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_______________ 𝗽𝗿𝗼𝗹𝗼𝗴𝘂𝗲

Non passava giorno in cui, Caledon O' Reilly, non trovasse il modo di fare soldi. Solitamente
capitava a discapito della vita di qualcun altro, come era avvenuto per la sua povera moglie,
( tutti lo sapevano e nessuno osava aprire bocca, ma era quasi certo che fosse stato lui ad
ucciderla ed avesse ucciso anche il suo amante, per il solo gusto di ottenere una vendetta
succulenta) ma in questo caso, forse, la questione era ben più seria.
O' Reilly era un omuncolo sulla cinquantina, completamente calvo e dall'espressione
perennemente arcigna. Indossava spesso e volentieri un cappello a tesa larga per nascondere
la calvizie, ma proprio quello stratagemma, ahimè, faceva sì che il 'difetto' genetico, fosse
ancor più evidente. Un uomo calvo, talvolta, poteva anche essere definito attraente ed
affascinante - come Yul Brinner o Telly Savalas, per citarne alcuni - ma nel caso di Caledon, la
natura non era stata d'aiuto.
Quella mattina, dopo la prima pisciata quotidiana ed una veloce scrollata per evitare di
macchiare di urina i boxer, Caledon uscì di casa senza neanche preoccuparsi di indossare il
cappello; infilò le chiavi nella tasca interna della giacca, sistemò una sigaretta tra le labbra
ancora sporche di Crest, evitò per un soffio una deiezione canina lasciata di proposito sul suo
zerbino e, finalmente, si infilò - non senza aver biascicato una pesante bestemmia - nella
Pontiac parcheggiata sul vialetto.
Caledon amava quella macchina. La considerava alla pari di una bella donna, pulsante e viva,
rossa fiammante e desiderosa di sentirlo all'interno. Qualche volta, in passato, si era persino
trovato a pensare a quanto l'atto di sedersi al volante, fosse dannatamente simile alla
penetrazione di una fica calda e succosa. Non aveva parlato a nessuno di quel "singolare"
pensiero, ma nella solitudine del suo ufficio, si era abbassato i pantaloni e si era masturbato
attivamente, eiaculando nella tazza di caffè di Mrs Wright, la sua segretaria.
Come avrete capito, Caledon O'Reilly non era esattamente una persona piacevole.
In città era odiato e temuto da tutti, persino dal sindaco, che non perdeva occasione di
balbettare e arrossire come un ragazzino, ogni volta in cui si ritrovava a discutere con lui.
Tutti, persino i più giovani, sapevano che O'Reilly era invischiato in questioni poco pulite,
qualcuno ipotizzava persino che fosse a capo di qualche organizzazione malavitosa, ma
nessuno poteva neanche lontanamente immaginare, ciò che avrebbe causato alla cittadina di
Greendale.

Dove eravamo rimasti? Oh, giusto! Alla mattina in cui tutto cessò di essere definito 'normale ed
ordinario'.

Caledon spalancò la porta dell'ufficio con un'imprecazione. La serratura era difettosa da mesi,
forse da un paio di anni, e quella mattina aveva proprio deciso di abbandonarlo. Così, dopo
aver piazzato la Pall Mall appena accesa tra le labbra, si sistemò di lato e si lanciò contro la
porta con la spalla destra, concentrando il peso del corpo in quel punto preciso.
Inutile dire che il primo tentativo andò a vuoto e che il dolore, improvviso e lancinante, gli
impedì di respirare per una frazione di secondo. Fu come ricevere una pugnalata in pieno
petto, con la lama accuratamente mantenuta di sbieco, per lacerare e penetrare nella carne
sino a scalfire il muscolo.
La sigaretta gli cadde dalle labbra, un gemito acuto risalì lungo la gola e si disperse nel
silenzio irreale della cittadina.
Greendale era silenziosa nelle prime ore del mattino. Di tanto in tanto, quando il tempo lo
concedeva ed il frinire delle cicale non era così intenso, si poteva udire, in lontananza, il ronzio
della distilleria di Harvey Miller. Ma null'altro.
Tranne, a volte, il borbottio altalenante del lattaio, Grady, che risaliva lungo la strada principale
per cominciare il giro di consegne.

'Deve fare parecchio male, Cal.'


