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“IL CONFLITTO NELLA COMUNICAZIONE”

PROF. CRISTIANO DI SALVATORE


Università Telematica Pegaso Il conflitto nella comunicazione

Indice

1 DEFINIZIONE DI CONFLITTO ------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 CONFLITTO DI VALORE E CONFLITTO DI INTERESSI -------------------------------------------------------- 6
3 MODALITÀ PER AFFRONTARE E RISOLVERE I CONFLITTI ------------------------------------------------ 8
4 DEFINIZIONE DEL PROBLEMA E FASI DEL CAMBIAMENTO ---------------------------------------------- 11
5 CONFLITTO E LIVELLI NEUROLOGICI DEL PENSIERO ----------------------------------------------------- 16
6 LA COMUNICAZIONE EFFICACE SECONDO THOMAS GORDON ----------------------------------------- 19
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 24

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Definizione di conflitto
In psicologia, si parla di conflitto quando c’è la presenza di aspetti contrastanti tra

motivazioni, aspettative, bisogni e valori.

In altri termini il conflitto in psicologia indica uno scontro tra ciò che una persona, o il

proprio gruppo di appartenenza desidera e qualcosa che impedisce la soddisfazione del bisogno,

dell'esigenza o dell'obiettivo connessi a tale desiderio.

Il conflitto è molto legato alla frustrazione e ad emozioni come delusione, rabbia, paura e

vergogna.

A questo punto è opportuno iniziare a dividere il conflitto in 2 macroaree:

- Conflitto intrapsichico

- Conflitto interpersonale

Il conflitto intrapsichico, indica contrasti all’interno dell’individuo. Ci possono essere

conflitti che si manifestano a livello conscio ed altri che si manifestano a livello inconscio (dei quali

il soggetto non è consapevole oppure è consapevole in parte).

Ad esempio, ognuno di noi sicuramente almeno una volta nella vita si sarà sentito in

conflitto rispetto la scelta tra sicurezza e libertà; oppure in PNL si parla spesso di

metaprogramma1 “verso” e “via da”

Il metaprogramma verso e via da, è un metaprogramma di direzione. Indica, infatti, in quale

direzione le persone vanno e cosa le motiva. Vanno verso qualcosa oppure si allontanano da

qualcosa? Per capirlo basta ascoltare ed osservare i comportamenti.

1
E’ uno schema comportamentale, un insieme di filtri percettivi, che usiamo inconsciamente per agire sulla realtà che
ci circonda.

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Le persone “verso” si contraddistinguono per:

 Si muovono verso ciò che vogliono e desiderano

 Spesso minimizzano le difficoltà e le possibili conseguenze

 Rispondono agli obiettivi

 Meglio la carota che il bastone

 Dicono ciò che vogliono

 Parlano di ciò che faranno, guadagneranno e otterranno

Le persone “via da” si contraddistinguono per:

 Si allontanano e cercano di evitare ciò che non vogliono o desiderano

 Hanno spesso difficoltà a definire gli obiettivi o sono distratti dalle difficoltà che possono

sorgere

 Parlano di ciò che vogliono evitare e di ciò che non vogliono

Questo significa che un individuo abituato a notare per prima cosa le criticità o ciò che non

desidera, potrebbe trovarsi in conflitto quando gli viene proposta un’opportunità di lavoro perché

anche se ne ha desiderio, può essere distratto dalle difficoltà che potrebbero sorgere (es. distanza,

orari, mansioni ecc.)

Il conflitto interpersonale, si sviluppa tra due o più persone quando la soddisfazione di un

desiderio o il conseguimento di un obiettivo da parte del singolo entra in contrasto con i desideri o

gli obiettivi di altre persone.

Può definirsi anche conflitto sociale se interessa due o più gruppi sociali in lotta tra loro per

ottenere risorse esclusive o per uno scopo prettamente difensivo di conservazione o ancora, in

generale, quando si instaura una situazione competitiva inter-gruppi. Il conflitto interpersonale

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riguarda generalmente i rapporti problematici che intercorrono tra le persone, gli scontri tra diversi

ruoli sociali, quindi è collegato solo secondariamente agli aspetti intimi o esistenziali della persona.

Fasi del conflitto interpersonale

Il conflitto non è un’entità a se stante; è un processo dinamico.

