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Mae superò i buttafuori al piano terra. Naturalmente lo fece. E ci
riuscì senza ricorrere a un replay delle tattiche di Dady's Girl, anche se lo
avrebbe fatto se avesse dovuto, e come vampira, avrebbe potuto abbattere il
blocco di una qualsiasi di quelle barriere di uomini all'ingresso. Era più
efficiente, tuttavia, azionare gli interruttori in quei cervelli umani e
scivolare dentro come se quel posto le appartenesse, un granello di pepe tra
cristalli Swarovski.
E ora era lassù, stipata in mezzo a un gruppo di umani vestiti per lo
spettacolo, le loro spalle che urtavano contro le sue, i loro odori che le
invadevano il naso come dita, il loro canto eccitato un fumo tangibile e
nocivo che addensava l'aria e le ostruiva i polmoni. Assaltata dal misero
sovraccarico sensoriale, il suo cervello cercò di elevarsi al di sopra, ma la
sua consapevolezza era come un globo di neve, un’agitazione vorticosa che
oscurava l’elemento centrale.
Dov'era il Reverendo?
Sforzandosi di calmarsi, cercò di usare il suo istinto. Non aveva idea
di che aspetto avesse il maschio, quale fosse il suo vero nome. Ma i vampiri
potevano individuare i vampiri, e lei non se ne sarebbe andata fino a quando
non l'avesse trovato...
La folla si spostò all’improvviso, gli umani si muovevano come
bestiame spaventato nella superficie di cemento del garage e, quando lei
cercò di allontanarsi da qualunque confusione stesse accadendo, trovò
improvvisamente spazio intorno a lei. Era completamente sola.
Guardando in basso, come se ci fosse una bomba in una valigetta che
in qualche modo le era sfuggita, vide due linee rosse dipinte con lo spray. E
quando alzò lo sguardo, scoprì di essere all'inizio di una lunga interruzione
nella calca dei corpi.
Mae perse tutto il respiro nei suoi polmoni.
Il tempo rallentò. La gente scomparve. Non era nemmeno più sicura
di dove si trovasse.
Il vampiro in fondo al parcheggio che guardava fuori nella notte, era
straordinario… e terrificante.
Prima di poter formare qualunque altro pensiero, una luce accecante
esplose ovunque.
Il cielo notturno venne inondato da luce così brillante, così vasta, che
era come se la Vergine Scriba avesse rivolto la sua ira sulla terra stessa. E
poi arrivò l'esplosione. Qualunque impatto fosse avvenuto era stato
talmente devastante che un lampo ancora più intenso illuminò il parcheggio,
una luce bianca irruppe da tutti i lati e prese il sopravvento come un tuono
lontano che si riverberava per tutta la città.
Eppure, nonostante tutto questo, Mae aveva occhi solo per il maschio.
Quel tatuaggio della morte sulla sua ampia schiena era orribile, e lei
aveva la sensazione che lo fosse anche lui...
Il combattente si voltò e lei sussultò. Aveva grandi spalle gonfie di
muscoli e cosce che erano fissate saldamente nel cemento su cui si trovava.
Anche il suo petto nudo era tatuato, il paesaggio nero e grigio sopra i
pettorali e gli addominali raffigurava una mano ossuta che si protendeva dal
suo torso. Come se fosse il canale attraverso il quale il Dhunhd reclamava
ciò che gli era dovuto.
- Stai indietro! –
Ancora una volta, Mae ignorò che si stavano rivolgendo a lei.
Ma poi una mano le afferrò il braccio e per una frazione di secondo il
suo cervello le disse che si trattava dell'artiglio del combattente. Con un
grido sussultò e, prima di poter comprendere la realtà, venne trascinata
indietro.
- Sei nella fottuta zona di sicurezza - scattò l'uomo. - E credimi, vuoi
toglierti di mezzo da qui –
Non c'era dubbio di cosa stesse parlando il ragazzo, e Mae si portò le
braccia attorno alla vita, anche se non era il bersaglio di nessuno. E che
l'avversario del vampiro fosse pronto o meno, o che la folla fosse in grado
di gestire ciò che stava per accadere, il maschio iniziò a farsi avanti, una
minaccia con stivali pesanti che atterrò come se stesse dominando tutta
Caldwell. Con il mento abbassato e lo sguardo malizioso dritto davanti a sé,
la sua fronte e la sua espressione brutale rendevano impossibile dire di che
colore fossero i suoi occhi, ma nel midollo, lei sapeva che erano neri. Neri
come l'anima depravata che dimorava in quel corpo terribile e potente.
Un senso di terrore si diffuse in Mae e lei cercò di allontanarsi ancora
di più, ma i corpi alle sue spalle erano troppo ammassati. E poi le venne in
mente. Con chi diavolo stava combattendo il maschio?
Lei spostò la testa nell'altra direzione.
- Oh Dio… -
L'umano che stava per essere mangiato come un pasto era più basso di
pochi centimetri e più leggero di cento libbre, ed era chiaro, dall'espressione
di pura paura sul suo viso magro, che sapeva di essere nei guai. Anche lui
aveva dei tatuaggi, ma erano un miscuglio di scritte, simboli e colori di
inchiostri diversi, una raccolta casuale non molto più coordinata di quella
che le era caduta dalla borsa la sera prima. E lei immaginò, guardando i
suoi occhi spalancati e dilatati, che i suoi pensieri non fossero più
organizzati dei suoi tatuaggi.
Mae voleva dirgli di scappare. Ma lui sapeva già che la fuga era nel
suo interesse. Stava guardando dietro di sé come per valutare la sua
traiettoria di fuga, eppure, per qualche ragione, affondò in una parvenza di
posizione da combattimento e alzò i pugni ossuti fino alle guance. Mentre la
sua testa e le sue spalle si piegavano in avanti, il resto del suo corpo si
inarcò all'indietro sui fianchi, come se i suoi organi vitali non volessero
farne parte.
E il vampiro continuava ad avanzare.
Il maschio si fermò solo quando si trovò dentro l’incerto cerchio
interno che era stato dipinto con lo spray sul cemento e, a differenza
dell'umano, non si stava preparando ad aggredire. Si limitava a fissare
l'uomo con le braccia lungo i fianchi e la spina dorsale dritta come una
quercia. Niente pugni. Nessun affondo accennato o in corso.
In effetti era un predatore così mortale da non aver bisogno di difese
né di offese. Lui era una legge della fisica, innegabile e inevitabile.
Mentre la folla restava in silenzio e i due combattenti era sul punto di
venire alle mani, Mae si ritrovò a fissare il petto nudo del maschio. C'era
qualcosa di affascinante nel modo in cui la mano si muoveva mentre
respirava con inspirazioni calme e controllate. Nel frattempo, dall'altra parte
del cerchio, l'umano aspettava un attacco con una serie di saltelli. Quando
non accadde nulla, i suoi occhi si spalancarono. La folla stava diventando
irrequieta e l'uomo sembrò costretto dalla loro impazienza. Si avvicinò con
cautela, il maschio non si mosse. E poi l'umano tirò il primo pugno, l'angolo
verso l'alto a cercare quella mascella pesante...
Il maschio afferrò quel pugno nel suo palmo molto più grande, e torse
il braccio come una corda. Quando l'umano emise un grido e cadde in
ginocchio, la folla rimase senza fiato e poi tornò il silenzio.
- Basta - disse Mae sottovoce. - Smettila… -
L'espressione del vampiro non cambiò mai. Nemmeno il suo respiro.
E aveva senso. Era un assassino che non si stava esercitando.
Senza battere ciglio, costrinse l'umano sulla schiena e poi si mise a
cavalcioni sulla preda. L'uomo sembrava momentaneamente incapace di
reagire per il terrore. Ma questo cambiò. Qualche ingranaggio scattò nella
sua testa e iniziò a scalciare, la sua gamba era abbastanza piccola da potersi
piegare e colpire con il piede l'area dell'inguine. Il vampiro saltò fuori
portata e tornò giù con una serie di nocche mirate al viso che furono evitate
per un soffio. Il cemento si incrinò sotto la forza dell'impatto del pugno e
l'umano balzò di nuovo in piedi. Il suo equilibrio era pessimo, e il suo
avversario più grande ne approfittò, afferrando l'altro braccio, lo fece girare
e lo tirò indietro contro quell'enorme petto.
Non morderlo!, pensò Mae. Sei pazzo? Con tutti questi umani?
Solo che fu l'umano ad affondare i canini nella pelle, i suoi denti si
bloccarono nell'avambraccio. Non durò a lungo. Il vampiro si liberò dal
morso anche se parte della carne se ne andò con quella bocca, e poi tirò un
pugno per la seconda volta.
L'impatto sul lato del cranio fece svenire l'umano, il corpo magro
cadde in modo disarticolato sul cemento, in un mucchio tenuto insieme solo
da quella sacca di pelle tatuata.
Il sorriso del vampiro tornò.
Lento. Pericoloso. Mortale.
Con solo un accenno di zanna.
Quando l'umano iniziò a muovere le braccia e le gambe come se non
fosse sicuro che fossero ancora attaccate, il maschio si chinò e aspettò che
tornasse completamente cosciente. Perché, chiaramente, non bastava
uccidere. Dovevi uccidere la tua vittima solo quando si rendeva conto che
gli stavi togliendo la vita...
All'improvviso, tutto ciò che Mae riuscì a vedere fu suo fratello. Era
Rhoger a giacere sotto quella minaccia. Rhoger era il più debole dei due che
stava per essere colpito. Rhoger stava per morire...
- No! - urlò. - Non fargli del male! –
A causa del silenzio scioccato della folla, la sua voce si diffuse per
tutto il livello del parcheggio, e qualcosa in essa… l’altezza? Il tono?…
attirò l’attenzione del vampiro. Poi quel viso terrificante si voltò verso di
lei, e quegli occhi orribili si strinsero.
Il cuore di Mae si fermò.
- Per favore - disse. - Non ucciderlo... –
Dal nulla, l'umano colpì con un debole pugno che ancora una volta
mancò il segno su quella mascella prominente.
Ma poi arrivò il sangue.
Un rivolo.
Uno zampillo.
Un geyser.
Dalla gola del vampiro.
Confusa, Mae guardò la mano che aveva inferto quel colpo leggero e
qualcosa d'argento scintillò nella presa dell'umano. Un coltello.
Mentre la pioggia rossa cadeva sulla gola e sul petto dell'uomo,
cinquecento paia di scarpe e tacchi alti cominciarono a scappare, la folla
corse verso la tromba delle scale. Nel frattempo, l'umano sembrava
scioccato dal suo successo. Quanto al vampiro? La sua espressione non era
cambiata, ma non perché stava ignorando la sua ferita mortale. Toccò la
seconda bocca che era stata aperta al lato della sua gola e poi portò le dita
lucide nel suo campo visivo.
Quando si spostò di lato, semmai, era quasi seccato. Cadde in
ginocchio. Appoggiò una mano sul cemento per evitare di crollare
completamente. Nel frattempo, chiaramente incerto se fosse o meno libero
dal pericolo, l'umano si divincolò da sotto e decollò correndo a perdifiato.
Mae guardò il vampiro. Poi diede un'occhiata alla tromba delle scale
che era ostruita dai corpi che cercavano di uscire dal garage, dal quartiere,
dallo stato.
- Merda - mormorò mentre dei gorgoglii si alzavano dal maschio.
Non farti coinvolgere, si disse. La tua prima e unica preoccupazione è
Rhoger.
Solo che voleva essere d’aiuto. Dannazione, si sentiva responsabile
per aver distratto il vampiro, e quella era l'unica ragione per cui l'umano era
sopravvissuto, l'unica ragione per cui il maschio non l'avrebbe fatto.
Ma suo fratello aveva bisogno di lei più di questo estraneo violento.
Il maschio emise un suono.
- Non posso aiutarti - disse con voce rotta.
Il maschio stava lottando per parlare e quando tossì sangue, lei si
guardò intorno... e poi andò a inginocchiarsi accanto a lui. Non esisteva un
equivalente del 911 per i vampiri, e anche se fosse esistito, stava perdendo
sangue troppo velocemente per qualsiasi tipo di ambulanza, o anche per un
guaritore che potesse smaterializzarsi per lui. Inoltre, chi poteva chiamare?
Forse il numero della Casa delle Udienze del Re?
No. C'erano delle regole contro la fraternizzazione con gli umani,
quelle che, era certa, impedivano di combattere sottoterra in un mare di
Homo sapiens e di cercare di uccidere membri di quella specie di fronte a
centinaia di quei topi senza coda. Se avesse chiamato il popolo del Re, sia
lei che questo vampiro sarebbero stati in guai grossi.
E Rhoger doveva venire prima.
- C'è qualcuno che posso chiamare per te? –
- Vai - le disse tra respiri affannosi. - Lasciami qui. Salvati! –
La sua voce era molto profonda e davvero ruvida, e quando non
rispose, i suoi occhi si concentrarono su di lei con uno sguardo che la colpì
dritto dietro la nuca.
- Per l'amor di Dio, femmina, abbi cura di te –
Era l'ultima cosa che si aspettava che dicesse, e quando ripeté quelle
parole, Mae si alzò in piedi e barcollò all'indietro. Mentre si allontanava, lo
sguardo duro di lui la seguì, anche se non era sicura che potesse davvero
vederla.
- Vai - ordinò nonostante il sangue che gli usciva dal lato del collo. -
Scappa! –
- Mi dispiace... –
- Come se me ne fregasse un cazzo! –
Tremando dalla testa ai piedi, Mae chiuse gli occhi e cercò di
concentrarsi.
Quando fu finalmente in grado di smaterializzarsi, i suoni
gorgoglianti del vampiro morente la perseguitavano. Ma aveva i suoi
problemi e lui aveva ragione. Doveva prendersi cura di se stessa. Suo
fratello dipendeva da lei.
Inoltre, se vivevi di lotta, morivi a causa sua.