Il gemito di Caledon O'Reilly si interruppe nello stesso istante in cui la Voce pronunciò quelle
parole.
O'Reilly, come detto in precedenza, era un uomo abbietto, crudele e viscido. Non aveva paura
di molte cose, anzi quasi di nessuna, ed in passato era stato in grado di affrontare persino una
serie di accuse poco edificanti, mantenendo costantemente il sorriso sulle labbra.
Ma quella voce... Quella voce era in grado di terrorizzarlo e di renderlo docile come un
cucciolo, come un agnellino, come un neonato incapace di affrontare il mondo.
'Non - Non è niente! Ha fatto buon viaggio, signor Morozova?' - domandò con voce tremante,
atona, inquinata da un principio di improvvisa raucedine, che trovò sollievo solo nel rapido
susseguirsi di un paio di colpetti di tosse.
'Ho riposato molto a dire il vero! Mi sono concesso qualche giorno di - come la chiamate? Oh!
Vacanza!'
Non c'era alcuna inclinazione minacciosa nel tono di quella voce, anzi era fottutamente
cordiale e gentile, ma O'Reilly ascoltò chiaramente il battito del suo cuore accelerare come
una MacLaren alle griglie di partenza, ed il respiro farsi più pesante.
Il dolore al petto lo colse impreparato. Subito pensò che potesse trattarsi di un infarto, - e non
sarebbe stato neanche così inusuale, dati i numerosi vizi dell'uomo - ma comprese, ben
presto, che si trattava invece di un attacco improvviso di panico.
Lo comprese per via della totale incapacità di muovere un muscolo, di proferire parola o di
sollevare lo sguardo per incontrare quello di Morozova.
'Respira, Cal! Non sarebbe carino - o educato, morire in mia presenza!' - Morozova picchiettò
il palmo della mano contro la schiena curva di O'Reilly, un paio di colpetti ben assestati, e lo
lasciò come un idiota sulla soglia del suo stesso ufficio. La porta era ancora chiusa a chiave, il
tentativo di O'Reilly era rovinosamente fallito, ma l'uomo non sembrò preoccuparsene in
nessun modo.
'Sarebbe anacronistico, non trovi? Tu, nostro Cicerone e Cavallo di Troia, che crepi prima di
portare a termine il tuo compito! E dove andresti, poi? Insomma, diciamocelo, non ti
consentirei di abbandonarci così facilmente e farla franca!'
O'Reilly deglutì sonoramente e lo fece un paio di volte, ravvicinate, poiché non riusciva a
trovare il modo di quietare il battito del suo cuore. Non si sentiva in colpa per Greendale, non
gli era mai importato un cazzo di quella città di merda, si sentiva in colpa per se stesso!
Sapeva che, prima o poi, quelle azioni avrebbero avuto un prezzo e quel prezzo, porca
puttana, sarebbe stato troppo alto persino per lui.
Finalmente lo osservò. Finalmente trovò il coraggio di alzare lo sguardo dai propri piedi e
guardare l'uomo, - o qualsiasi cosa fosse - che aveva appena fatto svanire la porta di fronte ai
suoi occhi.
Morozova era un uomo alto. Maledettamente alto. I suoi occhi erano di un azzurro intenso, ma
inaspettatamente, non erano freddi come si poteva erroneamente pensare. Erano occhi caldi,
profondi e... antichi.
Il suo sguardo era antico, O'Reilly lo sentiva, ma temeva di poter sapere quanto quell'uomo
potesse essere 'anziano'. Eppure, fisicamente, Morozova non dimostrava più di una trentina di
anni.
Se O'Reilly avesse dovuto fornire una personale descrizione dell'uomo, probabilmente lo
avrebbe definito 'innaturalmente attraente'. E O'Reilly non aveva mai provato, mai nella sua
vita, nessun tipo di attrazione nei confronti di un altro uomo.
'Q-Quando vuole - La sua famiglia è qui?' - O'Reilly allungò una mano, tremando come una
foglia, solo per smuoverla nell'aria e constatare l'effettiva sparizione della porta. Deglutì ancora
una volta, solo una, e sfregò la manica della camicia contro la fronte: era sudato da fare
schifo.
'La mia famiglia è ovunque, Cal.' - Morozova allungò due dita per sfiorare il nodo della cravatta
di Caledon, lo sistemò per cancellare una antiestetica sgualcitura e sfilò, con un sorriso, una
sigaretta dal taschino stropicciato e macchiato di nicotina. - 'Angina pectoris.'
'Co-come?' - O'Reilly indietreggiò istintivamente con la schiena, senza muovere un passo per
evitare di offenderlo. Osservò le lunghe dita, - ed erano davvero lunghe, curate e profumante
di sandalo - cingere il cilindro biancastro della sigaretta e sbatté un paio di volte le palpebre,
per mettere a fuoco il viso dell'uomo.
'Quello che stai sperimentando in questo momento, sai il...' - Morozova sospinse il dito indice
contro il petto flaccido di O'Reilly, - e provò una forma atavica di disgusto nel farlo - e curvò le
labbra sistematicamente verso l'alto, senza mostrare la dentatura, per formare una parvenza
di sorriso sarcastico - ' ... dolore lancinante al petto. Hai paura di me, Cal? Perché, amico mio,
dovresti averne solo se - e apri bene queste orecchie da coyote, nel tuo cuore, fosse presente
l'intenzione di voltarci le spalle.'
_________ | LA GRANDE DISCORDIA - PARTE UNO