Per questo motivo è utile osservarlo attraverso varie sfumature ed esse sono:

- Pre-conflitto/latenza = si possono ancora discutere ed accettare le divergenze non è visibile

ma è nell’aria(nervosismo –restare in silenzio prendere tempo)

- Scontro = causa scatenante e polarizzazione

- Escalation/crisi=si ha quando avviene un aumento parallelo di intensità e violenza. Quando

si innesca questo processo c’è una moltiplicazione del numero delle questioni di disaccordo

- Negoziazione/mediazione/distruzione

Pensare al conflitto in questi termini può essere molto utile poiché spesso le emozioni

vengono “agite”; sapere che ci sono varie fasi mi aiuta a capire in quali di esse mi trovo e di

conseguenza ho l’opportunità di modulare le mie reazioni.

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2 Conflitto di valore e conflitto di interessi


I conflitti, non sono tutti uguali; ci sono conflitti e conflitti. Imparare innanzitutto a

riconoscerli e distinguerli ci permette di utilizzare il migliore approccio in quasi tutte le

circostanze.

Conflitto di interessi

E’ un termine che abbiamo ascoltato spesso: se ne parla in tv, nelle aule giudiziarie, in

politica ecc. Nelle relazioni interpersonali, ci si riferisce al fatto che una persona con i suoi

comportamenti oggettivamente arreca a noi un danno che può essere quantificato in termini

economici.

Per esempio, se veniamo tamponati da un’autovettura e il conducente si rifiuta di ammettere

di avere torto, siamo di fronte ad un conflitto di interessi perché noi abbiamo effettivamente subito

un danno alla nostra auto e vogliamo che venga riparato, dall’altra parte il conducente vorrebbe

evitare di risarcirci. Da questo potrebbe nascere un conflitto.

Conflitto di valori

In Programmazione Neuro Linguistica, per valore si intende “ciò che è importante per quella

persona” oppure “ciò che non tollera”. I valori possono riferirsi ad aspetti specifici e concreti

(denaro, famiglia, lavoro), oppure a concetti astratti (onestà, precisione, fiducia). Il valore risponde

alla domanda “perché una persona fa quello che fa?”

In questo caso, se abbiamo un conflitto di valori, non necessariamente stiamo avendo un

diretto danno economico, al tempo stesso proviamo comunque rabbia e frustrazione.

Ad esempio se un adolescente utilizza il cellulare a scuola mentre l’insegnante svolge la

lezione, è facile che nasca un conflitto perché l’insegnante non si sente rispettato.

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Nelle relazioni interpersonali la maggioranza dei conflitti sono di valori, e la cosa davvero

curiosa è che spesso tendiamo a confondere i conflitti di valori con i conflitti di interesse con

conseguenze a volte drammatiche.

Avrai sicuramente letto sui giornali di omicidi avvenuti perché tra automobilisti c’è stata una

lite dovuta a problemi di parcheggio. Quello che inizialmente potrebbe sembrare un conflitto di

interessi (in quanto è l’unico parcheggio disponibile in zona e allontanarmi significherebbe

utilizzare più benzina), è in realtà un conflitto di valori; infatti uno dei due automobilisti potrebbe

infuriarsi perché per primo aveva visto il parcheggio libero (il valore in questo caso è la “lealtà, il

rispettare l’ordine di arrivo”), mentre l’altro è stato più scaltro e lo ha occupato per primo (in questo

caso il valore è “vige la legge del più forte”).

Tutto questo rappresenta un danno così rilevante in termini economici per entrambi gli

automobilisti?

Parcheggiare cento metri oltre avrebbe cambiato drasticamente la loro vita?

Eppure, per la famosa “questione di principio” ne scaturisce una discussione, che nella

migliore delle ipotesi si può anche risolvere con un dietrofront con relative scuse da parte del

secondo automobilista, nel mezzo ci si manda a quel paese, e in una remota ma reale ipotesi

potrebbe degenerare venendo alle mani o anche peggio.

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3 Modalità per affrontare e risolvere i conflitti


Nella totalità dei conflitti interpersonali, quando ci troviamo nella fase dello scontro,

possiamo giungere ai seguenti esisti

I win- you lose: caratterizza lo stile competitivo. Voglio a tutti i costi uscire vincitore;

questa modalità può generare rancore o allontanamento da parte della controparte.

I lose- you win: rinuncio a far valere le mie ragioni, evito, mi allontano oppure ottengo un

compromesso in senso negativo.