Era un fatto del destino, e non qualcosa che qualcuno come lei
avrebbe potuto provare a cambiare.
CAPITOLO CINQUE
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Sette piani più in basso, la detective della omicidi Erika Saunders uscì
dall'ascensore e guardò a destra e a sinistra. Sapeva dove stava andando, ma
era una vecchia abitudine. Controllava sempre in entrambe le direzioni
prima di attraversare la strada. O quando entrava in un corridoio.
O si dirigeva lungo il corridoio.
Quest'ultimo sicuramente se lo sarebbe ricordato.
Il Commodore era la vita di lusso al suo meglio, o almeno quello
slogan faceva parte del suo marchio registrato di recente. E da quello che
aveva visto, dal servizio di portineria alla reception, alla vista dei ponti
sull'Hudson a quello che aveva sentito dai condomini, era stato tutto appena
rinnovato secondo gli standard delle migliori cooperative nell'Upper East
Side di Manhattan. Adesso il posto aveva anche una palestra e una piscina,
e la società alberghiera che l'aveva acquistato un anno prima parlava di
strutture aggiuntive come un ristorante gourmet, una spa e un centro di
yoga.
Progetti, progetti, progetti.
Circa sei porte più giù, si avvicinò a un agente della polizia di
Caldwell in uniforme che stava sull'attenti, e lui le aprì immediatamente la
porta.
- È in camera da letto, detective - come se fosse il docente di un
museo.
- Grazie, Pellie - disse lei infilando un paio di fragili stivaletti blu
sulle sue Merrell nere.
All'interno dell’appartamento, la sua prima impressione era che
appartenesse a nuovi ricchi super tecnologici. C'erano cornici digitali
dappertutto, le immagini mostravano la stessa coppia nella stessa posa
guancia a guancia innamorata e molto felice con diversi sfondi degni di
Instagram: tropicale, montuoso, deserto, ruscello. Il tessuto del divano e
delle poltrone era in fibra naturale, il tappeto era chiaramente intessuto a
mano e, a proposito della posizione del cane a terra, un paio di materassini
da yoga color lavanda erano disposti fianco a fianco nell'area aperta vicino
alla cucina.
La cucina non era niente di speciale, tranne per l’attrezzatura per la
droga lasciata sul bancone di granito accanto a uno spremiagrumi delle
dimensioni di una vasca da bagno e una ciotola piena di frutta senza dubbio
biologica.
Sembrava che la coppia non fosse così fedele alla storia del corpo è il
mio tempio come avrebbero potuto suggerire i loro social media.
L'ecstasy non era assolutamente venduta dai negozi biologici.
Seguendo le voci nello stretto corridoio, iniziò a sentire l'odore della
decomposizione, e il bouquet della morte sbocciò davvero quando si
avvicinò alla porta aperta della camera da letto.
Tre o quattro giorni, pensò mentre si infilava i guanti di nitrile. Forse
una settimana.
Su un letto matrimoniale, l'uomo e la donna delle fotografie erano
distesi nudi sulla schiena, la testa sui cuscini, i volti grigi inclinati l'uno
verso l'altro. C'era un'ampia perdita di sangue da entrambi a causa delle
ferite nei loro petti, e il letto sottostante aveva assorbito gli umori.
Si tenevano per mano, le dita rigide e insensibili bloccate in posizione
intorno ai polsi da quello che sembrava un filo interdentale.
Il detective Andy Steuben, che stava prendendo appunti vicino alla
testiera, guardò Erika.
- Non ho il coraggio di dire quanto sia triste –
Erika alzò gli occhi al cielo.
- Va bene anche senza commenti. Grazie –
Avvicinandosi ai corpi, osservò bene le mutilazioni. Sia all'uomo che
alla donna era stato rimosso il cuore, e non in un modo chirurgico pulito e
ordinato. Le ferite profonde erano lacerate ai bordi e frammenti di osso
punteggiavano i loro addominali e le coperte. Sembrava che chiunque
avesse eseguito quelle estrazioni avesse allungato una mano e strappato via
il muscolo cardiaco.
Solo che era impossibile.
- La scientifica sta arrivando - annunciò Andy.
Erika lo sapeva già, ma proprio come Steuben aveva la reputazione di
essere un sapientone, lei era la stronza fredda della divisione, e non sentiva
il bisogno di alimentare quel pettegolezzo dando una spinta al ragazzo su
una cosa non necessaria.
Fece scorrere gli occhi per la stanza, notò che lo scrittoio aveva tutti i
cassetti chiusi. C'erano un laptop e una videocamera su una scrivania. Un
portafoglio e una borsa erano accanto a loro. Sul comodino a sinistra c’era
un piatto d'argento con un mucchio di gioielli d'oro e un orologio pesante.
Erika si massaggiò la testa dolorante.
- Devo andare a fare una telefonata –
- Vuoi tirare dentro i federali? - chiese Andy.
Erika si avvicinò alla testiera di legno grezzo. In alto sul muro, in
corsivo, era stata scritta una parola di cinque lettere.
AMORE.
- Questa è la terza serie di vittime - disse cupo. - Penso che abbiamo
un serial killer -
CAPITOLO SEI
Quando la gola di Sahvage era stata tagliata, lui aveva uno e un solo
pensiero che gli passava per il cervello: forse stava finalmente scendendo da
questo fottuto treno.
Questo è quello che stava pensando quando si inginocchiò e sentì il
caldo pompare del suo sangue attraversare le sue dita e cadere per
immergersi nei suoi pantaloni e allargarsi sul cemento. Quando la folla si
scatenò, il suo cervello iniziò a rallentare… quindi aveva un po' di speranza,
un po' di ottimismo che finalmente, dopo tutti quegli anni…
Chi poteva pensare che quell'umano ce l'avrebbe fatta.
E a proposito dello stupido, del ragazzo magro con il coltello in mano
sgusciato fuori dal basso e fuggito via come se la sua vita dipendesse da
quello. Sahvage aveva lasciato andare lo stronzo. Il veloce bastardo
meritava l'offerta della libertà per quella mossa abile con la lama celata.
Anche se quella femmina non fosse stata una distrazione...
Prima di perdere conoscenza, il cervello di Sahvage ordinò alla sua
testa di voltarsi verso dove si trovava lei. Ma tutto si stava prosciugando
rapidamente: energia, consapevolezza, cognizione. Quindi non fece molti
progressi con quello. Invece, il mondo diventò un vortice, e cominciò a
girare intorno a lui.
La sensazione di imbuto terminò con l’impatto di una mano, qualcosa
di freddo e duro colpì il lato della sua faccia, e si chiese chi lo avesse
colpito sulla mascella con un salmone congelato come una mazza da
baseball. Ma no, era stato un assalto vegetariano. Si trattava del pavimento
di cemento, sul quale era stato in piedi, ad afferrare il suo corpo e a tenerlo
fermo.
Un attimo, non aveva senso.
E non è poi così eccezionale, pensò mentre la sua vista svaniva, anche
se le sue palpebre erano ancora aperte. Forse questa volta, pensò con
un'attesa esausta. Forse... questa... volta...
Fu momentaneamente sorpreso quando la sua vista tornò, ma poi
riconobbe un'altra luce brillante e accecante che lo stava costringendo a
concentrarsi. All'inizio pensò che fosse il Fado, ma no. La fonte si
allontanò. E poi ne arrivò un’altra. E un’altra…
Le auto che avevano illuminato l'area di combattimento se la stavano
svignando.
E qualcuno si trovava in piedi sopra di lui.
Quella femmina... quello che gli aveva urlato contro. E anche mentre
si dissanguava, la notò.
Il che era molto meglio che veder passare la sua vita davanti agli
occhi.
Era alta e vestita in modo semplice, i suoi jeans e la felpa era fuori
posto con la roba elaborata e succinta che indossavano le umane. I suoi
capelli erano tirati indietro, quindi era difficile per lui dire di che colore
fossero, e il suo viso era spigoloso, gli zigomi alti, la mascella forte, le
cavità tra questi ultimi due suggerivano che avesse fame per la maggior
parte del tempo.
Che diavolo ci faceva in un posto come quello?
Un'altra macchina partì, i fari blu brillante illuminarono lei e sui suoi
occhi spalancati e spaventati.
- Vai - le disse. - Lasciami qui –
Lei non si mosse e non comprese le sue parole, e lui si chiese se aveva
parlato solo nella sua testa...
Sahvage iniziò a tossire, ma era debole perché non c'era molta aria nei
suoi polmoni. E dannazione, la sua bocca era piena di rame.
La femmina si guardò intorno, e fu allora che vide la sua coda di
cavallo. Capelli scuri, ma con meches bionde. Poi lei scese al suo livello e
la sua bocca cominciò a muoversi.
Che diavolo stava facendo? Doveva pensare a se stessa…
Se stessa. Doveva prendersi cura di se stessa.
Proprio mentre si stava preparando ad alzarsi per spingerla verso il
lato del fottuto garage, lei si raddrizzò in tutta la sua altezza e gli diede
un'ultima, lunga occhiata. Sembrava addolorata. Voleva dirle di non
preoccuparsi.
Anche se fossero stati intimi, lui non ne valeva la pena. E loro erano
estranei.
Alla fine, lei scomparve nel nulla, lo spazio che aveva occupato era
stato sgomberato, l'ultima delle auto che erano state usate per far partire il
combattimento, un SUV nero squadrato, fece stridere le gomme e passò
proprio nel punto in cui lui si trovava.
Quasi lo investì. Avrebbe voluto che finisse il lavoro per lui.
Quando le ultime luci svanirono, i suoni degli umani divennero
silenzio e la temperatura della notte diventò sempre più fredda, Sahvage
sorrise nella pozza del suo stesso sangue.
Finalmente una femmina che aveva fatto quello che lui le aveva detto,
quando contava davvero. Al contrario di...
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Vecchio Continente 1833
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- Sei il Reverendo? –
Si poteva pensare che Mae stesse urlando per farsi sentire sopra le
auto della polizia che si stavano avvicinando, ma no, era solo incazzata. E
intanto, l'enorme maschio al quale aveva dato la sua vena - sì, perché quello
era stato sulla sua lista di cose da fare in quella piccola avventura in città -
la stava fissando con quella sua espressione annoiata, una pista doppia di
striature di sangue partiva da dove era quasi morto a dove si era trascinato
lontano da lei.
Lo schema di tutto sembrava come se lui fosse stato un razzo lanciato
nello spazio, la grande pozza l'esplosione del decollo, le tracce lasciate dai
suoi stivali le scie di condensazione del suo combattimento.
Anche se non aveva alcun senso.
E per l’amor del cielo, avrebbe potuto fare a meno di quel tatuaggio
sul petto che puntava verso di lei.
- Il mio dannato cranio sta martellando - gemette.
Quindi non combattere a mani nude con gli umani che non hanno
onore, si lamentò lei nella sua testa. Cosa pensavi che sarebbe successo?
- Comunque - scattò il maschio mentre la fissava. - Sei stata tu a
distrarmi –
Cavolo, l'aveva detto ad alta voce. Ma comunque era giusto.
- Non hai mai sentito parlare della regola di non fraternizzare? - si
risentì lei. - Non dovresti essere qui, tanto per cominciare –
- Disse la femmina che era anche lei tra la folla –
Mae si mise le mani sui fianchi e si chinò verso di lui.
- Ho il permesso di andare dove voglio, non sono più i secoli bui dei
vampire –
- Oh, quindi tu hai la libertà, ma io no perché sono un maschio. Com'è
conveniente... –
- Io non stavo combattendo a mani nude con loro! –
- Quindi sei venuta qui solo per scommettere? Allora, oh, sì, hai fatto
tutto assolutamente alla luce del sole –
Mae serrò i molari e pensò seriamente di avvicinarsi per prenderlo a
calci in una gamba. O forse nel culo. A ogni modo, le sarebbe piaciuto
dargli qualcosa di cui preoccuparsi oltre alla sua testa dolorante.
- Non sono venuta per giocare... –
- Per il sesso, allora? Perché avresti potuto ottenere di più se avessi
mostrato un po' di pelle. Sembri la madre di qualcuno –
Mae alzò gli occhi al cielo.
- Oh, certo, accetterò consigli sartoriali da una pubblicità ambulante
di morte di oltre cento chili. Ma non hai mai sentito parlare di pubblicità
ingannevole? Perché l'ultima volta che ho controllato, sei stato fatto a pezzi
da un umano... –
Il maschio alzò le mani.
- Perché qualcuno che conosciamo mi stava dicendo di non uccidere
quel figlio di puttana! –
- Non dovresti uccidere nessuno! –
- Bene, non siete voi due una coppia davvero felice? –
Al suono di quella voce maschile, entrambi guardarono verso le
ombre dove una grande figura incombeva nell'oscurità.
Senza perdere tempo, lei e il combattente parlarono allo stesso
momento:
- Non siamo una coppia... –
- Non siamo una coppia... –
La risatina che provenne da quell'angolo era un sì, certo, ma
all'improvviso era più preoccupata per la sua vita e la sua sicurezza che
essere collegata a quello scheletro laggiù.
E tra l’altro, sopravvivere avrebbe dovuto essere la sua priorità prima
di ogni altra cosa.
La sua mano affondò nella borsa per cercare lo spray al peperoncino,
la fonte della voce entrò in una macchia di luce ambientale.
- Ti chiederò di tenere le armi dove sono, grazie. E questo include
anche te, Shawn -
Shawn?
Guardò il combattente. E poi si concentrò su ciò che era venuto a
unirsi a loro.
Okay, questo maschio era... niente di quello che si sarebbe aspettata
di vedere in una parte così decrepita della città. Era alto, enorme e il suo
viso apparteneva a una schiera di persone che avevano ucciso i loro nemici
in modi molto complicati. Quindi sì, tutto ciò si adattava alla lista, così
come il suo Mohawk. Ma indossava uno spolverino di pelliccia lungo fino
al pavimento, e con il bastone d'oro che lo aiutava a mantenere l'equilibrio
sembrava che stesse andando all'opera...
