tommaso: ciascun dannato deve patire in ragione di ciò che ha
compiuto. Il contrappasso viene applicato o per analogia (come nel caso di Bertran
de Born, il poeta provenzale condannato, in quanto seminatore di discordie, a
portare il capo diviso dal corpo) o per antitesi (come nel caso dei superbi, che sono
costretti a muoversi sotto il peso di enormi massi, essi che un tempo camminavano
boriosamente a testa alta). La legge del contrappasso funziona anche per il
Purgatorio: la sola eccezione è che essa non è più eterna ma transitoria, e può
essere in parte alleviata dalle preghiere dei vivi.
La cultura medievale è una cultura enciclopedica e gerarchica: non sorprende
dunque che anche Dante disponga peccatori, purganti e beati secondo un ordine
gerarchico rigoroso e complesso. Partendo da una ripartizione che già apparteneva
alla filosofia aristotelica, i peccatori infernali vengono distinti in tre ordini: gli
incontinenti, incapaci di porre un freno alle loro passioni (lussuriosi, golosi, avari
e prodighi, iracondi e accidiosi); i violenti e i fraudolenti (If XI). La gravità del
peccato aumenta man mano che si scende verso il fondo del cono: la lussuria sarà
dunque il peccato più lieve; il tradimento di chi ci ha beneficato il più grave.
L’ordine di gravità è ribaltato nel Purgatorio, dal momento che i viaggiatori non
scendono ma salgono: nell’immaginario cristiano, l’opposizione alto-basso designa
rispettivamente il bene e il male, Dio e il demonio. Anche i peccati dei penitenti
sono suddivisi in tre categorie, fondate sul concetto di amore deviato (Pg XVII): per
malo obietto, quando riponiamo il fine del nostro amore nel male (superbia,
invidia, ira); per manco di vigore, quando non amiamo Dio con sufficiente
sollecitudine (accidia); per troppo di vigore, quando rivolgiamo un amore troppo
intenso ai beni terreni (avarizia e prodigalità, gola, lussuria).
L’ordine gerarchico interviene anche nella definizione del grado di beatitudine
destinato alle anime del Paradiso: secondo un ordine ascendente, dal cielo più
vicino alla terra a quello più lontano, si passa dunque dagli spiriti mondani a quelli
attivi a quelli contemplativi, cui è riservato il premio più alto.

Simmetrie compositive
Non esiste forse opera, nella storia della letteratura di ogni tempo, che presenti
un’architettura più rigorosa e compatta, un impianto strutturale più ferreo della
Divina Commedia: in essa, ogni verso, ogni episodio appaiono legati per forza di
richiami interni e intertestuali al complesso sistema del poema (che a sua volta
rielabora, in virtù di una complessa rete di autocitazioni e di rimandi, tutta la
produzione dantesca giovanile e coeva, risignificandola). Ogni cantica, ad esempio,
esordisce con un’invocazione classica: alle semplici Muse; poi alle sante Muse e a
Calliope; infine ad Apollo e a Minerva, assistiti dal corteggio delle nove Muse. Si
leggano, contemporaneamente, i passi di If II 1-9; Pg I 1-12; Pd I 1-36, II, 1-15 e
XXIII 55-69: l’espansione e l’amplificazione dei tre proemi corrisponde alla ben
nota esigenza medievale di far corrispondere altezza dell’ispirazione e dello stile
all’impegno degli argomenti trattati. Ma gli esempi si potrebbero moltiplicare con
estrema facilità: tutte e tre le cantiche si concludono sulla parola stelle; il canto VI
di ognuna delle tre cantiche è di argomento politico, secondo una progressione che
porta il lettore a considerare dapprima la situazione di Firenze, poi dell’Italia,
infine dell’Impero cristiano.
Il cosmo dantesco poggia su fondamenti scientifici tradizionali, ereditati dal
pensiero classico (il sistema aristotelico-tolemaico, che disegnava la terra
immobile al centro del mondo) e su un vasto patrimonio di materiali visivi
(letterari, figurativi e folclorici), a loro volta rielaborati con lucida invenzione dal
poeta.
Il plurilinguismo dantesco Già nell’ambito della poesia lirica, come si è visto,
Dante si era dimostrato incline a sperimentare nuovi linguaggi poetici: si pensi alle
forme dolci e stilnovistiche delle poesie per Beatrice, alla durezza semantica e
sintattica delle petrose, alla giocosità comico-realistica della tenzone con Forese
Donati o alla solenne gravità delle rime dottrinali. Si trattava tuttavia di registri
stilistici differenti, nei quali, come insegnavano le poetiche medievali, si dava una
rigorosa equivalenza fra stile e argomento.
Ci si aspetterebbe dunque che Dante facesse una scelta linguistica e stilistica
omogenea per il suo poema, magari ricorrendo a quel volgare illustre che egli
stesso aveva teorizzato nel De vulgari eloquentia; o, al limite, che differenziasse le
tre cantiche, procedendo, in una sorta di ascesa ideale, dallo stile comico
dell’Inferno a quello tragico del Paradiso.
Al contrario, nella Divina Commedia il poeta fa uso di un plurilinguismo e di un
pluristilismo stratificato, in base al quale Francesca (nel V dell’Inferno) può servirsi
di espressioni degne di un poeta stilnovista, o Farinata (nel canto X) di un
linguaggio aulico e , mentre san Pietro (nel XXVII del Paradiso) può abbandonarsi
a versi di concitata e violenta energia realistica, tipiche dello stile basso.
Tale scelta, come si è già detto precedentemente, nasce da una precisa esigenza:
dar conto di una realtà umana e divina troppo complessa per essere irrigidita in
un unico registro o in un unico stile. Fermo restando dunque che l’ascesa
dall’inferno al Paradiso presuppone anche un’ascesa linguistica e stilistica pari
all’innalzamento della materia (e che dunque nell’Inferno è documentato il
maggior numero di termini del linguaggio aspro o comico-realistico, di vocaboli
scurrili e popolareschi, mentre nel Paradiso troviamo il maggior numero di termini
aulici, di latinismi, di neologismi), la mescolanza degli stili è una pratica consueta
dell’intero poema, cui corrisponde un significativo ampliamento lessicale.
Se la lingua di base adottata è il dialetto fiorentino (e non la lingua illustre,
sovramunicipale di cui aveva parlato nel suo tratto sul volgare italiano), Dante non
esita a utilizzare forme dei dialetti toscani e nazionali ogni volta che ne sente
l’esigenza; a tali forme si devono aggiungere latinismi (se ne contano circa
cinquecento nel complesso del poema), gallicismi e neologismi di conio dantesco
(come indiare, inluiare, insemprarsi ecc.). Né mancano termini gergali od osceni,
forme desuete e da tempo abbandonate dello stesso dialetto fiorentino,
espressioni di carattere plebeo e triviale, spesso accostati per contrasto a termini
di carattere aulico.
Dante sente insomma il bisogno di possedere una lingua poetica varia e ricca, di
non essere limitato dalle scelte, fino a inventare forme inedite quando la lingua
esistente (parlata o letteraria) non lo soddisfa. Si spiega allora facilmente la
presenza di doppioni e di sinonimi all’interno del poema: Dante può infatti usare,
a seconda delle convenienze (non solo metriche) sia diceva che dicea; vorrei
oppure vorria; fero, feron o fenno; tacque o tacette; manicare, manducare o
mangiare; speranza, speme o spene; specchio, speglio, speculo o miraglio.
Significativo è anche il procedimento mimetico, che spinge il poeta a far parlare i
suoi personaggi a seconda del loro contesto socio-linguistico o culturale: il
racconto di Pier delle Vigne, il celebre poeta siciliano, ad esempio, è condotto
secondo le regole dell’ars dictandi (di cui Piero era stato maestro); Bonagiunta da
Lucca usa il termine municipale issa, tipico della sua città. La mobilità della lingua
e la tensione dello stile nascono concretamente dalla drammaticità e dal
dinamismo della realtà storica, dal cozzare continuo tra la perfezione del mondo
divino (immutabile e realizzato in ogni sua parte) e l’imperfetta contingenza del
mondo terreno.

L’Inferno

L’Inferno è una immensa voragine sotterranea a forma di tronco di cono


rovesciato, il cui vertice coincide con il centro della terra. Vi si accede dopo una
zona comunemente detta Anti-inferno, nella quale sono confinati gli ignavi, cioè
coloro che non vollero mai prendere partito, scegliere fra il bene e il male. Superato
l’Acheronte, il fiume infernale, si entra per una porta nell’inferno vero e proprio,
suddiviso in nove cerchi: il I è costituito dal Limbo, dove sono esiliati i morti senza
battesimo e i pagani giusti, che morirono senza peccato; nel II sono puniti i
lussuriosi, nel III i golosi, nel IV gli avari e i prodighi, nel V gli iracondi.
Qui si chiude la prima sezione, quella riservata agli incontinenti. Traversando la
palude infernale, Dante e Virgilio si recano alla città di Dite, nella quale si trovano
i sarcofagi infuocati degli eretici (VI cerchio). I cerchi successivi (VII: violenti; VIII:
fraudolenti; IX: traditori) si rivelano ben più complessi e articolati dei precedenti.
Il VII cerchio è infatti suddiviso in tre gironi (violenti contro il prossimo; contro se
stessi; contro Dio, la natura e l’arte); il cerchio VIII comprende dieci bolge (ruffiani
e seduttori; adulatori; simoniaci; indovini e maghi; barattieri; ipocriti; ladri;
consiglieri fraudolenti; seminatori di discordie; falsari); il cerchio IX è infine
suddiviso in quattro zone (Caina, Antenora, Tolomea, Giudecca), contenenti
rispettivamente i traditori dei parenti, della patria, degli amici e degli ospiti, dei
benefattori (e fra questi ultimi spiccano le figure di Giuda, Bruto e Cassio, che
tradirono il primo Gesù, gli ultimi due Giulio Cesare).
Il Purgatorio
Il Purgatorio sorge invece su una montagna altissima agli antipodi delle terre
abitate, in mezzo all’emisfero delle acque, irraggiungibile dai viventi. Sulle
sette cornici del monte, tante quanti i sette peccati capitali (superbia,
invidia, iracondia, accidia, avarizia e prodigalità, gola, lussuria), sostano
temporaneamente le anime degli espianti prima di ascendere al Paradiso.
Sulla vetta della montagna si trova il Paradiso terrestre, l’Eden perduto del
racconto biblico, che lo stesso Dante fa coincidere con i luoghi evocati dagli
antichi poeti pagani quando cantavano nei loro versi la mitica età dell’oro.
Il Paradiso