I lose-you lose: entrambi ne usciamo sconfitti e rammaricati.

I win-you win: entrambi usciamo vincitori dal conflitto, avviene una mediazione

soddisfacente

E’ ovvio affermare che l’ultima modalità, la win-win, è da preferire; essendo consapevoli

che non sempre è possibile applicarla.

Un errore tipico che viene commesso rispetto alla modalità win-win è quello di pensare di

trovare un accordo a metà strada, tuttavia senza l’ascolto attivo si rischia di giungere ad un

compromesso che risulti poco soddisfacente per entrambi.

Per comprendere meglio questo aspetto è bene che ti racconti una storia.

“Due bambine litigano per prendere l’unica arancia rimasta nel cesto della frutta. La prima

afferma: “l’arancia spetta a me perché sono la più grande! ” L’altra risponde: “No! spetta a me

perché io l’ho presa per prima!”.

La madre interviene, cercando di porre fine alla lite, tagliando l’arancia in due parti

perfettamente uguali e dandone metà a ciascuna bambina.

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Le due bambine però non rimangono soddisfatte della decisione della madre e continuano a

litigare in quanto ognuna di loro vuole tutta l’arancia e non vuole cederne neanche un pezzo

all’altra.

Interviene la nonna, che dopo aver attentamente osservato la scena, domanda alle bambine

il motivo reale dell’interesse a voler l’arancia intera. La prima bambina risponde di aver sete e di

voler spremere l’arancia per berne il succo, l’altra risponde che vuole grattugiarne la buccia per fare

una torta. La nonna senza indugio spreme la polpa perché la più piccola ne possa bere il succo e

grattugia la buccia dell’arancia affinché l’altra possa usarla per fare la torta. In questo modo la

nonna ha soddisfatto entrambe le bambine e finalmente torna la pace.”

Analizzando la storia é possibile comprendere il reale valore della mediazione rispetto alla

trattativa diretta e alla soluzione.

Le due bambine erano impegnate a litigare e non hanno provato ad ascoltarsi e

comprendersi, focalizzandosi solo sul tentativo di far valere i propri diritti, impegnandosi

completamente e non lasciando spazio ad una risoluzione alternativa della controversia.

Neanche la soluzione proposta dalla madre (che assomiglia alla sentenza di un tribunale,

emessa da un Giudice) è efficace, anche se é senz’altro imparziale ed equa.

Il successivo intervento della nonna (assimilabile al mediatore) invece, riesce ad essere

efficace ed a dare soddisfazione ad entrambe le bambine. La nonna infatti indaga sui reali motivi

che spingono le due bambine a volere l’arancia, spostando il fulcro della disputa dalle rigide

posizioni agli interessi sottostanti. La soluzione della nonna infatti soddisfa completamente

entrambe le bambine .

Il giudizio (nel caso di specie la decisione della mamma) è essenzialmente «selettivo» e

rende impossibili i tentativi di scovare soluzioni alternative, così come depotenzia il senso critico.

Occorre invece conoscere gli interessi delle parti e passare a prevedere più soluzioni, ricercando

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vantaggi comuni e allargando le prospettive. Il mediatore deve saper spostare l’attenzione su una

serie di criteri oggettivi che possano essere condivisi da entrambe le parti. La individuazione di una

soluzione basata su standard oggettivi (ad esempio leggi, precedenti favorevoli, rilevazioni

scientifiche, principi universali ecc.) può aiutare le parti ad allontanarsi da uno sterile confronto fra

posizioni preconcette. Il mediatore dovrà quindi indicare dei riferimenti esterni, indipendenti dalle

parti, in base ai quali parametrare l’efficacia dell’eventuale accordo.

Le 6 fasi del problem solving in modalità win-win

Ecco delineate brevemente le sei fasi:

FASE O: creare le condizioni per lo svolgimento delle sei fasi. Entrambe le parti devono

essere disponibili a seguire questo percorso, avere l’intenzione di provare a praticare un terza

modalità con la quale cercare il più possibile il rispetto dei bisogni di entrambi.