Shawn si alzò in piedi e spostò la montagna del suo corpo di fronte a
lei. Come per volerla proteggere.
- Rilassati, grande uomo, non le farò del male - disse seccamente
l'altro maschio.
- Hai dannatamente ragione - rispose Shawn. - Perché non te ne darò
la fottuta possibilità –
Mae si sporse di lato e guardò una serie di muscoli delle braccia
sporgenti.
- Sei il Reverendo? –
L' espressione del maschio con il visone non mutò. Eppure lei avvertì
un cambiamento in lui, anche se le sarebbe stato difficile individuare il
motivo per cui l'aveva riconosciuto.
- Per cosa ti serve il Reverendo, femmina? Non sei il suo tipo –
- Nemmeno lei è il tuo, stronzo - scattò Shawn. - Allora che ne dici di
toglierti dalla palle... –
- Non sta parlando con te, ragazzo mio... –
Okaaaaay, era davvero stanca di tutto quel testosterone.
Mae uscì da sotto copertura e fissò il nuovo arrivato.
- Mi ha mandato Tallah. A cercare il Reverendo. E qualcosa mi dice
che è proprio davanti a me –
Entrambi i maschi restarono in silenzio come se fossero sorpresi che
lei non fosse disposta a fare tappezzeria per le loro routine di battersi il
petto.
- Sii sincero con me - disse lei sfinita. - Sono davvero stanca stasera
anche prima che tu entrassi qui come il figlio di Liberace e Hannibal Lecter
–
Il maschio con il visone socchiuse gli occhi e Shawn scoppiò a ridere.
- Oh, andiamo, Reverendo – disse - devi ammettere che è stato
divertente –
Mae era troppo occupata a valutare lo sguardo dell'altro maschio per
prestare attenzione ai complimenti di Shawn. Aveva la sensazione che le
sue iridi fossero viola scuro, qualcosa che non aveva mai visto prima. E
Dio, quella strana sensazione la stava attraversando di nuovo. Non era
attrazione, no, no, lei sembrava riservarla solo agli assassini che avevano
più inchiostro di una fabbrica di Bic e il sapore del paradiso. No, quello che
provava era qualcos'altro, e qualunque cosa fosse, voleva solo scappare da
quell’inquietudine che la avvolgeva.
- Te lo chiederò di nuovo, femmina - il tono del maschio non cambiò.
- Cosa vuoi dal Reverendo... –
- Oh, basta con le stronzate - lo interruppe lei. - E io non voglio te.
Voglio il Libro. Tallah ha detto che avresti saputo come trovarlo –
Mentre le gomme stridevano in basso e le portiere delle macchine
iniziavano ad aprirsi e chiudersi, il maschio smise di parlare. E rimase così.
- Allora sai cos'è… - disse lei con speranza. - Sai cosa sto cercando...
–
- Certo, so cos'è un libro. Sono due copertine rigide con qualcosa di
fragile rilegato nel mezzo. Le parole sono scritte sulle pagine in righe pari, a
meno che non siano illustrate. E a volte contengono parolacce, tipo di che
cazzo stai parlando? –
Un ringhio uscì da Shawn e lei si voltò e lo fissò con uno sguardo
duro.
- Non ho bisogno del tuo aiuto - Quando il suo sguardo spiacevole
rimase bloccato sull'altro idiota nel garage, lei gli diede una pacca sul petto.
- Ehi, Shawn. Puoi andartene ora... –
All’improvviso, un gruppo di poliziotti umani sbucò fuori dalla
tromba delle scale, pistole alzate e torce accecanti puntate dritto davanti a
loro.
Quando Shawn sganciò un'altra imprecazione, e il vampiro con la
pelliccia di visone alzò le mani, Mae si schermò gli occhi con le braccia, ed
era molto sicura del fatto che, probabilmente per l'unica volta in tutte le loro
vite, lei e questi due maschi erano completamente d'accordo.
Cazzo era la parola giusta.
•••
- Sei stato... –
Balz aspettava che la signora finisse il suo pensiero ad alta voce e
sorrise nel crepuscolo della sua maestosa camera da letto principale. Si era
assicurato di tenere aperte le porte del bagno di marmo in modo che ci fosse
abbastanza luce perché i suoi occhi umani potessero vedere cosa le stava
facendo. Ed era stata una sessione davvero buona, il tipo di allenamento di
base che significava che non avrebbe dovuto andare in palestra al centro di
addestramento, quando sarebbe tornato a casa.
Si girò su un fianco, passò la punta delle dita sulla collana di diamanti
che le aveva messo.
- È stato divertente –
La signora girò la testa verso di lui, i suoi capelli curati si
rovesciarono sul cuscino, le punte brune ora erano aggrovigliate, grazie ai
suoi orgasmi e al modo in cui si era inarcata così tante volte contro il letto.
- È stato molto più che divertente –
Le fece scorrere l'indice su per la gola e le sfiorò il labbro inferiore
con il pollice.
- Devo andare –
- Puoi restare fino al mattino... - All'improvviso la signora distolse lo
sguardo, il suo profilo era perfettamente bilanciato, probabilmente grazie a
un piccolo aiuto del bisturi. - Ma non devi rispondere, mi rendo conto che
non è... lo sai –
Balz premette le labbra sulla sua spalla nuda.
- Sei incredibilmente bella e qualsiasi uomo sarebbe onorato di essere
nel tuo letto. Fidati di me. Non lo dimenticherò mai –
Quando gli occhi di lei tornarono nei suoi, il suo sorriso si allargò
piano.
- Grazie. Sono stata spesso dimenticata –
- Mai da me - Mentre le diceva quello che lei voleva sentire, le prese
la mano e se la mise sul petto, sul cuore. - Proprio qui, c'è un posto per te.
Anche se non ci vedremo più –
La signora annuì.
- Sono sposata –
- E non dovresti sentirti in colpa per questo. Soprattutto quando lui è
in Idaho. Promettimelo, okay? –
Lei annuì tristemente, Balz la baciò sulla fronte, e poi si districò dal
suo corpo, dalle sue lenzuola, dal suo letto... dalla sua vita. Mentre si
rivestiva con i suoi vestiti neri da ladro, lei lo guardava, rannicchiata su un
fianco e con le coperte sul seno.
Che, in effetti, era spettacolare. Oltre che autentico.
- Non la prendi questa? - gli chiese.
Lui si voltò e lei si toccò i diamanti alla gola.
- No. Tienila tu. Non voglio prendere niente da te –
- Non sei preoccupato che possa chiamare la polizia? Voglio dire, non
lo farò mai, ma... –
- No, non sono preoccupato per questo –
E poiché era giunto il momento, perché era così che dovevano andare
le cose, entrò nel suo cervello e la costrinse a un sonno profondo e curativo.
All'interno dello schedario della sua memoria, assegnò tutto ciò che
avevano fatto insieme, alla finzione di uno stato onirico, il tempo in cui
avevano trascorso una meravigliosa e soddisfacente fantasia a qualcosa che
sarebbe sembrata vera come se fosse realmente accaduta.
Un fuoco acceso per scaldarsi nel bel mezzo dell'inverno del suo
matrimonio.
Prima che Balz la lasciasse, tirò su il piumone in modo che, mentre il
sudore si asciugava sulla sua pelle, non prendesse freddo. Poi tornò
nell'armadio. Chiuse le doppie porte dietro di lui, e fece un secondo viaggio
nella sezione abbigliamento formale di suo marito, e separò di nuovo quegli
smoking.
Balz sbuffò mentre riapriva la cassaforte, e non c'erano dubbi su cosa
avrebbe preso questa volta. Scelse la cassa degli orologi da polso, si infilò
sotto il braccio la collezione di cronometri del signore e richiuse tutto.
Che fottuto idiota era quel tipo. Aveva una bella cosa proprio al suo
fianco, ma nooooo, aveva bisogno di andare a cercare qualcosa di strano.
Nell'Idaho.
Davvero stupido.
Tornò nel corridoio ed ebbe l'idea di smaterializzarsi attraverso una
delle finestre a doppio vetro. Invece, si ritrovò a scendere le scale ricurve
solo per poter passare di nuovo davanti al Banksy. Ora quella era arte.
E ne avrebbe rubato uno o due se avesse potuto. Ma purtroppo
capolavori del genere non potevi venderli per pochi spiccioli. Troppo
tracciabile, troppa attenzione, e questo era il problema dell'essere un ladro.
Riguardava la strategia di uscita, e non solo in termini di farla franca con la
roba di qualcun altro. Dovevi essere in grado di liberartene, o eri solo un
accaparratore criminale.
Giù al secondo piano, si girò verso il panorama e prese un respiro
profondo...
Era tutto silenzioso nell’appartamento e, in seguito, si sarebbe chiesto
come lo avesse sentito.
Un tocco. Come su una finestra. Ma non proprio.
Accigliandosi, si girò e guardò nella direzione da cui pensava
provenisse. Fu allora che lo sentì di nuovo.
Tap. Tap.
Come se qualcosa fosse intrappolato e cercasse di uscire.
Strano. In tutte le sue ricerche sul signore e la signora, non aveva
trovato nessun animale domestico. Per prima cosa, la coppia aveva un
programma di viaggi in cui difficilmente si poteva mantenere in vita una
pianta d'appartamento, tanto meno qualcosa che richiedeva cibo, acqua e
passeggiate. Dall’altra, il signore era terribilmente ordinato. Pelo di gatto?
Pelo di cane? Avrebbe avuto un fottuto infarto.
Beh, qualunque cosa fosse, non c'era motivo di...
Di loro spontanea volontà, i piedi di Balz iniziarono a camminare, il
suo corpo venne trasportato come un bagaglio inanimato mentre si
dirigevano in una direzione, in una missione, che era completamente
estranea al suo volere: lui voleva andarsene. Voleva tornare con gli orologi
nella sua stanza nella villa della Confraternita. Voleva fare una telefonata al
suo tizio del mercato nero per monetizzare la piccola collezione di tic tac da
polso del signore.
Invece Balz stava attraversando le stanze delle collezioni... con i
meteoriti, gli strumenti chirurgici, i pipistrelli.
Una nuova stanza adesso. Totalmente buia senza luci o finestre.
Quando entrò, un apparecchio a soffitto venne attivato dal movimento
e una luce bassa scese silenziosa dall'alto.
Libri.
Ovunque.
Ma non allineati sugli scaffali, dorso a dorso. Erano collocati in teche
di vetro che correvano lungo le pareti, i tomi adagiati su supporti inclinati
come se fossero in una spa. Al bagliore della luce soffusa, le lettere dorate
brillavano sulle copertine e sui bordi di alcune pagine. Quando Balz inspirò,
sentì odore di polvere...
E qualcos'altro.
Tap. Tap. Tap…
La sua testa girò lentamente verso l'angolo più lontano. Isolato da tutti
gli altri, in una vetrina che era alta fino ai fianchi e illuminata da riflettori,
un tomo separato dal resto aveva ricevuto una nobile distinzione dagli altri
della collezione.
Tap.
Balz si avvicinò, richiamato dal suono. Dalla presenza del libro
speciale. Da...
In fondo alla sua mente, si rese conto di non avere il potere di voltare
le spalle. Ma era così affascinato da ciò che aveva davanti che non prese
atto della sua schiavitù, né pensò di cambiare destinazione. E mentre si
avvicinava al rivestimento, trattenne il respiro.
- Sono qui - sussurrò mettendo da parte gli orologi sul piano di vetro.
- Stai bene? –
Come se fosse un bambino che era stato dimenticato. Che aveva
bisogno di essere salvato. Da lui.
L'inestimabile manufatto era rilegato in una specie di pelle scura e
screziata che gli faceva fremere la nuca in segno di avvertimento.
Antico.
Il volume unico era molto, molto antico. Nessun titolo era impresso
sulla superficie della copertina e le pagine sembravano spesse come
pergamene...
Qualcosa puzzava.
Come la morte.
Quando un'ondata di nausea gli salì allo stomaco, Balz si coprì la
bocca con il palmo e si piegò in avanti per i conati di vomito...
Il suono del suo cellulare che squillava fu una scossa elettrica
assoluta, il suo corpo saltò indietro sul pavimento. Che cazzo? Aveva messo
il silenzioso...
Debole e disorientato, armeggiava con la cosa.
- Pronto? Pronto…? –
- È ora di tornare a casa, Balz. Subito –
All'inizio non riconobbe la voce. Certamente non era qualcuno che lo
chiamava molto spesso.
- Lassiter? –
Perché era l'angelo caduto che lo stava chiamando…
I suoi occhi tornarono al libro sul supporto e sussultò di nuovo. Si era
aperto da solo, la copertina tirata indietro, le pagine giravano in fretta, quel
turbinio di attività non aveva senso...
- Ora - Lassiter abbaiò nella connessione. - Porta il tuo culo a casa
adesso, cazzo... –
Balz scattò sull'attenti. Qualcosa nelle sillabe dell'angelo ruppe
qualunque incantesimo lo avesse colto, e con un lampo di lucidità, capì che
se non si fosse smaterializzato in quel preciso istante, non sarebbe mai stato
libero.
Qualunque cosa volesse dire.
Proprio mentre stava chiudendo gli occhi, il libro si fermò su una
pagina aperta e lui si rese conto che in realtà non era illuminato; infatti,
brillava da solo. E doveva leggere quello che gli era stato offerto, e lui...
All'improvviso, la sua forma fisica si dissolse in una nuvola invisibile
di se stesso, e si allontanò furtivamente attraverso le stanze delle collezioni
fino alla fila di finestre che davano sul fiume Hudson. Scivolando tra le
molecole di una delle lastre di vetro, viaggiò verso nord, registrando l'aria
fredda e tonificante anche se non era corporeo.