L'esilio era tutto ciò che conosceva. Un tempo, forse, aveva conosciuto gloria e potere, ma
dopo la caduta e l'ascesa dei suoi tanto temuti figli, Chronos aveva conosciuto solo l'esilio. Era
un uomo distinto, molto elegante e raffinato, ma non aveva mai rivolto la parola ad anima viva
e, durante gli anni trascorsi a Sofia, non aveva stabilito alcun legame affettivo. Gli piaceva
frequentare locali notturni, malfamati, per il solo gusto di percepire l'odore ed il sapore del
sudore dei mortali, forse per ricordare quanto essi fossero stati causa e conseguenza della
sua caduta.
Rea era rimasta al suo fianco senza mai lamentarsi, senza mai prendere una posizione, ma
nel corso del tempo aveva assunto il ruolo di "figurante" nell'esistenza del compagno e,
inaspettatamente, era scomparsa nel 2014, durante una tempesta, senza lasciare traccia.
Chronos diceva che si era gettata nel vento e nella neve, a piedi nudi, ridendo e cantando a
squarciagola come una folle, ma nessuno dei suoi figli volle credere ad una spiegazione tanto
surreale, riguardante la scomparsa della loro madre.
L'avevano cercata per mesi, per anni, ma nessuno era stato in grado di trovarla. Zeus si era
convinto che fosse morta, che fosse andata distrutta nella sua stessa disperazione, ed
incolpava Chronos per questo. Lo incolpava di molte cose, a dire il vero, in primis di aver
tentato di digerirlo quando era poco più di un neonato, ma la sparizione di Rea era la sola
cosa che non gli avrebbe mai perdonato.
Chronos, dal canto suo, decise di non fornire più alcuna spiegazione o alcuna giustificazione,
si limitò a tacere ed a rinchiudersi ancor di più nel suo isolamento forzato, rifiutando qualsiasi
contatto con i figli o qualunque altro membro della famiglia.
Questo fino al momento della Seconda Grande Discordia.

Procediamo con ordine.

Cos'è la Grande Discordia?

Conosciamo tutti il mito di Eris e della Mela della Discordia, di come la Dea furiosa per
l'esclusione dal banchetto nuziale di Peleo e Teti, fece rotolare una mela dorata dichiarando
che essa era destinata alla "più bella delle divine invitate. Quella mela fu motivo di una disputa
tra Era, Afrodite ed Atena, seguita dal giudizio di Paride, che causò il ratto di Elena e fu causa
naturale della Guerra di Troia.
Quello che nessuno conosce, però, è ciò che Eris aveva in serbo per assicurarsi un posto
d'onore nella Caduta degli Dei e nell'ascesa della religione monoteista.
Eris scelse autonomamente di rinunciare all'immortalità e ad ogni privilegio divino, di schierarsi
apertamente contro la sua famiglia, - giudicata poco incline a comprendere il suo carattere
permaloso- e di sacrificare la sua stessa esistenza in favore di una vendetta a lungo termine.

Olimpo - Anno 0 G.D.

Non v'era un alito di vento sul Monte, ma i lunghi capelli bruni della dea, sembravano danzare,
piroettare, accarezzare l'aria animati da una forza invisibile. Eris non era mai stata così bella.
Ad onor del vero, a detta di marinai e temerari guerrieri, la dea della discordia era da
considerarsi la più bella tra le dee dell'Olimpo, forse ancor più di Afrodite, ma la sua crudeltà e
la sua indole selvaggia, la rendevano così temuta e pericolosa, da cancellare ogni pensiero
proibito.
Strinse le braccia contro il petto, afferrandosi i gomiti, e rabbrividì di sorpresa, quando
qualcosa di gelido e liscio, accarezzò delicatamente la pelle ambrata della sua spalla destra.
'Thanatos' - mormorò, curvando solo una piccola porzione del lato destro delle labbra,
sollevandone qualche centimetro per disegnare una minuscola smorfia sorridente. Non era un
vero sorriso o un sorriso di circostanza, era un sorriso disperato, carico di paura e di profonda
amarezza. Come era giunta a quel punto?
'La tua tranquillità mi confonde, sorella. Hai forse cambiato idea? Non vi sarebbe nulla di male
o di sbagliato ed io approverei senza pensarci due volte.'
Thanatos era sempre stato un fratello devoto e premuroso. O, perlomeno, lo era sempre stato
nei confronti di Eris. E proprio per questo, forse, Eris lo aveva scelto tra tutti i suoi fratelli, -ed i
suoi figli - per accompagnarla nell'ultimo viaggio.
Aveva l'aspetto di un giovane uomo dalla capigliatura argentata, molto alto e longilineo, dalle
guance scavate e gli zigomi molto pronunciati. A prima vista, un comune mortale, lo avrebbe di
sicuro scambiato per un adolescente dalla chioma inusuale, ma Thanatos era forse più
vecchio del Mondo stesso.
'Se cambiassi idea così facilmente, sarei forse me stessa o sarei l'esatta copia di Era o
Afrodite?' - Eris pronunciò quei due nomi con disprezzo, marcando volutamente la 'r' presente,
per dilettarsi nello sbeffeggiarle. Le detestava per svariati motivi, uno fra tanti la loro incapacità
di accoglierla come una dea degna di quel nome, ma le detestava soprattutto per la loro
stupidità. Erano alla stregua di mere ancelle di Zeus, pronte a saltellare ed a guaire come
cagne in calore, se solo egli lo avesse ordinato. E poco importavano le frequenti sfuriate di Era
nei confronti del marito, poiché ella era incapace di porre finalmente fine a quell'unione così
stupida.
'Mai ti paragonerei a loro o oserei insultarti in quel modo! Ma ciò che vuoi-'
'Eris vuole ciò che è giusto.'
'E noi accoglieremo il suo volere.'
'E porremo inizio alla Discordia.'
Tre voci molto simili si unirono al dialogo fraterno. Tre voci suadenti ma allo stesso tempo
furibonde, cariche di odio e di rabbia, di collera e malcontento.
Thanatos roteò gli occhi e sollevò tutte e due le mani con aria rassegnata, compì un passo
indietro per consentire ad Eris di voltarsi ed osservò, con un certo fastidio misto a
preoccupazione, le tre voci prendere forma umana.
Tisifone, Aletto e Megera. Questi erano i loro nomi, figlie della Notte e di Urano, - era differente
a seconda del mito, ma in realtà erano figlie di entrambi - portatrici di Vendetta e di Follia.
Le Erinni.