Il Paradiso, infine, comprende nove cieli concentrici di materia diafana, mossi dagli
angeli, al centro dei quali, secondo le dottrine cosmologiche dell’antichità,
sta immobile la Terra. Nel cielo della luna appaiono a Dante gli spiriti che
mancarono ai voti; in quello di Mercurio gli spiriti attivi che troppo
amarono la gloria; in quello di Venere gli spiriti amanti; nel cielo del Sole gli
spiriti sapienti; nel cielo di Marte gli spiriti militanti; nel cielo di Giove gli
spiriti giusti; nel cielo di Saturno gli spiriti contemplativi. Seguono il cielo
delle Stelle Fisse, dove Dante assiste al trionfo di Cristo, di Maria e dei beati,
e il Primo Mobile, dove gli angeli appaiono in forma di nove cerchi
fiammeggianti che girano intorno a un luminosissimo Punto. Oltre il nono
cielo materiale, fuori del tempo e dello spazio, è il cielo Empireo, sede
puramente spirituale di Dio e dei beati.
Questi ultimi scendono via via nei nove cieli solo per far comprendere a Dante in
modo sensibile la diversa altezza dei loro meriti. Il cosmo celeste evocato
nel Paradiso si configura come luce e splendore: nella sola terza cantica le
occorrenze di luce (o luci) sono 73, di lume (o lumi) 69, di splendore 17: Dio
si manifesta al mondo come luce che digrada gerarchicamente da un cielo
all’altro, investendo del proprio splendore ogni creatura.
[Tratto da Piero Adorno, Storia dell’arte italiana, Firenze: D’Anna, 1993.]
5 consigli per gestire (e cambiare) un uomo
mammone DI VERONICA MAZZA, 28 Giugno 2017
[Tratto da
https://d.repubblica.it/lifestyle/2017/06/28/news/marito_mammone_cosa_fare_paolo_crepet_identikit_d
el_mammone_come_liberarsi_della_suocera_invadente-3585110/]

4 mosse per aiutarlo a diventare adulto

Anche se le probabilità sono basse perché il legame madre-figlio è molto forte, se sei veramente
innamorata e credi in lui, ci sono delle azioni che puoi fare per aiutarlo a svincolarsi da questa
dipendenza morbosa e dargli una mano a crescere, costruendo un vero rapporto a due.
1. Mettilo davanti alle sue responsabilità. Amare significa scegliere ed è bene che lui faccia
una scelta di campo, che dimostri quanto tenga a “voi”. Quindi se ogni Ferragosto si va da
mamma, per una volta puoi pretendere che venga con te in montagna, per una vacanza lontano
da tutti e tutto.

2. Usa gli aut aut. Punta i piedi, fissa dei paletti e porta avanti le tue decisioni, senza essere
accondiscendente. Nel rapporto non esistono solo le sue esigenze (e quelle della sua mamma),
ma anche le tue. Abbi il coraggio di tirarle fuori e non cercare mediazioni: se ti ama, saprà
venire anche dalla tua parte.

3. Trattalo da uomo. La mamma lo considera ancora un ragazzino? Tu metti una


controtendenza e fallo sentire un uomo. Crea una dinamica relazionale adulta, fagli sentire che
può e deve impostare la sua vita seguendo i suoi bisogni in modo autonomo, anche se non
collimano con quelli materni.

4. Tira fuori l’ironia e inverti i ruoli. Non prenderlo in giro, ma con delle battute fagli
capire che sta esagerando, come quando chiama la madre 20 volte al giorno. E se si irrita, fagli
notare cosa direbbe lui se tu ti comportassi così con i tuoi genitori.

5. Non lo tolleri più? Lascialo. Quando le hai provate tutte, ma hai perso ogni battaglia, non
ti resta che mollarlo. Con un’azione così forte lo metti con le spalle al muro e se ti viene a
cercare, quindi ti sceglie, c’è la possibilità che capisca i suoi errori e che il rapporto riparta da
nuove basi.
Elena Ferrante e il romanzo del Settecento. Una
riflessione sull'identità del romanzo italiano
Autore: Daniela Mangione
Testata: Diacritica
Data: 25 giugno 2019
URL: https://diacritica.it/letture-critiche/elena-ferrante-e-il-romanzo-del-settecento-una-
riflessione-sullidentita-del-romanzo-italiano-una-trama-ininterrotta.html
(https://diacritica.it/wp-content/uploads/Diacritica-V-25-25febbraio2019.pdf)

