Sei sulla pagina 1di 35

Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

Giovanni Mazzillo

Corso sul Gesù storico


Istituto Teologico Calabro, Catanzaro

Anno accademico 2007-2008

INTRODUZIONE
Iniziamo questo nostro studio sul Gesù storico con un misto di trepidazione e d’amore. Gesù
non è un oggetto qualsiasi da indagare o un argomento su cui discettare. È il centro della nostra
fede e colui che con la sua proposta suscita la fede. Persona e soggetto che chiama altre persone
ad un rapporto di fiducia e d’amore, come amico e maestro che chiama alla sequela.

La figura di Gesù ha sempre affascinato gli spiriti più sensibili ed inquieti, quelli cioè che non
si rassegnano a stringere intorno all’uomo i cerchi dei suoi limiti, ma avvertono l’impellente
bisogno di forzarli, per andare oltre ed additare spazi smisuratamente più ampi e realizzazioni
finora insperate.

Ha contemporaneamente suscitato la reazione e l’acredine di chi invece non vede praticabili


questi impervi sentieri e ritiene piuttosto che l’essere umano non debba essere distolto dalle sue
pulsioni più terrene e dai suoi compiti più ordinari ed abituali. Quando l’uomo comincia a
sognare oltre le sue possibilità, diventa pericoloso. Lo pensano ancora in tanti e con ideologie,
che pur sembrando tanto contrapposte, si radicano in un convincimento comune: l’uomo è per
sua natura limitato, essendo un fascio di bisogni o una cera da plasmare. Il dittatore ne può fare
carne da macello per le sue guerre, la multinazionale un consumatore istupidito dal
“benessere”, l’edonista un rassegnato fruitore di quanto la vita stessa offre con i suoi piccoli
narcotici di ogni giorno.

A distanza di duemila anni dalla sua vicenda terrena, Gesù rimane ancora sotto processo
almeno per due motivi. Il giudizio sulla sua vicenda storica continua ad inquietare molte
coscienze. Il carattere innovatore del suo messaggio, quello che insegna all’uomo ad essere più
uomo, superando i suoi limiti, è ancora oggetto di istruttoria del «grande inquisitore” de I
Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Nella leggenda dell’autore russo, Cristo, tornato sulla terra, è
rinchiuso in prigione dal vecchio inquisitore, cardinale di Siviglia, con questo preciso capo
d’accusa: l’aver additato agli uomini una libertà che non possono raggiungere, perché non ne
sono capaci. Dando lezione di realismo politico al Cristo sognatore ed idealista, l’inquisitore
pronuncia il suo credo: gli uomini sono meschini e di bassa levatura, occorre condurli per
mano, giustificandone bisogni e limiti, imbonendoli con un esercizio del potere che tenga conto
della loro mediocrità.
I tanti che si sono cimentati con la figura di Gesù o condividono il credo dell’inquisitore,
oppure lo ripudiano. Lo condividono quanti, anche in nome di una pretesa umanizzazione di
Cristo, hanno tentato di svilirne la forza profetica e sovversiva. Ieri in nome dell’ideologia del

1
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

potere, oggi in nome dell’ideologia realistica, che poi altro non è che resa incondizionata al
potere. È un realismo che scandalizza, purtroppo, solo in un caso: quando tocca la sfera privata
ed affettiva di Gesù o la pubblica decenza di copioni cinematografici mediocri. Non turba
ugualmente le coscienze, quando invece pretende di ricacciare il Cristo nel cliché dell’idealista
disilluso o del salvatore metastorico, che riconcilia solo le anime e nulla più. A costoro non
riesce difficile credere in Cristo. Riesce invece impossibile credere in ciò che Gesù ha realmente
creduto.

Al contrario, quelli che danno credito solo al Gesù della storia, alle sue speranze ed alla sua
passione per un mondo nuovo e per un’umanità rinnovata, hanno talvolta lo sguardo
lungimirante, ma il respiro corto. Appaiono incalzati non solo dalla loro quotidiana fatica del
vivere, ma anche dal rimprovero tacito o palese di chi paradossalmente rinfaccia proprio loro di
umanizzare troppo la figura di Cristo, mettendo in ombra la sua trascendenza. Ora però nulla
sembra più incatturabile della “trascendenza”, non essendo questa, per definizione, monopolio
di nessuno.

A noi basta ritenere che Colui che ci trascende infinitamente perché Figlio di Dio, è
contemporaneamente il maestro più accreditato che possiamo avere per imparare a percorrere il
viottolo della trascendenza dell’uomo. Ci insegna che non ci sono due trascendenze, ma che noi
uomini di carne e di sangue, di delusioni e di progetti, di memoria e di futuro siamo
continuamente sospinti, proprio da quel Gesù della storia, che rimane il Cristo della fede, al
superamento dei limiti di oggi.

Cristo non è soltanto il trascendente, ma è anche la via del nostro autotrascenderci. Il suo
appello alla fede si concretizza nel credere che l’uomo è chiamato a superarsi continuamente e
che non la mediocrità e l’indifferenza, ma la grandezza e l’amore coraggioso e oblativo ne
impastano la sua struttura esistenziale. Trascendersi è non rassegnarsi ai limiti che oggi ci
condizionano e ci opprimono, ma adoperarsi perché siano infranti.

La conseguenza di quanto andiamo dicendo si può sintetizzare schematicamente nella


formula: la fede nel Cristo esige che noi crediamo in ciò in cui lo stesso Gesù ha creduto. Non
essendo possibile, come vedremo, separare il Cristo della fede dal Gesù della storia, la fede di
quanti confessano, come Pietro, «Tu sei il Cristo” comporta la disponibilità a seguirlo sulla sua
strada. È una strada che dobbiamo conoscere e della cui storicità non dovremo più dubitare. Per
queste ragioni, la ricerca storica su Gesù diventa indispensabile. Per il credente la vicenda
umana di Gesù, che è inestricabilmente vicenda teologale e vicissitudine storica, non è
indifferente. Costituisce, al contrario, la giustificazione storica di scelte da compiere oggi nella
nostra storia ed in questo nostro mondo.

Comunemente, parlando di Gesù lo indichiamo indifferentemente con il nome di Gesù o con il


nome di Cristo. Ma, da come si sarà già compreso, i due nomi esprimono aspetti diversi.
“Cristo” sta ad indicare il Cristo risorto e oggetto della fede della Chiesa, colui che fu predicato
e testimoniato dagli apostoli ed è indicato dalla teologia paolina come il Capo del corpo che è la
Chiesa. È l’unto del Signore, il messia, che realizza le profezie fatte ad Israele ed è adorato come
il Figlio di Dio, il Vivente, ininterrottamente presente nella comunità dei credenti.

“Gesù” sta invece ad indicare la realtà storica di Gesù di Nazareth, colui che passò
predicando per la Palestina e del quale, pur non potendosi dire altro che aveva fatto del bene a

2
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

tutti, fu chiesta la morte, una morte voluta da coloro che, smascherati nella loro ipocrisia,
dovettero produrre falsi testimoni contro di lui.

La ricerca sul Gesù della storia può ben arrivare oggi alla conclusione che il Cristo della fede e
il Gesù della storia sono inscindibilmente uniti anche dal punto di vista storico. La connessione
dei due termini è stato tuttavia il nodo nevralgico fondamentale sul quale ogni autore ha
dovuto pronunciarsi. Da Kähler in poi, la distinzione è diventata separazione, con l’aggiunta di
qualificazioni che hanno ristretto i significati ivi espressi, fino ad arrivare ad una cesura
invalicabile. Altro è il Cristo in cui crediamo, diceva Kähler, altro è il Gesù della ricerca storica.
Il Gesù della storia è completamente differente dal Cristo della fede. L’uno e l’altro sono e
devono restare distinti e separati. Ma, in questo modo, siamo ormai davanti ad un’affermazione
quasi dogmatica, che implicitamente ed acriticamente si rinviene in molti: l’inconciliabilità dei
due.

Pur adoperando, per ragioni di chiarezza, la distinzione didattica tra Gesù e Cristo, è nostro
intento dimostrare che i due significati sottostanti alla doppia denominazione non solo non
contrastano tra loro, ma non possono reggersi l’uno senza l’altro. Non certamente in forza di
un’operazione concettuale, o di analisi di linguaggio, ma a conclusione di una riflessione critica
sulla vicenda storica di Gesù, si perviene alla conclusione che la stessa realtà storica di Gesù non
è pensabile al di fuori della fede, che costituisce la chiave ermeneutica determinante per poterla
aprire e leggere.

Se il risultato del nostro lavoro si può agevolmente sintetizzare nella frase: «Il Cristo della
fede è il Gesù della storia», il nostro studio appare per buona parte un confronto con le
posizioni critiche che di volta in volta si sono date nella storia della ricerca storiografica su
Gesù. Non ci si può sottrarre alla fatica di studiarle e, prendendole sul serio, di vagliarle
attentamente. Al di là delle facili affermazioni apologetiche e delle fughe in una fede che
pretenderebbe di essere “pura”, nascondendo la testa nella sabbia, per paura della verità, noi
riteniamo che siamo debitori alla ragione di una credibilità storica della fede stessa. Essa non
offusca, ma semmai illumina la figura di Cristo e ce ne fa rivivere il palpito con la trepidante
compartecipazione di chi si sente chiamato a seguirne le orme fino in fondo. Vale anche per noi
la lezione dell’evangelista Luca, che parla di ogni cura nelle sue ricerche perché gli
insegnamenti trasmessi sul Vangelo abbiano la loro stabilità.

Per noi, scoprire la consistenza storica dell’agire di Gesù, del suo vivere e lottare, del suo
amare e morire, non potrà che essere un incoraggiamento a seguitare ad andare, a cercare
nell’oggi germogli di liberazione e salvezza.

Consapevoli di questa forza liberatrice che promana dalla figura di Gesù e con nel cuore le
sofferenze, alle quali quotidianamente assistono, i Vescovi latino-americani già nel 1979,
avevano dichiarato a Puebla:

«Parliamo di Gesù Cristo. Proclamiamo ancora una volta la verità della fede su Gesù Cristo.
Chiediamo a tutti i fedeli di accettare questa dottrina liberatrice»1.
Si tratta di un appello destinato a tutti, ma in primo luogo a quanti si definiscono cristiani,
perché

1 PUEBLA. Documenti. Testo definitivo, EMI, Bologna 1979, n. 180.

3
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

«il loro destino temporale ed eterno è legato alla conoscenza di fede e alla sequela, nell’amore di
Colui che con l’effusione del suo Spirito ci rende capaci di imitarlo e che noi chiamiamo, e che è,
Signore e Salvatore»2.
La nostra ricerca recepisce quest’appello. Per seguire e comunicare meglio il Cristo, occorre
conoscerlo. Ma occorre anche conoscere la sofferenza e i problemi di quel popolo sofferente,
che, nel terzo mondo e altrove, è simile a quel popolo dove Gesù s’incarnò e visse, morì e
risuscitò. La solidarietà con Cristo è solidarietà con la sofferenza dell’uomo. E viceversa, solo la
solidarietà con il sofferente ci abilita a comprendere “dal di dentro” la persona e la ricchezza di
Gesù, il Cristo. Anche noi, come i cristiani dei popoli tormentati e oppressi, in solidarietà con le
sofferenze e i problemi del popolo sofferente

«sentiamo l’urgenza di dargli ciò che è specificamente nostro: il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio
di Dio. Sentiamo che questa è la “forza di Dio” (Rm 1, 16) capace di trasformare la nostra realtà
personale e sociale e di incamminarla verso la libertà e la fratellanza, verso la piena manifestazione
del Regno di Dio»3.
Quelle evidenziate a Puebla, sono linee maestre che indicano l’orizzonte ecclesiale ed umano,
culturale e “politico” ove avviene anche la nostra ricerca. Allo stesso modo, registriamo e
recepiamo con convinzione l’invito a salvaguardare la ricchezza e l’integrità della figura di
Cristo, guardandoci da due pericoli che possono effettivamente incombere su chi a tale ricerca
si accinge: l’ideologizzazione di Gesù come puro e semplice leader politico e la sua già accennata
riduzione di lui ad esperienza di fede meramente intimistica e privata.

La figura di Gesù, per essere ben compresa, è da contestualizzare nell’ambito teologico in cui
lo stesso Nuovo testamento e la prima comunità cristiana l’hanno collocata. Attraverso Cristo
Dio irrompe nella storia umana e questa diventa «pellegrinaggio degli uomini verso la libertà e
la fratellanza» sicché proprio queste, la libertà e la fratellanza, «appaiono ora come una via
4

verso la pienezza dell’incontro con lui» . Annunciare il «vero volto di Cristo significa anche per
5

noi annunciare la «vera e totale» liberazione di tutti gli uomini, di ciascun uomo.

L’agire di Gesù è da cogliere, di conseguenza, in una contestualità complessiva che è insieme


culturale e spirituale, teologica ed antropologica, o, se si vuole, mistica e politica , come un agire 6

liberante che riconcilia l’uomo con Dio e con il suo stesso cuore, con le sue radici e il suo ambito
umano e cosmico. È pertanto un agire di pace che avviene con la predicazione e le opere.

Per chi parte da una prospettiva di fede, il peccato è vinto da Cristo e tutta la sua vita storica è
una lotta al peccato. Ma occorre subito aggiungere che alcune forme di peccato, allora come
oggi, non si danno per vinte. Gesù infatti sperimenta l’incredulità e il rifiuto, l’odio e la
persecuzione sistematica che arriva alla sua eliminazione fisica.

Proprio allora Gesù comprende e reimposta la sua vita all’insegna di quella del «servo
sofferente di Jahvé». Intraprende l’ultimo suo cammino come cammino di donazione senza
2 Ivi.
3 Ivi, n. 180.
4 Ivi, n. 188.
5 Ivi.
6 Usiamo quest’espressione nel senso più vasto in cui è adoperato, per esempio, nell’opera scritta in onore di J. B. Metz, in:
E. SCHILLEBEECKX, Mystik und Politik. Theologie im Ringen um Geschichte und Gesellschaft, Mainz, 1988. La sequela di Gesù,
da una parte, e, proprio per questo, l’impegno storico- concreto, dall’altra, fanno sì che il cristiano viva in questa bipolarità dove
nessun apice del Vangelo viene lasciato cadere. Mistica e politica sono qui garanzia di fedeltà e di radicalità evangelica.

4
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

riserve, respingendo la tentazione del potere politico e del ricorso alla violenza, anche a quella
semplicemente difensiva. Il primo gruppo dei discepoli e degli apostoli è coinvolto in questo
cammino di Gesù e con fatica e sofferenza apprende la rinuncia all’odio e l’affermazione
dell’amore, anche nell’ora suprema della sconfitta e delle tenebre.

Vogliamo essere fedeli anche noi a questa lezione che ci viene dal cammino di Gesù. Siamo
convinti che questa fedeltà passa anche attraverso la fatica di una ricerca seria e documentata,
con gli strumenti critici e riflessivi, che adoperiamo, perchè siamo persuasi che non possono che
aiutarci a salvaguardare il vero volto di Gesù. Così siamo convinti che, nella riscoperta della sua
sequela, siamo alla scuola di chi con la sua vita e la sua storia è stato un «facitore di pace»,
un’affermazione di amore, «amore che abbraccia tutti gli uomini. Amore che privilegia i piccoli,
i deboli, i poveri. Amore che riunisce e introduce tutti ad una fratellanza, capace di aprire la
strada di una nuova storia» .
7

7 PUEBLA, cit., n. 192.

5
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

CAPITOLO I.
IL PROBLEMA DEL GESÙ STORICO E LA SUA IMPORTANZA PER LA
CRISTOLOGIA

1. Chiarificazioni preliminari

1.1. Rapporto tra Cristologia e Gesù storico

La trattazione del Gesù storico si colloca nell’ambito della teologia fondamentale, come un corso
che fa da cerniera tra la critica storica e la cristologia.

Cristologia significa discorso su Cristo: è la dottrina su di lui e contemporaneamente la


sistemazione scientifica di questa complessa materia. Non si tratta però di un discorso arido né
di una ricerca storiografica, ma di una riflessione sistematica su di un dato di fede, su ciò che
non è soltanto testimonianza del passato, ma tuttora creduto dalla comunità cristiana. È una
riflessione che avviene sulla base della fede in Cristo da parte della comunità cristiana.

Il corso sul Gesù storico, invece, tratta ciò che costituisce questa stessa base, ciò che è
antecedente alla comunità cristiana, prima ancora della adorazione di Gesù come Figlio di Dio.
Il Gesù storico è il nucleo storico fondamentale di questa fede in lui. Essendo Gesù la persona
umanamente esistita all’origine di questa fede, è non solo importante, ma indispensabile
conoscere la sua esistenza storica e la sua storia. Vale a dire come gli altri hanno agito nei suoi
confronti (per esempio, Ponzio Pilato, i farisei, i sadducei, i discepoli ecc.) e come egli ha vissuto
la sua storicità esistenziale, il suo progetto storico. In pratica ciò che Gesù ha fatto di se stesso,
come egli si è posto davanti alla sua vita, alla sua missione, alla sua morte.

