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LITURGIA
PROGRAMA

SCOPO DEL CORSO:


Iniziare i novizi al culto della Chiesa, soprattutto nella partecipazione attivo della Santa Messa e
della Liturgia delle Ore. Il corso ha due dimensioni:
TEORICO E PRATICO.
I) TEORIA, ARGOMENTI PRINCIPALI:
La nozione di liturgia come esercizio del sacerdozio di Cristo e della Chiesa Liturgia delle Ore,
continuazione della lode di Cristo.
Messa e culto dell'Eucaristia, parti, partecipazione.
II) ASPETTO PRATICO:
Servizio d'altare;
Uso della Liturgia delle Ore
Preparazione della Liturgia
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BIBLIOGRAFIA:
Vaticano II, Sacrosanctum Concilium
Introduzione generale al Messale Romano
Introduzione generale alla Liturgia delle Ore
A. Azcarate, il fiore della rinnovata liturgia
C. Vaggini, Il significato teologico della liturgia
R. Guardini, I segni sacri
J. Ratzinger, Lo Spirito della Liturgia Un'introduzione
A. Saenz, Il Santo Sacrificio della Messa
P. Buela, LA NOSTRA MESSA; ARS PARTICIPADI.
IVE, DIRETTORIO DELLA LITURGIA
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PREGHIERE
PREGHIERA PRIMA DELLA MESSA (San Tommaso d'Aquino)
Onnipotente ed eterno Iddio, ecco che io mi accosto al Sacramento del Figlio tuo unigenito nostro
Signore Gesù Cristo: mi accosto come infermo al medico della vita, come immondo al fonte della
misericordia, come cieco al lume della chiarezza eterna, come povero e bisognoso al Signore del cielo
e della terra.
Prego dunque l'abbondanza della tua immensa generosità, affinché ti degni curare il mio male, di
lavare il mio vizio, illuminare la mia cecità, arricchire la mia povertà, vestire la mia nudità, affinché
riceva il pane degli Angeli, il Re dei re, il Signore dei signori, con tanta riverenza ed umiltà, con tanta
contrizione e devozione, con tanta purezza e fede, acciocché, mediante tali propositi e buone
intenzioni, possa conseguire la salvezza della mia anima.
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Concedimi ti prego, che io riceva non solo il Sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, ma
anche la grazia e la virtù di questo Sacramento.
O mitissimo Iddio, fa ch'io riceva cosi il Corpo dell'unigenito Figlio tuo nostro Signore Gesù Cristo,
che nacque da Maria Vergine, così che io meriti d'essere incorporato al suo mistico corpo ed
annoverato fra le sue mistiche membra.
O amantissimo Padre, concedimi finalmente di contemplare a faccia a faccia per l’eternità il tuo
diletto Figlio, che intendo ricevere ora nel mio cammino terreno, sotto i veli del mistero: Egli che è
Dio, e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
…………………………………..
PREGHIERE DOPO LA COMUNIONE DI AZIONE DI GRAZIE (San Tommaso d’Aquino)
Ti ringrazio, Signore, Padre onnipotente, eterno Dio, che non per mio merito, ma per sola
degnazione della tua misericordia, ti sei degnato di saziare col prezioso Corpo e Sangue del tuo Figlio
e Signore nostro Gesù Cristo, me peccatore e servo indegno.
Ti supplico perché questa Comunione non sia per me motivo di castigo, ma piuttosto pegno
salutare di perdono; mi sia armatura di fede e scudo di buona volontà; liberazione dai miei vizi,
distruzione della concupiscenza e dissolutezza, aumento di carità e di pazienza, di umiltà, di
obbedienza e di tutte le virtù.
Sia mia salda difesa contro le insidie di tutti i nemici sia visibili sia invisibili, quiete perfetta delle
passioni carnali e spirituali; con Te, unico e vero Dio, stabile unione e possesso beato del mio fine.
Degnati, ti prego, di ammettere me peccatore a quell’ineffabile convito, dove Tu col tuo Figlio e
con lo Spirito Santo sei luce vera, sazietà piena, gaudio sempiterno, giocondità completa e felicità
perfetta. Per lo stesso Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERE DOPO LA COMUNIONE


Anima Christi (Sant’Ignazio di Loyola)

Anima di Cristo, santificami. Corpo di Cristo, salvami.


Sangue di Cristo, inebriami. Acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, confortami. O buon Gesù, esaudiscimi.
Dentro le tue piaghe nascondimi. Non permettere che io mi separi da Te.
Dal nemico maligno difendimi. Nell’ora della mia morte chiamami.
Fa ch’io venga a lodarti con i tuoi santi nei secoli dei secoli. Amen.

PREGHIERE DOPO LA COMUNIONE


Offerta di sé imitazione di Cristo (Marcelo Javier Morcella)
Signore, voglio essere una Ostia Bianca, senza macchia, per la tua Grazia e per Tè. Fragile, ma
solo forte in Tè.
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INTRODUZIONE
La liturgia deriva dal latino liturgia, e questo dal greco λειτουργιί α (leitourguia); le sue due
radici fondamentali sono: λειτoν (leiton), che significa pubblico, e εέργον (érgon), che significa
azione, lavoro, impresa. Cioè, Liturgia significa azione pubblica.
-Cos'è la liturgia? Una definizione rigorosa è la seguente: Un insieme di segni sensibili (gesti e
parole) ed efficaci della santificazione e del culto della Chiesa.
-Quali sono gli scopi? Ce ne sono 2: l'uno ascendente che è il culto o la glorificazione di Dio e
l'altro discendente che è la santificazione della Chiesa.
-Come deve essere il culto? Deve essere inseparabilmente interna ed esterna, pubblica e privata,
questo è richiesto dalla natura della Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, in cui l'uomo è inserito per
lodare Dio e ricevere la sua grazia.
-Necessario per i Sacramenti: Questo è necessario perché sono gli unici attraverso i quali ci
vengono applicati i meriti conquisiti da Cristo sulla croce.
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IL SANTO SACRIFICIO DELLA MESSA


l. PREPARAZIONE ALLA SANTA MESSA
Chi non ha idee corrette su Dio non saprà mai cos'è la Messa. Le varie forme di ateismo che hanno
invaso il campo cattolico tendono, a loro modo, a ignorare il posto principale e primario di Dio nella
Messa. Ecco perché ci sono così tanti uomini e donne che non apprezzano la Messa, non la capiscono
e, di conseguenza, non partecipano o partecipano male. Quindi, il principale nemico della
partecipazione eucaristica è l'ateismo teorico, ma soprattutto l'ateismo pratico o l'incredulità.
1. Dio
Per capire cos'è la Messa è indispensabile avere idee corrette su Dio: sulla sua esistenza, sulla sua
natura, sulle sue operazioni, soprattutto per riconoscere che egli è spirito puro, libero, personale,
provvidente e trascendente. San Tommaso d’Aquino, ci insegna alcune caratteristiche, nel De Deo
uno: (A modo di esempio)
1 Naturaleza de la doctrina sagrada (10 art.).
2 Existencia de Dios (3 art.).
3 Simplicidad de Dios (8 art.).
4 Perfección de Dios (3 art.).
5 Bien en general (6 art.).
6 Bondad de Dios (4 art.).
7 Infinitud de Dios (4 art.).
8 Omnipresencia de Dios (4 art.).
9 Inmutabilidad de Dios (2 art.).
10 Eternidad de Dios (6 art.).
11 Unidad de Dios (4 art.).
12 Cómo conocemos a Dios (13 art.).
13 Los nombres de Dios (12 art.).
14 Ciencia de Dios (16 art.).
15 Las ideas (3 art.).
16 La verdad (8 art.).
17 La falsedad (4 art.).
18 La vida de Dios (4 art.).
19 La voluntad de Dios (12 art.).
20 El amor de Dios (4 art.).
21 Justicia y misericordia de Dios (4 art.).
22 Providencia de Dios (4 art.).
23 Predestinación (8 art.).
24 El libro de la vida (3 art.).
25 El poder de Dios (6 art.).
26 Bienaventuranza divina (4 art.).
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2. La mancanza di amore
Il secondo grande nemico della condivisione eucaristica è la mancanza di amore, o perché non
conoscono la loro vera natura, o perché sono egoisti, o perché non sanno agire per amore. Queste
persone non sono in grado di capire cosa sia la Messa, perché la Messa è un immenso atto d'amore
di Dio per noi e, di conseguenza, deve essere un grande atto d'amore da parte nostra verso Dio.
Partecipiamo alla Messa perché in essa sappiamo di essere amati da Dio e perché in essa
soddisfiamo il nostro bisogno di manifestare il nostro amore per Lui. E non saper amare non è altro
che ignoranza di ciò che è l'uomo, poiché l'uomo si realizza solo "nel dono sincero di sé stesso agli
altri".
1. Preparazione individuale
La Messa non è, per chi in un modo o nell'altro vi partecipa, un atto di automatismo. Questo vale
soprattutto per il sacerdote, il cui ruolo non può essere ridotto a quello di un funzionario. Anche se
non gli viene imposta alcuna preghiera specifica prima della Messa, si raccomanda vivamente che
si ricordi per qualche minuto prima di indossare i paramenti. Forse questo può essere fatto pregando
le Lodi o i Vespri, a seconda del tempo, o passando un po' di tempo in meditazione.
Il Messale Romano, nelle ultime pagine della sua edizione latina, suggerisce alcune preziose
preghiere per questo momento. Una di esse, che appartiene a sant'Ambrogio, esprime la totale
inadeguatezza che esiste tra la persona del sacerdote, piena di colpe, e la tremenda maestà di Dio:
una bellissima preghiera che umilia il celebrante e allo stesso tempo ne risveglia la fiducia
nell'infinità della bontà rivelata nelle ferite di Cristo Crocifisso, il cui sangue cadrà nuovamente
sull'altare in un supremo atto di misericordia.
Un'altra delle preghiere proposte appartiene a San Tommaso d'Aquino, il cui cuore di sacerdote e
teologo esprime gli stessi sentimenti, insieme al desiderio di ricevere gli effetti del sacramento:
“Concedimi, Signore misericordioso, di ricevere il Corpo del tuo Figlio unigenito, nostro Signore
Gesù Cristo, preso dalla Vergine Maria, affinché io possa meritare di essere incorporato nel suo
Corpo mistico”.
Infine, una bellissima preghiera alla Madonna, chiedendole di partecipare a questa Santa Messa
perché il Sacrificio sia novantesimo come quello della Croce, gradito alla Santissima Trinità.
Per prepararsi al Santo Sacrificio con l'anima succosa e la piena consapevolezza della maestà del
mistero che chiede come nessun altro "adorazione in spirito e verità", niente può aiutare se non un
momento di riflessione su queste grandi verità. Ci sembra che l'invocazione alla Santa Vergine sia
qui particolarmente attuale: Ella, che ha accompagnato il Figlio inchiodato alla Croce, accompagnerà
senza dubbio il fervente sacerdote che, come un altro Cristo, ha bisogno anche dell'aiuto della Madre
e della Corredentrice, sempre "ai piedi della Croce, in piedi".
2. Rivestimento
La preparazione interna è seguita da quella esterna. Prima di entrare all'altare, il sacerdote indossa
i paramenti liturgici.
È stato soprattutto il sentimento di riverenza che, verso la fine dell'antichità cristiana, ha portato
all'abitudine di indossare paramenti speciali per celebrare la Santa Messa. Se la società civile usa
costumi diversi per le diverse funzioni della magistratura, delle armi, delle accademie; se la forma e
il colore dei loro paramenti cambiano a seconda dei giorni di solennità, di giubilo o di lutto, non
sorprende che la Chiesa ricorra a paramenti particolari quando si tratta della celebrazione del più
alto dei misteri.
Già nell'antica legge Dio richiedeva paramenti sacri per il ministero levitico. Rivolgendosi a Mosè,
egli disse: (Es 28:2-5) E farai ad Aaronne, tuo fratello, delle vesti sacre, per conferirgli onore e grazia
parlerai a tutte le persone abili, che ho ripieno di spirito di sapienza, ed esse faranno le vesti di
Aaronne per consacrarlo, perché serva a me come sacerdote. E questi sono le vesti che faranno: un
pettorale, un efod, un mantello, una tunica lavorata a maglia, un turbante e una cintura. Faranno
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dunque delle vesti sacre per Aaronne tuo fratello e per i suoi figli, affinché serva a me come
sacerdote; essi useranno oro e filo violaceo, porporino, scarlatto e lino fino.
Non è strano, quindi, notare come, molti anni dopo, riferendosi a Simone, il Sommo Sacerdote, ci
viene detto nella Sacra Scrittura:
(Eccl. 50, 5-16) Come era stupendo quando si aggirava fra il popolo, quando usciva dal santuario
dietro il velo. Come un astro mattutino fra le nubi, come la luna nei giorni in cui è piena, come il
sole sfolgorante sul tempio dell'Altissimo, come l'arcobaleno splendente fra nubi di gloria, come il
fiore delle rose nella stagione di primavera, come un giglio lungo un corso d'acqua, come un
germoglio d'albero d'incenso nella stagione estiva, come fuoco e incenso su un braciere, come un
vaso d'oro massiccio, ornato con ogni specie di pietre preziose, come un ulivo verdeggiante pieno di
frutti, e come un cipresso svettante tra le nuvole. Quando indossava i paramenti solenni, quando si
rivestiva con gli ornamenti più belli, salendo i gradini del santo altare dei sacrifici, riempiva di gloria
l'intero santuario. Quando riceveva le parti delle vittime dalle mani dei sacerdoti, mentre stava presso
il braciere dell'altare, circondato dalla corona dei fratelli come fronde di cedri nel Libano, e lo
circondavano come fusti di palme, mentre tutti i figli di Aronne nella loro gloria, con le offerte del
Signore nelle mani, stavano davanti a tutta l'assemblea di Israele, egli compiva il rito liturgico sugli
altari, preparando l'offerta all'Altissimo onnipotente. Egli stendeva la mano sulla coppa e versava
succo di uva, lo spargeva alle basi dell'altare come profumo soave all'Altissimo, re di tutte le cose.
Allora i figli di Aronne alzavano la voce, suonavano le trombe di metallo lavorato e facevano udire
un suono potente come richiamo davanti all'Altissimo.
Con queste parole l'autore si sforza di descrivere l'aspetto maestoso e sublime del sommo sacerdote
dell'antica legge quando, alla vista del popolo e vestito con le sue vesti sacerdotali, entrava
solennemente nel santuario.
Questo requisito è mantenuto nella Nuova Alleanza per la sua liturgia, di cui la liturgia dell'Antico
Testamento era solo una prefigurazione. È tanto più vero che è la volontà del Signore che il sacerdote,
che rappresenta Cristo, si presenti all'altare in abiti speciali. "Non dobbiamo entrare nel Santo dei
Santi - scrive San Girolamo - né celebrare i sacramenti del Signore nelle vesti che ci servono per gli
altri usi della vita. La religione divina ha un abito per il ministero e un altro per l'uso comune. Per
questo motivo, i paramenti sacerdotali devono essere benedetti in anticipo, poiché sono destinati
esclusivamente all'uso sacro.
Non c'è dubbio che i santi misteri, infinitamente grandi in sé, non hanno bisogno di alcuna
lucentezza esterna. Così, in tempi di persecuzioni, non hanno mai esitato a offrire il sacrificio in abiti
comuni; ma normalmente gli uomini, a causa della nostra condizione di spiriti costretti a letto, hanno
bisogno di segni esteriori e sensibili per ricordarci la grandezza invisibile dei misteri. San Giovanni
Paolo II, nella sua lettera del Giovedì Santo del 1980 sul mistero e il culto dell'Eucaristia, denunciava
una tendenza desacralizzante che si sta facendo strada nei nostri giorni, cercando di spazzare via
ogni segno distintivo e ogni segno di solennità. La Chiesa non accetterà mai una cosa del genere, ma
insiste, sempre di nuovo, sulla necessità di coprire i misteri con una certa magnificenza.
Questo non fa alla validità dei sacramenti, ma, secondo le parole di san Tommaso, "appartiene
alla solennità". (SANTOTO, S. Th. I-II, Q. 102, a5, ad 8 y 9) Invece la consacrazione dei pontefici e
dei sacerdoti si svolgeva così. Primo, appena lavati venivano rivestiti dei particolari indumenti dovuti
alla loro dignità. (ad 10) Come si è già detto [a. 4], l’intenzione della legge era quella di educare al
rispetto per il culto di Dio. E ciò in due modi: primo, eliminando da tale culto tutto quanto ci poteva
essere di disprezzabile; secondo, convogliando in esso ciò che sembrava contribuire al suo decoro. E
se ciò veniva osservato nel tabernacolo, nei suoi arredi e negli animali da immolare, molto più doveva
essere osservato nei ministri. Per togliere quindi ogni disprezzo per i ministri fu comandato che essi
non avessero alcuna macchia o difetto fisico: poiché gli uomini difettosi d’ordinario sono disprezzati
dagli altri. E per ciò fu stabilito anche che non venissero scelti per il ministero qua e là, ma da una
discendenza determinata, in modo che fossero considerati più illustri e più nobili, affinché fossero
tenuti in venerazione, per essi furono stabilite vesti speciali, e una speciale consacrazione. Questa è
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dunque la causa generica dell’apparato delle vesti. In particolare poi si deve sapere che il pontefice
aveva otto indumenti.
(SANTOTO, S. Th. I-II, Q. 101, a1) Si la razón de los preceptos ceremoniales es el culto de Dios
Por otra parte, se dice en el Éxodo: Tú servirás al pueblo en las cosas que tocan a Dios y le
enseñarás las ceremonias y los ritos del culto (Ex 18,19). ITA
R. I precetti cerimoniali determinano quelli morali in ordine a Dio nello stesso modo in cui i
precetti giudiziali li determinano in ordine al prossimo. Ora, l’uomo è ordinato a Dio mediante il
culto dovuto. Perciò si dicono propriamente cerimoniali quei precetti che riguardano il culto di Dio.
…Abbiamo distinto i precetti cerimoniali…
(SANTOTO, S. Th. I-II, Q. 99, a3) Dice Mosè nel Deuteronomio [4, 13]: «Scrisse i dieci
comandamenti su due tavole di pietra, e a me comandò in quell’occasione di insegnarvi le cerimonie
e i giudizi che dovevate osservare». Ma quei dieci comandamenti sono precetti morali. Quindi oltre
ai precetti morali ce ne sono altri che sono cerimoniali.
R. La legge divina tende principalmente, come si è detto [a. prec.], a ordinare gli uomini a Dio,
mentre la legge umana mira principalmente a ordinare gli uomini fra di loro. Perciò le leggi umane
non si curarono di stabilire nulla sul culto divino se non in vista del bene comune della società: e
così i culti pagani imbastirono molte cose a riguardo della divinità, come loro pareva meglio, per
plasmare i costumi degli uomini. La legge divina, al contrario, ordinava gli uomini tra loro secondo
le esigenze dell’ordine riguardante Dio, che è il suo scopo principale. Ora, l’uomo viene ordinato a
Dio non soltanto con gli atti interni dell’anima, che sono credere, sperare e amare, ma anche con
delle opere esterne, con le quali egli riconosce la propria sudditanza. E in tali opere consiste appunto
il culto di Dio.
E questo culto viene detto cerimonia, che suona, come dicono alcuni, munia, cioè doni, di Cerere,
che era la dea dei prodotti agricoli: poiché in antico si offrivano a Dio sacrifici con tali prodotti.
Oppure, come riferisce Valerio Massimo [Fact. dict. memorab. 1, 1], il termine cerimonia fu
introdotto presso i latini per indicare il culto divino da un certo paese vicino a Roma che si chiamava
Cere: poiché là erano state trasportati e custoditi gelosamente gli oggetti sacri dei romani, quando
Roma fu occupata dai Galli. Così dunque i precetti della legge relativi al culto di Dio vengono detti
propriamente cerimoniali.
Sia la maestà di Dio che la debolezza dei nostri sensi esigono questa solennità, questo splendore
delle celebrazioni divine. Anche se nessuno lo comanda, il sacerdote stesso, quando arriva il
momento di avvicinarsi all'altare di Dio, dovrebbe sentire il bisogno di cambiare il suo abbigliamento.
Non sarebbe giusto presentarsi davanti al Signore tre volte Santo nella sua veste quotidiana,
macchiata dalla polvere del lavoro, della cucina e della rutina...
Il rivestimento con particolari ornamenti nasconde un ricco simbolismo.
Nel culto divino nulla è puramente esteriore: tutto è immagine e segno, tutto è spirito e vita. In un
certo senso, i paramenti spersonalizzano il sacerdote, dandogli un aspetto ieratico, che aiuta a far
conoscere al popolo un altro mondo, il mondo della festa e della contemplazione, il mondo della
fede. La Chiesa cerca di trasfigurare, di spiritualizzare le cose materiali con riferimenti sempre più
elevati e superiori ai sensi, per indirizzare l'intelligenza dei fedeli verso l'invisibile, il divino e l'eterno.
Questo è il senso della liturgia che alle volte sembra superfluo e simulazione. Così è con i paramenti
sacri: non solo esprimono in modo generale la maestà del sacrificio eucaristico, ma sono pieni di
insegnamenti per tutti coloro che comprendono il linguaggio dei simboli e vi prestano attenzione.
Il sacerdote, mentre indossa i paramenti, deve andare a pensare che sta entrando in una sfera
superiore a quella delle sue preoccupazioni quotidiane, che sta sollevando il suo cuore verso una
sfera superiore, che sta vestendo la sua stessa anima con solennità, che sta deponendo la sua
profanità per porsi davanti all'Agnello.
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Allo stesso modo, il rito della vestizione ha un carattere pastorale: i fedeli imparano attraverso i
loro occhi la grandezza e la trascendenza del mistero.
Descriviamo ora i vari paramenti e il loro rispettivo simbolismo. Si riferiscono in relazione con la
Persona di Cristo, che il sacerdote rappresenta; i dettagli della Passione del Signore, che si rinnova
nella Santa Messa (l'amito: la benda con cui hanno coperto gli occhi del Signore; l'alba: il manto di
scherno con cui lo ha vestito. Erode; il cingolo: le corde con cui è stato legato in giardino e trascinato,
o lo strumento della flagellazione; la stola: il peso della Croce che portava sulle spalle; la casula: la
veste viola con cui i carnefici lo ricoprivano).