Eris non le aveva convocate solo per assistere. Eris le aveva convocate per essere portatrici di
vendetta nei confronti degli dei, per essere le messaggere dirette della loro Caduta.
'Non voglio attendere ancora.' - mormorò, allontanandosi dal fratello per raggiungere la sala
interna dell'altare.
Tutto era stato predisposto da un'ancella umana, una giovane sacerdotessa di Corinto, che il
Fato aveva portato sulla strada di Eris, dopo uno scontro con Poseidone.
La giovane donna, il cui nome era Khalesta, aveva scelto di seguire Eris e di diffondere il suo
culto, quando il suo futuro marito, un giovane pescatore, aveva scelto di sacrificarla al Dio del
Mare e l'aveva lasciata, per tre notti e tre giorni, su di uno scoglio in mezzo al mare.
Khalesta aveva pianto, aveva urlato, si era strappata quasi tutti i capelli per la disperazione ed
aveva la pelle così bruciata da essere irriconoscibile, ma era viva. Era sopravvissuta.
Ed Eris l'aveva trovata in quel modo.
Poseidone aveva inviato Caribea per stritolarla ed ingoiarla in un sol boccone, ma la Dea della
Discordia aveva scacciato il serpente marino ed aveva tratto in salvo la giovane,
trasportandola nel suo Tempio.
Il Dio del Mare era in collera con Eris da tempo, da quando la Dea aveva instillato in Anfitrite il
dubbio che il marito, la tradisse con nuove mortali, dunque quel giorno, dopo averla convocata
nelle profondità degli abissi, era stato vittima della sua collera e, subito dopo, si era ritrovato
ad essere vittima anche di un rapimento di un'offerta.
Ovviamente, non passò molto tempo prima che il Dio, offeso ed avvilito per quella mancanza
di rispetto, si rivolgesse a Zeus per ottenere giustizia, ma il fratello scelse di rimanere neutrale
e convinse il dio del mare a rinunciare all'umana.
Così, Khalesta divenne la prima ed unica sacerdotessa del culto di Eris e la sola testimone
umana, dell'inizio della Grande Discordia.