Per attingere questa storicità di Gesù passando per la sua concezione esistenziale e teologica,
è necessario indagare tanto sul suo messaggio, che sulle motivazioni del suo agire. Occorre
cercare di conoscere il contesto esperienziale della sua vita, considerando il suo insegnamento
non estraneo, ma incarnato nel suo vissuto. Solo in questo modo potremo arrivare ai
presupposti storici della cristologia, fornendo ad essa non già una giustificazione razionale,
perché la fede si giustifica da se stessa, ma una fondazione, una credibilità ed una
ragionevolezza previa, ciò di cui sia la fede sia la teologia hanno sempre bisogno.

In ogni caso, se la cristologia non può fare a meno della ricerca storica su Gesù, per avere una
consistenza ed una solidità effettiva, il corso sul Gesù storico, pur restando in un ambito
eminentemente critico, non si contrappone, ma si apre alla confessione cristologica. Come
avremo modo di vedere, la fede non preclude l’indagine critica, ma è strumento e via alla
comprensione critica.

1.2. Il problema del Gesù storico: l’accessibilità della storia di Gesù

Quando si vuole attingere il Gesù della storia, il problema che affiora è quello delle fonti. Noi
che viviamo a oltre venti secoli dalla sua morte, disponiamo di pochissime e scarne fonti non
scritturistiche (dette «canoniche») attestanti qualcosa della storia di Gesù. I capisaldi che vi si
possono raccogliere non vanno al di là di questi: esistenza di Gesù al tempo di Tiberio,

6
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

crocifissione e morte sotto il procuratore Ponzio Pilato, nascita di una nuova religione che risale
a lui. Le fonti non fanno nessun riferimento alla sua storicità esistenziale, anche se ci danno
preziose, per quanto minimali, informazioni. Si tratta di fonti pagane e giudaiche. Tra quella
pagane ricordiamo Tacito, Svetonio, Plinio il Giovane, Luciano, alcuni accenni dell’imperatore
Adriano e di un certo Mara Bar-Serapion.

Tacito negli Annales (libro III, cap. XV) a proposito dei cristiani, accusati da Nerone di aver
incendiato Roma, scrive: «Il fondatore di questa setta, un certo Cristo, era stato condannato a
morte sotto il regno di Tiberio dal procuratore Ponzio Pilato».

Svetonio nell’opera Vite dei Cesari (Claudio, 25, 4) riferendo di alcuni disordini provocati da
una comunità di Giudei convertiti, accusa Cristo di esserne stato la causa, adoperando
l’espressione «impulsore Chresto», per indicarne l’ispiratore.

Plinio il Giovane nella sua lettera a Traiano (Epistola, X, 96-97) intorno all’anno 112-113 d.C.
chiede all’imperatore istruzioni sul da farsi con i cristiani dell’Asia Minore, che diventavano
sempre più numerosi. Riassume la loro condotta con le parole: «Il culto di questa setta consiste
nel cantare un carme in onore di un certo Cristo, quasi fosse un Dio».

Luciano nel suo libro De morte peregrini dà notizia di Gesù, deridendolo sfacciatamente. Infine
sono reperibili notizie frammentarie sui cristiani e su Cristo in due lettere dell’imperatore
Adriano al proconsole dell’Asia Minucio Fundano (125 d.C.) e nella lettera di un certo Mara
Bar-Serapion, nella quale si parla di un «saggio» ucciso dagli Ebrei, che per questa ragione
sarebbero stati spogliati del loro regno.

Tra le fonti giudaiche ricordiamo innanzi tutto Giuseppe Flavio. Si tratta di una testimonianza
molto controversa, perché ritenuta rimaneggiata da qualche copista cristiano che avrebbe
corretto l’originale di Giuseppe. Questi scriveva presso la corte imperiale le Antichità Giudaiche,
nel 93 d. C., con l’intenzione di mettere in buona luce la storia giudaica. Nel suo testo, chiamato
testimonium flavianum (Ant. 18, 3, 3) compaiono attualmente queste espressioni:

«In questo tempo visse Gesù, un uomo saggio, se pure lo si può chiamare uomo. Egli era infatti
autore di opere sorprendenti e maestro di uomini che accettavano con piacere la verità. E attirò a sé
molti Giudei e molti dei Greci. Egli era il Messia. Quando Pilato, su accusa dei nostri maggiorenti, lo
condannò alla croce, coloro che lo avevano amato all’inizio non cessarono di aderire a lui. Il terzo
giorno egli apparve di nuovo vivo, poiché i santi profeti avevano predetto ciò e innumerevoli altre
cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui son detti
Cristiani»8.
I critici diffidano di questa versione, ritenendola un’interpolazione o almeno un
rimaneggiamento, a causa della professione di fede nel messia in essa contenuta, cosa che era
ben lontana dalle intenzioni di Giuseppe Flavio. Il tempo ha confermato questi sospetti, perché
nel 1972 nella Storia universale di Agabio si è scoperta un’altra versione, molto più succinta e
distaccata di Giuseppe Flavio, che sembrerebbe essere il testo originale, senza alcuna
alterazione. Essendo Agabio vescovo, non si può supporre che egli abbia omesso espressioni
così favorevoli su Gesù come quelle che sono nel testo precedentemente noto. Ecco la sua
versione:

8 E. SCHÜRER, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo I, Paideia, Brescia 1985, 529; sulle fonti cfr. anche R. FABRIS,
Gesù di Nazareth. Storia e interpretazione, Cittadella Ed., Assisi 1983, 35-63 e V. MESSORI, Ipotesi su Gesù, Torino 1977(15.a),
236-240.

7
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

«In quell’epoca vi fu un saggio, chiamato Gesù, la cui condotta era buona; le sue virtù furono
riconosciute e molti giudei e delle altre nazioni si fecero suoi discepoli. Pilato lo condannò alla morte
di Croce, ma quelli che si erano fatti suoi discepoli predicarono la sua dottrina. Essi raccontarono che
egli era apparso loro dopo tre giorni dalla sua crocifissione e che era vivo. Forse egli era il Cristo
riguardo al quale i profeti avevano detto cose prodigiose»9.
C’è una seconda testimonianza in Giuseppe Flavio nella stessa opera, che riferisce di Giacomo
, «fratello di Gesù, detto il Cristo», ma è una testimonianza che non aggiunge nulla di nuovo a
quanto già si è detto.

L’approfondimento delle altre fonti giudaiche che parlano di Gesù non ha apportato grandi
novità . I testi che hanno qualche riferimento a lui non vanno al di là del IV secolo e gli autori
10

non escludono che si tratti di qualche altro Gesù (Jeshù o Jehoshua), nome piuttosto ricorrente nel
mondo giudaico, e quindi non necessariamente indicante Gesù Cristo.

In conclusione, le fonti pagane e giudaiche ci rivelano alcuni elementi della storia di Gesù, ma
non la sua storicità che qui chiamiamo, per intenderci, esistenziale, e che è ciò che a noi sta
maggiormente a cuore. Sono le uniche voci al di fuori del Nuovo Testamento, con il quale non
contrastano, pur nella loro essenzialità. Si tratta di fonti che sono concordanti tra loro e possono
anche costituire la base, o lo scheletro essenziale, di ciò che ci viene riferito dagli scritti
neotestamentari. Tuttavia, proprio questi ultimi possono e devono essere considerati autentiche
fonti storiche, anche se ci resta da sgombrare il terreno su una pregiudiziale di fondo: la sua
inattendibilità, perché di parte e perché già impregnata della fede in Cristo.

2. Il superamento della pregiudiziale di fondo

Il problema della attendibilità delle fonti canoniche investe molteplici piani di riflessione. In
primo luogo viene ad essere toccata la modalità della nostra conoscenza storica con la
conseguente domanda: possiamo veramente conoscere il Gesù della storia al di fuori
dell’ambito dei convincimenti, delle motivazioni, dell’identità spirituale che hanno
contrassegnato il suo cammino? In secondo luogo, si tocca un’altra questione relativa alla fede
di coloro che hanno vissuto con Gesù e al rapporto che questa fede ha avuto con la fede stessa
di Gesù. La domanda che ne consegue suona: la fede dei discepoli, testimoni diretti o indiretti
di Gesù nuoce in modo pregiudiziale alla sua conoscenza storica? Essendo testimoni di parte,
sono realmente inattendibili a causa della loro fede, oppure, al contrario, sono l’unica via di
accesso, proprio tramite la loro fede, alla fede di Gesù e quindi alla sua storicità? Infine rimane
interessata in quest’approfondimento una questione di comunicazione e di trasmissione, del
tipo: pur ammettendo che la conoscenza di Gesù passi attraverso la testimonianza di quanti ne
hanno condiviso l’orizzonte spirituale-esistenziale, che cosa giustifica la fedeltà nella
trasmissione da quella generazione alle generazioni successive? Si può sostenere l’attendibilità
di ciò che si riferisce a Gesù negli scritti canonici?

Sono questioni che vanno affrontate preliminarmente, perché dalla loro soluzione dipende la
risposta al quesito di fondo con cui ci cimentiamo: che cosa possiamo conoscere storicamente di
Gesù di Nazareth?

9 R. FABRIS, Gesù di Nazareth..., cit., 45.


10 Cfr. J. MAIER, Jesus von Nazareth in der talmudiscen Überlieferung, Darmastadt 1978.

8
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

La prima questione resta nell’ambito della conoscenza storica, perché tocca problemi di
euristica storica e delle modalità del conoscere in genere. È strettamente collegata al
superamento del paradigma della conoscenza storica di stampo positivista e alla concezione
antropologica complessiva sul conoscere e sui suoi presupposti. La riprendiamo sotto il titolo:
dalla concezione archeologica alla concezione antropologica della conoscenza storica.

La seconda questione riguarda l’attendibilità storica delle fonti, particolarmente delle fonti
antiche. Tocca pertanto i diversi modi di scrivere la storia e l’uso delle fonti da parte degli
storici. Ma riguarda anche il modo di intendere l’autenticità storica del materiale evangelico.
Sintetizzeremo le risposte a queste domande sotto il titolo: dalla concezione quantitativo-statica alla
concezione qualitativo-dinamica delle testimonianze sul Gesù storico.

La terza questione investe la teoria della comunicazione, per ciò che riguarda l’osmosi
comunicativa ed i dinamismi interrelazionali tra Gesù ed i suoi discepoli. Investe, parimenti,
l’ermeneutica ed il campo più specifico e tecnico dell’investigazione critica sulla effettiva
trasmissione tra l’esperienza conoscitiva dei discepoli e gli scritti canonici. La tratteremo nel
paragrafo: La fedeltà storica nella fedeltà della primitiva comunità cristiana.

2.1. Dalla concezione archeologica alla concezione antropologica della conoscenza


storica

Il Vangelo, letto nella sintonia spirituale dei suoi estensori, colpisce, già ad una prima lettura,
per il misto di dolore e di gioia che pervade le sue pagine, particolarmente quelle che
raccontano la passione e le apparizioni di Cristo dopo la sua morte. I fattori che sono alla base
di questo afflato umano-spirituale sono tanti. Ma qui gioverà ricordarne almeno due: la memoria
della sofferenza e la sua rilettura in chiave salvifica.

In altre parole: la passione vissuta con la lucidità della distanza di luogo e di tempo, e la
comprensione di essa in un unico mistero di dolore e di vittoria sullo stesso dolore.

A nostra volta, in questa prospettiva, anche noi possiamo leggere nella sofferenza di Gesù
quella che oggi sale da interi continenti tormentati ed oppressi, da regioni povere e
sottosviluppate, come pure dalle interlinee e dalle lacune della storia ufficiale, così penosamente
infarcita di guerre, di morti e di sofferenze inaudite, quanto ostentatamente piena dei nomi e
delle opere dei vincitori.

La voce dei vinti e dei caduti, spenta ieri nel sangue e quella degli inermi, soffocata oggi dal
bavaglio dei potenti, parlano nel silenzio di Gesù davanti a quell’uomo che si autodefinisce
“Potere”, potere terribile di inchiodarlo alla inutilità di un abbozzo di storia, al progetto di
umanità nuova violentemente abortito sul nascere. Ma è un’inutilità solo apparente, perché le
mani di quel vinto si strappano dalla condanna e diventano punto di riferimento centrale della
storia, anche se restano per sempre segnate da ferite incancellabili nella carne e nella memoria,
storia di sofferenza che brucia nel presente . 11

11 Il problema del valore della sofferenza passata non è astratto ed evanescente, perché costa sacrifici umani. È stato recepito
dal dibattito filosofico contemporaneo. Walter Benjamin, da ebreo vissuto in un’epoca di feroci barbarie contro gli ebrei, ne
aveva parlato nei termini di una incancellabile presenza, che lo storico ha la responsabilità e la capacità di rinnovare (cfr. W.
BENJAMIN, Geschichtsphilosophische Thesen, Frankfurt 1965, 93). J. Habermas, pur apportando dei correttivi, sostanzialmente
concorda con le intuizioni di Benjamin sul carattere trasformatore della realtà che ha la sofferenza passata (cfr. J. HABERMAS,
Kultur und Kritik. Verstreute Aufsätze, Frankfurt 1973, 302-344). H. Marcuse ritiene la memoria storica un fattore determinante per
il cambiamento del presente. Cf. H. MARCUSE, Triebstruktur und Gesellschaft, Frankfurt 1968, 228; IDEM, Der eindimensionale

9
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

«Il crocifisso, Lui è vivente», annunciano Marco, Matteo e Giovanni. Luca aggiunge che i
segni dai quali i discepoli riconoscono Gesù sono quelli della passione . 12

Proprio Lui è vivente, colui che porta le piaghe inflittegli dai potenti, dei quali parla la storia,
quella dalla memoria corta, che così facilmente dimentica le vittime, come altrettanto facilmente
esalta i vincitori. Gli evangelisti vedono le cose diversamente. Il loro modo di fare storia è
esemplare. Quel progetto di umanità che si era creduto definitivamente schiantato, riemerge
con vigore. La memoria, si afferma, non può essere solo dolore, ma diventa essa stessa levatrice
di storia, in quanto si alimenta di questo dolore. È lì non solo per impedire nuove crocifissioni,
ma per ricordare che il crocifisso è vincente e per ricordare, ogni volta che si parlerà di lui,
anche la responsabilità dei suoi crocifissori, quella di aver abusato del potere: «patì sotto Ponzio
Pilato».

Noi sosteniamo qui che si tratta di un problema che è insieme teologico e storico. Nella
teologia tradizionale non ci sono dubbi. La sofferenza e l’esperienza del dolore non sono inutili,
ma hanno un valore che le integra nella sofferenza di Cristo e nella sua dinamica salvifica. La
comunione dei santi e la partecipazione del singolo cristiano al mistero della passione, della
morte e della risurrezione di Cristo sono punti qualificanti della teologia. Tutto questo non è
solo un conforto per chi soffre e per chi vede soffrire, nei casi in cui effettivamente ogni aiuto e
lenimento della sofferenza sono umanamente impossibili. È un atto così fondamentale e
radicale, che esige conseguenze pratiche ed immediate, proprio nell’ambito dello scrivere la
storia, dal momento che coloro che la “fanno” ne sono spesso le vittime.

La storia della Chiesa, e la storia in genere, non possono non tenerne conto. I fatti sembrano
gli stessi, ma ciò che cambia è fondamentale almeno quanto i fatti: è la loro chiave
interpretativa, l’orizzonte ermeneutico, in quanto contesto sociologico situativo, che, come la
ricerca scientifica va dimostrando ogni giorno di più, è decisiva ai fini della comprensione dei
fatti .
13

Chi scrive la storia si trova in una situazione simile a quella di chi deve scrivere un articolo
per un giornale su un fatto realmente accaduto. A cominciare dalla opzione se il fatto debba
essere raccontato o no, alla selezione dei tanti dettagli, alcuni dei quali devono essere per forza
di cose (ed interessi redazionali) tralasciati, dalla sottolineatura di altri, per finire con il
commento più o meno esplicitamente dichiarato di “interpretazione personale”, tutto insomma
rimane avvenimento interpretato. «Le opinioni separate dai fatti» può solo suonare come una
trovata giornalistica. I giornalisti sono i primi a sapere che tale assunto non corrisponde alla
realtà. Non c’è possibilità di separare i fatti dalle interpretazioni.

Così è per la ricerca storica, che, possiamo concludere, ha un valore non meramente
archeologico, ma innanzi tutto antropologico. Non inventaria solo i documenti del passato (la
Mensch, Neuwied 1968, 117). In campo teologico il valore sovversivo della sofferenza del passato è stato tematizzato soprattutto
in: J.B.METZ, Glaube in Geschichte und Gesellschaft, Mainz, 1980(3.a), 87 ss.