FASE 1: definire il problema in termini di bisogni: identificare chiaramente i rispettivi

bisogni ed esporli all’altro;

FASE 2: produrre le possibili soluzioni (proporre una serie di alternative astenendosi da

giudizi e valutazioni); Brainstorming

FASE 3: valutare le soluzioni (soppesare le diverse soluzioni, gli aspetti positivi e negativi,

scartando quelle non accettabili per entrambi)

FASE 4: scegliere la soluzione accettabile per entrambi (senza imporre, persuadere ecc. ma

arrivando ad optare di comune accordo per una soluzione)

FASE 5: programmare e attuare la soluzione (si decide chi fa cosa e quando)

FASE 6: verificare i risultati (se la soluzione scelta ha soddisfatto i bisogni di entrambi).

Questo metodo verrà attuato ascoltando, discutendo, parlando e confrontandosi; il tutto in un clima

di libertà e fiducia.

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4 Definizione del problema e fasi del cambiamento


La fase più importante è quella di definire il problema e soprattutto di chi è. Se ad esempio

mi recassi da una persona che fuma per strada e le chiedessi di spegnere la sigaretta perché fa male

alla salute, secondo il metodo Gordon, il problema è il mio e non dell’altro. Inoltre, finché l’altra

persona non comprenderà di avere un problema, qualsiasi tentativo di persuasione che andremo a

fare risulterà vano e la persone potrebbe sentirsi giudicata e attaccata.

Le fasi del cambiamento2

Nell’ambito del conflitto , la prima cosa da fare è valutare lo stadio nel processo del

cambiamento a cui si trova ogni persona tramite valutazioni ed autovalutazioni.

2
Il modello transteorico del cambiamento (MTC; Prochaska e Di Clemente, 1982), considerato come uno dei
modelli più utilizzati nella prevenzione e promozione della salute

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Inoltre, se vogliamo davvero che noi\gli altri cambino in modo efficace, occorrono sdai 3 ai

6 mesi per adottare un nuovo comportamento, circa 1-2 anni per renderlo parte integrante del

proprio stile di vita. Per cui pazienza e conflitti vanno di pari passo.

Cambiare non è un processo "tutto o nulla", ma richiede il passaggio attraverso fasi

intermedie. Dobbiamo immaginare questo processo come un percorso a spirale, via via si passa da

uno stadio ad un altro e si procede verso il cambiamento.

Talvolta possono esserci delle ricadute, e allora ci ritroviamo ad uno stadio precedente, ma

da lì è possibile ripartire nuovamente verso gli stadi successivi.

1. precontemplazione: la persona non ha nessuna intenzione di cambiare, non è consapevole dalla

propria condizione patologica o a rischio, mentre altri vedono il problema la persona lo

minimizza. In questa fase manca la motivazione e costruirla è l’obiettivo principale

dell’operatore;

2. contemplazione: si inizia a considerare la possibilità di un cambiamento, sia gli aspetti positivi

che negativi del cambiamento vengono riconosciuti;

3. determinazione o preparazione: la decisione di cambiare viene raggiunta, la consapevolezza

degli aspetti negativi del vecchio comportamento domina su quelli positivi, la persona mostra

apertura verso suggerimenti, generalmente questo stadio ha una durata minore rispetto ai

precedenti. Qui si può regredire o procedere verso gli stadi ulteriori. Fondamentale l’intervento

dell’operatore verso la costruzione di strategie operative.

4. azione: il comportamento a rischio è interrotto, viene adottato il nuovo comportamento che

viene incorporato nel proprio stile di vita.

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5. mantenimento: il problema viene definitivamente abbandonato, rischio di ricadute. Nel caso in

cui sia presente una ricaduta, più questa viene colpevolizzata, più è forte il rischio di non

ricominciare il ciclo e di arrendersi.

Se dunque, percepiamo che noi o gli altri ci troviamo in una fase di “precontemplazione”

rispetto ad un certo comportamento o modo di pensare, risulterà più difficile trovare un buon

accordo. Differente se noi o gli altri ci troviamo nella fase della “determinazione al cambiamento”.

Il messaggio in prima persona

All’interno di un confronto, può essere utile la tecnica del MESSAGG-IO detto anche

messaggio in prima persona.. Consiste nell’usare l’Io e non il Tu. Es. «Io sono arrabbiata» e non

«tu mi fai arrabbiare». Ciò permette di esprimere i propri sentimenti e non mette sulle difensive

l’altro. Troppo spesso utilizziamo frasi come “sei disordinata”,”sei un maleducato”, “sei

inaffidabile” ecc.