A meno che forse non si sentiva proprio così…
L'invito a tornare in città, a tornare nel Commodore, a rientrare
nell’appartamento per leggere quanto era stato previsto per lui, e per lui
solo, era quasi irresistibile. Eppure sapeva, senza dubbio, che lì c'era
un'infezione, qualcosa che sarebbe entrato in lui e gli avrebbe divorato la
mente e il midollo, una malattia dell'anima che poteva benissimo essere
trasmissibile.
Tale da poterlo passare a coloro che amava di più.
Era stato salvato per un pelo.
E la gente non era così fortunata due volte, specialmente non nella
stessa fottuta notte.
Cosa diavolo era appena successo?, pensò.
Qualche istante dopo, la montagna della Confraternita del Pugnale
Nero si profilava sul suo orizzonte, alta con la sommità a cupola, i contorni
coperti di pini formavano un fianco della valle. Protetta dal mhis, grazie al
Fratello Vishous, la superficie era il tipo di posizione che si vedeva su
Google Maps ma, a meno che tu non sapessi cosa stavi facendo e dove
volevi arrivare, non riuscivi a trovare la strada appena mettevi piede nella
proprietà.
Tutto era sfocato.
Confuso.
Disorientante.
Un po' come si sentiva lui adesso.
Quando si riformò, la nausea lo perseguitava e respirò attraverso il
naso per calmare lo stomaco...
- Che... cazzo? –
Invece di trovarsi di fronte alla grande villa grigia, era dietro la
vecchia canonica di pietra, a fissare una serie di finestre del secondo piano.
Non era lì che doveva essere. Perché…
Il lugubre suono di un gufo irruppe nel silenzio della notte e lui ebbe
un'improvvisa voglia di entrare... come se ci fosse qualcuno… o, peggio,
qualcosa… che lo stava inseguendo.
Dal nulla, i ricordi irruppero nel suo cervello. Tra un battito di ciglia e
l'altro, non era più l'inizio della primavera, con la neve scomparsa dai
giardini e dalla piscina invernale. All'improvviso era pieno inverno, tutto
era ricoperto di bianco, l'aria gelida gli schiaffeggiava il viso e gli arruffava
i capelli. Non era più in piedi. Era in alto, su un lato della casa, agganciato
senza imbracatura alle fenditure di malta con le scarpe da arrampicata e le
impugnature per le dita, a lavorare sulle persiane di protezione dalla luce
del giorno del secondo piano. Molti dei pannelli avevano ceduto durante
quella bufera di neve, e lui e alcuni degli altri avevano fatto il possibile per
mettere a posto le protezioni d'acciaio mentre la tempesta infuriava. Si
tranne per il fatto che lui non era l’Uomo Aggiustatutto. La scossa elettrica
degli ingranaggi motorizzati era stata uno shock… letteralmente e
figurativamente… e non aveva memoria di essere stato scaraventato giù nel
vuoto dal davanzale.
Era morto quando era caduto sul manto nevoso. Z e Blay gli avevano
fatto la rianimazione per salvargli la vita, e gli era stato detto che era stato
vicino alla morte.
Per ringraziarli, aveva riportato loro un messaggio dall'Altra Parte.
Il demone è tornato.
Quelle erano le parole che aveva pronunciato quando alla fine si era
ripreso, anche se non ricordava di averle pronunciate, e nemmeno di essere
morto. Sapeva cosa era uscito dalla sua bocca solo perché aveva sentito
parlarne per caso un paio di Fratelli, ed era consapevole di essere stato un
cadavere solo per breve tempo a causa di ciò che c'era nella sua cartella
clinica.
La gente non diventava così se ti tagliavi semplicemente con un pezzo
di carta...
Il demone è tornato.
Quando udì la propria voce ripetere quella frase nella sua testa, il
sudore gli uscì da sotto i vestiti e si asciugò la fronte con la mano che
tremava...
- Hai fatto la cosa giusta –
Sentì la voce di Lassiter da lontano e guardò il telefono che aveva in
mano. Portando l'unità al suo orecchio, disse:
- Davvero? –
- Sono quaggiù –
Balz guardò a destra. L'angelo era in fondo all'angolo della casa, in
piedi su una delle porte-finestre.
- Vieni qui - disse Lassiter tendendo il palmo della mano.
- Dove sono andato quando sono morto? - Balz fissò il terreno e cercò
di immaginare che aspetto aveva avuto il suo corpo nella neve. Era stato
sdraiato sulla schiena? Avrebbe dovuto, se era caduto dalla casa. - So di non
essere andato nel Fado. Non ho visto nessuna porta. Dovresti vedere una
porta, giusto...? –
- Non preoccuparti per questo. Vieni dentro... –
Guardò l'angelo lungo il fianco della villa.
- Come sapevi di dovermi chiamare proprio ora? -
Tap.
Lassiter non lo stava più guardando. Era concentrato su qualcosa in
alto e a sinistra, nel cielo.
- Ho bisogno che vieni dentro. Proprio adesso -
Tap. Tap.
- Beh, io ho bisogno che tu mi dica cosa sta succedendo… -
- Balthazar, fidati di me. Devi entrare dentro... -
Tap, tap, tap, tap, taptap…
All'improvviso, si udirono rumori da ogni parte sopra di loro e Balz
istintivamente si chinò e si coprì la testa mentre si accucciava.
Uccelli. All’improvviso presero il volo.
Sullo sfondo delle stelle, centinaia di uccelli non notturni uscirono
dalla foresta, ali disperate e in fuga di passeri, ghiandaie blu e cardinali che
scapparono in tutte le direzioni, i loro piccoli corpi delicati ostruirono la
lontana foschia delle galassie in uno schema discordante e tremolante.
Per una frazione di secondo, Balz pensò agli scheletri di pipistrello.
E poi tutto ciò che sentì fu puro terrore.
Cedendo all'improvviso scoppio di paura, si mise a correre e, in
qualche modo, sapeva di non dover provare nessuna delle altre porte della
casa. In qualche modo, sapeva che Lassiter era l'unico portale che poteva
usare, l'angelo caduto era la sua unica speranza, la sua salvezza da un
destino peggiore della morte.
Anche se non sapeva chi o cosa lo stesse inseguendo.
I polmoni di Balz gridavano per l'ossigeno e le sue gambe pompavano
più velocemente di quanto avessero mai fatto in tutta la sua vita. E mentre si
avvicinava al punto in cui l'angelo si sporgeva dalla villa, Lassiter iniziò a
urlargli di muoversi, muoversi, muoversi...
Appena Balz entrò nel raggio d'azione, l'angelo allungò la mano e lo
trascinò dentro, sbattendo la porta e sostenendo il suo corpo contro di essa
mentre Balz inciampava e cadeva sul tappeto persiano della biblioteca.
Taptaptaptaptap…
Mentre una raffica di quel suono si irradiava attraverso la stanza,
attraverso l'intera villa, Balz si girò sulla schiena e si allontanò ancora più
lontano dal rumore. Quel qualcosa che voleva reclamarlo stava per colpire
il vetro di quella porta finestra, il rumore un ingrandimento di ciò che lo
aveva chiamato in quella stanza nell’appartamento, verso il libro.
Solo più forte. Più esigente.
In modo petulante, come se non potesse sopportare di essere ignorato.
- Che cazzo sta succedendo? - chiese Balz.
Ma l'angelo sembrava non sentirlo. Lassiter aveva chiuso i suoi occhi
stranamente colorati e stava facendo pressione contro la porta chiusa, il suo
corpo enorme contratto vibrava di potere, i suoi capelli biondi e neri gli
cadevano sul petto e sulle braccia flesse.
Come se lui fosse l'unico essere che poteva tenere fuori dalla villa
qualunque cosa fosse.
- È tornata - si sentì sussurrare Balz, sconfitto.
CAPITOLO DODICI
La sera seguente, Mae era di nuovo davanti alla porta del garage, le
chiavi della macchina in mano, la borsa in spalla. Non aveva dormito affatto
durante il giorno e il Primo Pasto era stato un unico pezzo di pane tostato
secco che era andato giù come lamiera.
- Tornerò presto - gridò a Rhoger.
Perché aspettò una risposta? Pensava davvero che si sarebbe seduto in
quella vasca di acqua ghiacciata per ordinare qualcosa da McDonald’s?
In fondo alla sua mente suonò un campanello d'allarme. Quando stavi
parlando con tuo fratello morto e ti aspettavi che lui rispondesse,
probabilmente eri fuori di testa.
Senza il probabilmente.
- Porterò i tuoi saluti a Tallah - disse prima di scivolare attraverso la
porta e richiuderla.
Mentre si allontanava, frugò nella borsa per gli occhiali da sole. Il
fatto che le altre auto sulla strada avessero i fari accesi, e che i suoi vicini
tornassero a casa dal lavoro, non significava molto per un vampiro quando
si trattava di quel bagliore appena visibile all'orizzonte occidentale. Il fatto
che i suoi occhi bruciassero e la sua pelle formicolasse in segno di
avvertimento sotto i suoi vestiti, era un buon promemoria di quanto non
fosse negoziabile l’assenza di luce solare per la razza.
Ma non sarebbe potuta restare in quella casa un attimo di più.
E sì, smaterializzarsi era un'opzione. Aveva bisogno di altro ghiaccio,
però, e guidare l'avrebbe aiutata a calmarsi.
Era incredibile quanto potevi restare intrappolato anche quando eri
libero di andare dove volevi.
Il cottage di Tallah si trovava all'estrema periferia di Caldwell, un
piccolo gioiello di pietra incastonato in una valle di aceri. Il viaggio poteva
durare dai quindici ai venti minuti, a seconda del traffico, e Mae accese la
radio per distrarsi da cose a cui non voleva pensare. Non funzionò, però. La
sua mente continuava a rimuginare su cose come il fatto che i corpi dei
vampiri affondavano, non galleggiavano, nell'acqua, qualcosa che non
sapeva finché non aveva iniziato a prendersi cura di Rhoger nel suo stato
attuale. Era anche profondamente consapevole che il tempo stava finendo
per lei e suo fratello. E pensò che forse il libro di cui parlava Tallah non era
la risposta al problema.
Forse tutto quello che aveva come risposta era una Cerimonia del
Fado, una casa permanentemente vuota, e la schiacciante consapevolezza di
essere l'ultima della sua linea di sangue, rimasta sola sul pianeta.
Se i ricordi condivisi erano i migliori... allora quelli che non potevi
più condividere con le persone che vi erano coinvolte, erano i peggiori.
Quel tipo di solitudine ti trasformava in un volume di riferimento piuttosto
che in una parte della storia, e aveva la sensazione che le perdite rendessero
ogni pensiero un binario per il lutto.
Per evitare di piangere, cominciò a pensare a una serie di cose
sgradite, e indovinate dove si diresse il suo gancio cognitivo?
Al combattente della sera prima.
Fantastico.
Tuttavia, mentre seguiva le strade tortuose del paese e la densità della
popolazione umana defluiva a favore di campi di grano e piccoli
allevamenti da latte, scelse lui su cui concentrarsi. Era la cosa migliore di
una pessima moltitudine, come avrebbe detto suo padre, e non doveva
faticare molto per richiamare quel pensiero. Ricordava Shawn chiaro come
il giorno, dai suoi occhi di ossidiana, ai tatuaggi che coprivano il suo corpo,
alla sua aggressività... al suo sangue versato su tutto quel cemento.
Non aveva idea di come qualcuno potesse passare dall'essere quasi
morto ad andarsene per i fatti suoi. Ma aveva la sensazione che quella ferita
non era stata la prima che lui aveva subito. Dio, se fosse successo a lei,
avrebbe urlato fino a perdere conoscenza anche dopo essersi ripresa.
Nel frattempo, lui aveva l’aria di uno che era semplicemente bloccato
nella corsia sbagliata di un supermercato.
E tra l’altro, se lei glielo avesse detto, le avrebbe riportato indietro
quel maschio, il Reverendo.
Forse avrebbe dovuto prendere quella strada. Ma poi? Se il
Reverendo non sapeva nulla del Libro, come avrebbe potuto essere d’aiuto
trascinarlo di nuovo in quel garage? E forse l'offerta era stata solo
un’esagerazione da parte del combattente, una spacconata per gentile
concessione della sua esplosione di testosterone.
Giusto?
Mentre imboccava una strada sterrata soffocata da cespugli ed
eccessiva vegetazione, stava ancora dibattendo i pro e i contro della
decisione presa la sera prima. Ma almeno era quasi da Tallah e poi...
evviva! … aveva avuto altro a cui pensare... come Libri che possono o non
possono esistere, e possono o non possono essere utili nella situazione di
suo fratello.
E poi doveva concentrarsi sulle cattive condizioni di questo sentiero
per le capre. C'erano buche con cui combattere, i fari che rimbalzavano su e
giù mentre cercava di evitare il peggio, e i rovi che erano cresciuti lungo i
lati erano così stretti che i più aggressivi graffiavano la verniciatura della
Civic.
Ma poi il cottage fece la sua comparsa.
Dopo l'ultima curva, la sua auto puntò la sua destinazione, i fari
illuminarono la vecchia pietra delle pareti esterne con una luce un po'
scortese. Il posto era in un signorile stato di abbandono, la porta d'ingresso
dipinta di un rosso sbiadito era parzialmente scheggiata, una persiana era
appesa storta, il tetto di ardesia mostrava qua e là una tegola mancante.
Anche i giardini erano in disordine, il roseto nient'altro che un intricato
cerchio di spine ed erbacce, il vialetto anteriore irregolare e consumato
dalle radici degli alberi e dai tunnel delle talpe. Nel cortile laterale c'era un
ramo caduto grande come un'auto, e quella vecchia betulla, nonostante la
rianimazione del calore e del sole della primavera, sembrava che non
avrebbe superato il coma del freddo invernale.