a. L'amito
È una tela di filo bianco che copre le spalle. La parola "amito" deriva da amicere, che significa
coprire. Prima di indossarlo, il celebrante lo tiene per un momento sopra la testa. Inizialmente era
considerato un simbolo della fede di cui è rivestito il sacerdote che si prepara a celebrare il
"mysterium fidei". Poi è stata data un'altra interpretazione, che significava la consacrazione della
voce al Signore per poter cantare la sua lode solenne nella Messa.
Infine ha assunto un significato marziale (marcial), simboleggiando l'elmo da guerra. In passato,
il celebrante lo metteva prima sulla testa e lo lasciava lì fino a quando non finiva di vestirsi, poi lo
faceva cadere all'indietro. Questo simbolismo nasconde l'idea della Messa come atto di guerra. Il
sacerdote, andando all'altare, ricorda che sta riprendendo l'attacco contro Satana, iniziato da Cristo,
e affronta il nemico che continua ad assediare la Chiesa, secondo quanto dice San Paolo: (Ef 6:16-
17) …soprattutto prendendo lo scudo della fede, con il quale potete spegnere tutti i dardi infuocati
del maligno. Prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio; e (1
Tes 5:8) Ma noi, poiché siamo del giorno, siamo sobri, avendo rivestito la corazza della fede e
dell'amore, e preso per elmo la speranza della salvezza. Tale è il senso della preghiera che egli prega
mentre si mette l’amito: Imponi, o Signore, sul mio capo l’elmo della salvezza, per vincere gli assalti
del demonio.
b. L'albail camice
È una lunga tunica che prende il nome dal suo colore (albus: bianco). Ai tempi dell'Impero
Romano era l'abito indossato dalle persone di distinzione. La Chiesa l'ha scelta per sottolineare la
dignità della casa di Dio, come dice San Girolamo, e perché il suo candore indica l'estrema purezza
che deve caratterizzare coloro che servono l'Agnello senza macchia sulla terra, così come
caratterizza i santi del cielo, anch'essi vestiti di vesti bianche (cfr Ap 3,45), e soprattutto i martiri,
che hanno reso bianche le loro vesti nel sangue dell'Agnello (Ap 7,14).
Alcuni autori hanno visto all'alba il ricordo della veste bianca con cui Erode ha vestito Gesù in
derisione durante la sua Passione (Lc 23:11) Allora Erode, con i suoi soldati, dopo averlo oltraggiato
e schernito, lo rivestì di una veste splendida e lo rimandò da Pilato.
La fedeltà a Cristo renderà il sacerdote disposto a essere considerato "pazzo" dallo spirito del
mondo. È la follia della Croce, che in pochi minuti si rinnoverà sull'altare.
D'altra parte, i neofiti indossavano solo abiti bianchi, cioè i neobattezzati alla Veglia Pasquale, e
continuavano ad indossarli durante l'ottava di Pasqua, spogliandosene solo il sabato successivo,
chiamato appunto "in albis".
La bianchezza dell'alba ricorda al sacerdote che deve vivere in modo tale da poter salire all'altare
sacro con un cuore puro e un'anima serena. Per salire sul monte del Signore e rimanere in quel luogo
dove gli angeli vivono nella meraviglia, nello stupore, il sacerdote deve avere mani innocenti e un
cuore puro (Ps 24:3-4) Chi può salire sul monte del Signore? Chi può restare nel suo santo luogo?
Chi è innocente di mani e puro di cuore, chi non eleva a vanità la sua anima e non fa giuramenti a
scopo d'inganno. Tutte le volte che rivesta all'alba ricorderà che deve purificare sempre di più il suo
cuore, non solo dai peccati, ma anche da tutte le passioni disordinate che lo rendono meno degno di
affrontare l'Ostia pura, santa e immacolata. Consapevole della sua radicale indegnità e del fatto che
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apparirà alla presenza del Senza Macchia, quando la indossa prega questa: “Purificami, (dealba me)
Oh Signore, e monda il mio cuore: affinché, purificato nel sangue dell’Agnello, io goda dei gaudi
eterni”.
c. Il cingolo
È la corda che, stretta alla vita (ceñida a la cintura), serve a soggettare, afferrare (sujetar) l'alba,
che è lunga e larga (amplia, ancha). È stata adottata, poi, per un motivo di necessità.
* Un primo significato è stato ricevuto con riferimento all'umiltà, un atteggiamento opposto
all'orgoglio e superbia, che si gonfia (hincha). Si riferiva anche ad un'espressione che appare nella
Sacra Scrittura: "cingersi i lombi" (Lc 12:35) I vostri lombi siano cinti e le vostre lampade accese. (Ef
6:14) State dunque saldi, avendo ai lombi la cintura della verità, rivestiti con la corazza della
giustizia.
* I lavoratori, i soldati e i viaggiatori erano abituati ad allacciarsi (aggiustarsi) le cinture e ad
allacciare i loro vestiti, che erano lunghi e fluttuanti, in modo da essere più pronti per il loro lavoro,
la loro lotta o il loro viaggio. Ora, la Messa ha un po' di lavoro (è il rinnovamento dell'"opera di
redenzione" per eccellenza), di lotta (come abbiamo detto quando ci siamo riferiti all'amito), e di
viaggio (ci offre il cibo del viandante sulla via del cielo).
* Alcuni autori hanno visto nel cingolo un'evocazione delle corde con cui legavano Gesù nell'Orto,
o anche mentre era legato alla colonna quando avveniva la flagellazione.
** Tuttavia, il simbolismo che ha prevalso si riferisce soprattutto alla purezza. La zona della vita è
considerata la sede della lussuria, che deve essere cinta, trattenuta. Questa è la direzione della
preghiera attuale che il sacerdote dice mentre glielo aggiusta: “Cingimi, o Signore, col cingolo della
purezza, ed estingui nei miei lombi l’ardore della concupiscenza; affinché si mantenga in me la virtù
della continenza e della castità”. Castità significa castigo il corpo per non essere dominati dai desideri
contrari alla ragione, e questa soggetta alla Volontà di Dio.
Tale simbolismo non è privo di relazione con il celibato del sacerdote: il suo cuore, che deve
diventare tutt'uno con il divino Cuore di Cristo Sacerdote, deve rimanere indiviso. La piccola schiera
del suo celibato è così immersa nella grande Ostia del Sacrificio che sta per fare. La Messa rinnova
le immacolate nozze di Sangue tra Cristo, lo Sposo, e la Chiesa, la sua Sposa.
d. La stola
Questo ornamento significa il potere dell'Ordine sacro. Sembra che in origine fosse una specie di
sciarpa usata per asciugare la bocca, il sudore e le lacrime. Il suo antico uso era riservato a persone
di qualità: principi, dignitari e soprattutto oratori. Per questo la Chiesa lo prescriveva a coloro che
avevano già ricevuto ordini maggiori, soprattutto in relazione alla predicazione. Rappresentava il
Buon Pastore nelle catacombe. Un autore del secolo VI ha detto che questa insegna (bandiera,
vessillo, segno) ricordava la pecora smarrita posta sulle spalle del Buon Pastore.
La formula pronunciata dal sacerdote quando la indossa mostra il suo attuale significato:
“Rendimi, o Signore, la stola dell’immortalità, perduta per la prevaricazione del primo padre; e
sebbene io acceda indegno al tuo sacro mistero, fa che possa meritare il gaudio eterno”.
La stola è l'abito della santità con cui il sacerdote deve servire Dio e risplendere davanti agli
uomini, così come l'ornamento della gloria che sarà in cielo la ricompensa della sua fedeltà.
Ambedue; sia la veste della grazia che quella della gloria costituiscono la "stola dell'immortalità", che
Adamo perse per sé e per i suoi discendenti; oggi, attraverso il sangue e i meriti di Cristo,
l'immortalità è restituita agli umili servi del Signore. Qualunque sia il grado di debolezza e di miseria
del sacerdote, la grazia sacramentale lo rende degno di meritare la felicità eterna attraverso la
celebrazione dei sacri misteri. Nell'indossare la stola, quindi, il sacerdote ricorda il glorioso ministero
che sta per compiere. Il suo sacro ufficio lo porta, d'ora in poi, davanti al trono della Maestà Divina.
e. La casula
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Si tratta di un grande mantello rotondo, molto ampio, con un'unica apertura in modo che la testa
possa attraversarlo. In un certo senso, il sacerdote vi è racchiuso in quanto circonda tutto il suo
corpo, dalla testa in giù. Dal VII secolo in poi ha cominciato a chiamarsi "casula", cioè una piccola
casa, una casetta. Questo ampio mantello tradizionale, nobile, agile, elegante, con il passare del
tempo si è ricaricato di ornamenti di cattivo gusto ed è stato progressivamente tagliato fino a ridurlo
in piccole proporzioni, a forma di chitarra, (pianetta) al punto che, con la sua caratteristica graziosa,
Leon Bloy lo ha paragonato a uno "scapolare". Oggi è tornata alla sua nobile forma primitiva.
È la principale e più bello indumento del sacerdote, l'abito nuziale che copre tutti gli altri
ornamenti. Questo ci permette di paragonarla alla carità, la virtù più grande e preziosa di tutte, che
domina le altre, come una regina. Le due facce della casula possono essere l'amore di Dio e l'amore
del prossimo. Il sacerdote è il rappresentante in terra dell'amore di Dio, dell'amore di Cristo. Il suo
zelo sacerdotale non è che il riflesso di quell'amore, che lo capovolge, lo rovescia a lavorare per la
salvezza delle anime.
Si è detto che la casula rappresenta la croce che Cristo che ha portato sulle sue spalle fino alla
cima del Calvario. Simboleggia così, la sua croce interiore, cioè il desiderio di soffrire per noi, che
ha sperimentato fin dal momento della sua Incarnazione.
Infine, ci ricorda la necessità che il sacerdote porti la sua croce quotidiana. Mentre lo indossa, il
celebrante pronuncia le parole del Vangelo che si riferiscono al dolce giogo del Signore, che viene
assunto da coloro che si preparano a rinnovare il suo Sacrificio: “O Signore, che hai detto: Il mio
giogo è soave e il mio carico è lieve: fa che io possa portare questo in modo da conseguire la tua
grazia. Amen”. Il sacerdote porta il giogo, che è in definitiva il giogo dell'amore, della carità, quello
che il Signore ha portato nell'assumere i peccati del genere umano. Come si legge nell'Imitazione di
Cristo, egli sale all'altare portando nella sua casula due croci: una davanti, per i propri peccati, l'altra
dietro, per i peccati degli altri. Egli porta, come Cristo, i peccati del mondo. Immolando la Vittima
divina, egli si immolerà con essa per la salvezza degli uomini e la glorificazione di Dio.
f. La stola e la dalmatica dei diaconi
Abbiamo già esposto il significato della stola. Nel caso dei diaconi, viene messa in traversa, come
a indicare che i poteri sacerdotali non sono ancora del tutto pieni. Per quanto riguarda la dalmatica,
così chiamato perché proviene dalla Dalmazia, una regione dell'ex Giugoslavia, è un'ampia tonaca
a maniche corte che permette al diacono di muoversi facilmente intorno all'altare.
g. I colori liturgici
La diversità dei colori liturgici non vuole solo dare ai paramenti più splendore e varietà, ma anche
comunicare loro un significato religioso degno di natare, sottolineare. La simbologia ricca e profonda
dei colori è stato il motivo per cui la Chiesa ha prescritto diversi colori per le varie feste, stagioni e
cerimonie dell'anno ecclesiastico. Attualmente la Chiesa prescrive l'uso esclusivo di quattro colori:
BIANCO, ROSSO, VERDE E VIOLA.
La luce, così semplice in sé stessa, varia in clori per mischia di oscurità. I colori che risultano dalla
rifrazione dei raggi luminosi, hanno una corrispondenza con la vita interiore dell'uomo. I colori
chiari e luminosi ci incoraggiano e ci rendono felici; i colori scuri, invece, ci abbattono e sembrano
produrre oscurità nella nostra anima.
I colori non sono solo simboli di pensieri, sentimenti, verità e vari misteri, ma hanno anche una
forte influenza sull'intelligenza e sul cuore con la loro azione sulla vita spirituale e morale. La Chiesa,
riconoscendo questo fatto, introduce i colori nella liturgia, e ricorre al loro simbolismo per uno scopo
più alto ed elevato.
L'inesauribile vita di fede e di grazia che la Chiesa racchiude in sé si manifesta nella varietà dei
colori liturgici, generando così nel cuore dei fedeli pensieri celesti, santi affetti e buoni propositi. I
colori liturgici hanno un'anima, hanno vita, hanno un linguaggio che parla di Dio, dell'uomo e
dell'eternità.
11