Tutto era stato preparato alla perfezione. L'altare era stato impreziosito con fiori di asfodelo,
colti da Khalesta personalmente, ed il profumo di ambrosia era così intenso, da far girare la
testa.
Drappi neri e dorati ricoprivano le mura ed i pavimenti del tempio, illuminato solo dalla luce
fioca di centinaia e centinaia di candele. Khalesta colmò un calice di vino, tagliò un melograno
a metà e sistemò il tutto su di un vassoio di ardesia, che pose a fianco dell'altare.
Eris osservò quel luogo con gli occhi lucidi. Quel posto, quei fiori, quelle luci, sarebbero state l
ultime cose che avrebbe visto.
Chiuse gli occhi ed inspirò a pieni polmoni il profumo dell'asfodelo e dell'ambrosia, poichè
sarebbero state le ultime cose che avrebbe annusato.
Tisifone slacciò la piccola corda che tratteneva la veste ancorata al suo corpo nudo, una
piccola corda dorata che cingeva delicatamente il collo esile, e la stoffa candida scivolò lungo
le sue forme, delicata come una mano devota, arricciandosi sul pavimento, attorno alle
caviglie nude.
Il corpo di Eris ebbe un fremito. Qualche istante trascorse nell'immobilità totale, nl silenzio
assoluto, ma alla fine, la dea della Discordia sollevò il piede destro dal terreno, scavalcò la
veste ed iniziò a camminare, sicura ed ancheggiante, sino all'altare.
Sfiorò la pietra gelida con la punta delle dita, percorrendola appena con i polpastrelli, ed alzò
lo sguardo per un solo secondo, un solo istante, per incontrare le iridi violacee di Thanatos.
Il fratello, il cui sguardo aveva perduto ogni timore, cinse l'elsa di un pugnale argenteo tra le
lunghe dita biancastre ed annuì, un paio di volte, con lenti movimenti della testa.
Eris si sedette al di sopra dell'altare, i glutei bronzei a contatto con la dura pietra, sollevò le
gambe ed appoggiò piante e talloni sui drappi, puntellandosi per sollevare il bacino e trovare la
giusta posizione. Quando fu certa di averla trovata, distese le lunghe gambe sulla pietra e
lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi, inspirando ed espirando lentamente.
'Qui giacciono le spoglie di Eris, la Discordia, ma ella vivrà nel tempo e condannerà tutti voi
alla disperazione.'
Sorrise e sorrise di gusto, rise e rise di cuore, ma una lacrima sfuggevole illuminò la guancia
tremante e Thanatos, in quel momento, ebbe la conferma del terrore di Eris.
Aletto sistemò tre mele, tre pomi neri, al fianco di Eris e si inginocchiò accanto a Tisifone e
Megera.
'Disperazione.'
'Vendetta.'
'Discordia.'
Thanatos sollevò alto il pugnale ed accompagnò il gesto con una sonora deglutizione.
'ERIS VIVE.'
La lama di Thanatos affondò nelle carni di Eris. Lacerò la pelle dorata dell'addome, dilaniò la
perfezione marmorea del suo petto, squarciò il suo cuore così profondamente, da ucciderla
all'istante. Eris era immortale, questo era vero, ma Thanatos era riuscito a trovare il modo di
convogliare la sua immortalità, all'interno dei Pomi d'Ebano.
Il sangue che sgorgò dalla ferita, sangue scuro e denso, dal vago profumo di ambrosia, iniziò
ad incanalarsi attraverso le scalfitture dell'altare ed a convogliare, direzionato dal potere di
Thanatos, verso i Pomi.
Tisifone, Aletto e Megera si appropriarono di un Pomo a testa e subito dopo aver porto i loro
omaggi alla defunta Eris, svanirono nel nulla e lasciarono Thanatos in compagnia di Khalesta.
'Lei avrebbe voluto essere apprezzata, sapete? Mai lo avrebbe ammesso, mai ad alta voce,
troppo orgoglio e timore d'apparire debole, ma desiderava solo essere apprezzata.'
Khalesta poggiò un drappo scuro sul corpo martoriato della Dea ed accarezzò i suoi capelli
scuri, con dolcezza, trattenendo a stento un piccolo singulto dettato dalla tristezza.
'Perché ne parli al passato?' - domandò Thanatos, rivolgendosi alla giovane sacerdotessa con
un piccolo cenno del capo - 'Eris non è morta, o meglio è morta nelle sue spoglie mortali, ma il
rituale appena compiuto ha consegnato la sua essenza all'eternità.'
Sorrise nel pronunciare quelle parole, nell'immaginare cosa sarebbe avvenuto di lì a poco, ed
allungò una mano per sfiorare il bel viso di Khalesta: l'avrebbe portata con se. In onore ad
Eris.
'Sorridi, Khalesta, poiché ha inizio la Fine degli Dei! Sorridi, Khalesta, poichè ha inizio la
Discordia.'

Tisifone, Aletto e Megera si ritrovarono sulla cima del Monte Olimpo. Troppo occupati a
banchettare e gozzovigliare come le divinità viziate che Eris tanto detestava, nessuno degli dei
parve accorgersi di loro.
Ne Afrodite, intenta ad osservare il suo riflesso in una fontana, ne Era, intenta a conversare
amabilmente con Demetra.
Le tre Erinni sollevarono i Pomi sull'Umanità, sui Mortali che gli Dei governavano tra rispetto e
terrore, sulle creature che tanto amavano comandare. Sollevarono i Pomi e li strinsero così
forte, da farne cadere il succo sugli Uomini e sulle Donne. E gli Uomini e le Donne, colpiti da
quelle gocce così dense e preziose, spalancarono gli occhi e la mente su chi fossero davvero
gli Dei che tanto veneravano.
Brutali.
Assassini.
Incivili e viziati fanciulli immortali, ebbri di vino e di potere, incapaci d'essere davvero imparziali
e giusti.
Eris entrò in ognuno di loro, instillò dubbi, rabbia, dolore e ribellione.
Caddero le statue, crollarono i templi, bruciarono le effigi ed affondarono le navi.
Il tempo degli Dei era finito.

Sofia- Russia- Anno 2020 D.G.D.