Mettendo la macchina nel parcheggio, spense il motore e prese un
respiro profondo. Aveva davvero bisogno di essere più di aiuto nella
proprietà, ma tra il suo lavoro a tempo pieno e la cura della propria casa,
l'ultimo anno era passato davvero velocemente. In passato, quando suo
padre era stato ancora vivo, lei veniva qui per occuparsi di un sacco di cose,
e anche suo fratello aveva aiutato. Era incredibile quanto velocemente le
cose fossero degenerate, però.
Tre anni senza manutenzione e tutto era quasi irriconoscibile. Ed era
difficile non trovare un parallelo con il crollo della sua vita: tutto ciò che
una volta era rimasto forte e vero, ora era decadente e perduto.
I suoi genitori erano sembrati così duraturi. Anche Rhoger.
La giovinezza e il fatto di non essere mai a contatto con la morte,
avevano significato che la sua famiglia era immortale e i dettagli della sua
vita… dove viveva, con chi era imparentata, cosa faceva… erano stati scritti
nella pietra, immutabili come il cielo notturno, come la gravità, come il
colore dei suoi occhi.
Un errore, però.
Uscendo, quasi dimenticò di chiudere la macchina. Ma un'eco della
paura che aveva provato tra quella folla di umani le aveva fatto inserire la
chiave nella portiera per girarla.
Mentre camminava sul vialetto lastricato, Tallah aprì la porta, e la
vista della femmina anziana curva in piedi in quell'arco familiare le fece
sbattere le palpebre. Tallah era sempre la stessa, vestita con una delle sue
ampie vestaglie, questa volta di un blu pervinca, indossava delle pantofole
blu e gialle abbinate. Anche il suo bastone era coordinato, un nastro azzurro
pallido avvolto lungo lo stelo di metallo del supporto, e c'era un fiocco
corrispondente all'estremità della sua treccia di capelli bianchi.
- Ciao - disse Mae salendo sul gradino d'ingresso.
- Salve, mia cara –
Si abbracciarono oltre la soglia, Mae stava attenta a non stringere
troppo forte, anche se tutto ciò che voleva era avvicinare Tallah per non
lasciarla mai andare.
- Vieni - disse Tallah. - Prendiamo il tè –
- Penso io alla porta - mormorò Mae entrando.
La cucina era sul retro, e mentre seguiva Tallah attraverso le stanze
minuscole e familiari, tutto aveva lo stesso odore. Pane fresco. Vecchie
poltrone in pelle. Fuoco spento nel focolare e fragranti foglie di tè. I mobili
erano fin troppo grandi per la piccola casa, ed erano di una qualità
assurdamente alta, i tavoli dorati con marmi, lo scrittoio di legno pregiato
intarsiato, le sedie e i divani rivestiti di sete sbiadite e ormai consumate.
Alle pareti erano appesi dipinti a olio in pesanti cornici dorate, paesaggi e
ritratti eseguiti da Matisse, Seurat, Monet, Manet.
C'era una fortuna sotto il tetto di questo minuscolo cottage e Mae si
preoccupava spesso che i ladri potessero venire qui. Ma fino a quel
momento era andato tutto bene. Tallah viveva qui dagli anni Ottanta e non
era mai stata preoccupata. Era un peccato, però, che la donna si fosse
sempre rifiutata di vendere anche solo uno di quei dipinti per migliorare le
sue condizioni di vita. Tuttavia, era stata risoluta nel tenere le sue cose con
sé, anche se ciò significava che non poteva permettersi i miglioramenti
necessari. Quell'ostinazione non aveva molto senso, ma era una decisione
sua e di nessun altro.
Nessuna delle due disse nulla mentre Mae si sedeva al tavolo della
cucina e Tallah si dava da fare al ripiano con il bollitore elettrico e due tazze
da tè. La voglia di aiutare la femmina con il vassoio era quasi irresistibile,
soprattutto quando Tallah appese il bastone all'avambraccio e sembrò lottare
con quel carico di panna, zucchero e tazze piene. Ma l'autosufficienza era
una fonte di orgoglio per gli anziani, e nessuno voleva togliere ulteriore
autonomia alla femmina prima che fosse assolutamente necessario.
Tallah posò il vassoio e Mae accennò all'angolo più lontano del
tavolo, dove una specie di esposizione di oggetti era coperta da un logoro
asciugamano con monogramma.
- Cosa c'è lì sotto? –
Di solito, la femmina teneva tutto in ordine, la minima quantità di
cose sui ripiani, sui tavoli, sugli scaffali, sulle mensole del camino.
- Dimmi di nuovo cosa è successo la scorsa notte? - disse Tallah
sedendosi e passandole una tazza e un piattino.
La porcellana vibrò nella sua presa instabile e il suono si riverberò in
tutto il corpo di Mae. Fu un sollievo prendere il tè e porre fine sia
all'acustica che al rischio di una fuoriuscita totale, e lei mascherò la sua
fretta parlando un po’ di tutto. Naturalmente, omise alcune parti. Quella in
cui aveva malmenato quella donna umana nella fila d'attesa, e sì, accidenti,
parecchi buchi per quello che riguardava Shawn.
- Il Reverendo ha mentito sul Libro - disse Tallah versando del latte
nel suo tè. - Sa esattamente di cosa si tratta. Ma forse non dove si trova –
- Beh, lui non ci aiuterà. È stato abbastanza chiaro su questo –
Mentre tacquero, Mae guardò il ricciolo di vapore che si alzava dal
suo tè. L'Earl Grey si stava raffreddando e la sua ampiezza stava
diminuendo.
- Tallah... –
- Cosa, mia cara? –
Pensò a Rhoger in quell'acqua fredda.
- Non so quanto tempo abbiamo ancora –
Il corpo non si stava decomponendo, non ancora. Ma sarebbe
accaduto. E in più, non era sicura di quante notti ancora sarebbe potuta
andare a quel distributore a comprare del ghiaccio, per poi tornare in quella
vasca e scaricare l'acqua per poi riempirla di nuovo...
Oh, chi voleva prendere in giro! Avrebbe continuato a farlo finché
non fossero rimasti solo pezzi di lui, nient'altro che una zuppa di fluidi
corporei in quel bagno, purché ci fosse speranza. E forse, in quel momento,
era proprio quella che stava morendo in lei.
Spinse via la tazza da tè.
- Tallah, è difficile per me dirlo –
- Per favore - l’anziana femmina si sporse in avanti e mise la mano sul
braccio di Mae. - Puoi dirmi qualsiasi cosa –
Mae si concentrò sulla stampa floreale della manica della vestaglia, i
fiorellini gialli e bianchi in un mare di blu.
- Questo Libro, qualunque cosa sia… - Mae guardò in quegli occhi
acquosi e cercò di tenere lontana la richiesta dalla sua voce, dalla sua
espressione. - Voglio dire, cosa stiamo facendo veramente. Non voglio
dubitare di te, ma non posso... faccio fatica a continuare questa inutile
ricerca. Hai detto che il Reverendo era la nostra ultima speranza e siamo al
punto di partenza. Di nuovo –
Beh, e poi c'era il problema più grande di ciò che le era stato detto che
il Libro avrebbe fatto per lei. Aveva così tanto bisogno di credere che la
resurrezione fosse possibile, ma stava cominciando a chiedersi se le
leggende metropolitane iniziavano e si propagavano in questo modo:
qualcuno vulnerabile che aveva bisogno di credere che ci fosse una
soluzione metafisica per i suoi problemi, era stato ingannato.
La disperazione poteva plasmare la verità su ogni bugia. E anche se
proveniva da una fonte ben intenzionata, c'era crudeltà nella falsa promessa
di aiuto.
Tallah bevve un sorso dalla sua tazza. Poi si rilassò sullo schienale
tenendo il tè tra le mani nodose come se fossero fredde.
- Pensavo che perdere la mia posizione sarebbe stato il punto più
basso della mia vita. Ma guardando tutto quello che hai sopportato in questi
ultimi anni... supera anche i miei momenti più tristi. Come potrei non
aiutarti? –
Mae non aveva mai chiesto dettagli, ma a un certo punto Tallah era
stata al più alto livello dell'aristocrazia, accoppiata con un membro del
Consiglio. La mahmen di Mae, Lotty, aveva lavorato per lei come
domestica. Era successo qualcosa, però, e quando Tallah era venuta qui,
Lotty aveva insistito per pulire la casa gratuitamente e, abbastanza presto,
l'intera famiglia era stata coinvolta nel prendersi cura della femmina
anziana.
Che ironia che quella caduta in disgrazia avesse infine salvato la vita
della femmina. Se avesse continuato a vivere in quella grande casa sarebbe
stata uccisa durante i raid nella proprietà, proprio come i genitori di Mae.
- Il vero nome del Reverendo è Rehvenge - disse Tallah. - È un
membro della glymera, o almeno lo era. Non sono sicura di quanti ne siano
rimasti esattamente adesso. Come ti ho detto, conoscevo molto bene sua
mahmen. Lei stessa ha usato il Libro in passato e mi ha parlato del suo
potere. È così che l'ho saputo la prima volta. Ti fornirà ciò di cui hai
bisogno. Lo giuro su quel poco che è rimasto della mia vita –
Mae abbassò gli occhi.
- Non parlare così –
- È la verità e lo sappiamo entrambe. Morirò presto, ma a differenza
di tuo fratello, il mio tempo per andare è come dovrebbe essere. Ho vissuto
la mia parte di notti. Invece la sua vita è stata presa troppo presto, e questo è
un torto che deve essere corretto –
Tallah allungò la mano verso il telo all'estremità del tavolo. Tirò
indietro il tessuto e ciò che vide non aveva senso: aceto bianco. Un piatto
d'argento. Sale. Un coltello affilato. Un limone. Una candela.
Okay, bene, se volevi preparare il condimento per l'insalata, tutte
quelle cose potevano essere utili, ma perché quegli altri oggetti da Houdini?
- A cosa serve tutto questo? - chiese Mae.
- Ti porteremo il Libro - Tallah fece un cenno verso gli ingredienti. -
Se è necessario -
CAPITOLO QUATTRORDICI
•••
•••
- Quindi mi stavi parlando di questa cosa del Libro –
Accanto al bancone della cucina di Tallah, Mae chiuse gli occhi e
giurò a se stessa che il caffè che stava versando sarebbe rimasto nel suo
dispositivo di erogazione in ceramica. Non lo avrebbe dato al maschio che
lo aveva ordinato come se fosse stato in un ristorante.
Come erano riusciti ad arrivare al piano di sotto tutti interi era una
specie di miracolo. E non perché erano stati inseguiti da qualcosa.
Olio e acqua. Erano olio e acqua insieme.
- Allora? - suggerì Sahvage posando la giacca di pelle sulle armi che
si era tolto dal torace.
Si appoggiò allo schienale della sedia e la guardò con uno sguardo
diretto.
- Non voglio parlare del Libro - disse lei portandogli la tazza.
- Grazie - sorrise indicando ciò che gli aveva preparato. - È perfetto –
- Non l'hai ancora assaggiato –
- L'hai fatto per me. Questo è tutto ciò che la perfezione richiede –
Con un cipiglio, lei si sedette dall'altra parte del tavolo.
- Non farlo –
- Cosa? –
- Cercare di essere affascinante - si strofinò gli occhi doloranti e si
chiese se ci fosse del Motrin nella sua borsa. - Non funziona –
- Non sono mai stato affascinante –
- Beh, chi lo può dire. Metteremo la consapevolezza di sé nella tua
breve lista di attributi positive –
- Un giorno ti piacerò - Ci fu un suono. Poi un ahhhhh. - Vedi? Te l'ho
detto che è perfetto. Ora parlami del Libro. E sì, smetterò di fare lo scemo –
- Impossibile –
- Dammi una possibilità - Sahvage si fece serio. - Voglio sapere
qualunque cosa tu faccia al riguardo –
Il combattente restò in silenzio, pronto ad aspettare. Mae si sentì
retrocedere nella sua mente, ma non si trattava di suo fratello, di quella
vasca piena di cubetti di ghiaccio, della terribile missione in cui era
impegnata. Invece, era di nuovo fuori sulla veranda di questo cottage in
precedenza tranquillo, a sparare con una pistola pesante che, Sahvage aveva
ragione, non avrebbe potuto reggere da sola.
- Non potevo usare due mani - mormorò. - Con due mani ce l'avrei
fatta –
- Che cosa? - le disse. - Oh, stai pensando alla mia Glock. Sì, è grande
–
Mae strinse gli occhi.
- Puoi smetterla con i doppi sensi. In qualsiasi momento –
- Sei stata tu, non io - si spostò di lato e posò la pistola sul tavolo in
mezzo a loro. - Il nome è proprio lì sull'arma –
- Cosa hanno i maschi che vogliono sempre mostrare le loro pistole? –
- Non puoi offrirmi un'occasione del genere... –
- Cosa ho detto sui doppi se... –
- Intendi queste pistole? - le disse contraendo due enormi bicipiti. -
Oh, ed ecco che ora mi lancia un sguardo mortale. Come se nessuno lo
facesse per fare scena –
Mae cercò di non sorridere, lo guardò inclinare l'arma per rimetterla
nella fondina… e quando notò quanto fossero muscolose le sue spalle sotto
quella maglietta attillata, non riuscì a restare seduta. Si alzò in piedi e portò
con sé le due tazze da tè e l’Earl Grey freddo di Tallah per posarle nel
lavandino. Poi tornò per la zuccheriera e la caraffa della panna. Così come
per il limone spremuto.
- Mettete l'aceto nel vostro tè? - prese la bottiglia e ne esaminò
l'etichetta. - Strani gusti –
- Lo prendo io –
Quando andò per prendergli la bottiglia, lui non la lasciò andare.
- Parla con me, Mae. So che non ti piaccio e di sicuro non apprezzi il
fatto che io sia venuto qui. Ma quel tizio con la cresta ha ragione. Ti devo la
vita e potrei essere un pezzo di merda, ma ho un codice d'onore. Inoltre, hai
appena visto quanto sono abile in una rissa, vero? –
Rilasciò la presa. Ma non smise di fissarla, però.