Spieghiamo brevemente il significato simbolico dei vari colori che la Chiesa utilizza per il servizio
dell'altare.
IL COLORE BIANCO è il colore della luce, il simbolo della sua irradiazione e del suo splendore. È
anche l'emblema della purezza, dell'innocenza e della santità, oltre che della gioia e della gloria.
Il bianco è l'abito dei neobattezzati, purificato da ogni macchia nell'acqua di rigenerazione.
Coloro che hanno perseverato fino alla fine della lotta contro il peccato sono descritti nel Libro
dell'Apocalisse come vestiti di bianco, rivestiti di luce (Ap 3:5) Il vincitore sarà dunque vestito di
bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio
e davanti ai suoi angeli.
La Gerusalemme celeste brilla di una luce inestinguibile. Alla trasfigurazione sul monte Tabor, il
volto di Cristo risplendeva come il sole, le sue vesti bianche e splendide come la neve (cfr Lc 9,29).
Per questi motivi, tutti i misteri gioiosi e gloriosi di nostro Signore, come il Natale, l'Epifania, la
Pasqua, l'Ascensione, il Corpus Domini, sono celebrati in bianco. Allo stesso modo, un tale colore è
usato per commemorare i misteri della vita della Madonna dalla sua Immacolata Concezione alla
sua gloriosa Assunzione "in cielo". Questo non deve sorprendere, perché Maria è un giglio (clavel)
meraviglioso, un giglio celeste di splendido candore, tutto bello e senza macchia.
Il colore bianco è utilizzato anche per la festa dei Santi Angeli, esseri di indescrivibile purezza.
Infine, il bianco è il colore di tutti i santi che non sono martiri, cioè dottori, confessori, pastori,
vergini, uomini e donne. Tutti loro hanno camminato con Cristo: o sono rimasti puri, non avendo
contratto gravi macchie nel loro pellegrinaggio sulla terra, oppure, dopo aver peccato, hanno
recuperato la loro purezza perduta lavandosi nel sangue dell'agnello e nelle lacrime della penitenza.
Il colore bianco dei paramenti ha anche lo scopo di ricordare ai fedeli la necessità di apparire
nella casa di Dio vestiti con l'abito nuziale della grazia santificante.
IL COLORE ROSSO è il colore più vivo, il colore del fuoco e del sangue, dell'amore e del sacrificio.
Il rosso simboleggia la fiamma ardente dello Spirito Santo che accende il cuore degli eletti,
simboleggia la carità generosa che sacrifica il più grande e amato dei beni della terra, che è la vita,
per amore dei beni trascendenti, e che trionfa passando attraverso la morte. Secondo il Cantico dei
Cantici (8,6-7), l'amore è forte come la morte; è implacabile come la tomba; le sue fiamme sono le
fiamme del fuoco più violento, e le molte acque non possono spegnerlo.
Non c'è amore senza sofferenza. Nelle anime eroiche, l'amore è testimoniato dall'accettazione
volontaria del dolore e dall'effusione del sangue. Perché, (Gv 15:13) Nessuno ha un amore più
grande di questo: dare la vita per i suoi amici, e così (1 Gv 3:16) Da ciò noi abbiamo conosciuto
l'amore: egli ha dato la sua vita per noi. Quindi anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli.
Il rosso è dunque il colore liturgico dei giorni che hanno un rapporto, legame con i misteri della
Passione di nostro Signore, giorni che ci ricordano il Sangue versato da Cristo per la nostra
redenzione. Nei misteri dolorosi, il Salvatore si mostra a noi con le sue vesti coperte di sangue.
Il rosso è usato anche nelle feste dei Santi Martiri, che versarono il loro sangue per Gesù Cristo,
mostrando mediante il sacrificio della sua vita un amore più forte della tortura e della morte. Tra
loro, in primo luogo, è occupata dagli Apostoli, che hanno piantato la Chiesa con il loro sangue.
Il rosso è, infine, il colore liturgico della Pentecoste, in memoria della venuta dello Spirito Santo
che, sotto forma di lingue di fuoco, è disceso visibilmente sul collegio apostolico e la Vergine Madre
e da quel giorno continua a scendere invisibilmente su migliaia di fedeli, illuminandoli con la fede e
rendendoli ferventi nella carità, affinché possano rinnovare la faccia della terra e riempirla con il
coraggio dell'apostolato e del sacrificio il mondo.
IL VERDE è un colore intermedio tra i colori forti e quelli deboli. Per l'occhio dell'uomo è il colore
più tenue e sedativo, il colore del risveglio della primavera, quando il panorama si riempie di
fogliame, fiori e profumi. Il sentimento universale, adottato anche dalla liturgia, fa del verde il
simbolo della speranza teologica. Il colore verde si adatta perfettamente alla natura della Chiesa: è
12

un albero potente, piantato nel solco bagnato dal sangue divino, che innalza maestosamente il suo
tronco verso il cielo, estende sulla terra l'ombra benefica dei suoi rami, si copre di numerose foglie,
e porta abbondanti frutti di grazia e virtù. La Chiesa è anche paragonabile a un campo e a un vigneto
fertile. Qui il Buon Pastore conduce le sue pecore in pascoli sempreverdi e le fa bere dal flusso delle
acque vive. Così la Chiesa avanza tra la vegetazione lussureggiante, verso il verde perfetto della vita
eterna.
Poiché il verde occupa un posto intermedio tra i colori chiari e quelli scuri, viene utilizzato in
giornate che, senza avere un carattere particolarmente solenne e gioioso, non sono però segnate
dallo spirito penitenziale. Queste sono le domeniche e le ferie di tempo ordinario durante l'anno,
soprattutto il periodo che va da Pentecoste all'Avvento, poiché questa volta ci ricorda il pellegrinaggio
dei figli della Chiesa in cammino verso la patria celeste.
IL COLORE VIOLA è uno dei colori scuri, ma il rosso che contiene lo rende un po' vivo. La sua
somiglianza con la tonalità grigiastra della cenere ci predica la penitenza. Assomiglia molto alla
violetta, quel fiore modesto e solitario che si nasconde sotto l'erba, come per sfuggire alla vista
dell'uomo, e che sembra non avere bellezza né profumo se non per il suo Creatore. È un simbolo di
umiltà, di ritiro, di delicata malinconia, di nostalgia del cielo. Il colore viola indica il lutto, ma non
un lutto così completo e assoluto da implicare qualsiasi accenno di morte. Ecco perché è un colore
molto appropriato per esprimere una tristezza santa e gradita a Dio.
Il viola è usato di solito nei giorni che hanno un carattere penitenziale. È soprattutto il colore
dell'Avvento e della Quaresima. La celebrazione dell'Avvento, pur accompagnata da canti di gioia
perché all'orizzonte è sempre la figura del Signore che verrà a salvarci, include però un tocco di
penitenza, mentre esprime il nostro ardente desiderio di essere redenti dal peccato. È anche il colore
della Quaresima, durante la quale ci consacriamo alle opere e allo spirito di penitenza. Il colore viola
ci avverte che siamo ancora lontani dalla Gerusalemme celeste; seduti sulle rive dei fiumi di
Babilonia, la nostalgia della Patria scatena le nostre lacrime. Sentiamo finalmente che questo colore
ora comprende il colore nero, che prima era usato per gli uffici dei defunti.
CELESTE
IL BLU è associato al dogma mariano e può quindi essere indossato solo durante le celebrazioni
legate alla Vergine Maria, come l'Assunzione o l'Immacolata Concezione.
È l'unico colore che rappresenta un vero privilegio liturgico. Il suo uso fu autorizzato dal Concilio
di Trento solo per i territori allora detenuti dai regni di Spagna e Portogallo, dall'ex Regno di Baviera,
da alcune chiese di Napoli e dall'ordine francescano, a causa della sua storica difesa del dogma
mariano. Questo privilegio è ancora in vigore oggi.
Il blu è il colore della pace, della pulizia e della purezza. Ed è un colore molto speciale per gli
spagnoli, perché è il colore usato dai sacerdoti soprattutto l'8 dicembre, giorno dell'Immacolata
Concezione. Nel XIX secolo, il Vaticano concesse a tutti i popoli ispanici la possibilità di celebrare
questa festa con questo colore blu.

IL ROSATO, indica gioia e solennità per la III domenica di Avvento e la IV domenica di Quaresima,
Concepito come una variante del colore viola, il rosa segna due pause che la Chiesa fa durante i
tempi di penitenza. Simboleggia quindi "l'attenuazione della porpora", per attenuare la penitenza o
il riposo in preparazione delle gioie a venire.
Il rosa viene utilizzata due volte all'anno, la terza domenica di Avvento (Gaudete) e la quarta
domenica di Quaresima (Laetare).
L'ORO simboleggia il dono e può sostituire tutti i colori in ogni occasione, anche se viene utilizzato
da solo in alcune occasioni particolarmente importanti.
TUTTI QUESTI COLORI DEVONO ESSERE IMPRESSI ANCHE NEL NOSTRO CUORE:
13

• Dobbiamo vivere nella veste bianca della purezza, dell'innocenza. Riconquista la purezza con
la nostra vita santa.
• Dobbiamo vivere nella veste rossa dell'amore appassionato per Cristo, fino al punto di essere
pronti a dare la vita per Cristo, come i martiri.
• Dobbiamo vivere il colore verde della speranza teologica, in questi tempi duri del nostro
mondo, guardando sempre all'eternità.
• Dobbiamo vivere l'abito viola o violetta, perché la penitenza, l'umiltà e la modestia devono
essere il nutrimento e l'atteggiamento della nostra vita cristiana.
• Dobbiamo vivere il vestito rosato, solo una volta ogni tanto, perché ogni gioia umana è
effimera e fugace.
• Dobbiamo vivere con un vestito blu, guardando continuamente il cielo, anche se abbiamo i
piedi per terra.
…………………………………
(SANTOTO, S. Th. I-II, Q. 99, a3 ad3) Come insegna Dionigi [De cael. hier. 1, 3], le realtà divine
non possono essere rivelate agli uomini che mediante similitudini sensibili. Ora, tali similitudini
muovono maggiormente l’animo quando sono presentate ai sensi, e non sono soltanto espresse con
la parola. Infatti, nella Scrittura vengono comunicate non soltanto con immagini espresse dalla
parola, come appare dalle locuzioni metaforiche, ma anche con similitudini di cose reali presentate
visibilmente: e ciò appartiene ai precetti cerimoniali.
…………………………………
(SANTOTO, S. Th. I-II, Q. 99, a4 c.) La legge divina ha il compito di ordinare gli uomini tra loro
e con Dio.
Ora, in generale queste due funzioni appartengono al dettame della legge di natura, al quale
corrispondono i precetti morali; ma entrambe hanno bisogno di una determinazione da parte della
legge divina o umana, poiché i princìpi noti per natura sono generici, sia in campo speculativo che
in campo pratico. Come dunque la determinazione del precetto generico di onorare Dio avviene
mediante i precetti cerimoniali, così la determinazione del precetto generico di osservare la giustizia
tra gli uomini avviene mediante i precetti giudiziali, o legali.
E in base a ciò bisogna ammettere tre generi di precetti nell’antica legge: i precetti morali, che si
riducono ai dettami della legge naturale,
quelli cerimoniali, che sono determinazioni del culto divino,
e quelli giudiziali, che sono determinazioni della giustizia tra gli uomini.
Perciò l’Apostolo [Rm 7, 12], dopo aver detto che la legge è santa, aggiunge che il comandamento
è giusto, santo e buono: giusto rispetto alle norme legali, santo per quelle cerimoniali (infatti si dice
santo ciò che è dedicato a Dio), e buono per quelle morali.
14

FONDAMENTO E MOTIVAZIONE PRIMARIA

Nell'ultimo Capitolo generale, i padri capitolari, ciascuno al proprio posto, hanno deciso gli
"Elementi non negoziabili aggiunti".
Dopo aver ricordato l'essenziale "elemento non negoziabile" del carisma, evidenzieremo gli
"elementi non negoziabili" 1 aggiunti.
1. Il carisma essenziale
"Per il carisma proprio dell'Istituto, tutti i suoi membri devono lavorare, nella massima docilità
allo Spirito Santo e nell'impronta di Maria, per insegnare a Gesù Cristo tutto ciò che è autenticamente
umano, anche nelle situazioni più difficili e nelle condizioni più avverse 2.
"È cioè, la grazia di saper agire, concretamente, per prolungare Cristo nelle famiglie,
nell'educazione, nei media, negli uomini di pensiero e in ogni altra legittima manifestazione della
vita umana. È il dono di rendere ogni persona "come una nuova incarnazione del Verbo" 3. Essere
essenzialmente missionari e mariani" 4.
Poiché Gesù Cristo è il cuore del carisma, ci conduce alla Santissima Trinità, a Lui stesso, alla sua
Chiesa e a sua Madre.
2. Elementi non negoziabili aggiunti
"La degna celebrazione della Santa Messa 5. Dobbiamo caratterizzarci per l'importanza che deve
essere data alla celebrazione della Santa Messa, così come per il modo riverente di celebrarla. Per
quel motivo l'enfasi [l’esaltazione] che deve essere dato alla vita liturgica nell'Istituto" 6. È
caratteristica nostra la marcata devozione eucaristica 7. I nostri sacerdoti devono essere maestri
dell'Ars celebrandi, [i nostri seminaristi maggiori, minori, novizi, i nostri fratelli coadiutori, le suore
e i membri del Terzo Ordine secolare devono sforzarsi, da parte loro, di vivere nel modo più perfetto
l'Ars participandi].
Questo è confermato dagli insegnamenti del Papa:
- “Le nostre liturgie devono essere vivide e vive. Vivace, cioè vivace, forte, efficace, brillante.
Vissuta, cioè che hanno vita, che sono un'esperienza immediata di Cristo nel Santissimo Sacramento.
Infatti, "la liturgia deve favorire il senso del sacro e farlo risplendere. Deve essere permeato dallo
spirito di riverenza e di glorificazione di Dio 8”.9

1 Ad esempio, Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi, Sala Clementina, venerdì 21 dicembre
2012, "Ciò che lei [la Chiesa] ha riconosciuto come valori fondamentali, costitutivi e non negoziabili dell'esistenza umana, deve
difendere con la massima chiarezza. Deve fare tutto il possibile per creare una convinzione che possa poi tradursi in azione politica.
Lo stesso concetto è stato ripetuto il 16 settembre 2004, il 30 marzo 2006, il 15 maggio 2008, il 19 maggio 2008, il 4 maggio 2009,
il 16 giugno 2010, il 27 maggio 2011, ecc.
2 Costituzioni IVE, n. 30.

