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ISBN: 9788844078584

Prima edizione digitale: aprile 2022


SOMMARIO

INTRODUZIONE

STORIA E SIGNIFICATO DELLA SUPERSTIZIONE

LA SUPERSTIZIONE È SENZA TEMPO


A cosa serve la superstizione - Le forme caratteristiche
della superstizione - Perché esistono certe superstizioni -
Magia, religione e scienza - Superstizione e ragione - Il
saggio sopra gli errori popolari degli antichi di Giacomo
Leopardi

SIAMO TUTTI SUPERSTIZIOSI


La sfortuna e il destino - Il ruolo della superstizione
nell’esperienza quotidiana - Cercare risposte nella
divinazione

LA SUPERSTIZIONE NELLA STORIA


Il mostro come segno soprannaturale - La malefica
azione del demonio - La predicazione contro le pratiche
superstiziose - I sermoni di san Massimo di Torino - Il caso
dell’arcivescovo di Magonza - I filosofi e la superstizione - Le
credenze del mondo contadino - L’uso dei filtri - La magia
positiva

LA LOTTA CONTRO LE SUPERSTIZIONI


L’analisi di Plutarco - Se il diavolo ci mette la coda… - Le
superstiziose donne di Satana - L’Inquisizione contro la
superstizione - L’inizio della caccia alle streghe - Il Malleus maleficarum -
Verso la ragione? - Il nuovo riferimento alla ragione - Che
cosa dicono le Sacre Scritture - L’astrologia è una forma
di superstizione? - La concezione di Adorno - L’interpretazione
della psicoanalisi

MALOCCHIO E IETTATURA
Le testimonianze delle religioni

LA FILOSOFIA DELLA SUPERSTIZIONE


La simpatia cosmica - Il concetto di corrispondenza - La
concezione ciclica del tempo - La concezione lineare del
tempo - Il pessimismo antropologico - L’ottimismo
antropologico - Scienza e superstizione - Il ruolo del mito
- Il futuro della superstizione

IL MONDO DELLA SUPERSTIZIONE

OGGETTI… PERICOLOSI
Bicchiere - Buchi - Caminetto - Coltello - Cucchiaio -
Forbici - Forcina - Grano, paglia e fieno - Pane - Pettine -
Rasoio - Scopa

GIORNI E DATE NEFASTI


Anno nuovo - Anno bisestile - Epifania - 1° aprile -
Maggio - Giugno - I giorni della sfortuna - Il venerdì - Il
venerdì 17

ANIMALI DA TENER D’OCCHIO


Allodola - Cane - Civetta - Corvo - Cuculo - Farfalla -
Gatto - Maiale - Pecora - Pipistrello - Rospo - Topo

AZIONI RISCHIOSE
Passare sotto una scala - Aprire l’ombrello - Rovesciare
l’olio - Spargere il sale - Accendere la sigaretta - Andare
a caccia - Rompere uno specchio - Regali sconsigliati -
Vestirsi e svestirsi
SEGNI DEL CORPO
Il sangue - I piedi - I mancini - La mano - L’esadattilia -
Le unghie - La forza dei denti - I capelli

FENOMENI ATMOSFERICI
Le comete - Quando piove e tira vento… - Le tempeste e
i marinai - La Luna, i licantropi e altri misteri -
L’arcobaleno

FASI DELLA VITA


La nascita - L’allattamento - Il matrimonio - La morte

UNA PROTEZIONE MAGICA


Talismani e pentacoli - I filatteri - I brevi - La grafofagia -
Abracadabra - Toccare ferro - I chiodi - Le defixionum tabellae
- Il ferro di cavallo - Il gobbo - Le corna

BIBLIOGRAFIA
INTRODUZIONE

Dichiarare di non essere superstiziosi è una mezza


verità… Infatti, tutti noi, anche chi si ritiene razionale e
positivista, almeno una volta nella vita abbiamo ceduto alle
lusinghe della superstizione.
Ci siamo così lasciati illudere dai meccanismi simbolici
che albergano nella parte ancestrale della nostra psiche,
facendo magari uso di oggetti, parole e gesti per allontanare
quel senso d’ansia che ci travolge al cospetto
dell’incertezza. Quindi guardare alla superstizione con
razionalità corrisponde a prendere atto delle nostre paure e
soprattutto del nostro status di creature spesso terrorizzate
dalla consapevolezza della fragilità della condizione umana.
In modo forse troppo semplicistico potremmo considerare
la superstizione un mezzo per rispondere a quelle esigenze
che non trovano soddisfazione nella religione e nella
scienza. Si tratta però di un approccio alla realtà privo di
razionalità e comandato da un modus operandi di tipo
magico.
La superstizione infatti si sorregge sul pensiero magico e
quindi richiede tutta una serie di azioni che “hanno effetto”
sul piano simbolico, ma non su quello reale.
Ciò nonostante, la storia dell’uomo è attraversata dalla
superstizione: la sua presenza è documentata già in tempi
antichissimi e ancora oggi gode di buona salute, malgrado
le conoscenze scientifiche di cui disponiamo dimostrino la
sua totale irrazionalità.
Insomma, bisogna prendere atto che la superstizione non
è solo “roba da primitivi”, oppure pratica per “persone
ignoranti”, ma è parte integrante della dimensione
antropologica della nostra società.
Certe manifestazioni della superstizione si riscontrano,
paradossalmente, nelle società più avanzate: segno che
questo approccio alla realtà è parte di un linguaggio
simbolico, con una propria autonomia e vitalità.
In estrema sintesi possiamo dire che la superstizione si
pone come mezzo di difesa simbolica contro forze ed eventi
altrimenti ritenuti difficili da contrastare con i soli strumenti
naturali. Inoltre, l’approccio superstizioso effettua una
proiezione nel futuro, cioè ritiene di possedere i mezzi per
effettuare previsioni attraverso l’interpretazione di una
gamma vastissima di segni premonitori.
Per cercare di conoscere meglio la superstizione abbiamo
strutturato questo libro in due parti. Nella prima cercheremo
di guardare il fenomeno con razionalità, analizzandone
aspetti storici e sociali, avvalendoci di un approccio
antropologico, che ci consenta così di capire cosa alimenti la
superstizione, quali istanze ci siano alle sue radici e perché
continui a essere tanto diffusa.
Nella seconda parte, i lettori troveranno superstizioni
prese da un complesso di credenze vastissimo, alcune molto
note, altre quasi sconosciute. Naturalmente non si tratta di
una raccolta esaustiva, ma di una documentazione che offre
una visione globale dello sconfinato mondo della
superstizione. I casi riportati, al di là del loro effettivo valore,
sono soprattutto testimonianze culturali: conoscerne il
significato, o quanto meno le valenze sul piano psicologico e
sociale, può essere un modo per valutare un po’ meglio certi
nostri atteggiamenti; allo stesso tempo può servire a
cogliere, dietro ad azioni simboliche apparentemente prive
di significato, il riflesso di necessità materiali e spirituali
dell’uomo, consapevole della sua fragilità al cospetto delle
forze della natura.
LA SUPERSTIZIONE È SENZA TEMPO

Se esaminiamo le norme tradizionali del comportamento sociale


all’interno di una cultura, così come ci si presentano, ossia senza
considerarle alla luce della comparazione storica, non è possibile
distinguere in esse quelle che derivano da superstizioni sviluppatesi per
motivi di ordine casuale, da quelle che devono la loro origine a ricerche e
invenzioni vere e proprie.

Sono parole dell’etologo Konrad Lorenz (1903-1989),


tratte dal libro Gli otto peccati capitali della nostra civiltà,
che insieme alla nota battuta di Totò “Non è vero ma ci
credo”, ci consentono di introdurre questo capitolo. Infatti,
per cogliere completamente l’effettiva dimensione della
superstizione, è necessario conoscerne almeno in parte le
sfaccettature.
Il grande studioso di pratiche magico-religiose
contemporanee, Alfonso Maria di Nola (1926-1997), ha
osservato: “Se le superstizioni non esistessero bisognerebbe
inventarle, per la loro utilità nelle crisi esistenziali”.
Perché le superstizioni sarebbero utili? Dal punto di vista
delle scienze sociali, la superstizione si configura come una
presenza che “giustifica” molti dei nostri atteggiamenti
irrazionali e, forse paradossalmente, offre l’opportunità di
farci sentire meno fragili davanti ai numerosi misteri
dell’esistenza.
Mentre la religione tende alla metafisica e ricorre alla
creazione di immagini ideali, la superstizione attinge alla
vita mistica ma si mescola a quella profana. In parole
povere tende al concreto, come la religione tende
all’astratto. La scienza offre una garanzia di certezza,
consistenza che certifica la propria solidità, opponendosi
alle discipline per le quali non è richiesto un fondamento
dimostrativo.
Il termine “certezza” ha due significati fondamentali: la
sicurezza soggettiva della verità e la garanzia oggettiva di
una conoscenza; tale concezione si fonda sulla ripetibilità di
alcuni fenomeni, scanditi da un iter matematicamente
definito e riproducibile rispettandone i parametri e le norme.

A COSA SERVE LA SUPERSTIZIONE

La superstizione intende indagare la realtà,


trasformandola all’interno della propria pratica simbolica,
che si ritiene in grado di condizionare gli eventi naturali.
“Perché l’uomo è condannato a patire?” si chiede la
mente travagliata dal dolore. La superstizione risponde:
“Perché qualcuno o qualcosa malignamente ha gettato il
malocchio sul sofferente”. La risposta è certamente
inadeguata ma è pur sempre una risposta. Quante sono,
infatti, le persone che ammettono l’esistenza del fato, la cui
logica e il cui strapotere sfuggono all’umana
considerazione?

COSA SIGNIFICA SUPERSTIZIONE


“Superstizione” deriva dal latino, composto da super (sopra) ed estìtio
(stato). Cicerone, nel De natura deorum, riconduce superstitio a superstes
(superstite); ma il vocabolo significa anche preservare, far durare,
perseverare.
Per san Tommaso la superstizione è “un vizio opposto per eccesso alla
religione, non perché essa rende più onore a Dio di quanto non gliene tributi
il vero culto, ma perché rende onori divini a ciò che non si deve”.
In genere, oggi si indica come superstizione un insieme di stravaganti
pratiche magico-simboliche, spesso in contrasto con la religione; ma
possono anche essere considerate superstiziose le false idee sulle pratiche
religiose, alle quali si dedica eccessiva attenzione con la consapevolezza
che il loro corretto svolgimento – o di contro, l’infrazione – possano influire
pesantemente sulla realtà.

L’antropologa Cecilia Gatto Trocchi (1939-2005), nel libro


La magia, ha affermato:
Talvolta ammettere la presenza del caso nei destini umani equivale a
rendersi impotente. Meglio allora possedere la formula magica che
scaccia il malocchio e ridona insperatamente la salute perduta.

La superstizione si avvale di pratiche ripetute


invariabilmente con identiche formule e azioni: la non
osservanza delle stesse corrisponderebbe al mancato
raggiungimento degli effetti. In tal modo queste azioni,
sorrette da falsi mezzi, ritenuti però capaci di produrre
effetti concreti, sarebbero in grado di proteggere,
allontanare presunti pericoli; e inoltre determinerebbero
effetti negativi a danno altrui se sfruttati con indirizzo
malvagio.
Per i superstiziosi le cause delle anomalie sono
individuabili in uno squilibrio dell’ordine naturale, che può
essere determinato dall’infrazione di regole, dalla magia, dal
potere esercitato da forze che sfuggono al controllo
dell’uomo, ma che non derivano da Dio.
Dal punto di vista razionale, potremmo considerare la
superstizione come un insieme di esperienze che si basano
sull’effetto delle emozioni all’interno del sentire umano. In
realtà, mentre le teorie della conoscenza sono dettate dalla
logica, quelle della superstizione risentono esclusivamente
di idee spesso in antitesi tra loro.
Generalizzando, appare evidente che i procedimenti
connessi alla superstizione riescono ad affermarsi
maggiormente in quelle realtà dove l’esistenza quotidiana è
trafitta da incertezze e calamità apparentemente non
risolvibili con le ragioni della scienza o con la fede.
La superstizione rappresenta il tentativo di contrastare
l’imprevisto e giustificare gli ostacoli che impediscono
all’uomo di raggiungere uno specifico risultato.
In generale, la superstizione risulta un fenomeno
poliedrico, in cui si focalizzano tensioni e istanze molto
diverse fra loro.
Perciò, per valutare gli aspetti culturali della
superstizione, è necessario riflettere sul contesto in cui si
manifesta il fenomeno, tenendo conto di prerogative
difficilmente generalizzabili.
Nella coscienza del superstizioso il rapporto causa-effetto
risulta condizionato da regole scollegate da ogni relazione
naturale, ma vincolate da un approccio magico alla realtà.
Di contro, la credenza nei poteri della superstizione è
spesso la causa della disgregazione psichica dei soggetti
che si credono vittime della magia nera.

LE FORME CARATTERISTICHE
DELLA SUPERSTIZIONE

Ponendoci davanti alla superstizione con un


atteggiamento critico, volto soprattutto a evidenziare gli
aspetti principali del fenomeno, osserviamo che le forme
caratteristiche della credenza sono sostanzialmente tre.
1. L’idea che un certo evento o un’azione possano
determinare effetti correlati simbolicamente su base del
tutto irrazionale.
2. La consapevolezza che compiendo un certo rituale si
avranno dei risultati diretti.
3. La pratica di interpretare i fenomeni, i segni, i gesti ecc.,
per stabilire quali effetti, negativi o positivi, si
produrranno.

I primi due punti, per certi aspetti, sono


“istituzionalizzati” nella cultura del superstizioso, per il terzo
il discorso è un po’ diverso. Infatti si tratta di “messaggi” dei
quali T. Sharper Knowlson (1867-1947), storico della
superstizione e autore, oltre un secolo fa, del fondamentale
The Origins of Popular Superstitions and Customs, forniva
questa descrizione:
Non esiste un’origine definita per i presagi; sono vecchi almeno quanto
l’uomo. Da tempi immemorabili gli aspetti mutevoli della Natura gli
hanno suggerito i cambiamenti che potrebbero intervenire nella sua
stessa vita, il volo di un uccello, un coniglio che attraversa la strada, e
un’infinità di altri dettagli sono stati assunti come segnali di qualcosa che
preannuncia un bene o un male – generalmente un male – e ciò a
testimoniare la quasi universale paura con cui l’uomo ha sempre
osservato le forze che circondano la propria vita.

Forse non è così facile sottrarsi alle credenze perché


risultano talmente condizionanti da intimidire anche l’uomo
che si considera dotato di un’inossidabile razionalità?
Il pastore e naturalista Gilbert White (1720-1793), nel
libro Natural History and Antiquities of Selborne,
confermava:
Scrollarsi di dosso i pregiudizi da superstizione è la cosa più difficile che
esista al mondo; visto che li abbiamo addirittura succhiati come si
trattasse di latte materno e, crescendo così insieme a noi, quando si
assicurano la presa e operano su di noi le impressioni più durature, si
intrecciano a tal punto con il nostro modo di essere che occorre il più
sovrumano degli sforzi per svincolarsi da essi.

Davanti agli atteggiamenti superstiziosi comprendiamo di


trovarci al cospetto di pratiche in cui la fede e la paura
irrazionale si amalgamano in modo confuso, cercando forme
cultuali e magiche per invertire una condizione avvertita
come negativa e per favorirne un’altra di segno opposto.

PERCHÉ ESISTONO CERTE SUPERSTIZIONI

Molte superstizioni esistono perché le nostre conoscenze


su alcuni argomenti sono alquanto arretrate, o addirittura
limitatissime. Di conseguenza, non conoscere le cause
effettive di un certo fenomeno fa sì che lo si collochi nella
sfera del soprannaturale.
Dal passato, naturalmente, molte cose sono cambiate,
poiché l’acquisizione di nuove conoscenze scientifiche ha
sfatato credenze e antiche paure. Resta però il fatto che la
barriera della superstizione non sarà mai infranta, perché
l’uomo continuerà a guardare il suo tempo e il suo futuro,
scrutando quasi con angoscia tra i “segni” che potrebbero
dirgli qualcosa sul suo domani e sulla sua sorte.
Ricorriamo ancora a Knowlson:
La vera origine della superstizione va ricercata nello sforzo dell’uomo
primitivo di spiegare la Natura e la propria esistenza; nel desiderio di
propiziarsi il fato e di sollecitare la Fortuna; e nell’inevitabile tentazione di
spiare nel futuro. Soltanto da queste fonti può essere scaturito il sistema
di rozze nozioni e pratiche ancora esistenti.

Le credenze sono la scorza dura della superstizione,


l’armatura che la difende dagli attacchi provenienti dalla
ragione, proteggendola e dandole la forza di radicarsi nella
nostra quotidiana ricerca di un improbabile equilibrio. È
importante sottolineare che la superstizione è comunque
presente in ogni espressione della cultura umana: si può
essere superstiziosi anche nel culto che si rende a Dio
quando, per esempio, si cerca di stabilire con la divinità un
rapporto basato sul “dare-avere”, o si crede che
l’atteggiamento di Dio nei confronti dell’uomo di fede sia
basato solo su un rapporto continuo di scambio governato
da regole inalienabili.
L’atteggiamento di molti falsi credenti, ancora oggi,
poggia su questo modo di considerare la presenza di Dio
nella nostra esperienza quotidiana. Si tratta di
atteggiamenti superstiziosi che non hanno nulla da spartire
con la fede autentica.
Credere che una festa non santificata o una bestemmia
determinino un’azione negativa nei confronti di chi ha
commesso l’infrazione è indice di superstizione, è
espressione pagana del rapporto tra l’uomo e Dio. E questo
fenomeno è ancora ampiamente affermato, in particolare
nella religiosità, dove spesso millenni di credenze popolari e
di residui del paganesimo sono stati fatti convivere nella
coscienza popolare con il culto tributato a Dio.
L’ICONOLOGIA DI CESARE RIPA
Alla fine del XVI secolo, Cesare Ripa (1560-1615), uno studioso che
trascorse la sua esistenza tra biblioteche e raccolte antiquarie, realizzò un
notevole lavoro di ricerca iconografica che chiamò Iconologia, con il quale
cercò di rappresentare simbolicamente le virtù, i vizi, le passioni, le arti, le
parti del mondo e così via.
Creò in questo modo un repertorio straordinariamente ricco, che consentiva
di trovare una raffigurazione concreta anche alle astrazioni. In questa
voluminosa raccolta anche la superstizione trova una propria
rappresentazione, realizzata con notevole ricchezza di particolari, come:

Una vecchia che tenga in testa una civetta, alli piedi un gufo, da
una banda, dall’altra una cornacchia, e al collo un filo con molti
polizini, nella man sinistra una candela accesa. E sotto il medesimo
braccio una lepre, nelle man dritta un circolo di stelle con li pianeti,
verso li quali con aspetto timido riguardi.

Vi è infatti un conflitto diretto tra religione e pratica


superstiziosa, ritenuta dalla prima una sorta di ritorno al
pensiero pagano.
In modo semplicistico potremmo dire che la superstizione
si distingue dalla religione poiché la seconda è
istituzionalizzata, con riti organizzati e codificati, mentre la
superstizione si serve di riti arbitrari o individuali.

MAGIA, RELIGIONE E SCIENZA

La superstizione sembrerebbe una risposta a esigenze


che non trovano soddisfazione nella religione o nella
scienza, risultando di fatto un’espressione del cosiddetto
“pensiero magico”. Inoltre si ritiene che la superstizione sia
indirettamente proporzionale alla fede nella religione.
Uno dei fondatori della moderna antropologia culturale,
Edward Burnett Tylor (1832-1917), considerò per primo la
magia l’espressione tipica delle culture che ai suoi tempi
erano dette “primitive” o “selvagge”: il suo lavoro sul
campo lo condusse a indicare la magia come “una delle più
pericolose illusioni che abbia mai afflitto il genere umano”
(Primitive culture, 1871). Anche se oggi questa definizione
risulta un po’ troppo radicale, innegabilmente Tylor provò a
sdoganare la magia dalle secche della demonizzazione in
cui l’avevano sospinta le interpretazioni degli occidentali.

Uno stregone africano individua segnali nefasti, che significano sciagura


per il suo interlocutore

Le definizioni di Tylor si contrappongono alla matrice


evoluzionista che ha dominato le ricerche sulla magia di
James George Frazer (1854-1941), secondo il quale
l’evoluzione del pensiero umano sarebbe scandita da tre
fasi:

magia ⇒ religione ⇒ scienza

Lo storico vittoriano delle religioni, autore della


monumentale opera The Golden Bough (1890), legava la
magia allo stadio primitivo dell’uomo, che nel corso della
sua evoluzione culturale avrebbe via via accresciuto il
proprio background di conoscenze, passando così a stadi
successivi, scanditi dalla religione e dalla scienza.
In realtà oggi sappiamo che il processo suggerito da
Frazer non è applicabile nella realtà, poiché magia, religione
e scienza non sono compartimenti stagni isolati gli uni dagli
altri, ma spesso collegati in un sincretistico processo di
adattamento alla realtà su basi del tutto svincolate da
precetti teoretici e poggianti su presupposti irrazionali.
Inoltre si consideri che le scienze sociali moderne
ritengono la superstizione e la magia prodotti di società ed
epoche colpite da crisi conflittuali di un certo rilievo, dalle
quali scaturiscono effetti atti a mettere in crisi i punti di
riferimento su vari piani, sia collettivi che individuali.

SUPERSTIZIONE E RAGIONE

Si cede alla superstizione quando non si è in grado di


comprendere l’effettiva casualità che è alla base di un
evento, ma sarebbe troppo semplice pensare che la
superstizione sia solo determinata dalla non conoscenza
scientifica, che vira in direzione della cosiddetta
pseudoscienza.
Spesso superstizione e credenza sono usati come
sinonimi, il che, anche se non è completamente corretto,
non deve essere considerato un errore grossolano; va
invece ricordato che esiste un’importante distinzione tra
fede e credenza. La seconda indica un atteggiamento in
opposizione all’ortodossia, che per alcuni aspetti è
riconducibile al modello della superstizione, con tutte le
problematiche che può determinare a livello di errata
comprensione della religione e dei suoi dogmi.
L’incontro-scontro tra credenza e ragione ebbe, a partire
dall’Illuminismo, la prerogativa di porre in rilievo quanto
fossero diffuse certe pratiche superstiziose e come in esse si
vedessero tra le righe le ombre di un’irrazionalità
considerata quasi patologica.
Per contrastare questo “errore”, videro la luce opere
come il Traité Des Superstitions Qui Regardent Les
Sacrements (1679) di Jean-Baptiste Thiers (1636-1703), il
De superstitione vitanda (1724) di Ludovico Antonio
Muratori (1672-1750), l’Histoire critique des pratiques
superstitieuses (1732) di Pierre Le Brun (1661-1729) e l’Arte
magica dileguata (1749) di Scipione Maffei (1675-1755);
naturalmente ci furono molte altre opere scritte per
combattere la superstizione e la magia che da essa si
alimentava. A tutto ciò vanno aggiunte le relazioni di
numerosi vescovi che, applicando con zelo i dettami del
Concilio di Trento, condussero e coordinarono delle inchieste
sulla vita religiosa nelle loro diocesi, al fine di individuare ed
eliminare la presenza di esperienze spesso accomunate al
culto del demonio. Secondo Voltaire, “la superstizione sta
alla religione come l’astrologia sta all’astronomia: è la figlia
stoltissima di una madre saggissima”. Ma il rapporto di
filiazione non rende giustizia alla realtà dei fatti: tra
religione e superstizione vi sono oggettive differenze, che
non è possibile comprendere considerando semplicemente
una il decadimento dell’altra.

IL SAGGIO SOPRA GLI ERRORI POPOLARI DEGLI


ANTICHI DI GIACOMO LEOPARDI

In un libro forse meno noto di Giacomo Leopardi (1798-


1837), Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, il
grande poeta e filologo di Recanati si sofferma ampiamente
sulla superstizione, come sottolinea in una sintetica nota
che inviò all’editore:
È destinato a far conoscere gli errori popolari degli Antichi e la loro
grande affinità con quelli dei Moderni, e l’utilità che si può trarre
dall’esempio delle età passate. Cogli autori Greci e Latini alla mano si
parla dei pregiudizii comuni ai Greci, ai Romani, ed anche agli Ebrei; e si
passa con ordine dai teologici ai metafisici, e da tenenti alla
Meteorologia, alla Storia naturale dell’uomo, alla Zoologia. Si scherza
intorno alla magia, ai sogni, allo starnuto, alle apparizioni degli spiriti del
meriggio, ai terrori notturni, alla natura del Sole, all’anima e al cibo degli
astri, all’astrologia, all’eclissi, alle comete, al tuono, al vento, ai pigmei,
ai cinocefali e ad altri mostri semiumani. Alla lunghissima vita e al
risorgimento della Fenice, alla vista della Lince; e filosoficamente se ne
esaminano la origine ed i progressi. Dagli Antichi si passa ai Moderni; si
additano le sorgenti dei nostri errori popolari, e le cause che li
fomentano; si parla del progresso delle scienze e della loro influenza
sopra il volgo.

Leopardi accomuna la superstizione al concetto di errore,


partendo dal preconcetto che “la storia degli errori popolari
è equivalente a quella dei pregiudizi”.
L’errore è in effetti l’“idea” posta alla base del saggio:
Il mondo è pieno di errori; e prima cura dell’uomo deve essere quella di
conoscere il vero […] È ben più facile insegnare una verità, che stabilirla
sopra le rovine di un errore; è ben più facile l’aggiungere che sostituire
[…] Tutti convengono che fa d’uopo rinunziare ai pregiudizi, ma pochi
sanno conoscerli, pochissimi sanno liberarsene, e quasi nessuno pensa a
recidere il male alla radice […] La natura generalmente nasconde delle
verità, ma non insegna degli errori; forma dei semplici, ma non dei
pregiudicati. La cattiva educazione fa ciò che non fa la natura. Essa
riempie d’idee vane le deboli menti puerili: la culla del bambino è
circondata da pregiudizi d’ogni sorta, e il fanciullo è allevato con questi
perversi compagni.

Ricordiamo che, solitamente, l’errore è considerato uno


sbaglio o una falsa credenza: per estensione il termine si
riferisce anche a un’azione scorretta o a una trasgressione
compiuta per ignoranza o inavvertenza. Errore come humus
sul quale prolifica l’ignoranza e che non consente alla
conoscenza di abbattere l’irrazionalità.
La storia degli errori è lunga, avverte Leopardi:
[…] come quella dell’uomo. Il pregiudizio, nel senso in cui si usurpa
questa parola, è ben differente dall’errore; poiché questo può nascere
insieme e spirare, opporsi alle idee generalmente ricevute, essere
comune a pochi, ed anche essere proprio di un solo; quello è
necessariamente durevole, la sua vita di raro si limita ad una sola
generazione, esso è il sentimento del popolo e regna nella massima parte
degli uomini, o almeno di qualche nazione. Ogni pregiudizio è un errore,
ma non ogni errore è un pregiudizio. Ciò è evidente. Noi dunque
ristringendoci a considerare i pregiudizi, abbiamo assunto l’incarico di
esaminare appena una decima parte degli errori; limitandoci a riandar col
pensiero ai pregiudizi degli Antichi, abbiamo fatto oggetto delle nostre
ricerche appena una terza parte dei pregiudizi.
SIAMO TUTTI SUPERSTIZIOSI

Uomini politici e attori, in particolare, ma anche grandi


condottieri e sovrani, non sono riusciti a sottrarsi al peso
condizionante della superstizione: leggende? Luoghi
comuni? Tutt’altro! La storia e la cronaca lo confermano:
dalle Idi di marzo, che la moglie di Cesare riteneva nefaste
(e forse aveva ragione!), ai portafortuna di Napoleone, dalla
giacca scozzese di Fred Astaire al cornetto di Totò…
l’esercito dei “non è vero ma ci credo” è illimitato e, giorno
dopo giorno, paradossalmente, si infittisce, con un numero
sempre maggiore di affiliati.
Quando la realtà quotidiana sembra lasciare trasparire i
riflessi simbolici di una possibile negatività, le liste d’attesa
di astrologi e cartomanti si allungano, la ricerca di amuleti e
talismani si fa più serrata, il recupero di credenze che si
pensava fossero sepolte nel passato si riafferma.
A innescare le paure ataviche mai sopite può essere
l’anno bisestile, un fenomeno astronomico straordinario (per
esempio il passaggio di una cometa), la singolare
concatenazione di eventi naturali che parrebbe portare sul
piano della storia libri profetici e apocalittici (dal Daniele
biblico a Nostradamus). O semplicemente il presentarsi di
eventi quotidiani, banali, che vengono, senza una ragione
precisa, indicati come nefasti: il gatto nero, il numero
diciassette, il passaggio di un funerale ecc.
Per esorcizzare la negatività ci si avvale di alcuni
elementi (più o meno simbolici) e di pratiche per allontanare
il male che fino a ieri si confessavano malvolentieri (perché
indice di arretratezza culturale), mentre oggi,
sorprendentemente, sono riti dichiarati, spesso senza tante
remore.
La complicità di mass media e personaggi pubblici rende
quasi “normale” la superstizione, ne fa un’espressione
apparentemente necessaria… A supporto delle credenze i
sostenitori portano esempi “inattaccabili”, come quel
principe inglese che era solito mandare gli auguri di Natale
al suo cavallo e l’unico anno in cui non rispettò
quest’abitudine cadde giocando a polo, fratturandosi una
gamba; o quella notissima regina che non uscirebbe dal suo
palazzo senza una zampa di coniglio nella borsetta.
Le chiacchiere sulle pratiche scaramantiche dei vip si
dipanano con grande ricchezza di particolari, offrendo di
tanto in tanto notevoli opportunità di scoop ai giornali
scandalistici.
La pratica di conservare oggetti ai quali, nella nostra
immaginazione, abbiamo assegnato valenze positive è un
motivo ricorrente tra i superstiziosi e tutti, chi più chi meno,
conserviamo in qualche angolo della nostra memoria, o in
fondo a un cassetto disordinato, una piccola traccia di
questo comportamento.
Quando non bastano gli anti-iella personali, allora è
possibile ricorrere al mercato che propone un’ampia gamma
di “oggetti parafulmine”, amuleti e talismani d’ogni tipo e
foggia.
Nell’allegorico linguaggio delle arti figurative spesso
alcuni temi della superstizione occupano un ruolo
importante: emblematico questo particolare di giocatori
con amuleti portafortuna tratto dall’opera Lotta tra
Carnevale e Quaresima dell’artista fiammingo Pieter
Bruegel il Vecchio (XVI secolo), conservato al
Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Dall’ormai classico cornetto da attaccare all’orologio,


discreto e poco appariscente, agli orecchini tintinnanti (il
suono sarebbe un buon deterrente per allontanare gli spiriti
malvagi), dal pacchiano tredici d’oro, gigantesco, da
appendere alle chiavi o addirittura al collo (!), alla rana di
pietra verde, considerata molto efficace contro i malefici
delle streghe…
Secondo la psicologia, la superstizione è un
atteggiamento che equivale al desiderio di potere e
costituisce una chiave per intervenire sugli eventi: in pratica
qualcosa di molto simile al senso di onnipotenza che
caratterizza i bambini. Ma perché un semplice gesto, o un
oggetto senza alcun apparente riferimento diretto, ci induce
a credere che sia possibile arginare la sfortuna e abbattere
gli influssi negativi? Accanto agli aspetti psicologici, va
considerato anche il retroterra simbolico e storico che
giustifica l’idea che un semplice oggetto sia nella condizione
di “portare fortuna”.

LA SFORTUNA E IL DESTINO

Dal punto di vista scientifico il destino, e quindi la fortuna


e la sfortuna, sono fatti che rientrano nel concetto di
probabilità: in pratica tutto sarebbe riconducibile a un
insieme casuale di coincidenze che determinano un certo
effetto. Spesso non consideriamo che è l’uomo, con la sua
razionalità o irrazionalità e la sua emotività, a essere
l’evento esterno; in pratica a risultare l’artefice della
modifica dell’ideale andamento causa-effetto.
Se il detto latino quisque faber fortunae suae (ognuno è
l’artefice della sua sorte) è corretto, si potrebbe pensare che
alcuni individui abbiano l’innata capacità di intervenire
negativamente nel mare magnum della casualità?
In tal caso, queste persone sarebbero affette da quella
sindrome di Paperino che, al di là del nome poco credibile, è
oggetto di attenzione da parte degli psicologi. Quindi la
superstizione sarebbe un rimedio necessario, una sorta di
effetto placebo per portare sul piano della realtà
un’angoscia che tormenta la nostra psiche. Ma c’è di più.
Infatti, secondo una visione scientifica “eretica”, non ci
sarebbe né amuleto, né scongiuro, né altro sistema per
arrestare la scalogna, poiché fenomeno generico, tracciato
senza possibilità di appello nel DNA.
Di fatto, da questo punto di vista, vi sarebbero persone
venute al mondo “con la camicia” e altre invece che
sarebbero già perdenti nell’incubatrice.
Vi è poi chi aggiunge che certe caratteristiche, quelle più
facilmente adatte per tenere lontana la buona sorte,
sarebbero ereditarie. L’ineluttabilità della sfortuna dimostra
tutta la sua potenzialità, per esempio, nello stretto rapporto
esistente tra la depressione e il destino avverso.
Incidenti, danni, problemi di varia natura sembrerebbero
quindi colpire con maggiore frequenza chi è in stato
depressivo. Talvolta la reazione del depresso ad alcuni
avvenimenti è talmente negativa che egli arriva a percepire
i fatti con toni pericolosi e sgradevoli. A questo punto si può
affermare che la sfortuna sia una creazione della nostra
psiche?
Razionalmente sembrerebbe così. Credere nella sfortuna
vuol dire considerare la possibilità che qualcosa di esterno a
noi abbia un potere sinistro sulla nostra vita; a questo punto
prende forma l’idea che sia possibile non considerarsi più
responsabili delle nostre azioni, perdendo così ogni contatto
con un equilibrato senso di colpa.
A tutto ciò si aggiunga il peso del pessimismo, che
spesso pare essere una prerogativa del superstizioso, alla
quale possono comunque essere correlati effetti fisici anche
seri, quasi sempre legati alla sfera psicosomatica. Ma se gli
scienziati sdrammatizzano e cercano di proporre una lettura
razionale del fenomeno, c’è invece chi è giunto al punto di
considerare impossibile sottrarsi alla sfortuna, anzi ha
imparato a conviverci.
Le credenze popolari hanno svolto un ruolo
significativo nell’opera di Hieronymus Bosch
(1450 ca - 1516): nella Nave dei folli si allude
alla superstizione che dietro frati e suore si
mascherino gli oscuri maneggi del demonio

E chi convive con la sfortuna ha anche il suo profeta:


Murphy. Inventato dallo scrittore Arthur Bloch, è un
personaggio che ha creato una sorta di “Bibbia dello
sfortunato”, letta da milioni di persone, con vere e proprie
leggi; la sua affermazione-tipo è la seguente: “Se una cosa
può andar male, lo farà senz’altro”. Così, chi crede nella
sfortuna, parafrasando Murphy, afferma spesso: “La cosa
che manca è sempre la più importante”. Quando guarda
uno stradario sa che la via cercata sarà nelle pieghe, dove
la carta è rovinata e illeggibile. È consapevole che quando
porta l’ombrello non pioverà. Ancora, Murphy sostiene che,
quando ti cade di mano una fetta di pane, cadrà senza
dubbio con il lato imburrato sul pavimento. E se, per un caso
eccezionale, non dovesse verificarsi, sarà dovuto al fatto
che distrattamente l’abbiamo imburrata dal lato sbagliato.
Il 78% degli europei è convinto che non ci siano metodi
per combattere la sfortuna;, mentre il 19% si avvale di
amuleti, talismani, riti collettivi e personali e solo il 3%
ignora il problema. Non sono dello stesso parere i
matematici e i fisici. Ci sarebbero fattori esterni ben precisi
alla base dei nostri piccoli-grandi drammi quotidiani. Un
complicato insieme di equazioni regola la nostra vita, ma in
alcuni casi pare impazzito perché un piccolo, insignificante
fatto può mutare drammaticamente un sistema a lungo
termine. Un battito d’ali di una farfalla a New York provoca
una tempesta a Pechino: è la teoria del caos elaborata dai
matematici e considerata una delle grandi rivoluzioni
scientifiche del secolo scorso, pari alla fisica quantistica. I
matematici la chiamano anche teoria delle catastrofi; noi la
sperimentiamo ogni giorno e la chiamiamo sfortuna, ma
nella sostanza le cose non cambiano: sono eventi che non
rispondono più alle normali funzioni matematiche.
Il televisore che fino a ieri andava benissimo, oggi, che
gioca la nazionale, non ne vuol sapere di funzionare; mentre
camminiamo sul marciapiede che percorriamo tutti i giorni,
pestiamo ciò che un cane ha lasciato; mentre lavoriamo al
computer, la macchina si blocca e perdiamo intere ore di
lavoro…
Gli esempi potrebbero essere numerosissimi: ognuno ha
nella propria memoria una quantità così vasta di fatti da
rendere questo elenco interminabile. La matematica, con la
teoria delle catastrofi o con il semplice calcolo delle
probabilità, cerca di tranquillizzarci, spiegandoci che la
sfortuna non può essere un fatto accidentale, ma una
conseguenza logica del mondo fisico in cui tutti viviamo.
Però queste certezze della scienza non placano la
quotidiana lotta tra razionalità e irrazionalità, mentre ci
sforziamo di cercare di capire il nostro effettivo ruolo nel
grande meccanismo dell’esistenza.

IL RUOLO DELLA SUPERSTIZIONE


NELL’ESPERIENZA QUOTIDIANA

La superstizione, per quanto la ragione tenda a


considerarla una fede irrazionale e infondata, continua a
occupare un ruolo importante nella cultura contemporanea,
ridendosela delle dotte affermazioni degli antropologi e
degli anatemi dei benpensanti. Forse “sarà solo un costume
fondato sulle paure e sull’ignoranza”, però resta il fatto che
oggi la superstizione è un fenomeno tra i più ambigui, in
particolare perché spesso si basa su credenze divenute
superstiziose solo attraverso l’interpretazione a posteriori ed
effettuata partendo da luoghi comuni e preconcetti.
Basti pensare all’atteggiamento dei primi missionari
cristiani, che davanti alle manifestazioni religiose dei popoli
“primitivi” non ebbero difficoltà a bollarle come
superstiziose, senza porsi alcuna remora etica nel giudicare
i fenomeni rituali osservati.
Quindi, pur non volendo affermare che la superstizione è
un risultato relativo, va considerato che la presunta falsità di
un’idea è sempre relativa a uno stadio convenuto di
conoscenza. In questo modo comprendiamo che quanto
oggi definiamo superstizione forse in un altro tempo, o in un
altro luogo, non lo era affatto.
Gran parte delle superstizioni sono condivise socialmente
ed è questa la ragione che le fornisce di una certa solidità,
rendendole “credibili” da parte del gruppo che riconosce, in
alcune credenze, una parte importante della tradizione
comune.
L’interpretazione risente della cultura dell’osservatore: è
il suo bagaglio di esperienze e di conoscenze a determinare
l’atteggiamento con il quale si pone davanti a qualunque
manifestazione da cui ognuno trae le proprie conclusioni.
Accanto alle superstizioni che potremmo definire
“collettive”, vi sono quelle personali, create dal singolo
ponendo in relazione superstizioni “ufficiali”, condivise dalla
maggioranza, con altre inventate sulla base di convinzioni
maturate da avvenimenti e vicende casuali, ma considerate,
invece, frutto di un meccanismo extranaturale.
Entra così in gioco l’emotività dei singoli, vera e propria
cassa di risonanza delle superstizioni. I fatti esterni possono
costituire un notevole fattore condizionante per la nostra
emotività, portandoci a interpretazioni anche del tutto
sfalsate e scorrette della realtà, da cui possono scaturire
false convinzioni che nell’elaborazione della nostra
immaginazione diventano vere.
Al di là di queste considerazioni, resta comunque un dato
di fatto: la superstizione coinvolge tutti, qualunque sia la
classe, il censo, il grado di istruzione. Basta guardare i dati
che caratterizzano il mondo della magia, della cartomanzia,
dell’esoterismo contemporanei per renderci conto di quanto
questa constatazione sia concreta.

CERCARE RISPOSTE NELLA DIVINAZIONE

Se ci basiamo sui dati relativi all’universo della


superstizione e delle credenze degli italiani, abbiamo modo
di farci un’idea abbastanza chiara delle nostre virate in
direzione dell’irrazionalità. Si tratta di atteggiamenti e
modelli comportamentali che coinvolgono i più diversi strati
sociali. Per esempio, tra le persone che si rivolgono al mago,
due terzi sono donne e la fascia d’età varia dai 40 ai 60
anni; il 30% dei clienti è laureato e il 40% diplomato. In
genere, due italiani su dieci vanno dal mago almeno una
volta all’anno.
La suddivisione tra gli operatori è abbastanza equilibrata:
sostanzialmente sono ripartiti in eguale misura tra i due
sessi. Il campione dei maghi esaminati presenta un livello di
istruzione che per il 45,7% si ferma alla licenza media, il
23,5% è in possesso della licenza superiore, l’8% del titolo
universitario; il rimanente 22,8% non possiede nemmeno la
licenza elementare.
Il grosso degli operatori è omogeneamente distribuito tra
i 40 e i 60 anni (61%), bassa la presenza tra i 30 e i 40 anni
(11,3%), significativa quella dopo i 60 anni (27,7%).
Oltre tre quarti degli operatori si definisce astro-
cartomante e genericamente parapsicologo; solo un quarto
accetta l’etichetta di medium, una definizione certamente
impegnativa. Ancora più impegnativa è quella di esorcista.
Infatti sono rarissimi gli operatori che si identificano con
questa specializzazione, peraltro prerogativa del clero.
Un altro aspetto molto significativo riguarda l’origine dei
poteri soprannaturali che gli operatori dicono di possedere:
il 56% ritiene che derivi da Dio, il 21,3% da “forze
misteriose”, l’11,2% dalla natura, il 7,8% dalla psiche, il
3,7% dai demoni. Anche se taluni (7,8%) cercano di
correlare i loro poteri a fenomeni naturali, cioè la psiche, la
maggior parte identifica comunque la fonte della proprietà
soprannaturale in una componente esterna, non valutabile
con l’ausilio degli strumenti scientifici.
È inoltre interessante considerare che oltre la metà pone
in Dio l’origine dei propri poteri, un dato sul quale riflettere,
che presenta riscontri in culture cristiane anche molto
diverse: dalla “guaritrice” contadina al mago brasiliano.
L’immagine di operatori dell’occulto circondati da effigi
mariane, di Cristo o di santi, accanto a tutto un corpus di
altre figure non cristiane (da Buddha al feticcio papuano, da
Garuda al busto di Tutankhamon, dalla bambolina della
fertilità Akan alla mano di Fatima), suggerisce, prima di ogni
aspetto rituale, la necessità, da parte del mago, di
possedere un apparato simbolico che trova nel sincretismo
religioso qualcosa che gli serve per meglio evidenziare la
complessità della pratica magica.
Non è comunque facile avere un quadro dettagliato del
fenomeno magia in Italia, in quanto spesso le cifre sfuggono
e i dati si polverizzano in percentuali che – vista la tipologia
del target – non possono rappresentare tutto il mondo
dell’occulto.
LA SUPERSTIZIONE NELLA STORIA

È possibile pensare che la superstizione abbia una storia?


Di certo non è facile scinderla dalla religione e dalla
mitologia, perché non esiste “una” superstizione, ma vi sono
da sempre atteggiamenti, psicologici da un lato e sociologici
dall’altro, che alimentano questo modo particolare di porsi
nei confronti della vita.
Sul piano psicologico si osserva che un certo modo di
interpretare simbolicamente gli eventi ha radici lontane (già
nell’antichità l’uomo si avvaleva di sistemi che oggi
possiamo definire superstiziosi per decifrare i misteri della
natura) e ancora oggi è parte integrante del nostro modo di
avvicinarci alla realtà. Sul piano sociologico constatiamo che
molte esperienze sono ricondotte alla superstizione
attraverso la demonizzazione effettuata da chi le osserva
esternamente e si crede indenne dalla loro influenza. In
questo senso, le nuove religioni spesso hanno considerato
superstizioni quelle precedenti, contrassegnandole con toni
negativi, anche se in effetti ciò non era assolutamente
avvertito da quanti praticavano i culti precedenti.
Naturalmente ciò non significa che prima dell’Ebraismo,
del Cristianesimo e dell’Islamismo le religioni non avessero
già elaborato il concetto di superstizione, ma solo che in
quei periodi la separazione assumeva toni diversi, perché
l’influenza del pensiero magico era più attiva nelle religioni
politeistiche.
Nel mondo classico l’uomo ha sempre dedicato la
massima attenzione alle manifestazioni inconsuete e a quei
fenomeni di disordine, atmosferico o biologico, che
potevano essere interpretati come un segno soprannaturale.
Tutto poteva essere una traccia a cui l’uomo doveva far
riferimento per cercare di conoscere l’umore degli dèi e i
loro progetti.
La costante attenzione per i segni, che si credeva fossero
stati inviati dagli esseri superiori, condusse gli uomini del
passato a sviluppare molteplici sistemi di divinazione, molti
dei quali basati su un atteggiamento mentale atavico nei
confronti del mondo circostante e destinati a non andare
oltre il concetto di superstizione.
In quest’ottica, il fatto percepito aveva così una relazione
occulta con un altro fenomeno, che l’uomo non vedeva, ma
che credeva di poter intuire dal primo.
Questa particolare concezione si diffuse in tutto il mondo
classico, conservando strascichi fino in età moderna. Un
esempio che pare particolarmente indicativo della mentalità
superstiziosa classica, basata su un’arcaica interpretazione
dei fenomeni naturali e ancora oggi in parte presente nelle
attuali forme di superstizione, riguarda la figura del mostro,
e soprattutto la nascita mostruosa, vista come segno divino,
con un importante significato per gli uomini.

IL MOSTRO COME SEGNO SOPRANNATURALE

Una tra le più antiche indicazioni sull’argomento proviene


da Ippocrate (460-377 a.C.), che nel trattato De genitura
così chiariva le motivazioni della nascita anomala:
Allorquando nasce un bambino mutilato credo che ciò provenga
dall’essere stata la madre ammaccata nel sito infermo dell’embrione,
dall’essere quella caduta, o dall’esserle capitato qualche altro incidente
violento. Laddove il colpo avrà percosso il feto, ivi sarà mutilato; ma se il
colpo sia tale da lacerare la pelle, il feto si corrompe. Vi è inoltre un’altra
maniera con la quale i feti vengono mutilati, cioè quando l’utero è troppo
stretto; allora invero i movimenti dell’infante che è troppo tenero,
verificandosi in un luogo nel quale si trova ristretto, vi si mutila. Lo stesso
avviene delle radici che stanno in terra: quando non vi è spazio
sufficiente o si imbattono in una pietra o in qualche altro ostacolo,
diventano tortuose, ed alcune grosse, altre sottili; così certamente
succede al feto se alcuna parte del suo corpo si trova più rinserrata di
un’altra.
Aristotele (384-322 a.C.), nel libro De generatione
animalium, offrì una prima interpretazione razionale del
fenomeno della nascita mostruosa, sgombrando il campo
dal peso della mitologia:
Dicono di un fanciullo dal capo di ariete o di bue, ed altri casi con
membra di animali di specie diversa, come un vitello con faccia umana
ed una pecora con la testa di bue. È però impossibile che venga a
nascere un tal mostro, di doppia natura che è contrario al tempo della
gravidanza, troppo diversa dall’uomo al cane, dalla pecora al bue, per cui
ogni specie nasce dopo un determinato periodo di gravidanza. Gli animali
si accoppiano secondo la natura del proprio genere; alcuna volta però
accade, quando la grandezza dell’animale non sia molto diversa ed
uguale la durata della gravidanza, sebbene di raro, che si accoppino
animali di specie diversa come lupi, cani e volpi.