Così, quando lei si voltò e rimise l'aceto nell'armadio, poteva sentire i
suoi occhi su di lei.
- Prometto di fare il bravo – mormorò, poi ridacchiò. - Va bene,
prometto di migliorare. E farlo durare questa volta –
Appoggiata al bancone, Mae considerò le sue opzioni. E non
sembravano includere cacciarlo di casa a calci, e non solo perché non
avrebbe mai potuto portarlo alla porta.
Con un senso di sconfitta, tornò alla sedia su cui era stata seduta.
Appoggiò le mani sul tavolo, intrecciò le dita e prese un respiro profondo.
- Qualunque cosa sia - le disse - ti crederò –
- Che cosa strana da dire –
Lei lo guardò. Lui incombeva lì, il suo corpo enorme traboccava dalla
sedia, dal tavolo... dal cottage. Eppure era immobile e silenzioso. Pronto ad
ascoltarla.
- Ma è tutto così folle - Mae scosse la testa. - Davvero folle –
- La vita è folle. La cosa sciocca è pensare che non lo sia –
- Se tu dovessi tirare a indovinare, cos'era quell'ombra là fuori? –
- Parlami del Libro. Ho la sensazione che risponderà alla tua
domanda, ed è quello che credi anche tu, vero? –
- Smettila di leggermi nel pensiero –
- Non ti sto leggendo nel pensiero - continuò a sorseggiare il suo
caffè. - È un’intuizione –
- Non è un cosa da femmine? –
- I ruoli sessuali tradizionali sono sessisti –
Mae non voleva ridere. Quindi si coprì la bocca con la mano per
attutire il suono, nascondere l'espressione.
- Dovresti farlo più spesso - le disse dolcemente.
Arrossendo, Mae si allontanò dal viso i capelli. Strano. Anche se i
suoi vestiti erano in ordine e i suoi capelli ancora raccolti in una coda di
cavallo, si sentiva tutta in disordine. Come se qualcuno l'avesse infilata in
una galleria del vento.
- Non ho avuto molti motivi per ridere ultimamente - si sentì dire.
- Parla con me –
Gli occhi di Mae andarono al piatto d'argento vuoto, con nient'altro
che il residuo del suo sangue e gli altri ingredienti dell'incantesimo.
- Ho perso molte persone care di recente. E non voglio perderne
un’altra –
- Chi è morto? O sta morendo? - Quando lei non rispose, lui alzò le
spalle. - Lasciami indovinare. Le preghiere non hanno funzionato, o non ti
sembra che sono servite a qualcosa. Quindi stai facendo di testa tua –
- Credi nella magia? –
Quando non rispose, lei alzò lo sguardo in quello di lui. La stava
fissando con un'espressione assente.
- In effetti, sì - disse dolcemente.
Mae dovette distogliere lo sguardo a causa di una seconda vampata di
calore che le salì sulla gola e sul viso. Ma sicuramente stava interpretando...
qualunque cosa fosse... nella maniera sbagliata. Un maschio come lui? Di
sicuro andava con una di quelle donne o femmine da fight club, quelle che
facevano la fila d'attesa con le altre al parcheggio, quelle con i fianchi e le
tette e gli abiti per mostrare quel genere di doti.
- Cosa faresti per mantenere in vita qualcuno che ami? - gli chiese per
rimettersi in carreggiata.
Nessuna esitazione:
- Ucciderei chiunque. Qualsiasi cosa –
Guardò la sua giacca e pensò a cosa c'era sotto.
- Ti credo. Ma non sto parlando di difenderli. E se potessi... farli
vivere di nuovo? E se avessi la capacità di riportarli indietro, cambiare il
destino, prenderlo nelle tue mani? Prendere il controllo di un risultato
sbagliato? –
Ci fu un lungo silenzio, poi gli occhi di lui la abbandonarono.
- Stai parlando di resurrezione… -
- Vedi… – disse - te l'avevo detto che è folle –
- Non è folle - Il suo sguardo di ossidiana tornò su quello di lei. -
Incredibile, forse, ma non folle –
- Non è la stessa cosa? –
- Di cosa stiamo parlando esattamente, Mae? –
Ci volle un po' prima che lei potesse rispondere, prima che potesse
scegliere le parole giuste. E poi mentì.
- Tallah è tutto ciò che mi resta. Sta arrivando alla fine della sua vita.
Non posso lasciarla morire. Io... devi capire. Non ho nessun altro al mondo,
e non perderò anche lei –
Mae si alzò di nuovo dalla sedia. Dato che non c'era più niente da
riordinare, nessun motivo se non la sua ansia di muoversi, si allungò verso
il piatto d'argento. Raccogliendolo, andò al lavandino e lo sciacquò.
- A volte devi lasciare andare le persone - disse Sahvage a bassa voce.
Lei si voltò a guardarlo.
- Beh, non voglio –
- E pensi che questo Libro sia la tua risposta? Lei vivrà per sempre
dopo che hai fatto cosa? Agitato una bacchetta sulla sua fronte? –
- Non è divertente –
- Non voleva esserlo. Cosa c'è nel Libro? –
Dato che Mae non aveva una vera risposta per quello, la fragilità del
suo piano, o soluzione, sembrava traballante come un castello di carte.
- Mi dirà cosa fare. Per salvarla –
- Incantesimi, eh - Prese un altro sorso dalla tazza. - Dio, non sentivo
una cosa del genere dai tempi del Vecchio Continente. E per quanto
riguarda l'immortalità, fai attenzione a ciò che desideri. A volte, lo ottieni
davvero –
- Esattamente. Non voglio che muoia e resterà viva –
- Le persone non dovrebbero vivere per sempre –
- Non mi interessa –
Lui rise.
- Sai, ho molto rispetto per la tua aggressività arrogante. E detto
questo, come farai a trovare questo Libro? –
Prendendo uno strofinaccio, asciugò il piatto d'argento.
. Abbiamo già fatto quello che dovevamo fare –
- Che sarebbe? - alzò l'indice. - Aspetta, fammi indovinare. Vai a un
combattimento a mani nude e cerchi di far uccidere un ragazzo distraendolo
come sacrificio di sangue. Ottimo piano, e ha funzionato davvero bene –
- Stavi per uccidere quell'umano –
- No, non è così - Dopo un momento, fece un movimento con la mano
libera. - Va bene, va bene, forse lo avrei fatto. Ma non era omicidio. Lo ha
chiesto lui e io ho sempre detto che le decisioni stupide degli altri non sono
un mio problema. Ora, come hai fatto a ottenere il libro? Hai cercato su
Amazon sotto Magia per Principianti? –
- Era un incantesimo di evocazione. E sono abbastanza intelligente,
grazie mille –
Anche se sentiva di non aver vinto molti premi per il suo Quoziente
Intellettivo ultimamente.
Gli occhi di lui si strinsero.
- Quindi il Libro è qui… -
- Non ancora –
- Quando hai fatto l'incantesimo? –
- Appena prima... - lei si schiarì la gola. - Appena prima che tu
arrivassi –
Un lungo silenzio. Poi lui mormorò:
- E te lo dirò di nuovo: ti chiedi perché è apparsa quell'ombra? –
In realtà, lei non lo stava facendo.
- Penso che dovremmo controllare le tue ferite. Solo per essere sicuri
che stai bene –
- Cambiamo argomento, eh? –
- Affatto –
Sahvage si portò la tazza alle labbra e inclinò la testa all'indietro,
finendo il caffè. Quando posò il vuoto sul tavolo, le sorrise in quel modo:
un lato della bocca che si sollevava, uno sguardo d'intesa in quei brillanti
occhi neri.
Come se avesse tutte le risposte e ogni volta che apriva la bocca era
un'opportunità per spiegare sempre tutto.
- Solo perché tu lo sappia, so cosa stai facendo - le disse.
Appunto.
- Cosa? Forse dovrei prendere appunti, o sarà un'altra ovvia
affermazione... –
- Quando ti senti parlare, ti rendi conto di quanto ti stai comportando
da pazza, ma il tuo cuore non ha intenzione si lasciar perdere, quindi devi
sviare il discorso. Va bene. Possiamo controllare di nuovo le mie ferite. Ma
non credo che dovremmo ignorare ciò che sta realmente accadendo qui –
- Non sai un cazzo di me –
- Hai ragione. Sono totalmente fuori strada. Quindi controlliamo
perché sono io ad avere bisogno di aiuto –
Con quella piccola dichiarazione felice, Sahvage prese le estremità
della sua maglietta e non distolse lo sguardo quando sollevò lentamente
quella dannata cosa... per rivelare quel tatuaggio e tutta la muscolatura sotto
la sua pelle piena di inchiostro. Quando gettò da parte ciò che gli aveva
coperto il busto, si risistemò sulla sedia come se fosse completamente nudo.
Come se fosse assolutamente sicuro del proprio corpo. Come se fosse molto
consapevole che lei non potesse non notare quello che le stava mostrando.
E reagire in qualche modo.
Tra l’altro, con il petto nudo, lui ora sembrava essere ancora più
grande, e Mae deglutì. Ma non perché avesse paura.
No, la paura non era il problema. Decisamente no.
- Vieni a curare le mie ferrite - le disse con un basso mormorio. - E
comunque, puoi toccarmi ovunque. Sai, a scopo clinico. Lungi da me
impedire qualsiasi valutazione sulla mia salute e il mio benessere generale –
Mae sbatté le palpebre. Poi recuperò.
- Sei un idiota –
- Sì, lo so - Lui si chinò e abbassò le palpebre. - Ma tu mi vuoi lo
stesso -
CAPITOLO VENTI
•••
•••
Sahvage si materializzò sul lato del garage in cui Mae aveva appena
parcheggiato la sua auto. Quando le serrande iniziarono a scendere, si
guardò alle spalle. Guardò la casa a un piano. Controllò cosa poteva vedere
sul retro. Non voleva che lei uscisse da quel fottuto veicolo finché le cose
non fossero state sicure...
E lei non lo fece. Aspettò che tutto fosse chiuso.
- Brava ragazza - disse dolcemente, anche se lei non avrebbe
approvato di essere chiamata ragazza.
Rimanendo nell'ombra, tirò fuori dallo zaino ciò che aveva rubato dal
cottage quando lei aveva portato Tallah a letto: il sale non iodato di Morton.
Anche se lui l'avrebbe preso con lo iodio. Non aveva importanza.
Con mano ferma, aprì la parte superiore della scatola, e fu fortunato
per due ragioni: il contenitore era quasi pieno e la casa degli anni settanta
non era grande. Tuttavia fu attento a razionare il sale. Lo versò solo per
terra davanti alle porte e alle finestre. Avrebbe preferito sigillare tutto
intorno, ma non poteva rischiare di rimanere senza.
Dopo aver coperto il pianterreno, si materializzò sul tetto. Niente
camino, ma c'erano due tubi di sfiato, probabilmente per i bagni, e versò il
sale sulle tegole.
Poi si sedette con il culo sulla trave centrale della casa e scalciò le
gambe davanti sul facile pendio. Si chiese cosa stesse facendo la femmina
sotto di lui, forse prendeva qualcosa da mangiare, controllava la posta. Però
sarebbe tornata al cottage per la giornata. Non avrebbe voluto che quella
femmina rimanesse da sola.
Maledicendo se stesso, maledicendo Mae, scrutò il cortile e il vicinato
non solo con gli occhi, ma con tutti i sensi e l'istinto che aveva.
Non era sicuro di credere nel sale. Ma era qualcosa su cui Rahvyn
aveva sempre giurato, ed era una raccomandazione buona come un’altra per
uscire da quell'incubo.
Dio, avrebbe voluto che suo cugina fosse stata lì. Avrebbe saputo cosa
fare.
Accidenti, forse avrebbe potuto dissuadere Mae da quella follia...
La prima cosa che notò furono le stelle che scomparivano sopra di
loro. Ma non per le nuvole. Era come se un sudario nero fosse stato tirato
attraverso il cielo direttamente sopra la casa.
- Fanculo! –
Alzandosi in piedi, estrasse entrambe le pistole e osservò il quartiere
che era a stretto contatto con la periferia e popolato come tale: nelle case su
entrambi i lati, così come in quelle dall'altra parte della strada, vivevano
esseri umani, uomini e donne che si rilassavano a letto, guardavano la TV,
facevano spuntini di mezzanotte.
L'ultima cosa di cui aveva bisogno erano un mucchio di indici che
chiamavano il 911 mentre stava cercando di salvare la vita di quella
femmina.
- Cazzo1 –
Scese dal tetto inclinato fino alla la grondaia e saltò a terra, atterrando
con un boom. Girandosi verso la porta d'ingresso, avrebbe voluto bussare,
ma si fermò.
Il garage. Non aveva sigillato la porta del garage.
Infilando una delle pistole nella fondina, strappò la scatola e corse
verso la minuscola fenditura tra quei pannelli retrattili e il bordo di cemento
della soletta del garage. Il sale doveva essere a terra prima che qualunque
cosa fosse apparsa al cottage si ripresentasse...
- Non pensi mica che funzionerà, vero? –
La voce era femminile e sembrava provenire da ogni direzione. Ma
per quanto scioccante fosse, rifiutò di farsi distrarre. Continuò a versare, la
leggerezza del contenitore lo spaventò quando si avvicinò al lato opposto
dell'ampio ingresso.
Più veloce.
Più veloce.
Più veloce… più veloce…
Sahvage quasi gettò il dannato contenitore all'angolo formato dal
bordo della casa e il cemento, sulla base della teoria che il sale era ancora al
suo interno, anche se c'era un contenitore di cartone che lo avvolgeva.
Fu quando alzò lo sguardo che vide la gamba.
Una gamba molto formosa... inserita in uno stiletto nero lucido con la
suola rossa.