3 BEATA ISABEL DE LA TRINIDAD, op. cit., Elevazione n. 33.


4 Costituzioni IVE, n. 31.
5 Note del V Capitolo Generale, 4.
6 Note del V Capitolo Generale, 6.
7 Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1986 (16 marzo 1986) 8.

8 Istituto del Verbo incarnato, Direttorio della vita liturgica, n.

9 4Giovanni Paolo II, Discorso al Quinto Gruppo di Vescovi di Francia in visita "ad limina apostolorum" (8 marzo 1997).
15

- "Anche "una corretta concezione della liturgia tiene conto del fatto che essa deve manifestare
chiaramente le note fondamentali della Chiesa 10. “Celebrando il culto divino, la Chiesa esprime ciò
che è: una, santa, cattolica e apostolica 11”. 12
- “La liturgia è un'azione santa proprio perché è l'azione di Cristo, il Sommo Sacerdote. È Lui
che ha conferito il carattere di sacralità alla celebrazione dell'Eucaristia. Nell'azione liturgica siamo
associati al sacro in senso proprio. "Questo va sempre ricordato, e forse soprattutto nel nostro tempo
in cui osserviamo una tendenza a confondere la distinzione tra 'sacro' e 'profano', data la diffusa
tendenza (almeno in alcuni luoghi) a desacralizzare tutto. In una tale realtà la Chiesa ha il
particolare dovere di assicurare e confermare il "sacro" dell'Eucaristia. Nella nostra società
pluralistica e talvolta deliberatamente secolarizzata, la fede viva della comunità cristiana...
garantisce a questo "sacro" il diritto alla cittadinanza 13”.14
- La partecipazione di tutti i battezzati all'unico sacerdozio di Gesù Cristo è la chiave per
comprendere l'esortazione del Concilio a “partecipare pienamente, consapevolmente e attivamente
alle celebrazioni liturgiche 15”.16
- “...] Infatti, ‘il culto eucaristico matura e cresce quando le parole della preghiera eucaristica,
e specialmente quelle della consacrazione, sono pronunciate con grande umiltà e semplicità, in modo
comprensibile, corretto e dignitoso, come si addice alla sua santità; quando questo atto essenziale
della liturgia eucaristica si compie senza fretta; quando ci impegna a tale raccoglimento e devozione
che i partecipanti si rendono conto della grandezza del Mistero che si compie e lo manifestano con
il loro comportamento’ 17”.18
- "La partecipazione attiva non esclude la passività attiva del silenzio, della quiete e dell'ascolto:
anzi, la richiede. I fedeli non sono passivi, per esempio, quando ascoltano le letture o l'omelia, o
quando seguono le preghiere del celebrante e i canti e la musica della liturgia. Sono esperienze di
silenzio e di quiete, ma sono anche, a loro modo, molto attive. In una cultura che non incoraggia o
favorisce l'immobilità meditativa, l'arte dell'ascolto interiore è più difficile da imparare19. 20
Riteniamo che sia molto chiaro ciò che ci viene chiesto.

10 Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Vicesimus Quintus Annus (4 dicembre 1988) 9.
11 Repertorio della vita liturgica, n. 10.
12 Giovanni Paolo II, Lettera Dominici Coenae (24 febbraio 1980) 8.

13 Direttorio della vita liturgica, n. 13.

14 Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti in visita "ad limina apostolorum" (9 ottobre 1998).

15 Direttorio della vita liturgica, n. 25.

16 Lettera Dominici Coenae, 9.

17 Direttorio della vita liturgica, n. 56.

18 Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli Stati Uniti in visita "ad limina apostolorum" (9 ottobre 1998).

19 Direttorio della vita liturgica, n. 63.

20 Lettera Domini Coenae, 11.


16

PREPARAZIONE REMOTA
1. La Messa è infinita come Gesù
La Messa è infinita come Gesù... chiedete ad un Angelo che cos'è la Messa, ed egli vi risponderà,
in verità capisco cos'è e perché viene offerta, ma non riesco a capire quanto valore abbia. Un Angelo,
mille Angeli, tutto il Cielo, lo sanno e pensano così, insegna San Pio da Pietrelcina.
Poiché la Messa ha un valore infinito, è inavvicinabile, in modo adeguato, dalla comprensione
umana. Quindi, allo stesso tempo, la minima conoscenza che ne abbiamo, perché di grande valore,
conferisce all'anima una massima perfezione, come insegna San Tommaso a proposito della
conoscenza di Dio: "Convinto un certo uomo, Simonide, a lasciare la conoscenza divina e ad
applicare l'ingegno alle cose umane, dicendo che l'uomo deve conoscere l'umano e il mortale che è
mortale, contro di lui il Filosofo dice che l'uomo deve gettarsi il più possibile nelle cose immortali e
divine".
Ecco perché nell'XI di Animalibus si dice che, sebbene si percepisca poco delle sostanze superiori,
ciò che è così piccolo è comunque più amato e desiderato di tutta la conoscenza che abbiamo delle
sostanze inferiori.
Dice anche nella II di Caelo et Mundo che quando le domande sui corpi celesti possono essere
risolte con una soluzione logica e breve, l'ascoltatore prova una veemente gioia.
È chiaro quindi che ogni conoscenza imperfetta delle cose più nobili conferisce all'anima la
massima perfezione 21.
2. Partecipazione
Partecipazione! Si impara a partecipare alla Santa Messa partecipandovi. È la migliore scuola. Per
questo “deve fomentarsi” 22.
Cipriano Vaggini, O.S.B., afferma che "la stessa costituzione del Concilio Vaticano II
[Sacrosanctum Concilium] insiste ripetutamente su questo concetto di piena partecipazione come
obiettivo sia della cura pastorale liturgica 23 che della stessa riforma liturgica 24", essendo una litania
di partecipazione.
Nella Costituzione Sacrosanctum Concilium sembra 38 volte "partecipare"; 23 volte
"partecipazione"; 3 volte "partecipino"; 1 volta "partecipando", "partecipanti", “partecipa” "prendere
parte", "avere parte". In totale, compresi i derivati, il termine "partecipazione" compare in tutto circa
71 volte nelle sue varie forme.
Lì ci parla di: Liturgia, culmine e fonte della vita ecclesiale.
"Tuttavia, la Liturgia è il vertice verso il quale tende l'attività della Chiesa e allo stesso tempo la
fonte da cui scaturisce tutta la sua forza. Per le opere apostoliche si ordina che, divenuti figli di Dio
attraverso la fede e il battesimo, tutti si riuniscano per lodare Dio in mezzo alla Chiesa, per
partecipare al sacrificio e per mangiare la Cena del Signore. Da parte sua, la Liturgia stessa spinge i
fedeli, saziati "dei sacramenti pasquali", ad essere "concordi nella pietà"; prega Dio affinché
"conservino nella loro vita ciò che hanno ricevuto nella fede", e il rinnovamento dell'alleanza del
Signore con gli uomini nell'Eucaristia accende e attira i fedeli alla pressante carità di Cristo. Perciò
dalla Liturgia, specialmente dall'Eucaristia, la grazia scorre a noi come dalla sua fonte, e quella
santificazione degli uomini in Cristo e quella glorificazione di Dio, a cui le altre opere della Chiesa
tendono come se fossero la fine, si ottiene con la massima efficacia 25.

21 Contro i gentili, lib. I, 5.


22 Sacrosanctum Concilium, 30.
23 Ibidem, 14.
24 4 Ibidem, 21.
25 Ibidem, 10.
17

Liturgia ed esercizi di pietà


"Tuttavia, la partecipazione alla sacra Liturgia non comprende l'intera vita spirituale. Infatti, il
cristiano, chiamato a pregare in comune, deve anche entrare nella sua stanza per pregare il Padre
in segreto; anzi, deve pregare senza sosta, come insegna l'Apostolo. E lo stesso Apostolo ci esorta a
portare sempre la mortificazione di Gesù nel nostro corpo, affinché la sua vita si manifesti anche
nella nostra carne mortale. Per questo chiediamo al Signore nel sacrificio della Messa che, "ricevuta
l'offerta della vittima spirituale", faccia di noi una "offerta eterna" per Sé 26.
3. Necessità di disposizioni personali di partecipazione
a. Deve essere piena: la piena partecipazione è quando si verifica in un grado eminente e totale,
non parziale.
"La Santa Madre Chiesa desidera ardentemente che tutti i fedeli siano condotti a quella piena,
consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche che la natura stessa della Liturgia
esige e alla quale il popolo cristiano, "stirpe eletta, del sacerdozio reale, nazione santa, popolo ai cui
beni è destinato" (1 Pt 2,9; cfr 1 Pt 2,4-5), ha un diritto e un obbligo in virtù del Battesimo. Nella
riforma e nella promozione della Sacra Liturgia, si deve tener conto di questa piena e attiva
partecipazione di tutto il popolo, perché è la fonte primaria e necessaria da cui i fedeli devono
attingere lo spirito veramente cristiano, e quindi i Pastori delle anime devono aspirare ad essa con
diligenza in tutta la loro attività pastorale, attraverso un'adeguata educazione. E poiché non ci si può
aspettare che ciò avvenga, a meno che i pastori stessi non siano prima totalmente impregnati dello
spirito e della potenza della Liturgia e non ne diventino maestri, è indispensabile che sia fornita,
prima di tutto, l'educazione liturgica del clero 27.
“Il Vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge, da cui deriva e
dipende, in un certo senso, la vita in Cristo dei suoi fedeli.
Per questo è opportuno che tutti abbiano un grande apprezzamento della vita liturgica della
diocesi intorno al Vescovo, specialmente nella Chiesa Cattedrale; convinti che la principale
manifestazione della Chiesa si realizza nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di
Dio alle stesse celebrazioni liturgiche, in particolare alla stessa Eucaristia, alla stessa preghiera,
all'unico altare dove il Vescovo presiede, circondato dal suo presbiterio e dai suoi ministri” 28.
b. Dovere di essere cosciente
È quando c'è la comprensione dei riti, delle preghiere e dei canti, quando si capiscono i significati
liturgici, quando si fa attenzione a ciò che accade all'altare, nella sede, nell'ambone e nell'assemblea.
Si oppone a un atto inconscio e irresponsabile.
“Ma, per assicurare questa piena efficacia è necessario che i fedeli si accostino alla sacra Liturgia
con una giusta disposizione d'animo, mettano la loro anima in sintonia con la sua voce e collaborino
con la grazia divina, per non riceverla invano. Per questo motivo, i Pastori d'anime devono essere
vigilanti affinché nell'azione liturgica non solo siano osservate le leggi riguardanti la celebrazione
valida e lecita, ma anche che i fedeli vi partecipino consapevolmente, attiva e fruttuosamente” 29.
"La Santa Madre Chiesa desidera ardentemente che tutti i fedeli siano condotti a quella piena,
consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche che la natura stessa della Liturgia
esige e alla quale il popolo cristiano, "stirpe eletta del sacerdozio reale, nazione santa, popolo ai cui
beni è destinato" (1 Pt 2,9; cfr 1 Pt 2,4-5) 30, ha diritto e dovere in virtù del Battesimo" e in virtù del
Battesimo: "La Chiesa si preoccupa quindi di fare in modo che i cristiani non assistano a questo

26 Ibidem, 12.
27 Ibidem, 14.
28 Ibidem, 41.
29 Ibidem, 11.
30 Ibidem, 14.
18

mistero della fede come estranei e spettatori muti, ma che, comprendendolo bene attraverso i riti e
le preghiere, vi partecipino consapevole, devota e attivamente" 31.
c. Deve essere interno ed esterno
La partecipazione esterna è l'uso dei gesti, delle parole, dei silenzi, dei canti, degli atteggiamenti
corporei, delle processioni, della lettura, del linguaggio, dell'adattamento, del saluto di pace, della
comunione della Vittima del sacrificio (Non può essere esclusivamente esterno); l'interno è la
disposizione interiore del partecipante, come il pensare, il volere, il pregare, gli atti di virtù, l'offerta
della Vittima divina e le vittime spirituali di se stessi e degli altri membri del Corpo Mistico (non può
essere esclusivamente interno). Il suo divorzio è condannato da Dio attraverso il profeta Isaia:
"Questo popolo mi loda con le sue labbra, ma il suo cuore è lontano da me" (Is 29,13; Mt 15,8; Mc
7,6).
"I pastori d'anime favoriscano con diligenza e pazienza l'educazione liturgica e la partecipazione
attiva dei fedeli, sia all'interno che all'esterno, secondo la loro età, condizione, sesso e grado di cultura
religiosa, adempiendo così una delle principali funzioni del fedele dispensatore dei misteri di Dio e,
a questo punto, guidino il loro gregge non solo con la parola, ma anche con l'esempio 32.
d. Deve essere attivo (viene citata circa quattordici volte)
Quando la partecipazione interna e quella esterna si uniscono, lasciando da parte ogni passività.
È la regina della partecipazione.
"Ma, per assicurare questa piena efficacia è necessario che i fedeli si accostino alla sacra Liturgia
con una giusta disposizione d'animo, mettano la loro anima in sintonia con la sua voce e collaborino
con la grazia divina, per non riceverla invano. Per questo motivo, i Pastori d'anime devono essere
vigilanti affinché nell'azione liturgica non solo siano osservate le leggi riguardanti la celebrazione
valida e lecita, ma anche che i fedeli vi partecipino consapevolmente, attiva e fruttuosamente" 33.
"L'ordinario della Messa dovrebbe essere rivisto in modo da mostrare più chiaramente il
significato di ciascuna delle parti e il loro reciproco legame e da facilitare la pia e attiva
partecipazione dei fedeli 34.
"Che il tesoro della musica sacra sia conservato e coltivato con grande cura. La "Scholae cantorum"
dovrebbe essere diligentemente incoraggiata, soprattutto nelle chiese cattedrali. I vescovi e gli altri
pastori d'anime abbiano cura che in ogni azione sacra con il canto l'intera comunità dei fedeli possa
contribuire alla partecipazione attiva che è loro dovuta, a norma degli articoli 28 e 30" 35.
"I veri compositori cristiani devono sentirsi chiamati a coltivare la musica sacra e a valorizzarne
il tesoro.
Dovrebbero comporre opere che abbiano le caratteristiche della vera musica sacra e che possano
essere cantate non solo dalle più grandi "Scholae cantorum", ma anche dai cori più modesti e favorire
la partecipazione attiva di tutta l'assemblea dei fedeli 36.
"L'ordinario, nel promuovere e favorire un'arte veramente sacra, dovrebbe cercare una bellezza
più nobile della semplice sontuosità. Questo vale anche per i paramenti sacri e gli ornamenti.
I vescovi devono fare in modo che le opere artistiche che sono ripugnanti alla fede, alla morale e
alla pietà cristiana e che offendono il senso autenticamente religioso, sia per la depravazione della

31 Ibid., 48.
32 Ibid., 19.
33 Ibidem, 11.
34 Ibidem, 50.
35 Ibidem, 114.
36 Ibidem, 121.
19

forma sia per l'insufficienza, la mediocrità o la falsità dell'arte, siano escluse dalle chiese e dagli altri
luoghi sacri.
Nella costruzione dei templi, assicurarsi che siano adatti alla celebrazione delle azioni liturgiche
e alla partecipazione attiva dei fedeli 37.
e. Deve essere fruttuoso: quando si raggiungono i fini della Redenzione e non si è sterili.
"Ma per assicurare questa piena efficacia è necessario che i fedeli si accostino alla sacra Liturgia
con una giusta disposizione d'animo, mettano la loro anima in sintonia con la sua voce e collaborino
con la grazia divina, per non riceverla invano. Per questo motivo, i Pastori d'anime devono essere
vigilanti affinché nell'azione liturgica non solo siano osservate le leggi riguardanti la celebrazione
valida e lecita, ma anche che i fedeli vi partecipino consapevole, attiva e fruttuosamente" 38.
f. Dovrebbe essere più perfetta: "Si raccomanda in particolare alla partecipazione più perfetta
nella Messa, che consiste, in che i fedeli, dopo la comunione del sacerdote, ricevano dallo stesso
sacrificio il Corpo del Signore. Mantenendo firmi i principi dogmatici dichiarati dal Concilio di
Trento, la comunione sotto entrambe le specie può essere concessa nei casi stabiliti dalla Sede
Apostolica, sia ai chierici e ai religiosi come anche ai laici, a giudizio dei Vescovi, come, ad esempio,
agli ordinati nella Messa della loro sacra ordinazione, ai professi, nella Messa della loro professione
religiosa, e ai neofiti, nella Messa successiva al battesimo 39.
g. Deve essere attuale: quando è fatto qui e ora ciò che deve essere fatto.
"Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è un "sacramento
di unità", cioè un popolo santo congregati e ordinato sotto la direzione dei Vescovi.
Appartengono quindi a tutto il corpo della Chiesa, lo influenzano e lo manifestano; ma ognuno
dei membri di questo corpo riceve un'influenza diversa, secondo la diversità degli ordini, delle
funzioni e della partecipazione attuale" 40.
h. Dovrebbe essere facile: non dovrebbe essere né complicato né confuso. Il popolo fedele deve
essere in grado di capirli.
"Affinché nella sacra Liturgia il popolo cristiano possa ottenere con maggiore certezza abbondanti
grazie, la Santa Madre Chiesa desidera provvedere con sollecitudine a una riforma generale della
Liturgia stessa... In questa riforma, i testi e i riti devono essere ordinati in modo da esprimere più
chiaramente le cose sante che significano e, per quanto possibile, il popolo cristiano può facilmente
comprenderle e partecipare ad esse attraverso una celebrazione piena, attiva e comunitaria 41.
"Si riveda i sacramentali avendo in quanto la norma fondamentale della partecipazione cosciente,
attiva e facile dei fedeli, e servendo le necessità dei nostri tempi" 42.
“... i testi ed i riti si devono ordinare in modo che esprimano con maggiore chiarezza le cose sacre
che significano e, nel possibile, il popolo cristiano possa comprenderli facilmente…" 43.
"Si riveda l'ordinario della messa, in modo che si manifesti con maggiore chiarezza il senso
proprio di ognuna delle parti e la sua mutua connessione e diventi più facile la pia ed attiva
partecipazione dei fedeli" 44.