Un Messaggio in Prima Persona è un messaggio che vi descrive; è un’espressione dei vostri

sentimenti e della vostra esperienza. Un messaggio in prima persona è autentico, sincero e

congruente. Dato che esprime unicamente la vostra realtà interiore, non contiene valutazioni,

giudizi o interpretazioni sugli altri. Messaggio in prima persona positivo Un messaggio in prima

persona positivo contribuisce molto a rafforzare il rapporto quando non ci sono problemi, comunica

sentimenti positivi e descrive gli effetti concreti positivi che il comportamento di un altra persona

ha su di voi. Spesso vostro figlio si comporta in modo particolarmente accettabile per voi, assume

comportamenti che vi piacciono, che apprezzate, che vi rallegrano e per cui vi sentite grati.

Esprimere i vostri sentimenti positivi vi darà fiducia in voi stessi come genitori e, soprattutto, vostro

figlio si sentirà apprezato, riconosciuto ed amato.

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Spesso, tendiamo ad aggiungere generalizzazioni3 come “sempre”, “mai” , “nessuno” ecc.

Una frase tipica potrebbe essere “Arrivi sempre in ritardo e sei inaffidabile!”

Attraverso il messaggio-io possiamo invece esprimerci in un modo che l’altro non si senta

giudicato o colpevolizzato e che quindi lo induce più facilmente a prestarci ascolto e anche a

riflettere sulle conseguenze delle sue azioni. Il messaggio Io è un modo di esprimersi in prima

persona, manifestando i propri sentimenti ed emozioni.

Il concetto chiave del messaggio Io è “Io sento”, piuttosto che “Tu sei”.

Si costruisce attraverso quattro passaggi:

1. Quando tu…(e si descrive il comportamento che disturba, in modo concreto, specifico e

circostanziato)

2. Io mi sento…(e si descrivono le proprie emozioni)

3. Perché… (e si descrive il motivo delle proprie emozioni)

4. E ti chiedo di…(e si descrive il comportamento desiderato)

Ad esempio: «Quando tu arrivi in ritardo anche solo di dieci minuti, io mi sento poco

rispettato, perché penso di non essere importante, e mi sento a disagio dover aspettare da solo al

tavolo del bar»

il messagggio io, circoscrive la lamentela a un comportamento molto preciso e non dà un

giudizio alla persona, e soprattutto esprime l’emozione di chi parla, la conseguenza che il

comportamento dell’altro ha su di sé.

Con il messaggio io ci assumiamo la responsabilità di ciò che proviamo e della nostra

reazione. Può sembrare che ci mettiamo in una posizione di debolezza manifestando ad esempio che

siamo feriti ed esprimendo un nostro bisogno; in realtà è invece una posizione forte, di chi con

3
Secondo la Psicologia della Gestalt e anche in Programmazione NeuroLinguistica, la generalizzazione è un processo
cognitivo mediante il quale la mente riesce ad elaborare molte informazioni e metterle insieme, tuttavia può risultare
dannosa quando ad es. si è morsi da un cane e concludiamo che tutti i cani mordono.

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fermezza manifesta una necessità o che venga rispettato un suo diritto senza aggredire o insultare,

ma portando l’altro a ragionare sul proprio comportamento. È una tecnica spesso efficace perché

rende più probabile che l’altro, senza doversi difendere o controbattere, si metta davvero in ascolto

e comprenda gli effetti dei suoi comportamenti, e lo induce con più facilità a modificarli.

Ovviamente non è una formula magica, pertanto non sempre verremo riconosciuti nei nostri

sentimenti e non sempre riceveremo delle scuse o dei cambiamenti negli altri; tuttavia applicato in

modo costante e spontaneo ci permette di avere comunque risultati soddisfacenti e soprattutto

permette di trasformare in modo più funzionale emozioni che ci fanno star male.

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5 Conflitto e livelli neurologici del pensiero


Come descritto in precedenza, il messaggio in prima persona prevede che si utilizzi il

pronome io al posto di tu o voi; parte centrale del processo è descrivere le proprie emozioni

conseguenti al comportamento altrui.

Per comprendere meglio perché questa tecnica è così efficace, possiamo prendere in

considerazione i livelli neurologici del pensiero4.