12 Cfr. Mc 16, 6: “Jesoùn zeteìte tòn nazarenòn ton estauromènon: ‘égherte” (cercate Gesù il nazareno il crocifisso: è risorto)
cfr. anche Mt 28, 5-6. In una delle apparizioni lucane, il Risorto insiste perché i discepoli osservino le sue mani ed i suoi piedi (Lc
24, 39 ss). Nel doppio dialogo di Tommaso, prima con gli altri discepoli e poi con Gesù, riportato dal Vangelo di Giovanni, si
parla del segno dei chiodi e del dito da mettere in questo segno (Gv 20, 24-27).
13 Il rapporto tra storico e contesto situazionale, sociologico del fatto storico è stato abbastanza investigato dalla Sociologia.
Cfr. T. ABEL, The Nature and Use of Biograms, in The American Journal of Sociology LIII, 2, (1947), AA.VV., Storia e sociologia, (a cura
di P. Crespi), Celuc, Milano 1974; AA.VV., La nuova storia, (a cura di J. Le Goff), Mondadori, Milano 1980. Altro materiale
bibliografico (ragionato) si può rinvenire in: F. FERRAROTTI, Storia e storie di vita, Laterza, Bari 1981.

10
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

cui enumerazione e selezione non sfuggirebbe comunque alle scelte soggettive dello storico),
ma cerca di attingere il contesto umano complessivo che rende comprensibile il fatto del
passato. In questa operazione, affascinante e delicata, scrivere la storia significa non solo
visitarla, ma riviverla e farla rivivere.

Ma c’è di più. La riflessione critica sulla ricerca storica sembra aver dimostrato, e con buon
fondamento, che senza un campo di interpretazione, in cui il fatto storico è stato “vissuto”, già
all’epoca in cui ha avuto luogo, il fatto stesso è impensabile. Ricreare allora quell’orizzonte
contestuale, avvicinandovisi il più possibile, è la condizione indispensabile per non violentare i
fatti e la interpretazione degli stessi agenti storici del passato.

L’ermeneutica non deve spaventare nessuno. Aiuta a ricostruire la storia e resta l’unico
mezzo, la sola mediazione che abbiamo a disposizione, per entrare in sintonia con ciò che nel
tempo è lontano da noi, anche se bisogna dire che essa non è ancora tutto. Rimane infatti ancora
da stabilire chi ha il diritto di praticarla. Gli oppressi, i vinti, il crocifisso “fanno” la storia, ma
dal momento che non saranno direttamente loro a poterla “scrivere”, a raccoglierla dovranno
essere quelli che insieme con loro l’hanno vissuta e sono scampati, o almeno quelli che sono in
una sintonia esistenziale e spirituale tale, da poterla recepire in modo adeguato.

Gli scrittori di storia sono gli scampati, sopravvissuti per poterla raccontare oppure quanti si
trovano nello stesso orizzonte interpretativo dei sopravvissuti, non come osservatori
disincantati, ma come partecipi, cioè come quelli che solidarizzano con i primi, ne sposano la
causa, ne diventano portavoce e narratori.

Le conseguenze, nel nostro caso specifico sul Gesù della storia, sono facili da immaginare. Gli
evangelisti, che appena alcuni decenni fa erano ritenuti i meno attendibili, perché testimoni “di
parte”, sono quelli che meglio di altri hanno recepito l’orizzonte ermeneutico in cui è vissuto
Gesù e sono pertanto i più abilitati a scriverne la storia. Certamente, non ci si può sottrarre al
problema se essi abbiano effettivamente voluto compiere una scrittura storica o siano stati
semplici “collezionisti” di notizie e di frammenti rinvenuti in tradizioni precedenti, difformi e
disomogenee. Ma è una questione della quale ci interesseremo successivamente. Ciò che qui ci
sta maggiormente a cuore è la conclusione che non si può scrivere la storia, senza essere in essa
coinvolti. Cade pertanto l’obiezione, proveniente dal positivismo storico, dell’inattendibilità
delle fonti canoniche, sol perché fanno parte di un contesto di fede e quindi di un orizzonte
interpretativo che snaturerebbe i fatti medesimi. L’obiezione risente di una concezione che noi
abbiamo chiamato archeologica della storia: quella di chi tratta i fatti umani come semplici
reperti del passato, senza cuore, né pensiero, senza partecipazione e senza fede.

Scrivere la storia è per noi afferrare ciò che la qualifica come tale, cioè come fatto umano, in
tutta la sua complessità e nella sua pregnanza antropologica: ciò la contraddistingue da
un’operazione puramente notarile e meccanica, perché essa cerca invece di ricostruire la
interrelazione dei fatti con gli agenti e con il mondo interiore ed esteriore nei quali essi
vivevano. Se è stato giustamente scritto che il cristianesimo non può esistere senza memoria , e 14

quindi senza storia, occorre aggiungere che la memoria del popolo cristiano contiene nella sua
struttura fondamentale il fatto e la sua interpretazione, l’avvenimento e la fede. L’uno non può
esistere senza l’altra.

14 E. HOORNAERT, A memória do povo cristâo, Petropolis 1986, 17ss.

11
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

2.2. Dalla concezione quantitativo-statica a quella qualitativo-dinamica sulle


testimonianze canoniche

Strettamente collegato con quanto già detto è il valore che si dà alle testimonianze canoniche
su Gesù, in particolare a quelle evangeliche. Le posizioni sono state molteplici. Vanno da un
fissismo cronachistico (tutto ciò che i vangeli raccontano è avvenuto nello stesso modo con cui è
raccontato) ad un dissolvimento storico di carattere redazionale-teologico (i vangeli non hanno
alcuna attendibilità storica: luoghi, fatti, riferimenti sono espedienti teologici in funzione di una
tesi che si vuol dimostrare).

La posizione di chi ritiene la narrazione evangelica una cronaca storicamente attendibile in


tutti i suoi dettagli non è sostenibile. La pluralità dei racconti e le contraddizioni esistenti su non
pochi particolari dimostrano che non era nell’intenzione degli evangelisti riprodurre in maniera
cronologicamente e geograficamente esatta i fatti così come si erano svolti, né fornire
informazioni precise ed univoche sui tanti personaggi che popolano il Vangelo.

L’esattezza storica in senso strettamente cronacistico è, del resto un’esigenza moderna. Non
era conosciuta, né praticata, nemmeno dagli storici classici più accreditati. Gli stessi Tucidide e
Tacito, solo per richiamare i più famosi storici dell’antichità greca e latina, pur riportando
fedelmente i fatti di cui erano a conoscenza, non avvertivano nessuno scrupolo nel mettere sulla
bocca dei loro personaggi storici discorsi, di fatto materialmente composti da loro, ma che
tuttavia erano in armonia con il tenore delle testimonianze di cui disponevano. La fedeltà
storica non era riprodurre un fatto in modo materialmente documentaristico, riportandolo tra
virgolette, così come oggi si può riprodurre un discorso con il magnetofono o un fatto con la
cinepresa. Lo stesso Cesare, quando raccontando le sue imprese militari, riporta, per esempio, i
discorsi tenuti ai soldati, non riproduce in maniera quantitativamente precisa e minuziosa le
parole effettivamente pronunciate, ma piuttosto il loro senso complessivo. E tuttavia si tratta
dello stesso Cesare che è insieme personaggio storico e storico di se stesso.

Se la critica storica accetta senza problemi la correttezza di questo procedimento degli antichi
storici, ciò significa che ammette che il criterio quantitativo e documentaristico (che si potrebbe
chiamare quantitativo-statico) non solo non è sempre praticabile, ma non è indispensabile per
l’attendibilità delle fonti. Ci sembra piuttosto che a questo sia subentrato un nuovo criterio, che
si potrebbe chiamare qualitativo-dinamico. Grazie ad esso i fatti, pur non essendo
materialmente ed esattamente riprodotti, non vengono travisati, ma sono riproposti in un
corretto contesto ermeneutico, dinamico e qualitativo, che non li falsifica, ma memmeno li
idolatra nella loro fisica materialità.

Nel campo che ci interessa più da vicino, le discordanze evangeliche su alcuni particolari , la 15

lacunosità su altri punti non secondari della vicenda di Gesù , il quasi ostentato disinteresse
16

15 Si tratta di incongruenze nella cronologia dei fatti: ad esempio, la guarigione del lebbroso in Marco (1, 40-45: agli inizi
della vita pubblica) e in Matteo (8, 1-4: dopo il discorso della montagna); la predicazione di Nazareth in Matteo (13, 53-58: dopo
il discorso delle parabole), in Luca (4, 16-30:all’inizio dell’attività pubblica di Gesù) e in Marco (6, 1-6: dopo la risurrezione della
fanciulla dodicenne). Diversità di collocazione di alcuni detti di Gesù: valga come esempio il “Padre nostro”, collocato da
Matteo nel discorso della montagna (Mt 6, 9-13) e da Luca nella circostanza dell’orazione di Gesù (Lc 11, 1-4). Diversità sul
numero dei personaggi: ad esempio, Matteo generalizza ed ha più personaggi, dove gli altri ne hanno uno solo. È il caso dei
ciechi di Gerico guariti (due in Matteo: 20, 29-34; uno in Marco: 10, 46-52 e in Luca: 18, 35-43) e dei ladroni che deridevano Gesù
sulla croce (in Matteo sono entrambi: 27, 44; e così pure in Marco: 15, 32; in Luca invece è uno soltanto: 23, 39-40).
16 Il carattere lacunoso dei racconti evangelici balza subito agli occhi.Nei sinottici, ad esempio, lo stesso vangelo
dell’infanzia manca completamente in Marco e presenta, soprattutto in Matteo, un vistoso silenzio sul tempo che precede la vita

12
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

sull’esattezza cronologica e topografica non pregiudicano l’attendibilità storica degli


evangelisti. Né ha portato molto lontano lo sforzo di quanti hanno cercato di armonizzare le
discrepanze accennate. Il concordismo degli esegeti che nei primi decenni del secolo scorso
cercavano di dare una ragione, con non poche forzature e supposizioni inverosimili, delle
discordanze evangeliche, è ormai definitivamente superato . Dimostra tuttavia lo sforzo, 17

intellettualmente e teologicamente corretto, di non abdicare dall’intelligenza della fede


capitolando in un fondamentalismo fideistico che ritiene inutile e persino dannosa ogni ricerca
storica su Gesù.

Quest’ultima posizione è davvero nociva. Ritorna di tanto in tanto nella storia della Chiesa e
spesso si allea con i sostenitori della posizione acritica, che ritiene i fatti narrati dai Vangeli
materialmente e documentaristicamente riprodotti e quindi inattaccabili e indubitali.

2.3.La fedeltà storica nella fedeltà della primitiva comunità cristiana

La reazione apologetica non si è sempre espressa nel rifiuto netto della critica storica o nel
concordismo. Spesso si presenta nelle vesti di una posizione che sta a metà strada tra
l’apologetica che rifiuta i risultati della critica storica positivista e quella che accetta una sorta di
compromesso con questa. È una posizione che potremmo chiamare parzialmente critica, perché
accetta i presupposti positivistici della ricerca storica e va alla ricerca di un Gesù della storia
scrostato dei tratti teologici e dogmatici della fede post-pasquale. Ammette, cioè, che altro è il
dato di fede e altro è il nucleo storico ivi sottostante. Anche se afferma con vigore una stretta
continuità tra i due, non mette in discussione la premessa euristica che ritiene storicamente
attendibile solo ciò che è scevro di fede e quindi non rimaneggiato dalla credenza post-
pasquale.

La conseguenza è che bisogna aprire dei varchi attraverso la barriera della fede pasquale per
attingere il Gesù storico nella sua purezza originaria. Gli strumenti che vengono messi in atto
per quest’operazione sono molteplici e li esamineremo nei capitoli successivi. Si tratta
comunque di strumenti di critica letteraria e contestuale, di confronti ambientali e linguistici, di
criteri di somiglianza e di dissomiglianza, di esplorazione delle situazioni esistenziali e storiche
in cui la giovane comunità cristiana è venuta a trovarsi e dei conseguenti appelli ad alcuni detti
di Gesù o avvenimenti della sua storia.
Lo sforzo compiuto in questo campo è notevole, sia sul versante evangelico sia su quello
cattolico, ed i risultati sembrano essere oggi più che apprezzabili. Sostanzialmente si arriva,
attraverso questa via, a cogliere non pochi aspetti importanti della storia di Gesù, anche se
rimane la preclusione metodologica di fondo alla fede stessa come fonte comprimaria e
coessenziale di veridicità storica. Di conseguenza, questi autori parleranno pur sempre della
cesura pasquale e di un Gesù della storia ben distinto, se non separato, dal Cristo della fede, ed
adopereranno espressioni linguistiche, reperite in prevalenza nel mondo tedesco, che indicano
questa distinzione-separazione. Così si parlerà di «gesuano» per ciò che si riferisce al Gesù
precedente alla Pasqua e di «cristologico» per ciò che si riferisce alla fede ad essa successiva; di
«storiografico» (o historish) per ciò che si riferisce all’ambito della storia vera e propria e di

pubblica di Gesù. Inoltre nei sinottici non si racconta nulla delle nozze di Cana, al tempo della permanenza di Gesù in Galilea
dopo il suo battesimo, né del viaggio a Gerusalemme per la Pasqua e della conseguente prima attività di Gesù in Giudea e del
ritorno in Samaria (cfr. capitoli 2-4 di Giovanni).
17 Si trattava di un concordismo dettato ancora da una visione quantitativa e cronachistica, simile a quella di chi riteneva,
agli inizi del secolo, di poter raccordare la creazione dei sette giorni con le corrispondenti ere geologiche della terra.

13
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/ Intr.1.Cap.

«storico» (dal termine geschichtlich) per ciò che riguarda la storicità esistenziale del singolo
credente in Cristo e della stessa comunità cristiana.

A nostro modo di vedere, non si può essere concordisti o apologetici nel senso tradizionale
del termine, perché indubbiamente le fonti evangeliche risentono di alcune impostazioni
redazionali e teologiche differenti. Ma non si deve, per questo motivo, nemmeno accettare
acriticamente la premessa di fondo che considera la fede un impedimento, uno schermo al Gesù
della storia. La comunità cristiana primitiva può ben essere considerata come il luogo della
trasmissione di una fede determinante per il Gesù della storia e, come tale, come sede di
legittimazione e di autenticità storica.

La fedeltà della prima comunità cristiana, quella dove ha avuto luogo la pluriforme redazione
del Vangelo, è garanzia di fedeltà storica già per il fatto che la sua fede non nasceva dal nulla,
né costituiva un rivestimento teologico di una realtà precedente (quella di Gesù) teologicamente
asettica, ma perché si innestava in un contesto teologico precedente e ne afferrava la continuità
pur con le precisioni ulteriori e gli inevitabili sviluppi teologici.

Sembra essere vicina a questa concezione la posizione di E. Schillebeeckx, il quale parla della
comunità credente primitiva come via di accesso al Gesù della storia. Egli scrive infatti:

«L’esperienza delle prime comunità cristiane, indissolubilmente legata al contatto diretto con
Gesù, e più tardi, attraverso la “memoria Jesu”, al contatto col Signore, è dunque la matrice del nuovo
testamento come testo scritto. Ed è proprio questo che ci rende storicamente accessibili le prime
comunità cristiane con la loro esperienza; esse costituiscono, storicamente, l’accesso più legittimo a
Gesù di Nazaret. Ciò che il Gesù della storia ci lasciò non è in prima istanza una specie di riassunto o
brandelli di predicazione sul Regno di Dio avvenire, né un kerygma o una serie di “ipsissima verba et
facta”, ossia un resoconto esatto delle sue azioni storiche o un certo numero di direttive e parole sagge
che con qualche certezza possano isolarsi dai vangeli. Ciò che egli ci lasciò - solo per quello che era,
faceva e diceva, semplicemente comportandosi da questo determinato uomo - fu un movimento, una
comunità viva di credenti consapevoli di essere il nuovo popolo di Dio, la “raccolta” escatologica di
Dio, non un “resto santo”, ma le primizie della raccolta di tutto Israele e infine dell’intera umanità: un
movimento di liberazione escatologica fatto per raccogliere tutti gli uomini, per portarli all’unità.
Shalom universale»18.
Il problema riguardante l’affidabilità storica della comunità credente si può risolvere solo se si
ammette una ininterrotta continuità tra contesti teologici che non sono paralleli, né giustapposti,
ma sono l’uno in riferimento all’altro. Sono anzi uno stesso contesto teologico che si esprime
attraverso moduli diversi e che chiariscono, volta per volta, contenuti già impliciti in quelli
precedenti. Per intenderci, il contesto di fede (e quindi teologico) in cui Gesù agiva e parlava,
contiene già quello dei suoi discepoli e lo condiziona storicamente. Il contesto complessivo è
tale che la fede di Gesù e quella dei suoi discepoli interagiscono e costituiscono lo sfondo
ermeneutico storicamente autentico per la scrittura della “storia” di Gesù.