37 Ibidem, 124.
38 Ibidem, 11.
39 Lumen Gentium, 11; Sacrosanctum Concilium, 55.
40 Sacrosanctum Concilium, 26.
41 Ibidem, 21.
42 Ibid., 79.
43 Ibid., 21.
44 Ibid., 50.
20

i. Deve essere pia, devota: deve elevare l'anima a Dio.


"La Chiesa si preoccupa quindi di fare in modo che i cristiani non assistano a questo mistero della
fede come estranei e spettatori muti, ma che, comprendendolo bene attraverso i riti e le preghiere,
partecipino consapevolmente, devotamente e attivamente all'azione sacra..." 45.
j. Deve essere con tutta l'anima: deve essere una partecipazione con tutto il nostro essere.
"Nei seminari e nelle case religiose, i chierici devono acquisire una formazione liturgica della vita
spirituale, mediante un'adeguata iniziazione che permetta loro di comprendere i sacri riti e di
parteciparvi con tutta la loro anima, sia celebrando i sacri misteri, sia con altri esercizi di pietà
penetrati dallo spirito della sacra Liturgia; allo stesso tempo, devono imparare ad osservare le leggi
liturgiche, in modo che nei seminari e negli istituti religiosi la vita sia totalmente informata dallo
spirito liturgico 46.
k. Deve essere adatto: tiene conto dei tre gradi dell'Ordine Sacro, le funzioni di ogni ministro e
di ogni membro al momento presente.
"Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è un "sacramento
di unità", cioè un popolo santo riunito e ordinato sotto la direzione dei Vescovi.
Appartengono quindi a tutto il corpo della Chiesa, lo influenzano e lo manifestano; ma ognuno
dei membri di questo corpo riceve un'influenza diversa, secondo la diversità degli ordini, delle
funzioni e della partecipazione attuale" 47.
E deve conformarsi a: "I pastori d'anime fomentino () con diligenza e pazienza l'educazione
liturgica e la partecipazione attiva dei fedeli, sia all'interno che all'esterno, secondo l'età, la
condizione, genere di vita e il grado di cultura religiosa..." 48.
l. Deve essere chiara: deve essere facile da capire, non oscuro o incomprensibile.
"I riti devono brillare di nobile semplicità; devono essere brevi, chiari, evitando inutili ripetizioni,
adattati alle capacità dei fedeli e, in generale, non devono richiedere molte spiegazioni 49.
"Affinché nella sacra Liturgia il popolo cristiano possa ottenere grazie sicuramente più
abbondanti, la Santa Madre Chiesa desidera provvedere con sollecitudine a una riforma generale
della Liturgia stessa. Perché la Liturgia, infatti, consiste di una parte immutabile perché è l'istituzione
divina, e di altre parti che sono soggette a cambiamenti, e che nel corso del tempo possono e devono
ancora variare, se vi sono stati introdotti elementi che non rispondono bene alla natura intima della
Liturgia stessa o sono diventati meno appropriati.
In questa riforma, i testi e i riti devono essere ordinati in modo che esprimano più chiaramente le
cose sante che significano e, per quanto possibile, il popolo cristiano possa facilmente comprenderle
e partecipare ad esse attraverso una celebrazione piena, attiva e comunitaria" 50.
"L'ordinario della Messa dovrebbe essere verificate, controllate in modo da mostrare con più
chiarezza il senso di ciascuna delle parti e il loro reciproco legame e da facilitare la pia e attiva
partecipazione dei fedeli 51.
m. Deve essere durante tutta la Messa: non solo una parte della Messa.
"Le due parti di cui la Messa costa, cioè la Liturgia della Parola e l'Eucaristia, sono così intimamente
connesse che costituiscono un unico atto di culto. Per questo motivo il Sinodo esorta vivamente i
45 Ibidem, 48.
46 Ibidem, 17.
47 Ibidem, 26.
48 Ibidem, 19.
49 Ibidem, 34.
50 Ibidem, 21.
51 Ibidem, 50.
21

pastori di anime ad istruire attentamente i fedeli nella catechesi sulla partecipazione a tutta la Messa,
specialmente la domenica e le feste di precetti 52.
n. Deve essere comunitaria: è tutt'altro che narcisismo individualista.
"...i testi e i riti devono essere ordinati in modo che esprimano più chiaramente le cose sante che
significano e, per quanto possibile, il popolo cristiano possa facilmente comprenderle e parteciparvi
attraverso una celebrazione piena, attiva e comunitaria" 53.
o. Dovrebbe essere in tutta la comunità: dovrebbe cercare di coinvolgere, per quanto possibile,
a tutti i presenti.
"Che il tesoro della musica sacra sia conservato e coltivato con grande cura. La "Schola cantora"
dovrebbe essere diligentemente incoraggiata, soprattutto nelle chiese cattedrali. I vescovi e gli altri
pastori d'anime si preoccupino che in ogni azione sacra con il canto, l'intera comunità dei fedeli
possa contribuire con la partecipazione attiva che è a loro dovuta... "» 54.
p. Deve essere anche nell'Ufficio: la Liturgia delle Ore deve essere un'espressione comune.
"Che i pastori delle anime facciano in modo che le Ore principali, specialmente i Vespri, siano
celebrate in comune nella Chiesa la domenica e nelle feste più solenni. Si raccomanda inoltre che i
laici preghino l'Ufficio Divino o con i sacerdoti o insieme e anche in particolare 55.
q. Si ristabilirsi la "preghiera comune": "Si ristabilisca la "preghiera comune" o quella dei fedeli
dopo il Vangelo e l'omelia, soprattutto nelle domeniche e nelle feste di precetto, affinché con la
partecipazione del popolo si facciano suppliche per la santa Chiesa, per i governanti, per coloro che
soffrono in ogni bisogno, per tutti gli uomini e per la salvezza del mondo intero 56".
Tutto questo che abbiamo indicato sopra è molto vero, ma è molto crudo (Cast: dascarnado). Per
comprenderla meglio e più adeguatamente, dobbiamo essere sempre di rinnovata coscienza e
consapevoli che la Messa è lo stesso Gesù Cristo che si fa presente per essere adorato, per essere
misticamente sacrificato, per essere offerto al Padre, per essere mangiato da noi, per unirci a Lui e a
tutta la Trinità e fra noi. Così che, la partecipazione è Lui e noi. C'è il fuoco sui nostri altari e c'è
Sangue.
È Lui che opera ex opere operato per produrre per noi la redenzione che Egli ha offerto sulla croce
donandoci ogni sorta di grazia abbondante, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Tale
è il significato della seguente affermazione della Chiesa (cfr. Concilio di Trento: DS 1608): i
sacramenti operano ex opere operato (secondo le parole stesse del Concilio: "per il fatto stesso che
l'azione si compie"), cioè in virtù dell'opera salvifica di Cristo, compiuta una volta per tutte. Ne
consegue che "il sacramento non agisce in virtù della giustizia dell'uomo che lo dà o lo riceve, ma
per la potenza di Dio" 57. Di conseguenza, ogni volta che si celebra un sacramento secondo
l'intenzione della Chiesa, la potenza di Cristo e del suo Spirito agisce in esso e attraverso di esso,
indipendentemente dalla santità personale del ministro. Ma i frutti dei sacramenti dipendono anche
dalle disposizioni di chi li riceve 58. E quelli siamo noi che lavoriamo ex opere operantis a seconda
delle nostre buone disposizioni che raggiungiamo il frutto. In modo ben compreso, la partecipazione
alla Messa è una questione vitale tra lui e noi.

52 Ibidem, 56.
53 Ibidem, 21.
54 Ibidem, 114.
55 100.
56 Ibidem, 53.
57 San Tommaso d'Aquino, S. Th., 3, q. 68, a.8, c.
58 Catechismo della Chiesa Cattolica, 1128.
22

Di tanto in tanto, dovremmo fare un esame di coscienza su come agiamo nelle diverse formalità
di partecipazione, cosa dobbiamo correggere, come dobbiamo correggere, mettendo in atto tutti i
mezzi efficaci per acquisire una corretta partecipazione ai misteri esaltati della nostra Salvezza.

PREPARAZIONE PROSSIMA

È Quello che non era (prima), si vede ciò che non si comprende
e solo rimane credere che: Dio può fare tutte le cose. (Sant'Ilario)
«Es lo que no era, se ve lo que no se comprende
y sólo queda creer que; Dios puede hacer todas las cosas» (San Hilario).
All'inizio, solo due suggerimenti per prepararsi ogni giorno a partecipare alla Santa Messa:
1°. "La messa è infinita come Gesù", dice San Pio da Pietrelcina; e tutto quello che devo fare per
partecipare alla Santa Messa è avere "nobile semplicità" 59. Mi sembra che corrisponda a quanto dice
san Giovanni Paolo Magno del rito romano che è uno: "essenzialità mistica" 60.
2°. Si potrebbe avere qualche pensiero su due cose che non dovrebbero mancare in una
partecipazione di Messa, consapevole, attiva e feconda, vale a dire una breve preparazione per fare
meglio:
1. OBLAZIONE E 2. COMUNIONE.
1. OBLAZIONE.
I fedeli che partecipano attivamente e partecipano alla celebrazione della Messa offrono in
particolare. Oltre al motivo generale per cui i fedeli, in quanto membri della Chiesa, partecipano al
sacrificio della Messa, specialmente quelli ad essa presenti e coloro che collaborano attivamente alla
loro celebrazione. 61
L'oblazione è un elemento essenziale del sacrificio: "Ogni sacrificio è oblazione" 62. È l’offerta
(l’atto di offrire) del sacrificio. Infatti, il sacrificio viene offerto (si offre) nel momento stesso della
consacrazione, cioè nello stesso rito di immolazione. Questo atto è conosciuto con nomi molto diversi:
offrire, offertorio, offerta 63, oblazione, dono offerto, ecc. L'oblazione è l'atto di sacrificio con cui la
Vittima viene offerta a Dio. (Cast: A este acto se lo conoce con muy distintos nombres: ofrecer,
ofertorio, ofrenda 64, ofrecimiento, oblata, cosa ofrecida, oblación, etc. La oblación es el acto del
sacrificio por el que se ofrece la Víctima a Dios).
a. Perché colui che partecipa alla Messa può e deve offrire la Vittima dell'Altare?
Perché sono stati adatti e capaci a farlo dal battesimo: "I fedeli [...] in virtù del loro sacerdozio
reale, partecipano all'offerta (dono offerto) dell'Eucaristia 65 e la esercitano nella recezione dei
sacramenti, nella preghiera e nel ringraziamento, attraverso la testimonianza di una vita santa,
nell'abnegazione e carità operante. [...] Partecipando al sacrificio eucaristico, fonte e vertice di tutta
la vita cristiana, offrono a Dio la Vittima divina e si offrono (i partecipanti) insieme alla Quella
59 Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium 34; GMOR, 42.292.351. 2 Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIV,1, 2001, in
Ucraino p. 1291, in italiano p. 1296: "Qui il senso profondo del mistero qui domina la santa liturgia delle Chiese di Oriente e la
mistica essenzialita del rito latino se si confronta e si arricchiscono reciprocamente".
60 Tratto da La nostra Messa, IVE Press N York 2010, p. 174-181.
61 Cfr. ALASTRUEY, Trattato della Santissima Eucaristia, 354.
62 SAN TOMMASO D'AQUINO, S. Th., II-II, 85, 3, ad 3.
63 È spesso anche chiamata "ofertorio" o "offerta" al momento della presentazione dei doni.
64 A menudo también es llamado «ofertorio» u «ofrenda» el momento de la presentación de los dones.
65 CFR PO XI, Carta enciclicaMiserentissimo Redemptor» (8 maggio 1928): AAS 20 (1928) 171; PIUS XIIVous Nous Avez» (22
settembre 1956): AAS 48 (1956) 714.
23

(Vittima divina) 66. E così, sia per oblazione che per sacra comunione, ognuno ha nella celebrazione
liturgica una parte propria, non confusamente, ma ognuna in modo diverso" 67.
b. Quando dovrebbe iniziare l'atteggiamento nei battezzati offertoriale?
Deve iniziare con la presentazione dei doni u offerte, quando nella presentazione dei doni del
pane e del vino, "diventano in un certo senso un simbolo di tutto ciò che l'assemblea eucaristica
porta, per sé, in offerta a Dio e che offre nello spirito" 68. Da qui l'importanza di questo primo
momento della liturgia eucaristica, motivo per cui si è solennizzata – con processione, con il canto,
essendo tutti in piedi – in quasi tutte le liturgie, poiché "conserva il suo senso e significato
spirituale". 69
c. Quando, infatti, viene offerta la vittima immolata?
L'Offerta della Vittima viene fatta nel momento stesso del rito di immolazione o consacrazione; si
manifesta – infatti – mettendo la Vittima sull'altare. In altre parole, l'offerta a Dio della Vittima, che
avviene nel momento stesso della consacrazione, diventa visibile al momento di mettere il Corpo e
mettere il calice con il sangue sull'altare: "Ma mettendo il sacerdote sull'altare la vittima divina lo
offre a Dio Padre come oblazione per la gloria della Santissima Trinità e per il bene della Chiesa". 70
d. Quando l'oblazione è esplicita nelle parole?
Questa azione oblativa si esprime a parole dopo la consacrazione, nella preghiera di offrire, dopo
la preghiera commemorativa, (poiché non può essere fatta e dire tutto allo stesso tempo), così dice
ad alta voce il sacerdote: "Ti offriamo, Dio della gloria e della maestà, degli stessi beni che ci avete
dato, puro sacrificio, immacolato e santo: pane della vita eterna e calice della salvezza eterna" 71, cioè
la Vittima; o, "ti offriamo il pane della vita e il calice della salvezza" 72, cioè la Vittima; o, "ti offriamo,
in questo ringraziamento, il sacrificio vivo e santo. Dirigete lo sguardo sull'offerta della Chiesa e
riconoscete in essa la Vittima per la cui immolazione avete voluto darci la vostra amicizia" 73; oppure,
"ti offriamo il suo Corpo e sangue, un sacrificio gradito a voi e la salvezza per tutto il mondo" 74; o,"
dirigere il vostro sguardo, Santo Padre, su questa offerta; è Gesù Cristo che si offre con il suo Corpo
e con il suo Sangue e, con questo sacrificio, ci apre il cammino verso di te" 75; o, "ti offriamo, fedele e
vero Dio, la Vittima che restituisce la vostra grazia agli uomini" 76; o, "vi offriamo la stessa cosa che
ci avete dato: il sacrificio della riconciliazione perfetta" 77. Sono tutte espressioni sinonimi: si
riferiscono al fatto di offrire la Vittima.
Oltre all'immolazione è effettuata solo dal sacerdote ministeriale, l'Oblazione della Vittima può e
deve essere effettuata da tutti i fedeli cristiani laici e, più giustamente, dalle anime consacrate.
Papa Pio XII dice: "In questa oblazione, in senso stretto, i fedeli partecipano a modo loro e sotto
un duplice aspetto; perché, non solo per mano del sacerdote, ma anche in un certo modo insieme a
Lui, offrono il Sacrificio; con il quale la partecipazione anche l'oblazione del popolo appartiene al
culto liturgico" 78.