Chronos non riusciva davvero a comprendere il perché, dopo tanto tempo, Zeus si fosse
presentato alla sua porta ed avesse preteso, senza neanche attendere un suo consenso, di
conversare con lui. Odiava suo figlio, lo aveva sempre odiato, ma con il tempo aveva persino
imparato ad ignorarlo o - ancor meglio - a fingere che non fosse mai esistito.
'Un nuovo tentativo di incolparmi della sparizione di Rea?' - sistemò due boccali di birra sul
tavolino di legno massiccio ed accompagnò le natiche sulla sedia, biascicando qualcosa in
russo, inerente ad un dolore lancinante al fianco.
'Ti sembrerà assurdo, ma sono quasi sicuro che tu non sia coinvolto.' - Zeus afferrò il boccale
con la mano destra, non senza un po' di timore, lo sollevò e si assicurò che non vi fosse del
veleno o qualcosa di peggiore. D'altronde, come biasimarlo? Quello che aveva di fronte, lo
aveva ingoiato in fasce. - 'Credo sia tutto collegato.'
'Collegato a cosa? Vorrei ricordarti che sono stato estromesso dalle faccende di famiglia molto
tempo fa, quando questo mondo ancora non conosceva il significato di famiglia!'
'Vuoi davvero parlare del motivo per cui sei stato estromesso? Davvero?'
'Ehi, ehi, ehi! Potreste smettere di interpretare i due protagonisti di uno sceneggiato della ABC
e concentrarvi sul problema? Uh?' - Hades spalancò la porta dell'appartamento di Chronos,
senza neanche annunciarsi, attraversò il corridoio ancheggiando ed afferrò il boccale di birra
dalle mani di Zeus, tracannandolo in un solo sorso. Dopodiché, una volta espresso il suo
apprezzamento con un sonoro 'AH!', sbatté il boccale vuoto sul tavolo e si mise a sedere sul
davanzale della finestra, con un sorrisone sornione stampato sulle labbra.
'Chi ti - Hai portato tuo fratello con te?! HADES? Tra tutti i tuoi fratelli, dovevi proprio portare
lui?!?' - Chronos urlò all'improvviso ed affondò le dita di ambedue le mani, attraverso la
capigliatura canuta. Sembrava disperato. O forse, molto probabilmente, lo era davvero.
'Tu pensi davvero che lo abbia portato di mia spontanea volontà?' - Zeus sospirò ed afferrò il
boccale vuoto, lanciando un'occhiata di disappunto al fratello.
'Ciao papà, anche io sono contento di vederti! Ti ricordi quando sono nato e mi hai ingoiato? E'
stato un modo per sentirti più vicino a me, oppure mamma aveva dimenticato di preparare la
cena?' - Hades picchiettò indice e medio contro il mento glabro, corrucciò le labbra fingendosi
pensoso ed infine, dopo aver arrotolato la lingua, emise un piccolo fischio.
'Hades!' - Zeus richiamò la sua attenzione sbattendo violentemente il palmo della mano sul
tavolo, ma Chronos aveva già lasciato la sedia e sembrava del tutto intenzionato a mandarli al
diavolo entrambi.
'Padre, aspetta almeno che la situazione sia chiarita!'
'Aspettare cosa? Altri insulti o ricordi di tempi passati?' - Chronos indossò la giacca con un
certo nervosismo, sbagliando anche un paio di volte, ma alla fine riuscì a sistemarla a dovere
ed a scuotere la testa.
'Stiamo per morire tutti, papà! E il nostro caro Zeus, meraviglioso oratore e diplomatico
d'eccezione, pensava che avvisarti fosse il solo modo per cavarcela! Tradotto...' - Hades saltò
giù dal davanzale, a piè pari, ed atterrò di fronte al genitore, questa volta senza alcun cenno di
sarcasmo o ilarità presenti sul volto.
Abbassò il busto, poiché decisamente molto più alto di lui, e lo sovrastò completamente.
'... Eris e la sua Discordia, ricordi? La seconda parte del suo folle piano, quello che ci ha fatti
cadere uno dopo l'altro e ci ha condannati a nasconderci tra i mortali! Dobbiamo trovare un
altro posto, purtroppo e, ancor peggio, dobbiamo restare uniti e fare fronte comune, o
soccomberemo e questa volta sarà per sempre. Ora, il nostro adorato latin lover dei fulmini, ha
pensato che tu potessi trovare un luogo adatto, uh?' - sistemò la giacca del padre con tutte e
due le mani, lisciandone le parti sgualcite con i palmi - 'Perchè, Chronos, neanche tu sei
ancora pronto a morire.'
________ : LA GRANDE DISCORDIA - PARTE DUE

'Perché, Chronos, neanche tu sei ancora pronto a morire.'


Hades possedeva il dono dell’eloquenza e Chronos, colto di sorpresa, non riuscì a trattenere
un gemito sommesso, soffocato almeno in parte dalla rapida serrata delle labbra. Quello che
un tempo era stato un dio crudele, litigioso ed ebbro di potere e morte, ora non era altro che
un povero vecchio spaventato, solo, incapace di provvedere a sé stesso se non con alcolici,
oppiacei e vecchie baldracche dalle cosce penzolanti.
‘Che cosa pensate che potrei fare? Sono stato esiliato proprio da voi!’ - Chronos si liberò della
stretta del figlio minore con uno strattone, indietreggiò barcollando per qualche secondo e
fessurizzò lo sguardo per osservare Zeus, inspiegabilmente silente. - ‘Non avete neanche la
più pallida idea del perché vi troviate qui, non è vero? Avete paura! Avete paura di non essere
in grado di difendervi, di finire le vostre miserabili esistenze in un bagno di sangue e merda!’