In seguito Lucrezio (98-54 a.C.), riprendendo la teoria


epicurea, immaginò un’“Età dell’oro” in cui le specie ebbero
origine e a cui fece seguito una selezione naturale che,
come conseguenza, portò alla fissità delle forme naturali
perfette e alla scomparsa delle altre.
Il mostruoso Pig di Landser, incisione di Albrecht Dürer, 1496

Alla visione aristotelica si riferì da Galeno (129-201), che


nel libro Definitiones medicae negò la possibilità che
nascessero uomini-animali attraverso l’accoppiamento delle
due specie, individuando l’origine della mostruosità in cause
naturali:
I mostri si creano per difetto o per eccesso, o per esuberanza o per
esiguità dando origine a un’enorme o a una testa piccola come di
passero e per eccesso di parti, come quelli che hanno sei dita.

Una più nitida definizione del problema si delineò in


seguito, quando il concetto di monstrum fu isolato da quello
di prodigium, ostentium e portentum, termini utilizzati per
Cicerone (106-43 a.C.) “perché ammoniscono [monstrant],
mostrano e preannunziano [praedicunt], portano alla vista
[ostendunt], annunziano [portendunt]” (De divinatione, II,
XXIV). Partendo da queste definizioni, nel Medioevo, in
genere, si denominava mostruosa quella creatura che era
nata contro l’ordine naturale (corpo umano con testa di
animale ecc.); prodigia rimandava a esseri con anomalie
molto precise: occhi nel petto, cuore a destra ecc.; ostentia
erano fatti che infrangevano le regole della natura e
potevano essere interpretati come segni profetici: neonati
che dopo il parto rientravano nell’utero materno, ma anche
il passaggio di comete; portento era espressione di una
“anomalia quantitativa”: cioè neonati con denti o barba,
pigmei, giganti ecc. Per sant’Agostino (354-430) il
mostruoso partorito dalla nostra specie andava inteso come
segno, comunque testimonianza divina, quasi una forma
profetica per indicare gli avvenimenti futuri:
La Maestà di Dio per alcuni intervalli di tempo produce mostri, già
determinati dalla sua provvidenza, i quali per lo più predicano o
significano qualche cosa futura. Sono quindi detti mostri perché
dimostrano, ostenti perché quasi col detto accennano, portenti perché
predicano, prodigi perché preannunciano le cose che verranno.

La convinzione che le nascite mostruose andassero


considerate preannuncio di fenomeni futuri condizionò
pesantemente la cultura. Il pensatore cristiano aveva
comunque posto in rilievo che le “mostruosità naturali” nate
da donna non dovevano ritenersi fenomeni determinati da
cause soprannaturali, chiarendo per esempio che molti
“mostri” descritti dai viaggiatori spesso avevano la loro
unica collocazione nella sfera del mito:
Per concludere cautamente dirò che o quelle cose che sono state scritte
d’alcune nazioni non sono affatto vere; o se sono vere quelle nazioni non
sono di uomini; o se sono di uomini derivano anch’esse da Adamo.

Ma si è sempre cercato di trovare un’origine


soprannaturale alla mostruosità, in particolare se prodotta in
seno alle norme. Nel Medioevo cristiano accanto all’azione
punitiva divina, all’immaginazione materna, all’influenza
degli astri, agli accoppiamenti contro natura, che erano
indicati come causa di parti mostruosi, fu posta l’azione
demoniaca.

LA MALEFICA AZIONE DEL DEMONIO

I diavoli incubi venivano considerati spesso artefici della


fecondazione di donne che avevano dato alla luce creature
mostruose, anche se su questo tema le scuole di pensiero
erano diverse. Nel Malleus maleficarum, il libro di
riferimento degli inquisitori, scritto nel 1486 da due
domenicani – Heinrich Institor Kramer (1430-1505) e Jacob
Sprenger (1436-1495) – con una lunga esperienza nella
caccia alle streghe, troviamo una precisa indicazione sulla
possibile fecondazione da parte del diavolo:
La causa per la quale i diavoli diventano incubi [maschili] o succubi
[femminili] non è il piacere, perché lo spirito non ha né carne né ossa, ma
lo fanno sopra tutto per nuocere alla doppia natura dell’uomo: l’anima e
il corpo, cioè quella materiale e quella spirituale, affinché attraverso il
vizio della lussuria gli uomini siano più disposti a tutti i vizi. Non c’è alcun
dubbio che sotto certe costellazioni essi sanno rafforzare i semi per la
concezione degli uomini che verranno concepiti nella malizia e vivranno
nella depravazione […] Potrebbe infine succedere che un diavolo
ricevesse la semenza al posto del diavolo succubo, il quale a sua volta si
rendesse incubo al posto dell’altro e questo per tre giorni: un diavolo,
attaccato a una donna, riceve il seme da un altro diavolo, attaccato a un
uomo, e così, ciascuno può esercitare la stregoneria affidatagli dal
principe dei diavoli, dato che anche dal maligno è stato affidato a
ciascuno il proprio angelo, oppure ciò accade per la sozzura dell’atto, che
a un diavolo fa orrore compiere da solo […]
Noi diciamo pertanto tre cose. In primo luogo che questi diavoli
commettono sconcissimi atti venerei non per godere, ma per infettare
l’anima e il corpo di coloro dei quali sono succubi o incubi; in secondo
luogo che, con un atto simile, ci può essere una completa concezione da
parte delle donne, perché i diavoli possono porre il seme umano nel
luogo conveniente del ventre della donna e accanto alla materia qui
predisposta e adatta al seme. E allo stesso modo possono raccogliere i
semi di altre cose per ottenere altri effetti.
In precedenza si tentò di individuare nelle influenze
astrologiche le motivazioni che potevano essere causa di un
parto mostruoso. Come si guardava alle variazioni del ciclo
degli astri per dare una spiegazione anche alle epidemie di
peste, non si mancò di scrutare il cielo per capire come le
stelle potessero influire sulla formazione di un feto. Ecco
come Alberto Magno (1205-1280), nel libro De secretis
mulierum, rapportava la teoria astrologica alla gestazione:

1° mese: Saturno presiedeva ogni concepimento.


2° mese: Giove animava la materia predisponendola ad
assumere una forma.
3° mese: Marte formava la testa e il collo, distinguendo
le braccia dai fianchi.
4° mese: Il Sole imprimeva il movimento al cuore e
formava i sensi.
5° mese: Venere completava la formazione delle
membra, formava gli occhi, la bocca, il naso, gli
organi genitali, le mani e i piedi.
6° mese: Mercurio presiedeva la formazione della voce,
dei capelli, delle ciglia e delle unghie.
7° mese: La Luna completava quanto era stato fatto dagli
altri pianeti, dando all’interno del corpo la sua
umidità.
8° mese: Saturno col suo freddo e la sua aridità poneva
insieme le singole parti.
9° mese: Giove dava il calore vitale al feto.

A dimostrazione della notevole attendibilità riconosciuta


alla teoria astrologica, basti pensare che Alberto Magno
intervenne nella vicenda di un pastore accusato di essersi
accoppiato con una mucca (la quale aveva partorito un
vitello con sembianze umane) e in procinto di essere
bruciato vivo con l’animale. Egli dimostrò che la nascita
mostruosa era dovuta alla posizione delle stelle, e il pastore
fu salvato dal rogo.

LA PREDICAZIONE CONTRO LE PRATICHE


SUPERSTIZIOSE

Fin dal principio del Cristianesimo, la Chiesa cercò di


arginare con ogni mezzo molte delle manifestazioni delle
superstizioni popolari che, dal punto di vista degli
evangelizzatori, costituivano un esempio di pericoloso
paganesimo, molto vicino alle pratiche diaboliche.

I sermoni di san Massimo di Torino


In alcuni sermoni, san Massimo di Torino (IV-V secolo) si
soffermò criticamente sulle superstizioni relative all’eclissi,
molto diffuse tra il popolo.
Tra le varie prese di posizione di Massimo, quella contro
le irrazionali manifestazioni popolari che si verificarono
appunto in occasione dell’eclissi, certamente dimostra in
concreto quali dimensioni raggiunse un aspetto della
superstizione pagana in pieno V secolo.
È interessante notare come il vescovo sia riuscito a
mantenere un atteggiamento di superiore distacco, senza
scivolare nella mera demonizzazione, ma attribuendo gran
parte delle cause di tali manifestazioni a un poco morigerato
consumo del vino. Massimo però non si affidò alla sola ironia
e infine cercò di individuare nella vicenda un aspetto
metaforico, destinato comunque a svolgere un ben preciso
ruolo pastorale.
Verso sera si sono avute tali grida concitate di popolo da far giungere la
sua empietà sino al cielo. Quando domandai che significasse tutto quel
rumore, mi dissero che le vostre grida prestavano soccorso alla Luna in
travaglio, aiutata nella sua eclissi dalle vostre urla. Da parte mia risi, e
restai sorpreso della vostra leggerezza per il fatto che voi, come cristiani
devoti, prestavate aiuto a Dio. In effetti gridavate perché, a causa del
vostro silenzio, quell’elemento non andasse in rovina. Prestavate dunque
aiuto a Dio come se Egli non fosse per nulla in grado, senza le vostre
grida, di preservare gli astri che aveva creato. Fate proprio bene nel
prestare soccorso alla divinità in modo che col vostro aiuto possa
governare il cielo. Ma se volete farlo più comodamente, dovreste stare
svegli tutte le notti. Non pensate, però, quante volte la Luna, proprio
mentre voi dormivate, ha sofferto senza tuttavia precipitare dal cielo? E
non è forse vero che verso sera si oscura sempre mentre mai è in
travaglio verso il mattino? Ma, secondo voi, essa ha l’abitudine di essere
in pena soltanto alla sera, quando il ventre è appesantito dalla cena
abbondante e la testa sconvolta da coppe sempre più ricolme. È proprio
allora che per voi la Luna è in azione, quando anche il vino agisce. Allora,
dico, secondo voi è offuscato dagli incantesimi il globo della Luna quando
dai calici vengono offuscati anche gli occhi. Da ubriaco, dunque, come
puoi vedere quanto a riguardo della Luna avviene in cielo se non vedi
quanto a tuo riguardo avviene in Terra? […] Questo è proprio quanto
afferma Salomone: l’insensato si muta come la Luna […] Il tuo
mutamento è dunque più grave di quello della Luna: la Luna patisce la
perdita della luce, tu la perdita della salvezza […] Non voglio allora che
tu, o fratello, sia come la Luna nel suo venir meno; voglio invece che tu
sia come lei quando è piena e salda! A proposito del giusto, infatti è
scritto: Come la Luna salda in eterno testimone fedele nel cielo.

Nel sermone 31 Massimo ritorna a parlare dell’eclissi e,


dopo una premessa che si riallaccia a quanto già
sottolineato nel sermone precedente, paragona la Chiesa
alla Luna attraverso l’impostazione metaforica che
caratterizza il suo linguaggio:
Giorni fa, o fratelli, abbiamo continuato a contraddire quanti ritengono
che la Luna possa essere rimossa dal cielo per gli incantesimi dei maghi
[…] Abbiamo esortato costoro perché, lasciato da parte l’errore pagano,
ritornino tanto prontamente alla sapienza quanto prontamente la Luna
perviene alla sua pienezza […] Se allora Cristo è più opportunamente
paragonato al Sole, non paragoneremo forse la Chiesa alla Luna? Di fatto
essa, come la Luna, per brillare tra le genti trae luce dal Sole di giustizia,
è attraversata dai raggi di Cristo, ovvero dalle predicazioni degli apostoli,
acquista lo splendore d’immortalità di quel Sole.

Nella riflessione finale che conclude questo sermone è


ancora l’esortazione ad abbandonare le adulazioni della
magia a dominare l’impegno pastorale di Massimo. Il
riferimento ai maghi che si opposero a Mosè (2 Timoteo 3,8)
e a Paolo (Atti degli Apostoli 13,6-11) offre ancora una volta
l’opportunità al vescovo di paragonare ogni pratica magico-
simbolica al paganesimo e quindi di demonizzarne le
manifestazioni:
In realtà già i maghi Jamnes e Mambres, nel resistere ai segni e ai prodigi
di Mosè, desideravano distruggere la Chiesa, eppure l’incantesimo degli
stregoni non poté danneggiare le parole divine. Gli incantatori infatti non
possono nulla quando è cantato l’inno di Cristo. Per questo quando Simon
Mago fece opposizione a Paolo dinanzi al proconsole Sergio Paolo,
attaccava sicuramente la barca della Chiesa e tentava di sconquassarla
con malefici artifici eppure fu confutato con tal forza da non vederci più,
oltre che per la malattia inerente alla magia, anche per la perdita degli
occhi. In tal modo gli venne contemporaneamente sottratto l’incantesimo
e la vista. Non meritava certo d’avere gli occhi del corpo chi non
meritava d’avere gli occhi del cuore.
La donna vestita di Sole, Albrecht Dürer, 1498

L’eclissi di Luna che determinò l’atteggiamento


irrazionale della popolazione non va comunque vista come
un caso isolato e sorge da tutta una serie di credenze
presenti in particolare nella cultura popolare. Infatti la
fenomenologia lunare, considerata a livello popolare il
risultato di un’azione magica, fu anche analizzata con chiavi
di lettura “scientifiche”, che comunque rivelano la presenza
di una definita irrazionalità di fondo.
È ancora il vescovo a fornircene un esempio:
In effetti se alla Luna non fosse stata data dal Creatore una sua finalità,
non esisterebbe in tutte le cose il mutamento che conosciamo. In realtà
quando la Luna cala, il mare si ritrae e quando essa cresce quello
aumenta […] Inoltre, persino dei pesci si afferma che sono più in carne
quando la Luna è piena mentre risultano vuoti e ridotti di peso quando
essa decresce.

Il caso dell’arcivescovo di Magonza


Le superstizioni legate alle eclissi lunari si basavano
sostanzialmente su credenze che collegavano tali fenomeni
ai sortilegi dei maghi e delle streghe. Si riteneva quindi
necessaria la partecipazione di tutta la collettività, che con
urla e schiamazzi avrebbe così “supportato” l’astro
aiutandolo a non morire.
Pare che le rituali chiassate che accompagnavano le
eclissi di Luna fossero piuttosto diffuse: è indubbiamente
curiosa l’affinità tra l’episodio di san Massimo e un caso
analogo accaduto nel IX secolo in Germania. Una notte
l’arcivescovo di Magonza Rabano Mauro (780-856) – come
ricorda Jean-Claude Schmitt nel libro Religione, folclore e
società nell’occidente medioevale –, tra l’imbrunire e l’inizio
della notte, fu messo in allarme:
[…] una così spaventosa vociferazione del popolo che la sua irreligione
sembrava dover penetrare in cielo. Quando chiesi loro cosa volevano
ottenere con quella chiassata, mi risposero che le loro grida dovevano
venire in soccorso della Luna sofferente che si sforzavano di aiutare
durante la sua eclissi.
Quella gente non si contentava di far chiasso, brandendo armi, tirando
frecce verso la Luna e scagliando torce accese verso il cielo gettava un
vero grido di guerra: “vinceluna” [vinca la Luna].
Mi misi a ridere e mi stupii che, nelle loro semplicità, quei cristiani
andassero in aiuto di Dio come se, malato e debole, fosse incapace,
senza l’aiuto delle nostre voci, di difendere l’astro da lui creato.

Per quanto riguarda il legame tra la Luna e i culti


demoniaci e stregoneschi, va ricordato che spesso le
divinità femminili, considerate la guida delle adepte di
Satana, erano identificate con la Luna; un astro associato
alla donna per la ciclicità con cui si manifesta, che come
Diana amava la notte e che incarnava, nello stesso tempo,
una delle forme della triplice Ecate, la dea della magia
adorata con riti misterici, atti soprattutto a eccitare
l’immaginazione.
La tradizione popolare riteneva che una forte influenza
magica sulla Luna fosse esercitata dalle maghe tessali al
seguito di Alarico.
In pratica ciò avveniva, come sempre, in un ambiente
ancora chiuso e soprattutto legato alle proprie tradizioni.
Le antiche credenze erano difficili da abbattere quando di
fatto la religione cristiana, in quel particolare contesto, non
offriva un contributo oggettivo, pratico, ma si limitava a una
riflessione spirituale più ampia, che non poteva soddisfare il
materialismo delle persone ignoranti.
PLINIO IL VECCHIO E L’INTERPRETAZIONE DELL’ECLISSI LUNARE
Plinio il Vecchio (23-79), nella sua Storia Naturale, ci offre un’importante
documentazione sull’impegno, da parte degli uomini colti e razionali
dell’antichità, di interpretare scientificamente l’eclissi lunare:

Fra i Romani il primo che espose al popolo la causa delle eclissi di


Sole e di Luna fu Sulpicio Gallo che, in seguito, fu console insieme a
M. Marcello, ma allora era tribuno militare. Un giorno prima della
battaglia in cui Perseo fu sconfitto da Paolo, invitato dal
comandante a parlare davanti alle truppe riunite, predisse
un’eclissi, liberando così l’esercito dall’apprensione.

Dell’argomento in seguito trattò anche in un volume apposito.


Fra i Greci il primo a studiare questa materia fu Talete di Mileto che, nel
quarto anno della quarantottesima olimpiade, annunciò l’eclissi di Sole che
avvenne sotto il regno di Aliatte nel 170.
In seguito Ipparco giunse a predire tutte le eclissi di Sole e di Luna che si
sarebbero verificate in un arco di ben seicento anni. Questi uomini mirabili,
di impegno quasi sovraumano, scoprirono le leggi che regolano i moti di
divinità tanto grandi e liberarono dal terrore la misera mente degli uomini
che, in tutte le eclissi, paventavano il manifestarsi di delitti e una specie di
morte degli astri (anche le sublimi voci poetiche di un Pindaro e di uno
Stesicoro provarono orrore davanti al venir meno del Sole) e in quelle di
Luna, sospettavano la presenza di incantesimi e di pratiche magiche e
perciò venivano in aiuto all’astro in travaglio con urla e strepiti. Preso da
terrore per l’eclissi anche il generale ateniese Nicia, ignorando la vera causa
del fenomeno, non osò far uscire la flotta dal porto e provocò così la rovina
della potenza di Atene.
Lo Pseudo-Eligio, nell’Indiculus superstitionum et paganiarum, specificava:

Nessuno deve temere di avviare una nuova impresa con la Luna


nuova: Dio ha fatto la Luna perché segni il ritmo del tempo e
attenui le tenebre della notte; non per impedire il lavoro di
nessuno o per provocare la follia dell’uomo, come ritengono gli
stolti, secondo cui gli indemoniati soffrono per via della Luna.
Nessuno deve chiamare signori il Sole o la Luna, e farsene
degl’idoli. Sono infatti creature di Dio e servono ai bisogni degli
uomini eseguendo l’ordine di Dio.

Anche le pratiche adottate dal popolo per “sorreggere” la


Luna non vanno interpretate solo come un’azione magica o
una forma di religiosità deviata e volutamente opposta al
Cristianesimo, poiché sono soprattutto espressioni di un
corpus quasi “comportamentale”, che era parte integrante
del rapporto tra uomo e soprannaturale (o di quanto si
considerava tale).
Quindi, malgrado le spiegazioni dei dotti (che avevano
già identificato nell’eclissi lunare un fatto del tutto naturale)
e le azioni demonizzanti della Chiesa (ben espresse nei
sermoni di san Massimo), il popolo continuò per molto
tempo a guardare al cielo come allo specchio dell’umore
degli dèi.
Un universo a parte, che confermava agli uomini la
costante presenza delle divinità nelle cose quotidiane, nelle
più semplici manifestazioni della natura, nei segni
soprannaturali difficili da comprendere con i soli strumenti
forniti dalla Chiesa. Va comunque ricordato che la Luna ha
mantenuto inalterato il proprio simbolismo per molto tempo,
creando spesso singolari legami con l’universo del mistero e
dell’occulto. Gli Egizi pensavano che l’eclissi di Luna
corrispondesse al divoramento dell’astro da parte della
scrofa celeste. Ancora oggi si racconta che gli abitanti del
villaggio di Puyvendran, in Dordogna, scontenti delle notti
buie, decisero di fare imprigionare la Luna piena. Una sera,
mentre essa si specchiava nello stagno di un fabbro, venne
fatta inghiottire da un’enorme scrofa che vi era stata
attirata con della crusca gettata in acqua.
Uno spaventoso raduno di streghe intono alla Luna

I FILOSOFI E LA SUPERSTIZIONE

Molti filosofi, in particolare a partire dal Rinascimento,


quando si allentò il peso di una visione del mondo
condizionata esclusivamente dalla religione, si interrogarono
in modo critico sul ruolo della superstizione.
Una tra le interpretazioni più razionali giunse da
Gerolamo Cardano (1501-1576) che, nella sua opera De
Veneris, affermava:
Vi sono in verità tre principali specie di fascino: quello che scaturisce
dalla paura, quello che scaturisce dall’aver paura delle cose malvagie e
quello che scaturisce dall’immaginazione. La sua cura consiste nel
tranquillizzare la mente. In altre parole, facciamo fronte a ciò, augurando
il bene: da cui l’usanza degli antichi. Se non si trattasse di altro, tutte le
cose avrebbero un esito migliore, una volta scacciata la paura, messa da
parte la superstizione e rinfrancato sia il cuore che la mente.
Cardano, a differenza di buona parte dei suoi
contemporanei, propose un’interpretazione della
superstizione che ricercava l’origine della credenza non
nella demonologia, ma nell’influenza di cause psicologiche e
fisiche; in questo senso la sua appare una visione molto
moderna.
Su un piano opposto è l’interpretazione di Francesco
Bacone (1561-1626), secondo il quale la superstizione era in
qualche modo “giustificata” dal fatto che in effetti alcune
persone avevano il potere di produrre effetti negativi
(malocchio) in ragione della loro invidia:
Non esiste alcuna emozione in grado di fascinare o di ammaliare, a
eccezione dell’amore e dell’invidia. Entrambi i sentimenti si basano su
violenti desideri; si adattano prontamente alle immaginazioni e alle
suggestioni e si rivelano facilmente attraverso gli occhi, in particolar
modo in presenza di oggetti che inducono alla fascinazione […] Sono
invidiose le persone deformi, i vecchi e i bastardi […] Infine, per
concludere, va detto che nell’invidia c’è una sorta di incantesimo per cui
non c’è cura, se non quella per curare gli incantesimi, vale a dire
rimuovere la sorte (come viene chiamata) e gettarla su di un altro.

Di parere analogo è anche Tommaso Campanella (1568-


1639):
Attraverso l’occhio si manifestano molte cose magiche, poiché vediamo
che incontrandosi un uomo con un altro, la sua pupilla con quella
dell’altro, la luce più possente dell’uno abbaglia l’altro che non è in grado
di sostenerla, e molto spesso induce nell’altra persona la passione che lo
anima […] Questo accade maggiormente nelle donne vecchie che non
hanno più le loro purgazioni, per cui hanno fetide esalazioni in bocca e
negli occhi, cosicché guardando in uno specchio, lo rendono opaco,
perché lo specchio liscio viene coperto di un vapore denso come il
marmo, freddo e resistente. Anche il filo che viene a contatto con la loro
saliva è destinato a putrefarsi: inoltre ai bambini che dormono con le
vecchie si abbrevia la vita e diventa languida, mentre si accresce in loro.

Si noti come in questo grande pensatore il peso della


superstizione popolare fosse molto vivo: ciò in qualche
modo appare in contraddizione con il notevole livello
speculativo raggiunto dal filosofo in altri campi del sapere.
Il caso di Campanella dimostra con chiarezza che spesso
la superstizione era parte integrante della cultura di un
periodo ed era difficile affrancarsi da essa. Senza dubbio si
tratta di un’indicazione preziosa che può dirci molte cose
anche sul nostro modo attuale di “pensare la superstizione”.

LE CREDENZE DEL MONDO CONTADINO

Accanto all’universo colto, con le sue speculazioni


filosofiche sulla superstizione e in fondo con le sue
credenze, vi era il mondo della gente semplice, in
prevalenza contadini, in cui certe tradizioni come la
superstizione erano molto diffuse. Tale situazione è stata
determinata anche dal fatto che la cultura popolare ha
conservato nel tempo una propria autonomia che, per la sua
impostazione conservatrice, si è mantenuta fedele a modelli
operativi antichissimi.
Per adesso soffermiamoci su un aspetto molto
caratteristico della superstizione popolare: la convinzione
che attraverso filtri, malefici e altri mezzi, sia possibile
acquisire potere sulla vita altrui, condizionandone salute,
sentimenti, scelte pratiche ecc. In sostanza si tratta del
frutto di una mentalità pre-logica, che ritiene di poter agire
sul mondo attraverso gli espedienti della magia simpatica.
Esempi del genere sono noti nell’antichità e hanno in
comune l’utilizzo di figure simboliche che rappresentano la
vittima della magia, “personalizzate” con alcune parti
specifiche del suo corpo (unghie, capelli, sangue ecc.); oggi
il soggetto è indicato nitidamente con una fotografia. La
raffigurazione (la bambolina di cera, il ritratto, o quant’altro)
diventa quindi il campo per l’azione magica. In pratica,
operando sulla raffigurazione, il mago è convinto di
trasferire sulla vittima la sofferenza simboleggiata dalla sua
azione. È questo un concetto che ha origini antichissime e
potrebbe addirittura trovare una tra le sue prime
dimostrazioni nella cosiddetta “magia venatoria” del
Paleolitico. Infatti, in alcune caverne, che 20.000 anni fa
l’uomo utilizzò come luogo sacro, sono state rinvenute
raffigurazioni di animali “colpiti” ritualmente, forse con
l’intenzione di agire magicamente sulle prede e quindi far sì
che la battuta di caccia si rivelasse particolarmente
fruttuosa per i cacciatori-maghi.

L’uso dei filtri


Un tipico esempio della superstizione contadina è quello
relativo all’utilizzo di filtri. In genere la maggioranza di
questi preparati avevano – e hanno – un’applicazione legata
alla sfera del sesso e dell’amore: infatti il termine greco
philein, da cui deriva “filtro”, significa amore. Sugli
ingredienti dei filtri vi sono numerosissime fonti, che, pur
avvalendosi di ricette simili, prevedono spesso prodotti
specifici le cui caratteristiche sono da porre in relazione
all’area geografica e culturale in cui una certa mistura è
prodotta e utilizzata.
Generalmente nei filtri sono presenti ingredienti che
presentano alcune specificità:
prodotti naturali con esplicite caratteristiche
terapeutiche e psicoattive;
materia organica con valori simbolici molto chiari
(sangue, mestruo, sperma ecc.);
oggetti simbolici collegati alla religione (croci,
immaginette, versetti biblici ecc.).

La maggior parte dei filtri viene preparata per risolvere


questioni d’amore: il loro ruolo è infatti quello di
condizionare i sentimenti di una persona, che si sentirà
fortemente attratta da chi ha sfruttato i poteri del magico
preparato.
Fin dall’antichità era diffuso l’uso dei filtri d’amore che le
maghe tessale avrebbero prodotto all’alba dei tempi e
quindi trasmesso ai posteri, attraverso formule segrete note
solo ai maghi e alle streghe.
Infatti, nel XV-XVI secolo, le donne riconosciute streghe
finirono spesso nella spirale dell’Inquisizione perché
accusate di produrre ogni genere di filtro e di pozione quasi
sempre con l’ausilio dei demoni.

La magia positiva
La magia contadina però non è solo diretta al maleficio,
poiché in essa sono anche presenti pratiche positive, quasi
sempre con funzione terapeutica. In realtà nella cultura
popolare mago e guaritore spesso si confondono,
scambiandosi i ruoli e mettendo in relazione ambiti diversi e
in contrasto, come la religione, la medicina, le superstizioni.
Sarà capitato a molti di sentir parlare del potere delle
“segnature”. Alcuni guaritori-maghi di campagna hanno il
“dono del tocco”: possono toccare la parte malata di uomini
e animali, “segnarla” con la croce e allontanare il male con
l’aiuto della religione, dell’olio santo e di invocazioni rituali.
Il mago-terapeuta non è però un personaggio qualsiasi:
quasi sempre la sua nascita è per alcuni aspetti
straordinaria. Può essere venuto al mondo con la membrana
amniotica (“nato con la camicia”), settimino, nato il giorno
di Natale ecc. Queste sue prerogative biografiche avrebbero
condizionato profondamente la sua vita, rendendolo in
qualche modo speciale e dotato di poteri straordinari negati
alla maggioranza delle persone. Va osservato che in qualche
caso la guarigione operata dal mago è tale perché la
patologia è effetto di un disturbo di carattere psicosomatico.
In questo senso è diretta l’interpretazione proposta dalla
psicoanalisi: il cerimoniale simbolico della superstizione
basta a determinare, tanto presso chi lo pratica quanto
presso chi lo riceve, un sentimento di soddisfazione. E il
risultato realmente ottenuto sarebbe in fondo secondario.
LA LOTTA CONTRO LE SUPERSTIZIONI

L’ignoranza è l’infanzia dell’uomo. Il fanciullo ammette ma non discute,


crede ma non ragiona, e ciò che cade sotto l’impressione de suoi sensi lo
colpisce tanto fortemente, quanto più le prove esplicative del fenomeno
sono superiori alla sua intelligenza […] La superstizione diviene un di
que’ sostantivi contrapposti al vero che, come bene e male, giusto e
ingiusto, variano di senso e di natura col cambiare delle opinioni; né
trovano zolla di terra in tutto il mondo, per quanto vasto si sia, su cui
posarsi tranquilli e securi dell’avvenire. Per i cristiani è raccolta di
superstizione il Talmud dei rabbini; pei cattolici è superstizioso il culto dei
riformati; pegli aevangelici è superstizione il culto dei cattolici; o per tutti
è superstizione la fede de’ pagani. Un senso tanto variabile non può
dunque avere che un carattere puramente relativo alle opinioni degli
individui e delle scuole; solo chi è inspirato agli alti principi razionali può
ancora contemplare d’uno sguardo sereno l’universalità dei miti che si
sovrapposero per strati successivi, direi quasi a guisa della scorza
terrestre, al vero primo di natura.

Così Luigi Stefanoni (1841-1918), con piglio positivista,


offriva la sua interpretazione della superstizione, in uno
studio che, benché datato, costituisce una delle
testimonianze più emblematiche sull’argomento: Storia
critica della superstizione.
Leggendo il grande lavoro dello Stefanoni scopriamo un
aspetto importante del fenomeno superstizione: ogni
periodo della storia e soprattutto delle culture, dalla più
grande alla più piccola, hanno considerato sbagliate alcune
azioni rituali, credenze, pratiche e culti, mettendoli al bando,
ma arrivando anche a perseguitarli con violenza, punendo in
modo esemplare chi, secondo l’opinione corrente, era
considerato schiavo della superstizione e, secondo la cultura
cristiana, vittima del diavolo e dei suoi perversi disegni.
Infatti ci fu un periodo della storia dell’Occidente in cui la
superstizione era indicata come una chiara espressione del
culto del demonio e ciò comportò severe punizioni per
quanti si diceva praticassero quei culti.
L’ANALISI DI PLUTARCO

Nato a Cheronea in Boezia nel 46 d.C., Plutarco studiò ad


Atene, dove approfondì la filosofia di Platone di cui divenne
un grande ammiratore; studiò anche la matematica,
trovandosi sempre conteso tra la speculazione morale ed
etica e la razionalità della geometria e del calcolo.
Viaggiò molto e in Egitto, terra di grandi superstizioni, in
cui la magia occupava un ruolo fondamentale nella cultura a
tutti i livelli sociali, conobbe molti aspetti oscuri delle
credenze, formandosi una propria personalissima idea della
superstizione.
Nel 105 Plutarco divenne sacerdote del santuario di
Apollo a Delfi: fu un’esperienza che influì profondamente
nella sua formazione spirituale e intellettuale. Si dice che
nel corso della sua vita (morì intorno al 125) scrisse circa
260 opere, ma non tutte sono arrivate fino a noi. Plutarco
scrisse anche un trattatello, La superstizione, nel quale ne
sottolinea la negatività, considerandola una strada per
perdere di vista la realtà e, quindi, l’effettiva dimensione
della religione. Per Plutarco la superstizione aveva origine in
un’errata interpretazione delle divinità e delle loro leggi:
tutto ciò determinerebbe atteggiamenti che conducono a
pratiche ed esperienze in contraddizione con la legge divina
e destinate a portare l’uomo nel peccato.
Ecco alcune delle precisazioni di Plutarco:
La superstizione è un’idea contaminata dall’emozione o
dalla suggestione, un’ipotesi che produce timore, un
timore che avvilisce e distrugge, inquantoché si crede sì
che Dio esista, ma che sia ostile e dannoso. L’ateo,
infatti, resta impassibile di fronte alla divinità, mentre il
superstizioso si eccita e si abbandona a impulsi
sconvenienti.
Di tutte le paure la più inattiva e piena d’impacci è
quella che nasce dalla superstizione.
Eraclito dice che quando siamo svegli c’è un solo mondo
per tutti, ma quando dormiamo ognuno si rifugia in uno
suo particolare. Per il superstizioso, invece, non c’è
alcun mondo comune: da sveglio, infatti, usa la ragione,
e quando dorme non riesce a liberarsi del suo
turbamento, ma il raziocinio in lui sonnecchia sempre, e
sempre sveglia è la paura, senz’alcuna possibilità di
scampo o cambiamento di sorta.
La superstizione è un eccesso di passionalità, a cui si
accompagna il sospetto che ciò che è un bene sia un
male.
Il superstizioso anche alla minima disgrazia rimane
come pietrificato, aggiungendo alla sua pena un cumulo
di altre afflizioni, grandi e terribili, da cui non riuscirà
mai a liberarsi, e si procura paure, terrori, sospetti e
turbamenti, abbandonandosi a ogni genere di pianti e di
lamenti.
Non c’è malattia più piena di errori, suggestioni e
opinioni contrastanti, quanto il morbo della
superstizione. Bisogna dunque evitarla, questa piaga,
ma in modo sicuro e opportuno, non come quelli che,
per sfuggire ai predoni, alla belve e al fuoco, correndo
alla cieca, vanno a impelagarsi in luoghi impraticabili,
pieni di voragini e precipizi. È così, infatti, che alcuni,
per salvarsi dalla superstizione, finiscono col cadere in
un ateismo rigido e ostinato, varcando d’un balzo la
vera religiosità, che sta nel mezzo.

Come si comprende da questi pochi ma emblematici


frammenti, Plutarco mette in rilievo che la superstizione è
soprattutto un fatto di cultura, da correggere poiché
destinata a condurre l’uomo verso paure dalle quali non
saprà più affrancarsi.
Plutarco rileva che la superstizione è un eccesso di
passionalità, quindi, per alcuni aspetti, il suo atteggiamento
risulta molto moderno, perché guarda dentro l’uomo al fine
di comprendere le cause di alcuni dei suoi atteggiamenti e
delle credenze di cui è schiavo.
Non furono altrettanto moderni gli interpreti successivi.

SE IL DIAVOLO CI METTE LA CODA…

Molto tempo dopo Plutarco, nel 1498, un articolo della


Censura realizzato dalla Facoltà di Teologia di Parigi
avvertiva: “Vi è un patto tacito con il demonio in tutte le
superstizioni, i cui effetti non si debbono attendere né da
Dio né dalla natura”.
Le testimonianze storiche certificanti la diretta presa di
posizione del Cristianesimo contro le pratiche religiose non
cristiane sono ampiamente confermate dai canoni di
numerosi Concili altomedievali, che in più occasioni
intervennero duramente contro i rituali pagani trasudanti
superstizione.
Già nel V secolo, il Concilio Arelatense (452)
perentoriamente affermava: “Se nel territorio di qualche
vescovo gli infedeli accendono fiaccole o sono venerati
alberi, fonti o pietre, se [il vescovo] avrà trascurato di
estirpare questa superstizione, sappia che lui stesso è
colpevole di sacrilegio”.
Il Concilio Turonense (567) non ebbe difficoltà ad
affermare che “tanto i pastori quanto i presbiteri” si
dovessero preoccupare di “respingere dalla chiesa con santa
autorità” coloro che si ostinavano “in quella superstizione”
di commettere idolatria “presso pietre, alberi o presso le
fonti, luoghi designati dai pagani”.
I vescovi radicalmente affermavano: “I cultori degli idoli,
veneratori delle pietre, superstiziosi che accendono fiaccole
e adorano i culti delle fonti e degli alberi, ammoniamo,
affinché lo riconoscano; coloro che siano visti sacrificare al
diavolo, si sottopongano a una morte spontanea”.
Nel 658 il Concilio Namnetense si schierò in modo più
preciso contro i residui delle pratiche superstiziose, in
particolare focalizzando la propria presa di posizione contro
quelle che si rivelarono già contrassegnate da un profondo
sincretismo. Di fatto l’influenza del Cristianesimo non era
passata senza lasciare tracce e certamente in qualche modo
condizionò anche le pratiche pagane diffuse localmente:
Non faccia nessun voto, o [accenda] candela o non porti qualsivoglia
offerta per richiedere [intercessioni] per la propria salvezza in altro luogo,
se non presso la Chiesa del Signore Dio suo […] Le pietre, che gli uomini
ingannati [i pagani] venerano in luoghi in rovina e nei boschi, dove
vengono fatti e sciolti voti, devono essere estratte dalle fondamenta, e
trasferite in un luogo tale, dove mai possano essere trovate dai loro
cultori.

Le proibizioni del XX canone del Concilio di Nantes pare


riverberino anche nelle parole di Audoenus, vescovo di
Rouen (647-684):
Nessun cristiano presso santuari, fonti o alberi o lungo le strade faccia
luminarie, o pensi di sciogliere voti: nessuno pensi di appendere al collo
di un uomo o di qualsiasi animale una fascia anche se provengono da
chierici e si dica che si tratta di oggetti santi e che hanno in sé la divinità,
poiché in queste superstizioni non c’è rimedio di Cristo, ma veleno del
demonio.

Il XII Concilio Tolentanus nel 681, forse per un rinvigorirsi


delle pratiche pagane, ordinò formalmente: “Questi sacrilegi
devono esser estirpati, e [una volta] strappati siano
troncati”.
Come si comprende da queste poche ma indicative
testimonianze, il Cristianesimo delle origini definì
superstiziose tutte quelle esperienze religiose non cristiane,
e fin qui non c’è niente di nuovo, perché tale atteggiamento
è caratteristico di tutte le religioni che si sono sostituite a
quelle precedenti. L’originalità sta non solo nell’aver
indicato superstiziosi i riti della religione precristiana, ma
nell’averli bollati come espressioni del culto del diavolo.
LE SUPERSTIZIOSE DONNE DI SATANA

La demonizzazione di quanto era considerato


superstizione determinò l’inizio della lotta contro le streghe.
Infatti il vissuto di queste donne, considerate schiave-
amanti di Satana, era fatto soprattutto da esperienze
originate da superstizioni antichissime, sorte tra gli uomini
quando la loro esistenza non era ancora equilibrata dalla
fede in un unico Dio.
Sono dell’alto Medioevo le fonti in cui possiamo rinvenire
le prime tracce di un’attenzione giuridica nei confronti della
magia/stregoneria.
Vanno ricordate in particolare le prescrizioni del Concilio
di Alvira (340), dirette a punire quanti procurassero la morte
con l’ausilio della magia, e quelle del Concilio di Ancira
(314) – nei pressi dell’attuale Ankara – contro coloro che
praticavano la magia nera e il maleficio.
L’editto di Rotari (643), in cui la strega è indicata anche
come masca, risulta una fonte piuttosto ambigua. Infatti,
benché condanni le pratiche magiche, indica i
provvedimenti da adottare contro coloro che avessero
recato danni alle streghe, in quanto queste ultime erano
prive dei poteri loro riconosciuti, ma vittime della
superstizione.
Rogo di streghe nel 1680

Nell’editto di Liutprando (727) rintracciamo invece una


più profonda riflessione intorno alla questione, in quanto la
stregoneria risulta espressione di un pericoloso
atteggiamento “pagano”, che colpiva e offendeva
profondamente la religione cristiana. Rabano Mauro, nel De
universo (784), rinvigorì le “paure” di Liutprando.
Nel capitolo De magicis artibus le antiche “superstizioni”
sono indicate come un pericoloso ricettacolo in cui la
dissidenza religiosa può essere strumento di affermazione
della cultura magica. Ma non sono ancora indicate delle
oggettive prese di posizione giuridiche, e soprattutto non si
accenna a repressioni di alcun tipo.

STREGHE O GUARITRICI?
Molte streghe erano delle ottime conoscitrici delle virtutes herbarium, in
quanto numerose di queste donne, prima di essere riconosciute come
adepte di Satana, svolgevano un importante ruolo nella gestione della
salute delle comunità contadine in cui erano inserite. La loro
demonizzazione esprime chiaramente l’atteggiamento della cultura
dominante nei confronti delle pratiche folcloriche, ma soprattutto di quelle
attività magico-terapeutiche che ebbero un forte ruolo pratico all’interno
della cultura popolare.

Cautela e vigilanza, oltre a un attento impegno pastorale,


sembrano governare gli atteggiamenti dell’epoca.
Rabano Mauro, come fa notare Raoul Manselli nel libro
Magia e stregoneria nel Medioevo (1976), credeva nella
possibilità della magia, ma “la considerava un fenomeno
concesso da Dio, in quanto solo con il suo consenso ogni
cosa può verificarsi. Dio condanna per tutti gli errori,
divinazioni e arti magiche volendo che si attenda la verità e
solo da lui”.
I testi dei concili, dei capitolari (le ordinanze emanate in
epoca carolingia, così chiamate perché erano divise in
capitula) e dei penitenziali ci offrono indicazioni molto
precise sulla modificazione dell’interpretazione del
fenomeno magico e dei rituali pagani sopravvissuti. Infatti,
si andava affermando un’idea che tendeva a considerare
magia e culto del diavolo anche le pratiche religiose “altre”.
Per esempio nel Canon Episcopi si fa chiaramente
riferimento “a donne depravate” che, datesi a Satana, si
illudono “e affermano di cavalcare la notte certune bestie al
seguito di Diana”.
Il testo fu incluso, intorno al 906, nel De synodalibus
causis et disciplinis ecclesiasticis di Reginone di Prüm (840-
915), che costituiva una raccolta di istruzioni per i vescovi e
i loro rappresentanti.
In seguito Burcardo di Worms (950-1025) attribuì il testo
al Concilio di Ancira (314) e lo inserì nel suo Decretum,
effettuando alcune piccole modifiche e aggiungendo
Erodiade accanto a Diana. Acquisirà poi il titolo di Canon
Episcopi (parole con le quali inizia) nel Decretum Magistri
Gratiani (1140), che costituisce la prima raccolta di diritto
canonico compilata tra il 1140 e il 1142 dal monaco
camaldolese Graziano, che riunì le decisioni dei concili in
materia giuridica separandole dalla teologia. Burcardo, in
particolare, prendeva una posizione precisa contro la
credenza del volo al seguito di Diana a cui, secondo una
diffusa leggenda, avrebbero partecipato donne adepte della
dea pagana in viaggio verso il luogo degli incontri rituali
(quelli che in seguito saranno chiamati “sabba”).
Dopo il Mille, l’idea che il diavolo avesse una posizione
fondamentale nelle pratiche magiche guadagnò più spazio,
affermandosi a vari livelli.
Il giurista Graziano, nel suo Decretum, pur continuando a
sostenere che alcuni aspetti della stregoneria fossero del
tutto irreali (il volo in particolare), sosteneva che esistesse
un rapporto tra i praticanti e il diavolo.
Incmaro di Reims nel 1151 metteva in evidenza il ruolo
degli “uomini malefici o donne incantatrici”, descritti con
prerogative che possono essere molto simili a quelle
riconosciute alle streghe.

L’Inquisizione contro la superstizione


Nicolau Eymerich (1320-1399), domenicano spagnolo e
inquisitore generale d’Aragona, nel suo noto Directorium
inquisitorum (1376) proponeva tutta una serie di indicazioni
per riconoscere i fedeli di Satana, resi ciechi dalle loro
superstiziose pratiche votate al male e al peccato.
Questa l’interpretazione del grande inquisitore:
I maghi ereticali, o negromanti o invocatori del diavolo – il che è lo stesso
– hanno dei segni esteriori comuni. In generale, per effetto delle visioni,
delle apparizioni e delle conversazioni con gli spiriti del male, hanno il
viso astuto e lo sguardo obliquo. Si mettono a divinare il futuro anche
sulle cose che dipendono dalla sola volontà di Dio o degli uomini. La
maggior parte lo fanno con l’alchimia o l’astrologia. Se si conduce
qualcuno all’inquisitore con l’accusa di negromanzia e l’inquisitore vede
che è un astrologo o alchimista o indovino, egli dispone di un indizio
certo: tutti gli indovini sono, manifestamente o occultamente, adoratori
del diavolo. Anche gli astrologhi e pure gli alchimisti, perché quando non
giungono ai loro scopi chiedono consiglio al diavolo, lo implorano e lo
invocano. E nell’implorarlo evidentemente lo venerano.

L’inizio della caccia alle streghe


Di certo l’innesco alla grande caccia alle streghe risale al
5 dicembre 1484, quando il cardinale Giovan Battista Cybo,
diventato papa Innocenzo VIII, con la bolla Summis
desiderantes affectibus lanciò un’offensiva pubblica contro
le adepte di Satana.

I processi alle streghe di Salem negli Stati Uniti d’America

Desiderando con tutta la nostra volontà, come richiede la cura della


pastorale sollecitudine, che la fede cattolica nei nostri tempi e in ogni
luogo sia incrementata e abbia floridezza e che ogni eretica pravità sia
espulsa dalle terre dei fedeli, volentieri dichiariamo e nuovamente
concediamo tutto quanto può rendere efficace codesto nostro pio voto e
desiderio […] Ci venne ultimamente all’orecchio […] che numerose
persone di ambo i sessi, immemori della propria salute e deviando dalla
fede cattolica, hanno abusivi commerci con i demoni incubi e succubi e
con i loro incantesimi, vaticini, scongiuri e con altri nefandi sortilegi,
superstizioni, eccessi, delitti, procurano che i parti delle donne, i feti degli
animali, i frutti della terra, i prodotti delle viti e degli alberi, gli uomini, le
donne, gli animali domestici, le mandrie, le greggi e gli altri generi di
animali, e inoltre le vigne, i giardini, i prati, i pascoli, i cereali, il frumento
e gli altri raccolti delle campagne periscano, siano soffocati e soppressi;
che riescano inoltre a impedire che gli uomini generino, che le donne
concepiscano e che i mariti con le mogli e le mogli con i mariti compiano
i loro atti coniugali, che non si astengono di abiurare con sacrilega bocca
la stessa fede che ricevettero nell’amministrazione del santo battesimo e
di commettere e perpetrare, su istigazione del nemico del genere umano,
altri numerosi nefandi eccessi e delitti, con pernicioso esempio e
scandalo di molti […] [si] provveda a infliggere sentenze, censure e pene
inappellabili di scomunica, sospensione e interdetto, oltre le più gravi,
contro coloro che oppongono molestie, impedimenti, contraddizioni e
ribellioni, di qualsiasi dignità, stato, grado, importanza, nobiltà ed
eccellenza essi siano e da qualsiasi privilegio di esenzione possano
essere muniti.
E infine gli concediamo che nei processi intentati contro costoro in
conformità delle leggi abbia facoltà di aggravare e aumentare le pene
delle sentenze, chiedendo, se necessario, l’aiuto del braccio secolare.