Essa è scritta a più mani già durante la vita di Gesù ed è riscritta da quanti l’hanno vissuta con
lui nella loro predicazione viva, prima ancora della definitiva redazione finale. Il Vangelo è in
questo caso, come si vedrà meglio in seguito, non un’invenzione degli evangelisti, ma lo
strumento di trasmissione e di fedeltà storica che la comunità si dà per essere fedele al Gesù
della storia, anche quando questi verrà ad essere adorato come Figlio di Dio.

18 E.SCHILLEBEECKX, Gesù. La storia di un vivente, Queriniana, Brescia 1980 (3.), 41.

14
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

CAPITOLO II.
PREGIUDIZIALE INTERPRETATIVA ED ORIZZONTE TEOLOGICO
COMPLESSIVO

1. Interpretazione affidabile ed interpretazione arbitraria sul Gesù storico

Le note introduttive sull’interpretazione potrebbero aver sollevato il problema se ogni


interpretazione non sia per caso arbitraria e quindi non affidabile. Si potrebbe fare questo
ragionamento: se non esiste fatto senza interpretazione e se ogni interpretazione è soggettiva,
ogni interpretazione diventa arbitraria. Occorre qui sgombrare il terreno da ogni eventuale
frainteso di questo genere, perché un errore iniziale di questa portata comprometterebbe i
risultati di qualsiasi ricerca storica, condannandola inesorabilmente all’arbitrarietà e al
relativismo agnostico.

L’obiezione è solo apparentemente ineccepibile. Nasconde una concezione di ciò che è “reale”
non più sostenibile, per la semplice ragione che l’interpretazione non è un’opinione
intercambiabile con un’altra ad essa contraria, ma è parte costitutiva dello stesso fatto storico.
Fa parte di questo ed ha, per intenderci, una funzione simile a quella del lievito nella pasta. Ne
è la sua fermentazione e il suo dinamismo. Come tale è pienamente reale e quindi non
opinabile . Il relativismo, che pregiudica l’autenticità storica, perché, al più, può arrivare ad una
19

rassegnata convinzione che su alcuni argomenti non ci saranno mai certezze, è fuori luogo. C’è
pur sempre la possibilità di interpretazioni arbitrarie, ma a noi è sufficiente asserire che non
ogni interpretazione è necessariamente arbitraria, sol perché è un’interpretazione.

Nel caso della ricerca su Gesù, le interpretazioni degli autori, di cui si viene a conoscenza,
sono senza dubbio molto numerose e molto diverse tra loro . Si potrebbero raccogliere sotto
20

diverse denominazioni. Ci sono interpretazioni che sottolineano soltanto aspetti particolari


della vicenda di Gesù, con una specifica attenzione non già alla vicenda storica in sé, ma al suo
significato. È il caso di alcuni autori contemporanei, che non entrano nel merito diretto ed
immediato della problematica storica, ma solo della valenza antropologicamente significativa
che Gesù ha per l’uomo di ogni tempo. Sono interpretazioni interessanti e testimoniano la
fondamentale venerazione nei confronti di Gesù, anche da parte di non cristiani o non credenti
in una religione ufficiale o esplicita. Diventano arbitrarie nella misura in cui escludono
19 Evito volutamente la contrapposizione oggettivo/soggettivo del linguaggio comune, perché essa è fuorviante. Identifica l’
oggettivo con ciò che è al di fuori del soggetto e quindi ha un’ idea della realtà come di una entità non manomessa dall’uomo
che crea ed interpreta. Ha del soggetto un’idea negativa, perché lo ritiene vittima di visioni sempre distorte, perché parziali e di
parte.
20 Ciò a cui faremo esplicito riferimento è solo una parte del materiale vastissimo esistente. Ascolteremo alcune di queste
voci nella ricostruzione storica, avvertendo fin d’ora che saranno citati solo gli autori più noti, che sono quelli che hanno
affrontato con maggior rigore critico la questione. Sulle tante interpretazioni o anche angolazioni particolari extracristiane di
oggi, sulla figura di Gesù, si rimanda ad H. Waldenfels. L’autore riporta le interpretazioni di filosofi quali Jaspers e Bloch,
Machovec e Kolakowski (che, potremmo sintetizzare, a nostra volta, ritengono Gesù colui che ha additato il livello più alto
dell’essere uomini), di pensatori ebrei, quali Buber, Ben-Chorin e Lapide (per i quali Gesù è rispettivamente il “grande fratello”,
il “fratello ebreo”, il “non catalogabile”). Di notevole interesse è anche lo spazio dedicato all’interpretazione delle grandi
religioni mondiali, quali l’Islamismo, l’Induismo, il Buddhidmo. Cfr. H.WALDENFELS, Teologia fondamentale nel contesto del
mondo contemporaneo, E.Paoline, Cinisello Balsamo 1988, 258-291.

15
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

l’autenticità dell’interpretazione di fede, non nel senso che si debba obbligatoriamente


condividere la stessa fede cristiana, ma piuttosto perché la vicenda storica di Gesù non è
concepibile al di fuori della fede.

Ci sono invece altre interpretazioni, che vogliono collocarsi al di dentro della ricerca storica,
ma che, nonostante le attestazioni di imparzialità critica, tradiscono ben presto l’opinabilità, se
non la precomprensione ideologica da cui muovono.

1.1. L’interpretazione spiritualista

Siamo, per esempio, dinanzi a un caso di interpretazione preconcetta, laddove si vuole


destoricizzare la vicenda di Gesù e ridurre tutta la sua predicazione e la sua vita a una sorta di
avventura meramente intimistica. Secondo questa concezione, Gesù avrebbe pensato solo
all’aspetto interiore dell’uomo e della religione. Si sarebbe interessato esclusivamente
dell’anima e della salvezza spirituale, lasciando ad altri ogni preoccupazione di carattere storico
o sociale. Per quanto ingenua possa sembrare, è un’interpretazione più diffusa di quanto si
creda.

Raccoglie consensi non solo tra alcuni studiosi , ma anche tra molti cristiani e in ambienti
21

ecclesiastici, anche ai nostri giorni. A smentire una simile concezione basterebbe ricordare che
l’antropologia biblica nella quale si muove Gesù, è di natura completamente diversa dalla
nostra. Ha un concetto rigorosamente unitario dell’uomo e non separa la spiritualità dalla vita,
la predicazione dalla prassi, la materia dallo spirito, come invece ci ha insegnato a fare la nostra
cultura greco-occidentale.

L’ermeneutica spiritualista non è fedele alla realtà storica di Gesù. Pretende di salvaguardarla
da ogni inquinamento ideologico, senza riuscirvi, perché ha un vizio di fondo: identifica il
contesto teologico profetico con l’ideologia e immagina di restare neutrale escludendo la
componente politico-religiosa della condanna a morte di Gesù. Ora proprio quest’aspetto non si
può in alcun modo espungere dalla storia del Nazareno, perché questa resterebbe
incomprensibile. Rimarrebbe infatti priva del suo contesto teologico complessivo, nel quale la
messianicità di Gesù brilla della luce tragica e gloriosa della sua passione. Senza significato
politico-religioso, non c’è significato teologico, per la semplice ragione che questi due
costituiscono un unico significato, come testimonia, in modo inequivocabile, la stessa iscrizione
della condanna: «Gesù nazareno re dei Giudei».

Del resto, chi pensa di arrivare ad una interpretazione teologica di natura esclusivamente
spirituale, non di rado sostiene un’ermeneutica della morte di Gesù di carattere schiettamente

21Una simile interpretazione non è quasi mai formulata in termini così espliciti. È al fondo,
però, di alcune letture che ritengono, ad esempio, la povertà ed i poveri, che pure sono così
importanti nei vangeli, entità meramente morali e spirituali. Come a dire: Gesù non si è
interessato dei poveri storicamente tali, ma solo di quanti, pur avendo dei beni, erano distaccati
da essi. Sulla concezione della povertà come virtù coltivata spiritualmente cfr. A. GELIN, Die
Armen, sein Volk, Mainz 1957.
Così, in H.J. HOLTZMANN, Die Synoptiker, Tübingen 1901 e S.C. INGELAERE, La parabole du jugement dernier (Mt 25, 31-45),
in: RHPR 1 (1970) 23-60, gli “ultimi” non sarebbero altro che i discepoli di Cristo nei confronti dei quali saranno giudicati i
pagani. Accentuazioni spiritualistiche si trovano anche in Bultmann. Cfr. R. BULTMANN, art. Penthos, in: Theologisches
Wörtebuch zum Neuen Testament (Kittel) VI (1959), 40-43. Cfr. inoltre: L. GOPPELT, Theologie des Nuen Testaments, Göttingen,
1981, 130ss.

16
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

antisemita. Ritiene il popolo giudaico responsabile della condanna di Gesù e in nome di ciò può
arrivare ad un’ideologia razzista . 22

La morte di Gesù è invece la logica conseguenza di una prassi tutta tésa alla realizzazione
degli obiettivi della consacrazione profetica: «mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai
miseri (anawìm), a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la
scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore» (Is 61, 1-2). Si
tratta di una prassi “teologica” che però si qualifica come prassi profetica e messianica ed
acquista anche una valenza socio-politica. Gesù l’assume in pieno e ne fa il suo progetto
teologale-esistenziale, come dimostra il discorso inaugurale di Nazareth, nel quale egli dichiara
di essere venuto ad adempiere una simile profezia (Lc 4, 16-21). Gesù ritrova la sua missione in
questa missione, così come identificherà la sua sorte in quella del servo di Dio sofferente,
nell’imminenza della sua tragica fine. Condividerà fino in fondo la sorte dei poveri e degli
emarginati, fino a morire come un reietto in mezzo ai rifiutati dalla società. Tutta la sua vita può
essere passata al setaccio delle beatitudini e dell’intero discorso della Montagna (Mt 5, 1- 47).
Gesù ha di fatto realizzato quanto aveva predicato.

Non c’è atto o gesto di Gesù che contraddica un solo apice o iota del suo discorso
programmatico. Dalla misericordia intensa e solidale verso i disperati e i peccatori fino al
perdono e all’amore per i nemici, dalla resistenza al male con il bene all’abbandono sofferto al
Padre, tutto in lui dimostra che la sintesi tra amore del Padre e amore dell’uomo, tra teologia e
profezia, tra tensione mistica e trasformazione politica non solo è possibile, ma è l’unica via che
egli ha storicamente percorso, nei giorni in cui è passato tra noi.

A noi sembra che il significato teologico della vita e della morte di Gesù costituisca una sintesi
inscindibile tra l’aspetto più propriamente “spirituale” e quello socio-politico di tutto il suo
agire. Il significato teologico è chiaramente storico in entrambi i sensi: Gesù trasforma la storia,
per gli effetti redentivi della sua vicenda e perché tocca i gangli storici del potere religioso e
politico del quale muore vittima . 23

22 Sulla condanna e l’esecuzione della pena capitale come evento storico, e quindi come atto politico, si è espresso anche
Giovanni Paolo II: “Storicamente responsabili di questa morte sono gli uomini indicati dai vangeli, almeno in parte, per nome...
Tuttavia non si può allargare questa imputazione oltre la cerchia delle persone veramente responsabili” (OSSERVATORE
ROMANO, 20.9.1988 p. 4). Il Papa cita il Vaticano II: “Se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di
Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei
allora viventi, né (tantomeno) agli Ebrei del nostro tempo” (Dichiarazione, Nostra Aetate, 4). È molta netta, a questo riguardo, la
posizione di chi sia dal versante giudaico, che dal versante storico-giuridico ha affrontato il processo di Gesù. P. Lapide, un
uomo chiave nel dialogo tra Ebrei e cristiani in Germania, dimostra, ad esempio, il carattere funzionale dell’accusa del
“deicidio” per la persecuzione degli Ebrei che fu inizialmente culturale, e successivamente cruenta fino ad arrivare agli orrori
del nazismo. Cfr. P. LAPIDE, Wer war schuld an Jesu Tod?, GTB Siebenstern, München-Hamburg, 1988 (Chi fu colpevole della morte
di Gesù?). Di grande interesse è lo studio: AA.VV., Der Prozeß gegen Jesus. Historische Rückefrage und theologische Deutung, Herder
Verlag, Freiburg 1988. Ne sono autori: J. Blank, I. Broer, J. Gnilka, F. Lentzen-Deis, K. Müller, W.Radel, H.Ritt, G. Schneider. Gli
studiosi sostengono la tesi che la morte di Gesù fu voluta dai Sadducei detentori del potere nel tempio in computta con il potere
delle forze d’occupazione romane. Cfr. anche: PUBLIK-FORUM, 5 (1988) 21-22, dove Lapide recensisce uno studio di un
giurista, il quale sostiene che il processo del Sinedrio non ha avuto luogo, ma solo quello davanti a Pilato: W. FRICKE,
Standrechtlich gekreuzigt. Personen und Prozess des Jesus aus Galiläa, Mai Verlag Buchschlag, 1988.

23 Sul significato politico e teologico della morte di Gesù, cfr. B.FERRARO, A significaçâo polìtica e teológica da morte de Jesus,
Ed. Vozes, Petropolis, 1977; cfr. anche R.FABRIS, Gesù di Nazareth. Storia e interpretazione, Cittadella, Assisi 1983, 202-204:
sull’identità di Gesù e 270-316 sulla morte in croce.

17
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

1.2. L’interpretazione zelota

Sul versante opposto dell’interpretazione spiritualista, si colloca quella che ritiene Gesù e i
suoi discepoli appartenenti alla cerchia degli zeloti, un movimento contemporaneo a Gesù,
sorto intorno a Giuda di Galilea e che si proponeva la liberazione della Palestina dal dominio
romano, attraverso l’insurrezione armata. La reazione romana nei loro confronti era stata
durissima. Giuda il Galileo era stato crocifisso insieme con duemila seguaci, perché di questo
movimento non restasse più traccia. Le conseguenze di quest’eccidio e la tassazione romana
sempre più esosa avevano però ottenuto l’effetto contrario. Gli zeloti, pur restando in
clandestinità, non solo continuavano ad esistere, ma erano artefici di agguati ed omicidi. Il loro
accanimento contro i dominatori nasceva soprattutto da motivi religiosi. Tra questi c’era in
primo luogo la certezza che la terra santa appartenesse ai Giudei, perché data direttamente da
Dio al suo popolo, e pertanto non solo l’occupazione, ma tutte le sue espressioni (tassazione,
diffusione dell’immagine dell’imperatore ecc.) costituivano una gravissima bestemmia contro il
nome di Dio.

I sostenitori dell’interpretazione zelota situano tutta la storia di Gesù, con la predicazione del
regno di Dio, la chiamata dei discepoli, l’ingresso in Gerusalemme, la purificazione del tempio e
la crocifissione, pena tipica dei ribelli e facinorosi, nel contesto di questo movimento
integralista. Fanno riferimento alle tracce rimaste nei Vangeli di un rapporto di Gesù con il
movimento zelota e spiegano le testimonianze evangeliche aventi carattere indubitabilmente
24

pacifico e contrario alla rivolta violenta , con la volontà degli evangelisti di cancellare ogni
25

traccia del carattere cospirativo dalla storia di Gesù, per non compromettere i cristiani in
un’epoca in cui erano già in atto le prime persecuzioni. L’iniziatore di quest’operazione di
ripulitura della tradizione sarebbe stato Marco, che, scrivendo da Roma, avrebbe coniato il
famoso detto «rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Mc 12, 17) e
avrebbe disegnato una figura pacifista e antipolitica di Gesù, per mettere le comunità cristiane
in buona luce presso le autorità imperiali . In realtà, secondo autori come Eisler e, in maniera
26

più problematica, anche Brandon, Gesù sarebbe stato uno zelota e la sua fine, in seguito alle
accuse politiche mosse contro di lui, ne sarebbe la prova più evidente.