‘Adesso taci!’ - Zeus gli fu addosso in un lampo. E non si trattava di una metafora alquanto
ironica, affatto, poiché non appena scattò in piedi e la sedia su cui era seduto rovinò a terra,
nel cielo di Sofia si sprigionò una saetta ed il boato fece tremare l’intera area urbana. Il fulmine
colpì direttamente Chronos, all’interno della cucina, proprio in mezzo al petto. Uno sgradevole
odore di carne bruciata e candeggina, rese l’aria della stanza irrespirabile e Hades, infastidito,
spalancò una delle finestre poste sul cortile della casa.
‘Questo avrei potuto farlo anche io.’ - borbottò, agitando nervosamente il palmo della mano di
fronte al viso, per smuovere quanta più aria possibile.
Chronos era ancora in piedi, nel bel mezzo della cucina, con un buco nero in mezzo al petto
ed un’espressione poco rassicurante stampata sul viso. Aveva mantenuto la calma sino a quel
momento, con tutta la fatica dovuta al fastidio di rivedere i loro volti, ma Zeus aveva
oltrepassato ogni limite ed ora, a distanza di millenni dal loro ultimo incontro, Chronos provava
nuovamente il desiderio viscerale di divorarlo.
‘Prima che vi apprestiate a radere al suolo l’intera Madre Russia’ - Hades enfatizzò l’accento
russo volontariamente, marcando esageratamente la ‘R’ di Russia per imitare uno dei tanti
villain, presenti in qualche film americano. - ‘Vorrei ricordare ad entrambi che siamo nella
merda fino al divino collo!’
Inumidì le labbra con la punta della lingua, in maniera molto lenta ed accurata in ogni dettaglio,
si guardò attorno per osservare con attenzione il luogo in cui Rea e Chronos avevano vissuto
per secoli ed afferrò una piccola cornice di legno, molto elegante, contenente una foto di Rea.
Era sorridente e spensierata, con i lunghi capelli rossi lasciati liberi nel vento, lo sguardo rivolto
verso la fotocamera e un lungo vestito bianco, meraviglioso, adatto alla sua figura matriarcale.
‘Rimettila al suo posto, Hades.’ - mormorò Chronos in un tono che, curiosamente, Hades
avrebbe definito disperato. Alzò lo sguardo per osservarlo e vide, forse per la prima volta nella
sua esistenza, una luce disperata e rassegnata illuminare i suoi occhi chiari. Chronos non era
più il padre che ricordava, quel padre spietato ed omicida, che non aveva avuto alcun
ripensamento nell’ingoiarli appena nati. Era un uomo solo, triste e.… inutile.
‘Se ti manca così tanto, forse, dovresti pensare al fatto che è là fuori da qualche parte.’ -
ripose la foto al suo posto, non senza provare una piccola fitta al centro del petto, ma non
smise di osservarla e di cercare, nello sguardo di Rea, un segno di follia o disperazione. - ‘E
che morirà anche lei se non troviamo una soluzione.’
‘Una fonte di potere.’ - Chronos pronunciò quelle parole in un sospiro, incurante del fatto di
avere appena mandato a puttane, letteralmente, ogni speranza di una vita solitaria.
‘Chiedo scusa?!’
‘Ci serve una fonte di potere infinita, una sorta di batteria perpetua, che ci consenta di
attingere alla magia e di ricaricarci.’ - Si lasciò cadere sul pavimento, senza neanche pensare
al fatto di poter sgualcire o impolverare i calzoni: era maledettamente stanco e non desiderava
altro che poter riposare per qualche minuto. - ‘Eris ha sacrificato sé stessa, la sua immortalità
per generare la pura Vendetta e far sì che essa non avesse fine. Ora, per quanto posso
immaginare, la seconda parte del suo piano prevede la nostra estinzione, giusto? Quindi, le
Erinni avranno bisogno di trovarci deboli, impreparati e... divisi. Esattamente come un tempo.’
‘Non siamo mai stati divisi!’ - tuonò Zeus, pronto a scagliare nuovamente la sua folgore contro
il padre, reo di aver offeso la sacra convivenza degli Dei.
‘Ah, taci fratello!’ - Hades spalancò le braccia e si frapposte tra lui ed il padre, scuotendo il
capo come se non credesse a ciò che aveva appena udito. E quell’espressione, così incredula
e quasi offesa, era così genuina da essere letale per Zeus. - ‘ Tu hai creato il tuo piccolo
mondo perfetto, con le tue divinità adoranti ed il tuo stuolo di leccaculo! Adoravi – ed adori
ancora, temo, essere venerato ed idolatrato, ma mettevi alla gogna chiunque osasse
contraddirti o metterti in ombra! Non difenderò mai Chronos, possa Cerbero dilaniare le mie
carni se mento, ma non fingere che la nostra famiglia sia un esempio di amore e condivisione!’
‘Tu hai scelto di --’
‘Possiamo, cortesemente, tornare alla questione inerente alla nostra imminente dipartita? E’
un argomento assai più rilassante!’
Hades rivolse un piccolo cenno del mento a Chronos, un lieve movimento di assenso, per
invitarlo a continuare la sua spiegazione ed ignorare le prese di posizione - pressoché inutili, a
suo giudizio – del fratello maggiore.
‘Un vulcano sotterraneo potrebbe essere abbastanza potente per alimentarci. La Terra è in
continua evoluzione, in continuo mutamento, e lo sconvolgimento climatico potrebbe persino
essere positivo per la nostra causa. Un vulcano sotterraneo, di grandi dimensioni, ancora
attivo ma dormiente, alimenterebbe i nostri poteri e li amplierebbe. Una sorta di batteria
naturale ed avremmo modo di ricaricarci per altri millenni, prima di trovare un nuovo posto.’
‘D’accordo, tutta questa lezione di geologia è stata illuminante e maledettamente interessante,
dico sul serio, ma non sappiamo ancora quale sia la seconda parte del piano di Eris e...’
‘Vuole esporci, Hades.’ - Chronos sorrise e quel sorriso fece raggelare il sangue nelle vene di
Hades. Zeus incrociò le braccia sul petto, nervoso ed inquieto come non mai, ma restò in
silenzio ed attese qualche secondo, prima di spalancare i palmi delle mani ed invitare Chronos
a spiegare ancora una volta.
‘La prima volta è stato tremendo, giusto? Siamo – o siete, questo in realtà è quasi divertente
per me, stati destituiti e sostituiti da una divinità immaginaria, creata ad arte per imbonire le
folle. Ma questa volta, in questo mondo così moderno e violento, così egoista e senza
scrupoli, non andrà così! Gli uomini scatenerebbero la Fine dei Tempi, distruggerebbero il
Globo pur di sterminarci, perché avrebbero paura della nostra stirpe e ci riterrebbero mostri.
Vagheremmo nell’Oblio, nel buio, nel Nulla per l’eternità, poiché non vi sarebbe Olimpo, non vi
sarebbe Erebo e non vi sarebbe nulla per nessuno di noi!’
Hades e Zeus si ritrovarono spalla a spalla, senza neanche rendersi conto di essersi spostati
ed avvicinati l’uno all'altro. Non erano mai stati uniti, forse non avevano mai davvero provato
affetto l’uno nei confronti dell’altro, ma in quel momento sentirono il bisogno viscerale ed
atavico di ottenere un... contatto.
‘Bene, immagino di dovermi preparare e di dover radunare l’intera famiglia, non credete?’
‘Sono io a guidare questa famiglia, Chronos, non tu! Sarò io a--’
‘Come preferisci, Zeus. Dunque, data la tua grande esperienza in merito a questa vicenda,
dove suggerisci di andare?’ - Chronos stirò le labbra sottili e rugose in un sorrisino ironico, si
alzò da terra senza ricevere il benché minimo aiuto dai suoi figli e sfregò i palmi delle mani
contro la stoffa ruvida dei calzoni, ripulendosi dalla polvere e dalla cenere generata dalla
folgore. - ‘Sono tutto orecchi e sono quasi certo che anche tuo fratello sia impaziente!’