66 Cfr. PIO XII, Lettera enciclica «Mediator Dei» (20 novembre 1947): AAS 39 (1947) 552s.
67 GIOVANNI PAOLO II, Lettera «Dominicae Cena», 9.
68 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa «Lumen Gentium», 10-11.
69 GIOVANNI PAOLO II, Lettera "Dominicae Cena», 9.
70 GMOR 73; concilio ECUMENICO VATICANO II, Decreto sul Ministero e la Vita dei Sacerdoti "Presbyterorum Ordinis», 5.
71 PIO XII, Lettera enciclica «Mediator Dei», 113.
72 Misal Romano, Preghiera Eucaristica I o Canone Romano, n. 107.
73 Ibid., Preghiera Eucaristica II, n. 120.
74 Ibid., Preghiera Eucaristica III, n. 127.
75 Ibid., Preghiera Eucaristica IV, n. 137.
76 Ibid., Preghiera Eucaristica V/a.
77 Ibid., Preghiera Eucaristica sulla Riconciliazione I.
78 Ibid., Preghiera Eucaristica sulla Riconciliazione II.
24

– Per mano: "A mani o per il sacerdote", come complemento di strumenti, significa che non
appena rappresenta la comunità, offre sacrifici a nome di tutti. Per questo è stato particolarmente
deputato. È l'atto che i battezzati non possono fare per sé stessi, ma con la mediazione del sacerdote
ministeriale. Rappresentando la persona di Cristo Capo, egli offre a nome di tutti i membri, così "tutta
la Chiesa universale offre la vittima attraverso Cristo" 79.
– Insieme: "Insieme al sacerdote", esprime un complemento di compagnia, questi sono gli atti
immediatamente sacerdotale dei fedeli, atti in cui non hanno bisogno di essere rappresentati dal
sacerdote ministeriale. Qui i fedeli cristiani agiscono come una concausa dell'offerta, non eseguendo
il rito liturgico visibile – tipico dei sacerdoti ministeriali – "ma perché si uniscano i loro voti di lode,
impetrazione, espiazione e ringraziamento ai voti o alle quelle intenzioni del sacerdote, inoltre, del
sacerdote divino stesso, affinché possano essere offerti a Dio Padre nella stessa oblazione della
Vittima, anche con lo stesso rito esterno del sacerdote" 80. E questo è così perché: "Il rito esteriore del
sacrificio, per sua stessa natura, deve manifestare il culto interiore, e il Sacrificio della Nuova Legge
significa quel dono supremo con cui lo stesso offerente principale, che è Cristo, e insieme a Lui e a
tutti i suoi membri mistici, gli fanno riverenza e venerano Dio con il onore dovuto" 81.
E Giovanni Paolo II dice: "Tutti coloro che partecipano all'Eucaristia, senza sacrificarsi come lui
(sacerdote), offrono con lui, in virtù del sacerdozio comune, i propri sacrifici spirituali, rappresentati
dal pane e dal vino, dal momento della loro presentazione all'altare" 82. Ecco perché il celebrante
rivolgendosi ai fedeli dice: "Pregate, fratelli, perché questo mio e vostro sia gradito a Dio Padre
Onnipotente" 83; Si dice anche esplicitamente che il popolo partecipa al Sacrificio della Messa, in
quanto anche il popolo offre: "Ti offriamo, e anch’essi ti offrono" 84; "accetta con benevolenza, o
Signore, questa offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia..."; noi, tuoi ministri,
e tutto il tuo popolo santo..., e offriamo alla tua maestà divina, tra i doni che ci hai dato" 85.
e. Perché il sacerdote dice: "Pregate, fratelli, che questo mio e vostro sacrificio"?
Perché il popolo fedele offre anche alla Vittima dell'altare e insieme ad essa "i propri sacrifici
spirituali", per così dire, offre una doppia vittima: Gesù Cristo e la sua propria persona. E perché
l'Eucaristia: "Ha ragione di sacrificio in quanto si offre" 86.
Per arrivare a questo, "la consapevolezza dell'atto di presentare le offerte dovrebbe essere
mantenuta per tutta la Messa. Inoltre, deve essere portato alla pienezza al momento della
consacrazione e dell'oblazione anamnetica o memoriale (memoria della Passione), così come lo
richiede (esige, obbliga) dal valore fondamentale del momento del sacrificio" 87. Ci sono, ad esempio,
espressioni che manifestano in modo particolare il carattere sacrificiale dell'Eucaristia e unificano
l'offerta del nostro popolo a quella di Cristo: "Dirige lo sguardo sull'offerta della tua Chiesa e
riconosce in essa la Vittima per la cui immolazione avete voluto restituirci la tua amicizia, affinché
si rafforzi con il Corpo e il Sangue di tuo Figlio e si riempia del suo Spirito Santo, formiamo in Cristo
un solo corpo e un solo spirito. Che Egli ci trasformi in un'offerta permanente..." 88.
f. Quando avviene alla pienezza l'offerta della Divina Vittima e quando a noi insieme?

79 PIO XII, Lettera enciclica «Mediator Dei», 113.


80 Ibid., 114.
81 Ibid., 115.
82 PIO XII, Lettera enciclica «Mediator Dei», 115.
83 SAN TOMMASO D'AQUINO, S. Th., III, 79, 5.
84 Misal Romano, Liturgia Eucaristica, n. 26.
85 Misal Romano, Preghiera Eucaristica I o Canone Romano, n. 100. 480 Messale Romano, Preghiera Eucaristica I o Canone
Romano, n. 102.
86 Misal Romano, Preghiera Eucaristica I o Canone Romano, n. 107.
87 Misal Romano, Preghiera Eucaristica III, n. 127.
88 GIOVANNI PAOLO II, Lettera «Dominicae Cena», 9.
25

L'oblazione, l'offerta della Vittima, raggiunge la sua pienezza nella Dossologia finale, quando il
sacerdote solleva il Corpo e il Sangue del Signore, dicendo: "Per Cristo, con Cristo e in Cristo", e con
l'"Amen" a cui partecipano tutti i fedeli cantandolo, normalmente, o pregandolo, manifestano la loro
accettazione di tutto ciò che è stato fatto sull'altare.
g. Come dovrebbe attualizzarsi nel sacrificio incruento?
Il modo in cui Cristo è offerto sulla croce è diverso dalla Messa, come insegna il Concilio di Trento:
"Diverso il modo di offrirsi" 89, cioè incruenta. Questo diverso modo di offrirsi imprime il suo stile su
tutta la misteriosa realtà del Sacramento-Sacrificio e su tutta la attuazione del cristiano in esso.
Pedagogicamente scaglionato, commentando il versetto di Ro 12,1, San Pietro Crisologo insegna
come dovrebbe essere l'offerta del cristiano nella Messa: 1°. Offrire i loro corpi; 2°. Come sacrificio
vivente o ostia vivente; 3°. Alla maniera di Gesù Cristo:
1°. Vi esorto a offrire i vostri corpi... L'Apostolo, con questa preghiera, ha innalzato tutti gli uomini
al vertice sacerdotale" 90.
2°. Vi esorto ad offrire ai vostri corpi come sacrificio vivente... O ministero inaudito del sacerdozio
cristiano, in cui l'uomo è allo steso tempo (stessa volta) vittima e sacerdote, in cui l'uomo non cerca
fuori da sé ciò che sacrificherà Dio; in cui l'uomo porta con sé e in sé ciò che sacrificherà Dio per il
bene (in beneficio) di sé stesso; in cui la vittima e il sacerdote rimangono invariati; in cui la vittima
è immolata e vive mentre il sacerdote offerente non è in grado di uccidere! Sacrificio meraviglioso
in cui viene offerto un corpo senza corpo 91, sangue senza sangue!" 9293.
3°. "Vi esorto, con la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente. Fratelli,
questo sacrificio deriva dal modello di Cristo, che ha immolato di vitale importanza (vivamente) il
proprio corpo per la vita del mondo. E ha veramente reso il proprio corpo una vittima vivente, Colui
che, morto, vive. Di conseguenza, in una tale vittima la morte paga la pena meritata, la vittima attrae
a sé stesso, la vittima vive, la morte è punita [...] Sii, dunque, ¡o uomo! sii, quindi sacrificio e sacerdote
di Dio [...] Dio cerca la fede, non la morte; ha sete della tua preghiera, non del tuo sangue; è placato
per l’amore (per amore), non per l’uccidere 94.
Offrire i corpi è offrire a tutta la persona, al corpo e all'anima (offrire è un atto dell'anima
spirituale), con tutti i nostri progetti, ideali, amori, lavori, beni... questo più che implica
l’immolazione sta costituito per due cose: offrire "uccidendoli" tutti i mali e unire al sacrificio di
Cristo "divinizzandoli" tutti i beni.
Oggi Cristo continua ad attrarre gli uomini: "Innalzato in alto" (Gv 3,14). Il sacerdote alla Messa
lo solleva di nuovo tra la terra e il cielo: Perché tutti coloro che credono in Lui abbiano la vita eterna
(Gv 3,15).
Come il serpente di bronzo nel deserto!
2. COMUNIONE
Conferisce l'aumento della grazia (Per la presenza di Cristo, per essere rappresentazione della
Passione, Comunione = partecipazione della vittima del Sacrificio)
È un segno di unità e causa l’unità.

89 CONCILIO DI TRENTO, DH 1743.


90 Cfr. SAN PEDRO CRISÓLOGO, Serm. 108.4 [PL 52.500]. I testi sono stati tradotti da Opere di San Pietro Crisologo 2 (Milano-
Roma 1997) 323.325.
91 «... sangue senza che venga versato", Liturgia delle Ore II, 772.

92 «... il corpo è offerto senza che venga distrutto", si legge nella traduzione Liturgia delle Ore II della Conferenza Episcopale
Argentina (Barcellona 161999) 772.
93Cfr. SAN PEDRO CRISÓLOGO, Serm. 108.4 [PL 52.500].
94Cfr. SAN PEDRO CRISÓLOGO, Serm. 108,4-5 [PL 52.500-501]; Cfr. Anche J. RATZINGER, «Teologia della liturgia», Il Timone
22 (Da novembre a dicembre 2002) 39.
26

Ci incorporiamo a Cristo.
L'Eucaristia, fine e principio di tutti i sacramenti, consumazione degli altri sacramenti, principio
di vita degli altri sacramenti.
Ci fa raggiungere la gloria.
Risurrezione è l'effetto dell'Eucaristia.
L'Eucaristia dà la vita eterna.

Quindi; dobbiamo mangiare spesso, se possibile, ogni giorno.


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1 IL SACRIFICIO DELLA MASSA DI SAENZ