I suoi occhi seguirono la delicata caviglia fino al polpaccio tornito e si
spinsero più in alto, fino a un ginocchio molto femminile. Dopo arrivarono
le cosce, cosce incredibilmente lisce messe in mostra da una minigonna
nera che dava un nuovo significato sia ad attillata che a corta. E Gesù... la
metà superiore della donna era più che all'altezza della parte inferiore. Tra il
bustier push-up nero, e tutti quei capelli castani, e quel viso...
- Ciao - strascicò la donna mentre si appoggiava alla casa, proprio
sopra il contenitore del sale. - Che piacere incontrarti qui –
I suoi occhi erano neri come l'ebano e scintillanti come se fossero in
controluce, e le sue labbra erano rosso sangue, ed era la donna più bella che
lui avesse mai visto.
E la sua malvagità gli fece venir voglia di tirare fuori l'altra pistola.
Così fece, cazzo.
- Dai, andiamo - gli disse - è davvero necessario? Non siamo
nemmeno stati adeguatamente presentati. Se hai intenzione di spararmi, non
dovremmo almeno stringerci la mano prima? –
Con un movimento aggraziato, lei raccolse la scatola. Incontrò gli
occhi di lui, fece scorrere un'unghia rosso sangue intorno al beccuccio di
metallo aperto.
- Solo perché tu lo sappia, in questo momento sto resistendo alla
tentazione di fare alcune battute tipo sei così salato - Quel dito continuò a
giocare con l'apertura. - Lo dirò di nuovo, pensi davvero di potermi tenere
fuori da un qualsiasi posto? –
Nella pozza di luce proiettata da un lampione all’esterno, lei stava
fallendo completamente nel cercare di sembrare perfettamente normale: le
ombre sotto il suo corpo si muovevano anche quando lei non lo faceva, e
poi c'era la sua aura. Un luccichio nero come la pece tingeva l'aria intorno a
lei.
Perché irradiava il male.
Lanciò la scatola oltre la spalla e il contenitore rimbalzò via come se
stesse scappando da lei.
- Ti servirà molto di più della roba per condire le patatine fritte per
tenermi fuori. Ma basta con gli ingressi e le uscite, dimmi una cosa, questa
gonna mi fa sembrare il culo grosso? –
Girandosi, si mise in posa e guardò oltre la sua spalla, mentre con la
mano percorreva la piega dalla vita fino al rigonfiamento perfettamente
proporzionato del suo fianco.
- Allora? - suggerì con le fusa nella gola. - Cosa ne pensi del mio
culo? –
Sahvage bloccò i suoi pensieri immaginando un armadio, un armadio
con ripiani che correvano lungo le pareti dal pavimento al soffitto.
All'interno dell’armadio gli scaffali erano vuoti, la luce in alto rivelava tutto
il niente che c'era dentro. Quando fu sicuro di poter vedere chiaramente i
dettagli, dalle venature del legno su quelle assi verticali fino al cordino che
pendeva dalla lampadina, chiuse la porta dell'armadio. E lo bloccò.
Mentre la donna accarezzava i suoi beni posteriori, aveva in mente
quell'ultima immagine: una porta robusta, una porta spessa, una porta
rinforzata che era sbarrata, che proteggeva un armadio senza niente.
La donna ridacchiò.
- Guardati, con i trucchetti da quattro soldi -
Non dire niente, si disse. Non dire niente ad alta voce.
- Così protettivo nei confronti della femmina sotto questo tetto - La
donna… donna?... diede un'occhiata alla casa. - Devi tenere profondamente
a lei. O ti stai solo assicurando che viva abbastanza a lungo da poterla
scopare? –
Sahvage guardò davanti a sé e sbatté a malapena le palpebre.
- Ho ragione, non è vero? - La donna sorrise mentre si voltava per
guardarlo in faccia. - Non l'hai ancora fottuta. Ma lo vuoi, non è vero? La
vuoi nuda sotto di te e la marchierai come tua, come se di questi tempi
questo significasse qualcosa. Non hai sentito che la monogamia è fuori
moda? –
La sua voce era bassa e seducente, a sostegno del suo corpo, delle sue
labbra, dei suoi capelli. Era un pacchetto così allettante, ma una volta tolto
quel nastro? Strappato la carta da regalo?
- O forse c'è di più per voi due? - Lei tese una mano elegante e puntò
l'indice rosso sangue al centro del suo petto. - Lei ha questo? Cosa batte
qui... ha preso il tuo cuore? - Silenzio. - Di già... wow. Dovrò prendere
qualche consiglio da lei. Non è un granché, ma il suo gioco evidentemente
sta andando alla grande -
Non dare niente, pensò Sahvage. Non dare niente, non dare niente,
nondarenientenondarenientenon dare…
Gli occhi di lei brillavano di minaccia.
- Sai, mi fai venire voglia di entrare dentro di te. Penso che sarebbe
divertente, almeno per me. E per te, per un po'. Ma ehi, a volte nella vita,
tutto ciò che ottieni sono brevi piccoli divertimenti, giusto? Piccole gioie.
Allora che ne dici, combattente. Che ne dici se scopiamo e ti faccio
divertire davvero –
Di punto in bianco, gli venne un pensiero, come un aeroplano di carta
che navigava nel suo campo visivo.
Questa donna, che non era affatto una donna ma qualcos'altro... era il
suo biglietto per lasciare il pianeta.
Dopo tutti quegli anni, la morte, che tante volte aveva desiderato, e
troppe volte gli era stata negata, aveva finalmente varcato la soglia della sua
casa interiore e si era seduta su una sedia.
Ad aspettare il momento giusto.
La donna sorrise, le sue labbra rosso sangue si contrassero in
un'espressione di malvagia soddisfazione.
- Sarai mio -
•••
Toc toc.
Un bussare costante alla porta della camera da letto di Balz.
Quando le sue pesanti palpebre si sollevarono, non riusciva a capire
perché diavolo qualcuno lo stesse svegliando nel bel mezzo della giornata.
Stava dormendo, cazzo!
- Che c’è? - sbottò.
Su suo gentile invito, la porta si aprì e gli spedì per via aerea un
raggio di luce dal corridoio che gli incenerì l'iride. Con un sibilo, fece un
classico gesto alla Dracula, si coprì il viso con l'avambraccio e indietreggiò.
- Sei ancora a letto? –
Syphon, di nuovo. Ovviamente. L’iperprotettivo figlio di puttana era
una sveglia che arrivava con frullati biologici senza glutine, frullati di
mandorle e porridge biologico.
Se solo ci fosse stato un sacchetto di Doritos da lanciare al ragazzo.
O qualsiasi cosa che avesse del colorante rosso o roba OGM nella
lista degli ingredienti.
- Sì, sono ancora nel dannato letto - ribatté lui. - È quasi l'una del
pomeriggio. La domanda è: perché tu non sei… -
- È mezzanotte - Quando Balz non rispose, il bastardo continuò. -
Mezzanotte, sai tipo una dozzina di rintocchi dell'orologio a pendolo nel... –
- So contare –
- Davvero? –
Balz allungò una mano sul comodino. Afferrando il suo Galaxy S21,
controllò l'ora, pronto a lanciarlo in faccia a suo cugino...
00:07
Sedendosi, si scostò i capelli dal viso, anche se li aveva tagliati di
recente e non c'era niente nei suoi occhi. Infatti, vicino a dove era stato il
suo telefono, c'era quella tazza da viaggio e il croissant che era ancora
avvolto in uno strofinaccio.
Gesù. Aveva dormito come se gli avessero dato un pugno in testa.
E nessun sogno sulla sua femmina.
Le luci in alto si accesero quando Syphon premette l'interruttore, e poi
il combattente pronunciò le parole che ogni fratello e Bastardo temeva
quanto una seconda venuta dell'Omega.
- Ho chiamato la dottoressa Jane –
- Che cosa? - Balz cercò di non urlare. - Perché? Sto benissimo… -
Sei rimasto fulminato –
Balz si accigliò perché poteva non aver sentito bene. Quando suo
cugino si limitò a fissarlo in attesa, come se il bastardo avesse appena
dimostrato per certo che i maiali potevano volare, era evidente che la logica
doveva essere spiegata.
Dov'erano una lavagna bianca e un pennarello quando ne avevi
bisogno?
- Torna a dicembre - Balz indicò se stesso. - E nel caso non l'avessi
notato, io non risplendo al buio –
- E pensi che questo significhi che stai bene? –
- Penso che mi esclusa come luce notturna. E sono stato dalla
dottoressa Jane quattro mesi fa... –
- Qualcuno ha pronunciato il mio nome? - La brava dottoressa,
shellan di V, fece capolino dallo stipite della porta. - Come stiamo? –
Balz gemette e si lasciò cadere sui cuscini.
- Qualcuno può spiegarmi perché i medici usano il noi quando
parlano a persone che pensano siano malate? Chi è questo noi? –
La femmina bionda passò accanto a Syphon e diede al bastardo una
pacca sulla spalla, che era il segno universale per tutto a posto, grazie.
- Sono d'accordo - mormorò Balz. - Puoi andare, cugino –
- Siete entrambi così carini - Syphon si avvicinò e si parcheggiò sulla
sedia vicino al cassettone. - Davvero. Che cosa carina –
Avendo chiaramente perso quella battaglia, Balz si concentrò sulla
dottoressa Jane e scosse il suo cappello mentale pieno di scuse, senza
preoccuparsi davvero di ciò che veniva fuori. E mentre lei lo fissava
pazientemente, era difficile sentirsi frustrato da lei. Con i suoi corti capelli
biondi e lo sguardo verde, sembrava il tipo di persona in grado di trattare
qualsiasi cosa, da un'unghia rotta a un'aorta lesionata, con competenza,
empatia e tranquillità.
E lei aveva davvero bisogno di portare tutta quella competenza da
qualche altra parte, da qualcuno che ne avesse davvero bisogno.
- Capisco che sei stanco - disse sedendosi sul bordo del letto.
- Di questa visita? Sì, e non abbiamo ancora iniziato, vero? - Imprecò.
- Scusa, non intendevo offenderti –
- Nessun problema - si sporse in avanti. - Non crederesti a quello che
mi hanno detto i pazienti nel corso degli anni –
- Solo non dirlo al tuo hellren. Mi piacciono le mie braccia e le mie
gambe esattamente dove sono –
- Il tuo segreto è al sicuro con me - Lei gli sorrise. - Ora dimmi cosa
sta succedendo –
- Niente - Guardò Syphon. - Lo giuro... no, aspetta. Soffro di cuginite.
Puoi rimuovere quel tumore rumoroso e maligno per me? Lo trovò davvero
irritante ultimamente… -
- Ha perso una riunione della Confraternita - Syphon fissò il dottore. -
Non lo fa mai –
- Ho dormito! –
Syphon alzò gli occhi al cielo.
- Fino a mezzanotte? E in effetti ti sei perso due riunioni, non è così...
–
- Okay, okay - la dottoressa Jane fece dei gesti con le mani per
calmarli. - Che ne dici se faccio un controllo veloce? Se i parametri vitali
sono buoni e non c'è febbre o altro, dichiareremo chiuso questo caso –
- Grande! - Balz fissò suo cugino mentre si toglieva la maglietta. - E
ascolta, Doc, dopo che avrai finito di certificare che sto perfettamente bene,
farò trecento flessioni per questo stronzo, così si accerterà anche lui che sto
bene –
Syphon annuì.
- Le conterò io così non dovrai farlo tu –
Jane prese lo stetoscopio dalla sua temuta borsa nera.
- Non ci vorrà molto... –
- A meno che tu non trovi qualcosa - intervenne Syphon.
Balz appallottolò la camicia e con essa colpì il bastardo in testa.
- Sei come la General Electric, dai vita a cose belle. Quando stai zitto
–
- È rimasto fulminato, lo sai? - Syphon si tolse la maglietta dalla
faccia. - Voglio dire, era morto... –
- Lei mi ha curato! Ed è stato mesi fa... –
- Ragazzi. Per favore –
Syphon gettò via la maglietta e Balz cercò di non sembrare di
malumore. La dottoressa Jane si infilò lo stetoscopio nelle orecchie e si
avvicinò.
- Fai un respiro profondo per me - disse. - Bene. E un altro? –
Mosse il disco intorno ai suoi pettorali. Poi lo mise al centro.
- Respira normalmente ora –
Dopo un momento, si alzò.
- Stai bene. Voglio solo sentire anche la schiena –
Balz si sporse in avanti in modo che lei potesse fare tutto ciò di cui
aveva bisogno e resistette all'impulso di fare la linguaccia a Syphon. Perché
era assolutamente immaturo.
Quindi mostrò a quello stronzo entrambi i medi...
La dottoressa Jane controllò due volte e si tolse i tappi dalle orecchie.
- Come è successo? –
Syphon scattò a sedere in avanti, come se fosse pronto a essere
chiamato per aiutare con un codice rosso, Balz le lanciò un'occhiata.
- Com'è successo cosa? –
- Questi graffi. Sono su tutta la tua schiena, come se qualcuno ti
avesse afferrato mentre eri... oh –
Quando il dottore arrossì, un brutto presentimento spinse Balz a
gettare da parte le coperte per entrare nel suo bagno. Non c'era motivo di
accendere più luci. Quella plafoniera in camera da letto faceva un sacco
di…
Che.Cazzo.
Mentre mostrava la spina dorsale allo specchio sopra i lavandini, vide
delle lunghe strisce sulla sua pelle su entrambi i lati delle spalle, il torace...
e proprio sopra il culo.
Beh, almeno sapeva perché la dottoressa Jane, il medico
imperturbabile, aveva detto un oh!. C'era solo una ragione per cui un
maschio avrebbe potuto avere segni come quelli, e non aveva nulla a che
fare con un problema medico.
Piuttosto il contrario.
Quando uscì dal bagno, Jane stava chiudendo la sua borsa nera e si
stava alzando.