Una trama ininterrotta


C’è un filo diretto che lega il romanzo italiano del Settecento ed Elena Ferrante.
La connessione può sembrare ardita, poco rigorosa; cercherò di chiarirla in poche righe,
mescolando pericolosamente critica più paludata e critica militante.
Gli studi hanno mostrato negli ultimi trent’anni circa che il romanzo moderno italiano ha
cominciato a crearsi già a metà Settecento, allineando numerosi esempi che hanno costituito il
pregresso con il quale Foscolo e Manzoni si sono dovuti necessariamente confrontare. Di tale
passato la tradizione poco ha traghettato fino a noi, e per lo più solo quanto era uscito dalle
penne di intellettuali “alti”, anche se meno letti. Sono rimasti, cioè, nelle antologie e nel canone,
i romanzi scritti da Alessandro Verri o Ippolito Pindemonte – Le avventure di Saffo, Le notti
romane, Abaritte. Storia verissima – seppure poco frequentati e decisamente slegati da ogni
realtà contingente. I romanzi, invece, che narravano le storie personali di donne e uomini
comuni e contemporanei – letti, passati di mano in mano, stampati in gran copia, ristampati,
pubblicati in edizioni particolari per le ferie delle classi agiate –, ebbene, questi subirono la
stessa rimozione che era stata auspicata dagli intellettuali “alti” contemporanei alla loro
pubblicazione. Questi romanzi, cioè, furono accusati di essere inverosimili – quando invece
parlavano di donne che si muovevano nelle città del tempo, nei caffè del tempo, magari
sfuggendo ai conventi, innamorandosi dietro le quinte dei teatri, fuggendo dalle camere chiuse
dai padri, incrociando figure contemporanee per costumi e modi; mentre romanzi che davvero
erano inverosimili, poiché parlavano di Saffo o di personaggi dell’antichità romana,
sopravvissero all’oblio, e vennero annoverati in un canone durevolmente citabile.
Termini di confronto
Prima di Foscolo, prima di Manzoni in Italia non c’era dunque il vuoto né il solo imperare dei
romanzi stranieri tradotti: tra le mani dei benestanti sostavano per ore le pagine romanzesche
di autori italiani come Pietro Chiari, Antonio Piazza, Zaccaria Seriman, Francesco Gritti,
Antonio Bianchi.
Perché dunque, pur letti, stampati, prestati da una mano all’altra e sopravvissuti nel secolo
successivo, con ulteriori edizioni, ristampe e traduzioni estere, questi romanzi popolari non
sono rimasti nella memoria storico-letteraria nazionale?
Per molto tempo è rimasta verso questi testi valida l’accusa di inverosimiglianza – facile a
smontarsi, oggi che i confronti con le caratteristiche del genere rendono più chiara, definita e
allineata con i canoni europei la loro identità. Un’altra accusa era quella di essere stati scritti in
una lingua scorretta: ma l’analisi e la loro lettura ha mostrato quanto questo non corrisponda a
realtà. Si parla quindi e cioè, in questo caso, per gli albori del romanzo, per il romanzo che è
stato il termine “dopo il quale” Manzoni e Foscolo – per citarli grossolanamente come esempio
dell’inizio del nostro romanzo – hanno scritto, di un vero pregiudizio che non ha permesso di
vedere e di avere contatto con le radici con le quali si raffrontavano le opere dei maggiori
romanzieri, quasi nell’illusione che il loro unico termine di confronto fosse solo il romanzo
straniero. Foscolo e Manzoni, invece, non si misuravano solo con l’estero: ma anche con tutti i
divieti che, sul romanzo, erano stati prodotti (e introiettati) nella seconda metà del Settecento
dal sistema culturale italiano.
Romanzo e coscienza
Se la critica e la tradizione hanno consegnato alla storiografia e dunque alla coscienza italiana
la sola esistenza e memoria dei romanzieri settecenteschi, pre-manzoniani, che nelle proprie
narrazioni parlavano “a pochi”, e raccontavano vicende estranee alla vita reale, la causa risiede,
così paiono dire gli studi fino ad oggi, essenzialmente in due grandi ordini di motivi:
la censura da parte della Chiesa, che dissuadeva dalla lettura di tali testi, nel timore, di matrice
classica, che tali storie, lette privatamente, influenzassero l’animo delle lettrici, poiché
trattavano di storie di emancipazione e libertà femminile, amori, avventure irregolari e non
consone ai princìpi cattolici. Chiaro che i romanzi che allontanavano l’identificazione del
lettore, come Le avventure di Saffo o le Notti romane, fossero accettabili da quel canone. Era
consentito e giusto, pertanto, che quei romanzi, depurati dalle emozioni pericolose, si
concentrassero su una perfetta, impeccabile, inappuntabile perfezione formale e stilistica; il
giudizio degli intellettuali, che si coalizzarono contro tali romanzi fin dal loro apparire. Il loro
giudizio (con quello della Chiesa) ha avuto esiti determinanti in due direzioni. Nell’immediato,
in quanto il sistema culturale non aveva anticorpi adatti a rispondere ai divieti in modo
oppositivo: e il risultato fu quello di riuscire, in effetti, a mettere a tacere tutte le voci
romanzesche che avevano provato ad inventarsi narrazioni che dessero alle lettrici e ai lettori
emozioni forti, basate su realtà condivise; nella lunga durata, poi, l’esito ha toccato la
ricostruzione storico-letteraria dei pregressi del nostro romanzo almeno fino al secolo scorso,
quando, a partire dagli anni Ottanta circa, la critica si è accorta di questa sorta di “sparizione”.
Così come gli intellettuali a fine Settecento avevano reagito a tali romanzi “assai letti ma molto
criticati” scrivendone altri del tutto astratti e depurati da sentimenti ed emozioni da più parti
giudicati sconvenienti, allo stesso modo la critica e gli intellettuali posteriori operarono a partire
dall’Ottocento una rimozione di questi primi gesti romanzeschi poco controllati,
pericolosamente popolari e, come ricordato, già scomodi per la Chiesa.
L’Italia, insomma, a partire dal Settecento si è dotata, nei confronti della narrativa di propria
produzione, di un mirabile pregiudizio, che ha previsto il (solo) magistero dell’intellettuale
“alto” nella narrativa lunga e il prevalere della cifra della cura della forma sul contenuto – un
contenuto che fosse, comunque, emotivamente non pericoloso.
Storie di canone
Questo pattern non si è limitato ad essere una dimenticata fase storico-letteraria. Questo
modello ha determinato, a mio parere, la storia delle narrazioni scelte dal nostro canone:
narrazioni che dovevano essere ben accette agli intellettuali alti anzitutto (e alla Chiesa, almeno
fino ai primi del Novecento: ricordiamo per esempio la vicenda del Santo di Antonio
Fogazzaro), sacrificando a tal fine anche (o forse elettivamente) il rapporto con il lettore. Le
narrazioni, pur di qualità, plausibili, significative per i lettori e che magari riuscivano a
raccontare o ad esprimere il carattere nazionale, se non ben accette agli intellettuali “alti”, non
potevano essere – e di fatto non furono – inserite in un canone.
Dopo questa partenza settecentesca, il modello ha continuato ad agire negli anni cruciali per la
formazione dell’Unità nazionale. Nella seconda metà dell’Ottocento, gli autori con una lingua
controllata ma la cui forma non sopravanzasse, in importanza, il ruolo del contenuto, autori
apprezzati e letti dagli intellettuali ma anche estremamente “popolari”, per le loro tonalità
emotive, e con altissime tirature – come Francesco Domenico Guerrazzi, per citarne uno –
scomparvero da qualsiasi canone – oggi non li troviamo raccontati nelle storie letterarie, sono
sconosciuti: quando hanno invece per decenni letteralmente non solo riempito il mercato di sé
e delle proprie edizioni pirata, data la richiesta, ma anche costruito sia il sentire nazionale
popolare che la coscienza degli intellettuali militanti risorgimentali[9]. Nel caso di Guerrazzi,
per esempio, l’opera di detrazione iniziò proprio con l’Unità d’Italia, quando il consenso
generale tra istituzioni in gioco (e anche la Chiesa, dunque) e la necessità di temperare i toni in
senso anti-emotivo divennero il criterio di scelta del canone letterario, che investiva
compattamente, come nel secolo precedente, anche la narrativa.
Sembrerebbe quasi che, in una storia delle emozioni nella letteratura italiana ancora tutta da
scrivere, al romanzo debba competere un singolare controllo delle emozioni. È questa, senza
dubbio, la linea di Manzoni; e scriveva Croce sulla «Critica» qualche decennio più tardi: «Certo,
se il risorgimento italiano non avesse avuta altra espressione artistica che i romanzi del
Guerrazzi, non sarebbe stato risorgimento di cosa alcuna: né d’intelletto, né di cuori, e neppure
di attività pratica, la quale richiede luce interiore e passioni frenate, e dose di senno assai
maggiore di quel che non risplenda nell’ideale del Guerrazzi».
Si è creata in due secoli, dunque, in Italia, una discrasia tra popolarità/successo romanzesco e
approvazione della critica alta, che ha avuto solo alcune numerabili eccezioni – il caso di
Umberto Eco il cui Nome della rosa era preceduto dalla fama “alta” dell’autore; ma, nel
dopoguerra stesso, romanzieri come Cassola o Bassani dovettero subire una simile
disapprovazione, per eccessiva “facilità”, che si incarnò poi storicamente nella risposta del
Gruppo 63. La risposta concreta degli intellettuali fu, con il Gruppo 63, una narrativa franta,
giocosa, metaromanzesca: illeggibile, di fatto, per il popolo tanto quanto sacra per l’elaborata
visione letteraria degli intellettuali – i «nipotini dell’ingegnere», ben protetti dal genio dello
zio, finivano con lo sposare, ancora, ed elettivamente, contrastivamente, una narrativa lontana
dal lettore.
Di fatto, dunque, chi, non intellettuale, scrivesse romanzi di qualità che arrivassero a toccare le
coscienze dei lettori, di tanti o tantissimi e non solo “di pochi”, si trovava nella condizione di
dover difendere il proprio scritto dal discredito intellettuale o dell’Accademia. Se, poi – e non
si tratta di osservazione di genere, ma di semplice cronaca –, a scrivere qualcosa che arrivasse
a tanti lettori era non solo un intellettuale non riconosciuto o un non intellettuale ma solo
“scrittore”, ma anche una donna, ecco che la quantità di fattori-ostacolo, di quei fattori-ostacolo
storicamente acquisiti in modo quasi indipendente dal singolo, acquisiti come sistema, si
facevano, per passare il varco della critica “alta”, davvero insormontabili.
Il nostro problema con la narrativa
Questa, pur non norma, è tuttavia indubbiamente una costante del nostro secolare problema con
la narrativa. Una costante, superfluo ricordarlo, per nulla inevitabile: si guardi alla provenienza
degli autori e alla tipologia delle storie che diventano parte della storia del romanzo nazionale
nel caso dell’Inghilterra, della Francia, della Germania.
Il giudizio degli intellettuali e della critica accademica sulla letteratura che, solo per essere
popolare, è stata relegata nella livellante categoria del “di consumo” ha creato una sempre
maggiore forbice tra le opere lette e approvate dagli intellettuali e le opere che parlano al
pubblico dei lettori – come se il fattore “pubblico” automaticamente squalificasse la qualità del
testo.
Si tratta di un pregiudizio endemico nella cultura italiana e che non è innocuo: ha uno
strettissimo legame con la capacità del popolo italiano di “sentire” se stesso – di poter sentire
se stesso, guardarsi nelle narrazioni così come è davvero, e non come dovrebbe essere; si tratta
anche, per una nazione, di avere la possibilità di ripercorrere la propria identità nelle narrazioni.
Se la storia dei nostri romanzi comprende soprattutto esperimenti intellettuali, lontani
dall’emotività e dall’esperienza cogente e coinvolgente della realtà (come, a mio parere, è il
capolavoro dei Promessi sposi), la storia dell’Italia non si rispecchia nella sua narrativa: si
racconta una storia narrativa adattata alle aspettative di istanze superiori, lontane dal popolo e
dalla vita vera della nazione. Il risultato è una massa di lettori che legge romanzi di cui la critica
non parla o non vuole parlare; un canone che non è quello reale; lettori che leggono stupendosi
di non trovare emozioni che li rappresentano; ovvero “abbiamo un problema con la nostra linea