Senza addentrarci in una discussione sulle testimonianze bibliche, per confutare


l’interpretazione zelota, basti qui ricordare che le distanze da quel movimento non sono state
prese da Marco, ma dallo stesso Gesù, che certamente non avrebbe potuto accettare la tesi del
nazionalismo estremo, tipico degli zeloti, né quello del loro sprezzante rifiuto nei confronti di
24 Ci sono punti di contatto innegabili, come ha dimostrato L’opera di:O. CULMANN, Jesus und die Revolutionären seiner Zeit,
Tübingen 1970 (trad. italiana:Gesù e i rivoluzionari del suo tempo, Morcelliana, Brescia). Tra questi, l’appartenenza di Simone,
detto appunto lo zelota, e probabilmente di Giuda Iscariota (che alcuni interpretano come “sicario”) e forse di Giacomo e
Giovanni (“i figli del tuono”) a quel movimento; come pure la radicalità di alcuni temi della predicazione di Gesù e la
purificazione del tempio. A ciò sarebbe da aggiungere che Giuseppe Flavio presenta il movimento messo in atto da Gesù come
movimento zelota.
25 Contro l’appartenenza agli zeloti sta innanzi tutto l’affermazione “ Il mio regno non è di questo mondo” fatta da Gesù
davanti a Pilato (Gv 18, 36) e tutto ciò che testimonia una coscienza messianica con modalità opposte a quella zelota (ad
esempio, l’ingresso in Gerusalemme sull’asino e non sul cavallo del trionfatore, l’insistenza sul perdono e sull’amore dei nemici,
il rimprovero a Pietro, per aver usato la spada, il rifiuto di diventare re, ecc.). Sulle dichiarazioni esplicite per una prassi di pace
contro la violenza cfr. Mt 5, 9; 5, 39ss; 5, 43-48(Lc 6, 27-36); Mt 26, 52ss.
26 È l’opinione che si trova in: G.F. BRANDON, Jesus and the Zealots, Manchester 1967 (tr.it. Gesù e gli Zeloti, Rizzoli, 1983).
Cfr. anche: R. EISLER, The Messiah Jesus and John the Baptist (1931), dove si sostiene chiaramente la tesi che Gesù fosse uno zelota,
e gli studi di M. Hengel: M. HENGEL, Die Zeloten. Untersuchungen zur jüdischen Freiheitsbewegung in der Zeit von Herodes I. bis 70
nach Chsristus, Köln 1961; IDEM, War Jesus Revolutionär? Stuttgart 1970; sullo stesso piano di ricerca si colloca O. CULMANN,
Dieu et César, Neuchatel 1956 (tr. it. Dio e Cesare, Comunità, Ivrea).

18
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

peccatori, pubblicani, samaritani e pagani. Se è vero che tra i suoi discepoli qualcuno proveniva
dalla cerchia degli zeloti o aveva avuto contatti con loro, è altrettanto vero che tra questi c’era
anche uno come Matteo, l’esattore delle tasse e quindi una figura particolarmente disprezzata
da essi. Inoltre il nerbo profetico del messaggio e dell’agire di Gesù ha un orizzonte molto più
ampio che quello di una riscossa patriottica. La sua identificazione con l’unto del Signore lo
faceva sentire «servo del Signore» ed inviato a tutti gli afflitti, i diseredati e i reietti.

«Per questo, Gesù, - scrive, a ragione Gutiérrez, - più rivoluzionario degli zeloti, difensori nati
nell’obbedienza letterale alla Legge, insegnerà un atteggiamento di libertà spirituale di fronte ad essa.
D’altra parte, per Gesù il regno è, prima di tutto, un dono; solo partendo da ciò si capisce il senso
della partecipazione attiva dell’uomo per quanto riguarda la sua venuta. Gli zeloti, invece, erano
portati a vederlo come frutto del loro sforzo. Gli è che, per Gesù, l’oppressione e l’ingiustizia non si
limitano a una situazione storica determinata; le loro cause sono più profonde e non potranno essere
veramente eliminate se non si va alla radice stessa della situazione: la rottura della fraternità e della
comunione fra gli uomini ... La liberazione offerta da Gesù è universale e integrale, fa saltare le
frontiere nazionali, attacca la base dell’ingiustizia e dello sfruttamento ed elimina le confusioni
politico-religiose, senza limitarsi, per questo, ad un livello puramente spirituale»27.
Il vero problema è allora l’alternativa al Gesù zelota. Certamente non basta dire che egli non è
stato tale. La sua morte di croce dimostra che egli ha avuto conflitti gravi con il potere e con i
gruppi di potere del suo tempo. Il suo messaggio e la sua prassi sono sovversive, proprio
perché delegittimano l’assolutezza del potere, tanto di natura religiosa che di natura più
prettamente politica. Le due condanne sono plasticamente evidenti: Gesù è condannato dal
Sinedrio e dal tribunale romano. Entrambi i poteri si sono sentiti minacciati, perché sconvolti da
un messaggio e da un agire che propugnavano rapporti non più impostati sulla disuguaglianza
gerarchica e sulla coercizione, ma su un modo fraterno ed egualitario di vivere, in nome del Dio
dell’alleanza e della giustizia.

1.3. Gesù, il trasgressivo

La tesi che viene qui ad affacciarsi sembrerebbe quella di una interpretazione di Gesù come
del grande trasgressivo. Egli sarebbe colui che ha infranto ogni legge ed ogni tabù, affrancando
soprattutto gli spiriti, tenuti sotto il peso di una legge e di tradizioni opprimenti. Una simile
ermeneutica è stata effettivamente proposta ed è nata in un ambito di antropologia culturale,
che ha saputo individuare il nuovo ed il carattere dirompente della prassi di Gesù, rispetto
all’ambiente giudaico del suo tempo.

In questa prospettiva, Ida Magli presenta l’originalità e la forza innovativa di Gesù rispetto
alla cultura e alla concezione del sacro del suo tempo, in quanto strumenti di differenziazione e
di dominio dell’uomo sull’uomo in genere e dell’uomo sulla donna in particolare . 28

Il carattere trasgressivo della vicenda di Gesù consisterebbe nella delegittimazione completa


delle strutture che reggono il sacro e che sono comuni a tutte le società e le religioni, con la
conseguenza di una messa in crisi di tutto il sistema religioso e di tutto il potere ad esso
strettamente connesso. Gli esempi non mancano nei vangeli. Vanno dalla contestazione del
valore sacrale della stessa famiglia e dei vincoli del sangue, al superamento della impurità
legale, al rapporto di Gesù con i peccatori, con le donne e con gli emarginati di ogni genere. È
una rottura basata sulla scoperta del valore in-compiuto e in-finito che Gesù coglie in ogni
27 G. GUTIERREZ, Teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1981 (4.), 229-230.
28 I. MAGLI, “Gesù di Nazareth”. Tabù e Trasgressione, Rizzoli, Milano 1983.

19
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

essere umano, che il potere vorrebbe coartare, ma contro il quale egli afferma tale
insopprimibile dignità.

L’ermeneutica antropologica prospettata ha molti punti interessanti e certamente coglie alcuni


dei nodi del conflitto di Gesù con il potere, dal quale è ripudiato ed eliminato, data la
pericolosità della sue idee considerate radicali e destabilizzanti. Ha però il difetto di essere
riduttiva. Non riesce infatti a cogliere la complessità teologica di questo stesso conflitto, che se
appare come trasgressione, è nondimeno anche fedeltà suprema ad una «Allenza» e ad una
«Legge» ad essa collegata. Per ogni ebreo essa non era semplicemente un codice di norme legali
e comportamentali, ma era anche l’espressione di un’alleanza, con Dio, fonte di vita e di
benedizione. Gesù sa e proclama di essere venuto a dare compimento proprio a questa alleanza.
Perciò lotta strenuamente contro coloro che l’avevano ridotta a un codice di norme e di
tradizioni aberranti, che nulla avevano più a che fare con la pratica della giustizia e della
misericordia. Sono questi i valori che Gesù propugna, riprendendo e portando alle estreme
conseguenze la tradizione profetica. Ma è proprio questo contesto complessivo che deve essere
tenuto presente. La critica religiosa di Gesù non è quella di un illuminista anzitempo, è il cuore
stesso della torah, e della profezia.

Nell’ermeneutica antropologica sembra essere lacunoso quest’aspetto profetico e teologico


che congiunge insieme la fedeltà a Dio e la pratica della giustizia verso i suoi prediletti: i poveri,
le vedove, gli orfani e quanti soffrono una situazione di minorità. Il comportamento di Gesù
non è solo di rottura culturale e di sovvertimento cultuale, ma è agire teologale: prassi di
misericordia e di perdono. È un agire saldamente e fondamentalmente impiantato nell’agire del
Dio della Bibbia. Il continuo riferimento di Gesù al Padre, a colui che è chiamato con inaudita
confidenza «abbà», la proclamazione di un regno di Dio, che coinvolge inequivocabilmente
questo Padre, l’appello alle Scritture: («è stato detto agli antichi») e ai profeti, con la coscienza di
essere di tutto ciò l’interprete più fedele («ma io vi dico»), sono elementi storici di grande
rilevanza. Non si può compiere su Gesù un’analisi di tipo esclusivamente culturale e
sociologico, per cercare di afferrarne i tratti storici. Una simile indagine resta solo alla
superficie, arrivando al più a descrivere l’impatto dell’agire di Gesù e il carattere sovversivo del
suo messaggio. Tralasciando l’orizzonte teologico per seguire solo quello sociologico, non si
arriva alla storicità di Gesù.

Non arrivano pertanto a cogliere questa integrità storica né il libro di Ida Magli né altri
tentativi simili, nei quali la storia di Gesù è presentata nei suoi effetti più spettacolari, sicché
Gesù appare come il sovversivo o il cospiratore, il trasgressivo o l’asociale, l’amico dei violatori
della legge e dei criminali . Anche in questo caso il nucleo di quella storia non è attinto, perché
29

in essi si esclude già in partenza ciò che in Gesù è determinante per la sua storia: il contesto
teologico e la sua coscienza teologale.

1.4. Gesù, il predicatore mendicante

Anche l’ermeneutica di Gesù nel contesto del movimento dei mendicanti della Palestina
dell’epoca, si muove in una prospettiva sociologica, che pur tenendo presenti i risultati
dell’indagine biblica, compie un’analisi dei ruoli e dei comportamenti, dei fattori e delle
funzioni condizionanti la società e da essa condizionati.
29 Così, ad esempio, è interpretata la storia di Gesù in: A. HOLL, Jesus in schlechter Gesellschaft, DTV, München 1974 (Gesù in
cattiva compagnia), dove si trova l’inquietante titolo “la criminalità di Gesù”, con l’avvertenza che “criminale” è chi trasgredisce
le norme sociali e le prescrizioni di carattere legale e penale (ivi 21-23).

20
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

In quest’ottica, si pone la tesi di G. Theissen, il quale sostiene che gli inizi del cristianesimo
sono nel «movimento di Gesù» (Jesusbewegung), nel più grande contesto di un vasto movimento
di mendicanti e di emarginati che interessò la zona geografica siro-palestinese nei primi decenni
dell’era cristiana . 30

È determinante per l’elaborazione di questa interpretazione il «radicalismo


errabondo» (Wanderradikalismus) degli inizi del cristianesimo. Carismatici erranti e apolidi
itineranti sarebbero stati determinanti non solo per la diffusione, ma anche per la fondazione
del cristianesimo. Costoro non facevano altro che continuare il movimento itinerante di Gesù,
che aveva chiamato alla sequela mendicanti come il cieco Bartimeo, del quale si dice che
seguiva Gesù (Mc 10, 52). Non si trattava tuttavia, secondo Theissen, di una classe di piccoli e
poveri, ma di gente sradicata, che non trovava spazio culturale e religioso, né spazio fisico nella
Palestina del tempo. Era un movimento di rinnovamento in cui confluivano emigranti, esiliati,
ladroni, appartenenti a gruppi di resistenza patriottica e profeti. Si trattava di gruppi di
emarginati, che, similmente ai filosofi cinici della Grecia, avevano tagliato dietro di sé ogni
radice familiare e territoriale.

La tesi di Theissen è stata, ci sembra, a ragione, criticata da W. Stegemann, il quale afferma


che Gesù non ha chiamato a sé possidenti in crisi e rinunciatari travagliati da problemi di
identità e di coscienza, ma piuttosto uomini realmente privi di beni o di riconoscimento sociale
e religioso. W. Stegemann cerca di acquisire anche il motivo sottostante alle ermeneutiche che
presentano la povertà come una rinuncia volontaria. L’interpretazione cinica, o comunque etica
dei poveri, suggerisce, è sempre preferita, perché più comoda: rende possibile che anche i ricchi
possano essere discepoli di Gesù, senza che essi si pongano il problema della condivisione dei
loro beni:

«forse è proprio il nostro benessere che può farci ritenere la povertà dei primi seguaci di Gesù
come effetto di una rinuncia da loro fatta. Non perché non vogliamo, ma perché non possiamo
immaginarci che gli aderenti a Gesù appartenessero, come lo stesso Gesù, ai più poveri tra i poveri,
alla gente piccola (kleine Leute) della Palestina»31.
Nel complesso, ci sembra che W. Stegemann cerchi di integrare i risultati dell’indagine
storico-sociale con quelli della ricerca biblica e, che, in virtù di ciò, riesca ad essere più vicino al
contesto storico di Gesù di Nazareth. La conoscenza dei punti acquisiti dall’indagine biblica
sono però, suo malgrado, anche il suo punto debole. Pur sottolineando la storicità di elementi
“gesuani” molto importanti, anche quest’autore rimane legato alle premesse di fondo della
«storia delle forme», che non solo distingue, ma separa sul piano storico il Gesù pre-pasquale
dal Cristo della fede, il Gesù storico dal Cristo teologico.

Per arrivare a una autenticità storica che sottragga gli elementi pre-pasquali all’arbitrarietà
delle tante e mutevoli letture, di cui qui abbiamo riportato alcuni esempi più significativi, non
resta che una sola strada percorribile: la lettura integrale della vicenda di Gesù, quella che
include il dato sociologico e l’interpretazione teologica, la prassi esistenziale e la motivazione
ideale, in un’unità senza discontinuità tra l’agire teologicamente informato di Gesù e quello a
lui cristologicamente ispirato della primitiva comunità cristiana.

30 G. THEISSEN, Soziologie der Jesusbewegung. Ein Beitrag zur Entstehungsgeschichte des Urchristentums, in: Theologische
Existenz heute (194), München 1977.
31 W. SCHOTTROFF-W.STEGEMANN, Der Gott der kleinen Leute. Sozialgeschichtliche Auslegungen.Neues Testament,
München 1979, 118.

21
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

2. Natura ideologica della cesura pasquale e natura teologica della lettura evangelica

La tanto asserita discontinuità tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, nasconde una
precomprensione ideologica simile a quella che W. Stegemann rimproverava a Theissen. La
radicalità evangelica metterebbe seriamente in discussione il nostro status quo di benestanti
occidentali, i nostri privilegi e anche un certo equilibrismo, che armonizza le esigenze della
sequela con la nostra posizione sociale personale e quella delle nostre chiese di appartenenza.
Su questa conclusione, un teologo evangelico come Stegemann concorderebbe con noi. La
domanda è fino a che punto la nostra situazione attuale non determini, pregiudicandola, anche
l’impostazione ermeneutica complessiva con la quale la quasi totalità dell’esegesi
sostanzialmente concorda, cioè la cesura pasquale. Ora, è proprio essa che ci allontana sempre
più dal Gesù dalla storia, e ne stempera l’attualità, dissolvendo quel contesto complessivo che
lega la sua vita e la vita della chiesa, non solo sul piano dottrinale, ma anche sul piano
esistenziale e storico.

La continuità tra cristologia pre- e post-pasquale (l’una indiretta o implicita, l’altra diretta o
esplicita) ha trovato i suoi sostenitori in teologi sistematici, che, a ragione, ne hanno messo in
risalto l’ininterrotto sviluppo senza radicali innovazioni, come approfondimento senza
evoluzione, nella coscienza della chiesa primitiva, tra predicazione di Gesù, kerygma e
asserzione dogmatica . Resta tuttavia per buona parte da compiere l’applicazione dello stesso
32

principio di continuità agli aspetti più propriamente storici che oltrepassano il varco della
pasqua. Se è ormai acquisita una continuità dogmatica e quindi teologica, è venuto il momento
di cogliere la stessa continuità anche sul versante storico-pragmatico, perché, senza dubbio, la
continuità teologica è anche continuità teologale.

Con queste premesse, noi pensiamo di motivare l’espressione «continuità teologale della
lettura evangelica», volendo indicare una continuità non solo dottrinale, relativamente alla
figura del Maestro, ma anche relativamente alla sua sequela. In questo modo la parzialità delle
letture proposte sarà superata dalla globalità del contesto teologico e si potrà motivare l’agire
del discepolo con quello del Maestro e quello del Maestro con quello del Dio dei profeti, degli
umili e dei derelitti. Certamente, questi due passaggi richiedono criteri e contenuti di continuità
che ne garantiscano la ininterrotta fedeltà. I criteri sono quelli in parte già esposti e in parte
ancora da approfondire, e si possono raccogliere intorno al metodo della continuità teologale.

2.1. La continuità attraverso «l’esperienza fondamentale» del Nuovo Testamento

E. Schillebeeckx si pone il problema di una esperienza unificante le tante forme espressive


delle interpretazioni neotestamentarie ed arriva alla conclusione che essa può essere riassunta
nell’esperienza della salvezza di un Dio che si è impegnato con l’uomo e che gli resta fedele fino
al dono del Figlio. Egli scrive:

«Se la salvezza cristiana è una salvezza di uomini e per uomini - uomini che hanno uno spirito, un
cuore, un sentimento una corporeità, uomini che sono riferiti alla natura per costruire il loro proprio
mondo di vita, ma sono riferiti anche gli uni agli altri per accettarsi reciprocamente nella giustizia e
nell’amore e costruire una società nella quale possano vivere da uomini in modo umano (...) -

32 Cfr., ad esempio, W. KASPER, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1981 (4.a), particolarmente pp.40-45; B. FORTE, Gesù di
Nazareth, storia di Dio, Dio della storia. Saggio di una cristologia come storia, Ed. Paoline, Roma 1981, particolarmente pp. 88-152. Cfr.
anche: M. SERENTHA’, Gesù Cristo ieri, oggi e sempre. Saggio di cristologia, LDC Torino 1986 (2.a), soprattutto il cap.2.
Dall’annuncio “di” Gesù all’annuncio “su” Gesù, e il 3. La cristologia dei sinottici, ivi pp. 92-105.