Il Malleus maleficarum
La situazione generale fu ulteriormente esasperata
quando due domenicani, Heinrich Institor Kramer e Jacob
Sprenger, sulla base delle loro esperienze di inquisitori in
Germania, furono incaricati di redigere un’opera che
raccogliesse tutte le conoscenze sulla stregoneria, in linea
con le prerogative contenute nella Bolla di Innocenzo VIII.
L’opera, intitolata Malleus maleficarum (Il martello delle
streghe), era una sorta di manuale che, oltre a tentare di
descrivere il fenomeno in sé, si soffermava anche sulle
pratiche magiche compiute dalle streghe e sui sistemi
giuridici da adottare, in relazione ai dogmi teologici, per
lottare contro la stregoneria. Il volume divenne una pietra
miliare della lotta contro il male e, in quel clima di paura e di
rinnovata adesione alla lotta
contro un demonio che le
guerre di religione avevano
rinvigorito, fu uno strumento
di repressione
particolarmente efficace.
La prima edizione del
Malleus maleficarum è
dell’inverno 1486 e fu
stampata a Strasburgo. Fino
al 1669 seguirono
trentaquattro edizioni,
giungendo a più di
trentacinquemila copie. In
questo fondamentale testo
sulla caccia alle streghe
viene illustrato come le
superstizioni costituiscano la
forza principale delle
streghe.
Frontespizio dell’edizione lionese del
Ci sono infatti quattordici specie di
Malleus maleficarum del 1669
opere di superstizione nei tre
generi di divinazione, di cui il primo si esercita con un’esplicita
invocazione dei diavoli, il secondo soltanto con la tacita considerazione
della disposizione di qualcosa, come le stelle, i giorni, le ore, e così via, il
terzo con la considerazione di qualche atto umano nell’intento di
scoprirvi qualcosa di occulto: tutti e tre portano il nome di sortilegi […] La
divinazione attraverso i sogni; essa viene praticata in due modi: sia
quando ci si serve dei sogni per indagare su qualcosa di occulto
mediante la rivelazione degli spiriti maligni invocati a tale scopo e con cui
si stringono espliciti patti; sia quando ci si serve dei sogni per conoscere
il futuro in quanto essi precedono da una rivelazione divina o da una
causa naturale intrinseca o estrinseca […] Ma tutto questo è cosa lieve a
paragone dei sogni fatti dalle streghe con intenti superstiziosi. Infatti
quando non vogliono trasferirsi con il corpo, ma soltanto scorgere con
l’immaginazione ciò che le loro colleghe streghe stanno perpetrando, non
devono fare altro che coricarsi sul lato sinistro in nome del loro diavolo e
di tutti gli altri e così certi dettagli vengono loro rappresentati con una
visione immaginaria da una loro simile.
Questo frammento del Malleus maleficarum dimostra con
chiarezza come, in piena caccia alle streghe, la paura del
diavolo, la magia e la superstizione costituissero un unico
tessuto, in cui la fede e l’irrazionalità spesso si
amalgamavano producendo, paradossalmente, nuove
superstizioni e credenze.
Gli autori del trattato, contraddicendo l’autorità dei Padri
della Chiesa, sostenevano la possibilità che le streghe
fossero in grado di “fascinare con gli occhi a danno di
un’altra persona”.

Verso la ragione?
Non è facile stabilire quando la caccia alle streghe giunse
al termine della sua follia distruttrice, anche perché la fine
della fobia contro le donne di Satana ebbe aspetti e tempi
diversi nei singoli Paesi.
Tra la metà del XVII secolo e la seconda metà del
successivo vi fu un declino della persecuzione, determinato
anche da una più matura e razionale valutazione dei
fenomeni.
A preparare la strada contribuirono autori come Giovanni
Pico della Mirandola (1463-1494) e Cornelio Agrippa von
Nettesheim (1486-1535), che certamente proposero una
lettura più ampia della cultura magica, ponendone in rilievo
le sue specificità filosofiche.
Ma nello stesso tempo, tracciarono anche delle linee di
demarcazione tra reale e irreale, tra possibile e impossibile,
secondo un metodo analitico dominato dalla razionalità: in
particolare verso la fine del XVII secolo vi fu una lenta ma
costante mutazione della mentalità collettiva. Teologi e
giuristi, condizionati dagli scienziati dell’epoca, espressero
dubbi sempre maggiori sull’esistenza delle streghe e sul loro
operato.
Questo tipo di approccio al fenomeno coinvolse ampie
fasce della società, trovando convinti assertori del pensiero
cartesiano soprattutto tra i livelli più colti. Ma furono
fondamentali i contributi di scienziati come Galileo,
Copernico, Keplero, Newton, che con le loro affermazioni
dimostrarono come l’universo rispondesse a leggi fisiche
regolarmente prestabilite, senza risentire in alcun modo
dell’influenza soprannaturale e dell’intervento degli spiriti,
buoni o cattivi che fossero.

IL NUOVO RIFERIMENTO ALLA RAGIONE

Facciamo un salto nel tempo fino al periodo in cui il


bisogno di far trionfare la ragione condusse spesso a
cercare di abbattere con ogni mezzo – anche se non nel
modo devastante usato dall’Inquisizione – le espressioni più
primitive della cultura tra le quali, ovviamente, la
superstizione occupava un posto fondamentale. Così
puntualizzava Giambattista Vico (1668-1744) nel suo libro
La Scienza Nuova (1725/44), considerato un testo fondante
del nascente Illuminismo:
Per sì fatti primi uomini stupidi, insensati ed orribili bestioni, la meraviglia
è figliuola dell’ignoranza, e quando l’effetto ammirato è più grande, tanto
più a proporzione cresce la meraviglia. La fantasia è tanto più robusta,
quanto più debole è il raziocinio. Gli uomini ignoranti delle naturali
cagioni che producono le cose, ove non lo possono spiegare nemmeno
per cose simili, danno ad esse la propria natura: come il volgo per
esempio dice, la calamita esser innamorata del ferro. Il più sublime
lavoro della poesia, è alle cose insensate dare senso, passione: ed è
proprietà dei fanciulli di prendere le cose inanimate tra le mani; e
trastullandosi favellarci come se fossero persone vive.

Alle precisazioni del Vico, un po’ troppo radicali,


aderirono altri intellettuali del periodo che cercarono con
ogni mezzo di “dimostrare” – com’era caratteristico
nell’indagine illuminista in ogni campo del sapere –
l’infondatezza delle superstizioni. Voltaire (1694-1778),
caposcuola del pensiero razionale, non si stancò mai di
accusare di omicidio coloro che processarono e uccisero
migliaia di streghe, in nome di una lotta contro il demonio
che per il filosofo illuminista era solo cieca superstizione:
Voi avete trovato un gran numero di miserabili così pazze da credersi
streghe, e dei giudici così imbecilli e così barbari da condannarle alle
fiamme. Voi avete veduto in Europa delle leggi speciali colpire la magia,
come si colpiscono gli assassini.

Gli esploratori, i missionari, persino i semplici viaggiatori


non mancarono di riportare nelle loro memorie ampie
testimonianze delle pratiche superstiziose di genti
considerate involute agli occhi degli osservatori.

La tortura con il fuoco dell’Inquisizione spagnola, nel XVI secolo

Emblematica è la testimonianza di Alexandre Dumas


(1802-1870) sulla iettatura napoletana:
Napoli, come tutte le cose umane, subisce l’influsso di una doppia forza
che regge il suo destino: ha il suo cattivo principio che la perseguita, e il
suo buon genio che la protegge, ha il suo Arimane che la minaccia, e il
suo Ormuz che la difende, ha il suo demone che vuol perderla e il suo
patrono che spera salvarla.
La sua nemica è la iettatura; il suo protettore è san Gennaro. Se non ci
fosse san Gennaro in cielo, da gran tempo la iettatura avrebbe
annientato Napoli; se non ci fosse la iettatura in Terra, da gran tempo san
Gennaro avrebbe fatto di Napoli la regina del mondo. Perché la iettatura
non è un’invenzione di ieri; non è una credenza medievale; non è una
superstizione del basso impero: è un flagello lasciato dal mondo antico al
mondo moderno; è una peste che i cristiani hanno ereditato dai gentili; è
una catena che passa attraverso le epoche, e a cui ogni secolo aggiunge
un anello.
I Greci e i Romani conoscevano la iettatura: i Greci la chiamavano
alexiana, i Romani fascinum. La iettatura è nata nell’Olimpo; è un flagello
di buona famiglia.

CHE COSA DICONO LE SACRE SCRITTURE

Fino a questo punto ci siamo riferiti all’atteggiamento


della Chiesa nei confronti della superstizione. Però le
interpretazioni della Chiesa si basano sulle Sacre Scritture, e
da queste traggono gli insegnamenti necessari a porsi con
la dovuta razionalità davanti a quelle pratiche in cui spesso
la magia, le credenze più ataviche e l’ignoranza si uniscono
in una sola dimensione.
Nell’Antico Testamento e nel Nuovo Testamento sono
rinvenibili numerose testimonianze che ci consentono di
cogliere con nitidezza l’approccio repressivo dei grandi
monoteismi nei confronti della superstizione.
Nelle religioni monoteiste, la superstizione e la magia
sono state prese anche come esempio per evidenziare la
negatività del paganesimo; non va però dimenticato che
alcuni rituali ebraico-cristiani assorbirono molti elementi
delle religioni precedenti. Nella tradizione biblica troviamo
numerose prese di posizione contro la magia e la
stregoneria, che certamente furono condizionanti, benché in
percentuali diverse, anche per il Cristianesimo.
Nel libro della Genesi è chiaramente indicata la rottura
con la tradizione politeista e pagana, attraverso una
purificazione destinata a eliminare il passato idolatrico,
basato su pratiche magiche, amuleti e superstizioni, per
dare inizio a una nuova era religiosa: “Essi consegnarono a
Giacobbe tutti gli dèi stranieri che possedevano e i pendenti
che avevano agli orecchi e Giacobbe li sotterrò sotto la
quercia che è presso Sichem” (Genesi 35,4).
Nell’Esodo si vieta il rito cananeo della cottura di un
capretto nel latte della madre (23,19), che rimanda a una
tradizione tribale, pagana e demonizzata. Più
esplicitamente, il Levitico impone: “Non praticate
divinazione né incantesimi […] non rivolgetevi agli spettri e
agli indovini” (19,26-31). Inoltre si imponeva anche di non
chiedere alla sorte dei responsi che invece dovevano essere
cercati oltre il perimetro della superstizione: “E tirerà a sorte
due capri, destinandone uno al Signore e uno per Azazel”
(Levitico 16,8). Questo atteggiamento nei confronti della
sorte è anche rinvenibile nei Proverbi 16,33: “Nel cavo della
veste si getta la sorte, ma tutta la decisione viene dal
Signore”.
Nel Levitico è ancora indicato molto chiaramente quale
fosse la posizione sacerdotale nei confronti della magia: “Se
uno si volgerà agli spettri e agli indovini, prostituendosi
dietro di essi, io mi rivolgerò contro quest’uomo e lo
eliminerò di mezzo al suo popolo” (20,6).
Il Deuteronomio aggiunge: “Non si troverà presso di te
chi faccia passare il proprio figlio o figlia per il fuoco, chi
pratichi la divinazione, il sortilegio, l’augurio, la magia, chi
pratichi incantesimi, chi consulti gli spettri o l’indovino, chi
interroghi i morti” (18,10-11). Inoltre è esplicitamente
indicato di rifuggire tutti i culti pagani, in quanto crogiolo di
superstizione. La pratica dei bambini passati attraverso il
fuoco si connetteva ai tanti riti cruenti in cui traspare un
legame con il sacrificio ricordato anche nel Nuovo
Testamento (Atti degli Apostoli 15,29) e che fu ben presto
demonizzato: “Fece inoltre bruciare suo figlio, praticò la
magia e la divinazione, stabilì negromanti e indovini” (II
Libro dei Re 21,6); “Chiunque […] dia un suo figlio a Molock,
sia messo a morte, la gente del paese lo lapidi” (Levitico
20,2). La terribile pratica è anche individuata nella condotta
del re di Giuda Acaz “che non fece ciò che è retto al
Signore” e giunse “persino a bruciare suo figlio secondo le
usanze abominevoli delle genti che il Signore aveva cacciato
davanti ai figli d’Israele. Egli offrì sacrifici e bruciò aromi
sulle alture, sulle colline e sotto ogni albero frondoso” (II
Libro dei Re 16,3-4). In alcuni casi, la pratica della magia è
indicata parallelamente ad altre forme fortemente
trasgressive, come la prostituzione, “fin quando dureranno
le prostituzioni di tua madre Gezabele e i suoi numerosi
sortilegi?” (II Libro dei Re 10,22). In genere, furono i sortilegi
e gli incantesimi a essere considerati deprecabili e punibili,
in quanto frutto della “scienza arrogante” (Sapienza 17,7);
“Il re di Babilonia sta alla biforcazione, al bivio, per avere
una divinazione. Ha agitato le frecce, ha interrogato i
pennati, ha esaminato il fegato” (Ezechiele 21,26). Magia e
divinazione erano superstizioni contro le quali si schierarono
anche i profeti: “Eccomi a mandare contro di voi serpenti
velenosi, contro i quali non avete incantesimo” (Geremia
8,17); “La mia mano si volgerà contro i profeti dalle visioni
vane e dalle divinazioni false” (Ezechiele 13,9); “Il mio
popolo consulta il suo legno, ed il suo bastone gli dà il
responso; perché uno spirito di prostituzione lo travia e si
prostituiscono abbandonando il loro Dio” (Osea 4,12); “Tu
hai rigettato il tuo popolo, la casa di Giacobbe, poiché sono
pieni di indovini e di maghi simili ai Filistei e patteggiano
con gli stranieri” (Isaia 2,6); “Rimani con i tuoi incantesimi e
con la moltitudine dei tuoi sortilegi” (Isaia 47,12); “Figli della
maga, stirpe dell’adultero e della prostituta” (Isaia 57,3);
“Voi, perciò, non date ascolto ai vostri profeti, ai vostri
indovini, ai vostri sognatori, ai vostri maghi e ai vostri
stregoni” (Geremia 27,9); “Vi verrò incontro per il giudizio, e
sarà un testimone pronto contro gli indovini, contro gli
adulteri, contro quelli che giurano il falso, contro chi
trattiene la mercede all’operaio, contro chi opprime vedove,
orfani, forestieri” (Malachia 3,5). Molto esplicitamente
nell’Esodo si impone: “Non lascerai vivere colei che pratica
la magia” (22,17); nel Levitico è ulteriormente specificato:
“Un uomo o una donna fra voi che sia negromante o
indovino sia messo a morte: li lapiderete. Il loro sangue
ricada su di loro” (20,27). Nel Talmud, riprendendo quanto
detto nell’Esodo, è chiarito: “La maggior parte delle donne
sono familiari con la stregoneria” (Sanhédrin, 67).

Dio creatore genera il Mondo; incisione da una Sacra Bibbia del 1937

Spesso la magia e l’idolatria erano accomunate ed


entrambe additate come perversa manifestazione diabolica:
“Non ti farai un dio di metallo fuso” (Esodo 34,17); “Non vi
farete incisioni, né vi raderete tra gli occhi per un morto”
(Deuteronomio 14,1). Inoltre la goetheia e la teurghia molte
volte erano poste sullo stesso piano ed entrambe correlate
al rapporto con i demoni: “Saul aveva fatto scomparire dal
paese i negromanti e gli indovini” (I Samuele 28,3); “Giosa
eliminò pure le negromanti, gli indovini” (II Libro dei Re
25,24).
Nel Vicino e Medio Oriente la negromanzia era
ampiamente diffusa, benché fosse proibita dalla legge, in
quanto ritenuta pratica idolatrica: “Se vi si dice: consultate i
negromanti e gli indovini che bisbigliano e mormorano:
certo il popolo non deve forse consultare il suo Dio e i morti
per i vivi?” (Isaia 8,19; II Libro dei Re 21,6); particolarmente
noto è anche l’episodio della negromante di Endor che
“praticava la divinazione per mezzo di negromanzie, alla
quale Saul si rivolse per evocare il fantasma di Samuele” (I
Samuele 28,3-25).
Malgrado l’accesa lotta contro la magia e la divinazione,
ben evidente anche nel Nuovo Testamento, in taluni casi la
negatività di queste pratiche (in particolare la seconda) pare
ridotta, addirittura sfruttata per porre in evidenza il valore
del messaggio evangelico: “Or mentre ci recavamo alla
preghiera, ci venne incontro una schiava che aveva uno
spirito divinatorio, il quale procurava un forte guadagno ai
suoi padroni pronunciando oracoli. Costei si mise a seguire
Paolo e noi e ci gridava dietro: questi uomini sono servi del
Dio Altissimo, che vi annunciano la via di salvezza” (Atti
degli Apostoli 16,16-18). Nelle pratiche magiche erano
anche comprese alcune forme di cura in cui convivevano
esperienze rituali e formule terapeutiche empiriche (I
Samuele 6,4-5).
In sostanza, a parte l’ambiguità interpretativa che da
sempre contrassegna la magia, dalla Genesi all’Apocalisse si
ritrova il profondo senso del peccato caratterizzante la
magia e le arti divinatorie.
Emblematico è il caso del fico “maledetto” da Gesù: “Non
vi trovò che foglie, perché non era la stagione dei fichi.
Allora rivolto al fico, disse: ‘Mai più in eterno qualcuno
mangi frutti da te’ […] Videro il fico che si era seccato fin
dalle radici. Allora Pietro, ricordandosene, gli disse:
‘Maestro, guarda! Il fico che tu hai maledetto si è seccato’”
(Marco 11,13-14; 11,20-21).
Secondo alcuni esegeti, il caso del fico andrebbe inteso
come una chiara espressione di magia nera: un fenomeno
che però sembrerebbe contrastare con l’esperienza di
Cristo.
Questa ambiguità nell’interpretazione della superstizione
fu un mezzo che offrì al popolo l’occasione per trarre false
certezze e garanzie sull’autorità di alcune pratiche colme di
tradizioni molto antiche. Si passa dalla convinzione che la
mandragola possieda il potere afrodisiaco (Genesi 30,14;
Genesi 8,14), alle pratiche sincretistiche, sospese tra la
farmacologia agro-pastorale e i rituali collegabili alla
stregoneria (II Libro dei Re 20,7).
Generalmente, la Sacra Scrittura pone bene in evidenza
come i maghi furono sconfitti dalla religione che ne sfaldò
sempre il potere, spesso millenario. Ne abbiamo
testimonianza nella vittoria del profeta Daniele sui
“veggenti” reali, incapaci di decifrare i sogni di
Nabucodonosor (Daniele 2,19).
Negli Atti degli Apostoli, la sconfitta della magia è
drammaticamente evidenziata: Paolo e Barnaba “trovarono
un mago, uno pseudoprofeta giudeo, di nome Bar-Iesus, che
stava col proconsole Sergio Paolo, uomo intelligente. Costui
fece chiamare Barnaba e Saulo, perché desiderava ascoltare
la parola di Dio. Ma Elimas, il mago (questo infatti è il
significato del suo nome), si opponeva loro cercando di
distogliere il proconsole dalla fede. Allora Saulo, detto anche
Paolo, pieno di Spirito Santo, fissandolo in volto disse:
‘Uomo ricolmo di ogni inganno e di ogni malizia, figlio del
diavolo, nemico di ogni giustizia, non la finirai di distorcere
le vie rette del Signore? Ed ora, ecco la mano del Signore è
su di te: resterai cieco e per un certo tempo non potrai
vedere la luce del Sole’” (Atti degli Apostoli 13,6-11).
Nel Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica si trova
un’indicazione sul concetto di superstizione intorno alla
quale vale la pena di riflettere:
La superstizione è la deviazione del sentimento religioso e delle pratiche
che esso impone. Può anche presentarsi mascherata sotto il culto che
rendiamo al vero Dio, per esempio, quando si attribuisce un’importanza
in qualche misura magica a certe pratiche. Attribuire alla sola materialità
delle preghiere o dei segni sacramentali la loro efficacia, prescindendo
dalle disposizioni interiori che richiedono, è cadere nella superstizione.

Questa precisazione è particolarmente interessante, in


quanto sottolinea il fatto che la superstizione può essere
ricercata anche al di fuori delle forme magiche
dichiaratamente in antitesi alla religione cristiana. Infatti, la
superstizione è anche rinvenibile nella cieca ritualità di
tradizione cristiana: segni, formule e oggetti, se utilizzati
senza la necessaria armonia e soprattutto senza la fede,
divengono elementi magici, che hanno totalmente perduto
ogni primitiva valenza simbolica.
Sullo stesso piano vanno posti anche gli aspetti cultuali
che per il Nuovo Catechismo divengono mera idolatria, cioè
“una perversione del senso religioso innato nell’uomo”.
Nella visione cristiana, la magia e l’idolatria sono due
espressioni di un solo decadimento interiore che ha creato
falsi strumenti per dare all’uomo la convinzione di poter
instaurare un rapporto con il soprannaturale. L’idolatria “non
concerne soltanto i falsi culti del paganesimo. Rimane una
costante tentazione della fede. Consiste nel divinizzare ciò
che non è Dio. C’è idolatria quando l’uomo onora e riverisce
una creatura al posto di Dio, si tratti degli dèi o dei demoni,
del potere, del piacere, della razza, degli antenati, dello
stato, del denaro…” Il Nuovo Catechismo avverte di stare in
guardia anche dalla divinazione, strumento che, come la
magia, intende svincolarsi dai limiti dell’umano per
conoscere il futuro.

L’ASTROLOGIA È UNA FORMA DI


SUPERSTIZIONE?
Alcuni anni fa, dalle colonne dell’“Osservatore Romano”
si levò un duro attacco all’astrologia, definita “una vera
devianza religiosa, in contrasto con i principi rivelati della
Bibbia”. Malgrado le pesanti accuse, la cosiddetta
“psicoanalisi dei poveri” continua a coinvolgere un’alta
percentuale di uomini e donne che, più o meno
dichiaratamente, cerca negli astri qualcosa che non riesce a
trovare nelle pieghe della vita di tutti i giorni.
Emblematica è la precisazione del Catechismo della
Chiesa Cattolica:
Tutte le forme di divinazione sono da respingere: ricorso a Satana o ai
demoni, evocazione dei morti o altre pratiche che a torto si ritiene che
rivelino l’avvenire. La consultazione degli oroscopi, l’astrologia, la
chiromanzia, l’interpretazione dei presagi e delle sorti, i fenomeni di
veggenza, il ricorso ai medium occultano una volontà di dominio sul
tempo, sulla storia e infine sugli uomini, e insieme un desiderio di
rendersi propizie potenze nascoste.

Secondo la sociologia, l’astrologia è lo specchio


dell’attuale fase della società capitalistica, con il suo
costante invito alla competizione, alla salute a ogni costo, al
successo. È la proiezione cosmologica delle regole di una
civiltà che non riesce a trattenere la sua volontà di potenza.
Ecco che, nella divinazione attraverso le stelle, l’uomo
moderno, rispondendo a un bisogno atavico, cerca di
scorgere quello che sarà il futuro, le linee portanti del tempo
che verrà.
Se Ippocrate, nel V secolo a.C., affermava che “chi ignora
l’astrologia deve essere considerato non un medico ma un
idiota”, di certo questa consapevolezza doveva avere delle
basi. Ma oggi non è certamente più così.
Interpretare l’arcano messaggio astrologico non
contribuirà a migliorare il nostro stato fisico, ma potrà avere
un effetto placebo per aiutarci a superare molti problemi
che forse necessitano di un buon neurologo prima di un
astrologo. E a gridare “al lupo” sono spesso gli uomini di
scienza, che ritornano ciclicamente sulla questione
adducendo motivazioni di diverso tipo, in gran parte
fondate. Per molti, il grande successo riscosso
dall’astrologia è segno di un malessere diffuso, che sorge
dall’incapacità dell’uomo moderno di scorgere delle risposte
a quell’endemico bisogno di certezze che contrassegna le
nostre esperienze quotidiane. L’oroscopo come “coperta di
Linus”? Come mostro partorito dalla ragione? Sono in tanti a
essere giunti a questa conclusione.

Fin dalla sua origine il Cristianesimo si è scagliato con violenza


contro le pratiche astrologiche
Se l’astrologia non tiene conto della fisica, ciò significa
che la sfera della sua influenza è esclusivamente
psicologica.
I rapporti con la Luna, il Sole e i pianeti non sarebbero
altro che apparati utilizzati secondo uno schema esoterico,
per dare una fisionomia razionale al meccanismo
immaginario dell’astrologia. Per la Chiesa la ricerca di
risposte attraverso l’astrologia è in fondo un mezzo per fare
dell’“ateismo equivalente” che, rinunciando alla
conoscenza, si affida a una natura inconsciamente
idolatrica. Emblematica in questo senso è l’affermazione del
cardinale Giacomo Biffi:
L’ateismo equivalente è proprio di chi riserva la sua adorazione a qualche
divo dello spettacolo o della politica; o di chi si abbandona ai fantasmi
senza misura per qualche realtà sportiva, o per qualche ideologia
emergente; o di chi si lascia ossessionare dal culto della propria salute o
della propria forma fisica, quasi fosse una specie di religione; o di chi,
invece di fare delle stelle la scala per arrivare alla verità trascendente,
come hanno fatto i magi, pretende di carpire alle stelle i segreti del suo
avvenire e le direttive del suo agire, con insipienza antica e sempre
stupefacente degli oroscopi.

Di certo gioca un ruolo importante il fatto che gli astri


abbiano il nome di divinità pagane e pertanto evochino un
passato misterioso, fin troppo facile da demonizzare. Spesso
alla Chiesa hanno fatto eco uomini di scienza, che con
strumenti laici hanno posto in luce il “pauperismo
scientifico” dell’astrologia. Secondo l’astronomo Paul
Couderc (1899-1981), grande inquisitore dell’astrologia e
autore del libro L’astrologie que sais-je?, ristampato senza
interruzione dal 1951, gli errori evidenti degli astrologi
sarebbero otto. Li riportiamo sinteticamente, in quanto ci
pare possano essere spunti di discussione ignoti al grosso
pubblico.
1. Gli astrologi attribuiscono molteplici proprietà agli astri,
senza aver mai fornito alcuna prova.
2. Si fa riferimento a un pantheon pagano proiettato in
modo discutibile nel cielo astrale.
3. Gli astrologi passano con facilità dal generale al
particolare.
4. Si ricorre a un “codice empirico di corrispondenze
efficaci”, che non è verificato da studi scientifici.
5. Gli astrologi fanno un uso discutibile della scienza delle
probabilità.
6. Gli astrologi non tengono conto della processione degli
equinozi e non riescono ad accordare in modo serio e
valido la tradizione con i dati scientifici moderni.
7. Per gli astronomi l’influsso dei pianeti è infinitamente
più debole di quanto sostenuto dagli astrologi.
8. È troppo vaga l’insistenza dell’astrologia sull’istante
della nascita. Perché l’azione degli astri dovrebbe essere
più incisiva in quel momento piuttosto che in un altro?

Spesso questi otto punti sono stati utilizzati in modo


eccessivamente polemico, vanificando ogni concreta
opportunità di approfondimento critico. Accanto all’aspetto
scientifico, che dev’essere oggetto di ricerca da parte di
studiosi qualificati e senza preconcetti, vanno poste anche
le considerazioni di carattere sociologico che sono giunte
spesso a conclusioni vicine a quelle suggerite dalla
religione.

La concezione di Adorno
“Credo nell’astrologia perché non credo in Dio”, disse uno
studente a Theodor W. Adorno (1903-1969), che nel 1956
scrisse il volumetto Stelle su misura, in cui sottolineava che
l’astrologia, di fatto, cerca di soddisfare i desideri di persone
profondamente convinte che altri (entità spesso senza nome
e fortemente sincretistiche) sappiano su di loro, e su ciò che
fanno ogni giorno, più di quanto siano in grado di decidere
da sé. Adorno, padre della Scuola di Francoforte, dopo aver
analizzato quotidianamente per circa sei mesi il contenuto
della rubrica astrologica del “Los Angeles Times”, giunse a
una conclusione molto chiara:
Oggi c’è una incompatibilità clamorosa fra il progresso di scienze naturali
come l’astrofisica e la credenza nell’astrologia. Quelli che combinano le
due cose sono costretti a una regressione intellettuale che in passato non
era certo necessaria […] Possono quindi ritenere che solo esigenze
pulsionali molto forti facciano sì che la gente accetti ancora – o accetti
nuovamente – l’astrologia.

Convinto che i moduli di pensiero dell’occultismo fossero


strettamente in relazione con i fascismi europei, vista la
crescente affermazione degli oroscopi sui giornali americani,
Adorno giunse a estendere alle società capitalistiche le sue
tesi sull’equazione esoterismo-autoritarismo. Concluse così
che questi sistemi sono destinati a plasmare le persone che
ricercano delle sicurezze per sottrarsi alle loro paure, fino a
sottomettersi ad autorità protettive. Le stelle sarebbero una
di queste ipotetiche autorità. La dipendenza sarebbe poi
traslata sul piano del potere attraverso la mediazione di
coloro che sono a conoscenza dei significati, simbolici, delle
stelle: gli astrologi.
Il rapporto esoterismo-autoritarismo adorniano sembra
quindi adattarsi ad hoc alla tradizione astrologica. Questa
tradizione serve comunque all’uomo moderno perché gli
fornisce delle opportunità per scorgere, apparentemente, un
modo attraverso il quale vivere le proprie paure in maniera
indipendente, svincolandole dalle traiettorie esistenziali
della storia. In quel precipitato di tutte le conoscenze
psicologiche dell’antichità (così Jung definiva l’astrologia)
sono comunque in molti a cercare una possibile risposta alle
incertezze dell’esistenza: il 65% degli italiani conosce il
proprio segno zodiacale, il 42% legge il proprio oroscopo
sulle pagine dei giornali e il 35% è convinto che le stelle
esercitino una qualche influenza sul carattere e sul destino
delle persone.
Mose Maimonide (1135-1204), filosofo e medico arabo,
attivo nella Spagna islamizzata e considerato uno tra i
maggiori esperti della cultura ebraica, definiva l’astrologia
“una scienza insulsa e ingannatrice”, recuperando ed
esasperando la tradizione talmudica da sempre schierata
contro la divinazione attraverso le stelle: “Esci dal tuo
oroscopo, non c’è influsso astrale per Israele” (Shabbat,
156a). Malgrado tutto, ci fu chi, verso la fine del XX secolo,
propose di istituire una cattedra di astrologia alla Sorbona.
In tal modo, in breve tempo, sarebbe stato possibile
fregiarsi del titolo di dottore in astrologia, ottenuto niente
meno che nel sancta sanctorum della cultura europea.
Naturalmente la proposta non è stata presa in
considerazione, anche se non andrebbe del tutto rigettata la
possibilità di pensare all’utilità culturale di approfondire, in
sede accademica, la storia dell’astrologia. Si tratterebbe
certamente di un’importante iniziativa per far conoscere il
vissuto dell’astrologia ponendone in rilievo gli aspetti
culturali nei diversi periodi storici. Gli astrofisici sorridono
quando si parla di oroscopi, negando ogni rapporto tra gli
astri e il carattere o l’esistenza dell’uomo. Sono giustamente
convinti che la gente in realtà cerchi negli oroscopi una serie
di indicatori simbolici per scorgere, in qualcosa di esterno
alla propria realtà, l’origine degli eventi terreni, già
aprioristicamente determinati e scritti… nelle stelle. Davanti
ai grandi misteri irrisolti dell’esistenza, alle angosce che
tormentano il nostro cammino di uomini incapaci di risolvere
ogni cosa con l’ausilio della ragione, il ricorso alla
divinazione si pone come la strada “altra”, il modo per
intervenire nella realtà naturale, cercando di orientarla
secondo il proprio interesse. Sembrerebbe che l’astrologia,
come la magia, sia un espediente riscontrabile in particolare
in quelle realtà in cui è possibile rilevare, nell’esistenza dei
singoli, stress e frustrazioni. In polemica con le teorie
tendenti a individuare nel ricorso alla superstizione, alla
magia e alla divinazione uno strumento per alienare la
tensione e le frustrazioni, alcuni studiosi hanno sottolineato
che in molti casi le pratiche magico-divinatorie non solo non
eliminano la tensione e lo stress, ma al contrario producono
nuove ansie e paure. Il problema è comunque molto
complesso, in quanto il rapporto tra attività simbolico-rituale
e sfera emotiva si trova al centro di un’articolata serie di
rapporti che sfuggono a qualunque generalizzazione.

Carta di stregoneria magica moderna

L’INTERPRETAZIONE DELLA PSICOANALISI

Secondo il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud (1856-


1939), la superstizione costituisce una delle numerose
espressioni della cosiddetta psicopatologia che, con forme
diverse, non risparmia nessuno di noi.
Freud ritenne di individuare il bisogno di pratiche
superstiziose nel desiderio, inteso come attivatore della
pratica simbolica, di trasferire un’urgenza interiore sul piano
pratico.
Basandosi sulle istanze dei desideri, chi si avvale della
magia crede nell’onnipotenza dei propri pensieri, con la
certezza che i suoi gesti rituali siano in grado di intervenire
sulla natura, variandone i destini. Tutti i nevrotici, e non solo
gli ossessivi, hanno la tendenza a credere nell’efficacia del
loro pensiero inconscio, che si oggettiva nelle azioni
intraprese, spesso sotto forma di espressione rituale. Mentre
la preghiera è la “tecnica” della religione, la superstizione
sarebbe la tecnica dell’animismo.
Alcuni psicoanalisti freudiani sostengono addirittura che
siano state le fantasie schizofreniche ad aver creato
espressioni come la superstizione e la magia, determinando
la formazione di una tradizione, della quale in parte ancora
oggi si vedono i risultati.
Freud evidenziò che vi sarebbe un rapporto tra i
cerimoniali ossessivi e gli oggetti rituali di alcuni
comportamenti superstiziosi, così che la nevrosi ossessiva è
un equivalente patologico del rituale religioso, una religione
privata, mentre la religione può essere considerata una
nevrosi ossessiva e universale.
Alcune azioni che si compiono mossi dalla superstizione
hanno infatti all’origine una forte componente ansiogena.
L’ansia in sé ha una sua normalità, poiché, da sempre, ha
aiutato la nostra specie a intuire minacce imminenti: il
problema nasce quando quest’ansia assume aspetti
patologici e ci costringe a effettuare azioni irrazionali che
crediamo siano nella condizione di disinnescare l’ansia da
cui ci sentiamo sopraffatti.
Nella sostanza, quindi, esisterebbe una solidarietà
antropologica tra angoscia e rito; le prime testimonianze
scientifiche sull’argomento provengono dalla ricerca
etnologica, che ha dimostrato come in ogni cultura vengano
a costituirsi cariche ansiose e angoscianti, spesso
determinate dalla conflittualità fra speranza di attuare il
bene economico utile alla sopravvivenza e il rischio del
fallimento dell’impresa determinata all’ottenimento del
bene.
Quindi il rito è qualcosa che consente di riscattare il peso
dell’angoscia, che porta a una rottura del nucleo
angosciante attraverso una serie di fasi spazio-temporali.
LE SUPERSTIZIONI SONO NEVROSI?
È necessario osservare con una certa attenzione alcuni aspetti tipici che
caratterizzano la ritualità delle pratiche superstiziose dei singoli. Infatti nei
riti possono essere presenti manifestazioni che rimandano alla nevrosi
ossessiva.
Nell’ambito della psicopatologia quotidiana abbiamo esempi minimi ma
indicativi che conducono comunque ad atti considerati non rinunciabili,
ripetitivi, ma privi di un’utilità diretta.
Per esempio l’evitare fessure nella pavimentazione, o la sistemazione
ordinata di oggetti seguendo una serie prefissa di azioni di cui non va
alterata la sequenza, o ancora la ripetizione mentale di nomi e frasi, quasi il
tutto fosse vincolato a una ritualità definita.
Questi atti risultano utili a chi affida a questo iter un ruolo importante, che
considera condizionante per la propria esistenza: la mancata esecuzione
può essere oggetto di crisi ansiogena.
Osservando queste azioni gli psicoanalisti hanno sottolineato che ritualità
del genere, in cui prevale l’aspetto nevrotico-ossessivo, presentano alcune
caratteristiche specifiche:
Non sono utili a fini pratici.
Chi le effettua è consapevole della loro inutilità pratica, ma si sente
però obbligato a compierle.
L’omissione di un atto cerimoniale, per varie motivazioni, determina
angosce nel soggetto (senso di colpa).
L’esigenza dell’osservazione è spesso scandita da un numero ripetitivo
di riti, e può risultare condizionata da luoghi e da tempi prefissi.
Dopo aver compiuto il rito il soggetto avverte un senso di protezione
contro l’angoscia.
Però l’angoscia primaria, che alimenta la nevrosi ossessiva,
immediatamente si carica con un’altra ansia, determinata dalla
preoccupazione di non aver effettuato il rito secondo le necessarie
regole.

Il rito, sia esso connesso alla religiosità o alla


superstizione, consente di ritrovare il modello garante di un
equilibrio perduto e fa sì che, per un limitato lasso di tempo,
la tensione nevrotico-ossessiva possa allentarsi con tutti gli
effetti positivi che ciò può determinare.
Carl Gustav Jung (1875-1961), psicoanalista più attento
agli aspetti simbolici dell’umana esistenza, nel libro
Psicologia e alchimia, forniva questa definizione del
fenomeno:
Le ideologie politiche e religiose sono metodi di salvezza e di
propiziazione che possono essere paragonati con le concezioni primitive
del magico; e quando tali rappresentazioni collettive sono assenti il loro
posto è preso immediatamente da ogni sorta di idiozie e idiosincrasie
private, manie, fobie, demonismi, la cui primitività non lascia nulla a
desiderare, per tacere delle epidemie psichiche del nostro tempo che
fanno impallidire le cacce alle streghe del XVI secolo.

Malgrado la notevole divergenza tra la posizione di Freud


e quella di Jung, entrambi sembrano concordare sul fatto
che le credenze e le politiche superstiziose sono radicate in
profondità nei meandri inconsci dell’uomo.
Gustav Jahoda (1920-2016), nel libro Psicologia della
superstizione, fa notare, con riferimento a Freud e Jung:
Entrambi sono dell’opinione che la superstizione non sia una cosa del
passato, o confinata all’incolto; essa è anzi considerata parte integrante
dell’apparato mentale di ciascuno, suscettibile di venire alla superficie in
certe circostanze. Le prove su cui si basarono per le formulazioni
teoretiche consistettero per lo più di esperienze appartenenti alla storia
personale dei loro pazienti. Ma più di tutto, insistendo sull’elemento
emotivo della superstizione, Freud e Jung ci aiutano a comprendere
perché, confrontando la persona superstiziosa con informazioni che la
contraddicono, non si ottenga quasi mai alcun effetto pratico.
MALOCCHIO E IETTATURA

Malocchio e iettatura costituiscono indubbiamente le due


forme più tipiche della superstizione; in particolare
nell’Europa del Sud dove, per certi aspetti, il peso della
tradizione magica precristiana è rimasta più viva tra la
gente.
Entrambi i termini sono usati spesso come sinonimi,
anche se tra i due vi sono delle differenze molto precise.
Infatti il primo può essere considerato la fonte del male e il
secondo il canale attraverso il quale giunge alla vittima.
A monte vi sarebbe l’invidia, come risulta chiaramente
dalle fonti più antiche: quasi sempre il malocchio era
generato dalle perverse intenzioni di danneggiare il
malcapitato (lo iettato), “colpevole”, agli occhi di chi iettava,
di essere più fortunato dello iettatore, oppure un suo
nemico, o chissà chi altro. Da quando esistono fonti scritte
abbiamo notizie, indizi e tracce sulla pratica e sulla paura
del malocchio e della iettatura. Ancora oggi questa paura,
paradossalmente forse, non accenna a diminuire.
Il fenomeno può essere razionalmente valutato da diversi
punti di vista, tenendo ben presente che utilizzando gli
strumenti della storia, della psicologia, dell’antropologia e
della sociologia, si constata la presenza di credenze e
superstizioni senza tempo né luoghi deputati. Persone di
ogni ceto sociale e di Paesi spesso tra loro lontani credono
nel potere nefasto di quanti, con motivazioni e strumenti
diversi, sanno determinare squilibri sconvolgenti
nell’esistenza dei singoli.
Cercare di conoscere un po’ meglio la cultura in cui si
esprime quest’antichissima superstizione è, in fondo, un
modo per osservare alcune dinamiche che alimentano
l’atteggiamento degli uomini nei confronti delle tante
incertezze del nostro stato di fragili creature mortali.
Paura e speranza, bene e male, accompagnano il nostro
viaggio tra gli uomini: possederne il controllo, o quanto
meno, conoscerli un po’ per riuscire a prevederne e
contenerne l’effetto, ci rende forse più sicuri e forti
lasciandoci l’illusione, tra animismo e superstizione, che sia
possibile controllare il fato.
Malocchio e iettatura, nella coscienza comune,
potrebbero essere all’origine di ogni anomalia della nostra
esistenza, dalla più banale alla più drammatica. Potrebbero,
in fondo, offrire la garanzia che sia comunque possibile
risalire alla radice dei nostri malesseri e trovare un mezzo
per riacquistare l’equilibrio perduto: meta inseguita da
sempre, attimo dopo attimo, ogni giorno. Forse per tutta la
vita…
Nelle superstizioni popolari che hanno subìto l’influsso
delle religioni e delle pratiche magiche dell’antichità, con
malocchio (da malo occhio) si intende un influsso negativo
esercitato con lo sguardo da persone dedite alla magia, nei
confronti di altre creature viventi. Non si tratta, quindi, di
una forma diretta solo a esseri umani.

IETTATURA E IETTATORE
Con “iettatura” (da iectare) si intende la pratica di gettare il malocchio: da
questo termine derivano “iettato”, colui che subisce la iettatura ed è colpito
dal malocchio; “iettatore”, persona a cui, per vari motivi, si attribuisce il
potere di esercitare con la propria volontà – o anche solo con la propria
presenza – influssi malefici sugli altri. Lo iettatore, detto anche
“menagramo”, in pratica è una persona che “porta disgrazie”.
Lo iettatore, di cui abbiamo uno stereotipo proveniente soprattutto dalla
tradizione popolare, viene quasi sempre descritto come un personaggio
magro e allampanato, perennemente vestito di nero, con occhiali dello
stesso colore (caratteristiche che rimandano all’abbigliamento prescritto
per il lutto), dal volto triste e rassegnato, la voce bassa e querula. In genere
dimostra un inquietante interesse per la salute, gli affanni e i mali degli
altri, il che lo rende quanto meno anomalo; inoltre lo iettatore si dilunga
nella descrizione delle proprie disgrazie, quasi con un’aria di perverso
compiacimento.
Per estensione si utilizza la locuzione “guardare (o
vedere) di malocchio” quando si mostra rancore, ostilità,
odio, disprezzo.

LE TESTIMONIANZE DELLE RELIGIONI

In genere il malocchio sembrerebbe collegabile a un


potere magico attribuito allo sguardo invidioso di altri.
Infatti la parola “invidia” (costituita da in = contro e
video = guardare) significa proprio “guardare-contro” e
questa pratica già nell’antichità era considerata un’azione
molto negativa che si contrapponeva ai precetti morali della
religione.
La testimonianza più arcaica proviene da un frammento
di terracotta caldea in cui si fa specificatamente riferimento
a una pratica che indichiamo come malocchio.
Altri documenti antichi provengono dalla cultura assiro-
babilonese (VII secolo a.C.) e dai testi egizi: in un papiro
magico della XX dinastia (1200-1090 a.C.) tra l’altro sono
esplicitamente indicate le formule che consentivano al
possessore di “proteggersi dal malocchio, di trattenere il
malocchio”.
Nella cultura ebraica, che sicuramente risentì in modo
determinante delle credenze sul malocchio, provenienti dal
mondo mesopotamico, si parlava ampiamente di questo
fenomeno (detto ajin horà) all’interno della letteratura
religiosa, che lo demonizzava considerandolo un peccato
gravissimo.
Ecco alcuni esempi indicativi: “Non avere gelosia, non
dirigere l’occhio invidioso contro la casa del tuo prossimo.
Non avere invidia della donna del tuo prossimo, né del
servo, né della serva, né del bue, né dell’asino, né di alcuna
cosa del tuo prossimo” (Esodo 20,17).
“L’occhio dell’invidioso è malvagio” (Ecclesiaste 14,8); “Il
fascino oscura il bene” (Libro della Sapienza 4,12); “L’occhio
dell’invidioso è scontento di
quanto possiede”
(Ecclesiaste 14,9); “L’occhio
del più morbido e delicato
uomo in mezzo a voi, sarà
maligno verso suo fratello”
(Deuteronomio 28,54).
Sibillina la testimonianza del
Talmud ebraico: “Dove i
saggi rivolgono lo sguardo,
ivi è morte e disgrazia”.
Anche nel Corano non
mancano riferimenti ai poteri
La mano di Fatima
maligni di alcuni uomini (per
esempio la Sura 114), ma un
riferimento che può essere chiaramente collegato al
malocchio è presente nella Sura 113:
O inviato! Così parla ai credenti:
Io cerco la protezione di Dio, Padrone dell’Alba,
Contro il Male che esiste nell’Universo,
Contro il Male che è simile al buio che avvolge ogni cosa,
Contro il Male che le streghe mandano sugli uomini
E contro il Male che l’invidioso augura ai propri simili.