narrativa”.
Il caso Ferrante
Quando si vedono i libri di Ferrante, e in particolare la tetralogia, così studiati all’estero –
mentre in Italia stentano ad entrare nelle aule accademiche, e un accademico che ne parli
criticamente è, qui, guardato con leggera, benché dissimulata, diffidenza; quando li si vedono
essere presenti nelle aule universitarie e seminariali esterne ai confini, quando li si vede
viaggiare ovunque, dagli States al Giappone, lodati all’estero da intellettuali e artisti, da lettori
particolari tra i lettori comuni, i casi sono due: o dobbiamo dubitare della passione narrativa
che abita il resto del mondo o l’Italia ha grande difficoltà o resistenza, per i motivi sopra citati,
a comprendere il richiamo di quei romanzi che, ben scritti, assai letti e apprezzati riescono a
raccontare ovunque e agli italiani stessi pezzi di vita, di vita spirituale, storica, intellettuale,
emotiva dell’Italia e dei suoi abitanti.
Gli interventi italiani che hanno iniziato a inoltrarsi timidamente nel merito della scrittura di
Ferrante sono stati di donne; e sono state giovani o nuove accademiche (un caso?) ad
occuparsene: Daniela Brogi su «Alias» nel 2013, quando la vicenda di Elena e Lila è ancora
trilogia, scrive Sé come un’altra, che subito mette in guardia dal confinare la scrittura di
Ferrante nella scrittura di genere:
[…] ma facciamo attenzione, perché attraverso le parole passano anche le forme del dominio,
e così invocare il “sentire femminile” equivale pure, visto che non si contempla l’uso
dell’espressione “sentire maschile”, a sottrarre importanza, a fare torto a una scrittura
“molesta”, che scava fuori dagli schemi lagnosi e sentimentali – e pure per questo sarebbe più
comodo recintare nella letteratura di genere.
Laura Benedetti ne parla ancor prima: ma dagli USA, dalla Georgetown University di
Washington, cioè da un ambiente accademico differente; e ne scrive nel 2012, ponendo in
dialogo L’amica geniale con la precedente opera di Elena Ferrante. Quattro anni dopo, a
quadrilogia conclusa, il suo bilancio su «Allegoria» dal titolo Elena Ferrante in America, mentre
ricorda che l’American Comparative Literature Association ha dedicato nel suo convegno
annuale del 2016 tre sessioni all’opera di Ferrante, non può non rilevare che:
Tanto fervore oltreoceanico non ha mancato di suscitare qualche perplessità nei critici italiani.
È proprio a partire dal successo americano, infatti, che hanno trovato espressione le maggiori
riserve verso la tetralogia, come evidenziato da alcuni giudizi raccolti da Luca Ricci e apparsi
sul «Messaggero»: con l’eccezione di Giovanni Tesio, che riconosce all’opera «rispettabilissimi
livelli di dignità narrativa», gli scrittori interpellati parlano di «cascata di aggettivi scontati e
accostamenti prevedibilissimi» (Francesco Longo), «narcisismo letterario» (Filippo La Porta),
«libro epigonale, retrò» (Massimo Onofri), «feuilleton stilisticamente molto esile» (Paolo Di
Paolo).
Una voce isolata deve specificare che nonostante il successo la tetralogia di Elena Ferrante ha
«rispettabilissimi livelli di dignità narrativa». Una narrazione di tale indubbia e dimostratissima
potenza riesce a divenire un «feuilleton stilisticamente molto esile». Interessante il gancio
stilistico – rispetto al discorso sullo stile cui abbiamo prima fatto cenno come essenziale per
l’intellettuale italiano fin dal Settecento, nel mezzo della sfida con il romanzo europeo – e
interessante la spia del feuilleton, che riconduce lo sguardo critico nell’alveo del peccato
originario, sette-ottocentesco: non prevale la cura formale, ci sono emozioni, allora non è altro
che un feuilleton. Lo stesso Di Paolo avrebbe poi detto Ferrante, nel marzo 2015, una sorta di
«marca di scarpe o di dentifricio», il suo successo di pubblico e critica negli States grande
«perché le trame sono oliate, la mano narrativa è solida, la lingua piana, e Napoli, quando c’è,
è un fondale che non impegna troppo, sta lì come una stampa turistica con Vesuvio e golfo. Si
fa leggere con partecipazione emotiva, le sue vicende sono traghettabili ovunque». Francesco
Longo osserva, a margine del suo commento che si apre, secondo l’articolista, con «Ferrante è
una narratrice potente, ma non una scrittrice»: «E la letteratura, si sa, è solo questione di stile».
Non esiste, dunque, un filo rosso che lega questi giudizi agli intellettuali settecenteschi come
Alessandro Verri, che, mentre in Europa imperava il nuovo romanzo, il romanzo che descriveva
le possibilità del nuovo individuo nel mondo, proponeva uno stilisticamente limatissimo e
gelato, Le avventure di Saffo (ricordiamo: tra i pochi romanzi rimasti nel canone descritto e
costruito dalla critica italiana nei duecento anni successivi)?
Non la forza dei personaggi, quello che essi rappresentano, le possibilità dell’esistenza che
incarnano, le relazioni che sanno descrivere, l’incrocio di tutto questo con la storia nazionale
vista dal di dentro, dalle case, dai rapporti, dalle convenzioni, dal linguaggio e dal dialetto, dalle
viscere delle donne e degli uomini dell’Italia dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, da Sud a
Nord, no: piuttosto, lo stile – come se la rappresentazione dell’individuo e della sua
problematica esistenza, dei quali il romanzo è privilegiato commentatore da almeno due secoli,
dovesse confrontarsi elettivamente con una questione di stile, prioritaria rispetto alla forza della
narrazione e della rappresentazione del quotidiano.
Opportunamente osservava Laura Benedetti:
La veemenza di certi pronunciamenti non può che richiamare alla memoria la polemica
suscitata una quarantina d’anni fa da una figura fondamentale nell’ispirazione di Elena Ferrante,
Elsa Morante. Anche nel caso de La storia, a uno straordinario successo di pubblico aveva fatto
seguito un risentito sbarramento critico, a cominciare dalla lettera collettiva, pubblicata sul
«Manifesto» del 18 luglio 1974, che condannava senza mezzi termini il «romanzone» e «la
mediocre scrittrice» che l’aveva prodotto. La diatriba sarebbe andata avanti per anni con toni
accesi: ancora nel 1996, Paolo Di Stefano poteva raccogliere per «Il Corriere della Sera» pareri
contrastanti di critici e scrittori, da Alfonso Berardinelli, che lodava «una capacità inventiva
che non ha pari in Italia, un fenomeno esplosivo e straordinario», a Franco Cordelli, che al
contrario riscontrava nello stile dell’autrice «una baroccheria ornata e piana di stucchi, quindi
stucchevole, [che] non trasmette il senso profondo di un’esperienza, ma il fracasso di
un’anima». Si trattava però ormai degli ultimi fuochi d’artificio, mentre Elsa Morante si avviava
a diventare una protagonista indiscutibile del Novecento italiano, punto di riferimento per
generazioni di scrittori.
L’aspetto percorso con più sistematicità in Italia ha iniziato ad essere anzitutto extratestuale –
quello dell’identità dell’autrice, indagata con una determinazione pervicace, giunta fino
all’indagine su beni, denari e compravendite dell’ipotetica Elena Ferrante. L’Università di
Padova ha organizzato, nel 2017, un workshop dedicato all’indagine stilistica dei testi
dell’autrice della quadrilogia – un modo per indagare l’opera con il pretesto di identificarne
l’autrice e che ha prodotto un libro dal titolo Drawing Elena Ferrante’s Profile. Sono nate
indagini sulla dimensione dialettale dei testi di Ferrante, partiti dall’Amore molesto; e nel 2018
Tiziana de Rogatis, dopo un primo affondo del 2015 nella costruzione dell’immaginario
femminile e napoletano, ha pubblicato, non a caso presso e/o, Elena Ferrante. Parole chiave,
dove la quadrilogia e le sue caratteristiche sono ripercorse in una sorta di racconto quasi
«ferrantiano».
Tra le poche voci maschili che abbiano riflettuto sulla dipendenza narrativa attribuita alla
tetralogia senza sminuirla, quella di Massimo Fusillo: «Basta poco, secondo me, per capire che
questa dipendenza non è solo l’effetto di una strategia efficace, come in tanta letteratura e in
tanto cinema di consumo (e in ogni caso si tratta di un effetto non facile da raggiungere,
certamente significativo): è invece parte di un sistema più complesso, che ha a che fare con la
grande se non con la grandissima letteratura».
Tiziana de Rogatis nel 2016 aveva aperto la serie di interventi su «Allegoria», cui quello di
Fusillo appartiene, chiedendosi appunto: «Per quale ragione i suoi libri vengono pressoché
ignorati dal dibattito universitario italiano, mentre in Nord America sono al centro di convegni,
seminari, pubblicazioni autorevoli?».
E il pubblico italiano?
Ma il punto non sembra essere solo quello del dibattito universitario o del confronto con il
pubblico americano. Il confronto e la partita sono anche con il pubblico italiano. E il punto
cruciale è, nel suo complesso, quello di una critica che sminuisce – che torna a sminuire, come
nel Settecento – la portata di un fenomeno che coinvolge il pubblico e la sua risposta ad aspetti
del tutto propri del genere romanzesco, additandoli come insignificanti, creando così ancora –
perpetuando – uno iato fra critica alta e legittima fruizione e azione del testo romanzesco.
La “zona di lettura” e di lettori che accoglie la forza del romanzesco – una forza del tutto
legittima e che non ha, da nessun lato in cui la si guardi, i difetti che la possano far escludere
dall’essere degna – è ancora, dopo due secoli di romanzo, bersaglio: non abbastanza concentrata
“solo” sullo stile, non abbastanza distaccata dal reale, troppo “romanzesca”. Del resto, possiamo
ricordare che questo aggettivo – romanzesco – era, per il romanziere che l’Italia si è scelto,
Manzoni, un vero problema? «Mentre si costruiscono piani grandiosi di egemonia, non ci si
accorge di essere oggetto di egemonie straniere», osservava Gramsci nel 1930. Se allora il
romanzesco arrivava soprattutto da sistemi culturali stranieri, ora, che l’egemonia straniera di
altri siamo noi, esportiamo all’estero una letteratura che in Italia viene letta malgrado e non
grazie alla critica.
La forza dei personaggi, la capacità di parlare di vite individuali e al contempo condivise, la
capacità di emozionare, di rappresentare nei tratti della storia sociale e di costume di un Paese
«il potere metamorfico del tempo» e il rapporto spaziale, tematico dell’oggi, fra globale e
locale; la capacità della quadrilogia di parlare dell’Italia stessa nelle vicende di un individuo –
e non solo di donne (alcune figure maschili in Ferrante sono straordinarie): tutto questo, che è
quanto parla al pubblico, alto e basso, colto e incolto, non è importante. Come nel Settecento,
il romanzo c’è, è lì, parla dell’Italia, di noi, della “nostra” Napoli, di quello che Napoli può
essere, ne parla a noi e al mondo, in quella maniera (da studiare) che trascina e coglie, spiega,
e catarticamente rappresenta: ma è una donna, è romanzesco e non straniato da operazioni
intellettuali, e quindi non lo si può vedere – riconoscere.
Nel Settecento, lo scandalo e la critica feroce della classe intellettuale per i romanzi che tutti,
anche gli intellettuali, leggevano riuscì a ridurre al silenzio i romanzieri; e restarono solo le voci
degli intellettuali alti; e a seguire furono Foscolo e Manzoni.
La scelta di essere invisibile è quella che Elena Ferrante spiega anche nella voce sull’identità
scritta per il vocabolario Zingarelli, quella di poter essere molteplici senza la zavorra
dell’identità. Ma, non rivelandosi, Elena Ferrante ha anche scelto la libertà da tutto ciò che,
diretto a lei, sarebbe riuscito a ridurla al silenzio – allo stesso modo in cui le polemiche del
Settecento riuscirono, nel giro di mezzo secolo, a zittire tutte le penne che avevano nel nuovo
romanzo osato scrivere di emozioni forti, di uomini irretiti da donne che correvano per le calli
veneziane travestendosi, di uomini e donne comuni che si confrontavano con modi e costumi
dell’Italia vera – soli, senza l’aiuto della Provvidenza.
(fasc. 27, 25 giugno 2019)
Discorso di Luigi Ambrosio alla cerimonia di consegna dei Premi Balzan 2019.
[Tratto da