22
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

dovremo immediatamente concludere che la salvezza cristiana non potrà essere soltanto ‘salvezza
dell’anima’, ma sanità, integrità dell’uomo, dell’individuo in tutti i suoi aspetti, e nella società in cui
egli vive. La salvezza cristiana comprende dunque anche degli aspetti ecologici, sociali e politici,
benché non si esaurisca in essi. Certo la salvezza cristiana è anche qualcosa di più, ma è anche
questo ...» 33.
Confessa anche lui:

«Anche ai nostri giorni sentiamo che alcuni cristiani proclamano che la fede cristiana riguarda
soltanto il cuore, la conversione personale e che Gesù ci ha invitati a trasformare il cuore,
all’interiorità, non a riformare le strutture che rendono schiavi gli uomini».
Tuttavia conclude:

«Una più precisa analisi delle mediazioni storiche nella Scrittura ci mostra che questa unilateralità
non è cristiana, ma è soltanto una mezza verità biblica».
L’esperienza fondamentale del Nuovo Testamento ci consente, secondo Schillebeeckx, di
raccogliere in unità le diverse formulazioni interpretative ivi presenti, parlando di fedeltà a Dio
e al Gesù della storia, da un lato, e di fedeltà all’uomo di sempre, dall’altro . In questo contesto, 34

la fondamentale importanza della conoscenza storica di Gesù è unanimemente riconosciuta e,


sebbene in genere si neghi la possibilità di una ricostruzione dell’evoluzione biografica o
psicologica di Gesù, si è almeno d’accordo su questo: per una dogmatica cristologica, come del
resto per tutta la teologia, è essenziale

«riavere nuovamente presenti i tratti originari del suo messaggio, della sua prassi di vita, del
destino della sua vita e, quindi, della sua persona, tratti che nel corso dei secoli sono stati così spesso
offuscati e sfigurati»35.

2.2 La prassi della libertà profetica

Precisando ulteriormente i tratti storici della prassi e della predicazione di Gesù, questi si
possono interpretare come prassi e annuncio di libertà. Sono la prassi e l’annuncio che
scaturiscono da un’opzione fondamentale compiuta da Gesù e drammaticamente espressa
all’inizio e alla fine della sua esistenza nelle tentazioni del deserto e nella prova del Getsemani:
la scelta di compiere fino in fondo la volontà del Padre. La consapevolezza di questa missione
profetica e messianica, diventa in Gesù spazio illimitato di libertà interiore ed esteriore, sicché
B. Forte ha potuto parlare della libertà di Gesù nel suo stile di vita povera, nel rapporto con il
mondo politico-sociale del tempo e con la tradizione religiosa d’Israele . 36

È una sintesi che sembra anche a noi valida, ma che giustifica ed esige, d’altro canto, una
prassi di libertà e una proclamazione liberante dell’evangelo anche da parte del discepolo di
Gesù. Fedeli alle consegne del Maestro, i suoi seguaci dovranno saper dire con la parresìa, la
franchezza, di Pietro e degli Apostoli degli Atti: «Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli
uomini» (At 5, 29). Su questa scia, la continuità teologale è obbedienza a Dio e ed atto continuo
33 Questa e le seguenti due citazioni sono tratte da E. SCHILLEBEECKX, La questione cristologica. Un bilancio, Queriniana,
Brescia 1980, 75-76.
34 Anche altri teologi concordano su questo metodo basilare chiamato da H. Küng “concordanza ermeneutica di fondo” o
delle “due fonti”, perché tiene insieme la rivelazione di Dio nella storia di Israele e in quella di Gesù (prima fonte) e la sempre
rinnovantesi esperienza della salvezza degli uomini di ogni epoca (seconda fonte). Cfr. H. KÜNG, Teologia in
cammino.Un’autobiografia spirituale, Mondadori, Milano 1987, 122.
35 H. KÜNG, Teologia in cammino, cit., 126.
36 B. FORTE, Gesù di Nazareth..., cit. 236-254.

23
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

di liberazione. Che questa realtà possa essere espressa nei termini teologici di un vangelo come
«messaggio di libertà ed una forza di liberazione» o nel linguaggio secolare che parla di Cristo
37

come «contestatore, riformatore, rivoluzionario e liberatore» , ciò non muta i connotati storici
38

dell’agire di Gesù, fa solo notare la differenza delle interpretazioni. In ogni caso, la prassi di
Gesù è liberante. Lo è in un modo complessivo, che riguarda la liberazione di tutto l’uomo e di
tutti gli uomini. Tale prassi è non solo storicamente, ma anche teologicamente fondata. A ciò
tende la prassi di Gesù, a ciò deve tendere quella dei suoi discepoli, in continuità teologale con
la sua.

2.3.Gesù, il «testimone fedele»

L’ermeneutica che ci sembra più sostenibile, perché insieme complessiva e teologicamente e


storicamente corretta, quindi al riparo da ogni ideologia e di ogni fuga spiritualista, si potrebbe
enucleare intorno a Gesù come il «testimone fedele». Riprendendo l’espressione su Gesù dal
libro dell’Apocalisse, che lo indica proprio così (o màrtys o pistòs, Ap 1,5), si possono evidenziare
i due contenuti di questa formula, a partire dalla testimonianza. Testimonianza come fedeltà a
Dio e come fedeltà all’uomo, come due facce di un’unica fedeltà da parte di colui che è Figlio di
Dio e Figlio dell’uomo. Si tratta di una fedeltà che esprime adeguatamente l’originalità e la
singolarità di Gesù, perché è nello stesso tempo fedeltà all’Antica Alleanza, della quale egli
ritiene che «non passerà neppure un iota o un segno» (Mt 5, 17) e fedeltà alla sua umanità e a
quella del suo popolo, in quanto popolo di Dio che si estende anche i non Ebrei, per i quali alla
fine egli sa di offrire interamente la sua vita. Martirio come fedeltà suprema, per un’alleanza che
è per tutti e non per un ristretto numero di persone.

La fedeltà di Gesù è fedeltà alla tradizione profetica perché già questa riassume il cuore della
legge. Secondo la teologia profetica, prima e dopo l’esilio, Dio è colui che agisce con carità e
giustizia, in quanto la salvezza si presenta con le caratteristiche dell’amore, téso al ristabilire il diritto e
l’equità di fronte a situazioni di oppressione e di iniquità. Così la salvezza definitiva è
l’instaurazione di una giustizia completa, della «giustizia eterna», per la quale Dio stesso agisce
e chiama gli uomini ad agire . 39

Al compimento della giustizia Dio chiama, d’altro canto, anche quanti sono legati a lui con
l’alleanza. «Ricercare la giustizia» equivale, in non pochi testi, all’aiuto concreto ed immediato
da prestare alle categorie più indifese e più oppresse, come ad esempio «soccorrere l’oppresso,
aiutare l’orfano, prendersi cura delle vedove» (Is 1, 17; cfr. 33, 15).

Nei Sinottici Gesù torna insistentemente sul tema dell’amore e del servizio vicendevole come
adempimento della torah, cioè di quella Legge che è soprattutto alleanza e patto amichevole tra
Dio e il suo popolo. Si tratta di un’alleanza nella quale Gesù paga più di tutti gli altri, versando
il suo sangue, il sangue della nuova alleanza (Lc 22, 14; cfr. Mc 14, 24-25; Mt 26, 28). Tutto ciò è in
accordo con il cuore del discorso della Montagna, che consiste nella pratica di una carità che,
per essere a misura di Dio e del suo regno, deve superare la giustizia degli scribi e dei farisei
(Mt 5, 20). Qui Gesù pone le superiori esigenze della nuova giustizia ed inaugura l’annuncio
37 Istr. Libertatis Nuntius, Introduzione: AAS 76 (1984), 876, citata anche in: Libertà cristiana e liberazione. II Istruzione della
Congregazione della Dottrina della Fede sulla Teologia della Liberazione, 43.
38 Questi termini sono riportati in: L. BOFF, Jesus Cristo libertador. Ensaio de Cristologia crìtica para o nosso Tempo, Vozes,
Petropolis 1983 (9.a), 254-265, accanto ad altri che vedono in Cristo il «punto omega dell’evoluzione, «conciliazione degli
opposti», «archetipo della individualizzazione più perfetta», «nostro fratello maggiore», «Dio degli uomini e Dio con noi».
39 Cfr. Dan 9, 24.

24
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/2.Cap.

solenne della «buona notizia» (euangèlion). Beati sono quelli che Gesù chiama come destinatari
della salvezza, della zedaqà di Dio e del suo regno: le vittime dell’ingiustizia e della prepotenza
degli uomini. Al regno terreno, che disumanizza i rapporti e crea poveri, emarginati,
perseguitati ed uomini curvi che piangono davanti ai loro ingiusti oppressori, Gesù
contrappone un regno che non è secondo la logica di questo mondo e tuttavia è il più umano
che possa esistere, perché in esso viene resa giustizia e viene data speranza, gioia di vivere ed
affrancamento. Viene offerta la liberazione ai poveri della terra, poiché questi sono oggetto della
predilezione di Dio (Mt 5, 1-12; cfr. anche Mt 25, 31-46, dove la realtà del regno è espressa dal
fatto che «il re» in persona, Gesù, giudicherà gli uomini dalla loro prassi nei confronti del più
piccolo dei suoi fratelli).

Nel Vangelo di Giovanni Gesù è l’esempio vivente, oltre che il maestro insuperabile, di questa
nuova giustizia. È colui che lava i piedi ai suoi fratelli e discepoli, che egli non esita a chiamare
amici, tanto cari ed importanti, da offrire la sua vita per loro (Gv 15, 13-15).

È un tema che ritroviamo negli Atti degli Apostoli e nell’epistolario paolino, dove alla
risposta della fede segue immediatamente una conversione che viene indicata come
condivisione dei beni (oggi diremmo solidarietà concreta), assistenza come cura dei bisognosi e
concreto intervento nei confronti di chi soffre . 40

La scelta preferenziale per i poveri, prima ancora di essere fatta propria dalla chiesa, secondo
le parole di Giovanni Paolo II , è stata fatta da Cristo, che, raccogliendo l’eredità profetica della
41

zedaqà (che è insieme giustizia e santità), ha visto la sua missione come adempimento della
promessa. Una missione, che, come si è già detto, Gesù ha interpretato come lieto annuncio ai
poveri e affrancamento degli oppressi. Egli stesso si è fatto povero , è nato ed è vissuto come
tale ed è morto come il più povero tra i poveri . Ma la motivazione di tutto ciò è la fedeltà
42

all’alleanza e alla tradizione profetica, così come la fedeltà alla prassi teologale di Gesù
giustifica l’agire dei primi cristiani, i quali inizialmente sono in prevalenza dei poveri, (gli
ebionim dei Salmi e dei Profeti) e, come si è visto, tengono in gran conto la prassi della
solidarietà e della condivisione . 43

40 Si rileggano At 2, 42-47; 4, 32-37, dove appare, è vero, una presenza di cristiani più facoltosi, che hanno dei beni e perfino
terreni, ma dove è altrettanto chiaro che la solidarietà verso i più poveri rende urgente una prassi di condivisione. Lo stesso
tema si trova in Paolo, per es. in Gal 2, 10; 1 Cor 16.1ss; 2 Cor 8; Rm 12, 8; 15, 26-27, Gc 2, 1-11; 5, 1-6.
41 Già il 21.12.1984 Giovanni Paolo II nel Discorso ai cardinali e alla curia romana ricordava che la chiesa aveva solennemente
proclamato di far sua l’opzione preferenziale per i poveri, una scelta successivamente ripresa in molte occasioni, tra cui la
Laborem exercens (n.8) e la Sollicitudo Rei Socialis (n.42). Il fondamento conciliare, che collega l’agire di Cristo con l’agire della
chiesa si trova nella Lumen Gentium, che scrive: «Come Cristo...è stato inviato dal Padre ad annunciare la buona novella ai
poveri, a guarire quelli che hanno il cuore affranto, a cercare e salvare ciò che era perduto (Lc 19, 10): così pure la chiesa
circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dall’umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del
suo fondatore povero e sofferente, si premura di sollevarne l’indigenza, e in loro intende di servire il Cristo» (n. 8).
42 Le espressioni paoline che parlano della “kenosi”, come annichilamento di Cristo (Fil 2, 5-8; 2 Cor 8, 9) risentono di una
certa spiritualizzazione del concetto di povertà e tuttavia si fondano su un dato effettivo. I vangeli dell’infanzia, i logia sulla
povertà, il non aver pietra dove posare il capo (Lc 8, 58), la fine di Gesù crocifisso tra malfattori, fuori di Gerusalemme
dimostrano la concretezza della povertà con cui egli è vissuto.
43 Uno dei nomi con cui venivano chiamati i primi cristiani plestinesi era “i poveri” (dall’ebraico ‘ebionim’, in greco i
‘ptokòi’di Mt 5, 3 e Lc 7, 20) (cfr. REALLEXIKON FÜR ANTIKE UND CHRISTENTUM, VOL II, 1117, voce Christennamen. Il
concetto di povertà era ancora legato a condizioni di oggettiva minorità materiale, culturale, o religiosa, così come era stato per i
discepoli di Gesù. La setta ereticale degli Ebioniti, di cui parlano Giustino (PG 6, 142-144) ed Ireneo (Adversus Haereses, I, 26, 2) è
considerata da alcuni come lo sviluppo della frangia più conservatrice e più rigorosamente monoteista dei cristiani palestinesi,
che non riuscì ad accettare Gesù come Figlio di Dio:cfr LThK (Lexikon Für Theologie und Kirche), 633-634, voce Ebioniten. In ogni
caso, la povertà effettiva della comunità cristiana primitiva (non solo palestinese) non si può negare, se si pensa alla spiritualità
della diaspora, del non avere fissa residenza che si trova in alcuni scritti neotestamentari (cfr. 1 Pt 1, 17; 2, 11-12: un interessante

25
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/3.Cap.

CAPITOLO III.
LE ORIGINI DELLA CESURA TRA INTERPRETAZIONE STORICA E
COMPRENSIONE TEOLOGICA

1. Fedeltà ed infedeltà al Gesù della storia

Possiamo accostarci correttamente a Gesù di Nazareth solo se cerchiamo i suoi tratti storici nel
contesto teologico complessivo nel quale egli è vissuto. Ma volendo leggerne la storia in un
orizzonte ermeneutico, siamo arrivati alla conclusione che questo non può limitarsi a
comprendere il Gesù pre-pasquale. Il contesto teologico, nel quale la storia di Gesù diviene
leggibile, ha sostanzialmente una tripolarità che possiamo indicare come polo retrospettivo,
polo dinamico-evolutivo e polo prospettico. All’insegna della fedeltà martiriale, ciò significa che
Gesù è il «testimone fedele» dell’amore di Dio, perché guarda retrospettivamente all’alleanza e
alla tradizione profetica. Egli è ancora fedele ad una missione e consacrazione messianica, che si
realizza dinamicamente attraverso le sue vicissitudini storiche e che abbraccia tutta la sua vita,
ma soprattutto l’arco di tempo che va dal Battesimo alla sua morte. Infine è fedele in maniera
prospettica, perché coinvolge con il suo agire e con la sua testimonianza anche l’agire dei
discepoli, che, proprio perché tali, restano fedeli a lui e alla sua prassi con una martirialità che
arriva in alcuni casi alla effusione del sangue.

La testimonianza

[Sviluppare ciò che sulla testimonianza scrive Verweyen, in H. VERWEYEN, La parola definitiva di
Dio. Compendio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 2001. La testimonianza radicata
nelal traditio nel duplice senso neotestamentario: consegna di Gesù per noi e trasmissione di
questo evento. Sintesi in ciò – secondo l’autore della demonstratio christiana e demonstratio
cattolica.

Ma sulla testimonianza e il suo valore è importante la distinzione di Ricoeur: testimonianza


storica, giuridica ed etica.[cf. C. GRECO, La rivelazione. Fenomenologia, dottrina e credibilità, San
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000, 314 ss.

Nel caso della testimonianza sulla risurrezione sembrerebbero entrare in gioco soprattutto la
prima e la terza, senza dimenticare che anche la testimonianza giuridica si annuncia davanti ai
tribunali cui sono portati gli apostoli (annota Atti).