Molte delle Sure del Corano erano considerate protettive


contro il malocchio, ma il potere maggiore in questo senso
era attribuito alla “Mano di Fatima”. Quel simbolo è
depositario del mistero dell’esistenza e dei segreti della vita:
nel suo palmo è scritto ciò che è stato e ciò che sarà, e in
esso è anche contenuta l’energia che attiva l’azione magica.
Un’energia misteriosa capace di guarire e di ridare la
vita. Anche tra i Romani la credenza era particolarmente
presente: Virgilio (70-19 a.C.) nelle Bucoliche ricorda quanto
fosse diffusa, tra i pastori, la paura che il malocchio degli
invidiosi potesse far ammalare le greggi. Comunque l’area
culturale in cui il fenomeno si è manifestato (e si continua a
manifestare, benché in misura minore) è molto vasta e
investe luoghi e tempi piuttosto estesi. Nella sostanza il
malocchio sembrerebbe essere collegato a un potere
magico presente nell’invidioso che, attraverso lo sguardo,
esercita un potere dannoso, a diversi livelli, nei confronti di
chi è oggetto dell’invidia.
I latini facevano uso di parole come oculi maligni, invidi,
obliqui, urentes: il termine in seguito entrò a far parte della
lingua italiana, francese, spagnola, portoghese, tedesca e
inglese.
Durante la spietata caccia alle streghe, anche il
malocchio si pose tra i fenomeni per i quali era fornita una
spiegazione demonologica.
Si è sempre guardato al malocchio e alla iettatura come
a manifestazioni ristrette all’ambito popolare, spesso alle
classi meno abbienti. Ciò è vero solo in parte, perché si
tratta di esperienze riconducibili a più livelli socio-
economici, che non investono solo alcune categorie di
persone; anche se va obiettivamente osservato che a livello
popolare le superstizioni sono più evidenti e spesso oggetto
di ostentazione, attraverso un inquadramento rituale
destinato a ufficializzarle. Mentre la credenza sul malocchio
fra le classi più basse è indice di mancata emancipazione
sociale, culturale ed economica, tra le classi più elevate
della società è invece segno di crisi del sistema capitalistico
e della razionalità, che dovrebbero costituire la sua struttura
portante.
Appare comunque incontestabile che malocchio e
iettatura sono fenomeni difficilmente analizzabili in modo
unitario, poiché risultano contrassegnati da elementi
molteplici, spesso collegati a esperienze singole, memorie e
tradizioni impossibili da ricondurre a un unico modello
universalmente condiviso.
Gli elementi comuni sono forse da ricercare a livello
psicologico: secondo Freud la paura del malocchio può
essere attribuita all’atavica concezione animistica
dell’universo (secondo la quale ogni essere animato o
inanimato era considerato provvisto di un proprio spirito) e a
una spropositata valutazione dei processi psichici di origine
narcisistica, che produrrebbe una fede irrefrenabile
nell’onnipotenza dei pensieri.
Le scienze sociali guardano con minore aggressività il
fenomeno del malocchio e della iettatura: le considerano
espressioni culturali attivate come difesa e rassicurazione in
condizioni di disagio e malessere.
In pratica, quando l’approccio alla realtà basato sulla
ragione e razionalità non consente di prendere coscienza di
alcuni fatti, entrano in gioco ulteriori mezzi di approccio che
proiettano i fatti reali nell’ambito del soprannaturale,
indicato come “luogo” dal quale possono dipendere
malattie, insuccessi, disagi. Il tutto con la mediazione di chi,
“vedendoci di malocchio”, determinerebbe il nostro
malessere con il suo potere nefasto.
Obiettivamente va osservato che la credenza nella
iettatura comporta conseguenze negative, poiché produce
un indebolimento dell’autocontrollo e delle capacità critiche.
Per la psicoanalisi le superstizioni sul malocchio e sulla
iettatura si basano soprattutto su un profondo malessere
pratico che non può essere compreso solo attraverso
l’interpretazione fornita dalla sociologia e dalla psicologia:
ancora oggi il divario tra le due scuole di pensiero (quella
psicoanalitica e quella sociologica), benché ridotto rispetto
all’inizio del secolo scorso, non è ancora stato eliminato. Ma
mentre gli scienziati del passato iniziarono a interrogarsi
sulla questione, malocchio e iettatura diventarono uno degli
emblemi tipici dell’italianità, caratteristici in particolare della
cultura partenopea.
UN MICIDIALE INCANTO CHE VIENE DAGLI OCCHI…
Aulo Gellio (II secolo) nelle Notti Attiche fornisce un’interessante descrizione
del potere di alcune persone di uccidere con il malocchio, ma anche in
possesso di parole magiche in grado di produrre effetti straordinari.

Ho letto anche nel libro settimo della Storia Naturale di Plinio che
ci sono in terra d’Africa alcune famiglie di uomini che fanno
incantesimi con il suono della voce o con parole; e se per caso
questi hanno lodato con forza degli alberi belli, messi rigogliose,
graziosi fanciulli, cavalli gagliardi, bestiame florido e ben nutrito,
tutte queste cose periscono improvvisamente, senza che nessun
altro fattore sia intervenuto a danneggiarle. Negli stessi libri è
descritto anche un micidiale incanto che viene dagli occhi; e vi si
narra che vi sono uomini in Illiria capaci di uccidere con lo sguardo
coloro che hanno guardato a lungo con ira; e che gli stessi, che
sono così nocivi con lo sguardo, siano essi maschi o femmine,
hanno due pupille per ogni occhio.

Una tra le testimonianze più singolari è costituita dalla


Cicalata sul fascino volgarmente detto iettatura che Nicola
Valletta (1750-1814) pubblicò nel 1787. Giureconsulto e
autore di numerose pubblicazioni di carattere giuridico, il
Valletta tenne la cattedra di Diritto del Regno, poi quella del
Codice Giustiniano e infine quella di Diritto Romano. La sua
opera aveva soprattutto l’intenzione di porsi come uno
strumento per combattere un pregiudizio:
Principalmente da storico mostrerò che sempre al mondo da’ più saggi
alla iettatura s’è creduto, e recherò non pochi esempi di essa. In secondo
luogo verrò da filosofo a vederne le cagioni. Il terzo punto sarà la pratica
e mostrerà i segni di conoscerle e il modo di evitarla.

Il Valletta, il cui libro è ancora oggi uno tra i documenti


più importanti sull’argomento, chiarisce che vi è differenza
tra malocchio e iettatura: il primo sarebbe un maleficio
volontario, mentre il secondo invece andrebbe considerato
come un fatto involontario.
Con spirito razionalista e non privo di ironia, Nicola
Valletta chiariva:
La natura ci ha forniti di sensi esterni, perché sapessimo ciò che si fa
fuori di noi. Perciò gli effluvi degli altri vengono ad operare su di noi più, o
meno, secondo che sono distanti o vicini. Da medesimi effluvi nasce la
nostra agitazione, il nostro perturbamento, che gli antipatici ci cagionano
[…] Non sarà questa una iettatura solenne, specialmente per chi è
debole tessitura di corpo? Mi si avvicina il tale, la tale. Posso ben sentir la
mutazione nella mia macchina, un dolore, uno sfinimento, un male in
sostanza, senza sapere che la causa mi è vicina, e che quella persona già
me l’ha iettata. Nascer possono nel corpo umano de velenosi umori, che
natura espelle alle parti esterne del corpo: onde non fia meraviglia che
color, che di simil umori abbondano, nocciono col tatto, nocciono ancora
col fiato, e specialmente coll’occhio, che ha copia di spiriti maggiore degli
altri organi de’ sensi.

In chiusura del libro l’autore si rivolgeva ai lettori con


chiare domande, indubbiamente destinate a suscitare un
certo interesse, quanto meno per l’aspetto economico:
Mi riservo di fare una giunta alla derrata; cioè di esporre in altra carta la
spiegazione di molte cose attinenti a questo soggetto, che, per non
entrare nel pecoreccio e per non servire delle angustie del tempo, non ho
potuto qui dichiarare: principalmente i seguenti punti, su de’ quali, oltre
delle riflessioni da me fatte, chieggo lume e notizie da chicchessia:
proponendo il premio di 10 o di 20 scudi, senonché la notizia si stimerà
da me più meno interessante:
Se la jetti più l’uomo o la donna; Se più chi ha la parrucca; Se di più chi
ha gli occhiali; Se più la donna gravida; Se più i monaci e di quall’ordine;
Se la piò iettare chi si avvicina a noi dopo del male che abbiamo sofferto;
Fino a quale distanza la iettatura si estenda; Se venir ci possa dalle cose
inanimate; Se operi di lato, di prospetto, o di dietro; Qual gesto, qual
voce, quall’occhio, e quali caratteri del volto sieno de’ iettatori e faccino
ravvisarli; Quali orazioncine si debbono recitare per preservarci dalla
iettatura de’ frati; Quali parole in generale si debban dire per evitare la
iettatura; Qual potere abbia perciò il corno, ed altre cose.

Il Valletta, a cui fecero eco altri autori (Giovan Leonardo


Marugi, Capricci sulla iettatura, 1788; Antonino Schioppa,
Antidoto al fascino detto volgarmente iettatura, 1830),
incuriosì anche Stendhal (1783-1842) che nel suo Rome,
Naples et Florence (1817) raccontò la visita a un singolare
personaggio senza però indicarne il nome. Tra l’altro lo
scrittore francese annotò:
Ho trovato nella sua camera uno smisurato corno che può avere dieci
piedi di altezza. Spunta dal pavimento come un chiodo. Suppongo che sia
fatto con tre o quattro corna di bue. È un parafulmine contro la iettatura
(la malasorte che un maligno può gettare su di voi con uno sguardo).

Le puntualizzazioni sul tema malocchio e iettatura, dal


Valletta in poi, non sono comunque riuscite a cancellare
questa antica forma di superstizione, caratterizzata da
molteplici aspetti e sfaccettature e, nonostante tutto,
ancora molto diffusa. La paura del malocchio è ancora viva
e vegeta anche se non ostentata come in passato: i processi
protettivi attuati sono molteplici ma, a differenza di ieri, oggi
vi è una coltre di silenzio intorno all’argomento, una sorta di
pudore, forse originato dalla consapevolezza che di certe
cose è meglio non parlare. Porta sfortuna…
SE LA JETTI PIÙ L’UOMO CHE LA DONNA…
Antonino Schioppa, nel suo Antidoto al fascino detto volgarmente iettatura
(1830), si poneva svariate domande sui molti temi relativi alla iettatura e
nel suo trattato troviamo numerosi interrogativi, la cui risposta, qualora ci
fosse, potrebbe costituire un utile elemento per difendersi dagli iettatori. Tra
i casi l’annosa questione se la donna sia maggiormente portata al
malocchio dell’uomo: fin dai tempi antichi la donna è stata infatti posta in
relazione al mondo dell’occulto e della magia e con frequenza considerata
profonda conoscitrice del diavolo e delle sue malie.
Questo il parere dello Schioppa sulla questione: “Se la jetti più l’uomo che la
donna”.

Che l’uomo debba anteporsi e sovrastare alla donna non v’ha


dubbio alcuno, cel comprova la sua robustezza ed i peli che lo
rivestono, i quali sono tanti conduttori apposta della natura,
perché esali i sovrabbondanti umori del suo corpo. Quello della
donna è piuttosto formato per soggiacere, avendo nel suo corpo
anzi dei pori assorbenti, ed è inoltre di più debole natura: così
vediamo tramandare il Sole la luce, e la Luna riceverla; ma si dirà
che questa, dopo averla ricevuta, a noi pure la riflette, iettandola.
E va bene; dunque potremo indurre che pure la donna potrà avere
questa malefica forza, come per comunicazione, e sarà perciò
sempre di minor forza, come una luce di riflesso, seppur non si
vogliano eccettuare certe donne di avanzata età, che per soverchi
esperimenti abbiano acquistata una forza straordinaria. E ciò
accade specialmente in certe vecchie baffute, pelose, di lunga
bazza, e peggio se portano gli occhiali ed hanno gli occhi cipicciosi
e malsani.

Per Benedetto Croce (1866-1952), il Valletta finse di


credere alla iettatura tanto per dare sostanza al suo
divertissement letterario, a cui però non avrebbe
riconosciuto alcuna oggettiva valenza sul piano pratico. Ne
La Cicalata di Nicola Valletta, in “Quaderni della critica”
1945, n. 3, Croce si chiedeva:
Perché mai a Napoli, negli ultimi decenni del Settecento, si parlò e si
scrisse tanto della iettatura, a segno che questa parola, la quale non dico
che nascesse allora ma che certo prima d’allora non si trova
documentata nella ricchissima letteratura dialettale che possediamo, pur
piena di motti e di riferimenti a credenze e costumanze popolari, si
diffuse allora da Napoli all’Italia e diventò nota anche ai forestieri, come
si vede nei libri di Alessandro Dumas e di Théophile Gautier? Certamente
per un capriccio e per una moda della buona società, che prese a farne
uno dei riempitivi del suo ozio, un suo convenzionale infiammarsi per
quello che in fondo non importa e a cui non si crede, e a cui si finisce
quasi col credere per suggestione dello stesso tornavi sopra con le
parole.

Il parere del filosofo napoletano non era condiviso


dall’etnologo Ernesto De Martino (1908-1965), che
puntualizzava: “Valletta credeva nella iettatura […] così
come dovette credere in vari occulti interventi del genere in
parecchie altre occasioni della sua esistenza” (Sud e magia,
Milano 1959).
Senza dubbio, secondo il nostro punto di vista, l’ideologia
della iettatura appare, nell’itinerario interpretativo suggerito
dagli intellettuali napoletani, come una realtà attiva,
incuneata tra gli arcaici metodi di approccio all’esistenza e il
razionalismo settecentesco.
L’utilizzo dell’ironia, come strumento per portare
comunque conoscenza, suggeriva a Valletta un modo “altro”
per mettere parzialmente in discussione il metodo
illuminista, che comunque presentava anche i propri angoli
oscuri entro i quali la ragione non riusciva a penetrare
completamente.
In definitiva, quindi, sembrerebbe essere evidente la
contraddizione tra l’impegno illuminista e la credenza nella
iettatura: questo in effetti rimane il nodo critico dell’intera
questione, dalla quale aveva preso l’avvio la
puntualizzazione di Benedetto Croce.
In pratica era la storia a costringere gli uomini a ritornare
verso i più arcaici metodi per cercare di comprendere e di
combattere i limiti dell’esistenza terrena, soffocata tra
ostacoli e incertezze, tra irrazionalità e desiderio di sottrarsi
alle tempeste dell’esistenza.
LA FILOSOFIA DELLA SUPERSTIZIONE

La consapevolezza che il soprannaturale partecipi con


molta forza alle vicende del nostro quotidiano lo rende una
presenza attiva e costante, dotata di un proprio linguaggio.
È il linguaggio dei simboli a entrare in gioco e a offrirci
tracce attraverso le quali cercare di interpretare il futuro, o
tutta una serie di altri eventi, situazioni e mutamenti, che
naturalmente l’uomo non è in grado di conoscere prima del
loro svolgersi.

LA SIMPATIA COSMICA

Quest’atteggiamento mentale si basa sul presupposto,


insito nella nostra psiche ma in genere regolato dalla
razionalità, che in ogni parte della natura esistano attrazioni
e repulsioni, elementi che tendono ad avvicinarsi o a
respingersi. Secondo questo concetto di “simpatia cosmica”
di tradizione gnostica, l’universo andrebbe quindi inteso
come un grande essere vivente permeato da uno spirito
sottile, che gli antichi chiamavano pneuma (in greco: soffio,
respiro, spirito). Secondo la visione tipica della “simpatia
cosmica”, tutte le cose sono in rapporto continuo e
costante, pertanto qualunque azione, evento, o anche
semplice segno può essere considerato un’indicazione
fondamentale in grado di intervenire attivamente nel
meccanismo universale.

IL CONCETTO DI CORRISPONDENZA

Si afferma così un altro concetto importante, che è alla


base della superstizione, quello di corrispondenza, secondo
il quale ogni oggetto, in un determinato ordine di realtà,
gode di una relazione particolare con altri oggetti posti in
altri ordini. Un esempio emblematico è costituito
dall’astrologia.

LA CONCEZIONE CICLICA DEL TEMPO

Fondamentale per la “filosofia” della superstizione è


anche la concezione ciclica del tempo, determinante nelle
culture arcaiche, che si andò affermando probabilmente
attraverso l’osservazione della regolarità del moto degli
astri e dei ritmi biologici posti alla base della natura.
Ogni cosa ritorna, il futuro perpetua il passato, tutto si
riproduce secondo l’antica massima biblica “Nulla di nuovo
sotto il Sole”.
Ne consegue, nella coscienza arcaica, che la storia
secondo la visione dell’uomo moderno, cioè come
succedersi unico e irripetibile di eventi, non esiste. Inoltre, la
periodicità ciclica degli eventi suggerisce una sorta di
prevedibilità degli stessi, che in relazione al concetto di
“simpatia cosmica” offre l’illusione di poter prevedere il
futuro, anche attraverso l’interpretazione di segni
annunciatori.

LA CONCEZIONE LINEARE DEL TEMPO

L’arcaica presupposizione della ciclicità del tempo (che è


alla base dell’interpretazione magica della realtà) si
contrappone alla concezione lineare del tempo, prodotta
dalla cultura ebraica e quindi passata al Cristianesimo.
Secondo questa visione vi sarebbe un senso unico del
tempo, con un suo significato già scritto con la nascita del
mondo, da relazionarsi nella storia. Davanti a questa visione
si comprende chiaramente perché il Cristianesimo abbia
ostacolato con forza la superstizione, considerandola in
netto contrasto con i preconcetti teologici e, soprattutto,
segno di una visione pagana dell’universo e della storia.
Sant’Agostino (354-430) sosteneva che il tempo possiede
una struttura lineare e progressiva, creata da Dio con il
mondo e che avrà fine nel giorno del Giudizio Universale.

Cristo, sopra le nuvole, pronuncia il Giudizio Universale

Dio è al di fuori di questo schema, perché l’eternità che


lo caratterizza gli consente di essere prima e dopo questo
tempo, oltre che, naturalmente, durante.
L’uomo superstizioso cerca di sublimare questa
situazione, certo di possedere un modo per intervenire su
qualcosa già prestabilito, con la falsa convinzione di poterne
variare l’ordine.
Tale atteggiamento nega non solo i valori della religione,
secondo la quale la storia è una sequenza di eventi decisivi
e irripetibili, ma anche quelli del progresso scientifico e
sociale.
A ciò si aggiunga la totale negazione del caso (che per
l’uomo superstizioso è un dato oggettivo) secondo
l’interpretazione stoica della storia, per la quale tutto ha una
ragione d’essere e ogni evento possiede una propria causa.
Passato, presente e futuro sono tra loro concatenati e in
relazione: tutto ciò giustifica, almeno dal punto di vista
teorico, il ricorso a pratiche simboliche come la magia e la
divinazione.

IL PESSIMISMO ANTROPOLOGICO

Sul fronte filosofico opposto, in principio si pose (e, in


parte, si pone ancora) una visione determinata da una sorta
di “pessimismo antropologico”, in cui l’umana pretesa di
opporsi alla linearità del tempo e della storia era frutto della
superbia, prodotto della volontà di equipararsi a Dio, quindi
un peccato. Come Adamo e gli angeli ribelli, l’uomo può
andare verso il male attraverso la propria volontà.
È difficile accettare questa valutazione, sostenuta in
origine da sant’Agostino perché, se l’essere umano fosse
solo predisposto al male, verrebbe a mancare l’essenziale
fattore morale della responsabilità.

L’OTTIMISMO ANTROPOLOGICO

Nel Rinascimento si aprì una visione meno ristretta,


definendo il libero arbitrio al fine di sostenere, in
opposizione alle tesi agostiniane, una sorta di “ottimismo
antropologico”, secondo il quale l’uomo è esattamente
equidistante tra il bene e il male – poiché partecipe a
entrambe le nature – ed è nella condizione di scegliere
quale via percorrere.
Ciò produsse un eccesso di antropocentrismo,
alimentando la naturale tendenza dell’uomo a interpretare il
mondo fisico e anche quello divino in modo analogo
all’esperienza umana. Questa visione determinò un ulteriore
orientamento verso l’affermazione del pensiero magico, che
fece consolidare l’atavica credenza in un universo
rispondente alle regole della “simpatia cosmica”.
La scienza moderna ha sempre criticato questo principio,
nel quale ha visto un ostacolo al corretto rapporto dell’uomo
con il mondo naturale.
Rinchiudere i fenomeni nell’antropomorfismo, infatti,
impedisce di analizzare la natura come un mondo a sé,
negandole ogni autonomia. Se i grandi pensatori razionalisti
e illuministi, da Cartesio a Voltaire, hanno guardato alla
superstizione come a una malattia da guarire, va detto che
solo in tempi più recenti, con il contributo delle scienze
sociali e della psicoanalisi, l’osservazione dei fenomeni
connessi alla superstizione è stata condotta con maggiore
razionalità.

SCIENZA E SUPERSTIZIONE

Oggi comunque la superstizione è diffusa e la scienza


cerca di fornirne un’interpretazione e in qualche caso prova
a “giustificarla”, considerandola effetto spontaneo di una
patologia che la ragione non sa guarire.
Le moderne teorie scientifiche, dalla fisica quantistica
alla relatività, fino alle ipotesi sul caos, hanno addirittura
messo in crisi certi dogmi della conoscenza acquisita,
riaprendo la porta, anche non direttamente, a una certa
visione empirica della realtà.
Dal problematico rapporto tra causa ed effetto, rimesso
in discussione dalla crisi della scienza e della religione, la
superstizione ha tratto le proprie “verità”, ha trovato
effettive conferme a una tradizione millenaria.
La puntuale riflessione di Emilio Segrè (1905-1989),
premio Nobel per la fisica, ci pare particolarmente
importante per mettere meglio a fuoco certi generici
atteggiamenti nei confronti della superstizione.
Da noi, dalla scienza, gli uomini attendevano prodigi, ci chiedevano
certamente più di quanto noi potevamo dare loro. Trasferivano nella
scienza l’aspettativa irrazionale del miracolo che un tempo era
soddisfatta dalle religioni tradizionali.
E poiché la scienza non ha potuto sempre risolvere i problemi dell’uomo
moderno, assistiamo ora a un capovolgimento di atteggiamento anche
nei suoi confronti. Alla grande attesa è subentrata la delusione suscitata
da alcune scoperte. L’uomo ha così perduto due importanti sussidi, la
fede e la fiducia nella scienza.

La perdita di punti di riferimento come la fede e la


scienza, infatti, determina l’orientamento verso forme di
approccio “altre”, anche irrazionali e prive del supporto
concreto della realtà.
La crisi delle ipotesi positiviste, il fallimento di certe
premesse della scienza e il ritorcersi della tecnologia contro
l’uomo (l’inquinamento, lo sbilanciamento demografico
ecc.), uniti alla perdita della fede, hanno accentuato
nell’uomo quel senso di angoscia che lo rende esule nel suo
stesso mondo, nella sua cultura. Il disagio determinato dalla
crisi fornisce l’alimento necessario per dare ampia diffusione
a scelte superstiziose, a ricerche esoteriche e pseudo
esoteriche, alla perdita di vista della razionalità,
all’orientamento verso espressioni culturali in contrasto con
la ragione e con la religione.
Da una recente ricerca, apprendiamo che il 41% degli
italiani non crede nella vita ultraterrena: questo in un Paese
costituito dall’84% di persone che si professano cattoliche;
mentre solo il 5% si dice ateo e l’11% si definisce agnostico
o credente in altre confessioni religiose.
Questa sfiducia nelle aspettative dell’“altro mondo”
sembra, di contro, aver favorito lo spiritismo, che conta un
numero sempre maggiore di adepti. Ma, soprattutto, ha
aperto un grande varco in direzione dell’irrazionale,
accentuando la nostra fragilità davanti ai misteri irrisolti
della vita e dell’esistenza. Il ricorso a strade alternative
(dalla superstizione più banale alla ricerca di qualche verità
degli universi delle sette e dei gruppi esoterici) dimostra
principalmente che l’uomo continua a sentirsi solo e
spaventato, incapace di trovare conforto nella religione e
sicurezza nella scienza. Ciò naturalmente non è un assunto
filosofico, ma una constatazione maturata sulla base di dati
oggettivi, come effettivamente confermano statistiche e
ricerche. E allora dalla superstizione non si guarirà mai?
Probabilmente no.

IL RUOLO DEL MITO

Da sempre, le spire del mito coinvolgono l’uomo e gli


mostrano una verità che non corrisponde a un’unica e
inalienabile realtà.
Secondo una certa linea interpretativa, la mitologia, al
contrario della religione, prolifera nell’ignoranza, quando la
ragione si disgrega. Si tratta di ipotesi che oggi non sono
condivise da tutti gli studiosi, in quanto una percentuale di
mito è parte integrante della ragione; lasciarle il suo spazio
all’interno della ragione vuol dire aprire la mente a tutta una
serie di creazioni dell’immaginario che, nel bene o nel male,
hanno un loro ruolo. Non si può nascondere la difficoltà di
giungere a una definizione precisa del mito.
Il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore
Battaglia definisce il mito in questo modo:
Concetto o idea che non corrisponde alla realtà, o che appare destituita
di valore razionale o, anche, pratico; desiderio, speranza, o progetto
inattuabile; sogno, utopia. Immagine, vicenda, situazione, opinione che
appare frutto dell’immaginazione o di un distorcimento della realtà;
fantasia, fantasticheria. Concezione o costruzione intellettuale fondata
per lo più su immagini contraddittorie, su intuizioni o su accostamenti
arbitrari.

Ma è una definizione sufficiente? Se osserviamo il


significato ufficiale del termine e delle sue derivazioni,
constatiamo che generalmente il mito fa riferimenti a
concetti legati alla fantasia, a quanto non esiste realmente,
non corrispondente al reale e via di seguito. Saremmo
quindi tentati di considerare il mito, seguendo la definizione
ufficiale, l’espressione di qualcosa di non reale o, al limite,
come l’esagerazione della realtà. Però un sostrato reale
esiste e trova una propria coerenza nelle pieghe del
razionalismo assoluto, divenuto uno status preminente che
ha chiuso le porte, ogni porta, al metafisico. Noi ci limitiamo
a chiederci che cosa può offrire oggi all’uomo moderno il
materiale mitologico: cioè, quanto del suo patrimonio può
essere depositario di verità attuali?

Diavoli e streghe

Dobbiamo però soprattutto capire se ancora oggi usiamo


le strutture di pensiero che hanno consentito di generare i
miti del passato. Forse quell’antica “massa di materiale
tramandato in racconti ben conosciuti che tuttavia non
escludevano ogni ulteriore modellamento”, indicata da Jung
come la struttura portante del mito, è adagiata negli
archetipi, nell’inconscio collettivo e si schiude alla storia,
anche quando la storia dice di non scorgere in essa alcun
aiuto alla crescita dell’uomo.
Ma il mito, comunque, dà un senso (o almeno ipotizza
alcune indicazioni sulle quali riflettere) alla vita dell’uomo,
liberandolo dai cappi della storia e ponendolo in un luogo (o
forse in un non-luogo) in cui può intessere relazioni più fitte,
maggiori armonie, con quanto non è umano. Rapporti che
sono l’anello forte del nostro viaggio verso un mondo che,
con i propri apparenti paradossi, alimenta le alchimie
dell’immaginario.
In definitiva constatiamo che effettivamente nella società
occidentale contemporanea, in cui dominano la scienza e il
razionalismo, la superstizione, e il senso del meraviglioso a
cui si riferisce, sono lungi dall’essere scomparsi. Sono solo
mutati. Gli effetti posti un tempo ai limiti della religione
occupano oggi i margini della scienza. Attualmente sono
cambiate molte cose, anche se certi concetti basilari,
alimentati in qualche caso dalla superstizione, non sono
assolutamente divenuti obsoleti.

TRA SCIENZA E FAKE NEWS


Scienza patologica. Idee radicate, luoghi comuni, stereotipi che non sono
facilmente sradicabili anche quando la scienza ne ha dimostrato la falsità.
Problemi di metodologia.
Pseudoscienza. Pretesa di scientificità senza criteri aderenti al metodo
scientifico. Contravviene ai requisiti di verificabilità. Ignora i dati “contro”.
Argumentum ad populum. Tendenza umana a cercare conferme piuttosto
che confutazioni
Fanta-archeologia. Pretende di dimostrare come le attuali conoscenze di
alcune civiltà del passato non siano corrette e debbano essere riviste in
relazione a interpretazioni fantascientifiche. In quest’ottica si attribuiscono
le piramidi agli extraterrestri, si pretende di aver individuato la sede di
Atlantide o di altri continenti scomparsi, si diffondono tesi impossibili sulla
maledizione dei faraoni o sull’origine del megalitismo.

Oggi, è vero, in molti casi il prete e l’esorcista hanno


lasciato il campo allo psicoanalista e al parapsicologo; il
soprannaturale è diventato il paranormale. Ma se molte
credenze si sono “laicizzate”, seguendo l’evoluzione della
società occidentale, resta comunque il fatto che l’irruzione
del soprannaturale (o ritenuto tale) si ripete spesso nel
nostro quotidiano, spingendo l’uomo a interrogarsi
continuamente sul proprio ruolo, verificando istante per
istante la fragilità delle sue certezze.
Non va dimenticato che l’invadente tecnologia
contemporanea ha in parte ridisegnato la nostra immagine
del soprannaturale: al mago si è sostituito lo scienziato,
circondato da un’aura altrettanto misteriosa che ha nelle
formule matematiche un linguaggio non molto dissimile, per
il profano, dalle immagini cabalistiche. Le metamorfosi
magiche oggi si chiamano mutazioni genetiche; il Golem e
la creatura del dottor Frankenstein sono l’automa e il
cyborg; le più fantastiche prospettive della fantascienza,
attualmente, con la moderna tecnologia, sono diventate
realtà. Ma la notevole evoluzione tecnologica – spesso
enfatizzata dagli atteggiamenti sensazionalistici dei mass
media – non ha cancellato la traccia profonda,
probabilmente alimentata dai moti sconosciuti della nostra
psiche, della superstizione.
E così alla ciocca di capelli usata dal mago si è sostituita
la fotografia; il computer è diventato lo strumento
fondamentale per l’astrologo; guaritori e altri nuovi mistici
offrono terapie straordinarie attraverso la televisione, il Web
ecc.

IL FUTURO DELLA SUPERSTIZIONE

Oggi, in questo articolato complesso in cui il mito


contende lo spazio della realtà alla storia, e il senso del
meraviglioso si protende anche negli ambiti
tradizionalmente destinati alla scienza, ogni superstizione
finisce per avanzare una propria pretesa di autenticità. Le
credenze si arrogano il potere di indicare all’uomo il modo
per “sopravvivere”, per elaborare una metafisica
elementare che sappia riportare ogni fenomeno sul piano
della realtà condivisa.
La superstizione, nel fluttuante mare magnum delle
mode, del costume e anche delle rivoluzioni, esisterà
comunque sempre. La sua struttura ha già subìto gli
attacchi della crescita culturale, e ne subirà altri, ma
resisterà, malgrado tutto, e il suo atavico potere continuerà
a insinuarsi tra gli uomini conducendoli verso universi
dominati dall’irrazionalità; spazi lontani dove, secondo
l’illusione delle nostre credenze, albergano risposte
inseguite da sempre, per essere un po’ meno fragili e un po’
più sicuri. Tutto ciò anche con la consapevolezza del “non è
vero ma ci credo”, il teorema degli uomini semplici che,
armati di cornetto o di ferro di cavallo, con coraggio,
malgrado tutto, ogni giorno si gettano nel gorgo della vita,
cercando di essere anime salve.
OGGETTI… PERICOLOSI

La nostra esistenza è scandita dall’utilizzo di una


grandissima quantità di oggetti: dai più semplici (come la
chiave), ai più complicati (per esempio il telefono cellulare)
e questi strumenti svolgono con efficacia i loro compiti ogni
volta che richiediamo il loro aiuto.
Ma l’uso quotidiano di questi oggetti non costituisce un
limite per le interpretazioni della superstizione, anzi.
Infatti anche gli oggetti più semplici spesso sono
contrassegnati da un’aura inquietante, in certi casi
diventano vere e proprie spie per segnalare, come strumenti
profetici, che cosa ci riserverà il futuro.
Anche se apparentemente queste credenze possono
sembrare paradossali, non va dimenticato che in molti casi
certe prerogative di un oggetto possono aver avuto origine
da motivazioni razionali, ma poi essere state rapidamente
amalgamate all’universo del mito.
Per rendersene conto basta osservare le indicazioni
suggerite dalle più diffuse superstizioni che accompagnano
alcuni degli oggetti di uso quotidiano.

BICCHIERE

Tra gli oggetti comuni maggiormente utilizzati dall’uomo


nell’arco della giornata un posto d’onore è occupato dal
bicchiere. Attenzione, è pericoloso osservare qualcuno
attraverso un bicchiere, poiché questa azione sarà preludio
di una prossima lite. Forse perché la visione attraverso il
vetro o il cristallo distorce il soggetto, alterandone
profondamente la fisionomia e creando un’immagine non
aderente alla realtà. È anche pericolosissimo guardare
attraverso un bicchiere rotto poiché, così facendo, si
“chiama la sventura”, già annunciata simbolicamente con il
danno della rottura.
Durante un brindisi porta fortuna versare un po’ di vino e
c’è anche chi consiglia di “battezzarsi” bagnandosi con
qualche goccia dietro le orecchie, effettuando un’arcaica
azione magica considerata protettiva contro il malocchio.
Attenzione però, se durante il brindisi un bicchiere si
rompe, ciò è un annuncio di morte.

BUCHI

Bisogna fare attenzione ai buchi, in particolare quelli


naturali, nelle piante e nelle pietre, in quanto da essi
potrebbero giungere influssi negativi capaci anche di far
ammalare. Si tratta senza dubbio di una superstizione
alquanto originale, che si contrappone a credenze popolari
molto antiche e ampiamente diffuse nell’epoca precristiana.
Infatti allora era particolarmente affermata l’idea che
passare attraverso i buchi naturali consentisse di guarire da
numerose malattie, come l’ernia, il rachitismo e addirittura
la tubercolosi. Probabilmente fu in seguito alla predicazione
cristiana che molte di queste pratiche caddero in disuso,
precipitando nel gorgo delle superstizioni, perché
considerate espressione in forte contraddizione con la
nuova religione impegnata a diffondere la luce del Verbo e a
demonizzare il paganesimo.

CAMINETTO

Il caminetto è capace di produrre un’atmosfera


affascinante, ma nello stesso tempo è un luogo magico per
eccellenza: infatti è attraverso la sua canna fumaria che le
creature soprannaturali, dalle streghe a Babbo Natale,
accedono alle case. È anche molto importante non fare
errori operando con l’attizzatoio, che dovrà sempre essere
prudentemente posto a una certa distanza dalle molle: il
loro contatto farebbe immediatamente spegnere le fiamme.

COLTELLO

Il coltello è noto soprattutto come arma e, di


conseguenza, impugnarne uno, almeno a livello inconscio,
rimanda a immagini belliche o violente: maneggiarlo senza
la dovuta cura può apparire come un volontario segno di
scontro. Probabilmente è da questa ancestrale paura che ha
preso forma la superstizione secondo la quale porterebbe
sfortuna porgere un coltello a qualcuno offrendone la punta.
Più difficile è
comprendere perché far
cadere un coltello, quando si
è a tavola, determinerebbe
la rottura di un
fidanzamento, naturalmente
se il distratto che l’ha
lasciato cadere si trova in
tale situazione sentimentale.
La superstizione non è valida
per chi è sposato… Forse
alla base c’è il concetto che
il coltello è un oggetto
tagliente e perderne il controllo (lasciarlo cadere) può
essere origine di incidenti difficili da prevedere e controllare.
Come per gli oggetti appuntiti è sempre bene “pagare”
anche con una semplice moneta chi ci regala un coltello, ciò
per evitare la distruzione della nostra amicizia con il
donatore, poiché il coltello “taglia” i rapporti.
Le tradizioni di numerosi Paesi europei suggerivano di
porre un coltello sotto il cuscino per evitare che, durante la
notte, gli spiriti cattivi venissero a disturbare con incubi il
sonno degli uomini. Anche un coltello appeso alla porta di
casa allontana ogni influsso negativo soprannaturale
proveniente dall’esterno.

CUCCHIAIO

Meno drammatiche, secondo la superstizione, sono le


indicazioni provenienti dai cucchiai. Quando su una tavola
due cucchiai si trovano appoggiati al bordo di un piatto con
la parte concava rivolta verso il basso, si annuncia un
matrimonio in famiglia. Quando un cucchiaio cade a un
bambino, osservare con quale mano lo raccoglierà
costituisce un’indicazione precisa sul suo futuro: la destra
indicherebbe prosperità e felicità, la sinistra cattiva sorte.
Quando cade un cucchiaio comunque ci si deve attendere
una sorpresa: le notizie saranno buone se la parte concava
sarà rivolta verso l’alto, in caso contrario ci si deve
attendere il peggio.

FORBICI

I superstiziosi traggono auspici anche dalla caduta delle


forbici. Bisogna farle raccogliere ad altri o, se non è
possibile, camminarci sopra prima di sollevarle. Dopo
questa operazione è però necessario tenerle in mano fino a
quando si saranno scaldate, solo allora sarà possibile
utilizzarle senza rischi.
Quando le forbici cadono e le loro punte rimangono
infisse nel terreno, ciò corrisponde a un presagio di morte.
Regalare delle forbici equivale ad augurare del male: ma
anche in questo caso, come per tutti gli altri oggetti
appuntiti e taglienti, la superstizione ha origini soprattutto
dalla coscienza di quanto sia pericoloso questo strumento
se maneggiato senza la dovuta attenzione.

FORCINA

La forcina favorirebbe l’incontro di nuovi amici se


rinvenuta casualmente in terra; quando se ne trova una
bisogna appenderla dietro la porta per un mese, proteggerà
la casa, poi la si deve ributtare in strada dove qualcuno
potrà trarne gli stessi vantaggi.
Se la forcina scivola dai capelli, ma è rapidamente
recuperata, un grave pericolo è stato scampato; se cade,
però, c’è qualcuno che sta pensando con odio a quella
donna sbadata poco attenta ai suoi capelli.

GRANO, PAGLIA E FIENO

Se raccogliere del grano maturo e portarlo a casa


garantisce protezione per un anno, al contrario la paglia
porta molta sfortuna: è necessario fare attenzione ed
evitare con ogni mezzo che un po’ di paglia entri in casa,
perché arrecherebbe gravi danni alla famiglia.
La superstizione ha forse origine nella credenza che la
paglia fosse ampiamente utilizzata dalle streghe per i loro
malefici, in particolare per realizzare le temute “bamboline”
con le quali effettuare le fatture. Tra le giovani contadine
francesi era d’uso porre qualche filo di paglia sotto le vesti,
al fine di garantirsi l’incontro con un giovane che sarebbe
presto divenuto il loro marito.
A esorcizzare il potere negativo della paglia ci pensa il
fieno: infatti è sufficiente strapparne una manciata da un
carro per appropriarsi di un amuleto dotato di straordinarie
potenzialità, infallibile contro le fatture e… i morsi dei cani!
PANE

La superstizione ha trovato ampio spazio per dar corpo al


suo linguaggio simbolico anche intorno a presenze non
pericolose.
Per esempio il pane, alimento fondamentale per l’uomo,
è guardato con molta cura da chi è sempre alla ricerca di
segni che possano essere indicativi per conoscere il nostro
futuro.
Spesso la tradizione popolare è stata oggetto di
raffigurazione da parte di pittori importanti. Nel
Carro di fieno di Hieronymus Bosch (1450 ca -
1516), pannello centrale del Trittico del fieno
conservato al Museo del Prado di Madrid, è
emblematica la rissa per il possesso del fieno
che, nei proverbi fiamminghi, è simbolo di
ricchezza

Prima regola universalmente diffusa è: non sprecare il


pane. Buttarlo via sarebbe un gesto destinato a condurre il
sacrilego alla povertà. Infatti il pane è il “corpo di Cristo” e
pertanto è indubbio che questo prodotto, al di là del ruolo
nutritivo, svolga soprattutto un ruolo sacro. Si consiglia
anche di non rovesciare una forma di pane per tagliarlo,
poiché questa azione determinerebbe una prossima malattia
del capofamiglia.
Una pagnotta trovata bucata è presagio di morte. Il pane
utilizzato per il pranzo di Natale non si raffermerà mai;
infatti sarebbe consigliabile conservarne alcune parti, che
potranno proficuamente essere utilizzate come medicina
dotata di straordinari poteri curativi per numerose malattie.
Il pane, sotto la specie eucaristica, è tradizionalmente
collegabile alla vita attiva, mentre il vino a quella
contemplativa; ma soprattutto è, con il grano, simbolo della
fertilità e della perpetuazione.
Alimento base per gran parte dei popoli, il pane è
simbolo del nutrimento essenziale e, sul piano rituale,
mangiare il pane significa soprattutto effettuare un’azione
comune, che unifica quanti partecipano al pasto. Nella
tradizione popolare è presente nei matrimoni e nelle
cerimonie connesse alla nascita, ma non manca anche in
alcune pratiche funebri, dove svolge il ruolo di simbolo della
rinascita e della purificazione. È soprattutto l’espressione
più autentica del frutto del lavoro dell’uomo, quindi
testimonianza oggettiva dell’equilibrio atavico che governa,
fisicamente e psicologicamente, il nostro rapporto con la
collettività.

PETTINE

La superstizione vieta di utilizzare un pettine già


appartenuto a una persona defunta: contravvenire a questa
regola corrisponderebbe a rischiare di seguire il suo
precedente possessore.
In alcuni Paesi europei si consiglia alle giovani madri di
non pettinare i bambini prima che questi abbiamo messo
tutti i denti, perché questo danneggerebbe la loro
dentizione.
RASOIO

Anche il rasoio è considerato dai superstiziosi un oggetto


pericoloso; molte delle avvertenze viste per il coltello sono
indicate anche per questo strumento che aveva una propria
rilevanza in passato, quando i rasoi erano oggetti importanti
nella tradizione familiare, spesso passati da padre in figlio.
Ancora oggi si dice che regalare un rasoio a un amico
porti sfortuna, “rompe l’amicizia”, proprio perché, forse
inconsciamente, si attribuisce a questo oggetto una
funzione ristretta all’ambito familiare. Ma nell’odierna epoca
del “radi e getta” molte di queste credenze sono andate
quasi completamente perdute.

SCOPA

La scopa, oggetto emblematico del femminile, è sempre


stato uno strumento intorno al quale la superstizione si è
sbizzarrita. Quando si acquistava una scopa nuova si
consigliava di “iniziarla” spazzando qualcosa dentro la casa,
prima di buttare fuori la polvere. In questo modo si favoriva
la prosperità, in caso contrario l’azione sarebbe stata un
simbolico “spazzare via la buona sorte”…
Mai comprare le scope nel mese di maggio, porta
sfortuna: forse ciò si lega alle tradizioni folcloriche
sull’albero del maggio? Un proverbio francese avverte: “Se
pulisci la casa con una scopa verde in maggio, scopi via
anche il padrone di casa”.
Se una ragazza cammina sul manico di una scopa sarà
madre prima di sposarsi: forse si tratta di una superstizione
che risente dell’influenza dei numerosi riti di fecondità
precristiani, in cui occupava un ruolo importante il
simbolismo fallico (qui espresso dal manico della scopa).
Quando si cambia casa non si devono tenere le scope
vecchie, perché così facendo si porterebbero nella nuova
abitazione anche tutte le sventure precedenti. Anzi, la
tradizione consiglia di acquistare una nuova scopa appena si
entra nella nuova casa e di lasciarla per tre giorni fuori della
porta come “scaccia guai”.
Quando un bambino gioca con una scopa è in arrivo un
ospite non atteso. Se una scopa cade al nostro passaggio è
segno di sventura: bisogna superarla senza scavalcarla e
attendere che sia raccolta da altri.
Nel folclore di numerosi Paesi si racconta che se un uomo
è colpito con la scopa da una donna diverrà impotente: una
metafora molto chiara per sottolineare il rischio che corre
l’uomo incapace di difendersi dagli attacchi del “sesso
debole”…
Se alle nubili e ai celibi si scopano i piedi è certo che non
si sposeranno più, o se lo faranno i loro matrimoni saranno
destinati a durare poco.
La scopa, in particolare, era considerata una delle
“cavalcature” più usate dalle streghe: l’immagine della
donna di Satana che vola su questo strumento domestico è
infatti ampiamente diffusa nell’immaginario collettivo.
Cercare di risalire alle motivazioni di questo connubio non è
facile, e spesso le differenti versioni non riescono a offrire
un quadro sufficientemente attendibile.
Un ballo di streghe nel cimitero di una chiesa

Secondo il libro Il dio delle streghe di Margaret A. Murray


(1863-1963):
Il rapporto sarebbe sorto in epoca assai remota e si spiega con il fatto
che la scopa è sostanzialmente un arnese usato in casa e quindi di
proprietà della donna. L’equivalente maschile di un arnese simile al
forcone. È questa la ragione per cui, nelle raffigurazioni medievali di
danze di streghe, le donne o streghe spesso tengono in mano delle
scope, mentre gli uomini o diavoli impugnano un forcone.

Il motivo del volo con l’ausilio di scope, oltre ad aver


trovato nella mitologia della stregoneria un’ampia cassa di
risonanza, è presente nel folclore con varianti molto diverse.
Un interessante esempio dell’associazione bastone-volo
magico è presente nel rito carnevalesco del “Ballo del
bastone”, che dalla fine del XVIII secolo è attestato nelle
fonti genovesi: in pratica si trattava di una sorta di danza
sfrenata con chiari riferimenti sessuali. Vi possono essere
analogie con la simbologia fallica e con il suo retaggio
peccaminoso, che nella coscienza popolare assumeva
intenzioni demoniache.
È indubbiamente curioso ritrovare nelle credenze
dell’America precolombiana l’uso della scopa da parte delle
streghe che, nude, dopo essersi cosparse di uno speciale
unguento (come le streghe occidentali), si recavano in volo
alla riunione presieduta dalla dea Tlazolteotl o da
Tezcatlipoca, alle quali era attribuito il medesimo ufficio
della Signora del Gioco delle dominae ludi tipiche delle
credenze sulle streghe medievali.
Per quanto riguarda le streghe occidentali, dalle fonti
sembrerebbe che l’uso di un olio o di un unguento cosparsi
sulla scopa, per facilitare la cavalcata, fosse una pratica più
arcaica, mentre nelle fasi più recenti erano le donne a
cospargersi il corpo per poter volare al luogo dell’incontro.
GIORNI E DATE NEFASTI

I superstiziosi osservano con circospezione ogni segno


dal quale cercare indicazioni: anche i giorni della settimana,
le date, i mesi possono essere oggetto da cui trarre auspici,
rispolverare antiche paure, scoprire tracce profetiche.
La tradizione sull’esistenza di giorni nefasti è
antichissima: i Romani furono probabilmente tra i più attenti
e distinguevano scrupolosamente i giorni positivi da quelli
negativi.
Fasti erano quelli in cui non era necessario alcun
sacrificio per trovare risposta tra gli dèi; nefasti quelli in cui
invece era indispensabile ricorrervi. Erano considerati
nefasti anche i giorni che succedevano alle Calende, alle
None e alle Idi. Ciò fu stabilito con un decreto del Senato:
questo fatto dimostra come certe credenze fossero ben
radicate non solo tra il popolo, ma anche negli ambienti
ufficiali. Oltre ai giorni fasti e nefasti, i Romani indicavano
anche i giorni intercisi, cioè quelli in cui la mattina e la sera
erano nefaste. Dalla tradizione classica si sono diffuse tante
credenze e superstizioni che, come vedremo, sono entrate a
far parte di molte manifestazioni del folclore occidentale.