L’ambiente è la fonte delle opportunità e dei vincoli esterni ai quali il singolo deve

reagire…Il livello ambientale si collega alle reazioni delle persone e comporta il controllo di aspetti

delle situazioni esterne che stimolano e influenzano le risposte.

4
Robert Dilts, afferma che La nostra struttura mentale, il nostro linguaggio e i sistemi sociali nei quali viviamo
costituiscono altrettante gerarchie naturali o livelli di processo. Ciascun livello ha la funzione di sintetizzare,
organizzare e orientare le interazioni al livello sottostante. Ogni cambiamento a livello superiore crea necessariamente
cambiamento ai livelli inferiori.
5
Immagine tratta da www.conveeds.com

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I comportamenti coincidono con le azioni e reazioni specifiche espresse dal singolo

individuo nell’ambiente.

Le capacità sono i fattori che orientano e dirigono le azioni e i comportamenti per il tramite

delle mappe mentali, dei piani e delle strategie…coincidono con le strategie e le mappe mentali che

le persone sviluppano per orientare i comportamenti…Il livello delle capacità ha la funzione di dare

alle persone la percezione e l’indirizzo necessari per acquisire determinati obiettivi.

Le credenze e i valori apportano il rinforzo in grado di sostenere o viceversa inibire le

capacità e i comportamenti. Credenze e valori determinano il livello di motivazione”. Il valore è un

criterio centrale per la persona. La credenza è il modo attraverso il quale quel valore è collegato ad

altre cose in contesti diversi. Costituiscono la cornice entro la quale avvengono tutte le interazioni

umane. Determinano il modo in si interpreta e si dà significato ad accadimenti e comunicazioni,

determinano quindi il livello di motivazione. Stanno alla radice della motivazione e determinano

quali specifiche strategie e azioni saranno attuate o rifiutate.

L’identità consiste nel ruolo assolto da una persona, nella missione che la ispira, e nel suo

senso di sé. Il livello dell’identità riguarda il senso che un gruppo o i membri di un gruppo hanno di

sé. E’ un costrutto di difficile definizione. E’ qualcosa di più astratto della credenza e ha a che fare

con i livelli più profondi del processo di incorporazione dell’informazione, quando la persona si

sente responsabile di ciò che ha appreso e avverte l’impegno a tradurlo in azione. L’identità ha a

che vedere principalmente con la missione.

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Il livello spirituale del cambiamento si collega al sistema allargato del quale il singolo

individuo fa parte e all’influenza che esso esercita sul gruppo e sull’organizzazione. Concerne il chi

altro e il cos’altro, vale a dire come influenzare il sistema più ampio nel quale ci si trova ad

operare. I fattori “spirituali” sono il portato della nostra percezione di appartenenza ai sistemi

sempre più ampi che ci circondano. Sono questi fattori a determinare la visione o la meta generale

retrostante alle azioni di un individuo o di una organizzazione.

Tutto questo significa che è differente comunicare ad una persona “quando tu arrivi

all’appuntamento con 30 minuti di ritardo io mi sento a disagio” (messaggio in prima

persona+descrizione emozione+ livello neurologico comportamento); rispetto ad affermare “arrivi

sempre in ritardo, sei un menefreghista!” (generalizzazione + livello neurologico sull’identità).

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6 La comunicazione efficace secondo Thomas


Gordon
Uno dei metodi elettivi per affrontare i conflitti interpersonali fu coniato dallo psicologo

Thomas Gordon6.

Concentrarsi sul comportamento

Per ogni persona con cui siamo in rapporto ci formiamo una finestra percettiva attraverso cui

osserviamo i suoi comportamenti. Ne abbiamo una diversa per ogni persona con cui ci rapportiamo.

Questa finestra percettiva è denominata: rettangolo del comportamento. Per comportamento si

intende qualcosa che possiamo udire o vedere concretamente, non il nostro giudizio su quella

persona.

Un modo molto utile per identificare il comportamento è chiedersi: "Potrei fotografarlo o

inciderlo su nastro? Potrei ascoltarlo alla radio o vederlo alla TV ? Dunque, una prima abilità da

sviluppare è quella di imparare a discriminare i comportamenti dai giudizi. Tutte le persone si

trovano a vivere di volta in volta due sentimenti diversi nelle relazioni interpersonali: accettazione

e non accettazione.