https://normalenews.sns.it/limportanza-di-dedicarsi-a-temi-di-ricerca-belli-discorso-di-
luigi-ambrosio-durante-la-consegna-dei-premi-balzan-2019]

Presidente del Consiglio Nazionale, Membri della Fondazione Balzan, Signore


e Signori, Cari colleghi, autorità presenti,
ho ricevuto con grande emozione, la mattina del 9 settembre, il giorno
dell’annuncio ufficiale, la notizia del premio Balzan. Sappiamo tutti che il
prestigio di un premio deriva da una combinazione di fattori, il prestigio della
persona alla quale il premio è intitolato, o che lo ha istituito, la lista dei
precedenti premiati. In questo caso, per il premio Balzan, tutti questi valori
sono espressi al massimo livello, per la figura del giornalista, amministratore
e mecenate Balzan e per la lista di illustri colleghi che mi hanno preceduto, in
particolare matematici del calibro di Dennis Sullivan, Jacob Palis, Pierre
Deligne, Mikhail Gromov, Armand Borel, JeanPierre Serre, Enrico Bombieri,
Andrej Kolmogorov. Essere incluso in questa lista è motivo per me di grande
gioia, e un grande onore.
Questo è probabilmente il primo pensiero che ho avuto quando ho ricevuto la
notizia, con l’arrivo poi delle prime telefonate e messaggi di congratulazioni.
Il secondo pensiero è stato invece un sentimento di riconoscenza verso chi,
individuo o istituzione, ha voluto segnalare il mio nome. Al di là degli aspetti
più strettamente scientifici, l’ho vissuto come un riconoscimento verso il
lavoro di formazione e ricerca svolto in questi anni, del quale forse sono stato
solo parzialmente consapevole, e che ha maturato frutti anche al di là delle
mie aspettative. Vorrei quindi idealmente dedicare questo premio a tutti i miei
collaboratori e allievi.
Vorrei chiudere questo mio breve discorso con qualche riflessione sulla mia
esperienza di ricercatore e sulla mia disciplina, riflessioni non di natura
tecnica che valgono almeno in parte per altre discipline. Penso di avere
ereditato dal mio maestro, Ennio De Giorgi, un certo gusto per l’astrazione e
per la capacità di scegliere “bei” problemi di ricerca, indirizzando poi verso
questi problemi i miei allievi. Naturalmente il concetto di bel problema è quasi
indefinibile e altamente soggettivo: per un matematico come me, che pure
dialoga con il mondo delle applicazioni, il primo criterio di scelta è quello
estetico. Come in modi un po’ diversi osservava il fisico Eugene Wigner nel
famoso articolo del 1960, “The Unreasonable Effectiveness of Mathematics”,
spesso questo criterio di scelta si rivela, sorprendentemente, quello più
fecondo. D’altro canto la storia della Matematica e più in generale della
Scienza ci mostra innumerevoli esempi del percorso inverso. Un esempio a me
molto vicino, alla base delle mie ricerche degli ultimi 15-20 anni, è il problema
del trasporto ottimo di Gaspard Monge: proposto nel 1781 per risolvere un
problema estremamente pratico di distribuzione di massa da un posto
all’altro (da una pila a una buca o dalle pasticcerie ai bar sono gli esempi più
popolari, nella divulgazione della teoria), dimenticato per più di un secolo e
mezzo, ha vissuto una prima fase di seconda giovinezza negli anni ’40, con il
lavoro di L.V. Kantorovich, e una seconda fase negli ultimi 20 anni. In questi
ultimi due decenni ha svelato una sua natura fondamentale, che attraversa
vari campi della Matematica Pura e Applicata, negli ultimissimi anni persino
l’Analisi Geometrica e la teoria del Machine Learning. Questa storia ci insegna
molto anche su come avviene il progresso in Matematica: a una sempre
maggiore ramificazione e specializzazione, conseguenza anche del numero
sempre crescente di potenziali applicazioni della disciplina e di matematici nel
mondo, si oppongono a volte processi di fusione e nascite di nuovi
collegamenti che forzano anche matematici di aree diverse a dialogare tra
loro. La teoria del trasporto ottimo rientra appunto in questa categoria.
Un grande ringraziamento infine va alla mia istituzione, la Scuola Normale,
dalla quale ho ricevuto molto sia come allievo sia, negli ultimi 20 anni, come
docente. È questo un ambiente ideale, dove ricerca e formazione sono
strettamente intrecciate. Per questa ragione ho proposto di allocare i fondi
del progetto di ricerca legato al mio Premio Balzan presso la Scuola,
avvalendomi anche del supporto cruciale del Centro di ricerca intitolato a
Ennio De Giorgi.
COMUNICATO STAMPA
I PERCORSI DI STUDIO E LAVORO DEI DIPLOMATI E DEI LAUREATI
[TRATTO DA HTTPS://WWW.ISTAT.IT/IT/ARCHIVIO/190692]
La stima dei diplomati che hanno conseguito il titolo nel 2011 e che nel 2015 lavorano è
pari al 43,5% (45,7% nel 2011 per i diplomati del 2007), mentre il 21,8% è in cerca di
occupazione (16,2% nel 2011).

Il peggioramento degli esiti occupazionali riguarda soprattutto gli uomini, che nel 2015
sono occupati nel 46,8% dei casi (51,2% nel 2011); rimane stabile al 40,4% la quota di
diplomate lavoratrici.

Nelle regioni meridionali l’inserimento nel mondo del lavoro continua a essere più
difficoltoso: i diplomati che lavorano quattro anni dopo la maturità sono il 37%, nel
Centro superano il 42% mentre al Nord è occupato un diplomato su due.

I gruppi di laurea più scelti dai diplomati sono: Economico-statistico (14,5% degli
immatricolati), Medico (13,8%) e Ingegneria (13,1%).

Fra i diplomati che lavorano nel 2015, uno su quattro (25,3%) è dipendente a tempo
indeterminato, l’11,5% è lavoratore autonomo, il restante 63,2% ha un’occupazione “non
stabile”; nel dettaglio, il 33,8% ha un contratto a tempo determinato, l’8,7% è alle
dipendenze senza contratto, il 13,8% ha un contratto a progetto, di prestazione d’opera,
voucher o una borsa di studio/lavoro e il 6,9% svolge attività formativa retribuita.

A quattro anni dal diploma, otto diplomati su 10 vivono ancora in famiglia.

La stima dei laureati di I livello che hanno conseguito il titolo nel 2011 e che nel 2015
lavorano è pari al 72,8%; all’80,3% per i laureati di II livello a ciclo unico e all’84,5% per i
laureati specialistici biennali di II livello, valori stabili rispetto all’indagine sulla coorte dei
laureati nel 2007.

Si riduce il gap di genere nelle quote di occupati: il divario è maggiore nel caso dei laureati
di II livello, più contenuto per quelli di I livello.

Nel 2015, i livelli più elevati di occupazione (superiori al 93%) si riscontrano tra i laureati
di II livello nei gruppi Difesa e sicurezza, Medico e Ingegneria (99,4%, 96,5% e 93,9%).

L’inserimento nel mercato del lavoro è più difficile per i laureati, sia di I che di II livello,
nei gruppi Letterario (lavora il 61,7% dei laureati di I livello e il 73,4% di quelli di II livello)
e Geo-biologico (58,6% dei laureati di I livello e 76,5% di II livello). Critica è anche la
situazione dei laureati di I livello nel gruppo Psicologico (54,4% di occupati) e dei laureati
di II livello nel gruppo Giuridico (67,6%).
Sistema politico della Repubblica Italiana
[Tratto da https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_politico_della_Repubblica_Italiana]
Schema del sistema politico italiano
Il sistema o ordinamento politico
della Repubblica Italiana è un
sistema politico improntato ad
una democrazia
rappresentativa nella forma
di Repubblica parlamentare.
Lo Stato è organizzato in maniera
centralizzata ed in base ad un
significativo decentramento
regionale.
L'Italia è una repubblica democratica
dal 2 giugno 1946, quando
la monarchia fu abolita
attraverso referendum e l'Assemblea
costituente venne eletta per stilare
la Costituzione, che venne
promulgata il 1º gennaio 1948.

Organizzazione generale
Il sistema politico italiano è organizzato secondo il principio di separazione dei poteri:
il potere legislativo è attribuito al Parlamento, al governo spetta il potere esecutivo,
mentre la magistratura, indipendente dall'esecutivo e dal potere legislativo, esercita
invece il potere giudiziario; il presidente della Repubblica è la massima carica
dello stato e ne rappresenta l'unità.
La legge fondamentale della Repubblica è la Costituzione, ossia il codice che indica i
principi fondamentali, i diritti e i doveri dei cittadini e ne fissa l'ordinamento. Il potere
legislativo statale spetta al Parlamento ai sensi dell'art. 70 della Costituzione,
suddiviso in due camere: il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati. Tutte
le leggi, in ultima istanza, devono essere promulgate dal presidente della Repubblica
il quale può rinviare al Parlamento una legge se ritiene che questa sia in contrasto con
la Costituzione (il cosiddetto veto sospensivo), ma esclusivamente per la prima volta.
Il Consiglio dei ministri si regge su una maggioranza parlamentare, tipicamente
costituita a partire da una consultazione elettorale tra tutti gli aventi diritto di voto.
La separazione dei poteri
Solo in casi di necessità ed urgenza il Governo può emanare un atto avente la forza
di legge e chiamato decreto legge, che deve essere confermato successivamente dal
Parlamento entro 60 giorni, pena la sua decadenza (anche retroattiva). Inoltre il
Parlamento può delegare il Governo tramite una legge chiamata legge delega affinché
legiferi su una certa materia stabilendo nel contempo i limiti e i tempi entro i quali il
Governo può muoversi nel legiferare. L'atto normativo emanato in questo modo dal
Governo prende il nome di decreto legislativo.
Vi sono poi casi nei quali il potere legislativo spetta al popolo sovrano, attraverso
l'istituto del referendum abrogativo e, in materia costituzionale, attraverso l'istituto del
referendum confermativo delle leggi costituzionali. In generale dunque il potere di
iniziativa legislativa viene attribuito a ciascun parlamentare, al popolo, attraverso
l'istituto della proposta di legge di iniziativa popolare effettuata tramite la raccolta di
almeno 50 000 firme, e al Governo, le cui proposte di legge devono comunque essere
controfirmate dal presidente della Repubblica.
Infine, è presente un rilevante controllo giurisdizionale sia sugli atti amministrativi che
sulla legislazione effettuato a due livelli (non molto differente dal judicial review,
revisione giudiziaria, del sistema statunitense, ma ben più estesa di quello
anglosassone classico, ossia del Regno Unito), in quanto sia i tribunali a livello diffuso
possono considerare una legge non costituzionale, ma limitandola al caso a loro
sottoposto, mentre è molto più utilizzato il sistema accentrato di controllo, su richiesta
del singolo giudice del tribunale, affidato alla Corte costituzionale che può dichiarare
illegittime le leggi anticostituzionali anche dopo la loro approvazione, espungendole
dall'ordinamento, ed impedendo al Parlamento di legiferare nuovamente sulla
medesima situazione.
Per quanto concerne gli atti amministrativi il controllo è effettuato da un serie di tribunali
amministrativi suddivisi su base regionale, i TAR, con appello al Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale, avente competenza territoriale nazionale. Con l'approvazione
del Codice del processo amministrativo nel 2010 il controllo sugli atti amministrativi
governativi e degli altri enti pubblici è diventato particolarmente penetrante, con
possibilità di richiedere le più opportune misure cautelari, sia in primo che secondo
grado, nonché il risarcimento del danno che l'atto amministrativo emanato dal pubblico
potere ha causato[1].

Potere legislativo.
Il potere legislativo spetta al Parlamento della Repubblica Italiana suddiviso in
due camere: il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati, i quali
separatamente, con le stesse mansioni assegnate dalla Costituzione, promuovono,
attraverso l'iniziativa dei suoi membri parlamentari, l'iniziativa legislativa che deve
essere approvata a maggioranza da ciascuna delle due camere, altrimenti rigettata.