ANNO NUOVO

Anche al Capodanno sono riconosciute delle peculiarità


che nella superstizione diventano “segni” spesso addirittura
profetici.
Se la prima volta che si esce si incontra una persona di
sesso opposto, l’anno appena iniziato sarà fortunato; sarà
nefasto in caso contrario. Inoltre porterebbe male incontrare
un prete, una suora, un vecchio o un gobbo; è buona sorte
invece incontrare un frate.
Affinché l’anno sia positivo, c’è anche chi dice che
appena svegli è necessario specchiarsi, perché il primo volto
che bisognerebbe vedere è il proprio.
In passato, quando le case erano riscaldate da grandi
camini, si diceva che portasse sfortuna lasciar spegnere il
fuoco durante la notte di san Silvestro. E così, a turno, i più
anziani della casa lo controllavano, mantenendolo sempre
vivo. Alcuni sapevano anche trarre auspici sull’anno nuovo
osservando l’andamento delle fiamme.
Le superstizioni relative a Capodanno hanno quindi la
prerogativa di essere considerate segni concreti in grado di
comunicare simbolicamente quanto accadrà durante l’anno.
È diffusa la credenza delle Calende, vale a dire
l’identificazione degli ultimi sei giorni dell’anno e dei primi di
quello successivo come specchio dei dodici mesi. Si parte da
Santo Stefano (26 dicembre) che corrisponde a gennaio,
mentre l’Epifania (6 gennaio) corrisponde a dicembre. In
questo modo, rilevando e trascrivendo le caratteristiche
meteorologiche di quei dodici “giorni di marca”, sarà
possibile stabilire le caratteristiche meteorologiche
dell’anno che sta per cominciare.

ANNO BISESTILE

A dar retta alla legge di Murphy la sfortuna non ha


bisogno degli anni bisestili per colpire le solite vittime: lo fa
tutti gli anni, ogni giorno. Malgrado ciò, l’antica credenza
“Anno bisesto anno funesto” accompagna la nostra
esperienza quotidiana, superstizioni a parte.
Se osserviamo una cronologia universale ci rendiamo
conto che molti avvenimenti drammatici –
dall’affondamento del Titanic all’epidemia di Covid – hanno
avuto come cornice proprio l’anno bisestile. Però se ci
affidiamo ai calcoli della statistica, scopriamo che in fondo
di fatti drammatici, anche solo nel Novecento, ne sono stati
segnalati moltissimi, giorno dopo giorno, che l’anno fosse
bisestile o meno.
Non è improbabile che la credenza nelle disgrazie che
accompagnerebbero l’anno bisestile derivi dal suo carattere
anomalo in relazione agli altri anni, dopo che fu aggiunto a
febbraio un giorno, come giorno intercalare nel Calendario
Giuliano.
Nel 46 a.C. Giulio Cesare
decise di riformare il vecchio
Calendario Numano (così
chiamato da re Numa), che
si basava sull’anno lunare e
aveva solo 344 giorni:
dell’elaborazione si occupò
l’astrologo Sosigene, che
realizzò il Calendario
Giuliano basato sull’anno
solare con una media di 365
giorni più un quarto.
Ovviamente la presenza
della frazione di un giorno
era improponibile e così
Giulio Cesare decretò di
Giulio Cesare (100-44 a.C.) eliminarla e di recuperarla
come giorno intero ogni
quattro anni, inserendo la ripetizione del sesto giorno prima
delle Calende di marzo: bis sextus dies ante calendas
martias. E così quel bis sextus divenne il bisesto, di cui tutti
spesso parliamo senza forse conoscerne l’etimologia.
In seguito, attraverso una complessa rete di calcoli, si
stabilì che gli anni bisestili fossero scelti tra quelli divisibili
per cento e il giorno in più fu aggiunto a febbraio, che ebbe
così 29 o 30 giorni, mentre gli altri mesi ne avevano 30 o
31.
Quando Augusto fu imperatore volle dedicarsi un mese,
come aveva fatto Cesare (che si era dedicato luglio), e
scelse agosto. Però quel mese aveva solo 30 giorni e così,
per non essere da meno di Cesare, aggiunse un giorno
togliendolo a febbraio, che da quel momento ebbe 28 giorni
(29 negli anni bisestili).
Ma se le cose andavano bene per gli uomini, non voleva
dire che quel calendario andasse bene anche per la natura.
Infatti il calendario solare seguiva il suo iter, dimentico dei
calcoli astronomici e delle dediche agli imperatori. E così nel
1582 tra i due calendari vi erano circa dieci giorni di
differenza. Papa Gregorio XIII fece sopprimere i dieci giorni
in eccesso, passando da giovedì 4 ottobre a venerdì 15. In
questo modo non si alterarono i giorni della settimana, ma
la data dell’equinozio di primavera, 21 marzo, fu raggiunta
con il “salto” di dieci giorni, facendo così concordare il ciclo
delle stagioni al calendario solare e a quello civile.
Calcoli, dediche, allineamenti tra calendari diversi non ci
dicono però un bel niente sulla tradizione che considera
nefasto l’anno bisestile e quindi la credenza finisce per
autoalimentarsi, poggiando le proprie certezze su quanto
ognuno crede di sapere e di dimostrare gettando uno
sguardo indietro nella storia, tra le sue pieghe. Tra le sue
illusioni.

EPIFANIA

La notte dell’Epifania era occasione per effettuare tutta


una serie di riti apotropaici, in cui la tradizione cristiana si
amalgamava spesso all’esperienza precristiana. Per
esempio, nel modenese, il 6 gennaio i contadini colpivano
con un ramoscello gli alberi da frutta, ripetendo una
filastrocca: “Carga, carga, e tin, tin, fan trèinta cavagn st’an
ech vin” (Caricati, caricati [di frutti] e tienili, tienili; fanne
trenta ceste nell’anno che sta per venire). Con piccole
variazioni della filastrocca, invece di un ramoscello poteva
essere utilizzata della cenere del camino. Sempre nel
modenese era d’uso fare i tortelli il giorno della vigilia
dell’Epifania, l’infrazione avrebbe determinato la nascita dei
pulcini senza i piedi.
Di grande interesse è il rito registrato nella Piana degli
Albanesi (Palermo), in cui la tradizione dell’arrivo dei Re
Magi è sublimata dal rito del battesimo di Cristo. Il corteo è
preceduto da un gruppo di ragazzi che portano dei bastoni
sui quali sono state infilate delle arance. Giunto davanti alla
fontana dei Tre Cannoli, il vescovo immerge tre volte la
croce nell’acqua portando in una mano tre candele accese e
alcune foglie di ruta; tutti intonano il canto Ne Jordan.
L’azione dell’immersione è ripetuta dai ragazzi con i loro
bastoni: le arance sacralizzate nell’acqua saranno poi
distribuite ai partecipanti. Da citare anche la tradizione di
scrivere sulle porte delle case le tre lettere CMB,
accompagnate dalle cifre dell’anno in corso. Forse le tre
lettere sono collegate a un’antica formula apotropaica:
Christus Mansionae Benedicat.
Ancora oggi, in occasione del pranzo dell’Epifania si usa
consumare la focaccia tipica in cui è celata una fava: chi la
trova nella propria fetta è costretto a pagare il dolce. È una
chiara reminiscenza del Re Burlone, comunque a capo del
divertimento, ma non per questo libero di sottrarsi al rito del
“sacrificio” tipico della festa dei Saturnali.
Tra le pratiche rituali, in cui esperienza divinatoria e
goliardia si uniscono, ricordiamo la tradizione della “sorte
delle coppie” praticata in Valdinievole (Toscana): durante la
notte tra il 5 e il 6 gennaio i giovani si riuniscono e, dopo
aver mangiato e bevuto, scrivono su foglietti i nomi dei
celibi e dei vedovi, delle nubili e delle vedove: poi tirano a
sorte dei nomi, creando delle improbabili coppie. Alla fine
della festa comunicano ai passanti la nascita delle nuove
coppie.
Ricordiamo anche la festa del Pignarul a Tarcento
(Udine). La celebrazione rievoca dei fatti storici locali in cui
svolge il ruolo di narratore il Vecchio venerando, alter ego
della Befana. Al corteo si aggiungono i Re Magi e alla fine
viene acceso un grande fuoco, il Pignarul: dalla direzione del
fumo si traggono auspici sul corso dell’anno.
Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio nel folclore di alcune
regioni italiane era viva la credenza che fosse possibile
vedere i propri cari defunti: si consigliava quindi di porre
delle candele sui davanzali delle finestre e così, quando il
corteo delle anime fosse transitato, si sarebbe fermato
davanti alle case con le candele accese.

1° APRILE

Le origini del cosiddetto “pesce d’aprile” sono quasi


oscure. Nell’Archivio per le tradizioni popolari (IV, 1889)
rintracciamo alcune indicazioni sull’argomento:
L’uso è recentissimo tra noi, e si limita alle alte e alle medie sfere sociali,
senza scendere mai al popolino propriamente detto […] Ne avevamo
conoscenza prima della rivoluzione del sessanta, l’aveano o per relazioni
dirette con la Francia, o per comunicazioni commerciali e marittime con
Genova, dalla quale può esserci venuto, probabilmente tra il 1840 ed il
1860. Le moltissime, poi, che in questi anni ne sanno e ne discorrono, lo
devono alla lettura de’ giornali, i quali se tutti i giorni ci fanno
raccapricciare con descrizioni minute di disastri ferroviari, d’incendi, di
assassini, di esecuzioni capitali, di avvelenamenti, di suicidi e di amorazzi
infami, hanno almeno la carità di esilararci una volta all’anno con una
burla più o meno spiritosa quando non è desolante.

Com’è noto il cosiddetto “pesce d’aprile” è costituito da


uno scherzo che può presentare due varianti: attaccare un
pesce, o una sua rappresentazione, sulle spalle della vittima
dello scherzo senza che questi se ne accorga o colpire la
vittima con uno scherzo vero e proprio, anche pesante.
LE ORIGINI DEL PESCE D’APRILE
Sulla valenza simbolica del pesce, l’etnologo Giuseppe Pitrè (1841-1916)
chiariva:

Alcuni fanno derivare l’uso dalla pesca, che in certi paesi comincia
il primo d’aprile, e perché infruttuosa dapprincipio, potè dar luogo
alla costumanza di cogliere i semplicioni offrendo un’esca che loro
sfugge, come il pesce in aprile sfugge a pEsCatori […] un’allusione
ad un antichissimo uso degli Ebrei, quello di mandare per disprezzo
una persona di qua e di là, come fecero con Gesù Cristo, da Erode a
Pilato, da Caifas ad Anna, nei primi di aprile, secondo i computi
degli ecclesiastici. Onde, secondo essi, la voce poisson sarebbe una
corruzione di passion. Una tradizione giudaica vi riconosce il volo
della colomba dall’arca di Noè prima che le acque abbassassero e
non so quale incontro di essa con l’aprile ecc. Altri vi scoprirono un
fatto meramente mitologico, altri vi videro uno scandaloso
significato fallico; altri più delicatamente un passaggio ad uso di
mandare o di offrire alle donne o alle ragazze un pesce con
intendimento erotico; altri ancora una inclinazione dello spirito
umano allo scherzo, al ritorno della grata stagione.

Sappiamo che in genere gli scherzi messi a segno in


quell’occasione consistevano nel far correre qualcuno da
una parte all’altra, spesso con incarichi senza alcun senso
pratico. Infatti un detto rintracciabile in vari dialetti, ricorda
che “in aprile si fanno correre i matti”… Vi sono alcuni
termini usati come sinonimi di matto: per esempio tacchino,
gallo, cane ecc.
In varie località, il 1° aprile si mandavano i più creduloni
alla ricerca di oggetti impossibili e li si invitava a compiere
azioni irrealizzabili: cercare una fune per legare il vento, un
bastone a una sola estremità, un luccio senza spine,
dell’aceto dolce, la pietra per affilare i capelli.
Come si evince da questo elenco, sono numerose le
“origini” del pesce d’aprile, la maggior parte impossibili da
determinare se si tiene contro dell’effettiva difficoltà di
giungere a individuare una sola caratteristica che possa
essere completamente aderente alla specificità del mito.
MAGGIO

Maggio è popolarmente considerato un mese sfortunato,


in particolare per quanto riguarda le iniziative importanti,
come sposarsi, cambiare casa, iniziare una nuova attività.
Forse all’origine di questa credenza vi è un motivo “pratico”
ben preciso: maggio era il mese più adatto per la semina e
per iniziare importanti lavori agricoli, quindi nelle famiglie
contadine era necessario il contributo di tutti e anche un
paio di braccia in più potevano rivelarsi fondamentali. È
facile intuire perché tutte le altre attività potevano essere
considerate “frivole” e dannose per la già precaria economia
rurale.
In relazione a questo stato di cose, nella cultura popolare
esiste un proverbio: “Sposati di maggio e maledirai quel
giorno”. I bambini nati di maggio saranno sempre malaticci,
così i gatti venuti al mondo in quel mese, al punto che non
saranno neppure capaci di prendere i topi.
Maggio è anche il mese della Madonna ma, sotto
l’epidermide della tradizione cristiana, è presente l’eco di
esperienze cultuali più antiche, che si perdono nel passato.
Per cogliere il peso di questo passato dobbiamo riferirci a
esperienze rituali genericamente note come i “maggi”. Di
queste manifestazioni, inserite nelle pratiche del
“Calendimaggio”, vi sono ancora scarse memorie, spesso
molto scolorite, che non sono in grado di restituire la grande
diffusione incontrata nel passato dai tradizionali
festeggiamenti praticati tra la fine di aprile e l’inizio di
maggio.
In genere i maggi sono espressioni alquanto articolate,
realizzate da gruppi improvvisati, in qualche caso
organizzati dalle cosiddette badie o confraternite laiche, che
si muovevano all’interno di una comunità cantando e
recitando secondo un canovaccio spesso arcaico, via via
reinventato, costituito da filastrocche, poesie, canzoni,
serenate e altre forme di ritualità orale, anche
accompagnato da processioni e in particolare da danze. In
quell’occasione era previsto l’innalzamento dell’“albero di
maggio”, poi evolutosi nell’albero della cuccagna. La sera
del 30 aprile i giovani si recavano nei boschi e sradicavano
un albero, che poi piantavano nella piazza del paese come
omaggio alle autorità locali. In cima venivano legati dei doni
(prevalentemente di tipo alimentare) e la cerimonia si
chiudeva con la gara tra i giovani per arrivare in cima
all’albero e recuperare i premi.

I GIORNI NEFASTI DI RICHARD GRAFTON


Nel XVI secolo uno storico inglese, Richard Grafton, attento osservatore
della mitologia e cultore di astronomia, compilò – non sappiamo su quali
basi – un Manuale dei giorni nefasti. Riportiamo il suo elenco, lasciando ai
lettori il compito di effettuare tutte le verifiche del caso che, ci auguriamo,
risultino infondate.

Gennaio: 1; 2; 4; 5; 10; 15; 17; 29


Luglio 15; 21
Febbraio: 8; 10; 17; 26; 27; 28
Agosto; 1; 19; 20; 29; 30
Marzo: 16; 17; 20
Settembre: 3; 4; 6; 7; 21; 23
Aprile: 7; 8; 10; 16; 20; 21
Ottobre: 4; 6; 16; 24
Maggio: 3; 6; 7; 15; 20
Novembre: 5; 6; 15; 20; 29; 30
Giugno: 4; 8; 10; 22
Dicembre: 6; 7; 9; 15; 22; 28

In alcune località le canzoni dei maggi erano in


prevalenza eseguite dalle donne, “spose di maggio”, e di
giorno, mentre il “canto delle uova” era quasi sempre
maschile e notturno. In genere il canto di maggio, con il suo
rituale improntato a un’evidente ricerca di grazia giovanile,
può essere considerato una sorta di versione gioiosa e
pagana (di matrice certamente più remota) delle rogazioni
cattoliche.
GIUGNO

Le credenze legate alla festa di san Giovanni Battista


sono numerose. Si praticavano in effetti diversi rituali che
avevano un’aura velata di paganesimo; e molte furono le
prese di posizione della Chiesa per mettere fine a queste
manifestazioni: per esempio, nel 1584, nella diocesi di Alba
(Piemonte), il vescovo ammoniva: “Non si benedicano
nell’avvenire nella Cattedrale e altrove erbe di alcuna sorte
né fiori in chiesa nella festività di san Giovanni, perché
molte persone semplici per non dire maligne adoperano
queste erbe benedette in diverse cose superstiziose”.
In numerose località era d’uso raccogliere la camomilla
bagnata dalla rugiada durante la notte tra il 23 e il 24
giugno e quindi farla benedire in chiesa nel giorno di san
Giovanni. I fiori erano raccolti in piccoli mazzetti che,
durante i temporali, erano bruciati davanti alla casa o posti
tra i filari delle viti per allontanare i fulmini. Nell’area walser
le proprietà antitempestarie erano attribuite al giglio di
montagna, chiamato “Fiore di san Giovanni”: grandi mazzi di
questi fiori erano lasciati davanti alla porta di casa nella
notte tra il 23 e il 24 giugno, perché fossero “benedetti” dal
santo. Al mattino erano raccolti e posti a seccare all’ombra;
con l’acqua del vaso in cui erano stati contenuti, e nella
quale era stata posta una croce realizzata con rametti di
ulivo benedetto, ci si lavava gli occhi, mentre la croce era
posta nel pollaio per proteggere le galline. I “Fiori di san
Giovanni” erano utilizzati per fumigare le stalle e
allontanare la negatività quando si pensava che gli animali
fossero vittime degli effetti maligni di folletti cattivi e
streghe.
L’acqua di san Giovanni nel solstizio d’estate, la notte del 24 giugno

Vi è chi ritiene la festa di san Giovanni la trasformazione


di un antico culto solare (un preciso riferimento è reperibile
nella festa romana del 24 giugno indicata come solstitium o
campas), che rivela quindi una radice ben assestata nella
tradizione rituale precristiana.
È anche importante non dimenticare la commistione con
la dimensione agraria, che con il culto del Sole aveva un
naturale legame simbolico. Per esempio, nel mondo romano,
nel giorno dies lampadarum (giorno delle fiaccole) erano
celebrate Fortuna e Cerere, due divinità solari e agrarie. Va
ancora segnalato che Giovanni Battista nell’iconografia è
spesso riproposto sul modello della divinità agricola.
Per altri questa tradizione (la cui origine forse celtica
trovò la sua massima espressione nel lancio di grandi ruote
di legno accese e non di rado inghirlandate) si riferisce al
ciclo discendente del Sole, che aveva inizio nella data
rituale in questione, e risponde all’intento di fondare
ritualmente il nuovo anno astronomico dando – in senso
magico – il via a un corso favorevole del Sole, identificato
nella ruota.
Nel corso del solstizio d’estate in Gallia si accendevano i
fuochi sui monti che venivano dedicati al dio Belen, si
piantavano alberi con fiori e nastri e si offrivano uova. La
presenza delle uova è particolarmente interessante e pone
ancora in evidenza il significato fortemente simbolico di
questo prodotto, che in molte cerimonie rappresenta la vita
e la rinascita; un simbolismo ben adatto alla conformazione
della festa, posta proprio in un momento stagionale che
segnava la rinascita del periodo più fecondo dell’anno.

I GIORNI DELLA SFORTUNA

Ci sono giorni che, per motivi di cui spesso è difficilissimo


stabilire l’origine, sono considerati sfortunati e indicati come
pericolosi: pertanto quasi mai nulla di importante viene
intrapreso in quelle giornate. Ci sono poi giorni che non sono
sfortunati di per sé, ma in cui è sconsigliato compiere
particolari azioni. Vediamoli nel dettaglio.

Martedì, mercoledì o venerdì. Non bisognerebbe mai


sposarsi di mercoledì perché sarebbe la rovina della futura
famiglia; ma le cose andrebbero ancor peggio se i giorni
scelti per la cerimonia fossero il martedì e il venerdì.
Momento fausto per il matrimonio è il sabato, perché è il
“giorno della Madonna” e la protezione della Vergine rende
ogni cosa più certa e felice.
NUMERI PERICOLOSISSIMI
IL 13
Mai sedersi in tredici a tavola: porta sfortuna!
Che si creda a questa superstizione o meno, nessuno sa resistere alla
tentazione di sottolineare il rischio che si corre quando, a un pranzo o a una
cena, i commensali sono tredici. C’è chi apparecchia con un posto in più, ed
è anche successo che un ignaro passante fosse invitato inaspettatamente
ad accomodarsi a un tavolo riccamente imbandito. Molti alberghi non hanno
la camera numero tredici.
Vi sono poi tanti piccoli espedienti per cercare di sottrarsi alle influenze
nefaste di quel numero. Come, per esempio, scrivere 12+1 invece di 13,
come faceva Gabriele d’Annunzio. La cattiva nomea del 13, probabilmente,
è da porre in relazione al numero dei commensali che parteciparono
all’Ultima Cena. Dodici Apostoli più Cristo si riunirono per consumare una
cena che fu l’annunzio della cattura e della morte del Messia.
Secondo il Dizionario delle superstizioni di Philippa Waring: “Le compagnie
aeree evitano tale numero nei loro voli e anche nei posti dei passeggeri, e vi
sono intere città, come per esempio Parigi, nelle quali neppure una singola
casa reca questo numero fatale”. Paradossalmente però, il tredici da
qualcuno è anche considerato fortunato: come dimostrano portachiavi,
ciondoli e spille che ostentano quel numero “protettivo”. In fondo le
superstizioni sono uno tra gli esempi più indicativi del relativismo!

IL 17
Sono numerose le paure che circondano il numero diciassette, per certi
aspetti del tutto simili a quelle indicate per il tredici. Forse anche in questo
caso la credenza ha origine nell’antica tradizione ebraica, che cercava di
trovare delle relazioni tra i numeri e gli avvenimenti caratterizzanti l’umana
esistenza. La negatività del diciassette aumenta quando si unisce al
venerdì, giorno considerato pericolosissimo dalla superstizione in numerosi
Paesi.

Giovedì o sabato. Sono i giorni consacrati alla magia,


quelli in cui le streghe metterebbero a segno le loro pratiche
malvagie e quindi rovinerebbero ogni buona intenzione. In
quei giorni, dopo l’Ave Maria, le donne devono togliere la
biancheria appesa ad asciugare perché, in caso contrario, le
streghe farebbero la fattura a quei panni, producendo effetti
devastanti su quanti ne facessero uso.

Domenica. Lavorare di domenica porta alla rovina,


assicura un’antica credenza, la cui origine è da ricercare nel
divieto divino descritto nelle prediche che generazioni di
instancabili preti hanno ripetuto senza risparmio ai fedeli, in
particolare contadini, per i quali non vi era tregua
all’interminabile lavoro dei campi.

Lunedì. Spesso alcune superstizioni sui giorni nefasti si


fondano su tradizioni molto antiche, in cui storia e leggenda
si uniscono: il primo lunedì del mese sarebbe pericoloso
perché è il giorno della nascita di Caino; e così l’ultimo
lunedì di dicembre, in cui nacque Giuda.
IL TEMUTO MERIGGIO
Anche alcune ore del giorno sono indicate dalla superstizione come
momenti pericolosi, da cui è bene guardarsi. Gli antichi credevano, per
esempio, che il meriggio fosse un’ora temibilissima in cui era possibile
essere avvicinati dal diavolo e da altre creature malvagie. Ne abbiamo già
una traccia nella Bibbia (Salmo 90): secondo il commento di san Girolamo
(347-420), il meriggio era molto temuto dagli ebrei, che avevano appreso
questa superstizione dai popoli della Mesopotamia.
Il demone del meriggio era il più violento e ardito, a differenza dei demoni
che colpivano prevalentemente di notte.
Tra gli antichi era diffusa la credenza che il dio Pan apparisse ai contadini
nelle ore più calde del primo pomeriggio e coloro che lo vedevano morivano
all’istante.
Giacomo Leopardi, nel Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, indicava
i cosiddetti “terrori del meriggio” come espressione di superstizioni ormai in
gran parte perdute:

È dunque evidente che gli Antichi aveano del tempo del meriggio
una grande idea; e la riguardavano come sacro e terribile. Noi
abbiamo a rallegrarci che di un pregiudizio una volta sì comune, e
di cui trovano vestigia nei libri più antichi, rimanga ora appena la
rimembranza, essendo esso totalmente cancellato dalla mente dei
popoli. Ciò non sembrerà assai ordinario a chi conosce quale
influenza eserciti tuttora l’antichità sopra i costumi e gli errori del
volgo. Si deridono ora i pregiudizi che si aveano anticamente
intorno allo starnuto, ma la consuetudine di salutar chi starnuta
sussiste anche al presente, e sussisterà sempre nelle nazioni
civilizzate.

Ma si può essere completamente d’accordo con il grande poeta e letterato?


Difficile dargli completamente ragione se diamo ascolto alle superstizioni
ancora vive nelle nostre campagne, in cui l’ora più calda del meriggio è
spesso guardata con sospetto: nella rovente solitudine gli spiriti malvagi
colpirebbero senza pietà. Naturalmente nelle città è un’altra cosa!

Il venerdì
Un discorso a parte merita il temutissimo venerdì. La sua
negatività può in parte essere determinata dal fatto che in
quel giorno, secondo la tradizione cristiana, Cristo fu
crocifisso. Da qui il divieto di mangiare carne, partecipare a
feste e divertirsi, quasi come nel lutto; popolarmente è
diffuso il detto che chi ride di venerdì piange la domenica.
Grandi uomini del passato hanno avuto paura del
venerdì; anche campioni della razionalità, come gli
illuministi Voltaire e Rousseau, consideravano questo giorno
uno tra i più nefasti.
Che ci piaccia o meno, il venerdì ha reso un po’ tutti
schiavi di una superstizione che è stata tramandata come
una tradizione.
Il tentativo di non intraprendere viaggi, o peggio sposarsi
o iniziare attività importanti di venerdì, fa parte del bagaglio
culturale di molte persone; è noto a tutti infatti il detto: “Di
venere e di marte né si sposa né si parte”.
Chi nasce di venerdì avrebbe un bel carattere, che la
tradizione popolare ha estremizzato in un detto molto
esplicativo: “Chi nasce di venerdì è senza fiele”. Nascendo
senza fiele non si conoscerà l’odio e si avrà un
atteggiamento dolce e amabile nei confronti degli altri.
Ma per raggiungere questo stato è necessario porre
alcune gocce del proprio sangue in un panno e bruciarlo:
solo così la negatività del venerdì potrà essere eliminata per
sempre.

Il venerdì 17
Se poi il venerdì cade di 17, allora la negatività sarà
massima, anche secondo quelli che alla superstizione
credono solo un po’.
Difficile stabilire l’origine di questa credenza; l’unica
ipotesi possibile è che quella data rimandi a una grande
catastrofe (epidemia, carestia, guerra) di cui però si sono
perduti i riferimenti storici.
Qualche anno fa una ricerca inglese pubblicata
sull’autorevole “British Medical Journal” sembrò smentire
scientificamente le credenze dei superstiziosi: quel giorno, a
Londra, gli incidenti automobilistici erano sensibilmente
diminuiti.
Però, immediatamente dopo, la rivista puntualizzava che
ciò poteva forse essere dovuto al fatto che molti londinesi
avevano scelto di starsene a casa, per evitare i danni del
giorno infausto. In pratica la smentita diventava una
conferma.
Forse potremmo pensare che il 17 la gente sia più cauta:
magari non esce di casa se proprio non è indispensabile,
guida con maggiore attenzione, guarda bene dove mette i
piedi, soppesa le parole ecc.
Pare che, dal venerdì nero di Wall Street, gli operatori di
borsa particolarmente attenti ai simboli varchino la soglia
del sancta sanctorum della finanza con il piede destro,
evitando di indossare qualcosa di viola e premurandosi di
avere in tasca un portafortuna.
ANIMALI DA TENER D’OCCHIO

Il rapporto dell’uomo con l’universo animale, di frequente


caratterizzato da atteggiamenti ambigui, in bilico tra amore
e odio, ha portato alla formazione di una naturale rete di
simboli.
La proiezione delle passioni umane nella simbologia
animale è storia antica: anche il nostro lessico quotidiano si
avvale del “significante animale” per dare un segno, per
possedere un’improbabile chiarezza nel nostro approccio
con gli altri. Vipere, maiali, gatti, volpi ecc. sono divenuti,
loro malgrado, animali di riferimento per chiarire delle
tipologie umane.
È soprattutto riferendosi al valore simbolico attribuito a
certi animali che l’uomo ha posto, con maggiore o minore
autorità, nell’ambito delle religioni o della mitologia.
Anche l’ingresso di un animale nel mare magnum delle
superstizioni ha seguito la traiettoria proposta dal
simbolismo, cercando di identificare in alcune di queste
creature dei significati che potessero essere utilizzati come
segni per meglio comprendere presente e futuro.

ALLODOLA

Una barbara tradizione sostiene che le allodole tenute in


gabbia avrebbero cantato molto meglio se accecate con un
ago rovente… Da questa terrificante usanza si è forse
consolidata l’aura di mistero che circonda questi docili
uccelli: per alcuni ascoltare il loro canto, appena svegli,
sarebbe di buon auspicio; tuttavia, le cose andrebbero male
se le campane dovessero suonare subito dopo il canto delle
allodole. Leonardo da Vinci scrisse che se un’allodola si
ferma al capezzale di un
ammalato è possibile
conoscere le sorti
dell’infermo osservando i
movimenti dell’animale: se
guarda l’ammalato la
guarigione è prossima, se
invece non lo guarda la fine
è vicinissima.

CANE

Una tradizione popolare sostiene che il cane sarebbe in


grado di vedere gli spiriti e soprattutto di avvertire la
presenza della morte. Infatti, quando il cane ulula nei pressi
di una casa dove c’è un ammalato, si dice che la sorte
dell’infermo sia ormai segnata.
Un cane che abbaia davanti a una porta aperta è cattivo
segno; se abbaia alla nascita di un bambino indica un futuro
infelice per il neonato.
Anche un cane randagio che entra in un giardino e scava
una buca è segno di prossima morte per qualcuno degli
abitanti. Inoltre, se un cane abbaia un numero dispari di
volte, annuncia la morte di qualcuno.
Se si addormenta con le zampe allungate, la nera signora
colpirà repentinamente la persona che si trova nella
direzione degli arti distesi dell’animale.
Se mangia l’erba, la pioggia è prossima, e lo stesso vale
se si gratta per troppo tempo (sempre che non abbia le
pulci); se invece si rifugia sotto il tavolo, o sotto il letto, il
nubifragio sarà terribile.
Come si constata da questi pochi esempi, nelle credenze
di ogni tempo il cane è quasi sempre indicatore di morte.
Questo legame con i defunti è forse da mettere in relazione
all’importante ruolo del cane nelle tradizioni delle religioni
antiche. Basti pensare al celebre Cerbero, cane a tre teste e
guardiano dell’Ade; ad Anubi, sciacallo del mondo dei morti
egizio, e al Rigveda indiano, dove un cane è posto davanti
alla porta dell’aldilà.
La maggior parte delle superstizioni che lo vedono
protagonista lo indicano come un animale dotato di senso
profetico, temuto annunciatore di imminenti eventi
drammatici.

CIVETTA

In molti Paesi veder volare una civetta, o ascoltare il suo


canto, è un cattivo presagio, indicato con frequenza come
annuncio di morte. Probabilmente le credenze che
circondano questo innocuo volatile sono da ricercare nelle
sue abitudini notturne e nel suo grido colmo di inquietudine.
Si crede che guardare all’interno del nido di un civetta
possa cambiare il carattere: chi ha osato farlo sarà
malinconico per il resto della sua vita. In genere, è il grido
della civetta a essere soggetto delle più diffuse
superstizioni. Oltre a risultare presagio di sfortuna, malattia
o morte, questo triste verso è comunque sempre connesso a
eventi tradizionalmente considerati negativi. Nelle
campagne inglesi si dice che il grido della civetta annunci la
perdita della verginità di una ragazza del luogo; in quelle
francesi comunicherebbe invece la morte di un amico.
In Germania, quando nasce un bambino, ci si augura di
non sentire l’inquieto verso, perché in quel caso la vita del
nascituro sarebbe infelice.
Non dimentichiamo comunque che la civetta era sacra
per Athena (la dea greca delle arti e delle scienze) ed era
l’animale protettore della città. Ma ben presto, con altri
uccelli notturni come il gufo e il barbagianni, l’aura positiva
diventò quella nefasta e malvagia che l’avrebbe
accompagnata fino al presente.Un breve passo tratto dalla
Metamorfosi di Apuleio (II secolo d.C.) è particolarmente
indicativo per illustrare l’atteggiamento nei confronti degli
uccelli notturni considerati annunciatori di morte:
Vediamo bene che quando i gufi si introducono in qualche casa, vengono
immediatamente presi e inchiodati ai battenti delle porte. Si fa così
perché essi espiino col loro supplizio quei lutti che minacciano alle
famiglie con il loro volo di malaugurio.
CORVO

Fin dal passato più antico, il corvo è stato considerato un


animale nefasto, annunciatore di morte e di sciagure.
Associato alla stregoneria, si diceva fosse in grado di predire
il futuro e di conseguenza utilizzato da streghe e stregoni
per le loro pratiche di magia nera.
Il suo verso è ritenuto annuncio di morte; in genere la
vista di questo animale è considerata negativa e terribile.
Tutto ciò è probabilmente da mettere in relazione al colore
nero, emblematicamente connesso alla morte e al mistero.
Molte delle superstizioni che riguardano il corvo tendono
a fare di questo animale una creatura capace di predire, con
il suo comportamento, le condizioni atmosferiche.
Se all’alba i corvi volano
verso oriente la giornata
sarà soleggiata; se invece
prima del tramonto
svolazzano intorno all’acqua,
il giorno successivo sarà
piovoso.
Quando i corvi si dirigono
verso il Sole coperto di nubi,
la stagione sarà
caratterizzata da un tempo
mite, mentre se si puliscono
con insistenza le penne, sarà
un periodo molto piovoso.
Se uno stormo di corvi prende improvvisamente il volo
senza un motivo apparente, si annuncia un’imminente
carestia. Odiato dai contadini perché distrugge le colture, il
corvo è comunque trattato con una certa cautela: un
cacciatore non sparerà mai a un corvo, perché ciò
comporterebbe gravi danni per lui e la sua famiglia. Anche i
corvi della torre di Londra sono trattati con rispetto, perché
un’antica profezia afferma che, se fossero allontanati o
uccisi, la famiglia reale cadrebbe in rovina. Il legame del
corvo con l’annuncio di morte può essere attribuito alle
carogne di cui questo uccello spesso si nutre. Se un corvo si
dovesse fermare sul tetto di una casa in cui vi è un
ammalato, per l’infermo non vi sarebbe scampo.

CUCULO

Il cuculo è circondato da molte superstizioni perché si


tratta di un uccello che si fa vedere raramente. Di solito si
nasconde nel profondo del bosco e la sua presenza si
intuisce solo per mezzo del suo tipico e ripetitivo verso.
In alcuni Paesi di cultura anglosassone si dice che udire il
cuculo prima dell’inizio di aprile annunci una carestia e un
anno di miseria. Se però l’uccello canterà solo alla fine di
aprile, le cose andranno decisamente meglio e ci sarà
benessere. Se qualcuno ascoltasse il cuculo in ottobre,
quando l’uccello dovrebbe già essersi diretto verso i Paesi
più caldi, per lo sfortunato non vi sarebbe speranza e la sua
vita dovrebbe finire entro l’anno.
La prima volta dell’anno che si ascolta il cuculo è
importante avere dei soldi in tasca e toccarli: quest’azione
garantirà prosperità.
Ma se soldi in tasca non ce ne fossero, sotto il profilo
finanziario i mesi successivi sarebbero un vero disastro. È
una credenza diffusa, insomma, che le condizioni di quando
si ascolta il cuculo per la prima volta rimarranno le stesse
per l’intero anno. È anche importante il lato da cui giunge il
canto: da destra, fortuna; da sinistra, sciagura.
Tradizionalmente si dà anche notevole importanza al
numero dei “cucù” emessi dall’uccello. Per esempio, tra le
donne nubili di numerosi Paesi è diffusa la credenza che il
numero dei versi indichi il numero degli anni che le separa
dal matrimonio. Nel centro Italia le ragazze ascoltavano con
una certa ansia quell’uccello
cantare, recitando questa
filastrocca:
Cucù, cucù dalla penna grigia
Quanto tempo passerà prima che
mi mariti?

Dal numero dei canti


traevano le conclusioni. I più
anziani, invece, traggono
auspici dal numero dei canti
sugli anni che ancora gli
restano da vivere. Uccello
giocoso, il cuculo ha
l’abitudine di porre i propri
piccoli nei nidi degli altri:
forse anche per questo motivo, che costituisce una notevole
anomalia rispetto all’ordine naturale delle cose, a questo
singolare volatile sono stati attribuiti toni ambigui e a tratti
misteriosi.

LAMIAE, MALEFICAE E STRIGES


Alla demonizzazione dell’uccello notturno può aver contribuito il suo legame
con l’universo delle streghe, particolarmente evidente nella cultura antica.
Lamiae, maleficae e striges erano termini utilizzati per indicare delle donne
dedite al maleficium, con caratteristiche che si ritroveranno in parte nella
strega medievale. Le striges, in particolare, erano ritenute capaci di mutarsi
in uccello per commettere le loro nefandezze: infatti la strix era un uccello
notturno avvolto da un simbolismo oscuro e inquietante.
Anche Lamia, la mitica amante di Giove, era dotata del potere di
trasformarsi in animale. Secondo l’inquisitore Bernardo Rategno da Como
Rategno (1450?-1515?), il termine strix sarebbe derivato da Stige, il mitico
fiume infernale.

Caratteristiche mai estinte che ci tornano in mente


ogniqualvolta ascoltiamo lo strano canto da cui abbiamo la
pretesa di cogliere significati profondi e profetici.
FARFALLA

In genere le superstizioni che hanno come oggetto le


farfalle pongono queste affascinanti creature in relazione ai
morti. Ciò forse perché in greco psyché indica sia la farfalla
che l’anima.
Si pensa che le farfalle bianche siano le anime dei morti,
quindi bisogna trattarle bene; inoltre quando volano dentro
casa si ritiene che l’anima di un defunto intenda mettersi in
contatto con qualcuno dei familiari. Sono temute le falene
“Testa di morto”, in ragione del notevole cartiglio presente
sul loro corpo, che ricorda in modo impressionante la figura
del teschio.
Ovviamente una simile caratteristica non poteva
suscitare altro che credenze colme di angoscia e di paure. Si
dice che dopo una tragedia collettiva (terremoto,
inondazione, incendio) si vedano spesso moltissime farfalle
alzarsi in volo dal luogo del disastro.
Naturalmente esistono credenze diverse in relazione alle
caratteristiche cromatiche delle farfalle: il colore chiaro
rappresenta le anime buone, quello scuro le anime dannate.

GATTO

Tra gli animali domestici, il gatto è sempre stato


circondato da un’aura di mistero, soprattutto in ragione del
carattere tipico di questo felino, distaccato e autonomo.
Senza dubbio la sua agilità, il suo rapido apparire e quindi
sparire come per magia, accanto alla sua capacità di vedere
al buio, sono caratteristiche che hanno contribuito
profondamente ad attribuire al gatto caratteristiche
soprannaturali. Adorato dagli Egizi (la dea Bastet aveva
forma di gatta), il gatto cadde in disgrazia in particolare nel
Medioevo, quando fu collegato a Satana e divenne, secondo
la tradizione popolare, compagno prediletto delle streghe.
Notissima è la superstizione che considera un annuncio
di disgrazia un gatto nero che attraversa la strada: questa
credenza è viva in molti Paesi e, per impedire che si
verifichino gli effetti, sono adottate varie forme di
esorcismo. La più diffusa, se si può definire una forma di
esorcismo, consiste nel cambiare strada o attendere che
qualcuno transiti per primo dove il gatto è passato.

Negli Stati Uniti, invece, si considera un segno positivo


essere seguiti da un gatto nero. In molti Paesi dell’Europa
del Sud se un gatto nero entra in una casa significa che la
morte colpirà presto qualcuno dei componenti di quella
famiglia. È segno nefasto sognare un gatto nero, in
particolare nei giorni di festa; un gatto nero randagio che
miagola vicino all’uscio di casa annuncia tragedie in
famiglia. L’abbinamento con il nero, colore ritenuto funesto,
è denso di significati e rimanda all’universo oscuro, alla
morte e allo sconosciuto, quindi evidentemente l’unione tra
il gatto (con il suo carattere misterioso) e il colore più
temuto – nella cultura occidentale – diviene una miscela
particolarmente inquietante.
Tradizionalmente si dice che il gatto abbia sette vite:
infatti, in alcune regioni d’Italia si raccomandava a chi
uccideva un gatto (anche per mangiarselo, come accadeva
in “tempi magri”) di ripeterne il nome sette volte; in caso
contrario l’animale sarebbe ritornato.

IL FOLLETTO
È curioso ricordare che il folletto, figura importante nell’immaginario
popolare, avrebbe un diretto legame con la farfalla.
Folletto è un termine generico con il quale si indicano i piccoli esseri
evanescenti che costellano l’universo della tradizione orale popolare.
Mentre i vari tipi di elfi sono descritti come creature piccole, ma concrete, i
folletti sono ectoplasmi, riflessi fugaci che non hanno ombra e non lasciano
tracce. L’origine del termine folletto è spesso indicata nel greco falena, e
sarebbe collegata ai lari latini. Ma sono supposizioni del tutto arbitrarie, che
non trovano alcun riscontro in una seria analisi etimologica. È emblematico
l’abbinamento tra il folletto e il fuoco fatuo, che rinveniamo in alcune
tradizioni popolari, anche in ragione dell’assonanza linguistica che
accomuna questi due termini in alcuni dialetti. A causa della loro varietà, i
folletti sono presenti in tutta una serie di tradizioni, spesso molto diverse tra
loro, che propongono delle creature complesse e molto varie, caratterizzate
da sfumature locali e da notevoli valori simbolici. Aggiungiamo che nelle
nostre campagne i fuochi fatui erano ritenuti spiriti dei defunti che
richiedevano suffragi.

Osservato anche come vero e proprio indicatore


meteorologico, il gatto annuncia, con i propri
comportamenti, le condizioni del tempo. Quando si lecca le
zampe indica prossima pioggia, che potrà essere un vero e
proprio nubifragio qualora l’animale si passi le zampe dietro
le orecchie.
Se un gatto starnutisce la pioggia sarà prossima; se sta
con la schiena rivolta verso la fonte di calore, annuncia
tempesta.
Inoltre, se di mattina si lava l’orecchio destro, annuncia
l’arrivo di una persona gradita; di contro, se si lecca la
zampa sinistra, avvisa che sta per arrivare uno scocciatore.
In molte località si crede che streghe e stregoni avessero la
possibilità di trasformarsi in gatto nero e, sotto quelle
spoglie, compissero varie malefatte. Si narra che se una
delle vittime fosse riuscita a colpire uno di questi gatti, il
giorno successivo sarebbe stata in grado di individuare
l’artefice delle azioni nefaste. Riacquistata l’identità umana,
infatti, lo stregone avrebbe presentato delle ferite nei punti
in cui era stato colpito sotto forma di gatto nero. Anche dalle
descrizioni dei sabba delle streghe giungono informazioni
preoccupanti sul gatto nero: figura centrale nei riti
demoniaci, in cui l’entità malvagia e notturna si
contrappone a quella positiva del dio della luce. Secondo
alcuni inquisitori il gruppo eretico dei Catari era così
chiamato da cato (gatto) perché adoravano i gatti, sotto le
cui sembianze si manifestava Lucifero. Di conseguenza gli
eretici furono associati con la notte e le tenebre.
Anche i cavalieri Templari, nel corso dei processi che li
coinvolsero, furono accusati – tra le tante nefandezze – di
adorare un quendam catum: animale demoniaco posto al
centro delle loro riunioni consacrate a Satana. Un ulteriore
avvertimento: di qualunque colore sia un gatto, se
acquistato, non sarà mai un buon cacciatore di topi…

MAIALE

Il maiale è un animale sfortunato, da sempre collegato


alla sporcizia e alle cose più basse. Infatti il termine
“maiale”, in senso figurato, evidenzia la passione per le
cose peggiori. Un maiale che attraversa la strada porta
sfortuna; mentre una scrofa con i suoi piccoli è di buon
auspicio.
L’offerta di maiali agli dèi, ampiamente praticata nelle
religioni antiche, ha certamente condizionato la figura di
questo animale, collegandolo al mondo oscuro
dell’oltretomba. Va detto che comunque è l’area
mediterranea – in cui sono ben noti i tabù alimentari intorno
al maiale – ad averne esasperato la presunta malvagità.
Gli Egizi sacrificavano il maiale solo in occasione del
plenilunio e lo mangiavano solo in quel giorno. Questa
tradizione può essere messa in relazione a un’altra credenza
dell’antico Egitto: l’eclissi di Luna veniva indicata come il
divoramento dell’astro da parte della scrofa celeste.
Clemente Alessandrino, negli Stromata (II secolo d.C.),
afferma che il maiale, vivendo nel fango e nel letame, dal
punto di vista alimentare è gradito solo a quanti vivono
spiritualmente nello stesso modo, rotolandosi nel fango del
peccato. Porkos in greco si è mutato in “sporcaccione”, un
termine che in genere indica una persona attratta in modo
eccessivo dai piaceri terreni, in particolare quelli connessi
alla sfera sessuale. Porcheria, nel linguaggio corrente,
corrisponde a oscenità.

Nel bestiario nordeuropeo precristiano il maiale ha


assunto valori positivi, anche in relazione al suo possibile
legame con il cinghiale sacro ai Celti.
Nell’iconografia popolare cristiana è divenuto il
tradizionale compagno di sant’Antonio eremita nel deserto.
In questo abbinamento si è voluto vedere un simbolo
della vittoria del santo sulla lussuria e sui valori della carne,
ma in seguito è stata proposta un’altra interpretazione: si
tratta dell’abitudine che avevano gli Antoniani (o confratelli
di sant’Antonio) di lasciar vagare per le vie della città
branchi di porci, con i quali nutrivano i malati degli ospedali.
I maiali avevano soltanto l’obbligo di portare una
campanella che permettesse di distinguerli. Luigi XI
confermò tale privilegio. Per di più, il furto di uno di questi
maiali era considerato un sacrilegio che Dio, si diceva, non
poteva lasciare impunito.
Si consideri inoltre che i maiali allevati dagli Antoniani
erano tenuti con grande cura, poiché con il loro grasso si
preparavano dei medicamenti per la cura del cosiddetto
“Fuoco di sant’Antonio”.
Anche per tale peculiarità l’iconografia propone la figura
di sant’Antonio abate accanto a un piccolo maiale.
Gli antichi Greci erano soliti sacrificare il maiale in onore
di Demetra, caricandolo di un simbolismo fortemente legato
alla fertilità. Un’interessante indicazione sul ruolo simbolico
connesso alla fertilità del maiale è rinvenibile in un’antica
tradizione lombarda. A Mantova, nel giorno di Ognissanti,
veniva liberato un maialino: la tradizione voleva che la
persona davanti alla quale l’animale si fosse fermato
sarebbe stata baciata dalla fortuna fino alla fine dell’anno.

PECORA

In genere si definisce “pecora nera” l’esponente di una


famiglia considerato, per diversi motivi, dannoso, causa di
problemi per i parenti.
La nascita di una pecora nera era considerata dai pastori
annuncio delle sfortune che si sarebbero abbattute sugli
uomini e sugli animali.
Nella mitologia islandese le anime dei dannati che
tornavano tra gli uomini apparivano sotto forma di pecora o
montone neri. Sempre nei racconti mitologici nordici
troviamo delle pecore nere, provviste di denti di ferro,
utilizzate da un tiranno per sconfiggere i nemici.
Più prosaicamente si può considerare l’origine delle
superstizioni sulle pecore nere come un’eco della cattiva
accoglienza di questi animali tra i pastori. Infatti la lana nera
non era facile da vendere, anche in relazione al fatto che
quel colore era correlato all’oltretomba.