Le guance di Zeus sembrarono prendere fuoco dall’interno. Il dio si sentì bruciare, di rabbia e
di vergogna, ma trattenne il fiato e contò sino a dieci – un piccolo insegnamento di Afrodite,
divenuta negli anni una sostenitrice dello Yoga, ricacciando indietro ogni insulto e turpiloquio
da inveire contro Chronos.
‘Come pensavo! Hades? Sei sempre stato abbastanza intelligente da mantenerti in disparte,
mentre tuo fratello gozzovigliava ed ingravidava ogni femmina terrestre e non, dunque
organizzerai tu il viaggio per Greendale.’
Hades trasalì - ed in parte si sentì quasi orgoglioso delle parole di Chronos, ma non l’avrebbe
mai ammesso ad alta voce, ed indicò sé stesso con la punta dell’indice destro, mormorando
un ‘moi’ appena percettibile.
‘E non temi che possa pugnalarti alle spalle e utilizzare le tue informazioni a mio solo ed unico
vantaggio?’
‘Oh, so che lo faresti e sono sicuro che una parte di te ci stia realmente pensando, ma sono
anche sicuro che l’idea di scavalcare Zeus ed avere il comando degli Dei, anche se solo in
maniera momentanea, sia una prospettiva talmente allettante, da superare ogni altro
desiderio.’

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