Potere esecutivo: Il Governo


Il potere esecutivo è affidato al governo all'interno del quale, secondo l'art. 92, c. 1
Cost., si distinguono tre diversi organi: il presidente del Consiglio dei ministri (primo
ministro), i ministri e il Consiglio dei ministri (talvolta detto impropriamente gabinetto,
secondo una dicitura storica non usata dalle norme italiane), quest'ultimo costituito
dall'unione dei precedenti due organi. La formazione del Governo è disciplinata in
modo succinto dagli art. 92, c. 2, 93 e 94 Cost. e da prassi costituzionali consolidatesi
nel tempo.
Il governo dipende dalla fiducia di entrambi i rami del parlamento ed ha in suo potere
la possibilità di emettere decreti legge solo in caso di emergenza (i quali devono
essere confermati dal voto del parlamento entro 60 giorni) e non dovrebbe fare decreti
legge abusivamente (art.77).
In base alla legge finanziaria 2008, il numero di ministri del Governo è fissato a tredici,
mentre l'intero esecutivo (compresi ministri senza portafoglio, viceministri e
sottosegretari) non può contare più di sessanta unità.
Presidente del Consiglio dei ministri
Giuseppe Conte, presidente del Consiglio dei ministri dal 2018
Il Presidente del Consiglio dei ministri (indicato impropriamente anche
come primo ministro, o popolarmente quale premier) è il capo del governo. È
nominato dal Presidente della Repubblica ed è la quarta carica dello Stato
per importanza, pur essendo il vero dominus del sistema politico (come in tutti i sistemi
parlamentari repubblicani la prima carica è sempre il Presidente della Repubblica,
anche se i suoi poteri sono limitati).
Teoricamente il presidente della repubblica è libero nella sua scelta, ma siccome il
designato dovrà formare un governo con cui sarà sottoposto al voto di fiducia delle
due camere, di fatto egli è scelto tendenzialmente nell'ambito dei partiti che hanno la
maggioranza in parlamento; la prassi costituzionale vede il presidente della repubblica
procedere a consultazioni con i gruppi parlamentari per poter procedere alla scelta di
una persona che abbia la possibilità concreta di ottenere la fiducia. Dopo la nomina il
presidente del consiglio propone al Presidente della Repubblica le nomine dei singoli
ministri insieme con i quali andrà a formare il Consiglio dei ministri se, come detto,
riceverà il voto di fiducia da entrambi i rami del parlamento.
Il Presidente del Consiglio dei ministri coordina l'attività dei ministri ed è responsabile
delle attività del governo. Il Presidente del Consiglio, a differenza di quanto avviene in
altri ordinamenti, non è a tutti gli effetti un superiore gerarchico dei ministri; certo,
naturalmente in qualità di Presidente dell'esecutivo, egli esplica funzioni alle quali tutti
i ministri sono, direttamente o indirettamente, sottoposti. Altresì è vero che il
Presidente del Consiglio dei ministri non può dare ordini specifici ai ministri riguardo
l'attività dei loro dicasteri, ma solo direttive a carattere generale, così come è vero che
non può licenziarli. Egli si qualifica così come un primus inter pares, cioè un primo di
pari grado con in suoi ministri. Più in generale, il presidente del consiglio svolge una
triplice funzione: impulso, direzione, coordinamento dell'attività del governo.
Il Sud abbandonato e la scelta di abbracciare i partiti della rabbia

[tratto da
https://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/03/08/news/il_sud_abbandonato_e_la_
scelta_di_abbracciare_i_partiti_della_rabbia-190731672/]

Oltre alle promesse di politiche assistenziali, sul voto meridionale ha pesato la sfiducia
(giustificata) verso i potentati politici tradizionali

di ROBERTO SAVIANO
08 marzo 2018
Chi ha vinto e chi ha perso le elezioni politiche in Italia? È fin troppo chiaro e le percentuali
sono sotto gli occhi di tutti, quindi non partirei dai numeri per raccontare cosa questo voto
significhi. Preferisco partire da quella parte di Italia dove spesso le cose si riescono a leggere
in maniera più chiara, quella parte di Italia che meno è entrata in questa campagna elettorale
e che meno entra in tutte le campagne elettorali ormai da moltissimo tempo. Quella parte di
Italia dove le forze politiche amano dragare voti, ma che, finché possono, evitano come la
peste. Partiamo dal Sud Italia che ci siamo abituati a considerare feudo di Berlusconi e, allo
stesso tempo, sede di un forte consenso al Partito democratico retto da ras locali che per
decenni hanno assicurato valanghe di voti.

E proprio Forza Italia e Pd, in queste politiche, hanno vissuto un'emorragia di elettori confluiti
in Lega e M5S. Quest'ultimo, con la promessa del reddito di cittadinanza, ha avuto un
consenso quasi plebiscitario proprio nelle regioni in cui, non esistendo un'economia
competitiva, l'unica speranza è la politica dei sussidi.

E anche in questo caso - sono anni che ne scrivo! - il Sud Italia è una ferita attraverso cui si
può guardare lontano. Accade che siano proprio le regioni del Sud, abbandonate dalla politica
nazionale e tenute fuori dal dibattito pubblico, a condizionare la direzione che il Paese intero
è destinato a prendere.

Ma oltre alle promesse di politiche assistenziali, sul voto al Sud, soprattutto in Campania, ha
pesato la sfiducia (più che giustificata) verso i potentati politici tradizionali. Dal caso mediatico-
giudiziario seguito all'inchiesta di Fanpage.it è emerso un quadro sconfortante di corruzione,
malcostume, familismo e conflitto di interessi; è stata la conferma, per molti italiani, che i partiti
che fino a questo momento hanno avuto in carico la gestione della cosa pubblica non sono
altro che centri di potere marci e che da loro nulla di buono ci si può aspettare.

Naturalmente non concordo con questa generalizzazione; i partiti sono composti da persone
e ciascuno risponde della propria onestà, del proprio lavoro e del proprio impegno, ma qui non
si tratta di ciò che penso io, quanto piuttosto del sentimento che hanno provato gli italiani di
fronte all'ennesima conferma dell'inadeguatezza dei partiti tradizionali. Le inchieste, gli
scandali, le prassi disinvolte e spregiudicate hanno spinto molti elettori del Sud ad accorciare
il proprio sguardo, a smetterla di puntare all'Europa per iniziare invece a occuparsi e
preoccuparsi solo di ciò che accade a un metro da sé. Come si può pensare all'Europa se le
cose qui non vanno bene? Lo scetticismo diffuso è stato una chiamata alle armi e il partito che
più di tutti ha risposto al bisogno di essere coinvolti in prima persona è il M5S.

È evidente che la promessa di rottamazione di Matteo Renzi è stata rottamata da Renzi stesso
e dall'unico modo che ha trovato in questi anni per occuparsi di Sud: la plateale promessa
della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina (cavallo di battaglia del più becero
berlusconismo) e la Apple Developer Academy di Napoli, spacciata come il primo segnale di
una ripresa economica sul territorio. Un corso per sviluppatori Apple, un unico corso e per
giunta calato in un contesto economicamente depresso, avrebbe dovuto fruttare a Renzi il
titolo di "amico del Sud". Una presa per i fondelli.

L'abbandono del Sud da parte dei partiti tradizionali ha portato a una necessità di
partecipazione, talvolta spinta fino alle estreme conseguenze e incline a stravolgere prassi
politiche e regole, pur di sentire che il proprio voto, che la propria preferenza ha avuto un
effetto reale. Gli italiani, oggi, soprattutto gli italiani del Sud, vogliono sapere esattamente come
il loro voto cambierà la loro quotidianità; e se le aziende continueranno a delocalizzare il lavoro,
se il lavoro nel Sud Italia resterà una speranza frustrata, almeno vogliono la certezza che chi
governerà si occuperà di loro, solo di loro, prima di loro.

E molti diranno: ecco che nasce il partito della rabbia, ma di che rabbia stiamo parlando?
Ancora di una rabbia cieca? Ancora di un voto di ribellione? No. Il voto al M5S e alla Lega
(ormai partito nazionale che aspira a rappresentare tutti) non è un voto esclusivamente di
ribellione, ma è un voto ormai ragionato che, tra le altre cose, avrebbe il merito di aver
asciugato (e molto) il voto di scambio. Questa volta l'elettorato è stato coeso nel dare consenso
a due partiti che sono specchio fedele dei loro elettori. Il voto non è stato semplicemente un
voto di protesta o di opinione, ma un voto di identità.

Lo storytelling renziano ha prodotto malanimo che a sua volta ha innescato una sorta di
egoismo sociale. Ormai quello che mi interessa è che a stare bene sia io, quindi quella forza
politica che promette attenzione a me che sono italiano è l'unica che posso ascoltare. Quella
che mi promette il reddito di cittadinanza in un Sud dove non solo manca il lavoro, ma anche
la speranza di lavoro, sta parlando proprio a me.

In Campania il M5S ha stravinto, e la sua vittoria si configura come un voto di liberazione dal
presidente della Regione Vincenzo De Luca, che è espressione di quella politica che Renzi
aveva promesso di rottamare. A Sud Renzi aveva due possibilità: un percorso lungo di riforma,
che significava scelta di candidati nuovi, oppure affidarsi ai feudi elettorali - un voto un lavoro,
un voto un favore - e ottenere velocemente vittoria sperando dall'alto di far cambiare rotta al
Sud una volta preso il potere. Ha scelto la strada più semplice e, sul tema politico più
importante, non è riuscito a impegnarsi su una strada di trasformazione.

Il ragionamento avvenuto al Sud è questo: se il Pd mi ha sempre proposto belle idee, apertura,


giustizia, ma poi non è mai riuscito a darmi nulla di tutto questo o ad avvicinarsi, allora
preferisco l'assenza di progetto morale, preferisco ragionare rispetto a ciò che mi conviene
adesso e che può non convenirmi domani, preferisco un movimento che non è né di destra né
di sinistra, che si definisce post-ideologico, che non si pone questioni morali, che rivendica con
orgoglio la propria incoerenza: un giorno europeisti e un giorno antieuropeisti; un giorno provax
e un giorno antivax. M5S e Lega non hanno preso in giro gli elettori, tutto era palese, tutto
cambiava di giorno in giorno - un flusso continuo di notizie orecchiate, story di Instagram, post
su Facebook e qualche Tweet - a seconda dei sondaggi.

Finanche i casi di cronaca nera (Macerata docet) sono stati utilizzati per fare comunicazione
politica. E paradossalmente questo agli italiani è piaciuto, la possibilità di non avere obblighi
morali, di poter essere liberamente incoerenti a seconda delle esigenze del momento.

Essere elettore di un partito progressista presuppone portare sulle proprie spalle valori che
nemmeno il partito per cui voti segue più. E allora che senso ha? Perché vivere il dissidio tra
una coerenza autoimposta, e per cui bisogna quotidianamente lottare, e la possibilità di essere
egoisticamente liberi?

Il M5S agli elettori del Sud non ha dato alcuna soluzione su come far partire davvero
l'economia, se non banali ricette di razionalizzazione delle spese e generiche promesse di
lotta alla corruzione. Ha dato però una cosa ben più grande: bersagli da colpire. Ha
capitalizzato la frustrazione, non chiedendo in cambio condotte di comportamento diverse,
anzi, supportando sintassi da haters e impiantando una politica basata sulla percezione della
realtà e non sulla realtà.