PIPISTRELLO

Il pipistrello è l’animale del mistero per eccellenza, a esso


è collegato tutto quanto rappresenta l’oscurità, il mistero, il
male.
Parecchi romanzi e film horror ricorrono a questo innocuo
animaletto per rendere gli ambienti più inquietanti. Il
pipistrello è il compagno delle streghe e la sua vita notturna,
chiusa nell’ibrida forma di mammifero volante che la natura
gli ha riservato, ha fatto di questo chirottero un animale
associato all’ombra e al male.
È diffusissima la superstizione secondo la quale i
pipistrelli avrebbero l’abitudine di attaccarsi ai capelli e
quindi non staccarsi più. Altrettanto nota è la credenza che
ricorda quanto sia nefasto l’ingresso di un pipistrello in casa:
annuncio di morte o di grande disgrazia.
Se i pipistrelli volano prima del crepuscolo annunciano
bel tempo, ma se per caso vanno a sbattere contro le
finestre, allora la pioggia è prossima.
Un osso di pipistrello cucito negli abiti allontanerebbe la
cattiva sorte; mentre il suo occhio destro conservato in
tasca avrebbe il potere di guarire il raffreddore.
In alcuni Paesi esiste la credenza che uccidere un
pipistrello abbrevi la vita.
Un elemento che può aiutarci a comprendere l’aura
negativa che circonda il pipistrello può essere scorto nelle
sue ali, la cui forma rimanda alle raffigurazioni delle ali dei
demoni nell’arte medievale. Non va dimenticato che il
pipistrello è l’animale in cui si trasformano i vampiri per
fuggire dai luoghi in cui hanno compiuto i loro misfatti e
perdersi rapidamente nel buio della notte.

ROSPO

Nella superstizione popolare il rospo è generalmente


considerato un animale protettivo: però è necessario non
disturbarlo. Guai a chi dovesse calpestarlo, perché danni e
disgrazie lo colpiranno senza pietà. Narra un’antica
superstizione anglosassone che un cuore di rospo seccato e
cucito all’abito di un ladro avrebbe reso il suo possessore
imprendibile. L’alone di mistero che contrassegna il rospo
può essere determinato anche dal suo legame con la
stregoneria. Secondo una diffusa tradizione – difficile sapere
quanto possa essere considerata storicamente certa – al
sabba venivano battezzate molte bestie immonde,
soprattutto rospi. Questi animali, prima del battesimo, erano
vestiti di velluto rosso e nero, avevano un campanello
legato al collo e uno alle zampe; il padrino teneva loro la
testa, una madrina la parte opposta. Dopo averli battezzati,
i rospi venivano dati in dono alle streghe più meritevoli.

Quando si accoglie un neofita e lo si introduce per la


prima volta nell’assemblea dei reprobi, gli appare una
specie di rana; altri dicono che sia un rospo. Alcuni gli danno
un ignobile bacio sull’ano, altri sulla bocca, leccando la
lingua e la bava dell’animale.
Va osservato che nella pelle di alcune specie di rospi
sono presenti delle ghiandole che secernono una sostanza
irritante e provvista di principi neuroattivi. Inoltre, le
ghiandole del rospo più diffuso, il Bufo vulgaris, producono
ben ventisei sostanze biologicamente attive, tra le quali
ricordiamo il composto 5-OH-DMT, comunemente chiamato
bufotenina, che ha potentissimi poteri allucinogeni.

TOPO

I marinai dicono che quando i topi abbandonano una


nave il naufragio sarebbe imminente; al contrario, se si
imbarcano su una nave nuova, è segno di grande fortuna.
Anche per le case vale la stessa credenza: una fuga
repentina dei topi da un’abitazione annuncerebbe pericoli
imminenti. Se uno di questi animali rode un mobile della
camera da letto, ciò corrisponderebbe a un annuncio di
morte.
In passato, prima dell’invenzione dei pesticidi e dei
moderni sistemi di derattizzazione, erano utilizzate varie
formule per allontanare i topi, in cui la magia si fondeva con
la preghiera e il rito.
La nota fiaba del pifferaio magico può essere vista come
un’eco di queste antiche pratiche. Recenti studi hanno
messo in rilievo che a Hamelin, intorno alla metà del XIV
secolo, comparve realmente un abile suonatore di flauto e,
misteriosamente, com’era apparso, scomparve. Ma con lui
svanirono anche centotrenta giovani del luogo di cui non si
seppe più nulla. La tradizione popolare narra che furono
vittime del diavolo, il quale li avrebbe rapiti e portati
all’Inferno.
Nello stesso modo in cui il mitico pifferaio aveva condotto
i topi alla distruzione…
Non dobbiamo dimenticare che attraverso la pulce del
Rattus avviene la trasmissione della peste all’uomo. Questo
aspetto potrebbe quindi aver giocato un ruolo importante,
però riteniamo che possa essere rinvenuto soprattutto nelle
interpretazioni più recenti, in quanto fino al XVIII secolo il
rapporto topo/peste non era noto alla scienza.
In ogni caso la tendenza a demonizzare il topo è sempre
esistita. Nel 1519 il comune di Stelvio, nel Tirolo
occidentale, iniziò un procedimento penale contro i topi che
danneggiavano i campi coltivati. Ma il loro difensore, Hans
Grinebner, cercò di dimostrare che i topi si erano rivelati
utili per la comunità, distruggendo larve e insetti nocivi…
IL SEGRETO DELLA COCCINELLA
Un’antica credenza avverte che quando una coccinella si posa su un essere
umano non bisogna assolutamente allontanarla né, tanto meno, ucciderla.
Infatti questo piccolo insetto è considerato un “messaggero del cielo” e la
sua presenza è protettiva. Secondo una vecchia tradizione inglese, la
coccinella sarebbe in grado di comprendere il linguaggio umano.
In Francia, in passato, si insegnava ai bambini a rivolgere a questo
animaletto un invito molto preciso: “Va a chiedere a Dio che non ci siano più
persone infelici”.
AZIONI RISCHIOSE

Ci sono alcune azioni a cui, per ragioni ataviche e talvolta


inspiegabili, attribuiamo effetti deleteri. Si tratta di credenze
che sorgono, nella maggioranza dei casi, dal valore
simbolico dell’azione in sé, ma possono anche derivare da
tempi lontanissimi e, per esempio, essere state le cause di
grandi disgrazie.
In questi casi la superstizione nasce da un utilizzo
particolare di un certo oggetto, che generalmente è
considerato del tutto innocuo; talvolta le cause vanno
ricercate nella paura che alcune azioni scatenino effetti
soprannaturali, perché attiverebbero l’“ira divina”,
infrangendo tabù millenari.
Si scopre così che il meccanismo destinato ad alimentare
queste superstizioni si fonda sulla consapevolezza
dell’esistenza di un equilibrio governato da regole precise, la
cui infrazione determinerebbe effetti spesso drammatici.

PASSARE SOTTO UNA SCALA

Passare sotto una scala è una tra le azioni più temute dai
superstiziosi di buona parte del mondo occidentale.
Bisogna considerare che la scala è un simbolo importante
per numerose religioni. Costituisce il tramite per porre in
relazione il cielo alla Terra; ed è il mezzo per determinare un
rapporto tra il mondo dei vivi e l’aldilà.
Giacobbe vide in sogno una scala lungo la quale salivano
e scendevano gli angeli: “Una scala poggiava sulla terra,
mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco che gli
angeli di Dio salivano e scendevano su di essa” (Genesi
28,12).
Anche il Buddha utilizzò una scala per scendere dal
monte Meru.
La scala compare come simbolo in un’antica tradizione
egizia che poneva Osiride, il dio del Sole, contrapposto in
un’eterna lotta a Set, dio delle tenebre. Un giorno Set spinse
Osiride nel buio di una tomba e ve lo rinchiuse. In aiuto di
Osiride venne Horus, dio-falco del Sole nascente, che con
una scala e con il simbolo della V, fatto con due dita, riuscì a
liberare il padre prigioniero.
La superstizione relativa alla scala, sorta in ambito
cristiano, forse risentiva della tradizione esoterica secondo
la quale la scala appoggiata a un muro o a un albero
formerebbe il lato più lungo di un triangolo, simbolo della
Trinità. Chi attraversa il triangolo dissacra questo simbolo e
rivela affinità con il diavolo.
Razionalmente possiamo anche considerare che in
passato la scala era l’unico mezzo per effettuare una serie
di attività che oggi sono affidate a sistemi di elevazione più
sofisticati. Allora però esisteva solo la scala a pioli che, per
certe attività, rappresentava una continua fonte di rischi. Da
qui, probabilmente, la credenza. Se proprio non si può fare a
meno di passare sotto una scala, la tradizione popolare
prevede alcune pratiche di scongiuro. Una indica di
incrociare le dita fino a quando non si incontrerà un cane;
un’altra di sputarsi sulle scarpe. Un ultimo avvertimento:
attenzione al numero dei pioli, passare sotto una scala porta
sfortuna, ma passare sotto una scala con un numero di pioli
dispari è peggio. I danni saranno ancora più gravi.

APRIRE L’OMBRELLO

È diffusa la superstizione che impone di non aprire mai


un ombrello in casa, pena un sacco di guai, per alcuni
addirittura un annuncio di morte. Perché?
Aprire l’ombrello in casa è un cattivo presagio perché
l’oggetto richiamerebbe il baldacchino con il quale, nella
liturgia, poi riformata, era d’uso coprire il prete che portava
il viatico a un morente. Secondo un’altra interpretazione,
l’ombrello aperto in casa evocherebbe il tetto rotto o,
peggio, la sua mancanza; risulta quindi un presagio di
prossima miseria, che potrebbe essere così forte da
determinare anche la perdita della più grande certezza per
un uomo: la casa. Si dice anche che aprire l’ombrello
quando c’è il Sole farà piovere. Se cade un ombrello lo deve
raccogliere qualcuno che non sia il proprietario, in caso
contrario sullo sfortunato ricadrebbero molte sventure. Se
una donna raccoglie il suo ombrello resterà zitella. Però tra
le tante credenze non vi è nulla che possa suggerire quali
stratagemmi utilizzare per evitare di dimenticare
l’ombrello…

ROVESCIARE L’OLIO

“Rovesciare l’olio porta disgrazia”, dicevano i nostri


nonni, spesso attuando oscure forme di scongiuro e
guardando con rammarico la tovaglia macchiata che, allora,
non poteva usufruire della forza sgrassante dei moderni
detersivi.
Senza dubbio molte credenze intorno all’olio hanno
origine nell’importante ruolo che svolge nelle religioni e nel
suo stretto rapporto con il sacro.
In ebraico, Cristo era detto machiah (unto) e, nella
liturgia cristiana, l’uso dell’olio nei sacramenti svolge una
funzione determinante: battesimo, cresima, ordine, estrema
unzione, consacrazione delle nuove chiese.
In passato anche i re francesi erano consacrati tramite
unzione, con dell’olio miracoloso che si diceva fosse stato
portato da una colomba a san Dionigi, quando battezzò re
Clodoveo. Già da queste poche informazioni si può avere
un’idea abbastanza chiara dell’origine della superstizione:
rovesciare l’olio, prodotto usato per sacralizzare,
corrisponde a un sacrilegio e, di conseguenza, a una grave
offesa nei confronti del divino.
Quando l’olio è stato versato, si usa gettare un po’ di sale
sopra la macchia, oppure farsi il segno della croce, o
pregare la Madonna perché lo raccolga. Ma se in casa c’è
un’ampolla con dell’olio di san Biagio (quello utilizzato il 3
febbraio per proteggere dalle malattie della gola) gli effetti
nefasti derivanti dal versare l’olio sarebbero comunque
esorcizzati.
I più razionali sostengono che la superstizione sull’olio
versato sia sorta quando i pavimenti erano costruiti in
legno, cotto o marmo non trattati; essendo estremamente
porosi e assorbenti, dove cadeva l’olio si formava una
macchia indelebile e scivolosa.

SPARGERE IL SALE

“A ogni offerta al tuo Dio unirai un’offerta di sale”: da


questo versetto del Levitico si comprende chiaramente
l’importante ruolo simbolico svolto da questo prodotto nelle
tradizioni religiose e, come nel caso dell’olio, è facile capire
perché versarne un po’ possa essere considerato nefasto.
Comunque il sale è un prodotto contrassegnato da una
certa ambiguità: infatti, se nel Vangelo i discepoli di Cristo
sono indicati come il “sale della vita”, è pur vero che
nell’antichità i re vincitori cospargevano di sale le terre delle
popolazioni vinte, al fine di renderle sterili e improduttive.
In seguito, nelle religioni, il sale è diventato elemento di
purificazione dal male: dal rito del battesimo alle pratiche
contro le streghe.
Già in alcuni documenti sinodali del XVII secolo la Chiesa
condannava la credenza che il sale sparso sulla tavola fosse
un segno di malaugurio. La superstizione era così
saldamente radicata, nella tradizione popolare, che
Leonardo da Vinci, nell’Ultima cena (1495), raffigurò Giuda
vicino a una saliera rovesciata.

Un particolare di una riproduzione del Cenacolo di Leonardo da Vinci:


Giuda con la saliera rovesciata

Se si rovescia il sale si può allontanare la disgrazia con


un semplice scongiuro: se ne prendono due pizzichi e si
gettano dietro alle spalle.
Il sale versato sulla porta allontana le streghe; il lancio di
manciate di sale sulle spose garantisce prosperità alle
famiglie appena formate; gettare sale sul fuoco conduce
all’Inferno…
Le superstizioni legate al sale, formatesi quando questo
prodotto era un bene prezioso e molto costoso, sono
pertanto dominate da forti contraddizioni che, come spesso
accade nella tradizione popolare, hanno il ruolo di
ammantare di mistero il significato oggettivo di un prodotto
continuamente in bilico tra il sacro e il profano.

ACCENDERE LA SIGARETTA
Ancora diffusa è la superstizione secondo la quale
accendere più sigarette con un solo fiammifero
determinerebbe la morte del più giovane. Questa credenza
trae origine dal tempo di guerra. Infatti in trincea, di notte,
più soldati si accendevano la sigaretta con un solo
fiammifero per risparmiare; il cecchino nemico aveva così
tutto il tempo per prendere la mira e conseguentemente
sparare al terzo soldato, che per logica gerarchia militare
era l’ultimo ad accendere la propria sigaretta.
Questa superstizione probabilmente ha avuto origine
durante la Grande Guerra, quando le trincee erano colme di
soldati che dovevano difendere i confini in stressanti e
logoranti combattimenti, dove si lottava e si moriva per
conquistare qualche metro in più, sotto il tiro incrociato di
cecchini sempre in agguato.

ANDARE A CACCIA

Mai dire “buona caccia” a un cacciatore, perché ciò


potrebbe determinare grande sfortuna e al ritorno dalla
battuta il carniere sarebbe irrimediabilmente vuoto. In
passato rispettare le regole era indispensabile per evitare
che il cacciatore si trasformasse in preda. Ma erano altri
tempi e vi erano ancora animali selvatici (orsi e lupi per
esempio) che costituivano un effettivo pericolo per la
popolazione. Inoltre la caccia era una pratica necessaria per
garantire l’approvvigionamento di cibo e in molti casi
ritornare a mani vuote voleva dire non mangiare.
Si tenga inoltre conto che, da quando la caccia è
diventata esclusivamente una forma ludico-sportiva, la
coscienza dell’ingiustizia perpetrata dall’uomo nei confronti
degli animali si è fatta più viva e concreta. In questa mutata
dimensione venatoria riverberano atteggiamenti del nostro
passato più remoto, quando nella caccia erano attive
motivazioni di ordine rituale e mitico. Per esempio, il divieto
di augurare “buona caccia”, sostituito dalla formula “in
bocca al lupo”, sarebbe da attribuire a un senso di colpa che
in passato, nelle società in cui l’attività venatoria era molto
diffusa, imponeva ai cacciatori di mettere in scena rituali
atti a riappacificarsi con le prede. Una sorta di “finzione
rituale” per evitare che, nelle culture animiste, lo spirito
dell’animale potesse vendicarsi. C’era un tempo in cui
l’uccisione dell’animale era “necessaria” perché consentiva
all’uomo di non morire di fame o, quanto meno, di
appropriarsi di quelle proteine che la sua fisiologia esigeva
rispondendo a un richiamo atavico.
Oltre all’aspetto eminentemente pratico e utilitaristico, la
caccia è anche portatrice di altri valori nelle diverse culture.
È un’esperienza ricca di ambiguità che, nell’apparente
casualità della sua procedura esecutiva, comprende una
molteplicità di significati, nei quali convivono esperienze
pratiche e atteggiamenti inconsci. In realtà essa costituisce
un universo simbolico in cui la superstizione rappresenta un
riferimento “necessario” per stabilire delle regole che
rendano questa pratica un fatto protetto da forze
soprannaturali.

ROMPERE UNO SPECCHIO

Rompere uno specchio annuncia sette anni di guai. Una


tragedia la cui origine è da ricercare soprattutto nell’aura
magica attribuita a questo strumento che, frantumandosi,
come si diceva già nell’antichità, avrebbe mandato in
frantumi anche tutte le immagini che era solito riflettere.
Nel XVI secolo si affiancò il tema iconografico
dell’immagine della scimmia riflessa nello specchio: segno
della stupidità di chi era schiavo dell’umana vanità, ma
anche metafora dell’uso demoniaco dello specchio, in
quanto è noto che la scimmia fu per lungo tempo ritenuta
l’effigie di Satana.
Gli specchi, infatti, erano sempre presenti
nell’armamentario dei maghi e degli indovini, mantenendo
comunque la loro aura di mistero anche quando svolgevano
le normali funzioni della quotidiana toeletta femminile. La
credenza che alcuni personaggi storici famosi fossero in
possesso di specchi magici, con i quali prevedere le mosse
dei loro nemici, è rintracciabile in molte leggende e
tradizioni. Nelle vicende di Alessandro Magno, come in
quelle di Cagliostro, per esempio, fino alla magia del quasi
mitico Prete Gianni, troviamo con frequenza il ricorso allo
specchio per conoscere il futuro: un modello simbolico
destinato a riaffermarsi, attraverso le vie del folclore, nelle
fiabe.
Nella cultura popolare è d’uso coprire gli specchi della
casa in occasione della morte di un parente, poiché si teme
che la sua anima vagante possa essere bloccata per sempre
dietro le superfici riflettenti. Partendo proprio dal principio
che le anime possano essere assorbite dallo specchio, la
negromanzia si è avvalsa spesso di queste superfici per
evocare gli spettri e conoscere i loro desideri e le loro
inquietudini. La diffusione di questo metodo negromantico
ha determinato tutta una serie di cautele nei confronti degli
specchi. Si teme per esempio che l’anima proiettata fuori
dalla persona nell’immagine riflessa dello specchio possa
essere portata via dallo spettro del morto, che andrebbe
errando nella propria casa fino al seppellimento.
UN PO’ DI ATTENZIONE A…
… come spegnere le candele. Soprattutto quando sono parte integrante
di un rito. In particolare questa superstizione sopravvive nelle feste di
compleanno: se il festeggiato spegnerà tutte le candele con un solo soffio,
l’intero anno sarà ricco di soddisfazioni, in caso contrario le cose potrebbero
andare molto male. È necessario esprimere un desiderio che si avvererà
solo se tutte le candele saranno spente al primo soffio. Questa credenza ha
probabilmente origine nel forte simbolismo sacrale della candela, che in
molte religioni è parte integrante del rapporto tra l’uomo e il divino, traccia
concreta della devozione. Per esempio il rito cristiano di accendere le
candele ai santi e alla Vergine è espressione del rapporto che lega il fedele
alla divinità.
Negli altari casalinghi non bisogna mai spegnere le candele con un soffio,
perché ci si abbrevia la vita. È opportuno farlo con le dita inumidite.
… non “fare le croci”. È un segno nefasto “fare le croci” con le posate, o
incrociare le braccia quando ci si stringe la mano. Origine della
superstizione è il riferimento alla croce come strumento di morte e di
sofferenza, del tutto privo del valore simbolico di risurrezione che ha
assunto nella religione cristiana.
… non bestemmiare. Porta sfortuna e fa aumentare i topi in casa. Anche
in questa superstizione è facile scorgere l’influenza della religione, che con i
mezzi tipici della tradizione popolare ha individuato uno stratagemma per
cercare di ridurre una pratica incivile e blasfema. Il legame con il topo non è
casuale: infatti nel Medioevo si credeva che questo animale fosse in stretta
relazione con il diavolo, quindi è facile comprendere perché i fastidiosi
roditori scegliessero come dimora la casa di un bestemmiatore.
… non asciugarsi nello stesso asciugamano. Quando ciò avviene, le
due persone finiranno presto per litigare. Forse è anche per questo motivo,
oltre che per igiene, che in molti bagni troviamo asciugamani distinti con
iniziali o scritte: un modo per cercare di non infrangere l’armonia familiare?

REGALI SCONSIGLIATI

“Dono che punge, dono che disgiunge!”, avverte un


proverbio ricordando quanto sia pericoloso regalare oggetti
appuntiti o taglienti, perché “feriscono” l’amicizia e
conducono irrimediabilmente alla rovina dei rapporti.
Anche trovare un ago porta sfortuna, in particolare se
provvisto di filo. Una sposa che va all’altare con uno spillo
nel vestito vedrà presto il suo matrimonio rovinato. Un
ulteriore elemento per rintracciare l’origine della negatività
di spilli e aghi può essere la diffusione di questi oggetti nelle
pratiche di magia nera.
Anche per i fazzoletti vi sono superstizioni analoghe. Si
ritiene che regalando un fazzoletto si “chiamino lacrime” e
di conseguenza ricevere questo dono simboleggia
un’imminente sventura. Per eliminare l’effetto negativo di
un dono “pericoloso”, come spilli e fazzoletti, è sufficiente
contraccambiare con una semplice moneta: in questo caso il
regalo diviene un acquisto e pertanto ogni valenza nefasta è
preliminarmente cancellata.

VESTIRSI E SVESTIRSI

Anche azioni semplici e quotidiane, che compiamo ogni


giorno, come vestirsi e svestirsi, possono essere
condizionate dalla superstizione e divenire fatti dai quali
ricavare indicazioni importanti per conoscere gli eventi che
caratterizzeranno la nostra esistenza.
Per esempio: infilarsi l’abito dal braccio sinistro
porterebbe sfortuna, se l’abito è al contrario ci sarebbero
gravi danni in arrivo, mentre si parla di una generica
“sorpresa” qualora la camicia sia abbottonata in modo
sfalsato rispetto alle asole. Se invece si trova un bottone, le
cose andranno per il senso giusto.
Se un guanto cade non lo si deve raccogliere, ma bisogna
aspettare che sia raccolto da un altro: solo in questo modo
si eviterà la cattiva sorte.
Perdere un guanto è di cattivo auspicio, ma trovarne un
paio è ancora peggio. Se i guanti sono dimenticati a casa di
un amico, bisogna aspettare che ci siano restituiti, in caso
contrario la nostra amicizia sarebbe irrimediabilmente
perduta.
Mettersi la calza sinistra prima della destra annuncia una
brutta giornata; gli effetti possono essere respinti se, subito
dopo, ci si infilerà prima la scarpa destra.
Mettere due calze diverse o un indumento al rovescio
preserva dai malefici delle streghe, così come indossare
qualcosa di rosso allontana il pericolo del malocchio.
In passato anche i buchi nelle calze erano oggetto di
divinazione: nell’alluce annunciavano grandi spese in arrivo,
nel fianco problemi economici dovuti alla moglie, nella
pianta povertà prossima.
Posare il cappello sul letto è un segno di malaugurio.
Forse questa superstizione ha origine nel fatto che, quando
il medico andava a far visita a un paziente, era solito
appoggiare il cappello sul letto.
SEGNI DEL CORPO

Il corpo è un libro aperto per chi lo sa leggere: non ci


riferiamo alla medicina e alla psicoanalisi, ma a tutte quelle
forme di divinazione che, dall’osservazione delle linee della
mano o dei nei, dallo studio della fisiognomica e
dall’osservazione della forma dei piedi, hanno la pretesa di
fornire mezzi per conoscere il futuro, o scoprire quali verità
si nascondano dietro ogni uomo.
Accanto a questa immensa quantità di esperienze, in
bilico tra la magia e la divinazione, vi sono numerose
credenze che derivano da una superstizione arcaica, che si
è diffusa tra gli uomini che hanno saputo resistere
all’Illuminismo, al Positivismo e soprattutto alle acquisizioni
delle scienze.
Malgrado tutto, il mondo della superstizione guarda al
corpo dell’uomo come a un universo dal quale ricavare
molte informazioni. Ma nello stesso tempo tiene conto della
sua fragilità e quindi trova, scopre, inventa formule, divieti e
sistemi per avere risposte, per costruire credenze fittizie.
Il corpo, per la superstizione, si pone come un mandala, e
propone un rapporto tra micro e macrocosmo che
apparentemente sembrerebbe rimandare alla filosofia
rinascimentale, anche se su un piano molto diverso.

IL SANGUE

Il sangue costituisce l’elemento fondamentale nel


simbolismo della vita: a esso sono legate molte tradizioni e
non c’è religione che non affidi al sangue un valore
importante, sacro. Sono quindi comprensibili i motivi che
hanno condotto alla formazione di numerose leggende
intorno a questo liquido di vita.
“Chi sparge il sangue di un uomo, per mezzo di un uomo
il suo sangue sarà sparso”, avverte il Vangelo di Giovanni
(9,4-6), specificando che il sangue appartiene a Dio e
versarlo o impossessarsene rappresenta un’infrazione che
pone il colpevole in un gorgo di malvagia perversione da cui
non potrebbe più sollevarsi. Bere il sangue di un altro essere
umano, come nel mito del vampiro, corrisponde a
impossessarsi della sua anima, vincolandone per sempre lo
spirito: “Non mangiare il sangue, poiché il sangue è la vita,
e non mangerai la vita con la carne” (Deuteronomio 12,23).
Il sangue “che è la vostra anima viva” (Giobbe 7,32),
oltre a contenere quindi l’energia vitale di ogni essere, è
anche il “luogo” della sua particolarità e impossessarsene,
rispondendo alla pulsione primigenia di divorare, priva la
vittima dell’autonomia che la rende umana.
All’origine della credenza vi è comunque un complesso
meccanismo simbolico. In tutte le culture, supportate da
tendenze religiose anche molto diverse, la rossa linfa è
portatrice di forza vitale, in essa può essere riposta l’energia
primitiva, come testimoniano le tradizioni rituali delle
popolazioni guerriere. Quindi il sangue rigenera, offre
l’humus più fertile per dare vitalità ai corpi in cui defluisce.
Proprio per la sua sacralità, il sangue è diventato il
principale elisir di vita e, nell’interpretazione leggendaria
medievale, elisir di giovinezza.
Attraverso l’ottica magico-superstiziosa, il sangue è quasi
sempre l’unico mezzo che permette a chi lo beve di
superare la propria natura e conservare integra la propria
vitalità, sottraendosi così ai limiti dei comuni mortali.
Di certo secoli di tradizioni e di miti hanno creato intorno
alle credenze sul sangue una serie di superstizioni in cui
sacro e profano convivono, spesso dando forma a
interpretazioni colme di sincretismo.
L’assunzione rituale del sangue, che nel Cristianesimo si
concretizza nel simbolo dell’Eucarestia, nell’antichità era la
parte determinante di numerose cerimonie. Per esempio i
culti di Cibele, celebrati nella Roma imperiale all’interno del
Phrygianum, imponevano che il neofita iniziato si coricasse
in una fossa sulla quale era fatto colare del sangue
proveniente da un toro sgozzato.
Così Prudenzio (IV secolo), nel Peristephanon, descrive
l’iniziazione:
La rugiada di sangue cola nella fossa attraverso le numerose fessure del
legno. L’iniziato espone la testa, gli abiti e tutto il corpo, che ne vengon
cosparsi, alle gocce che cadono. E s’inarca per far bagnare la faccia, le
orecchie, le labbra, le narici; e si riempie di liquido gli occhi e la bocca e
bagna la lingua col sangue e lo beve avidamente.

Simbolicamente l’iniziato aveva modo di assimilare


un’energia purificante che determinava una sorta di
rinascita non solo spirituale, ma anche fisica. Tradizioni
analoghe sono una prerogativa di molte altre religioni, in
cui, anche se espresse con modalità diverse, i fini evocativi
non cambiano.
Nell’ambito delle pratiche magiche, pur non variando
eccessivamente la propria traiettoria simbolica, il sangue
era un componente del rituale consacrato al male. Basti
pensare alle credenze sul sabba delle streghe in cui, quasi
sempre, il sangue di vittime innocenti (nella maggioranza
dei casi bambini) era utilizzato per filtri e prodotti magici
alla cui preparazione interveniva il diavolo.
Spesso il compenetrarsi di elementi molto diversi ha fatto
sì che affrettate valutazioni esoteriche e ipotesi magiche
abbiano finito per sedimentarsi anche nelle primitive
pratiche terapeutiche.
Il sangue fu spesso utilizzato come panacea ma senza
regole precise, diffondendosi presto nella medicina popolare
e nella superstizione.
Bagni nel sangue umano erano consigliati per
combattere la lebbra: l’effetto sarebbe stato garantito
qualora si fosse fatto ricorso alla linfa vitale di bambini e di
giovani vergini. Questo lavoro cruento, sotto certi aspetti,
stravolgeva il rituale battesimale cristiano, ponendo sulla
scia della tradizione satanica tutte quelle forme
parascientifiche che avevano nel sangue il loro principale
elemento terapeutico.

I pipistrelli vampiri, da un’antica incisione

L’identità sangue-vita è sostanzialmente un imperativo


della cultura antropocentrica e ha una propria consistenza
simbolica in numerosi atteggiamenti caratterizzanti l’homo
religiosus.
Nella tradizione babilonese l’uomo nasce dal sangue del
dio Bel; dal gigante vedico Parusa prende forma il primo
essere vivente; dal sangue di Medusa sorge Pegaso; nel
Sacro Graal era conservato il sangue di Cristo e, secondo la
tradizione medievale, bere da questa coppa avrebbe
assicurato l’immortalità.
Omero fa bere del sangue alle anime dei defunti per
permettere loro di riacquisire la memoria. La separazione
dal primitivo ruolo sacrale ha condotto a interpretazioni del
tutto prive della funzione rituale, determinando azioni
dominate dalla mera ricerca dell’improbabile elisir per
distruggere lo spettro antico della vecchiaia.
La letteratura ha contribuito a diffondere questa
tradizione, creando intorno ad alcuni personaggi storici
un’aura terrificante, ponendoli così fra i divoratori di sangue,
che era ricercato in quanto era l’unico mezzo per
oltrepassare i limiti dell’umano.
Uomini e donne che, secondo le cronache del passato,
praticavano forme di vampirismo positivo (cioè si nutrivano
di sangue prelevato a vergini e bambini), sono meno rari di
quanto si possa ragionevolmente ipotizzare. Di certo la
leggenda e le ricostruzioni letterarie hanno spesso stravolto
l’autentica dimensione dei fatti, determinando per alcuni
personaggi una tradizione demonizzante del tutto priva di
coerenza storica.
L’insaziabile “sete di vita” del vampiro non fa altro che
evidenziare lo status di spettro caratteristico di queste
creature senza pace, alla ricerca di una possibilità per
riacquisire il primitivo stato di vivente. Pertanto nella loro
condizione, accomunabile a quella degli spettri, i vampiri
non hanno un’immagine e sono destinati a scomparire
prima del sorgere delle luci dell’alba: “Gli uomini giusti
prevarranno su di essi, al mattino svanisce la loro
immagine” (Salmi 49,15).
A causa dei suoi presunti princìpi terapeutici, il sangue è
stato utilizzato, nella magia popolare, come elemento per
filtri e pozioni, ma la sua affermazione ha raggiunto notevoli
livelli soprattutto sul piano mitologico, mentre su quello
pratico le cose sono molto diverse.
Non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda il
sangue mestruale, materia largamente utilizzata nelle
superstizioni, perché dotata di una forza soprannaturale,
spesso posta in relazione alla magia amorosa.
Si tenga conto che, nelle grandi religioni del passato, la
donna mestruata era considerata impura e a essa erano
negate molte attività, poiché si credeva che avesse modo di
danneggiare diversi equilibri naturali.
Il tema delle pratiche superstiziose formatesi intorno al
mestruo presenta un panorama ampio e articolato, che
trova affermazioni in molti Paesi. In genere il primo sangue
mestruale era considerato una sorta di panacea contro
molte malattie, alcune delle quali gravissime. Nella magia
d’amore si consigliava di mettere delle gocce di sangue
mestruale in una bevanda. Il primo uomo che ne avesse
bevuto si sarebbe innamorato perdutamente della donna
dalla quale proveniva quell’insolito e orrido filtro.
In genere, però, il sangue mestruale è considerato una
sostanza dotata di grande potenza distruttiva: la donna
mestruata trasformerebbe il vino in aceto e farebbe cagliare
il latte, non farebbe lievitare il pane e farebbe appassire i
fiori recisi; inoltre un po’ di quel sangue gettato ai piedi di
un albero lo farebbe inaridire in breve tempo. In continua
contrapposizione tra bene e male, tra salute e malattia, il
mestruo occupa ancora oggi una posizione importante nelle
superstizioni. La magia popolare fa spesso uso di questa
sostanza, proponendo un atteggiamento nei confronti
dell’esistenza che ci fa ritornare alle oscure pratiche
magiche di un passato che credevamo lontano nel tempo.

I PIEDI

“Alzarsi con il piede sbagliato” è un modo di dire


abbastanza diffuso che evidenzia soprattutto la necessità di
“giustificare”, secondo il metro interpretativo della
superstizione, le cause dei nostri malesseri e disagi
quotidiani.
CREDENZE SUI PIEDI
Gli aspetti simbolici che fin dall’antichità hanno caratterizzato il piede sono
stati determinanti per la formazione di numerose credenze. Ricordiamone
alcune:
Il prurito del piede annuncerebbe un viaggio imminente.
Il secondo dito più lungo del primo è indice di cattivo carattere.
L’arco del piede molto sollevato è segno di nobili origini.
Il piede piatto è considerato un segno di cattivo auspicio.

Tutti sappiamo che è necessario posare per primo il piede


destro, perché in caso contrario la giornata andrebbe male.
Operazione non sempre facile, se ci si può alzare solo dal
lato sinistro: per esempio se il letto ha il lato destro contro
una parete. Ma pur ammettendo di riuscire a trovare una
scappatoia, resta la domanda basilare: perché il piede
sinistro è sbagliato?
Parte della causa è da imputare alla negatività
riconosciuta alla sinistra, da considerare in relazione al ruolo
simbolico del piede. In genere il piede è considerato la parte
del corpo che, per il suo naturale contatto con la terra e per
il suo fondamentale ruolo nell’equilibrio, può meglio
“sentire” il rapporto con il sacro, diventando elemento
privilegiato di connessione.
Basti pensare alla tradizione islamica di togliersi le
scarpe prima di entrare in una moschea. Una forma di
rispetto che può anche essere vista come apertura nei
confronti della rivelazione divina.
L’atto rituale di togliersi le scarpe è presente anche negli
altri grandi monoteismi: ne abbiamo conferma per esempio
nella tradizione biblica: “Non avvicinarti, togliti i sandali dai
tuoi piedi, perché il luogo sul quale stai è un luogo santo”
(Esodo 3,5).
Ma anche nell’invito ai 70 discepoli, da parte di Cristo, di
andare per il mondo a predicare scalzi (Matteo 10,10; Luca
10,4) si riafferma quest’importante concetto. Nelle credenze
di molti Paesi, anche lontani, il piede occupa una posizione
rilevante: la forma, l’azione di pestare ecc. sono “segni” da
cui vengono spesso tratti molti auspici. Si dice che i patrizi
romani disponessero uno schiavo nel vestibolo delle loro
abitazioni, perché avvertisse i visitatori di entrare con il
piede destro: entrare con l’altro corrispondeva a una
prossima sventura.
Anche il piede, benché in misura minore della mano, può
essere segno del potere: in particolare quando poggia su
corpi o effigi, per affermare così il proprio predominio. Il
tema è rintracciabile nell’Antico Testamento (2° Libro di
Samuele 22,39; 1° Libro dei Re 5,17; Salmi 18,39) e trae
origine dalla cultura egizia e mesopotamica, in cui i sovrani
vincitori erano raffigurati con i piedi sul collo dei nemici
battuti. Poggiare il piede su qualcosa o su qualcuno è quindi
segno della propria superiorità e del potere esercitato su ciò
che si schiaccia. A differenza della mano, che di fatto è
strumento determinante all’interno del rito magico, il piede
è simbolo di supremazia su ciò che calpesta.

I MANCINI

In passato si diceva che portasse male incontrare un


mancino, perché era una figura sospettata di essere in
relazione con il demonio. Oggi le cose sono cambiate, ma
esiste comunque una certa diffidenza intorno a quanti
utilizzano la mano sinistra con la stessa abilità con cui gli
altri si servono della destra.
“Ninive, quella grande città, nella quale sono più di
centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la
mano destra e la sinistra”. Da questo versetto del Libro di
Giona ci rendiamo conto che la suddivisione tra mancini e
destri ha una storia antica: probabilmente la discriminazione
tra i due arti era già diffusa in passato, destinata a produrre
reazioni e atteggiamenti che in gran parte sono per noi un
mistero.
I mancini meno giovani ricordano ancora con angoscia gli
anni delle elementari, in cui si utilizzavano mezzi anche
coercitivi (la mano sinistra legata dietro la schiena) per fare
in modo che il bambino usasse la destra. Essere mancini
non è mai stato facile, ha sempre costituito un elemento di
“alterità”, significava essere diversi, forse un po’ speciali, in
qualche caso più vicini alla sfera del diabolico. Sono
emblematiche le informazioni che derivano da alcuni
processi per stregoneria. Infatti essere mancine costituiva
per le accusate un ulteriore segno del loro legame con
Satana!
La strada da percorrere per abbattere le barriere culturali
che circondano ancora i mancini è comunque lunga.
Prendiamo, per esempio, l’etimologia. “Mancino” ha origine
nel latino mancus, che significa storpio, monco, con difetti.
Nel linguaggio corrente, mancino e sinistro sono aggettivi
utilizzati prevalentemente nella sfera della negatività: un
tiro mancino, un’atmosfera sinistra. Di contro, compiere
un’azione con abilità è segno di “destrezza”.
L’opposizione fondamentale destra/sinistra è un motivo
ricorrente nella tradizione religiosa e c’è anche chi sostiene
che gli anelli vadano portati sulla sinistra poiché
“esorcizzano” il potere negativo di questa mano: una forma
di superstizione che, molto più prosaicamente, potrebbe
invece aver origine nella necessità di rendere più agile la
mano destra impegnata nei lavori manuali.
Quando Robert Hertz (1882-1915), grande studioso della
scuola sociologica di Marcel Mauss, scrisse un famoso
saggio, La preminenza della mano destra. Studio sulla
polarità religiosa, domandandosi se il mancinismo fosse un
fenomeno biologico e culturale, c’era ancora nei confronti
dei “sinistri” un atteggiamento ghettizzante.
Oggi le cose sono completamente cambiate, però la
domanda non ha ancora trovato una risposta e, finora, le
scienze non sono riuscite a comprendere perché l’uomo
abbia deciso di scrivere e lavorare con la mano destra. Fino
a quando il quesito non sarà risolto i mancini continueranno
a essere “altri”, con il loro mistero.

I CLUB DEI MANCINI


I mancini hanno scelto di unirsi per essere più forti: così, in diversi Paesi,
sono nati i “Club dei mancini”. Tra i loro impegni programmatici: realizzare
una società in cui i mancini abbiano pari opportunità; favorire la conoscenza
del mancinismo presso il pubblico, per annullare la discriminazione;
informare insegnanti e genitori di mancini su come favorire l’apprendimento
senza far perdere la fiducia in se stessi; aiutare i mancini a vivere una vita
pratica più comoda, stimolando i produttori a disegnare accessori per la
mano sinistra. A questo proposito i club spesso dispongono di piccoli negozi
in cui si vendono oggetti appositamente creati per chi usa la mano sinistra:
cavatappi, apriscatole, pelaverdure, penne stilografiche, coltelli da cucina,
righelli e metri, temperamatite, pentolini ecc. Oggetti indispensabili a cui i
“destri” non pensano; spontaneamente ci chiediamo: ma come può, per
esempio, un coltello essere mancino? Quando si taglia con un coltello da
cucina, il movimento naturale della mano spinge il lato tagliente del coltello
verso l’interno, verso il centro del corpo. Molti coltelli hanno la lama
seghettata lateralmente che aiuta a contrastare questo effetto,
consentendo un perfetto taglio verticale. Un coltello “normale”, per
consentire questo effetto, è seghettato sul lato sinistro della lama, il coltello
per mancini è seghettato su quello destro. Ma gli oggetti speciali possono
essere moltissimi: si va dagli strumenti da cucina al boomerang…
“Grandi scienziati e grandi artisti erano mancini”, assicurano nei club, dove
spesso spicca un ritratto di Leonardo, preso a emblema della categoria; ma
furono mancini, fra gli altri, anche Nietzsche, Goethe, Beethoven, Chopin,
Paganini.

LA MANO

La mano è una parte del corpo fondamentale a cui si lega


un complesso simbolico molto articolato: accanto alla sua
funzione dinamica, c’è quella connessa al rito e al sacro.
Di certo il simbolo della mano raccoglie molte valenze
connesse alla creazione: per lo psicanalista Carl Gustav Jung
la mano sarebbe la rappresentazione concreta della potenza
fecondatrice, attraverso di essa sarebbe così possibile
trasmettere l’energia da cui tutto prende vita. Per esempio,
tra le popolazioni dove lo sciamanismo è ereditario, alla
morte del padre il figlio modella una mano di legno delle
dimensioni di quella del genitore e attraverso questo
strumento ottiene i poteri soprannaturali.
Non dimentichiamo che,
fin dalla preistoria, la mano
era simbolo dell’aggressività
e della caccia, occupazioni
dominate dalla violenza e
dalla forza, che hanno nella
mano la loro espressione più
vivida, destinata, ogni volta,
a conoscere ulteriori
caratterizzazioni attraverso
la gestualità.
In generale la mano è
simbolo di potenza e
regalità, come risulta anche
nella tradizione biblica; ma è
nel Nuovo Testamento che
questo tema incontra la
propria effettiva espressione simbolica (Luca 1,66; Giovanni
10,29; Atti degli Apostoli 11,21; 13,11) diventando, com’è
noto, l’emblema di quell’energia capace di resuscitare i
morti, di guarire i malati e di impartire la benedizione.
Tale funzione si ritrova nell’iconografia (e non solo quella
cristiana) che si è servita ampiamente della mano, nella
maggior parte dei casi benedicente, per sottolineare la
divinità di un soggetto.
Nella tradizione cabalistica, la mano sinistra di Dio è
quella della giustizia, la destra quella della misericordia.
Anche le sostanziali differenze tra la mano sinistra e la
destra sono fondamentali all’interno delle religioni e delle
culture tradizionali, in quanto l’opposizione sinistra-destra
riverbera il dualismo positivo-negativo.
La mano riveste un’importanza notevole nelle pratiche
rituali – che si tratti di superstizione o di religione – perché
contiene la forza di produrre segni e gesti che facilitano lo
svolgimento di una certa pratica, focalizzano l’attenzione
dell’osservatore e ne orientano lo sguardo. Ma anche la sua
staticità – per esempio la mano di Fatima – diventa segno
concreto della presenza dell’essere superiore che protegge,
governa e controlla attraverso il simbolo del suo potere: la
mano. Essa è depositaria del mistero dell’esistenza, dei
segreti della vita: nel suo palmo è scritto ciò che è stato e
ciò che sarà, e in esso è anche contenuta l’energia che
attiva l’azione magica: un’energia misteriosa capace di
guarire e di ridare la vita.
Non è casuale che molte tradizioni popolari si riferiscano
spesso a impronte lasciate da divinità o personaggi
straordinari, in occasione delle loro apparizioni in diversi
periodi dell’anno. Per esempio la Brigit irlandese, nelle sue
incursioni notturne, lascerebbe impronte di mani all’interno
delle case che avrebbe scelto di porre sotto la sua
protezione. Sono tante le informazioni che, secondo la
superstizione, è possibile trarre dalla mano: il prurito della
destra indica l’approssimarsi di un imminente guadagno; di
contro, se a prudere è la sinistra, il fenomeno sarà opposto.
Porta male stringere la mano sinistra e, se due persone si
lavano contemporaneamente le mani nella stessa acqua,
molto presto litigheranno violentemente.
Secondo l’antropologia criminale positivista, che si
affermò tra Ottocento e Novecento, il delinquente presenta
caratteristiche anatomiche e fisiognomiche direttamente
collegabili alla sua anomalia morale: certi suoi aspetti fisici
evidenzierebbero la predisposizione per un certo tipo di
crimine. Oggi questa interpretazione è ampiamente
superata e le ipotesi relegate nel campo della superstizione.

L’ESADATTILIA
Da sempre l’uomo considera straordinari – positivamente
o negativamente – gli esseri diversi. Folletti, uomini
selvatici, ibridi ed extraterrestri sono spesso contrassegnati
da sei dita, preferibilmente nelle mani. Ma tali
caratteristiche non sono una prerogativa dei personaggi
leggendari: a volte le si ritrova nelle raffigurazioni di
evangelisti, profeti e santi.
L’esadattilia non è un’anomalia sconosciuta alla scienza,
anche se è piuttosto rara; da sempre questa particolarità ha
comunque determinato la formazione di credenze e
superstizioni.
In passato, chi possedeva un numero di dita superiore a
quello canonico generalmente era considerato in rapporto
con le creature dell’ombra e, spesso, era indicato come
strega o eretico. Sulla demonizzazione dell’esadattilia
abbiamo una testimonianza anche nella Bibbia: “Vi era un
uomo di grande statura che aveva sei dita per ogni mano e
sei dita per ogni piede, in tutto ventiquattro; anch’egli
discendeva da Rafa. Oltraggiò Israele, ma Gionata, figlio di
Simeià, fratello di Davide, lo abbatté” (2° Libro di Samuele
21,20).

“LEGGERE” LE DITA
La forma delle dita consente di trarre auspici sul futuro e sulla personalità:
le dita lunghe sono segno di fortuna; quelle corte di sventura. Se una
persona ha il medio e l’indice lunghi uguali bisogna stare in guardia: si
tratta di un essere poco raccomandabile! Un mignolo incurvato è simbolo di
ricchezza, mentre un pollice largo indica disonestà.

LE UNGHIE

Non vanno dimenticate le importanti indicazioni che è


possibile trarre dalle unghie: una parte del corpo a cui la
superstizione ha riconosciuto molti valori simbolici.
La più emblematica superstizione sulle unghie è quella
che vieta di disperderne i ritagli, perché potrebbero essere
prelevati da persone che li utilizzerebbero per fare fatture.
In ogni caso la tradizione popolare vieta di tagliarle il
venerdì e la domenica: porta molto male ed è un modo per
accorciarsi la vita.