1. Processione d'ingresso
Se fosse assolutamente necessario, la Messa potrebbe iniziare direttamente con la preparazione
delle offerte. Tuttavia, a partire dalla fine dell'antichità cristiana, nella cristianità è stata
generalmente adottata l'usanza di far precedere la Messa da un rito d'ingresso. Sembra ovvio che
prima di entrare nel mistero sia necessario creare un'atmosfera di fede. Questa parte era chiamata
"antemisa", in contrapposizione alla parte strettamente sacrificale.
a. La processione
La parola processione deriva dal latino "procedere", che significa marciare o andare avanti.
Questa marcia, presieduta dal sacerdote, rappresenta l'ingresso del Salvatore nel mondo,
manifestando la sua volontà di offrirsi e iniziando il suo sacrificio dall'Incarnazione. Nelle Messe
solenni, il celebrante è preceduto dallo stendardo della croce, il cui sacrificio si rinnova; dagli
accoliti, che portano le candele accese, simbolo dell'ingresso della luce che illumina ogni uomo, che
viene in questo mondo e che brillò per coloro che sedevano nelle tenebre e nelle ombre della morte;
dai chierichetti, che portano le candele accese, simbolo dell'ingresso della luce che illumina ogni
uomo, che viene in questo mondo e che brillò per coloro che sedevano nelle tenebre e nelle ombre
della morte; dai Turiferari, che portano gli incensieri, le cui profumate ciocche di fumo
simboleggiano l'aroma della lode di Dio e il buon odore di Cristo; dai ministri inferiori, che
rappresentano la lunga serie di profeti dell'Antico Testamento e gli apostoli della nuova legge. A
chiudere questa processione è il celebrante, che, come abbiamo detto, rappresenta Cristo e cammina
con passo grave ma modesto.
È necessario riscoprire il significato delle processioni. A questo proposito, Guardini scrive nel suo
bel libro Segni sacri, che citeremo più volte nel corso di questo lavoro: "Ci sono molti che sanno
camminare? Non consiste nell'affrettarsi o nel correre, ma nel muoversi con calma. Né nel
camminare a passo lento e furtivo, ma nell'avanzare con decisione, senza scalpitare. Camminare con
una leggiadra verticalità, non chinandosi.
Senza esitazioni, ma piuttosto con un equilibrio stabile. È un'arte piena di nobiltà. Concilia
disciplina e libertà, forza e grazia, condiscendenza e fermezza, ardore e autocontrollo.
Quanto è bella questa marcia, quando il motivo è religioso!
Può diventare un vero e proprio atto di culto. I fedeli vengono avanti sotto gli occhi dell'Altissimo.
La processione esprime la nobiltà dell'uomo: "Voi siete della razza divina", ci dice la Scrittura (cfr. At
17,28). È il compimento del consiglio: "Cammina alla mia presenza e sii perfetto" (Gen 17,1).
b. Le luci
Perché ci sono luci nella processione e più in generale nel corso della Messa?
La Chiesa ha utilizzato la luce nelle azioni liturgiche fin dai tempi apostolici. Il motivo non è solo
quello di dissipare l'oscurità per poter celebrare i sacri misteri, come accadeva nelle catacombe, dove
il suo uso era necessario. Non è questa la ragione principale. È vero che la luce delle candele può
ricordare quei giorni di persecuzione che costringevano i cristiani a offrire il Santo Sacrificio di notte
e nelle viscere della terra, ma sarebbe un errore considerare il loro uso oggi come una reliquia di
quella risorsa per dissipare le tenebre o solo come una memoria storica di quell'epoca remota.
La ragione è molto più profonda: va ricercata nell'armonia che esiste tra luce e liturgia. La luce
abbellisce il culto divino e contiene una grande varietà di simbolismi che richiamano molti misteri
della vita soprannaturale. Per questo motivo, al di là della necessità fattuale di illuminazione,
sull'esempio di Cristo che, seguendo la tradizione della Pasqua ebraica, celebrò l'Ultima Cena in
un'atmosfera abbondantemente illuminata, la Chiesa continuò a usare la luce anche dopo la fine
dell'epoca delle persecuzioni e l'inizio dell'era della pace costantiniana. Eusebio racconta che la notte
di Pasqua, oltre all'illuminazione delle chiese, l'imperatore Costantino ordinò di illuminare tutte le
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strade della città con grandi torce e lampade di ogni tipo che resero quella notte più luminosa del
giorno più splendente.
San Girolamo, da parte sua, scrive: "In tutte le chiese orientali si accendono candele di giorno
quando si legge il Vangelo, non per vederci chiaro, ma come segno di gioia e come simbolo della
luce divina, di cui si legge nel Salmo: "La tua parola è la luce che illumina i miei passi" (Sal 108,
105)".
Questa stessa misteriosa ragione, che ci aveva convinto ad accendere le candele durante la lettura
del Vangelo, ha poi stabilito di accenderle durante il Santo Sacrificio in cui Cristo, che è la vera luce
del cosmo, si rende veramente presente.
Per scoprire il ricco simbolismo della luce, è necessario occuparsi della sua natura, delle sue
proprietà naturali e dei suoi effetti. L'origine, l'essenza, le operazioni della luce sono avvolte da un
profondo mistero. La luce sembra essere più spirituale che materiale; è come un'invasione del mondo
degli spiriti nel mondo dei corpi. Esercita una potente influenza sull'intelligenza e sul cuore; eccita
il coraggio, ispira la gioia.
Di tutte le cose sensibili, la luce è la più pura, la più piacevole, la più spirituale. Esprime la bellezza
della terra, la gioia della natura, la vita della creazione, la brillantezza dei colori. È quindi un simbolo
eccellente del mondo invisibile degli spiriti, della magnificenza e dello splendore del mondo della
grazia. Le tenebre sono l'immagine del paganesimo antico e moderno, cioè dell'ignoranza, dell'errore,
dell'incredulità, del peccato, dell'empietà, della desolazione e della disperazione; la luce, invece, nel
linguaggio biblico, è l'immagine del cristianesimo, cioè della verità, della grazia, della fede, della
saggezza, delle virtù, della consolazione e della felicità che vengono dal cielo e che ad esso
conducono. È in questo senso molto ampio che dobbiamo intendere le parole di San Pietro: "Dio ci
ha chiamati dalle tenebre alla sua meravigliosa luce" (1 Pietro 2, 9).
La luce è il simbolo della natura divina. "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre" (1 Gv 1,5); "è
rivestito di gloria e di onore, è avvolto di luce come in una veste" (Sal 103,1-2), "abita in una luce
inavvicinabile" (1 Tim 6,16), è "il Padre delle luci" (Gc 1,17). Dio è la luce increata, un abisso
insondabile di sapienza, santità, amore, bellezza, felicità, gloria e maestà; è anche il Creatore e la
fonte di ogni luce spirituale o sensibile, naturale o soprannaturale.
Allo stesso modo, Cristo è luce. Ciò che il sole è per il mondo materiale, Cristo lo è per il mondo
spirituale, per il regno della grazia e della gloria; egli è "la luce della luce", "lo splendore della gloria
del Padre" (Eb 1,3), "lo splendore della luce eterna" (Sap 7,26), "luce per illuminare le genti e per
glorificare Israele" (Lc 2,32), "la luce del mondo" (Gv 12,46), la fiaccola della Gerusalemme celeste
(cfr. Ap 21,23). Ap 21,23). La luce è quindi la figura della gloria del Figlio unigenito del Padre e la
rifrazione di questa gloria "nella pienezza della grazia e della verità" (Gv 1, 14).
È stato detto che la fiamma, che brilla sopra l'altare, rappresenta la Divinità di Gesù Cristo. La
candela è il simbolo della sua umanità. Lo stoppino, inserito al suo interno, rappresenta la sua anima.
Non per niente il cero è il puro prodotto delle api operose, che fin dall'antichità sono considerate
rappresentanti della verginità; sono loro che raccolgono il cero dal calice di fiori profumati. Frutto
delle api vergini e dei fiori dagli aromi gradevoli, il cero, nobile e puro, è dunque una figura eminente
della carne purissima che il Figlio di Dio ha assunto nel grembo verginale di Maria, piena del buon
odore di tutte le grazie. Sant'Anselmo insegna: "La cera prodotta dall'ape vergine è il simbolo della
carne di Cristo nato dalla Vergine Maria; lo stoppino è il simbolo della sua anima; la fiamma è il
simbolo della sua divinità". Ecco perché la candela deve essere pura, preferibilmente di cera di ottima
qualità.
Spesso viene definita "la luce della verità". La luce illumina e rende percepibili le cose esterne. La
verità della fede ci rivela un altro mondo, soprannaturale e più grandioso; ci permette di guardare
ai misteri più profondi; ci svela le meraviglie del regno di Dio, infinitamente più splendide della
meravigliosa bellezza del cosmo. Attraverso la rivelazione, Dio fa risplendere la sua luce nelle nostre
tenebre, illuminando i nostri cuori con la luce della conoscenza divina che risplende nel volto di
Gesù Cristo (cfr. 2 Cor 4,6).
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La luce rappresenta in modo non meno preciso l'essenza e l'efficacia della grazia, chiamata dai
Santi Padri "luce di Dio". La luce è misteriosa, pura, bella, piena di chiarezza e calore. Così la grazia
divina è un mistero profondo, cancella le macchie dell'anima e le dona purezza e bellezza, riempie
l'intelligenza di conoscenza e sapienza, dà forza alla volontà, dà gioia e carità al cuore.
Dobbiamo ricorrere alla pienezza della luce di Cristo per essere trasformati da luce a luce a
immagine di Dio (cfr. 2 Cor 3,18), per essere luce nel Signore (d. Ef 5,8), per diventare figli della
luce e del giorno (cfr. 1 Tess 5,5), per camminare nella luce come figli della luce, come Cristo è nella
luce (d. 1 Gv 1,7).
Le tre virtù teologiche trovano anche in luce il meglio dei loro simboli: la chiarezza della fiamma
rappresenta fede che è una luce per i nostri piedi ed una luce per i nostri passi (il cf. Sal 118, 105);
la direzione costante della fiamma, che tende verso l'alto, è un'immagine della speranza cristiana,
che orienta il nostro sguardo verso il cielo e dirige tutti i nostri desideri verso i beni soprannaturali;
il calore della fiamma, che consuma gradualmente lo stoppino e la candela, è il segno della carità,
che consacra tutto ciò che abbiamo, la forza della nostra anima e del nostro corpo, al servizio di Dio.
La fiamma della candela, che si alza tranquilla, pura e ardente, è anche il simbolo dell'adorazione e
della pietà, sulle cui ali il cuore si eleva al di sopra di tutto ciò che è terreno verso il trono di Dio.
Infine, la luce rappresenta la gloria celeste. Una luce eterna brilla davanti ai santi del cielo. "A chi
vince, dice il Signore, darò la stella del mattino" (Ap 2, 28), cioè la luce della visione beatifica, la luce
permanente e la festa della luminosità eterna.
Questo ricco e profondo simbolismo spiega e giustifica il molteplice uso della luce nella liturgia.
Nell'adottarla, lo scopo principale della Chiesa è quello di rappresentare Gesù Cristo, la vera luce,
l'oggetto del culto divino e l'autore della grazia. Le candele che ardono durante il Santo Sacrificio ci
mostrano questo Sole mistico che scende sull'altare, per irradiare vita e luce; ci ricordano anche la
sua carità, che lo porta ad annientarsi, a nascondersi sotto i veli eucaristici, proclamando che l'altare
è il punto focale dell'amore divino.
Tutti questi armonici ci portano al cero che viene portato in processione all'ingresso della Messa
solenne e poi posto sull'altare: "Guardatelo lì sul candeliere", scrive Guardini, "il suo piede poggia
largo e sicuro. Affondato nella base e sostenuto dal largo disco, il cero si erge snello, nella sua intatta
purezza. Il suo essere immacolato si trasforma lentamente in luce calda. Osservate la fiamma
oscillare al suo apice, dove la candela trasforma la sostanza del suo corpo verginale in luce radiosa
e ardente.
Sta lì al suo posto, senza esitare o vacillare, eretto; puro e aristocratico. Tutto in lui sembra dire:
"Sono pronto". Sta dove deve stare: davanti a Dio. Non usa evasioni né si sottrae al suo dovere. Tutto
proclama una disposizione chiara e risoluta. E nel compiere senza sosta il suo destino, si consuma
nella luce e nell'ardore. Ma forse direte: cosa ne sa la candela di tutto questo, se non ha un'anima?
Datele un'anima. Fatela diventare un vostro simbolo. Fate in modo che le nobili disposizioni del vostro
cuore si alzino alla sua vista:
"Signore, eccomi". Rafforzate in voi gli impulsi che vi conducono a una fedeltà senza limiti, e
allora gusterete il significato profondo di questo simbolismo, di questa parola: "Signore, questa
candela sono io, che sto davanti a te". La ragione suprema della vostra vita è bruciare come la
candela, amando Dio".
E riferendosi alla fiamma: "Il fuoco assomiglia all'essere vivente. La sua fiamma è costantemente
diretta verso l'alto, il minimo soffio d'aria la fa vacillare, ma è tenace nel suo tendere verso l'alto,
irradiando luce e donando calore. Vedendo come la fiamma penetra, anima e trasfigura l'ambiente,
diventando il centro stesso di tutto ciò che illumina, non vi scopriamo forse un'immagine della
misteriosa luce che è in noi, accesa in questo mondo per trasfigurare tutte le cose e dar loro un senso?
Ecco perché la fiamma arde soprattutto davanti a Colui che non dobbiamo mai abbandonare, davanti
a Dio. Il fuoco che brilla nella lampada del Santissimo Sacramento siete voi. Rappresenta, deve
rappresentare la vostra anima. Di per sé questa luce materiale non parla a Dio; sta a noi darle un
linguaggio e renderla espressione della nostra vita totalmente abbandonata a Dio. È lì, vicino al
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tabernacolo, che la nostra anima deve vivere, bruciare, ardere; è lì che il nostro cuore deve essere di
casa".
c. L'introito
Il canto che accompagna la processione d'ingresso si chiama introito. La Messa comprende tre
processioni:
la processione d'ingresso, che segna l'ingresso del clero;
la processione dell'offertorio, in cui i fedeli si avvicinano all'altare per la presentazione dei doni;
e la processione di comunione, in cui i fedeli si avvicinano per ricevere il Santissimo Sacramento.
Queste tre processioni sono accompagnate dal canto e si concludono con una preghiera finale: la
colletta, la preghiera sull'offertorio e la post-comunione.
Per quanto riguarda la processione d'ingresso, essa non deve essere solennizzata solo dal canto,
ma deve comportare anche un ingresso nella preghiera, una presentazione della comunità davanti
alla maestà di Dio per innalzare la sua voce supplichevole davanti a Lui, che il celebrante poi
riprenderà e condenserà nella preghiera sacerdotale.
Lo stile di costruzione delle chiese che ha caratterizzato gli ultimi secoli ha generalmente collocato
la sacrestia molto vicino al presbiterio, cosicché l'antica processione d'ingresso è presto caduta in
disuso. In passato, il "secretarium", cioè il luogo dove si vestiva il clero, era normalmente situato
accanto all'ingresso della basilica, cioè all'estremità opposta dell'abside, il che rendeva possibile la
processione.
Poiché la processione era sufficientemente lunga, non poteva essere fatta in silenzio e, non
essendoci all'epoca un organo, si ricorreva al canto.
Un salmo veniva cantato da un gruppo di cantori, generalmente in stile antifonale, cioè con due
cori che si alternavano le strofe.
Elemento indispensabile di questo tipo di canto era sempre l'antifona (da cui prende il nome),
costituita da un breve testo che introduceva il salmo scelto per l'occasione. Quando i ministri
arrivavano al presbiterio, si intonava il Gloria Patri. Sembra che l'antifona fosse ripetuta dopo ogni
versetto. In seguito il salmo fu limitato a pochi versetti per due motivi: in primo luogo perché
all'antifona fu data una melodia più ricca e lunga, e in secondo luogo perché la processione, per le
ragioni sopra citate, doveva essere abbreviata. In questo modo l'introito si riduceva a un breve testo
che annunciava il mistero del giorno o della festa commemorata, suggerendo una supplica o un atto
di adorazione. Oggi si tratta di tornare a qualcosa di più lungo e sostanzioso. L'obiettivo è lo stesso:
dare un tono spirituale alla Messa, avvolgere i fedeli in un'atmosfera sacra, introdurli al Sacrificio.
2. La salita all'altare
Quando la processione arriva al presbiterio, il celebrante sale all'altare.
a. L'altare
L'altare non è un "tavolo utilitario", ma un vero e proprio sacramento, essenziale in ogni chiesa
cattolica. L'altare occupa il posto più sacro della chiesa. Dovrebbe trovarsi in un luogo elevato (altar:
altus), più vicino a Dio. Dall'alto dei suoi gradini, domina, solitario, il resto della chiesa.
L'altare offre un simbolismo tanto ricco quanto profondo: è figura ed espressione di numerosi
misteri.
Le preghiere liturgiche di consacrazione dell'altare contengono allusioni a luoghi dell'Antico
Testamento in cui venivano offerti sacrifici figurativi: il Santo dei Santi, la pietra di Giacobbe, il luogo
che Abele ha innaffiato con il suo sangue, il monte dove Isacco doveva essere ucciso, il luogo
dell'offerta di Melchisedec, l'altare che Mosè fece allestire.
L'altare è anche la figura della sacra mensa su cui Gesù Cristo istituì l'Eucaristia, così come la
tomba scavata nella roccia dove fu deposto il suo corpo inanimato. Ricorda anche lo strumento del
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sacrificio di Cristo, la Croce, dove si è compiuta l'opera della nostra redenzione, perché l'altare è un
Golgota mistico sul quale questo sacrificio si rinnova in modo misterioso.
L'altare, su cui poggia il Corpo e il Sangue di Cristo, è anche un'immagine del trono celeste su cui
poggia l'Agnello di Dio, dell'altare del cielo su cui attendono la loro perfetta glorificazione coloro che
hanno ricevuto la morte per amore di Dio.
Infine, l'altare è soprattutto la figura di Cristo stesso, nel quale e attraverso il quale possiamo
offrire a Dio ostie e preghiere gradite. Sebbene gli altari fossero originariamente in legno, in seguito
si preferì che fossero in pietra, e della migliore qualità possibile, proprio per meglio simboleggiare
Cristo e il suo sacerdozio, che è eterno. Tale materiale è senza dubbio il più appropriato per
richiamare la pietra viva e fondamentale su cui la Chiesa è costruita e su cui trova il suo sostegno, la
sua incrollabile solidità e la sua imperitura durata. Del resto, Cristo stesso si era presentato come la
pietra viva, rifiutata dal mondo incredulo e corrotto, ma resa pietra angolare (cfr. Mt 1,42; 1 Pt 2,4).
Come nell'Antico Testamento Dio si è mostrato come "roccia d'Israele" (cfr. Sal 94,1), così Cristo è la
roccia della Chiesa. Egli è la roccia di salvezza per i fedeli, e una pietra d'inciampo e di offesa per gli
increduli (cfr. 1 Pt 2,8), perché chi cade su di essa viene frantumato e colui sul quale cade viene
schiacciato (cfr. Mt 21,44).
Come i muri di pietra circondano l'altare di pietra, così i fedeli, pietre vive, ripiene dello Spirito
di Dio e della sua grazia, devono aderire sempre più strettamente a Cristo, roccia primigenia e fonte
di vita; devono innalzarsi come un edificio destinato al servizio di Dio (cfr. 1 Pt 2,4-5), affinché,
fondati sempre più solidamente su Cristo, possano salire di virtù in virtù fino alla felicità del cielo,
dove la fede si trasforma in visione. Saranno allora pietre vive ed elette, strappate alle viscere della
terra, scolpite e levigate dai molti colpi dello scalpello salvifico, adattate con precisione alla magnifica
costruzione della Gerusalemme celeste.
Al momento della consacrazione dell'altare, il santo crisma, una miscela di olio e balsamo, viene
versato abbondantemente sulla pietra, a significare che l'altare, che rappresenta Gesù Cristo, è unto
dallo Spirito Santo con l'olio della letizia.
L'altare ha anche un significato morale. Il cristiano, santificato dal battesimo, è il tempio di Dio,
la dimora dello Spirito Santo, la chiesa spirituale (cfr. 1 Cor 3,16; Ef 2,22). Il suo cuore trova, quindi,
un simbolo nell'altare materiale: il suo cuore deve essere un altare spirituale sul quale egli
immobilizza continuamente le sue inclinazioni terrene e offre a Dio le sue preghiere e le sue opere
buone. L'altare, con la sua posizione elevata, è una muta esortazione a sollevare i cuori verso il cielo,
a raggiungere l'alto, dove Cristo è seduto alla destra di Suo Padre; a staccarsi dalle cose terrene e ad
elevarsi al di sopra del mondo per onorare Colui che non invano è chiamato l'Altissimo.
Un antico testo del Pontificale Romano riassumeva così questo simbolismo: "L'altare della santa
Chiesa è Cristo stesso, secondo la testimonianza di San Giovanni, che dice, nell'Apocalisse, di aver
visto un altare d'oro davanti al trono, sul quale e per mezzo del quale le offerte dei fedeli venivano
consacrate a Dio Padre. I panni corporei sono le membra di questo altare che è Cristo, cioè i fedeli
di Dio, di cui il Signore è rivestito come di vesti preziose, come dice il Salmista: "il Signore è Re e
rivestito di bellezza". Anche San Giovanni vede nell'Apocalisse il Figlio dell'uomo cinto di una cintura
d'oro, che simboleggia la moltitudine dei santi".
L'altare è quindi l'immagine perfetta di Cristo. Gli altari significano le mani del Salvatore", dice
con grande bellezza Cabassilas, teologo bizantino del XIII secolo, "e dall'altare consacrato dall'unione
riceviamo il Pane, come se ricevessimo il Corpo di Cristo dalle sue stesse mani purissime, e beviamo
il suo Sangue, come il Signore lo diede in comunione ai suoi Apostoli nell'Ultima Cena, quando offrì
ai loro occhi quella tremenda morte d'amore". Se l'altare è il simbolo di Cristo, i teli di cui è ricoperto,
che rappresentano i teli che avvolsero il Signore nel Sepolcro, sono anche una figura del Corpo
Mistico di Cristo, cioè dei fedeli, di cui il Signore si circonda.
Come la veste di foglie di Cristo, le tovaglie devono cadere a terra da entrambi i lati. E devono
essere bianche, perché questo colore designa la giustizia dei santi (d. Ap 19,8), la purezza del cuore
e l'innocenza della vita.
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Durante tutto l'anno le tovaglie coprono l'altare, tranne il Giovedì Santo, quando, dopo la Messa,
vengono rimosse e l'altare rimane spogliato fino al Sabato Santo. Questa significativa cerimonia non
solo esprime il dolore della Chiesa per la morte del suo Sposo divino, ma ricorda anche l'ignominiosa
spogliazione del Corpo di Cristo e il suo abbandono durante la Passione.
È una pia usanza, venerabile per la sua antichità, quella di decorare l'altare con i fiori, soprattutto
nelle grandi festività. I fiori freschi e profumati sono un ornamento molto bello per gli altari e
contribuiscono non solo a sottolineare le solennità, ma anche a edificare il popolo cristiano. I fiori
occupano un posto speciale nella creazione; sono per la terra ciò che le stelle sono per il firmamento.
La brillantezza dei loro colori e la morbidezza dei loro profumi manifestano la bellezza e la
provvidenza di Dio. Per questo vengono utilizzati nel culto divino, insieme alla luce delle candele e
all'aroma dell'incenso. I fiori hanno un loro linguaggio, un loro significato; anch'essi sono segni di
cose spirituali. In particolare, con la loro grazia e i loro colori esprimono la gioia con cui dobbiamo
avvicinarci all'altare del nostro Dio, autore e consumatore di ogni vera gioia. D'altra parte,
rappresentano anche i doni soprannaturali, le grazie e le virtù che adornano l'anima. Non per nulla
la Chiesa canta dei santi: "Fioriscono come il giglio e sono come profumo davanti al Signore". Posti
sull'altare, significano anche che tutte le grazie, tutte le virtù, si sviluppano e maturano nella luce
soprannaturale e nel calore divino che irradiano dal sole dell'Eucaristia.
Questo è il bellissimo simbolismo dell'altare e dei suoi ornamenti.
Dio verrà a noi attraverso l'altare, perché l'Eucaristia si poserà su di esso. L'Eucaristia crea l'altare.
Noi verremo a Dio attraverso l'altare. Non possiamo passare dall'altra parte se prima Dio non fa il
percorso inverso. L'altare è il luogo dell'Emmanuele, dell'incontro, il luogo delle nozze della Chiesa
con Cristo.
b. Il sacerdote sale all'altare
Prima dell'ultima riforma liturgica, all'inizio della Messa si intonava il Salmo 42: "Salirò all'altare
del Signore... la tua luce e la tua verità mi condurranno al tuo monte santo". L'altare è il monte santo,
il Calvario redento. Già nell'Antico Testamento i sacrifici venivano spesso consumati su montagne o
luoghi elevati. Abramo, obbedendo al comando divino, salì sul monte Moriah. Mosè offrì il sacrificio
dell'alleanza sul Monte Sinai e per secoli il popolo eletto sacrificò esclusivamente sul monte santo di
Gerusalemme.
Non per niente Dio ha destinato le montagne come luogo adatto ai sacrifici più solenni. Perché le
montagne assomigliano ad altari? Perché la montagna, fuggendo dalle profondità e dalle miserie
della terra, si innalza verso il cielo, verso Dio.
La montagna è come una patena innalzata. È l'altare della natura.
Ebbene, se la montagna ha qualcosa di un altare, ogni altare deve avere qualcosa di un "monte",
affinché possa esprimere più perfettamente l'essenza del sacrificio, che non è altro che l'oblazione
fatta al Dio trascendente, al Dio che è in alto. L'altare deve ergersi come un "monte" sopra i fedeli,
riuniti davanti ad esso, verso il cielo, verso Dio.
Il celebrante sale all'altare. Nel suo libro già citato, Guardini ha dedicato un breve capitolo al
simbolismo dei "gradini". Quando saliamo una scala, dice, non sono solo i nostri piedi a percorrerla:
il nostro corpo la segue, e anche la nostra anima. E così facendo, percepiamo vagamente un'altra
salita, verso l'alto, dove il nostro viaggio finirà, verso Dio, verso dove Dio abita. "È connaturale per
noi considerare il basso come simbolo di meschinità e malizia, e l'alto come immagine di nobiltà e
bontà; e salire con gravità evoca l'ascesa del nostro essere verso l'"Altissimo", verso Dio". E in questo
contesto presenta come espressiva l'ascesa sulla terra, l'ascesa alla chiesa, e soprattutto all'altare,
simbolo delle "ascensioni interiori verso Dio".
c. Il bacio dell'altare
L'unico osculum altare che viene espressamente menzionato nel primo "Ordo Romanus" è quello
dell'arrivo del celebrante all'altare. Si tratta del saluto solenne al luogo in cui si svolgerà il sacro
mistero.
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In generale, il bacio ha un doppio significato. È, innanzitutto, un'espressione di amore e intimità;