La testimonianza è per noi anche fedeltà teologale e quindi è anche fedeltà storica. Raccoglie
in un unico orizzonte ermeneutico complessivo passato, presente e futuro e, per questa ragione,
non lascia spazio a separazioni, che sono sempre artificiose, tra ciò che è avvenuto prima e ciò
che è accaduto dopo della Pasqua. Questa ha costituito un avvenimento che è senza dubbio di
grande novità ed ha un carattere propulsore nel dinamismo della fedeltà martiriale, ma non

commento, in chiave storica si trova in: E. HOORNAERT, A memória do povo cristâo, op. cit. 41ss) oppure alla descrizione dei
cristiani che fa Celso (semplici, ignoranti e poveri: Alethès Logos, n. 37) che ne vede la somiglianza con Cristo, descritto come un
pezzente errante (ivi, n.7 ss) e personaggio che concluse con una morte infame una vita infame (ivi, 93)..

26
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/3.Cap.

può essere considerata come cesura o soluzione di continuità. È piuttosto motivo di conferma e
di slancio ulteriore.

Con questi presupposti, possiamo comprendere la portata dell’affermazione che asserisce che
i vangeli raccontano la vera storia di Gesù, non malgrado siano, ma perché sono documenti di
fede , di una fede, sia ben chiaro, che non è né semplice adesione intellettuale, né commozione
44

intimistica ed emotiva, ma fedeltà testimoniale. Il coinvolgimento esperienziale dei discepoli è


totale ed avviene loro malgrado, vincendo le loro resistenze e i loro pregiudizi. Alla scuola della
sequela, anche dopo la scomparsa del Gesù “terreno”, essi compresero meglio il significato di
espressioni e di gesti di quel Gesù che, se sembrava averli lasciati, restava tuttavia presente con
il suo modo di porsi davanti a Dio, alla torah, ai profeti, ai piccoli e ai peccatori. Li coinvolgeva
ancora, con la “sua” maniera tipica di fare, con la sua libertà e franchezza davanti ai potenti e la
sua filiale confidenza con «il Padre».

In questa prospettiva teologica, che diventa anche nei suoi seguaci prassi teologale, la
contrapposizione tra Gesù e la chiesa nascente appare piuttosto artificiosa, o perlomeno non
ancora illuminata dalla stessa ermeneutica. Si può ancora parlare di un «Gesù prima del
cristianesimo» , a patto che ciò non riproponga, aggravandola, la frattura tra Gesù e questo
45

contesto teologale, bensì allo scopo di sgombrare il terreno da preconcetti. Come giustamente è
scritto,

«è possibile accostarsi a Gesù senza alcuna idea preconcetta su di lui, ma non è possibile accostarsi
a lui senza alcuna precomprensione di nessun genere. La mente completamente aperta è una mente
vuota, che non può comprendere alcunché. Dobbiamo avere un riferimento, un punto di vista o una
qualsivoglia prospettiva, se desideriamo vedere e comprendere qualcosa»46.
È un argomento che ritorna, almeno come interrogativo, anche in chi nega radicalmente una
continuità tra Gesù e la chiesa successiva, quella che lo avrebbe messo sotto sequestro e,
concentrando tutte le sue energie nell’adorazione e nel culto di lui, sarebbe oggi la negazione
più grave e lo scherno più feroce mai subito da un qualsiasi pensiero . Ma anche chi ammettesse 47

questo travisamento totale di Gesù, non potrebbe non sottoscrivere che senza il cristianesimo

«probabilmente Gesù sarebbe stato dimenticato, i suoi discepoli si sarebbero sprecati e dispersi
nelle tenebre ... azioni e istituzioni buone, nonché azioni e istituzioni cattive del cristianesimo, non
risulterebbero registrate in nessun manuale di storia, e Gesù avrebbe così avuto davvero ragione. Il
suo regno non sarebbe stato di questo mondo. Chi osa dire cosa sarebbe stato meglio?»48.
Tutto il ragionamento fin qui condotto ci riporta ad un interrogativo di fondo non più
eludibile: in che misura può restare fedele alla storia di Gesù colui che in maniera del tutto
pregiudiziale voglia sottrarre la sua ricerca storica ad ogni contestualità di fede? E ancora: se la
fede non è schermo, ma via di accesso al Gesù di Nazareth, che cosa può portare di nuovo alla
questione sul Gesù storico il contributo di chi parte da prospettive che escludono, per principio,
proprio questa fede? Pur ammettendo che l’istituzione ecclesiale di oggi sia per lo più lontana
44 È un contesto teologico complessivo, che ci presenta la vicenda di Gesù non più come quella di un eroe solitario, in lotta
contro tutti e contro tutto, ma in una rete interattiva e interrelazionale. Dicendo ciò, non si toglie nulla al’inaudita novità del suo
messaggio e del suo agire, ma si ha solo uno schema di riferimento, un substrato ed una prospettiva per intendere la sua
originalità e la sua fedeltà, così come si comprende la fedeltà e la peculiarità della primissima comunità cristiana.
45 A. NOLAN, Gesù prima del cristianesimo, op. cit, 103ss. che rimanda a G. VON RAD, The Message of the Prophets,
London 1968.
46 Ivi, 10.
47 L’affermazione è di M. Horkheimer e si trova nei Taccuini 1950-1969.
48 Ivi.

27
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/3.Cap.

dalla prassi teologale di Gesù e dei suoi primi seguaci, non è forse vero che tale prassi
costituisce, pur sempre, un motivo insopprimibile di richiamo alla fedeltà e alla conversione? E
non è appunto la persistenza di tale richiamo il segno di una fedeltà nonostante le tante
infedeltà?

La risposta a questi interrogativi non potrà avvenire che alla fine di una riproposizione della
questione sul Gesù storico, partendo fin da quelle origini, nelle quali si è posta con tale intensità
e sistematicità. In questo capitolo vedremo pertanto gli antesignani, in epoca moderna, della
questione storica di Gesù, cercando di valutare il contributo da essi dato ed i limiti del loro
tentativo. Ma avremo, parimenti, modo di confrontarci con le domande che sono qui affiorate.

2.1. Elementi di continuità e di discontinuità nella critica storica di H. S. Reimarus

Hermann Samuel Reimarus (1694-1768) tratta il problema della storicità di Gesù nel contesto
della difesa della «religione naturale» di stampo illuminista. Il suo manoscritto, di quattromila
pagine, si trova nella biblioteca civica di Amburgo, città dove l’autore visse, insegnando lingue
orientali. Solo una parte della sua opera fu pubblicata, e per giunta sotto anonimato, a cura di G.
E. Lessing, nei Frammenti dell’anonimo di Wolfenbüttel, che comprendono: riflessioni di carattere
generale (Della tolleranza verso i deisti, Della denigrazione della ragione dai pulpiti, Impossibilità di
una rivelazione che tutti gli uomini possano credere in una forma stabilita); studi sull’Antico
Testamento (Il passaggio degli Israeliti attraverso il Mar Rosso, Che i libri dell’Antico Testamento non
sono stati scritti allo scopo di rivelare una religione) e studi riguardanti Gesù (Sulla storia della
risurrezione e Dello scopo di Gesù e dei suoi discepoli) . 49

Così come aveva già fatto a proposito del passaggio del Mar Rosso, Reimarus coglie anche nel
Nuovo testamento le contraddizioni e la mescolanza di elementi diversi. Opera una chiara
distinzione tra il contenuto della predicazione di Gesù e il contenuto della predicazione degli
apostoli e, con l’ausilio delle sue conoscenze storiche sul mondo mediorientale, individua alcuni
tratti della originaria predicazione di Gesù, che egli indica nel particolarismo giudaico e
nell’attesa escatologica della venuta imminente del Regno di Dio. Secondo Reimarus, Gesù e i
suoi apostoli avrebbero ripetutamente tentato di dare attuazione pratica a quest’avvento,
raccogliendo il popolo d’Israele intorno alla figura biblica del «figlio di Davide». Ma tutto fu
vano, perché Gesù non solo non fu seguito, ma fu messo a morte.

Fu così che gli apostoli sottrassero il suo cadavere e lo nascosero in un luogo noto soltanto a
loro e solo dopo cinquanta giorni, per ragioni di sicurezza, cominciarono a predicare che egli
era risorto e che presto sarebbe ritornato.

2.2. Le reazioni alla critica di Reimarus

La pubblicazione dei Frammenti di Reimarus suscitò, com’era ovvio, reazioni apologetiche


molto accese. La sua opera aveva mostrato l’interconnessione tra il problema storico e il
problema letterario ed aveva indicato nello scioglimento di questo nodo la soluzione del quesito
sulla vita di Gesù. Aveva però allargato la questione, fino a proporre tesi che sono preconcette.
Gli autori che si proposero di confutare l’anonimo di Wolfenbüttel non potevano tuttavia ormai

49 Cfr.A. SCHWEITZER, Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia, Brescia 1986, 85-100.nascosero in un luogo noto soltanto
a loro e solo dopo cinquanta giorni, per ragioni di sicurezza, cominciarono a predicare che egli era risorto e che presto sarebbe
tornato.

28
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/3.Cap.

ignorare la questione letteraria. A loro modo, cercarono di affrontare quel groviglio di problemi
storici e letterari con tentativi piuttosto maldestri, che andarono dall’apologetica teologica «del-
sì-e-del-ma», come fu chiamatada A. Schweitzer, all’impresa di compilare vite di Gesù di
stampo razionalista. Qualcuno, come J. S. Semler, escogitò la teoria di un doppio linguaggio
presente nella predicazione di Gesù e degli apostoli: uno di carattere figurato e materiale, preso
dal mondo giudaico, l’altro sovrasensibile e spirituale (proprio quello che l’anonimo non
avrebbe inteso o voluto intendere), e con ciò pretese di liquidare le contraddizioni presenti nei
vangeli . Ma ci fu anche una fioritura di ricostruzioni della vita di Gesù con quello stesso
50

metodo razionalista inaugurato da Reimarus, che, però, non arrivando a controbilanciare


criticamente le sue affermazioni, tentavano una spiegazione e volgarizzazione dei detti e della
gesta di Gesù, cercando di renderli accettabili il più possibile. Allo stesso modo, cominciarono a
pullulare le vite romanzate di Gesù. La forzatura dei testi, l’artificiosità delle spiegazioni e la
mediocrità di queste vite di Gesù di tipo razionalista e di fattura romanzata sono state messe
così ben in risalto dalla vivace e arguta critica di Schweitzer, che non credo ci sia più nessuno
disposto a prenderle sul serio . 51

Ad un livello letterariamente e scientificamente più dignitoso si collocano invece l’opera di K.


A. Hase e di F. E. D. Schleiermacher. Il primo fa un bilancio sul materiale prodotto ed esamina
la legittimità cristiana di alcune spiegazioni razionaliste; il secondo cerca un’alternativa al
dualismo tra il Gesù storico che scadeva nell’ebionitismo tirrenista, e il Cristo dogmatico dello
spiritualismo docetista . A questo periodo appartiene anche la prima opera sull’argomento di
52

D. F. Strauß , che vuole essere una risposta a Schleiermacher e contiene linguisticamente una
divisione, divenuta poi fatale per la teologia: Il Cristo della Fede e il Gesù della storia.

2.3. Valutazione dell’opera di Reimarus

In una valutazione più serena dell’opera di Reimarus, si noterà che l’autore individua con
lucidità quello che è il presupposto primo di ogni ulteriore critica e su cui si fonderà la «storia
delle forme»: la confluenza di molte e spesso incontrollabili tradizioni nel testo canonico.
Reimarus elabora pertanto una base scientifica, che, dal punto di vista letterario, ha, per la sua
epoca, una notevole originalità ed un indubbio valore. Non riesce tuttavia ad essere altrettanto
critico verso l’orizzonte culturale in cui si muove, quello del razionalismo, che esclude, in
maniera preconcetta, qualsiasi possibile intervento di Dio nella storia umana. La sua critica
contro qualsiasi fede in ogni forma di rivelazione resta essa stessa nell’ambito di una fede
precisa: solo ciò che si può spiegare con la ragione assurge al valore della verità. Di
conseguenza, Reimarus avanza una spiegazione affrettata ed immotivata di tutto ciò che va
oltre la sua lettura rigorosamente razionalista. I miracoli non sono mai avvenuti, afferma, anche
se, proprio grazie ad alcune guarigioni realmente effettuate da Gesù, gli apostoli hanno voluto
dare una giustificazione soprannaturale e persino divina alla sua storia.

La pur doverosa reazione nei confronti di Reimarus non deve comunque indurci nell’errore di
liquidarlo come semplice polemista che voglia solo affermare il deismo, di cui è innegabilmente
intrisa la sua concezione religiosa. Reimarus ha infatti il merito di aver colto alcuni tratti del

50 Gia secondo il titolo, l’opera, apparsa nel 1779, un anno dopo la pubblicazione curata da Lessing, vuol essere una risposta
ai frammenti dell’anonimo, (Beantwortung der Fragmente eines Ungenannten, insbesondere vom Zweck Jesu und seiner, Jünger)..
51 Cfr. A.SCHWEITZER, Storia della ricerca..., op. cit.101-135.
52 Ivi, 136, che menziona Das Leben Jesu zunächst für akademische Studien (1829) di Hase, e Das Leben Jesu (1864) di
Schleiermacher.

29
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/3.Cap.

mondo teologico in cui viveva Gesù e di aver tentato una ricostruzione della sua storia alla luce
di esso. Ha commesso l’errore di intendere l’escatologia, da cui muoveva Gesù, in modo
riduttivo, come messianismo davidico-politico. Inoltre, non avendo altra soluzione storica che
spiegasse l’attesa escatologica degli apostoli successiva a quella di Gesù, ha proposto come
chiave della loro continuità l’artificiosa e gratuita sottrazione del suo cadavere. Ciononostante,
egli sembra aver intuito che la storicità di Gesù non possa essere separata in maniera netta da
una continuità ideale ed intenzionale tra Gesù ed i suoi discepoli, pur negando con decisione
ogni ulteriore continuità tra questa figura di Gesù e quella del cristianesimo successivo.

3.1. La storia di Gesù nell’ermeneutica mitologica di D. F. Strauß

David Friedrich Strauß (1808-1874) è il fondatore ed il maggiore rappresentante di quella che


è stata chiamata la «scuola mitica», perché inquadra e dà una spiegazione della vicenda di Gesù
all’interno del mondo in cui nascono e si evolvono le grandi idee religiose. L’appellativo mitico
riceve in questo contesto una connotazione non negativa, non indica il prodotto mistificante
della sempre ricorrente affabulazione religiosa. Ma, in una concezione fondamentalmente
idealista, esprime il mondo ideale, frutto del pensiero di uno spirito onnipresente, che rende
coscienti gli esseri umani della loro vera natura.

Conquistato dal poderoso impianto del sistema idealista di Hegel, Strauß elaborò il suo primo
progetto editoriale consistente in una storia delle idee del cristianesimo primitivo come criterio
per il dogma, oggetto della teologia, una disciplina che l’autore pure insegnò, alternandola alla
filosofia, fino a quando non fioccarono le inesorabili censure che lo radiavano
dall’insegnamento universitario di Tubinga. Il motivo del provvedimento fu la pubblicazione
con la quale egli rispondeva all’opera di Schleiermacher, dando alle stampe la sua Vita di Gesù . 53

A ciò fecero seguito vere persecuzioni, alimentate da circoli pietisti, persino nella città di Zurigo
dove si era tentata una sua riabilitazione. L’opera doveva essere, secondo le intenzioni
dell’autore, il prologo alla storia delle idee del dogma, che fu conclusa successivamente . 54

3.2. L’ermeneutica mitica come sintesi delle ricerche precedenti

Il nucleo fondamentale intorno al quale ruota tutta la ricerca di Strauß sulla vita di Gesù è
schiettamente idealista. Gesù rappresenta la concretizzazione storica dell’idea più grande che il
pensiero umano possa mai concepire, l’idea della umanità di Dio. La perfezione, aggiunge
Strauß , non è tuttavia inerente alla concretezza storica di questa idea, ma è esclusivo
appannaggio del pensiero. Da qui deriva la possibilità e la necessità di sottoporre proprio tale
realizzazione storica dell’umanizzazione di Dio alla critica scientifica. Nessuna critica storica
potrà mai cancellare il fatto che Gesù abbia rappresentato per gli uomini l’umanità di Dio. Il
problema è di discernere come ciò sia avvenuto e attraverso quali fatti storici tale idea si sia
affermata. Secondo Strauß , non rispondono a queste attese né la ricostruzione storica
soprannaturalista, né quella razionalista. Egli propone pertanto il suo metodo, quello mitico,
che viene applicato con puntigliosa meticolosità ad ogni avvenimento della vita di Gesù, come
sintesi dei due momenti precedenti, dei quali la tesi è costituita dalla lettura soprannaturalista e
l’antitesi da quella razionalista.
53 Das Leben Jesu (2 volumi), 1935-1936. Cfr. Anche U. REGINA, La vita di Gesù e la filosofia moderna. Uno studio su D.F.
Strauß , Brescia 1979.
54 Die christliche Glaubenslehre in ihrer geschichtlichen Entwicklung und in ihrem Kampfe mit der modernen Wissenschaft,
(840-1841) (La dottrina della fede cristiana nel suo sviluppo storico e nella sua lotta con la scienza moderna).