Di seguito in modo schematico vengono rappresentati esempi di comportamenti che

avvengono nel contesto scolastico

6
Lo psicologo Thomas Gordon fu allievo di Carl Rogers, fu uno dei padri fondatori della Psicologia Umanistica,
corrente Psicologica in cui si evidenzia l'importanza delle risorse e delle potenzialita' insite in ogni Individuo.
E' stato candidato al Premio Nobel per la Pace per ben tre anni consecutivi 1997, 1998 e 1999.

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La linea che separa i comportamenti accettabili da quelli non accettabili non è statica; si

muove su e giù, spesso molto rapidamente nel corso di una giornata e varia da persona a persona;

può dipendere dal nostro umore, dai nostri valori che magari sono cambiati nel tempo ecc.

Due persone possono vedere lo stesso comportamento in modo diverso; in Programmazione

NeuroLinguistica è famosa la frase “la mappa non è il territorio”8

I tre fattori che influenzano il livello di accettazione di un comportamento sono:

1) Fattori interni alla persona: la personalità specifica, stato d’animo, condizioni di

salute, impegni di lavoro, ecc. Possono esserci variazioni ad esempio nel mio stato

d’animo, indipendenti dal comportamento dell’altro, che possono influire sulla mia

accettazione o non accettazione di tale comportamento.

2) L’ambiente: il luogo in cui si svolge il comportamento può determinare i miei

sentimenti di accettazione o non accettazione. Per esempio, mentre mi va benissimo

7
Immagine tratta da slideplayer.it
8
Questo principio fu formulato inizialmente dal fondatore della semantica generale, Alfred Korzybski (1879-1950), e
riconosce la distinzione fondamentale tra le nostre mappe del mondo ed il mondo stesso. La PNL sostiene che tutti noi
abbiamo la nostra personale visione del mondo e che questa visione è basata sulle mappe interne, che abbiamo
costruito attraverso il linguaggio e i sistemi rappresentazionali sensoriali, come risultato delle esperienze della
nostra vita individuale.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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che i bambini giochino a pallone in cortile, probabilmente non mi andrà bene che lo

facciano in salotto.

3) Gli altri: i miei sentimenti di accettazione variano ad esempio da un figlio all'altro, a

seconda dell'età, personalità, sesso, ecc. , di quest’ ultimo. problema, che vive

un’esperienza.

Lo scopo del metodo Gordon è quello di acquisire le competenze necessarie per ridurre il

più possibile le due aree problematiche nella relazione interpersonale. Di conseguenza, l’area non

problematica diventa più grande. Una abilità fondamentale da sviluppare è quella di imparare a

individuare di chi è il problema. Bisogna ricordare che un comportamento è accettabile se potete

dire: "Mi piace, lo accetto, sono a mio agio, non mi sento minacciato, irritato, arrabbiato, deluso;

posso accettare che l’altro sia com’è; mi sento neutrale; i miei bisogni sono soddisfatti". Un

comportamento è inaccettabile quando potreste dire: "Non mi piace, non lo accetto; mi sento

minacciato (o irritato, arrabbiato, spaventato, deluso); voglio che i miei bisogni vengano soddisfatti.

I metodi “tradizionali di aiuto” che creano barriere per la comunicazione

Nella nostra Società è radicata l’idea che, quando qualcuno si trova in difficoltà, basta dire

qualsiasi cosa per essere di aiuto. In realtà non è così: spesso con le migliori intenzioni si rischia di

peggiorare la situazione.

Questi tentativi vengono definiti metodi tradizionali di aiuto o barriere della comunicazione

e sono:

1. dare ordini, comandare, dirigere;

2. minacciare, ammonire, mettere in guardia;

3. moralizzare, far prediche;

4. offrire soluzioni, consigli (soprattutto quando il consiglio non è richiesto;

5. argomentare, persuadere con la logica;

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6. giudicare, criticare, biasimare;

7. fare apprezzamenti, manifestare compiacimento;

8. ridicolizzare, etichettare, usare frasi fatte;

9. interpretare, analizzare, diagnosticare;

10. rassicurare, consolare;

11. indagare, investigare;

12. cambiare argomento, minimizzare, ironizzare

Per evitare di mettere in atto tutte queste modalità di comunicazione “inefficace”, , Gordon

consiglia la tecnica dell’ascolto attivo.9

Carl Rogers10 è giunto ad individuare le caratteristiche o condizioni che devono essere

presenti affinché una persona in difficoltà si senta aiutata. Quest’ultima deve sentire che chi si offre

di aiutarla è una persona:

1. Accettante: mi lascia essere quello che sono, con il mio modo di pensare, sentire, parlare

e agire. Non mi chiede di essere diverso o di cambiare i miei sentimenti.