Ma alla rivendicazione della mancanza di coerenza, la Lega aggiunge un dettaglio che


faremmo bene a non trascurare, ovvero la libertà di essere anche cattivi. Salvini, che senza
distinzione di età, sesso e provenienza manderebbe via tutti gli immigrati, che ha sempre
disprezzato il Meridione e che ora si presenta come leader di tutto il Paese, giurando sul
Vangelo sembra aver detto: essere contrari all'accoglienza, utilizzare un eloquio violento e
apertamente razzista non è in contraddizione con le radici cattoliche. La devozione di Salvini
per il Vangelo è identica a quella che hanno i boss della mafia per la Madonna: si può essere
cristiani parlando in quel modo di chi scappa dalla miseria e dalla guerra? No. Si può credere
nel Vangelo e impedire a migliaia di bambini nati in Italia di avere la cittadinanza? No.

In Italia il 4 marzo ha vinto il malessere, non ha vinto la speranza e non ha vinto la voglia di un
futuro migliore. Il 4 marzo ha vinto l'idea di Stato chiuso, di nazione con confini alti e invalicabili,
invalicabili per gli esseri umani ma non per i capitali criminali (per loro le frontiere sono sempre
aperte). Il 4 marzo ha vinto l'euroscetticismo, trainato dell'America di Trump e dalla Brexit, e
ha perso l'idea di un'Europa unita e fiera dei suoi diritti, che l'avevano resa il posto migliore in
cui vivere. Il 4 marzo ha vinto una strana forma di nichilismo che, proclamando la propria libertà
da ogni coerenza, diventa libertà di essere cattivi.

Ma qual era l'alternativa? Questa volta non c'era. Lega e M5S hanno vinto perché dall'altra
parte non c'era niente. Più niente.
Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli
Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia.
Spinto qua e là alla ventura, non ho potuto finora mantenere la promessa fatta,
lasciandoli, ai miei contadini, di tornare fra loro, e non so davvero se e quando
potrò mai mantenerla. Ma, chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato
riandare con la memoria a quell'altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato
alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e
dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile
civiltà, su un suolo arido, nella presenza della morte.

– Noi non siamo cristiani, – essi dicono, – Cristo si è fermato a Eboli –. Cristiano
vuol dire, nel loro linguaggio, uomo: e la frase proverbiale che ho sentito tante
volte ripetere, nelle loro bocche non è forse nulla piú che l'espressione di uno
sconsolato complesso di inferiorità. Noi non siamo cristiani, non siamo uomini,
non siamo considerati come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che
le bestie, i fruschi, i frusculicchi, che vivono la loro libera vita diabolica o
angelica, perché noi dobbiamo invece subire il mondo dei cristiani, che sono di là
dall'orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto. Ma la frase ha un senso molto
piú profondo, che, come sempre, nei modi simbolici, è quello letterale. Cristo si è
davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno
e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato
qui, né vi è arrivato il tempo, né l'anima individuale, né la speranza, né il legame
tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. Cristo non è arrivato, come non
erano arrivati i romani, che presidiavano le grandi strade e non entravano fra i
monti e nelle foreste, né i greci, che fiorivano sul mare di Metaponto e di Sibari:
nessuno degli arditi uomini di occidente ha portato quaggiú il suo senso del tempo
che si muove, né la sua teocrazia statale, né la sua perenne attività che cresce su
se stessa. Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un
nemico o un visitatore incomprensivo. Le stagioni scorrono sulla fatica contadina,
oggi come tremila anni prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si è
rivolto a questa povertà refrattaria. Parliamo un diverso linguaggio: la nostra
lingua è qui incomprensibile. I grandi viaggiatori non sono andati di là dai confini
del proprio mondo; e hanno percorso i sentieri della propria anima e quelli del
bene e del male, della moralità e della redenzione. Cristo è sceso nell'inferno
sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle
nell'eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il
male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo
non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.
Storia della mafia
[Tratto da http://www.treccani.it/enciclopedia/mafia/]
mafia Complesso di organizzazioni criminali sorte in Sicilia nel 19° sec., diffuse
su base territoriale, rette dalla legge dell’omertà e strutturate gerarchicamente.
1. Storia
La m. nacque come braccio armato della nobiltà feudale per la repressione delle
rivendicazioni dei contadini. A fine Ottocento si strinsero i legami tra m. e
politica, con l’ascesa di mafiosi al potere locale e l’affermarsi della prassi dello
scambio di voti e favori, mentre si consolidava un rapporto di dominio-protezione
della m. sul territorio in cui operava. Il salto di qualità coincise con l’emigrazione
meridionale negli USA agli inizi del 20° secolo. La m. assunse allora un ruolo
importante nell’immigrazione clandestina, imponendo il proprio controllo sulla
forza-lavoro e il racket sulle attività dell’area occupata, e intensificando le
pratiche di scambio elettorale. Negli anni 1920 la domanda contadina di terra e le
misure governative per la formazione di nuove proprietà permisero alla m. di porsi
come intermediario tra latifondisti e cooperative contadine.
Durante il fascismo C. Mori, prefetto di Palermo (1925-28), fu inviato a stroncare
la m., intercettandone i tradizionali legami con la politica locale e rivendicando il
monopolio statale della violenza. Tra il 1943 e il 1945 la m., a cui gli Alleati si
erano appoggiati per preparare lo sbarco, strinse rapporti con il movimento
separatista e, dopo il 1945, con esponenti dei partiti al governo, che la
legittimarono come forza antisindacale, anticontadina e anticomunista. Mentre le
cosche locali si radicavano nel tessuto degli enti regionali, i mafiosi rientrati dagli
USA fecero della Sicilia la centrale mediterranea del narcotraffico e del traffico
di armi. La m. del palermitano si organizzò quindi in ‘cupola’ (Cosa nostra), avviò
un processo di controllo della criminalità organizzata e individuò nuovi settori di
profitto (edilizia, mercati generali, appalti), configurandosi negli anni 1960 come
m. ‘urbano-imprenditoriale’.
Negli anni 1970-80 la m. divenne protagonista del narcotraffico, intrecciando
rapporti con organizzazioni straniere.Nel 1979 iniziò una violenta offensiva volta
a rimuovere gli ostacoli alla sua crescita con l’uccisione di uomini politici,
poliziotti e magistrati, mentre si verificavano anche grandi conflitti intestini, dai
quali emerse vincitore il gruppo detto dei Corleonesi. Vittime della m. sono
caduti, tra gli altri, P. Mattarella nel 1980, P. La Torre e il generale C.A. Dalla
Chiesa nel 1982 e il giudice R. Chinnici nel 1983. Culmine di tale guerra è stato
nel 1992 l’assassinio dei giudici G. Falcone e P. Borsellino, del finanziere N.
Salvo e del deputato democristiano S. Lima. Nel frattempo, però, le rivelazioni di
una serie di mafiosi ‘pentiti’ hanno consentito di compiere passi importanti nella
lotta antimafia, istituendo fra l’altro un maxiprocesso a più di 400 persone nel
1986: sono stati arrestati i boss corleonesi L. Liggio, S. Riina e, nel 2006, B.
Provenzano, insieme a moltissimi altri capimafia.
2. Il fenomeno mafioso
La parola m. comparve nel 1863 prima in una commedia dialettale e subito dopo
in un documento della questura di Palermo. Tra Otto e Novecento, e fino a oggi,
con essa è stata indicata una fenomenologia criminale tipica della parte centro-
occidentale della Sicilia, caratterizzata da profondo radicamento nella cultura
locale e da connessioni con il potere politico ed economico. Dagli imprenditori di
vari settori dell’economia legale (commercio, edilizia, agricoltura) i mafiosi
pretendono tangenti promettendo di ‘proteggerli’ contro la delinquenza, ossia da
altri gruppi di m., e spesso per questa via diventano essi stessi imprenditori. Altra
attività è il commercio illegale (stupefacenti, armi, prodotti di contrabbando)
anche su larghissima scala.
In passato il fenomeno mafioso è stato considerato frutto di strutture economico-
sociali particolarmente arretrate, di un universo sociale composto da poveri
contadini, grandi latifondisti e grandi affittuari, i cosiddetti gabellotti, dai cui
ranghi provenivano molti capimafia. Altrettanto consolidata è l’interpretazione
che chiama in causa una cultura ‘mediterranea’ lontana dai concetti moderni di
Stato e legalità, incline a regolare i conflitti facendo ricorso alla legge non scritta
della vendetta o faida. Secondo tale lettura, la famiglia più o meno patriarcale
sarebbe il fulcro dell’organizzazione mafiosa, e la Sicilia ‘tradizionale’
esprimerebbe quest’unico modello di aggregazione sociale. La m. tuttavia è
riuscita a impiantarsi o riprodursi anche nell’ambiente ben più progredito degli
Stati Uniti, attraverso flussi migratori e traffici di scala transoceanica, e nel suo
stesso luogo d’origine è sopravvissuta con grande facilità al mutamento storico-
sociale intervenuto con l’avvento della modernità.
3. Struttura e dinamiche della mafia
La m. ha le caratteristiche di una società segreta, o di un insieme di società segrete,
sia pure collegate al complesso della cultura o della società siciliana, nelle quali
si entra attraverso un rito di affiliazione e che restano stabili nel tempo in
determinati territori. Oggi tale organizzazione viene indicata come Cosa nostra
ma anche in passato, quando quest’espressione non esisteva, si sapeva che la m.
si articolava in gruppi locali, i quali talvolta potevano agire d’accordo tra loro, in
altri casi competere e anche confliggere violentemente. Con riferimento
all’intrigo che in quei luoghi si consumava, questi gruppi erano detti cosche,
nasse, o anche talora partiti.
Non è peraltro vero che nell’Ottocento siciliano la famiglia fosse l’unico modello
possibile di aggregazione sociale. In quei tempi l’isola conosceva un fiorire di
confraternite, società di mutuo soccorso, circoli, e nel passaggio al nuovo secolo
anche una complessa struttura di partiti locali. Queste associazioni da un lato
rappresentarono modelli disponibili, e dall’altro luoghi all’interno dei quali le
fazioni più o meno mafiose poterono occultarsi. Per spiegare i caratteri di
segretezza e particolare compattezza riscontrabili nelle ‘fratellanze’ di m., molte
fonti ottocentesche chiamarono in causa anche il modello delle logge massoniche,
terreno classico degli intrighi dei gruppi dirigenti.
4. Guerre di m. e guerra alla mafia
Nel passato le istituzioni oscillarono tra lunghi periodi di tolleranza e tentativi più
o meno fortunati di repressione, come l’operazione condotta alla fine degli anni
1920 dal prefetto Mori. Quanto ai movimenti antimafia, un preconcetto piuttosto
diffuso vuole che prima degli anni 1970 non ne esistessero affatto. È vero invece
che i movimenti contadini, in particolare nel secondo dopoguerra, si sono
mobilitati contro il latifondo e appunto contro i gabellotti mafiosi; che si sono
avute grandi mobilitazioni di piazza e di stampa in occasione di eventi traumatici
precedenti, come gli assassini dell’ex direttore del Banco di Sicilia, E.
Notarbartolo, e del poliziotto italoamericano J. Petrosino. Troppo spesso la
stampa (e talora le forze politiche e la magistratura) descrive la m. come un
nemico onnipotente capace di controllare tutto e tutti. Si tratta di una
semplificazione comprensibile, alla luce della lunga durata del fenomeno e del
raggio delle complicità di cui esso ha goduto e tuttora gode, ma che in questa
forma estrema risulta erronea sotto il profilo fattuale, nonché controproducente
sotto quello etico-politico. Infatti la tesi secondo la quale l’avversario non è stato
mai contrastato può comportare l’idea che esso non sia contrastabile, inducendo
nell’opinione pubblica o nelle stesse autorità sconforto e passività. La m. può
essere efficacemente combattuta, ed è stata in particolare combattuta con buon
successo sia in Italia sia negli Stati Uniti a partire dall’inizio degli anni 1980,
grazie a nuove leggi, nuove istituzioni specializzate nel contrasto alla criminalità
organizzata, e agli stessi drammatici conflitti interni all’universo mafioso che
hanno visto molti affiliati (i pentiti) collaborare con le autorità e rivelare i segreti
dell’organizzazione.
Educazione ambientale a scuola. E torna il tema di storia alla maturità