LA FORZA DEI DENTI

L’immagine del guerriero o cacciatore tribale con tanto di


collana di denti e zanne appartiene a una certa iconografia
ormai stereotipata, che in gran parte ha stravolto l’autentica
fisionomia della figura del “primitivo”.
Le chiavi di lettura per cercare di penetrare l’universo
simbolico del dente sono numerose e conducono a
interpretazioni diversificate.
Non siamo in grado di stabilire quale fu, all’alba dei
tempi, l’atteggiamento dell’uomo nei confronti dei denti;
però, quando alcune parti del corpo erano ancora
considerate in relazione con il soprannaturale, certamente vi
doveva essere uno strano rapporto con queste armi naturali
che, più di ogni altra parte del corpo, accomunavano
l’essere evoluto all’animale.
La presenza di collane di zanne rinvenute nelle tombe del
Paleolitico lascerebbe supporre una sorta di sacralizzazione
dei denti, il cui forte potere distruttivo, nella coscienza
animistica preistorica era, per così dire, rimasto all’interno
di un incisivo strappato a una vittima feroce.
Osservando gli atteggiamenti rituali, che la cultura ha
creato intorno ai denti, notiamo sostanzialmente tre
espressioni simboliche ben definite:
i propri denti si consideravano provvisti di un’energia
vitale che rasentava l’immortalità, e di conseguenza non
erano dispersi;
i denti di altri, uomini o animali che fossero, erano usati
per ciò che rappresentavano (forza, potere, legame con
la divinità);
i denti svolgevano un’importante funzione iniziatica.

Il primo punto presenta caratteristiche piuttosto note e


che si sono mantenute nel tempo, risultando ancora
presenti nella cultura occidentale. Ci riferiamo a quella sorta
di tabù che consiglia di non buttare mai via i denti. In molte
culture questa regola ha assunto una valenza quasi
religiosa, al punto che denti, unghie e capelli erano sempre
conservati in buche o anfratti, per fare in modo che il
legittimo possessore, quando fosse morto, potesse
recuperarli. Anche la tradizione che insegna ai bambini a
nascondere sotto un bicchiere il dente appena caduto,
perché il topolino, un ragnetto o la fata, durante la notte, lo
possano portar via lasciando al suo posto un piccolo dono, è
giunta fino a noi. Forse questa forma è sopravvissuta perché
è limitata al territorio dei fanciulli, più magico.
Al di là del valore ludico rivestito da questa forma
popolare di mitologia, relegata oggi al solo livello infantile
(ma, come abbiamo visto, con espressioni più adulte nelle
culture primitive), esiste comunque una memoria rituale più
antica, che affonda le proprie radici ancora nella magia.
In molte culture si credeva che la caduta dei denti fosse
una forma di punizione divina, inflitta a quanti avevano
infranto il tabù che vietava a chi aveva sepolto un morto di
toccare il cibo con le mani. Nell’Africa occidentale i denti di
un capo morto erano un potente talismano contro le piogge,
mentre per alcune popolazioni dell’Oceania i denti degli
antenati erano parte dei culti solari.
Anche il punto in cui si formava un dente era
un’occasione per formulare pronostici. Per non parlare dei
bambini che nascevano con alcuni denti: venivano
immediatamente indicati come creature diverse dalle altre,
in rapporto con il mondo soprannaturale.
La credenza di attribuire poteri soprannaturali ai denti di
alcune creature, animali in particolare, è ampiamente
presente in numerose culture: ne sono conferma, per
esempio, la collana di denti di lupo o di orso e la semina dei
denti di drago; nel folclore abbiamo tracce concrete della
conservazione di questa tradizione nella farmacopea della
medicina empirica.
La polvere di dente di lupo era un ottimo energetico,
mentre i fung-lung-scih (bianchi e grossi denti di drago),
abilmente trattati dai farmacisti cinesi, secondo ricette
millenarie, erano un ottimo afrodisiaco. Anche per curare il
mal di denti erano adottati sistemi empirici, che andavano
da strane applicazioni di radici di asparagi sul dente
dolente, fino a rituali intrisi di paganesimo, come quello che
consigliava di inchiodare un ciuffo di capelli e delle unghie
sulla porta di casa di chi era colpito dal dolore.

IL PRURITO
Alcune manifestazioni del corpo sono interpretate dalla moderna
psicoanalisi come segni di nervosismo o di disagio interiore. Per esempio il
prurito, oppure inciampare, sbadigliare o spostare un arto senza motivi
apparenti, sono spesso ritenuti sintomi di malessere collegato alla sfera
dell’inconscio e alle sue molteplici sfaccettature. Prima che la psicoanalisi
considerasse queste manifestazioni dei segni psichici attraverso i quali il
nostro cervello cerca di mandarci dei messaggi, la superstizione aveva
provato a interpretarli, cercando di vedere in essi un’espressione quasi
profetica da cui trarre auspici sugli eventi futuri.
Per la superstizione il prurito può essere visto positivamente o
negativamente, ma si tratta sempre di un avvertimento preciso. Può
annunciare spese se a prudere è la mano; visite, se a richiedere di essere
grattati sono i piedi. Il prurito al naso indica un’imminente avventura
galante, mentre quello ai capelli che qualcuno ci sta pensando
assiduamente.

Vi erano poi espressioni sincretistiche, come quella


suggerita da Alberto Magno nel suo Nei meravigliosi segreti,
che indicava come panacea contro tutti i tipi di dolore ai
denti la richiesta di elemosina per san Lorenzo.
Oppure ci si rivolgeva a san Leonardo con questa
preghiera:
San Leonardo per il mare andava
la Vergine Maria lì lo incontrava
che fai san Leonardo? Che vai piangendo?
Per il dente che duole vo piangendo!
Se è il dente possa cadere!
Preghiamo Dio e la Vergine Maria
che il dolore dei denti vada via.

Nella cultura moderna i denti hanno perduto il loro


significato rituale diretto, e sono ancora considerati canali
privilegiati di comunicazione simbolica, in particolare
quando compaiono in sogno.
Infatti sognare i denti è sempre di cattivo auspicio, e
perderli, nel dedalo onirico, corrisponde all’annuncio della
morte di un familiare.
Secondo la psicoanalisi, invece, questo sogno
corrisponde alla paura della castrazione.

I CAPELLI

Sono numerose le superstizioni intorno ai capelli. Si


consiglia di non lasciare in giro quelli tagliati, poiché
potrebbero essere oggetto di magia e di fattura; l’ideale
sarebbe distruggerli con il fuoco, e quindi disperdere le
ceneri.
Una credenze contadina afferma che, se dei capelli
tagliati fossero stati presi dai topi per la fabbricazione della
loro tana, lo sfortunato da cui provenivano sarebbe
destinato a soffrire di forti emicranie fino a impazzire.
Un’antica credenza ha creato l’equazione: tanti capelli =
tanta forza, come indica la biblica figura di Sansone; di
contro, la mancanza di capelli è indicata come un segno di
debolezza.
Anche le tecniche della medicina popolare per far
ricrescere i capelli perduti non vanno al di là della
superstizione e, in genere, non consentono risultati
miracolosi. Contro i capelli bianchi non c’è nulla da fare;
strapparli appena compaiono non serve perché, per ogni
capello strappato, ne cresceranno altri sette.
Per i capelli rossi non c’è pietà. Infatti, in passato, chi
aveva i capelli rossi era considerato un adepto del diavolo.
Durante la caccia alle streghe molte persone furono
accusate di avere rapporti con Satana solo per quell’insolita
particolarità. Ancora oggi c’è chi crede che i “rossi” siano
più cattivi degli altri.

I NEI PER BATTISTA DELLA PORTA


Anche dall’apparentemente insignificante presenza di nei sul corpo la
superstizione e, in passato, la magia e l’esoterismo, hanno tratto indicazioni
simboliche. Per esempio Giovan Battista Della Porta (1535-1615) dedicò un
capitolo del suo monumentale lavoro Della fisionomia dell’huomo alle
“Congetture per i nei che si veggono in faccia in qual parte del corpo stieno
gli altri”. Ecco alcuni frammenti indicativi del suo scritto:

Non sarà molto alieno dal nostro proposito apportar qui alcuna
cosa de’ nei; over da’ segni che si veggono in faccia indovinar
quelli che sono nascosti nella persona, per la corrispondenza che
hanno tra loro. Certo cose piacevoli e non disutili, le quali avendole
esperimentate e ritrovate vere, queste regole ho poste qui […] Chi
ha un neo nella milza o sotto il ventre, sarà sempre infermo.
Melampo: il collo corrisponde con le gambe; così le braccia con i
piedi. Alì: se se ne vedrà uno nella gola, ne sarà un altro nel destro
lato del petto. Ma Melampo dice: dove finisce il ventre. Dice ancora
Alì: uno nelle mani, un altro nella verga. Ma un neo nelle mani
dell’uomo o donna, dimostra fecondità; ma la femina farà femine, e
l’uomo maschi. Nella parte di sovra, dove è il core, un neo
nell’uomo o nelle zinne nella femina, giudicherai cattivo. Nel
genocchio destro della femina è buon segno, nel sinistro di
fecondità. Sappisi oltre questo, che nella parte destra tutti
significano felice sorte, il contrario nella sinistra.
FENOMENI ATMOSFERICI

Il cielo è il luogo della divinità, ma anche di ciò che è


sconosciuto, spazio delle inquietudini che si racchiudono nei
simboli del mistero.
Da sempre poniamo nel cielo la dimora di entità
straordinarie: gli uomini della preistoria cominciarono a
guardare i grandi spazi azzurri con la consapevolezza che
lassù vi fosse qualcuno o qualcosa che sapeva fare cose
negate ai comuni mortali; le religioni dei millenni successivi
hanno istituzionalizzato quella presenza chiamandola Dio. E
in seguito, seguendo l’evoluzione, culturale e tecnologica,
che ha mutato il primitivo cuore di colomba degli uomini, il
cielo è diventato specchio delle nostre speranze, delle
nostre angosce, delle nostre paure. Tra il carro infuocato di
Elia e le astronavi extraterrestri in fondo non c’è tanta
differenza, sul piano culturale: il cielo è sempre il “luogo
altro” dal quale giungono segni e indicazioni che, in qualche
modo, ci inducono a pensare o, quanto meno, ci invitano a
guardare con maggiore attenzione allo scorrere inarrestabile
delle nostre esperienze sulla Terra.
Eclissi di Luna sopra un vulcano fumante

Dalle manifestazioni celesti l’uomo ha sempre tratto dei


segni e delle indicazioni attraverso le quali prevedere eventi
futuri e prossime sventure.
Una testimonianza emblematica è costituita da Il libro dei
prodigi di Giulio Ossequente, che riporta le notizie su fatti
strani e insoliti verificatisi dal 190 all’11 a.C. nell’Impero
Romano: si parla di eventi di probabile origine cosmica o
astronomica (cadute di strani corpi dal cielo, piogge
meteoritiche, eclissi ecc.), visioni celesti (oggetti volanti di
diversa forma), eventi di origine biologica e terrestre.
Ciò che rende particolarmente significativo e attuale
questo libro è il fatto che a ogni fenomeno celeste sono
correlati eventi secondari: nascite mostruose, carestie,
epidemie ecc. Ecco che il cielo diventa quindi un luogo in
cui, attraverso il meccanismo simbolico dell’allegoria,
l’uomo legato alla visione superstiziosa del mondo trae dei
significati, interpretando il futuro.
LE COMETE

Le comete meritano un posto d’onore fra gli eventi


celesti che, fin dall’antichità, sono diventati oggetto di
superstizioni. Il nome “cometa” deriva dal greco chiomata,
che significa “stella con la chioma”. Secondo Diogene
Laerzio (II secolo), le comete sarebbero apparse in
concomitanza all’assunzione in cielo delle anime dei grandi
personaggi. Tale interpretazione è stata valida dall’età di
Alessandro Magno (III secolo a.C.) fino all’apogeo
napoleonico, che fu posto in relazione al passaggio della
cometa del 1811.
Una testimonianza del modo in cui erano considerate le
comete nel Medioevo, è rintracciabile nelle parole dello
storico Nicete (1182):
Una cometa è apparsa nel cielo, simile a un serpente luminoso, ora si
ripiegava su se stessa ora, con grande spavento degli spettatori,
appariva una vasta gola; si sarebbe detto che, avida di sangue umano,
fosse sul punto di saziarsene.

Un simile atteggiamento nei confronti del nefasto


significato della cometa è presente anche in una
testimonianza del secondo quarto del XVI secolo, come
riporta Francesco Grisi nel libro Il Natale. Storia e leggenda
(Roma 1988) e in cui la stella è descritta in questo modo:
Terribile, così spaventosa, da generare un grandissimo terrore al volgo,
tanto che alcuni morirono ed altri si ammalarono […] questa cometa era
color sangue; alla sua sommità si distingueva un braccio curvo che
teneva una grande spada come se avesse voluto colpire. All’estremità
della punta c’erano tre stelle. Ai lati dei raggi di questa cometa, si vedeva
un gran numero di asce, di coltelli, spade colorate di sangue tra le quali
c’erano molte orride facce umane con le barbe e i capelli irti.

Ma se nel passato il popolo e gli astrologi, assegnando


vari significati alla coda luminosa della cometa, presagivano
catastrofi prossime, gli scienziati non mancarono di
osservare questi eventi con maggiore razionalità.
Con il loro corredo di paure ataviche, sorte soprattutto
dalla scarsa conoscenza del fenomeno, le comete furono,
nella maggior parte dei casi, guardate come tragiche
annunciatrici di nefasti avvenimenti. Spesso associate a
paure apocalittiche, le comete erano indicate dai predicatori
del Medioevo come “segno” dell’ira divina e annuncio di
imminenti punizioni.
Anche se la loro composizione è ancora materia di
dibattiti, sappiamo che non sono corpi solidi, ma
probabilmente composti da particelle di ghiaccio e gas, con
una densità inferiore di milioni di volte a quella dell’aria
terrestre. La lunga coda è composta di gas e polvere espulsi
dalla testa sotto l’effetto della radiazione solare. Non
emettono luce propria – fatto spesso dimenticato – ma
riflettono quella solare, perdendo luminosità quando si
avvicinano alla Terra.
Al di là delle loro caratteristiche termico-fisiche, dominio
degli astronomi, i popoli hanno visto in questi segni celesti
precise indicazioni per conoscere gli avvenimenti futuri.
Spesso le comete sono indicate come veri e propri mostri
nelle raffigurazioni e nelle descrizioni antiche.

UNA COMETA ANNUNCIATRICE DI PACE


In diretta opposizione alle credenze superstiziose, è la cometa che annunciò
la nascita di Cristo. Dal Vangelo apprendiamo che i Magi, quando giunsero
davanti a Erode per chiedere se era a conoscenza del luogo in cui era
venuto al mondo il Messia, dissero al sovrano: “Dov’è il neonato re dei
giudei? Poiché abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti ad
adorarlo” (Matteo 2,2). In seguito è scritto: “Ed ecco, la stella che avevano
visto in oriente li precedeva, finché non andò a fermarsi sopra il luogo dove
si trovava il Bambino. Al vedere la stella furono pieni di straordinaria
allegrezza” (Matteo 2,9).

L’archeologia e le fonti letterarie del passato ci offrono


dettagliate descrizioni dei fenomeni celesti: gli astronomi
sono così stati in grado di ripercorrere la storia di alcune
comete fino al II millennio a.C.
Testimonianze storiche per esempio provengono dalla
Tavola Planetaria di Berlino, che contiene un papiro egizio in
cui sono riportati esattamente i movimenti dei pianeti dal 17
a.C. al 10 d.C.; altri contributi sono contenuti nell’Almanacco
stellare di Sippar, una tavoletta con scrittura cuneiforme
neobabilonese, che riporta i movimenti e le conformazioni
stellari dell’anno 7 a.C.
La mitica Halley è presente nell’opera enciclopedica dello
studioso cinese Ma Tuanlin (240 a.C.); ma, com’è noto, dopo
i calcoli di Edmond Halley (che nel 1601 scoprì l’omonima
stella) oggi sappiamo che essa riappare nel cielo soltanto
ogni 76 anni.

QUANDO PIOVE E TIRA VENTO…

Per molto tempo i fenomeni atmosferici come la pioggia,


il temporale e la grandine furono considerati un effetto della
magia demoniaca attuata da streghe e maghi. Se il diavolo
avesse il potere di influenzare le condizioni atmosferiche,
causando tempeste, alluvioni e temporali devastanti, fu
spesso motivo di profonde dispute teologiche.
Tommaso d’Aquino (XII secolo) contribuì a dare una
definizione dei diavoli in grado di influenzare le condizioni
atmosferiche. Nella Summa theologica riconobbe due sedi
per gli esseri infernali: una appunto all’Inferno e l’altra
nell’aria, da dove potevano danneggiare gli uomini.
Già a partire dal IX secolo la Chiesa dovette far fronte
alla credenza popolare che riconosceva non solo al diavolo,
ma anche alle streghe, la capacità di produrre tempeste e
temporali.
Nel testo più emblematico su questa diffusa credenza, il
Liber contra insulsam opinionem de grandine et tonitruis, di
Agobardo di Lione (779-840), ognuno di questi fenomeni era
considerato possibile solo per volontà divina:
In queste regioni quasi tutti gli uomini, nobili o no, cittadini, vecchi e
giovani, ritengono che la folgore e il tuono possano obbedire al comando
degli uomini […] Dicono in effetti quando sentono il tuono e vedono la
folgore: Aura levatitia est. Se poi si chiede loro che cosa significhi aura
levatitia, confessano, con vergogna, a volte con rimorso, oppure
fiduciosamente, come nel caso degli ignoranti, che folgore e tuono sono
scatenati da incantesimi di uomini detti tempestarii.

Malgrado le equilibrate valutazioni della Chiesa, nella


cultura contadina questa credenza era molto diffusa perché
forniva un capro espiatorio al quale attribuire i danni di una
grandinata o di una pioggia insistente. Per contrastare il
potere dei tempestarii erano praticate “formule
antitempestarie” che consistevano nell’aspersione di acqua
benedetta e in benedizioni pronunciate bruciando l’olivo
benedetto. Inoltre erano utilizzati anche strumenti che si
ritenevano dotati di grande potere apotropaico. Le campane
erano il mezzo più noto; molte portavano incisa la scritta
tempestates fugo (metto in fuga le tempeste).

LE STELLE CADENTI
Le superstizioni che riguardano le stelle cadenti hanno alcune analogie con
quelle sulle comete. A differenza di queste ultime, però, quelle sulle stelle
cadenti sono circondate da un’aura positiva. Infatti in molti Paesi le stelle
cadenti sono considerate segni di fortuna e si crede che se si esprime un
desiderio prima della loro caduta oltre l’orizzonte, questo si realizzerà molto
presto. Poeticamente, molte culture sostengono che all’interno di ogni stella
cadente vi sia l’anima di un uomo in viaggio verso la Terra per entrare in un
neonato; questa credenza si lega alla tradizione secondo la quale quando
un uomo muore si accende una nuova stella.

All’avvicinarsi di un temporale, venivano fatte suonare e


si recitavano le preghiere contenute nel Rituale romanorum
che, in genere, era utilizzato nei riti di esorcismo.
L’approssimarsi della pioggia sarebbe annunciato anche
dal riacutizzarsi di dolori reumatici e dai disturbi prodotti da
calli e geloni: questa credenza è ancora oggi molto viva,
anche perché la moderna medicina ha dimostrato la
relazione esistente tra i cambiamenti atmosferici e alcune
patologie.
Il temporale, nel nostro immaginario, costituisce un
segno della collera celeste; inoltre, in linea con le credenze
tipiche della cultura popolare, l’aria è considerata uno
spazio ricco di spiriti e i temporali rappresentano una
concentrazione del potere di questi esseri soprannaturali. Il
fatto che a livello popolare si usi l’espressione “diavolo in
carrozza” per indicare il fulmine e il tuono, è una chiara
dimostrazione di quanto sia solido il rapporto tra il
temporale e l’universo demoniaco.
Le pratiche determinate a “interpretare” i fenomeni
atmosferici sono numerose, e trattano questi fenomeni
come un libro aperto sul quale leggere quali saranno gli
eventi futuri. Non mancano inoltre esperienze protettive,
che cercano di allontanare gli effetti indesiderati. Vi sono
però anche metodi destinati a produrre effetti contrari che,
secondo la superstizione, sono in grado di provocare la
pioggia, quando questa tarda a cadere sulla terra assetata
dalla siccità.
Già i Romani si avvalevano del lapis manalis, una pietra
che veniva fatta rotolare quando si voleva “chiamare” la
pioggia. Infatti, rotolando, la pietra produceva un suono
simile al tuono, che era considerato una forma di richiamo
per l’acqua.
Nel Medioevo la superstizione si amalgamava alla
religiosità: infatti, durante i periodi di siccità, processioni di
flagellanti e penitenti percorrevano le città chiedendo
l’acqua, la cui assenza era interpretata come una punizione
divina.
In alcuni Paesi la mancanza o l’eccesso di pioggia sono
attribuiti ad alcuni santi che, nella mentalità superstiziosa,
non avrebbero provveduto correttamente al bene dei fedeli.
Allora i santi vengono “puniti”: per esempio, nel caso di
carenza d’acqua, le statue del patrono sono poste al Sole o
in luoghi molto caldi; al contrario, se l’acqua è eccessiva, le
effigi sono poste dentro i pozzi. Si tratta di un’ultima eco
della magia simpatica di tradizione antichissima, che
governa, con la sua irrazionalità, numerose credenze
popolari che sono ancora oggi parte integrante del folclore.

LE TEMPESTE E I MARINAI

Fin dall’antichità marinai e pescatori hanno osservato


una serie di regole per fare in modo che il mare fosse
“controllabile”, o quanto meno fosse possibile prevedere le
sue furie, le sue mitiche creature. Per contrapporre ai
misteri del mare, dal quale dipende la loro vita, una solida
protezione, spesso i navigatori hanno elaborato credenze e
superstizioni mantenutesi inalterate per secoli, in qualche
caso per millenni. I marinai sostengono che, quando il mare
è in burrasca, l’onda più pericolosa sarà sempre la nona da
quando si inizia a contare. Già gli antichi avevano questa
convinzione, la chiamavano fluctus decumanus, e anche
Ovidio nei Fasti fa riferimento a quest’atavica tradizione.
Uomo a mare! Incisione di Hoffman (1988)

Per contrastare la furia del mare in burrasca potrebbe


servire gettare dell’aceto sui flutti, oppure puntare contro di
essi degli oggetti appuntiti (i coltelli sarebbero
particolarmente adatti), meglio se accompagnati da
preghiere e segni della croce.
Bartolomeo Crescenzio, capitano sulle galee del papa,
nella sua Nautica Mediterranea (1602) così descrive l’antica
superstizione:
I marinai creduli nelle cose infedeli, et nelle fedeli ostinatissimi, tengono
che svanisca [il mare in burrasca] prendendo un coltello dal manico
negro, et dicendo l’Evangelio di san Giovanni et il Pater nostre, senza dire
et in terra, et facendo tre croci in aria, et in ogni croce ficcando la punta
del coltello nel bordo del vascello. O empia et iniquissima superstizione,
ove il santo Evangelio si abusa, et il Pater noster si falsifica. Non
considerano questi meschini, che così come in terra dura si poco un
turbine, che in manco tempo, che essi non spendono in far questa offesa
alla Sacra Scrittura, egli vien meno, che parimenti dura pochissimo in
mare, ove la causa è la medesima et che tutte queste inventioni sono
ami con che il diavolo gli pesca, si che il diavolo gli pesca, sì come ancora
l’adorazione di sant’Ermo, che loro tanto credono, mentre la paura li
stringe.

L’autore fa riferimento a sant’Elmo, in particolare ai suoi


“fuochi”, vale a dire quelle strane e inquietanti fiammelle
che prima di un uragano, quando l’aria è ricca di elettricità
elettrostatica, avvolgono i pennoni della nave, creando
un’atmosfera densa di paura. Oggi la scienza spiega questi
fenomeni, ma indubbiamente trovarsi in mare aperto al
buio, mentre in lontananza urla la tempesta e con un coro di
fiammelle che si addensano sullo scafo sballottato dalle
onde, può rendere superstizioso anche il più razionale dei
naviganti.
Già nell’antichità questi fuochi erano oggetto di
superstizione e paura da parte dei marinai: una prima
testimonianza proviene dal viaggio degli Argonauti, ma ne
parlano anche Orazio, Ovidio, Euripide e Plinio.
Una superstizione diffusa tra numerosi pescatori del
Mediterraneo consiglia di annodare una corda tante volte
quanti sono i componenti dell’equipaggio: guai a sbagliarsi,
perché si determinerebbero effetti devastanti.
TUONI E FULMINI
Il tuono è stato spesso accomunato alla voce di Dio, venendo interpretato
come un segno preciso della collera divina, indirizzata dall’essere supremo
verso le fragili creature viventi.
La stessa cosa può essere detta per i fulmini: arma celeste, mortale, che fin
dall’alba della preistoria ha generato sentimenti di paura negli uomini.
Tradizionalmente si dice che un fulmine non cade mai nello stesso posto e
in molti Paesi d’Europa si utilizzano le “pietre del fulmine” per evitare di
essere colpiti da una saetta. In realtà si tratta di punte di selce lavorata,
quasi sempre di origine preistorica, montate come una medaglietta e
portate al collo, o poste in alcuni luoghi della casa.
La tradizione popolare afferma che solo l’ulivo e il cedro hanno la
prerogativa di essere indenni dai fulmini: questi sarebbero gli unici alberi
sotto i quali ci si può riparare durante i temporali senza correre alcun
rischio.
In passato era diffusa anche la superstizione che l’area in cui si era
abbattuto un fulmine doveva essere “purificata” con acqua benedetta e
preghiere: in caso contrario chi vi si fosse fermato prima di quel rito
avrebbe rischiato di contrarre gravi malattie.

In Spagna si narra che la bussola fu donata a un marinaio


dalla Vergine Maria, mentre i portoghesi sono certi che
l’unico grande aiuto per i marinai può giungere da un’effigie
di sant’Antonio da Padova conservata a bordo
dell’imbarcazione.
La presenza di un prete sulla nave è considerata di
cattivo auspicio; ma i marinai più anziani narrano che,
secondo la superstizione, anche imbarcare un avvocato
avrebbe causato brutte sorprese: le motivazioni di questa
superstizione sono però sconosciute.
Un gatto a bordo porta sfortuna, peggio se è nero.
In passato anche le donne erano di cattivo auspicio, ma
Plinio il Vecchio ricorda che potevano essere “utilizzate”
come strumento protettivo all’approssimarsi di una
tempesta esponendole nude al vento!
Catturare un albatros e lasciarlo morire sul ponte della
nave costituiva una specie di barbaro rito per garantirsi una
buona navigazione: pare che questa terribile usanza fosse
ampiamente praticata, come ha testimoniato il grande
poeta Charles Baudelaire in una bellissima poesia intitolata,
appunto, L’albatros.
Anche i topi che abbandonano una nave sono considerati
annunciatori di disastri: questa è una superstizione molto
diffusa e, pare, ampiamente verificata.
Molti pescatori, che avevano paura di ritornare a casa
con le reti vuote, praticavano uno strano rito in cui
superstizione e religiosità si amalgamavano: uno di loro
prendeva un piatto in cui poneva un cucchiaio di olio e uno
di acqua, poi lo roteava sulla testa di un collega recitando:
“Sant’Anna e santa Susanna, fate che la paura vada via nel
nome di Gesù, Giuseppe e Maria”. Poi il contenuto del piatto
era gettato in mare e con esso, simbolicamente, anche la
paura.
I pescatori dell’Adriatico, per essere certi che le nuove
reti portassero sempre tanto pesce, prima di usarle le
“battezzavano” con un singolare rito: invitavano un
bambino a bagnarle con la sua orina. Nel Mediterraneo, per
allontanare gli influssi negativi che potrebbero spaventare le
prede, si usa dipingere grandi occhi sulle prue delle barche;
si dice inoltre che quelle figure abbiano il potere di
respingere il malocchio originato dai pescatori invidiosi.
Sono tutti accorgimenti per cercare di riempire le reti, anche
se, come affermava Padron ’Ntoni nei Malavoglia: “Adesso i
pesci sono maliziati, ve lo dico io!”.

LA LUNA, I LICANTROPI E ALTRI MISTERI

Su un piano prevalentemente simbolico, la Luna è un


astro che racchiude nella propria ciclicità i riti della vita,
facendosi simbolo dell’esistenza umana, ma con l’aggiunta
di un’aura divina, dovuta alla sua inarrestabile ripetitività. I
miti connessi alla Luna, rintracciabili nella tradizione
popolare, sorgono da un substrato cultuale più antico,
scandito da rituali presenti solo in minima parte nel folclore
e nelle leggende. Altrettanto ricco di occasioni di riflessione
è il collegamento della Luna con la legge universale del
divenire, con l’iter iniziatico proprio di numerose cerimonie
studiate dall’antropologia. In fondo anche la semplice e
diffusa affermazione “avere la Luna” è, in effetti, una
dimostrazione molto chiara di quanta importanza venga
attribuita agli astri e ai moti del cielo. Nella cultura popolare
la Luna entra ovunque: praticamente tutti i cicli biologici –
dalla fecondazione al taglio dei capelli – e le attività pratiche
– dall’imbottigliamento del vino alla semina – sono regolate
da un calendario simbolico basato sulla Luna. Sono sempre
state moltissime le superstizioni che si sono andate via via
affermando intorno a questo enigmatico astro. Dormire ai
raggi lunari fa diventare sonnambuli, il fieno falciato con la
Luna crescente non piace agli animali, grattarsi i calli con la
Luna nuova li fa guarire ecc.

Occhio della Provvidenza, simbolo massonico

Sono centinaia le credenze che nei secoli hanno preso


forma intorno alla Luna; in genere si presta molta attenzione
alle fasi, cercando di effettuare alcune pratiche con la Luna
calante e di evitarne altre, che spesso variano nelle diverse
culture, dando origine a superstizioni tra loro anche in
contrasto. Uno tra i fenomeni che la superstizione ha da
sempre posto in relazione alla Luna è la licantropia, cioè la
presunta capacità di alcuni uomini di trasformarsi in lupi
mannari.
Dalle fonti più antiche si evince che la licantropia
avrebbe origine dalla mitologia greca, trovando in seguito
un proprio territorio molto fertile anche nella tradizione
nordica. Al di là dell’aspetto esclusivamente mitico e
letterario successivo, l’origine di questa credenza è da
ricercare nella vicenda di Licaone, riportata da Ovidio nelle
Metamorfosi (V, 209).
Ai nostri orecchi era già giunta l’infamia dell’età presente; e io sperando
che fosse menzogna, scendo giù dal sommo Olimpo, e come dio, ma
sotto sembianze umane, vado esplorando le terre. Sarebbe troppo lungo
elencare quanta empietà venne alla luce dappertutto; ciò che si diceva di
quell’infamia risultò inferiore alla realtà. Avevo attraversato il Menalo,
inospitale persino per i nascondigli delle fiere, il Cillene e i pineti del
gelido Liceo; da qui entro nella sede e nella reggia inospitale del tiranno
dell’Arcadia, mentre la luce del crepuscolo annunciava lentamente la
notte. Resi manifesto che era giunto un dio e la folla cominciò a pregare.
Licaone dapprima deride le pie preghiere, poi dice: “Con una chiara prova
saprò se costui è un dio, oppure un mortale. Né la verità potrà essere
messa in discussione”. Durante la notte, mentre sono sprofondato nel
sonno, si accinge a sopprimermi uccidendomi con mossa inattesa: questa
la ricerca della verità che lui preferì. Né si limitò solo a questo: con un
pugnale squarcia la gola di un ostaggio inviatogli dal popolo dei Molossi,
e cuoce una parte delle membra ancora palpitanti nell’acqua bollente,
un’altra parte le arrostisce dopo aver acceso il fuoco. Ma appena fece
imbandire con queste le mense, io, con la folgore della vendetta, feci
crollare la casa sui Penati degni del loro padrone. Atterrito fugge, e
ritrovatosi nel silenzio della campagna emette ululati e inutilmente cerca
di parlare; la sua bocca schiuma di rabbia, sfoga il desiderio dell’usuale
ferocia sugli armenti e ancora di sangue gode. Le vesti si tramutano in
pellame, in zampe le braccia; si trasforma in lupo, e dell’antico aspetto
conserva le tracce: la canizie è la stessa, stessa la violenza del viso, gli
occhi sfavillano ancora, la stessa immagine di ferocia.

Secondo la superstizione, le cause della licantropia


sarebbero dovute al maleficio, alla Luna, alla nascita nel
giorno di Natale, a gravi infrazioni religiose, a motivazioni
ereditarie (i figli dei preti diventerebbero lupi mannari), a un
oscuro rapporto con il diavolo.
Fra le altre cause che sarebbero all’origine della
licantropia, la fioritura dell’aconito: i fiori, se ingeriti,
innescherebbero il processo degenerativo destinato a
trasformare l’uomo in lupo. È importante notare che gli
aconiti sono un gruppo di piante tra le più velenose della
flora montana, e che forniscono l’alcaloide aconitina. Questi
vegetali rientrano nell’ampio complesso di piante e fiori che
costituiscono il misterioso ricettario della stregoneria.
Ma è comunque la Luna a essere considerata una tra le
principali cause della licantropia: per Gervaso di Tilbury (XIII
secolo) restare nudi sotto i raggi lunari era il mezzo più
rapido per trasformarsi in lupo; in questa credenza si
potrebbe intravedere una sorta di demonizzazione nei
confronti di quanti si ritrovavano in determinate notti a
danzare nudi, celebrando riti affrettatamente assimilati al
generico sabba.
Nella tradizione nordica si dice che se una donna, dopo
aver steso la membrana amniotica di un puledro sotto la
Luna, vi strisciasse sopra nuda, partorirebbe senza dolore:
ma i suoi figli diverrebbero lupi mannari e le figlie streghe.
La Luna è vista quindi come elemento che innesca la
bestiale metamorfosi, in linea con gli echi di quelle
attribuzioni mitiche e derivanti dalla cosmologia precristiana
e popolare. Ecco il parere dello storico delle religioni Mircea
Eliade (1907-1986), tratto da Storia delle credenze e delle
idee religiose:
La Luna connette, con le sue norme, una quantità immensa di realtà e di
destini. Armonie, simmetrie, assimilazioni, partecipazioni ecc. coordinate
dai ritmi lunari, formano un tessuto interminabile, una rete di fili invisibili,
che lega fra loro uomini, piogge, vegetazione, fecondità, salute, animali,
morte, rigenerazione, vita d’oltretomba ecc. Per questo, in molte
tradizioni, la Luna personificata da una divinità o presente per il tramite
di un animale lunare, tesse il velo cosmico e i destini degli uomini.

Osservando le tradizioni del folclore europeo possiamo


constatare che sono quasi sempre i giorni vicini alle grandi
festività religiose a essere considerati il momento più
favorevole per l’apparizione del lupo mannaro. In Francia i
licantropi si presenterebbero tra gli uomini in particolare la
vigilia del venerdì santo, nelle feste del calendimaggio, a
san Giovanni, Ognissanti, Natale e durante la Candelora.
Nell’Italia del sud, dove le credenze sulla licantropia sono
particolarmente affermate, il tema sembra consolidarsi sulla
base di miti sorti da un sincretismo socio-scaramantico.
Come accade in analoghe situazioni mitiche,
l’atteggiamento nei confronti dell’essere demonizzato ha
creato segni specifici in grado di segnalare l’inizio della
metamorfosi (plenilunio; temporali, dopo la mezzanotte;
certi periodi dell’anno) e di conseguenza ha prodotto “armi”
idonee per combattere il pericolo. I sistemi adottati per
riportare il licantropo allo stato umano sono numerosi: si va
dal bagno in un catino d’acqua fredda al lancio di chiavi,
fino all’esorcismo con croce e acqua benedetta.

L’ARCOBALENO

Anche l’affascinante spettacolo offerto dall’arcobaleno


non è scampato agli attacchi della superstizione.
La credenza più antica relativa all’arcobaleno è quella
che vietava di guardarlo troppo a lungo, perché ciò
corrispondeva a un atto di superbia nei confronti dell’Eterno.
All’origine di questa superstizione c’è la tradizione giudaico-
cristiana che considerava l’arcobaleno il segno divino che
suggellò la fine del Diluvio Universale.
Altro effetto prodotto dalla prolungata osservazione del
fenomeno sarebbe il cosiddetto “male dell’arcobaleno”:
nella tradizione popolare diverse patologie sono indicate in
questo modo, dall’itterizia all’epilessia. In alcuni Paesi si
pensa che l’arcobaleno annunci la morte di un bambino.
FASI DELLA VITA

“Per tutto c’è il suo momento, un tempo per ogni cosa


sotto il Sole.” Questo versetto dell’Ecclesiaste (3,1) ci pare
adatto per introdurre i riti, le pratiche e le credenze che
accompagnavano le fasi principali della vita di ogni essere
umano.
Dalla nascita alla morte, la nostra esistenza è
caratterizzata da alcune fasi, che gli antropologi definiscono
“riti di passaggio”, momenti a cui sono stati attribuiti
significati di grande importanza, ma soprattutto sono stati
considerati delicatissime frazioni da “governare” con
opportuni rituali, fondamentali per consentire il passaggio
da un livello a un altro.
Ogni cultura possiede i propri riti, le proprie regole più o
meno implicite, che in modo diverso hanno la funzione di
accompagnare ogni uomo nel lungo viaggio della sua
esistenza. Si tratta di pratiche che scandiscono alcune fasi
della vita attraverso il meccanismo complesso del mito,
basato su credenze in cui spesso la superstizione è stata in
qualche modo “istituzionalizzata”, divenendo parte
integrante della tradizione.

LA NASCITA

Già prima di vedere la luce del mondo, il nascituro è al


centro di attenzioni superstiziose: vi sono pratiche per
prevedere il suo sesso, per far sì che il parto sia agevole,
per evitare di modificare il suo corpo con effetti dovuti alla
condizione della madre (per esempio le voglie), o per
scongiurare le pratiche malvagie messe in atto da streghe e
fattucchiere.
A tutto ciò si aggiungano gli espedienti per ottenere la
fecondità della donna, per interpretare in vari modi le
condizioni della gestante, per trarre auspici dal modo in cui
il neonato si muove ecc.
La fecondità è sempre stata considerata un dono della
Provvidenza e, di conseguenza, la sterilità è stata
trasformata in una sorta di punizione divina. Per cercare di
opporvisi, nel passato, in alcune regioni si consigliava alla
donna sterile di indossare il vestito di una donna che fosse
diventata madre da poco; si tratta senza dubbio di un
esempio tipico della cosiddetta “magia per contatto”.

PIETRE DELLA FECONDITÀ


Nella tradizione popolare erano diffuse pratiche atte a favorire la fertilità
che si basavano sulle credenze relative ai poteri soprannaturali riconosciuti
alle pietre. Infatti le donne che avevano difficoltà a diventare mamme
strofinavano il ventre su alcune rocce ritenute “magiche”, credendo così di
attivare un processo quasi sacro, intriso di simbolismo sessuale. Esperienze
del genere sono ben note agli etnologi e sono segnalate in molte culture
dall’Oriente all’Oceania.
Accanto all’azione di toccare o frizionare il corpo con una certa pietra, era
anche d’uso scivolare su questi massi detti “della scivolata” (così chiamati
per la loro forma determinata dall’azione millenaria dei ghiacci), per
assicurarsi una totale attivazione del processo legato alla fertilità. Nella
“scivolata” abbiamo quindi una concreta conferma del legame pietra-
fecondità che, in un’azione fortemente simbolica, assegna al masso un
ruolo attivo.

Anche baciare la corda delle campane era considerato un


valido mezzo per raggiungere lo scopo. Spesso si ricorreva
anche alle preghiere a sant’Anna alla quale ci si affidava con
poche ma significative parole: “Trent’anni steste che figlioli
non aveste, eppure di Maria foste mamma”.
Nel periodo della gestazione la donna è considerata
particolarmente fragile: si dice che sia impura e quindi
potrebbe danneggiare ciò che tocca (per esempio,
trasformerebbe il vino in aceto, anche cucinare potrebbe
essere difficile senza l’ausilio di tutta una serie di attenzioni
che variano nei diversi Paesi). Nello stesso tempo è una
facile preda delle forze malefiche, dalle quali deve guardarsi
portando con sé amuleti. Inoltre non deve effettuare attività
che richiedano l’uso di corde e nastri, poiché ciò
determinerebbe il soffocamento del feto con il cordone
ombelicale.
Se una donna incinta viene morsa da un animale è
possibile che il figlio nasca con i segni di quel trauma: per
esempio chi sia morsa da un granchio o da un animale
simile, partorirà un figlio con sei dita.
È vietato per una gravida guardare un morto, perché ciò
determinerà la morte della sua creatura ancora prima che
veda la luce. Anche tenere un passeggino o una culla in
casa prima della nascita costituisce un grosso rischio,
perché la superstizione considera questa “presunzione” un
atto di prevaricazione nei confronti della sorte e tale azione
produrrà effetti opposti a quelli sperati.

MASCHIO O FEMMINA?
Il naturale desiderio di conoscere il sesso del nascituro – quando ancora non
esisteva l’ecografia – era soddisfatto osservando la forma della pancia della
donna incinta: la pancia a punta annunciava una femmina, la pancia larga,
un maschio. Un altro metodo consisteva nel prestare attenzione al lato
verso il quale il bambino scalciava: destro maschio, sinistro femmina. Era
ricorrente anche l’utilizzo dell’osso dello sterno di pollo, spezzato dalla
futura madre e da un’altra persona: se alla donna fosse restato il pezzo più
corto, il neonato sarebbe stato un maschio, invece quello più lungo, con la
“cuffia”, avrebbe indicato una femmina. Quest’osso è generalmente detto
“ossicino dei desideri”: due contendenti esprimono un desiderio e poi danno
un forte strattone; chi si troverà la parte più grossa (quella con la “cuffia”)
sarà presto soddisfatto.
Si ritiene che questa credenza sia correlare all’attribuzione, a galline e galli,
di proprietà divinatorie da parte dei popoli antichi.
Tra le pratiche diffuse in alcuni Paesi del Mediterraneo troviamo la “prova
della moneta”. Questa superstizione richiedeva di far cadere dentro il
vestito della futura madre, dal collo in giù, una moneta e osservare come
sarebbe giunta in terra: testa maschio, croce femmina. Per cercare di
intervenire direttamente sul sesso del nascituro, invece, è sempre stata
diffusa la credenza che indossare abiti rosa “chiamerebbe una femmina”,
mentre vestire di azzurro avrebbe l’effetto contrario.
Sempre in linea con queste superstizioni, basate sul
principio della magia simpatica, si pongono numerosi divieti
alimentari: non mangiare crostacei perché le chele
potrebbero ferire il bambino, i cibi rossi possono far venire
delle macchie al nascituro, bere troppi alcolici annuncia una
vita da etilista per il figlio ecc.
Il momento del parto era quello più delicato e per
scongiurare incidenti si attuavano diverse pratiche in cui la
magia, la religione e una sorta di proto-medicina si univano
inscindibilmente. Si consigliava di far indossare alla
gestante una cintura del marito, perché quell’oggetto
avrebbe allontanato ogni sofferenza; molto ricercate in
passato erano anche le “cinture della Madonna” realizzate
in alcuni santuari ponendole a contatto con quella della
Madonna di Loreto.
Se il piccolo spunta con i piedi in avanti sarà sfortunato:
per opporsi alla cattiva sorte i contadini francesi
consigliavano di strofinare il bambino con foglie di alloro.
Quando il bambino nasceva tra le pareti domestiche, era
immediatamente lavato in un’acqua nella quale erano poste
foglie di noce e vino: una sorta di bagno purificante che
aveva lo scopo di introdurre il piccolo nel mondo. Se il
neonato nasceva due mesi prima del termine, ed era quindi
un settimino, oppure nasceva “con la camicia”, era
considerato una creatura dotata di poteri soprannaturali: il
suo futuro era segnato, poiché certamente sarebbe
diventato un guaritore, un rabdomante, un mago, forse, ma
certamente un essere speciale, fuori della norma. Un futuro
da guaritore era annunciato anche per i bambini che
perdevano la mamma venendo alla luce.
È considerato anche importante guardare con che mano
il bambino afferrerà il primo oggetto che gli viene proposto:
se userà la sinistra sarà, naturalmente, sfortunato; ma solo
se il piccolo non è mancino.
In genere ancora oggi si crede che il giorno migliore per
venire al mondo sia la domenica; sorte nefasta invece per
chi nascerà di mercoledì, ma le cose andranno ancora
peggio per i nati nel giorno di Natale, che saranno
condannati a divenire lupi mannari nelle notti di Luna piena.
Un pezzetto del cordone ombelicale era conservato come
talismano e utilizzato come una sorta di panacea per guarire
molti mali, o per effettuare pratiche magico-protettive di
diverso genere.

LE VOGLIE
Quando una donna incinta desidera qualcosa da mangiare va subito
accontentata, perché in caso contrario il piccolo nascerà con varie
deformazioni fisiche. La donna travolta dalle “voglie” deve fare attenzione a
non toccarsi, durante la crisi, perché in caso contrario il neonato sarebbe
segnato, nel punto in cui la mamma si è toccata, con una macchia del
colore del cibo desiderato. Per scongiurare questo pericolo, la tradizione
popolare consiglia alla gestante di portare le mani sulle natiche ogni
qualvolta venga assalita dalle “voglie”.