30
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/3.Cap.

Un esempio può essere offerto dalla spiegazione del battesimo di Gesù. Il commento
tradizionale soprannaturalista ritiene storicamente accaduto tutto il racconto, compresa la
rivelazione della messianicità di Gesù dall’alto. Quello razionalista dà una spiegazione
razionalmente plausibile di un avvenimento del quale ritiene storico solo l’incontro di Gesù con
il Battista e l’eventuale suo battesimo. La spiegazione mitica, invece, mette in luce l’importanza
dell’idea della recezione dello Spirito da parte di Gesù, cui farà seguito, in un’evoluzione mitica
ulteriore, quella della generazione soprannaturale di Gesù ad opera dello Spirito Santo.

L’opera di Strauß procede con questo metodo e passa in rassegna, tra l’altro, le tentazioni
(considerate leggende dai tratti veterotestamentari); la vocazione dei discepoli (costruita sul
modello di quella di Eliseo da parte di Elia); le guarigioni (delle quali alcune sono vere, ma che
sono tutte funzionali ad un’idea religiosa); la trasfigurazione (che riprende l’idea del volto
splendente di Mosè); la risurrezione (la cui redazione evangelica risentirebbe di due strati
leggendari: le apparizioni in Galilea e in Giudea).

3.3. Continuità mitica e discontinuità storica

Di fronte alla critica di Strauß , che passa al vaglio dell’idea mitica tutti i momenti della vita di
Gesù, i suoi titoli e l’intero vangelo giovanneo, ritenendolo «una saga dell’apparizione di Dio
nel mondo», non ha senso intestardirsi in una difesa apologeticamente risentita. Molte delle sue
intuizioni hanno mostrato, col senno di poi, un certo valore per l’esegesi successiva, che, con
strumenti critici e letterariamente più adeguati, ne ha confermato la validità. Strauß va letto e
superato nel contesto culturale idealista nel quale si muove. Per queste ragioni, la sua lettura è
dominata dal ritmo della inesorabile triade hegeliana ed ha una spiccata propensione a seguire
l’evoluzione delle idee più che ad essere attenta ai fatti storici. Sono questi i veri limiti della sua
ermeneutica, che, peraltro, non arriva a quegli estremi di dissolvimento storico di Gesù che i
suoi oppositori gli rimproverano. Egli ritiene reale e storica, ad esempio, la coscienza
messianica di Gesù e ci sembra possa in qualche modo rendergli giustizia ciò che scrive
Schweitzer:

«Affermare che Strauß dissolve la vita di Gesù in un mito è una sciocchezza che, per quanto spesso
venga ancora ripetuta da persone che non hanno mai letto la sua opera o l’hanno letta solo
superficialmente, non per questo può venire giustificata»55.
Per noi, il problema è vedere quanto Strauß abbia contribuito ad allargare il fossato tra il Gesù
storicamente vissuto e la fede riposta in lui dai suoi seguaci e quanto invece, paradossalmente,
abbia contribuito a saldare in un unico orizzonte ideale, e quindi teologico, la fede personale di
Gesù e la fede in lui riposta dagli altri. A prima vista sembrerebbe che la sua sia più una
demolizione che una ricerca storica in tal senso. In realtà, la sua opera ha tuttavia notevole
importanza proprio in ciò che sembra avere di più corrosivo: la genesi e l’evoluzione mitica
delle idee religiose che sorreggono la vicenda di Gesù. Grazie all’impulso dato da Strauß, in un
contesto culturale libero dalle sue premesse idealiste, sarà proprio la continuità teologica (e non
più mitica) tra Antico e Nuovo Testamento e quella ancora più decisiva tra il mondo ideale-
teologico di Gesù e quello dei suoi discepoli, che consentirà di sbloccare la ricerca storica dalla
situazione di stallo, provocata anche dall’opera di Strauß .

55 A. SCHWEITZER, La storia della ricerca..., cit., 174.

31
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/3.Cap.

4. La scuola critica e le sue ramificazioni

Si può ritenere Reimarus caposcuola dell’interpretazione critica e Strauß caposcuola


dell’ermeneutica mitica, la quale, nonostante le gravi opposizioni iniziali, ebbe una notevole
risonanza anche dopo la morte del suo fondatore.

L’interpretazione critica si manifesta in molteplici forme. Per ragioni di chiarezza, possiamo


indicare con il termine scuola critica a carattere letterario-oggettivo quella affermatasi soprattutto in
area di lingua tedesca e scuola critica a carattere psicologico-narrativo quella affermatasi in primo
luogo nell’area francese. Con la prima espressione, intendiamo l’operazione critica condotta
sulla base di un’analisi testuale e con tendenza a dare spiegazioni razionali di oggettività
causale ai fatti narrati dai vangeli. Con la seconda intendiamo la tendenza a dare a quegli stessi
fatti spiegazioni di natura psicologica e soggettiva. Limitandoci per adesso alla scuola critica di
area tedesca, possiamo parlare di due grandi tendenze ivi presenti. La prima cerca di conciliare
il dato della fede con le argomentazioni razionaliste, la seconda porta fino alle estreme
conseguenze l’impostazione di Reimarus.

Rientra nel primo caso chi, come Schleiermacher, ritiene, ad esempio, che la risurrezione
possa essere indifferentemente interpretata come rianimazione da uno stato di morte apparente
oppure come ritorno alla vita. Per le fede, secondo questa posizione, anche la rianimazione di
un cadavere non costituisce un problema, giacché, argomenta Hase, Dio ha potuto servirsi
anche della morte apparente per manifestare il suo intervento provvidenziale. Piuttosto è in
contraddizione con la fede cristiana l’ipotesi di una sottrazione del cadavere di Gesù per
simulare una risurrezione mai avvenuta. Similmente alla risurrezione, anche gli altri miracoli
sono spiegati dagli stessi autori con avvenimenti di carattere non soprannaturale, dei quali però
Dio si sarebbe ugualmente servito come «cause intermedie» per portare a compimento i suoi
disegni.

H. E. G. Paulus poteva affermare, in questo contesto, che le narrazioni miracolose non erano
affatto importanti nei vangeli ed aggiungeva:

«Come sarebbero vuote la meditazione divina e la religione se il bene dipendesse dal credere o dal
non credere nei miracoli!»,
infatti:

«il miracoloso di Gesù è egli stesso, il suo animo di una santità serena e pura, tuttavia davvero
umano, offerto all’imitazione e all’emulazione degli spiriti umani»56.
Anche in questo caso, come si può notare, si tenta ancora un salvataggio della fede,
nonostante la negazione dell’autenticità storica del testo evangelico, soprattutto sinottico.

Arriva a ben altre conclusioni l’interpretazione critica radicale, la quale inizialmente si


propone di dimostrare l’origine letteraria di quei tratti storici ancora ammessi dai moderati, ma
finisce con negare ogni effettiva continuità tra la fede giudaica e quella di Gesù e dei suoi
discepoli.

56 Così in Das Leben Jesu als Grundlage einer Geschichte des Urchritentums (1928), cit. da A.SCHWEITZER, La storia della
ricerca..., cit., 128.

32
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/3.Cap.

4.1. Il dissolvimento di ogni continuità nell’interpretazione letterario-oggettiva

Tra i rappresentanti dell’ala radicale tedesca, basterà ricordare Bruno Bauer, che arriva alla
teoria della dipendenza letteraria dal vangelo di Giovanni. Mette in luce il carattere unitario ed i
pregi narrativi ed estetici del quarto vangelo, ma vede sempre più sfuocati i riferimenti storici,
fino a negare la storicità di quasi tutto il materiale redazionale. La storia di Gesù sembra
dissolversi del tutto nel secondo studio pubblicato dall’autore, che, dopo la Critica della storia
evangelica di Giovanni, aveva posto mano alla Critica della storia evangelica dei sinottici . 57

La spiegazione rigidamente letteraria avanzata da Bauer, lo porta a negare la storicità anche


di fatti e dei tratti dottrinali giudaici del vangelo di Marco. Ciò costringe a formulare per la
prima volta con chiarezza l’«ipotesi marciana», secondo la quale il vangelo di Matteo e quello di
Luca altro non sarebbero che rimaneggiamenti e dilatazioni di quello di Marco. Ciò porta anche
a dire che una coscienza messianica in Gesù non c’è mai stata. Una simile idea, afferma Bauer, è
solo una maschera che autori come Strauß ed Hengstenberg hanno imposto a Gesù,
attingendola in un repertorio, tra l’altro molto confuso, del giudaismo più tardivo. Stando così
le cose, il programma di Bauer è quello di salvare l’«onore di Gesù», restituendolo ad un
rapporto vitale ed immediato con la storia. Sembrerebbe allora che la storia sia attinta per
un’altra via. Tuttavia non facciamoci illusioni: la storia è qui intesa idealisticamente come il
mito dell‘innesto della realtà umana con quella divina, quel mito dalla potenza così
rivoluzionaria, che, secondo Bauer, è riuscito a scalzare anche l’impero romano.

4.2. La rottura di ogni continuità storica nell’ermeneutica psicologico-narrativa

La problematica relativa al Gesù storico nasce e si afferma, come si sarà notato, in Germania e
in area esclusivamente evangelica. Ciò non esclude che il problema sia stato avvertito anche
altrove. In ogni caso le riposte avanzate in campo cattolico risultano principalmente ancora di
carattere apologetico. Inoltre, se la libertà di pensiero e di ricerca ebbe prezzi così alti in un
ambiente oggettivamente più liberale, qual era quello evangelico, che emarginò con la
proscrizione dall’insegnamento alcuni degli autori qui ricordati, essa non era nemmeno
pensabile nel cattolicesimo di quell’epoca storica. Del resto, tutta la questione, da Reimarus in
poi, era nata con una connotazione prevalentemente polemica ed antidogmatica. La ricerca di
«come fossero veramente andate le cose» , in una concezione della storia di stampo positivista,
58

si poneva per sua natura contro l’interpretazione di fede, ritenuta falsificatrice per principio.

Al di fuori della Germania, il problema cominciò a circolare e ad accendere gli animi in


Francia, anche qui in un contesto pregiudizialmente antidogmatico, per iniziativa di autori che
muovevano da un aperto dissenso verso la Chiesa istituzionale. Tra questi ricordiamo
soprattutto Ernest Renan, la cui Vita di Gesù, del 1863, suscitò un dibattito dai toni spesso
esasperati e non per nulla contenuti nell’alveo della ricerca e del confronto storico. Si potrebbe
aggiungere che ce n’era sufficiente motivo, data la conclusione cui Renan perveniva. Era
tuttavia una conclusione, che se da una parte raccoglieva alcuni capisaldi della critica tedesca,
nondimeno risentiva di una impostazione artistico-estetica, che poneva il problema su basi
57 La prima opera fu pubblicata a Brema nel 1840 con il titolo Kritik der evangelischen Geschichte des Johannes; la seconda a
Berlino tra il 1841-1842, in tre volumi. L’opera di Bauer proseguì impavida, nonostante le difficoltà incontrate, con la successiva
Kritik der Apostelgeschichte (Critica degli Atti degli Apostoli) del 1850 e la Kritik der paulinischen Briefe (Critica delle lettere paoline) del
1850-1852, alle quali sono da aggiungere le altre opere riportate e valutate criticamente in: A. SCHWEITZER, La storia della
ricerca..., op. cit., 226ss.
58 L’espressione è di L. Ranke ed è riportata in: B. FORTE, Gesù di Nazareth..., op. cit., 105.

33
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/3.Cap.

nuove. Fermo restando anche per Renan il principio di una totale cesura tra la vera storia di
Gesù e quella trasfigurata dal dogma, questi descrive la vita di Gesù con una particolare
attenzione all’elemento ambientale, coreografico e psicologico della narrazione evangelica,
aiutandosi con le impressioni da lui ricevute visitando i luoghi della Palestina.

L’elemento fascinoso, la suggestione e l’attesa psicologica, tipica della fede, sono per Renan
ingredienti fondamentali per darsi una ragione delle narrazioni evangeliche. Riprendendo
l’espressione di Goethe, per il quale «il miracolo è il figlio prediletto della fede», egli ritiene in
perfetta buona fede, a differenza di Reimarus, il racconto della risurrezione ad opera dei
discepoli nei confronti di Gesù. Lo giudica inevitabile, giacché l’ammirazione somma e l’amore
incondizionato che essi nutrono verso Gesù, li porta a trasfigurarne la figura nei loro cuori, fino
a ritenerlo veramente risorto. Alla sua morte essi non si sarebbero dati per vinti e il loro amore,
unitamente al silenzio e al fascino del luogo in cui si erano riuniti, avrebbero loro dato la
certezza che Gesù era vivo, perché risorto. Ne avrebbero avvertito la presenza, e da allora in poi
lo avrebbero ritenuto e lo avrebbero predicato risorto.

Sarebbe perfino troppo facile smascherare gli artifici letterari di Renan, per confutare la sua
tesi di fondo, quella di una sublimazione soprannaturale della persona di Gesù, del quale
l’autore non cessa di mettere in risalto la forza carismatica. Ciononostante, come gli fu
rimproverato dalla teologia critica francese della scuola di Strasburgo e dagli stessi critici
tedeschi, il Gesù di Renan sembra essere privo di coscienza etica, cioè di quella coscienza
teologica, della quale gli stessi vangeli hanno conservato tracce indelebili. Per J. Guitton
l’interpretazione di Renan è una sintesi tra una scelta critica preconcetta ed i suoi particolari
stati d’animo . Senza voler arrivare a sottoscrivere in pieno un simile giudizio, comunque
59

polemico e che potrebbe essere applicato ad ognuno che ponga mano ad un’opera storica, si
può comunque concludere che ciò di cui difetta la Vita di Gesù dell’autore francese, che aveva
lasciato il seminario alla vigilia del suddiaconato, è proprio l’orizzonte teologico ed etico, di cui
si parlava. L’autore appare tutto preso dall’enfasi della psicologia religiosa e sociale e finisce
con il trascurare ciò che invece in Gesù è fondamentale, per comprendere non solo le ragioni
della fede che egli suscita, ma anche le sue intime convinzioni e motivazioni.

5. Punti di arrivo comuni alla scuola critica e alla scuola mitica

Anche gli altri autori francesi successivi a Renan risentono della stessa lacuna. Alfred Loisy
(1857-1940), esponente del modernismo francese, pur attaccando gli argomenti e la
ricostruzione storica di Renan, nell’opera Il Vangelo e la Chiesa, affermava la necessaria esistenza
di un nucleo storico intorno al quale era cresciuto il dogma cristologico, ma, ciononostante,
sosteneva che di Gesù si conosceva ben poco, ad accezione del particolare fascino da lui
esercitato su particolari categorie di persone dalle anime turbate ed inquiete. Altri, invece, come
Guignebert, ipotizzavano una ermeneutica meramente socio-politica di Gesù, simile a quella da
noi già vista in Brandon e in altri.

Sul piano storico, insomma, la scuola critica, sia che parta da considerazioni di oggettività
testuale o di fattualità causale, sia che tenti di motivare la fede in Gesù con la psicologia
religiosa e soggettiva, arriva alle stesse conclusioni, espresse con incisività da Guignebert:

«Questo profeta che al massimo aveva suscitato una curiosità venata di simpatia tra i proletari di
Galilea, fu uno di quei tanti pretendenti più o meno degni di fiducia, che Israele, di tanto in tanto,
59 J. GUITTON, Gesù, Marietti, Torino 1964 (2.a), 62.

34
Mazzillo/Gesù storico/CZ-08/3.Cap.

vedeva spuntare tra le sue file. Il suo fallimento è stato totale ... Egli si è dunque ingannato. La
verosimiglianza, la logica, richiedevano che il suo nome, la sua opera cadessero nell’oblio, al pari di
quelli di tanti altri che in Israele avevano creduto di essere qualcuno»60.
Sono conclusioni che condividono anche autori che erano partiti dalle premesse della
cosiddetta scuola mitica. Era la suola di chi cercava in Gesù la rappresentazione storica delle
grandi idee filosofico-religiose, fino ad arrivare a ritenere questo personaggio storico il
dispiegamento dello Spirito infinito nel finito. Era stato il tentativo di teologi della scuola di
Tubinga come Baur e Strauß. Ma la stessa tendenza, riveduta e corretta, si manifesterà in altri
autori a noi più recenti, come Bultmann e alcuni esistenzialisti, protesi principalmente a cercare
in quella storia il senso ultimo della realtà esistenziale dell’uomo e della sua collocazione e
decisione davanti a Dio. In ogni caso, la scuola mitica e i suoi epigoni hanno tentato di cogliere
nel Gesù storico più la nostra storicità che non quella del diretto interessato.

60 Citato da J. QUITTON, ivi 67.

35

Potrebbero piacerti anche