[Tratto da https://www.repubblica.it/scuola/2019/11/05/news/fioramonti_scuola-240298932/]

L'audizione dal ministro Fioramonti in commissione cultura di Camera e


Senato.

di ILARIA VENTURI

Dopo l'introduzione dell'educazione civica come materia obbligatoria (senza ore o docenti aggiuntivi)
fatta dal predecessore, ora arriva tra i banchi anche l'educazione ambientale. Non che non si faccia già
nelle scuole, anzi. Ma il ministro all'Istruzione Lorenzo Fioramonti ha annunciato che non sarà più
materia facoltativa. "L'anno prossimo l'Italia sarà il primo Paese al mondo dove lo studio dei
cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile sarà obbligatorio" ha detto durante l'audizione in
commissione congiunta cultura di Camera e Senato.

Fioramonti ha spiegato le linee programmatiche del suo ministero, con il punto più critico, quello della
mancanza di risorse sul quale era già partito all'attacco: pochi fondi per la scuola nella Legge di Bilancio.
Dalla reintroduzione del tema specifico di storia alla Maturità all'educazione ambientale allle mense sino
ai nuovi concorsi, ecco i punti dell'audizione.

Educazione ambientale e storia

Il ministro ha spiegato che da settembre prossimo "tutte le scuole dedicheranno 33 ore all'anno, circa
un'ora a settimana, alle questioni relative ai cambiamenti climatici". Fioramonti ha detto che "molte
materie tradizionali, come geografia, matematica e fisica, saranno studiate in una nuova prospettiva
legata allo sviluppo sostenibile" e che "l'intero ministero sta cambiando affinchè la sostenibilità e il clima
siano al centro del modello educativo". Come accaduto per l'educazione civica, non sarà una materia
con professori dedicati e ore in più. Mentre sulla storia il ritorno tra le tracce di Maturità è stato
confermato. Dopo il manifesto promosso da Andrea Giardina, Liliana Segre e Andrea Camilleri e il
dibattito lanciato da Repubblica, Fioramonti ha ribadito che sarà reintrodotto il tema specifico, cancellato
dall'ex ministro Bussetti a seguito della revisione da parte della Commissione Serianni dell'esame di
Stato. "Ho fatto in modo che la traccia di storia venisse evidenziata tra quelle obbligatorie alla prossima
prova di maturità, come è stato richiesto da tanti storici e come da tempo veniva richiesto anche da
parte della società civile".

Il concorso per 24mila precari

Il bando per il concorso straordinario per l'immissione in ruolo sarà indetto entro il 2019, riafferma
Fioramonti. "Potranno parteciparvi docenti con tre anni di servizio sia per le scuole statali che le
paritarie". E' uno degli effetti del decreto salva-precari bis che il presidente Mattarella ha firmato di
recente dopo aver modificato la norma che escludeva dal concorso i docenti che insegnano nelle scuole
paritarie. Il concorso (prevedibilmente sarà alla fine dell'autunno) porterà in ruolo entro settembre 2020
almeno 24 mila precari e all'abilitazione coloro che risulteranno "idonei". I docenti delle scuole paritarie
potranno partecipare alla selezione esclusivamente per conseguire l’abilitazione. Non è al momento
prevista una procedura di reclutamento di ulteriori docenti di religione cattolica", ha precisato il ministro.

Sul sostegno - un problema immenso visto la mancanza di docenti specializzati - Fioramonti ha


annunciato la volontà di aumentare le cattedre di ruolo. "A questo riguardo la prima soluzione che
vogliamo mettere in campo, avviandola con una interlocuzione con il Mef, è la stabilizzazione di una
quota considerevole dei posti di sostegno da realizzare attraverso un allargamento dei posti in organico
di diritto e riducendo in ugual misura quelli in organico di fatto". Fioramonti ha aggiunto: "Stiamo anche
predisponendo una misura che consenta una prima formazione sui temi dell'inclusione già durante
l'anno in corso rivolta a tutti i docenti: su questo abbiamo giù stanziato milioni di euro perchè la scuola
inclusiva non è soltanto quella che ha docenti di sostegno opportunamente formati ma è una scuola che
in tutte le sue ramificazioni e competenze concepisce la disabilità come un elemento integrato all'interno
della struttura della comunità scolastica".

I finanziamenti, al Miur personale ridotto

Oggi in un'audizione alla Camera il ministro ha sottolineato il problema economico. "C'è una questione
di sottofinanziamento del Miur: le risorse sono state "ridotte drammaticamente, sia in termini economici
che umani. Il personale ammonta a tremila persone a fronte di seimila necessarie. Sono in via di
conclusione due concorsi: entro dicembre saranno assunti cinque nuovi dirigenti amministrativi e in
totale 30 nuove unità. Si prevede poi un concorso per 59 dirigenti tecnici e la possibilità di assumerne a
tempo determinato. Sarà definito un ulteriore piano straordinario assunzionale. E' prevista una nuova
struttura di livello dirigenziale per curare l'innovazione dei processi informativi del Miur, anche per
togliere troppi carichi di lavoro".

Le mense

Un tema toccato in audizione è anche quello delle mense scolastiche. "Per quanto riguarda il servizio
mensa, è di competenza dei Comuni ma serve uno sforzo che consenta di superare le differenze
territoriali: stiamo per firmare un protocollo con Anci per l'attuazione di forme di prevenzione di ogni tipo
di discriminazione con particolare attenzione al servizio mensa: servono altre risorse per garantire
uguaglianza di questi servizi su tutto il territorio nazionale".

Anief: il ministro ci ascolti

Sebbene Fioramonti abbia trovato l'intesa con i sindacati confederali della scuola, non tutti sono
d'accordo sul decreto Salva-precari. Anief ha proclamato uno sciopero il 12 novembre con un sit-in in
piazza Montecitorio. Ed in risposta all'audizione il leader del sindacato Marcello Pacifico dice: "Il ministro
ci ascolti, abbiamo idee chiare, semplici e giuste per affrontarli" tutti i nodi della scuola, dalla sicurezza
al precariato, dai diplomati magistrali al sostegno.
INDICE
PRIMA SEZIONE. Testi e attività didattiche .............................................................................. 1

Mappe di Italia.......................................................................................................................... 2

L’Italia geografica ..................................................................................................................... 3

Le regioni di Italia. Tutte belle da visitare! ............................................................................... 6

L’Italia pittoresca e varia / Qui occorre andar piano ................................................................ 8

L’alfabeto italiano ................................................................................................................... 10

Italiani famosi ......................................................................................................................... 12

Il sistema verbale.................................................................................................................... 16

Dizionari.................................................................................................................................. 19

Non è importante sapere tutto, ma sapere dove cercare ..................................................... 21

La nascita della lingua italiana ................................................................................................ 23

La diffusione di una lingua unitaria ........................................................................................ 26

M. Pandolfi, L’insegnamento della lingua italiana in Argentina............................................. 29

Dante padre della lingua ........................................................................................................ 32

Dante Alighieri: biografie e opere .......................................................................................... 34

La pittura metafisica ............................................................................................................... 37

Gli italiani, sempre piú mammoni .......................................................................................... 41

L’amica geniale (recensione) .................................................................................................. 46

La mia esperieza alla scuola Montessori ................................................................................ 48

L’università italiana ................................................................................................................ 50

La Scuola Normale di Pisa....................................................................................................... 52

Ingegneria ma non solo .......................................................................................................... 55

Federico Fellini. Frammenti autobiografici ............................................................................ 58

Da ''La dolce vita'' a ''La grande bellezza''. Un viaggio lungo quarant'anni............................ 65

Chi sono le Sardine. Storia di un movimento e del suo nome ............................................... 67

La Questione meridionale ...................................................................................................... 70

Antonio Gramsci, Letteratura e vita nazionale ...................................................................... 76

Recensione dei Cento passi .................................................................................................... 79

Rapporti tra stato e chiesa ..................................................................................................... 82


Greenpeace rintraccia in Polonia 45 tonnellate di rifiuti italiani ........................................... 84

Connettivi e falsi amici ........................................................................................................... 86

SECONDA SEZIONE. Testi di approfondimento ...................................................................... 87

Che cos’è il Palio di Siena ....................................................................................................... 88

Altre biografie di italiani celebri ............................................................................................. 90

Il primo vocabolario ............................................................................................................... 96

Le lingue romanze e i primi documenti del volgare italiano .................................................. 97

Il policentrismo ..................................................................................................................... 102

L’italiano degli emigrati ........................................................................................................ 106

La Divina Commedia ............................................................................................................. 108

Giorgio De Chiricho, La metafísica ....................................................................................... 118

Cinque consigli per gestire (e cambiare) un uomo mammone ............................................ 119

Elena Ferrante e il romanzo del Settecento ......................................................................... 120

Discorso di Luigi Ambrosio alla cerimonia di consegna dei Premi Balzan 2019 ................... 127

I percorsi di studio e lavoro dei diplomati e dei laureati ..................................................... 129

Sistema politico della Repubblica italiana ............................................................................ 130

Roberto Saviano, Il Sud abbandonato e la scelta di abbracciare i partiti della rabbia ........ 133

Caro Levi, Cristo si è fermato a Eboli .................................................................................... 136

Storia della mafia.................................................................................................................. 137

Educazione ambientale a scuola. E torna il tema di storia alla maturità ............................. 140

Potrebbero piacerti anche