Per allontanare gli effetti malefici che potevano


abbattersi sul neonato era d’uso mettergli intorno al collo
una collana di pelo di tasso, o un pezzetto di corallo;
notevole aiuto contro le forze malvagie era fornito anche da
un breve, cioè un involto contenente reliquie, o da
un’immaginetta cuciti sull’abitino.
Una diffusa superstizione sconsigliava di tagliare le
unghie dei bambini prima che compissero il sesto mese:
infrangere questa regola li avrebbe fatti crescere malaticci e
deboli.
Quando per una partoriente si annunciava un travaglio
difficile, si consigliava al marito di andare in chiesa e
suonare le campane con i denti: in tal modo la donna
sarebbe riuscita a sgravarsi senza ostacoli.
Appena venuto al mondo il neonato doveva poi essere
immerso in una vasca e i familiari avrebbero dovuto gettare
delle monete nell’acqua, come augurio di prosperità e
ricchezza.
L’ALLATTAMENTO

Nella cultura popolare l’allattamento ha sempre costituito


un problema perché, per una puerpera, non possedere quel
fondamentale nutrimento naturale, oltre a costituire un
grave rischio per la salute del neonato, rappresentava
anche un segno negativo, che bollava la donna come “non
buona”, con tutte le condizionanti culturali che ne derivano.
Anche in ragione di tale
atteggiamento, spesso la
mancanza del latte era
attribuita alla violazione di
qualche tabù durante la
gravidanza. Per contrastare
questo grave problema, le
donne ricorrevano a molti
espedienti, come la richiesta
di intercessione alla Vergine
o ad alcuni santi
taumaturghi, in particolare
sant’Agata. Il suo ruolo di
terapeuta per le malattie e i
disturbi del seno nasceva dal
tipo di martirio subito (le fu
strappato il seno). Accanto
alle pratiche religiose o
pseudo-religiose per far “ritornare il latte”, c’erano quelle
che si avvalevano di amuleti, erbe, pratiche magiche. In
questo ambito vanno collocate le esperienze connesse alle
cosiddette “fonti lattaie”: si tratta di sorgenti dotate,
secondo la tradizione, di particolari proprietà galattofore,
capaci cioè di stimolare la produzione di latte sia nelle
donne che nelle femmine degli animali.
A proposito di queste fonti esiste una tradizione cultuale
ininterrotta dall’antichità.
Per esempio, in Toscana, nella campagna di Pàstina,
presso il monte San Savino (Arezzo), è segnalata una “fonte
lattaia”, probabilmente già sacralizzata in epoca
precristiana e in seguito posta in relazione a un evento
miracoloso legato alla Vergine.
La fonte è chiamata infatti “Madonna del latte”. Intorno
all’edicola dedicata a Maria, sono evidenti i documenti
dell’intervento positivo effettuato dalla fonte: ex-voto,
catenine, anelli, corone del rosario e tante monete.
Altre importanti “fonti lattaie” toscane si trovano in Val
d’Elsa, a San Leonino, in Val d’Ambra.
Nei pressi di Pienza, nelle pareti di un torrente che scorre
in località Casa al Vento, si aprono antiche grotte dove
l’acqua è così galattofora che con il suo secolare stillicidio
ha costruito delle stalagmiti a forma di mammelle, tanto da
essere indicate, popolarmente, come “pocce lattaie”.
Sul monte di Cetona si trova la “Grotta lattaia” in cui
sono state rinvenute tracce di un culto dell’acqua che
risalirebbe addirittura al Neolitico; si raccomandava alle
future madri, che non avevano ancora avuto figli, di recarsi
in questo luogo per una sorta di visita preventiva: bagnarsi
con quelle acque garantiva un allattamento privo di
incidenti.
Nei pressi di Gerfalco, vicino a Montieri (Grosseto), poco
lontano dalla “Pietra di Sansone”, si trova una polla d’acqua
in cui le future madri si bagnavano con la speranza di avere
molto latte per i loro figli. Identiche proprietà sono state
attribuite alla fonte lattaia nei pressi di Montaleno, tra le
frazioni di Castelnuovo dell’Abate e Sant’Angelo in Colle.
IL BATTESIMO
Un esempio tipico di “rito di passaggio” è costituito dal battesimo: in
passato era d’uso cercare di battezzare il neonato al più presto, poiché il
periodo intermedio era considerato privo di barriere contro gli influssi delle
streghe e degli spiriti malvagi. Il nome che si assegnava al piccolo in
occasione del battesimo doveva comprendere il nome del nonno paterno e
mai quello del padre, perché sarebbe stato un presagio di morte prematura.
In ogni caso portava sfortuna chiamare il bambino con il suo nome prima di
battezzarlo.
Al momento del battesimo il bambino doveva essere posto all’interno di una
piccola sacca di seta già usata per un altro rito, non doveva assolutamente
essere nuova, poiché avrebbe portato sfortuna al piccolo. Chi portava il
neonato alla fonte battesimale doveva reggerlo con il braccio destro, se
maschio, con il sinistro se femmina; non si doveva mai voltare indietro
perché altrimenti il bambino sarebbe cresciuto pauroso. Una scorretta
recitazione delle preghiere da parte del padrino o della madrina avrebbe
fatto diventare balbuziente il bimbo.

Nei pressi di Varenna, nel Comasco, è presente il corso


d’acqua più corto d’Italia: il Fiumelatte. Circa 250 metri dopo
la sorgente, l’acqua si getta nel lago, precipitando
fragorosamente e spumeggiando. Questa caratteristica ha
fatto probabilmente nascere la credenza che attribuisce a
Fiumelatte proprietà galattofore. Un mistero circonda questo
breve corso d’acqua: la sua fonte. Sulla sua origine vi sono
naturalmente leggende e ipotesi, ma non vi sono
informazioni certe. Localmente si narra che, nel XVI secolo,
tre giovani del posto, intenzionati a mostrare il loro coraggio
agli occhi di una bella ragazza, si calarono nella caverna da
cui fuoriusciva il Fiumelatte. Furono ritrovati alcuni mesi
dopo, con i capelli bianchi, quasi ciechi, incapaci di parlare e
in uno stato confusionale che li rendeva insensibili anche
alle parole dei loro parenti.
L’origine del Fiumelatte, che scorre da marzo a ottobre,
non è ancora stata svelata. Forse l’aura di mistero che
circonda questo piccolo torrente ha contribuito ad
alimentare le credenze nel potere soprannaturale di queste
acque.
IL MATRIMONIO

Il matrimonio costituisce uno dei “riti di passaggio” più


importanti nella vita di donne e uomini. Oggi è
indubbiamente considerato con minor soggezione rispetto al
passato (e, soprattutto, sembra non rappresentare una
meta da raggiungere a tutti i costi), ma continua a essere
un momento importante da seguire cercando di rispettare la
tradizione e le sue regole rituali.
In genere anche i più razionali, nei giorni
immediatamente precedenti, sembrano cedere alla
pressione di ataviche paure e cominciano a guardare con
una certa inquietudine le regole da non infrangere: tabù,
presagi, eventuali segni malauguranti sono spesso parte
integrante di questo antico rito, che rende gli uomini
immediatamente adulti e responsabili.
Partiamo dalla scelta della data. Ci sono regole precise
sui periodi considerati pericolosi per convogliare a nozze:
“Né di Venere né di Marte ci si sposa o si parte, né si dà
principio all’arte”.
Maggio è il mese demonizzato: non ci si sposava a
maggio perché, come ricordava già Plutarco – il che
conferma quanto sia antica la superstizione –, era il periodo
dedicato ai morti, Lemuria, il mese in cui le anime, i lemuri,
ritornavano sulla Terra; oggi, seguendo questa credenza, a
maggio si è anche aggiunto novembre.
Un vecchio proverbio francese ricorda: “Se ti sposi
quando le api sfarfallano sopra i fiori di maggio, estranei
siederanno alla tua tavola”, mentre “Se ti sposi nel mese di
giugno, la tua vita sarà una lunga luna di miele”.
Scena di matrimonio in un’antica incisione

In molti Paesi giugno è il mese più adatto per celebrare i


matrimoni. Forse la sua popolarità è dovuta al fatto che il
suo nome deriva da Giunone, moglie di Giove, che era
considerata la protettrice delle donne e del matrimonio. Di
contro Maia, moglie di Vulcano, da cui prende il nome il
mese di maggio, era la protettrice degli anziani. Anche
sposarsi il giorno del compleanno di uno dei due coniugi
costituisce un grosso rischio: sarebbe l’annuncio di una
prossima morte. Da evitare è la Quaresima, poiché chi si
sposa in quei giorni “si pentirà per tutta la vita”. È
fondamentale non scegliere di sposarsi dopo il tramonto,
perché ciò determinerebbe grande infelicità per gli sposi e,
soprattutto, sarebbe segno della morte precoce dei figli.
L’ANELLO
Molta cura dev’essere dedicata al rito dell’anello nuziale: a seconda della
facilità con cui si introduce la vera sull’anulare della sposa si potranno trarre
auspici sul futuro equilibrio familiare. Se l’anello supera senza intoppi la
seconda falange, in casa comanderà il marito, se invece subisce l’attrito
della prima falange, a comandare sarà la moglie. La scelta del dito ha
origini lontane, infatti in passato si credeva che una vena collegasse
direttamente l’anulare al cuore, pertanto lo si considerava il dito dell’amore.
Se durante la cerimonia l’anello dovesse cadere, ciò costituirebbe un segno
nefasto; per evitare gli effetti negativi è necessario che venga raccolto da
un testimone o dal prete, ma assolutamente non dagli sposi.
Cattiva sorte è prevista anche per quegli sposi che perderanno uno o
entrambi gli anelli.

Ci sono anche numerose indicazioni intorno all’abito della


sposa, che dovrà indossare “qualcosa di vecchio, qualcosa
di nuovo, qualcosa preso a prestito, qualcosa di azzurro”.
Un’antica tradizione aggiunge “qualcosa d’oro e qualcosa di
rubato”. Com’è noto il bianco, colore della purezza, è quello
più indicato per le spose: infrangere questa regola può
essere pericoloso; la superstizione avverte inoltre di non
usare per nessun motivo un abito già indossato da un’altra.
Una grossa possibilità di risparmio è così messa in crisi da
un’antica credenza dura a morire.
Se l’abito si dovesse macchiare di sangue, la vita
coniugale della sposa sarebbe segnata da grandi tragedie,
in primo luogo la perdita prematura del marito. Malgrado
tutto, un’antica credenza consiglia alla sposa di indossare
un capo di biancheria rosso, segno di buon augurio che si
lega all’analoga tradizione rinvenibile tra i moderni riti di
Capodanno, da cui anche quella del matrimonio potrebbe
essere derivata. Nell’ampio panorama di superstizioni legate
al matrimonio rintracciamo quella che prescriveva di
seppellire un cagnolino di primo parto e ucciso per tale
occasione: una pratica orrida e barbara ritenuta un valido
espediente per far sì che alla sposa fossero garantiti dei
parti senza complicazioni. È importante anche il ruolo svolto
dal mazzolino di fiori che la sposa porta con sé all’altare e
poi tradizionalmente lancia alle amiche dopo la cerimonia:
chi riuscirà a prenderlo si sposerà entro l’anno. All’uscita
della chiesa è consigliabile lanciare del riso sui novelli sposi:
è un rito simbolico con funzione apotropaica, ed è un modo
per augurare prosperità e fertilità. Durante il percorso
seguito dal corteo nuziale è di cattivo auspicio incontrare un
medico, un avvocato, un poliziotto, un prete o un cieco,
mentre portano fortuna un gatto, un maiale e uno
spazzacamino.

LO SPOSO CON LA MOGLIE IN BRACCIO


Quando gli sposi giungono nella nuova casa, il marito deve sollevare la
sposa e portarla in braccio tra le pareti domestiche: questa tradizione
potrebbe avere un’origine nell’atavica pratica di “rubare” le ragazze. Oggi si
pensa che la donna non debba toccare il pavimento la prima volta che varca
la soglia di casa dopo il matrimonio perché, in caso contrario, fuggirebbe
presto dal marito. Pare che questa tradizione giunga addirittura dalla Roma
antica, quando si ricorreva all’espediente di sollevare la donna per evitare
che, travolta dall’emozione, potesse cadere sulla soglia di casa: ciò
costituiva un presagio infausto, poiché significava che le divinità della casa
non volevano accogliere la sposa.

Oggi gli ultimi due soggetti sono alquanto difficili da


incontrare e quindi si deve arguire che le possibilità che gli
sposi incrocino dei simboli di buon auspicio si sono ridotte
notevolmente…
Tutti conoscono il detto “Sposa bagnata sposa fortunata”.
Per fortuna non vi sono superstizioni che considerino una
“sposa asciutta” una sposa sfortunata! La credenza che la
pioggia porti fortuna può essere prosaicamente ricercata
nella semplicità popolare che si sforzava di dare un
significato positivo a un avvenimento dannoso.
Una superstizione diffusa in molti Paesi ricorda che
dev’essere il marito a chiudere la porta di casa nel giorno
delle nozze: se accadesse il contrario i due litigherebbero
già durante i primi mesi di matrimonio. Un’altra
superstizione ricorda che quello dei due che si
addormenterà per primo sarà anche il primo a morire.
Comunque, contro il malocchio, in molti Paesi era d’uso
porre del pungitopo sotto il cuscino del letto nuziale.

LA MORTE

Oggi si assiste a una forte deritualizzazione dei riti e delle


cerimonie funebri e molte espressioni, spesso antichissime,
di questo importante “rito di passaggio” sono andate
perdute. Ma proprio perché momento culminante e
drammatico della vita, la morte è stata accompagnata da
molteplici superstizioni, delle quali non sempre si conosce
l’origine. Condurre un’esistenza a contatto con la morte è
una regola che, anche se può essere sublimata dalla fede,
risulta un ostacolo angosciante nel nostro itinerario terreno.
In una visione ciecamente materialista, la morte-dolore,
la morte-fine ci spaventa e ci permette di vedere la fragilità
di sogni e mete spesso assunte a Olimpo dell’umano. Solo
attraverso le istanze della religione – qualunque sia il suo
aspetto dogmatico – la morte diventa momento di transito,
anello di congiunzione tra due universi dominati dalla stessa
presenza divina, ma con connotazioni molto diverse.
L’inevitabile stadio della morte non può essere
totalmente interpretato solo con l’ausilio della razionalità e,
anche quando la nostra ragione invoca certezze, la paura
della fine colma ogni possibile ipotesi. La vita eterna
dell’anima, letta e interpretata in chiavi molto diverse, pone
bene in evidenza la contraddizione tra il fatto angosciante
della morte e l’ipotesi della vita ultraterrena, lasciando
comunque insoddisfatte molte domande tipicamente
umane.
La frattura tra il mondo dei vivi e quello dei morti viene
continuamente colmata da una serie di pratiche che hanno
il ruolo di facilitare il transito verso l’aldilà, privandolo degli
eventuali ostacoli. Queste pratiche, però, sono un mezzo,
più o meno dichiarato, per evitare il ritorno dello spettro del
defunto. L’apparizione del fantasma è infatti sinonimo di
insoddisfazione, di bisogni insaziati, di domande rimaste
senza risposta, di vendette non consumate…
Scorgere dei segni che annunciano la morte è già un
modo per cercare di rendere meno forte il divario tra la vita
e il “dopo”. Questi segni sono molteplici: si passa dai versi
degli animali notturni all’ululato del cane, dalla morte di un
congiunto che ha lasciato questo mondo con gli occhi aperti,
al passaggio di una cometa. Durante l’eventuale periodo di
agonia, la superstizione trova il modo di trarre auspici dai
movimenti dell’agonizzante, dall’ora del giorno, dal tempo,
dalla durata ecc.
Tra le credenze più diffuse legate alla morte ricordiamo
quella che vieta ai vivi di sdraiarsi dentro una bara, perché
questa azione sarebbe un invito alla Nera Signora di venire
a prendere tra le sue braccia l’incauto. Si consiglia anche di
non mettere mai a un defunto gli abiti di un vivo, poiché il
suo possessore sarebbe destinato a seguire il morto.

IL MOMENTO DEL TRAPASSO


Subito dopo la morte si consiglia di spalancare le finestre per fare in modo
che l’anima del defunto possa uscire e andare nel luogo che si è meritato. In
passato questo drammatico momento era particolarmente sentito sul piano
rituale: si fermavano gli orologi, si spegneva il fuoco, si coprivano gli
specchi.

Incrociare un carro funebre vuoto per alcuni è di cattivo


auspicio, mentre per altri sarebbe segno di buona fortuna:
lasciamo la questione così com’è, in modo che ognuno
possa credere quello che vuole…
L’usanza di scoprirsi la testa quando passa un funerale
non è solo determinata dal rispetto verso il morto, ma anche
dalla superstizione secondo la quale chi non si fosse tolto il
cappello avrebbe seguito il defunto in breve tempo. Offrire
del cibo ai parenti dopo un funerale intende essere
un’azione di buon auspicio e, nello stesso tempo, un onore
riservato alla memoria dello scomparso. Questa credenza ha
probabilmente origine nei banchetti che nell’antichità erano
organizzati in occasione dei funerali e durante le feste dei
morti: in tali occasioni, nei cimiteri, oltre a mangiare, si
suonava e si ballava.
UNA PROTEZIONE MAGICA

La consapevolezza di essere fragili e facili vittime degli


attacchi del male, in tutti i suoi molteplici aspetti, ha
condotto l’uomo a elaborare dei sistemi per difendersi.
Dalle informazioni provenienti dall’archeologia si ipotizza
che già l’uomo del Paleolitico attribuisse ad alcuni materiali
e oggetti dei significati simbolici collegabili a
quell’atteggiamento che oggi definiamo superstizione.
Nell’antichità, e in molte culture attuali erroneamente
definite “primitive”, ciò che oggi chiamiamo superstizione in
realtà è stato – ed è ancora – parte integrante della
tradizione. Religione e magia spesso erano così vicine da
risultare inseparabili.
Ancora oggi, per combattere la nostra battaglia contro
ogni forma di male, ci avvaliamo di oggetti e gesti semplici,
caricati però dell’“energia” che il loro simbolismo ci fa
credere reale.
In genere, per quanto riguarda gli oggetti considerati
protettivi, il loro valore è determinato soprattutto da:
1. Valenza simbolica
2. Forma
3. Materiale
4. Origine
5. Autorità di chi lo ha realizzato.

Non è detto, naturalmente, che questi cinque punti


debbano essere presenti contemporaneamente, anche se
senza dubbio almeno tre sono quasi sempre chiamati in
causa: il primo, il secondo e il quarto.
Nel caso dei gesti, entrano in gioco solo il primo e il
secondo punto, in quanto si tratta di manifestazioni che,
attraverso il simbolismo, cercano di evocare la forma di un
oggetto ritenuto protettivo in senso scaramantico (per
esempio le corna). Ma il gesto può anche svolgere una
funzione magica (per esempio toccare ferro o una gobba),
secondo un metodo che fu largamente studiato da un
iniziatore dell’antropologia religiosa: James G. Frazer. Nel
1922 lo studioso descrisse dettagliatamente nel libro Il ramo
d’oro le molteplici sfaccettature dell’universo magico.
Per mezzo di una visione empirica della natura, Frazer
poneva nella magia due assunti fondamentali:
1. Il simile crea il simile.
2. L’effetto ha strette somiglianze con le cause.

Il primo principio si avvale della consapevolezza che


imitando una certa azione si ottenga effettivamente quanto
simulato.
Il secondo, invece, parte dal presupposto che, operando
su un’effigie o un oggetto appartenente al soggetto
dell’azione magica, si ottenga l’identico effetto sulla vittima
del rito.
L’applicazione più familiare del principio che il simile produce il simile è
forse il tentativo che è stato fatto in molte epoche da molti popoli di
danneggiare o distruggere un nemico, danneggiando o distruggendo una
sua immagine, nella credenza che l’uomo debba soffrire come soffre
l’immagine e che, quando questa sia distrutta, egli debba morire.

A una più attenta valutazione, le forme magiche basate


su questo principio possono essere suddivise in magia
aggressiva e magia difensiva. In entrambi i casi, le forme
simboliche hanno il ruolo di variare uno status: la prima
altera un equilibrio, la seconda cerca di ripristinarlo.
Le teorie di Frazer, benché superate, possono comunque
offrire ancora alcune interessanti indicazioni per la nostra
indagine. Secondo lo studioso inglese, la magia si
suddivideva in due grandi classi:
magia omeopatica (il simile produce il simile);
magia contagiosa (gli oggetti venuti a contatto
mantengono un legame soprannaturale).
Entrambe le forme di magia possono rientrare all’interno
del vasto e articolato complesso costituito dalla terapia
magica.
Per esempio, nella magia omeopatica è prevista
l’assunzione di un prodotto che riconduce direttamente alla
malattia da curare (oggi questa forma di cura è diffusa
anche al di fuori della cosiddetta medicina popolare).
L’omeopatia, infatti, si basa sul concetto che le forme
morbose vadano curate con la somministrazione a dosi
infinitesimali di quei farmaci che, somministrati a persone
sane, producono i sintomi della malattia. La magia
contagiosa, invece, parte dal presupposto che operando su
alcuni elementi appartenuti a un corpo, si possa intervenire
– positivamente o negativamente – su quel corpo. Per Frazer
quindi, dal punto di vista teorico, la magia sarebbe
l’espressione del pensiero umano primitivo, e tenterebbe di
fornire, con i propri mezzi, una spiegazione “scientifica” dei
fenomeni naturali. Da questi pochi elementi si avverte già
come certi atteggiamenti considerati protettivi si basino
soprattutto sulla fede nella magia, utilizzata in modo arcaico
e secondo un modo radicato nella psiche dell’uomo dall’alba
dei tempi.

TIPI DI MAGIA
Generalmente si tende a individuare tre tipi di magia:
1. magia nera (pratiche dirette a produrre dei malefici);
2. magia bianca (pratica per combattere la magia nera, o per ristabilire
un equilibrio iniziale, per esempio la salute);
3. magia “economica” (pratica destinata a garantire il dominio sulla
natura, non necessariamente orientata verso il maleficio).

Seguendo il meccanismo tipico della magia, l’uomo


elabora i propri sistemi superstiziosi e si convince che
attraverso il loro significato simbolico l’impossibile possa
diventare possibile, la fantasia si possa trasformare in
realtà.
A questo atteggiamento mentale vanno però aggiunte le
effettive conquiste del sapere umano: infatti, se lo zoccolo
duro delle credenze non è cambiato molto, i metodi si sono
necessariamente evoluti, anche in relazione alla crescita
culturale e scientifica. Oggi è molto difficile trovare un ferro
di cavallo in una metropoli, o mentre aspettiamo che il
semaforo diventi verde. E ancora: difficilmente i freni
inibitori ci consentono di toccare la schiena di un gobbo in
coda alla cassa di un supermercato. Ecco che allora entra in
gioco la finzione. Finti ferri di cavallo, cornetti e gobbetti di
plastica, portachiavi con un tredici dorato e tanti altri
oggetti prodotti in serie, spesso un po’ kitsch, costituiscono
l’apparato protettivo di molti di noi. Quando un gatto nero ci
attraversa la strada, anche senza crederci troppo tocchiamo
il cornetto nascosto in tasca. Sono segni della nostra
vulnerabilità, colmi di un simbolismo antico come l’uomo e
conservano importanti tracce di storia e di cultura.

TALISMANI E PENTACOLI

Amuleti, talismani e pentacoli costituiscono il “corredo”


dei superstiziosi, sono l’apparato che consente di
contrastare, attraverso un meccanismo simbolico – spesso
molto complesso –, effetti negativi di vario genere. Si dice
che, a differenza dei brevi, il loro potere sia efficace quando
sono esposti alla vista degli altri.
Possono essere posti su ogni essere e su ogni cosa:
uomini, animali, alberi, case, oggetti. In genere sono
realizzati con materiali di vario tipo e possono presentare
forme molteplici: in origine era obbligatorio l’uso di pietre,
vegetali, parti umane (ricorrenti il cordone ombelicale, il
sangue mestruale, capelli e peli) e animali, ma oggi si
ricorre anche a soluzioni artificiali. Va sottolineato che il
portatore di questi strumenti protettivi non è quasi mai
consapevole delle motivazioni culturali che hanno condotto
alla loro adozione, ma ne fa uso seguendo la tradizione.
Il talismano (tselem, in ebraico; telesma in greco; tilasm
o tillasm in arabo) è uno strumento che la credenza magica
considera “attivo”, capace cioè di condizionare gli eventi
grazie alle caratteristiche simboliche che lo legano al mondo
naturale.
L’influenza del talismano segue un ragionamento
simbolico e analogico; il girasole sarà una pianta del Sole
perché si gira verso di lui; il rubino sarà una pietra di Marte
perché è rosso come il fuoco e il sangue. L’analogia è forse
puerile, ridicola, ma proviene da fonti profonde, prelogiche,
appunto, in cui i rapporti delle cose non sono affatto gli
stessi che nelle società più evolute.
Il termine amuleto (amuletum) compare per la prima
volta nella Storia Naturale di Plinio il Vecchio: da allora ha
generalmente mantenuto le sue prerogative di oggetto che
preserva dalle malattie e dagli influssi negativi. Infatti,
l’amuleto è spesso presente all’interno delle pratiche
magiche, conservando un significato profilattico, “profilassi
medica o profilassi magica, perché per lungo tempo
maleficio equivalse a malattia”.
Inoltre, secondo numerosi interpreti, l’amuleto sarebbe
sempre un prodotto fornito direttamente dalla natura (dalla
verga di Aronne alla zampa di coniglio, dallo scarabeo egizio
al cornetto scaccia-guai) e, quando viene unito ad altri
oggetti, si trasforma in un feticcio, con un ruolo più
articolato. In pratica rappresenta qualcosa o qualcuno; il
termine stesso ha, però, un’ampia valenza simbolica, con
caratteristiche e significati diversi.
Il termine pentacolo deriva dal francese antico pentacol o
pendacol. È un pezzo di metallo, di carta o di altro
materiale, recante caratteri magici, racchiusi talvolta in una
stella a cinque punte (da cui deriverebbe il nome) e usato
un tempo negli incantesimi.
In sintesi, il “potere” di tutti questi oggetti, inseriti nella
tradizione rituale della magia, dipenderebbe da diversi
fattori: l’origine, il materiale che li compone, le iscrizioni e le
figure presenti sull’oggetto stesso.
Il complesso e articolato universo costituito da talismani,
amuleti e pentacoli può essere proficuamente scandagliato
con gli strumenti dell’analisi semiotica.
In quest’ottica sarebbe possibile portare alla superficie
della magmatica materia magica una serie di elementi
culturali e segnici che potrebbero essere utilizzati come una
sorta di “fossile guida” per lo studio dell’evoluzione della
magia, dalle forme più arcaiche a oggi. Basti pensare alla
tradizione sul Tetragrammaton (nome di quattro lettere,
posto in relazione al nome di dio: Yhvh) e alle sue molteplici
formulazioni grafiche all’interno del cosiddetto “cerchio
magico”.

I FILATTERI

I filatteri (dal greco phylakterion, derivato da phylassein,


proteggere) sono una sorta di amuleto da porre sulla
persona da proteggere. Li troviamo, per esempio, nell’Esodo
(23,1-10; 11-16) e nel Deuteronomio (6,4; 11,13-21).
I filatteri, la cui traduzione potrebbe essere “protezioni”,
in origine erano dei segni rituali tracciati sul corpo, che
avevano la funzione di proteggere chi li portava dagli
influssi degli spiriti malvagi. Questa diffusa tradizione
ebraica era già indicata come pagana nell’Antico
Testamento, in quanto si contrapponeva alla legge di Jawhe.
La demonizzazione delle scritte corporali non determinò
la scomparsa dei filatteri, ma la variazione del “supporto”
sul quale era posta la scrittura. I filatteri furono così
trascritti su piccoli pezzi di pergamena e inseriti in
scatolette di pelle di pecora, che venivano attaccate al
braccio sinistro e sulla fronte. I testi, che contenevano brani
dell’Esodo o del Deuteronomio, rispettavano le prescrizioni
religiose: “Porterete queste mie parole sul vostro cuore e
sulla vostra anima, le legherete come segno sulle vostre
mani e saranno come una fascia tra i vostri occhi. Le
insegnerete ai vostri figli […] le scriverai sugli stipiti della
tua casa e sulle tue porte” (Deuteronomio 21,18-20).
Nella religione islamica, il filatterio si trova all’interno di
un complesso di elementi che sottolineano la forte ritualità
di questo fondamentale strumento del culto. L’hirz, la
scatoletta che contiene alcuni versetti del Corano, è spesso
integrata – in particolare nell’Africa islamizzata – con oggetti
e simboli tipici dell’apparato magico. Pendagli, campanelli
scaramantici, simboli come la falce di luna o la mano di
Fatima, pietre protettive ecc. creano intorno a questi filatteri
una dimensione in cui la parola si ritualizza con elementi
dipendenti dal mondo dell’occulto. La presenza di parole su
un oggetto ha, quindi, la funzione di contrassegnare con
ulteriori attributi magici lo strumento sul quale si trovano
inserite. Naturalmente ogni oggetto può fungere da
supporto, ma è evidente che certi oggetti saranno
considerati più attivi di altri, per il loro contatto con una
certa parte del corpo (per esempio la mano), o per le loro
proprietà strutturali.

I BREVI

In passato era diffuso l’uso dei cosiddetti brevi. Si


trattava di sacchettini di tela entro i quali erano poste
immaginette sacre, erbe e altri elementi simbolici
considerati protettivi. Questi piccoli “contenitori di fortuna”
erano quasi sempre posti sui bambini, ma anche molti adulti
ne facevano uso. Per la realizzazione dei brevi erano anche
utilizzate copie di lettere pastorali, frammenti di reliquie e
terra proveniente da alcuni santuari.
La tradizione popolare diceva che questi oggetti
dovevano essere realizzati durante una notte di Luna piena
e nella loro costruzione influiva di certo la tradizione magica
di origine pagana. Infatti tale pratica non è solo cristiana:
abbiamo tracce di oggetti che possono essere considerati gli
antenati dei brevi già nell’antichità. I Romani avevano la
bulla e le deraie, sorta di collane che contenevano parole
magiche, erbe e altri oggetti considerati apotropaici,
utilizzati per allontanare gli influssi negativi e, in particolare,
gli effetti della magia nera.

LA GRAFOFAGIA

Si inserisce in questa tradizione la pratica della


cosiddetta grafofagia, cioè l’ingerire testi a fini apotropaici.
L’importante ruolo di congiunzione svolto dalla scrittura
magica è particolarmente evidente in quelle pratiche in cui
il testo scritto deve entrare completamente a far parte del
rituale fino a fondersi con esso. In genere l’ingerimento di
testi scritti ha una funzione terapeutica, ma anche
oracolare: la sua origine può essere ricercata nelle tradizioni
della cosiddetta “acqua scritta”. Un rito già rinvenibile
nell’Antico Egitto e nella tradizione ebraica, in cui il liquido
diventava un autentico segno divino, utilizzato anche come
strumento per le ordalie.
Altri esempi sull’ingerimento della parola per attivare
meccanismi di divinazione soprannaturale provengono dalla
cultura islamica, in cui sono diffuse delle coppe con testi
coranici incisi all’interno.
L’acqua conservata in questi recipienti, stando a contatto
con i versetti sacri, si ritiene dotata di poteri straordinari. In
certi casi, nelle coppe si pongono tavolette con scritte
coraniche, in modo che l’inchiostro si sciolga e si misceli
all’acqua. Il liquido così ottenuto risulta pregno di proprietà
purificanti e capace di sanare le malattie.
L’interpretazione degli effetti varia, con valenze
simboliche diverse a seconda delle credenze magico-
religiose presenti nelle culture.
Abbiamo un’interessante indicazione nelle pratiche
rintracciabili nell’Africa islamizzata, in cui le bottiglie di
“acqua scritta” (ottenute immergendo in certe bottiglie,
piene di un liquido di colore indefinito, della carta con
versetti coranici) sono appese sotto il tetto delle case per
allontanare gli spiriti malvagi.
Più concreta è l’esperienza grafofaga rintracciabile nella
cultura tibetana, dove sono diffusi amuleti commestibili:
cioè piccoli pezzi di carta sui quali sono riprodotte sillabe,
spesso prive di significato, ma articolate in modo da formare
figure geometriche complesse. Ognuno di questi amuleti è
ingerito per guarire specifiche malattie: le sue
caratteristiche terapeutiche sono determinate dalla forma
assunta dai gruppi di sillabe riportate sulla carta.

ABRACADABRA

C’è una parola che con la magia e la superstizione ha un


rapporto atavico e ampiamente noto: Abracadabra. Tale
misteriosa parola avrebbe un’origine nell’ebraico abreg ad
habra (invia la tua folgore fino alla morte); altre
interpretazioni ricercano la sua fonte primitiva in abbra
jedabra (fuggi, come dice questa parola). Al di là delle
illazioni, resta il fatto che questa parola appartiene al
mistero e non si conosce con precisione un’origine che
possa essere considerata credibile. Si suppone che vi
possano essere dei legami con un’antica formula magica
ebraica adottata per guarire la febbre:
Ab Abr Abra Abrak Abraka
Abrakal Abrakala Abrakal
Abraka Abrak Abra Abr Ab
E il popolo gridò a Mosè,
e Mosè intercedette presso
il Signore e il fuoco si spense
(Numeri 11,2).
Sul piano etimologico non
vanno scartate le eventuali
connessioni con la divinità
persiana Abracalan: ma,
anche in questo caso, si
tratta solo di ipotesi.
La fonte più antica
sull’Abracadabra è del III
secolo d.C.: la rinveniamo in
una pratica terapeutica
contro la febbre di Quinto
Sereno Sammonico, medico
personale dell’imperatore
Severo, che scrisse un
trattato di medicina,
ampiamente diffuso e
studiato durante il Medioevo.
Secondo la prassi corrente,
questa parola doveva essere
ripetuta più volte parzialmente, fino a formare un triangolo
rovesciato (vedi figura).
In questo modo l’Abracadabra risulta inserita all’interno
di una configurazione geometrica che fa acquistare alla
formula una dimensione fisica, con concrete connessioni alla
forma tipica del pentacolo e dell’amuleto.
In Italia la sua prima apparizione documentata risale al
XVIII secolo, come risulta dal Dizionario universale delle arti
e delle scienze (1748) di Efraimo Chambers. Nel testo era
indicata come una parola di etimologia incerta, anche se
ampiamente documentata nella cultura tradizionale e nelle
credenze popolari. Vi era anche la tendenza a far derivare
l’Abracadabra da alcune parole importanti nella religione
ebraica e nella Cabbala: Ab (padre), Ruah (spirito), Dabar
(parola).
Travolta dalla cultura demonizzante del Cristianesimo,
l’Abracadabra è caduta all’interno della tradizione popolare
divenendo parte integrante della leggenda, della fiaba, del
mito.
Ma se nell’Abracadabra la configurazione geometrica si
afferma in particolare nella struttura triangolare, è
certamente con l’Abraxas che troviamo un più preciso e
problematico legame con la figura geometrica, poiché
questa parola era spesso presente su speciali amuleti,
generalmente definiti “gemme magiche”.
Abraxas, secondo un’interpretazione etimologica
piuttosto diffusa, deriverebbe dall’unione tra il greco sao
(salvare, guarire) e sa (salute): pertanto il significato
sarebbe da porre in relazione al tema apotropaico,
protettivo e di guarigione. Per altri avrebbe origine
nell’ebraico barak: benedire. In entrambi i casi si tratta di un
preciso riferimento alla protezione contro il male, sia fisico
che spirituale.

TOCCARE FERRO

Uno tra i gesti scaramantici più diffusi tra la gente, anche


tra quanti non sono apparentemente superstiziosi, è
costituito dal noto “toccare ferro”. Si tratta di una pratica di
cui è difficile risalire all’origine. Paradossalmente va tenuto
conto che nell’antichità il ferro era considerato un materiale
“pericoloso”, con aspetti negativi: nella Bibbia è
espressamente contenuta la proibizione di usare chiodi di
ferro per la realizzazione del tempio di Gerusalemme. L’idea
che toccare ferro aiuti a sconfiggere la sfortuna potrebbe
avere origine proprio nella consapevolezza che toccando
l’origine del male si riesca a “controllarlo” e forse a
contenerlo. La paura del ferro può aver dato origine alla
pratica di “toccar legno”, presente in numerosi Paesi
dell’Europa del Nord. Tale pratica avrebbe origine, secondo
alcuni folcloristi, nella consapevolezza popolare che il legno,
e per estensione l’albero, sia sede di spiriti positivi, quindi
“toccarlo” costituirebbe un mezzo per “prendere” un po’ di
protezione soprannaturale.

I CHIODI

I chiodi occupano una posizione importante in seno alle


superstizioni di molti Paesi: si tratta comunque di corpi
circondati da una notevole ambiguità, se si tiene conto di
quanto abbiamo detto riguardo agli oggetti appuntiti.
Nell’antichità il chiodo aveva un ruolo preciso nelle
pratiche religiose, era cioè una sorta di memoria
devozionale, lasciata dai fedeli nei templi; ma nello stesso
tempo poteva anche essere una sorta di ex-voto, come
sembrerebbero confermare i chiodi con scritte e simboli
rinvenuti nei santuari e sulle statue delle divinità.
Tra gli antichi Romani era diffusa l’abitudine di piantare
un chiodo nel luogo in cui cadeva un epilettico: in questo
modo si riteneva di “inchiodare” al suolo lo spirito malvagio
al quale era imputata l’origine della malattia.
In alcune regioni della Francia, all’inizio del XX secolo, era
d’uso piantare dei chiodi nelle statue dei santi, con
l’intenzione di chiedere la grazia.
Un altro rito presente nella cultura contadina italiana e
del ticinese prescriveva di piantare cinque chiodi nei ceri
pasquali, disponendoli a forma di croce.
Si consideri inoltre che nel folclore sono moltissime le
credenze intorno al ruolo protettivo dei chiodi, utilizzati non
solo come semplici scaccia-guai, ma anche con funzioni
terapeutiche valide a guarire tutta una serie di malattie.
SOTAH (L’ORDALIA DELLA GELOSIA)
Nel rituale di Sotah, cioè quella pratica conosciuta come “ordalia della
gelosia”, sono presenti alcune tracce concrete della tradizione tribale
ebraica. Quando un marito nutriva sentimenti di gelosia nei confronti della
moglie e non aveva alcun elemento per confermare o smentire le sue
paure, conduceva la donna al tempio davanti al sacerdote per una sorta di
cassazione divina. Dopo una serie di offerte, il sacerdote si rivolgeva alla
donna dicendo: “il Signore ti faccia oggetto d’imprecazione e di maledizione
in mezzo al tuo popolo, dandoti un fianco floscio e un ventre gonfio. Entrino
queste acque di maledizione nelle tue viscere per gonfiare il ventre e
afflosciarti il fianco. La donna dirà: Amen, Amen” (Numeri 5, 21-22).
Poi il sacerdote, prendendo un vaso d’argilla che conteneva acqua
proveniente dalla fonte delle abluzioni e terra prelevata dal tempio,
“scriverà questa imprecazione in un foglio e la farà scomparire nelle acque
amare; farà bere alla donna le acque amare della maledizione e le acque
maledette entrino in lei per sua amarezza […] Dopo che le avrà fatto bere
l’acqua, se sarà impura e avrà tradito il marito, le acque amare della
maledizione entreranno in lei, gonfieranno il suo ventre, renderanno floscio
il suo fianco e la donna sarà maledetta in mezzo al suo popolo” (Numeri 5,
23-28).

L’anello ottenuto con chiodi era considerato protettivo


contro le influenze negative, oltre a essere un oggetto
capace di guarire molti mali.
L’anello regale, in particolare, aveva un forte potere
taumaturgico: i re d’Inghilterra, oltre a possedere la capacità
soprannaturale del tocco, con il quale guarivano le scrofole
(ingrossamento delle ghiandole del collo), erano noti per la
“benedizione” che impartivano con i cramp-rings, gli anelli
che avevano consacrato loro stessi, e che garantivano la
guarigione da tutti i tipi di dolori muscolari.

Le defixionum tabellae
Anche nella magia nera si fece largo uso di chiodi, in
particolare nelle defixionum tabellae: autentiche pratiche
magiche, spesso di morte, studiate dall’archeologia sulla
base di significativi ritrovamenti. Le defixionum tabellae
sono sottili tavolette di metallo, prevalentemente di piombo,
rinvenute a centinaia dagli archeologi nell’area
mediterranea e che risalgono al VI secolo a.C., mentre le più
recenti sono di età imperiale ed erano diffuse ancora nei
primi secoli del Cristianesimo. In genere queste tavolette,
chiamate “defissioni”, riportano scritte in greco, spesso con
un linguaggio volutamente criptico; ne sono state rinvenute
anche con scritte in latino in forma metrica, in Spagna e in
Britannia, dove giunsero i soldati romani.
Le defixionum tabellae rientravano nelle pratiche di
magia nera e pertanto erano severamente perseguite dalla
legge, che infliggeva pene severissime a chi fosse stato
scoperto a praticare questo rito.
Dopo aver scritto la maledizione sulla tavoletta, il
defissore vi incideva segni magici e misteriosi in grado,
secondo la sua interpretazione, di simboleggiare la vittima
della sua ira. Quindi la tavoletta veniva ripiegata, in alcuni
casi la si trafiggeva con un chiodo (in latino defigere
significa inchiodare) e quindi la si seppelliva in un’area sacra
nei pressi di un santuario o di un cimitero.
È emblematico il testo di una tavoletta rinvenuta a
Cartagine:
Uccidete, sopprimete, dilaniate Gallico, il figlio di Prima, ora, al cospetto
della folla; che restino legati i suoi piedi, le membra, i sensi, il cervello,
così che non uccida né orso né toro, con la rete semplice, con quella
doppia e neppure con la tripla […] Fatelo nel nome del dio vivo
onnipotente; adesso, adesso, presto, presto. Che l’orso possa sbranarlo e
farne strazio!

Le scritte sulle tabellae potevano anche essere


accompagnate da oggetti rituali, figure umane, o
raffigurazioni di vario genere, che servivano ad accentuare
la potenza del testo scritto.
È interessante notare che in alcuni casi nei testi sono
rinvenibili i cosiddetti barbare anomata, cioè appellativi
senza un senso preciso che, secondo gli autori degli scritti,
avevano il ruolo di celare i nomi delle divinità evocate e
quindi limitare ogni eventuale azione di scongiuro.
In questo ambito vanno anche inseriti gli ephesia
grammate, formule senza un significato diretto, ma create
tenendo conto solo della pronuncia.
In sostanza nelle tabelle, come nei papiri magici, si
ricorreva spesso a un vocabolario misterioso, il cui ruolo
principale era quello di occultare le volontà del mago,
creando un dialogo con le divinità attraverso un linguaggio
sincretistico e indecifrabile.

L’AMBITO QUADRIFOGLIO
Forse i quadrifogli sono meno rari di quanto si creda, ma resta il fatto che
trovarne uno costituisce un segno di fortuna. Una fonte apocrifa narra che
Eva, quando fu cacciata dal Paradiso Terrestre, si portò via per ricordo
proprio un quadrifoglio.
Donare un quadrifoglio appena raccolto è un augurio di prosperità.
In passato si diceva che un quadrifoglio all’occhiello avesse il potere di
esentare dal servizio militare.
All’assegnazione di prerogative positive al quadrifoglio ha probabilmente
contribuito la sua rarità.

IL FERRO DI CAVALLO

Il ferro di cavallo costituisce senza dubbio l’amuleto per


eccellenza, il più noto parafulmine contro le disgrazie. Gli
storici ricordano che l’introduzione di questo
particolarissimo strumento determinò, nel lavoro agricolo, la
graduale sostituzione dei buoi con gli equini, a tutto
vantaggio dell’efficienza. Gli zoccoli dei cavalli, infatti, non
erano adatti a resistere alle asperità del terreno e quindi si
pensò di dotarli di un ferro protettivo. Sull’epoca in cui
venne introdotta questa importante innovazione, le
interpretazioni sono discordi.
La superstizione intorno al ferro di cavallo si formò
intorno alla metà del X secolo. Pare che vi sia anche un
riferimento preciso in san Dunstan (925-988), il maniscalco
inglese diventato arcivescovo di Canterbury nel 959.
Secondo la leggenda più diffusa, un giorno il santo incontrò
uno strano personaggio che gli domandò di mettergli un
ferro al piede. Il futuro arcivescovo si accorse così che
quell’uomo aveva piedi caprini: si trattava di Satana in
persona.
Con la scusa di ferrarlo, san Dunstan lo incatenò al muro
in modo così stretto che il diavolo fu costretto a chiedere
pietà. Il santo allora promise di liberarlo se Satana avesse
giurato di non entrare in quelle case in cui fosse posto un
ferro di cavallo sulla porta. La leggenda ha poi subito delle
modificazioni: per ottenere l’effetto desiderato è stato
aggiunto che è necessario che il ferro sia inchiodato alla
porta con la parte aperta rivolta verso il basso, in modo che
“le corna” dello zoccolo “scarichino” a terra ogni effetto
negativo.
Anche i marinai sono sensibili agli effetti di questo
amuleto e, in passato, non c’era nave che non ne avesse
uno sull’albero maestro.
Scavando nelle fonti storiche è possibile però retrodatare
l’origine della tradizione oltre il X secolo. Infatti nella
Naturalis Historia di Plinio il Vecchio si consigliava di usare il
ferro di cavallo contro il singhiozzo, appoggiando l’amuleto
sul ventre: l’effetto era immediato.
Ancora oggi, in alcune regioni, il ferro di cavallo è posto
sulle morsicature dei cani e dei serpenti per far guarire
rapidamente le ferite.

IL GOBBO

In genere si ritiene che un uomo gobbo porti fortuna,


mentre la donna gobba produca effetti diametralmente
opposti. Forse questa superstizione potrebbe trovare una
giustificazione nell’antico detto “Guardati da coloro che
sono stati segnati da Dio”, ma si tratta certamente di
un’atavica forma di razzismo che in passato ha
contrassegnato profondamente la repressione contro alcune
minoranze.
Nella sostanza però, nel corso dei secoli, dev’essersi
verificato qualche avvenimento che ha fatto cambiare
l’atteggiamento nei confronti della gobba, per quanto
riguarda il maschio, trasformando questa particolarità da
segno negativo in segno positivo. Va ricordato che i gobbi
erano circondati da un’aura particolare: infatti spesso il
buffone medievale era anche gobbo e storpio, un “segnato”
che con le sue battute, spesso sagaci e taglienti, “divertiva”
la corte. La tradizione di toccare la gobba probabilmente si è
andata affermando in questo contesto, caricandosi di
notevoli valenze simboliche in ragione di una pratica tipica
della magia simpatica. È difficile comprendere le motivazioni
che invece possono aver condotto alla demonizzazione della
donna gobba. Una possibile origine può essere ricercata
nella pratica medioevale di attribuire alla donna valenze
fortemente negative, che determinò spesso la sua
emarginazione. Una donna “segnata da Dio” era considerata
ulteriormente pericolosa e quindi, spesso, posta in diretta
relazione con il diavolo.
Re Salomone e il suo gobbo, da un’illustrazione di
metà Ottocento

LE CORNA

La superstizione, come abbiamo visto, cerca con ogni


mezzo di inventare dei segni simbolici per combattere i
disagi della vita. In questo senso, le corna sono un esempio
emblematico, autentico parafulmine contro i disagi
dell’esistenza. Probabilmente le corna degli animali
costituiscono l’esempio più antico, come risulta
dall’archeologia preistorica, e sono quindi responsabili della
larga diffusione di questo simbolo nella tradizione classica.
Le corna sono legate alla fecondità e il loro valore
positivo va forse ricercato nel fatto che, essendo appuntite,
rimandano alla forma fallica e hanno quindi un chiaro
legame con il simbolismo della procreazione, della vita,
della forza. Giunge da lontano l’antica tradizione di utilizzare
corna e cornetti come strumenti protettivi, oltre
naturalmente alla nota pratica di “fare le corna”.
La funzione protettiva di questo segno è il risultato della
mobilità della mano, considerata lo “strumento”
fondamentale del linguaggio dei gesti a cui la magia, da
sempre, ha fatto ampio ricorso.
In qualche caso questo gesto è sostituito, oppure
integrato, dalla cosiddetta “mano a fica”, che consiste nello
stringere la mano a pugno con il pollice sporgente tra
l’indice e il medio. Forse, per cogliere il valore protettivo di
questi gesti, si deve ricorrere al simbolismo legato alla
sessualità maschile, che nel fascinum (il fallo eretto della
cultura latina) aveva un solido elemento da contrapporre
agli effetti negativi. In fondo anche il gesto apotropaico di
toccarsi i testicoli si pone in questa direzione simbolica.
Le prime fonti sulla pratica di fare le corna risalgono al
XV secolo; le motivazioni che possono aver indotto l’utilizzo
del termine “cornuto” per indicare il marito tradito sono,
però, difficili da individuare. In Francia, più razionalmente, si
ricorre al termine cocu, con riferimento al cuculo, la cui
femmina è nota per la “leggerezza” con cui passa da un
nido all’altro. È anche difficile risalire all’origine delle
motivazioni che hanno fatto di san Martino di Tours il
protettore dei cornuti.
Per la psicoanalisi di Jung il corno esprime nella sua
componente inconscia le bipolarità dell’archetipo, ponendo
così in diretta risonanza l’elemento maschile e quello
femminile. In pratica esso rappresenta una specie di
ermafroditismo simbolico, che tenta di racchiudere in una
sola dimensione la complessità di un’ampia gamma di
valori.
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