2. Empatica: mi comprende davvero, intuisce i miei veri sentimenti, mi fa capire che mi sta

ascoltando con attenzione. Sa mettersi nei miei panni e mi comunica la sua percezione di

quell’esperienza.

3. Autentica: antepone la sincerità, l'onestà e la genuinità all’assunzione di un ruolo

(congruenza, anche attraverso la comunicazione non verbale). delinearne le cause.

9
L’ascolto attivo è una tecnica di comunicazione di tipo assertivo, basato sull’accettazione e l’empatia, utile non solo a
promuovere la capacità di esprimere in modo corretto ed efficace le proprie emozioni o argomentazioni, ma anche a
saper ascoltare e percepire le ragioni e i sentimenti degli altri, stabilendo quel contatto autentico che può diventare base
per relazioni arricchenti ed efficaci. Ascoltare in modo attivo vuol dire collegarsi all’altro attraverso la meta-
comunicazione, cogliere ogni aspetto del messaggio, la postura, il tono di voce, le esitazioni e le emozioni che trapelano
da quanto viene detto.
10
Carl Ramson Rogers è stato uno psicologo statunitense, fondatore della terapia non direttiva e noto per i suoi studi sul
counseling e la psicoterapia all'interno della corrente umanistica della psicologia.

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Ovviamente, ciò che viene definito come ascolto attivo richiede molta più interazione e

molte più prove che chi sta ascoltando non abbia soltanto sentito ma abbia davvero capito. L’ascolto

attivo, in quanto opposto all’ascolto passivo (silenzio), comporta l’interazione con l’utente, e fa

anche in modo che l’utente abbia delle prove (feedback) che l’operatore lo capisca.

Il rimando empatico è la forma di comunicazione che offre la percezione di essere stati

riconosciuti nei sentimenti, di essere stati accettati e di non essere stati giudicati.

L’ascolto attivo tende a ridurre paura ed ansia e facilita l’insight11 del reale problema e di

conseguenza inizia la risoluzione dello stesso, lasciando alla persona la responsabilità di trovare una

soluzione.

Sul piano relazionale: consolida il rapporto tra i membri nell’interazione, incrementando il

mutuo rispetto e la reciproca attenzione all’altro, consolida l’alleanza ed il senso di fiducia.

Per esempio,troppo spesso i genitori tendono a risolvere i problemi del bambino

mantenendolo in uno stato di dipendenza (ad esempio riparandogli oggetti, dicendogli cosa fare se è

annoiato, ecc.). Il genitore può aiutare il bambino con l'ascolto attivo e le frasi invito,

accompagnandolo nelle varie fasi del processo di soluzione del problema. L'ascolto attivo e il

problem-solving guidato possono senz’altro accelerare il passaggio del bambino dalla dipendenza

all'indipendenza. A volte il bambino trova difficile prendere una decisione o affrontare un problema

perché gli manca un metodo efficace. Abilità comunicative relative all’area non problematica In

situazioni non problematiche possiamo usare l’autorivelazione efficace. Autorivelazione significa

dare informazioni su di sé, esprimere sinceramente ciò che si pensa e si prova.

11
Insight (letteralmente "visione interna") è un termine di origine inglese usato in psicologia, e definisce il concetto di
"intuizione", nella forma immediata ed improvvisa rispetto la risoluzione di un problema.

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Bibliografia
 Gordon T. (1991) Insegnanti efficaci, Ed. Giunti

Gordon T. (1997) Leader efficaci, Ed. La Meridiana

Gordon T. (1997) Genitori efficaci, Ed. La MeridianaRenzo Canestrari,

 Manuale di psicologia, Bologna, CLUEB, 1994

 Elliot Aronson, Timothy D. Wilson; Robin M. Akert, Psicologia sociale, Bologna, il

Mulino, 1999.

 Rogers, C. R. (2000) La terapia centrata sul cliente, Firenze, Psycho

 Rogers, C. R.; Kinget, G. M. (1970) Psicoterapia e relazioni umane. Teoria e pratica

della terapia non direttiva, Torino, Bollati Boringhieri

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