in secondo luogo, una testimonianza di rispetto e stima. Il bacio sull'altare nasconde un ricco
simbolismo. All'inizio il celebrante lo faceva semplicemente per salutare la mensa del Signore. Ben
presto, però, il suo significato fu approfondito dall'idea che l'altare, normalmente di pietra,
rappresentasse Cristo stesso ("la pietra era Cristo", dice San Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi,
10, 4, riferendosi alla roccia nel deserto che, colpita, versava acqua per dissetare il popolo), Cristo
che è la pietra angolare, la roccia spirituale. Secondo Sant'Ambrogio, poiché l'altare è figura del
corpo di Cristo, il giorno della sua consacrazione non solo viene unto con il Santo Crisma, ma sulla
pietra vengono incise cinque croci in ricordo delle cinque piaghe della croce. Il bacio è stato così
rivolto a Lui.
Con l'aumento della devozione ai martiri nell'Alto Medioevo, divenne consuetudine dotare ogni
nuova chiesa delle reliquie di questi eroi della fede. Tutte le prime chiese furono costruite sulle tombe
dei martiri o almeno avevano alcune delle loro reliquie. Questa usanza ha un significato profondo.
Sembra giusto che coloro che hanno versato gloriosamente il loro sangue per Gesù Cristo riposino
ai piedi dell'altare su cui viene offerto il Santo Sacrificio, perché è da lì che hanno tratto la forza per
subire il martirio.
La presenza delle reliquie dei santi martiri sotto l'altare o sull'altare ricorda la loro intima unione
con l'Agnello di Dio, come dimostrato dai tormenti che hanno sopportato. I martiri hanno fatto del
loro corpo un altare vivente, unendo il loro sacrificio a quello di Cristo. E questo viene mantenuto in
cielo. Lo testimonia San Giovanni quando dice: "Vidi sotto l'altare le anime di coloro che erano stati
uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che avevano reso" (Ap 6,9). Ecco perché
Sant'Agostino scriveva: "È giusto che i santi riposino sotto l'altare dove viene immolato il Corpo del
Signore. È del tutto opportuno che abbiano la loro sepoltura nel luogo in cui si celebra ogni giorno
la morte del Signore: è il risultato della sua alleanza". I martiri hanno partecipato liberamente e con
gioia alla passione e alla morte del Signore; è giusto che trionfino con Lui. Sono come i trofei della
sua vittoria. La storia ci dice che quando furono scoperti i resti dei santi Gervasio e Protasio,
sant'Ambrogio li fece porre sotto l'altare e in un discorso ispirato disse al suo popolo, tra le altre cose:
“Queste vittime trionfali hanno il loro posto stabilito dove si trova Gesù Cristo, l'Ostia pura. Cristo
è sull'altare, perché ha sofferto per tutti gli uomini. Essi sono sotto l'altare, perché sono stati riscattati
dalla sua Passione”.
Così il bacio dell'altare divenne un atto di venerazione per i martiri, e in loro per la Chiesa
trionfante in generale. Secondo la spiegazione data da Innocenzo III, quando si bacia l'altare, è Cristo
stesso che nella persona del celebrante saluta la Chiesa, sua sposa. Lì c'è il meglio del suo corpo
mistico, ciò che manca alla sua Passione, i resti di coloro che hanno dato il loro corpo e il loro sangue
per lui, le ossa ancora tremanti dei grandi eroi cristiani. Come se fossimo ancora al tempo delle messe
nelle catacombe, celebrate sul corpo palpitante dell'ultimo martire. Come se con questo bacio il
sacerdote volesse centellinare "l'amore più grande, che è dare la vita per colui che si ama" (cfr. Gv
15,13).
Bacio Gesù, bacio i suoi membri più illustri, bacio il Cristo totale.
È un bacio rituale. E, proprio perché rituale, è infestato dall'automatismo. Può diventare freddo,
insaporito, senza tenerezza. In sé è venerabile, pieno di simboli, pieno di misteri, il segno quotidiano
dell'amore che si deve a Cristo. È la Chiesa intera, la Sposa, che viene ogni giorno a salutare l'Amato.
Per il celebrante è un impegno che deve mantenere per tutta la giornata, un impegno di dedizione a
Cristo e al martirio. Bacia il luogo da cui poi prenderà, tra le mani, la Carne e il Sangue del suo Dio.
Questo bacio è già la comunione che inizia, un atto di delicatezza e di fedeltà, pieno di tenerezza
verso il Signore, che in qualche modo contribuisce a riparare l'orribile bacio di colui che lo ha tradito.
3. Incensazione
Nella Messa solenne, l'incenso dell'altare è seguito dalla sua incensazione. Come l'ornamento dei
fiori e il bagliore delle candele, la ricchezza dei paramenti e gli accordi dell'organo, così le nuvole di
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incenso che salgono al cielo, profumando la chiesa, rendono chiara anche ai sensi la grandezza del
mistero.
L'incenso era ampiamente utilizzato nell'antichità, anche nei culti pagani. Dopo la scomparsa di
questi culti, il suo uso fu gradualmente introdotto anche nel culto cristiano. Si può anche pensare
che sia stato influenzato dall'Antico Testamento, poiché era una regola del culto antico che il sommo
sacerdote non iniziasse il servizio senza prima incensarlo (cfr. Lv 16,12). Nella Santa Messa viene
incensato tutto ciò che è santo o chiamato alla santità: l'altar, per le ragioni appena citate; il pane e
il vino, perché sono la materia del sacrificio; il crocifisso, per la sua vicinanza all'immolazione
eucaristica; il celebrante, perché rappresenta Cristo; i fedeli, perché sono un popolo santo, tempio
dello Spirito Santo. Tutto ciò che viene incensato è avvolto in un'atmosfera di santità.
Qual è il significato simbolico di questo rito?
Innanzitutto, esprime in modo visibile il sacrificio interiore. La parola latina così (incenso)
significa originariamente "dissolversi nel fumo", indicando così la stretta connessione dell'incenso
con il sacrificio. Prima che il fumo si alzi, i grani di incenso vengono bruciati, distrutti dal fuoco,
simboleggiando così i cristiani, che devono essere impiegati nel servizio di Dio e consumati nella
lode della sua gloria. Forse possiamo ricordare il detto del Signore:
"Sono venuto a gettare fuoco sulla terra e cosa voglio se non che bruci" (Lc 12,49).
Significa anche il buon odore di Cristo. L'aroma gradevole dell'incenso si diffonde dall'altare -
figura di Cristo - fino all'ultimo dei fedeli. Questa invasione salvifica del Capo della Chiesa verso le
membra del suo Corpo deve ricordarci che, come dice l'Apostolo, anche noi dobbiamo essere il buon
odore di Cristo (cfr. 2 Cor 2,15), e diffondere ovunque la conoscenza e l'amore del nostro Dio.
Il fumo dell'incenso che sale lentamente simboleggia anche la preghiera che sale a Dio. La
preghiera dei cristiani che si preparano a partecipare al Santo Sacrificio deve scaturire da un'anima
piena di ardore, che cerca di consumare nel suo cuore tutti gli attaccamenti smodati alle cose
transitorie. Sarebbe difficile trovare un simbolo più appropriato della preghiera cristiana. Se
l'incenso sale, è per l'energia che il fuoco gli comunica; così le nostre preghiere, che esprimono i
desideri del nostro cuore, non possono salire verso Dio se non sono animate e purificate dal fuoco
dell'amore divino. Già il salmista vedeva nella lenta ascesa delle nubi d'incenso un bel simbolo della
preghiera dei giusti: "La mia preghiera, Signore, salga come incenso davanti a te" (Sal 140,2).
Questo simbolismo si estende in senso comunitario. Non è solo la fervente preghiera individuale
che si eleva ardentemente a Dio. È anche la preghiera della comunità.
Come le varie esalazioni della terra salgono da tutte le parti, si raccolgono e formano nuvole e poi
ricadono in pioggia feconda, così le preghiere della santa assemblea si raccolgono e si concentrano
nel simbolo dell'incenso che evapora, salgono come una nuvola davanti a Dio e ricadono sulla
comunità come rugiada di benedizione. L'incenso esprime così l'elevazione interiore della comunità
in preghiera, il suo volo ascensionale verso Dio. Benedetto dal sacerdote - "Sii benedetto da colui in
onore del quale brucerai" - sale in onore di Dio come simbolo delle anime che salgono in alto.
Tutta la chiesa", scrive Dionysioa Areopagita, "è permeata dall'incenso, reso verticale da ogni
preghiera. E dall'alto Dio riversa su di noi la sua benedizione". Sant'Agostino lo diceva con la sua
consueta concisione: "La preghiera sale e la misericordia scende".
L'elevazione dell'incenso esprime anche la nostra partecipazione alla liturgia celeste. "Gli anziani
erano prostrati davanti all'Agnello, ciascuno con in mano coppe d'oro piene d'incenso, che sono le
preghiere dei santi" (Ap 5,8). Quando San Giovanni descrive la sua visione della liturgia celeste,
allude ai turiboli d'oro che gli angeli fanno oscillare presso il trono dell'Agnello: "Vidi arrivare un
angelo che portava un turibolo d'oro e stava davanti all'altare. Gli furono dati molti profumi... e il
fumo dei profumi saliva con le preghiere dei santi dalla mano dell'angelo alla presenza di Dio" (Ap
8,3-4). Concludiamo l'analisi di questo simbolo significativo con un testo di Guardini:
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Che nobile bellezza questi grani gialli, posti sui carboni ardenti, che fuoriescono in fumo
aromatico dallo strumento oscillante: una melodia di ritmi e profumi, senza alcuna utilità pratica,
alla maniera di un canto. Un bellissimo spreco di cose preziose.
Amore distaccato e autosacrificante. Si potrebbe pensare che si trovasse in quel giorno a Betania,
quando Maria arrivò con l'ampolla del prezioso nardo e lo versò sui piedi del Divino Maestro mentre
sedeva, e poi li asciugò con i propri capelli, mentre la casa si riempiva del suo profumo. Non mancava
allora uno spirito ristretto per mormorare contro tale prodigalità. Ma il Figlio di Dio lo trattenne,
dicendo: "Lasciatela fare; ha conservato questo profumo per il giorno della mia sepoltura" (Gv 12,7).
Sì, questo gesto significava misteriosamente morte, amore e sacrificio.
Tutto questo si ritrova nell'incenso: il mistero della bellezza, che si innalza con grazia, senza
alcuna utilità pratica; il mistero dell'amore, che brucia, si consuma ed esala morendo. Non
mancheranno nemmeno qui gli spiriti meschini che si chiederanno: a cosa serve tutto questo?
L'incenso è un sacrificio di profumi, formato, dice la Scrittura, dalle preghiere dei santi. È il
simbolo della preghiera, soprattutto di quella preghiera che non si autoassolve, che non vuole altro
che alzarsi come il Gloria dopo ogni salmo, che adora e ringrazia Dio "per la sua grande gloria"...
Anche nella religione ci sono spiriti meschini, mercantili, le cui labbra mormorano come quelle
di Giuda Iscariota: in loro la preghiera è orientata all'utilitarismo spirituale; la vogliono
borghesemente ragionevole; ne quid nimis. Questo modo di agire ignora completamente la
munificenza regale della preghiera, che è sempre generosa; ignora ciò che è proprio dell'anima della
preghiera, che non si chiede mai il perché o il percome, ma sale, perché è amore, profumo e bellezza.
E quanto più ama e quanto più offre, tanto più il fuoco lo consuma e il profumo sale.
4. NEL NOME DEL PADRE

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