- Penso che qui siamo a posto, non è vero? –
Balz incrociò le braccia sul petto.
- Come ho detto, sto bene. Ero solo stanco –
Guardò attentamente Syphon.
- Ma chiamami se hai bisogno di me, okay? - Jane aprì la porta del
corridoio. - Promesso? –
- Lo prometto - Balz le sorrise. - E grazie. Mi dispiace che Mister
Pulsante Anti Panico qui abbia agito d’impulso –
- Nessun problema - Jane salutò entrambi. - Sono sempre qui, e
preferirei che mi chiamassi per niente piuttosto che non chiamarmi affatto –
Quando la porta si chiuse, Balz fissò suo cugino.
- Ora capisci perché potrei aver bisogno di un po’ di riposo? –
Syphon alzò entrambi i palmi come se avesse una pistola carica tra le
scapole.
- Chiaramente mi sono sbagliato. Chiedo scusa –
- Sei perdonato –
- Allooooora, dimmi chi è la femmina. E… possiamo condividere? –
No, non avrebbe mai condiviso la sua bruna. Con nessuno. Mai.
- Non è una di noi - fece un cenno con la mano. - Era solo la moglie
di questo tipo a cui ho fatto visita ieri sera. Era tutta sola quando non
avrebbe dovuto, e io mi sono preso cura di lei –
- Una scopata per pietà? Non è il tuo stile –
- Oh, non mi è dispiaciuto, fidati di me - Balz scrollò le spalle. -
Aveva solo bisogno di qualcuno che la facesse sentire di nuovo bella –
- E ovviamente lo hai fatto tu. Parecchie volte. Sono geloso - Syphon
si batté sulle cosce e si alzò. - Il che è chiaramente il motivo per cui un
ragazzo dovrebbe aver bisogno di qualche sonnellino in più per aver perso
un po’ di sonno... –
- Allora di cosa trattava l'incontro della Confraternita? - chiese Balz.
Non giunse risposta alla sua domanda, e il fatto che suo cugino se ne
fosse andato, fu un sollievo per molte ragioni.
Quando rimase di nuovo solo, tornò in bagno. Si guardò allo specchio
e pensò al tempo trascorso con la signora al Commodore. L’aveva trattata
come la regina che era, adorandola con le mani, la bocca, la lingua. Molto
di quel sesso non era stato registrato per una qualche particolarità, ma di
sicuro lui sapeva una cosa.
Voltando di nuovo la schiena allo specchio, fissò i graffi.
La signora non aveva le unghie lunghe.
E i sogni non lasciavano quel tipo di segni...
Giusto?
•••
CAPITOLO VENTICINQUE
- Sei sicura che non possiamo prendere nulla per te da dove vivi? –
Quando Rhage fece l'offerta alla donna con la veste con il cappuccio,
Nate era pronto a offrirsi volontario per quel viaggio, ovunque lo portasse.
Attraversare lo stato? Sì, certo. Attraversare il paese? Sì, certo. L'unico
guaio? Aveva la sensazione che Elyn non avesse cose da prendere. O
nessun posto sicuro da cui portarle via.
- No, grazie - disse lei dolcemente con quel bellissimo accento.
Elyn era seduta su un divano così nuovo che i cuscini erano ancora
avvolti dalla plastica e lei era chiusa in se stessa esattamente come quei
cuscini ancora imballati. Con la schiena perfettamente dritta, le gambe
incrociate alle caviglie e le mani intrecciate in grembo, era come una
perfetta femmina qualsiasi della glymera, la sua postura trasformava quel
ruvido mantello in un abito da ballo.
Oh, e i suoi capelli non erano biondi. Nella luce, erano bianchi come la
neve, senza alcun pigmento, le lunghe estremità che uscivano dai confini
del cappuccio si arricciavano naturalmente.
- Sono davvero felice che tu venga a stare con noi al Porto Sicuro oggi
– La signora Mary guardò l'assistente sociale e tornò a guardare Elyn. - E
poi penso che Luchas House soddisferà le tue esigenze. Abbiamo solo
bisogno di altre ventiquattro ore per sistemare le cose e saremo pronti per te
–
- Grazie - disse Elyn. - Siete molto generosi con una sconosciuta –
- Non sei un’estranea - La signora Mary scosse la testa. - Ci prendiamo
cura delle persone della razza che hanno bisogno di aiuto –
- Non so come potrò ripagarvi –
- Non devi preoccuparti per questo –
Beh, sicuramente Nate si sarebbe offerto volontario per cedere il suo
stipendio. E aveva deciso che uno dei vantaggi dell'essere ai margini di
quella conversazione era che aveva una scusa per fissare Elyn senza
sembrare un maniaco. Ciò che non era così piacevole? Aveva studiato le
espressioni di lei nell'ultima mezz'ora e sapeva che non era d'accordo con
questa sistemazione quanto pensava la signora Mary.
Potevano farle passare una notte al Porto Sicuro. Ma qui? Non era a
suo agio, anche se le era stato assicurato che ci sarebbero stati assistenti
sociali e personale sempre in giro: lo capiva dal modo in cui non incontrava
gli occhi della signora Mary ogni volta che accennava a Luchas House. Al
momento, e tragicamente, Elyn era esausta, affamata e infreddolita. Ma
l'indomani sarebbe scappata al calar della notte e nessuno di loro l'avrebbe
più rivista.
- Allora andiamo, d'accordo? - disse la signora Mary alzandosi. - Ti
accompagno al Porto Sicuro e, ehi, è la notte dei biscotti –
Rhage sorrise a Elyn.
- È sempre la notte dei biscotti al Porto Sicuro, giusto perché tu lo
sappia –
Il Fratello accompagnò la sua compagna e l'assistente sociale alla
porta, e quando i tre uscirono e si radunarono insieme per parlare
tranquillamente sulla veranda, Nate ebbe la sensazione che lo stessero
facendo apposta per dare a lui ed Elyn la possibilità di salutarsi.
- Starai bene con loro - le disse guardandola. - Te lo prometto –
Le mani di Elyn si intrecciarono nel suo grembo, e lui voleva tenerle.
Trattenere lei.
- Mi dispiace di averti mentito - i suoi occhi d'argento si sollevarono
nei suoi. - Sulla conoscenza dell'inglese. Ma non so di chi fidarmi –
- Totalmente perdonata - spazzò via l'aria con la mano. – Dimenticato –
La testa di lei si voltò verso la porta d'ingresso.
- Penso che forse devo andare adesso –
Dio, poteva ascoltare quell'accento per ore.
- Forse ci rivedremo ancora... –
- Sì, per favore - supplicò lei, prima di aggiungere rapidamente: - Ma
non voglio essere un peso... –
- Mai! - si schiarì la gola. - Voglio dire, sai, non preoccuparti di questo.
Mai. Lascia che ti dia il mio numero di cellulare –
Quasi saltò oltre il divano per arrivare in cucina. E quando iniziò ad
aprire freneticamente i cassetti, Rhage tornò dentro e tirò fuori un
pennarello dalla tasca della sua giacca di pelle.
- Ecco - mormorò il Fratello con uno sguardo d'intesa. - E usa questo
per scrivere, non è l’ideale, ma andrà bene –
Nate prese l'involucro del Tootsie Pop che gli era stato offerto come se
fosse una lamina d'oro e scarabocchiò frettolosamente il suo numero. Sulla
via del ritorno verso il divano, agitò avanti e indietro la carta cerata viola
per assicurarsi che l'inchiostro si asciugasse.
Elyn si alzò in piedi quando si avvicinò a lei, e voleva davvero infilare
le dita in profondità in una delle sue tasche solo per assicurarsi che non lo
perdesse. Invece, quando lei prese l'involucro, tolse quella foglia che era
ancora annidata tra le lunghezze dei suoi capelli.
Lei sembrò spaventata e lui arrossì.
- Scusa, ho... la rivuoi indietro? –
Idiota. Idiota…
Ma lei non lo stava guardando.
Era concentrata su uno specchio montato sulla parete opposta, e mentre
fissava il suo riflesso, sembrava tormentata. Quasi spaventata.
Come se fosse in trance, si avvicinò e si fermò davanti al vetro. Con
mano tremante si toccò i capelli che si arricciavano fuori dal cappuccio.
- Stai bene? - chiese lui dolcemente.
Gli occhi di lei incontrarono i suoi nello specchio.
- No, non credo –
All'improvviso, le lacrime le tremavano sulle ciglia. Ma lei le asciugò e
raddrizzò le spalle.
Schiarendosi la gola, disse:
- Mi dispiace molto di averti mentito. Non so di chi fidarmi –
Nate annuì e pensò che lei non avesse idea di quello che stava dicendo,
non si rendeva conto di ripetere le cose.
All'improvviso lei si voltò e guardò quello che lui aveva scritto.
Quando le sue sopracciglia si unirono, lui si preoccupò che i numeri si
fossero sbavati. Non era così, quindi si preoccupò che lei non volesse
accettarlo.
Ma alla fine infilò l'involucro nella sua veste.
Fuori il vento fischiava e lui avrebbe volute darle il suo cappotto. Ma
ovviamente non ne aveva indossato uno quando era uscito di corsa da casa.
- Buona serata, Nate - disse abbassandosi per un breve inchino.
Anche lui si inchinò, sebbene non aveva idea di cosa stesse facendo.
- Chiamami. In qualsiasi momento -
Oggi, pensò. Magari appena arrivi al Porto Sicuro.
Prima che potesse dire qualcos'altro, anche se in realtà cos'altro
poteva dire senza sembrare ancora più un idiota, lei se n'era andata, quel
lungo mantello che indossava svolazzò dietro di lei quando uscì dalla casa.
Quando la porta si chiuse alle sue spalle, si concentrò sulle macchie di
fango su di essa, e gli ci volle un minuto per capire perché: lui sapeva
com'era essere solo e avere paura.
Questo probabilmente li rendeva anime gemelle.
- Stai bene, figliolo? - chiese Rhage.
Nate si voltò.
- Oh, pensavo fossi andato via –
- Infatti - Il Fratello andò verso una poltrona. - Ho dimenticato la
giacca e sono dovuto tornare a prenderla –
Ci fu un momento di silenzio, ed era chiaro che il maschio più grande
voleva dire qualcosa. Di sicuro non voleva parlare del tempo.
- Per favore, non dirlo a mio padre... - borbottò Nate.
- Cosa, che per la prima volta hai dato il tuo numero a una femmina? -
Quando Nate arrossì, Rhage annuì. - Non preoccuparti. Sta a te dirglielo,
non a me. Abbi cura di te, figliolo –
Dieci minuti dopo, Nate era ancora in piedi nel soggiorno appena
arredato quando la porta d'ingresso si aprì di nuovo e i ragazzi iniziarono a
entrare con le loro tute e i loro attrezzi. Fece un cenno di saluto al gruppo, e
cercò di fingere indifferenza, pensò che non c'era molto altro da fare lì, ed
era un peccato. Considerando che questa era un'estensione del Porto Sicuro,
sentiva che finché Elyn era laggiù e lui era qui, una connessione tra loro
esisteva ancora.
Sì, a differenza di quel numero di cellulare che sembrava troppo
labile, e non perché era scritto su un involucro di lecca-lecca. Lei doveva
scegliere di usare quel numero...
- Che diavolo hai che non va? –
Con un sussulto, si voltò verso Shuli, e gli sembrò di non riconoscere
il suo amico. Il che era pazzesco perché il ragazzo indossava, come sempre,
la stessa polo Izod, un maglione di cashmere e pantaloncini color cachi.
Aveva persino un paio di Ray-Ban infilati nello scollo a V, come James
Spader in quel vecchio film. Bella in viola? Qual era il titolo?
- Ehi? - Shuli agitò una mano. - C’è qualcuno là dentro? –
Distrattamente, gli occhi di Nate seguirono il luccichio dell'orologio
di lusso sul polso del suo amico. E poiché non voleva pensare ad altro, e di
certo non voleva parlare di tutte le cose a cui non voleva pensare, sbottò:
- Perché lavori qui? –
- Eh… oh, perché sono nella squadra? Mio padre pensa che il salario
minimo formi il carattere –
- Non credo che funzioni –
- Ah, ma probabilmente hai ragione. A volte posso essere uno stronzo.
Detto questo, perché sembra che qualcuno ti abbia preso a pugni? –
- Non è vero. Voglio dire… andiamo a finire di dipingere il garage –
Quando Nate iniziò a zoppicare, Shuli ridacchiò e lo seguì.
- Quindi è per questo che non ti trastulli regolarmente. È tutto più
chiaro –
- Di che diavolo stai parlando? –
- Niente palle, niente erezione. Problema risolto –
- Proprio per niente - mormorò Nate.
- No, davvero, è così che funziona… -
- Per favore, per amor di Dio, smettila di parlare –
- Di cosa, delle palle? O di qualsiasi altra cosa? –
L'occhiataccia che Nate gli rivolse rispose per lui. Mentre si
dirigevano verso il garage, pregò che Shuli gli desse due minuti per
riprendersi. Fortunatamente, quando il ragazzo iniziò ad aprire le lattine e
sistemare i pennelli in silenzio, Nate cercò di darsi una calmata e guardò la
foglia che aveva tolto dai capelli di Elyn...
Si accigliò e la girò per controllare il retro. E poi la girò di nuovo.
Quando aveva visto per la prima volta la foglia d'acero tra i suoi
capelli, vicino al punto in cui era atterrata la meteora, era secca, marrone,
aveva terminato il suo ciclo vitale.
Quella che aveva in mano ora era morbida e gialla con le punte rosse,
come se fosse appena caduto dal suo ramo autunnale.
- Che diavolo stai guardando? - disse Shuli. - E per quel che vale, se è
la tua linea del cuore, mi preoccupa dove sia diretta –
- Non è niente - mormorò Nate mettendosi la foglia in tasca. - Sei
pronto a dipingere? -
•••
La saggezza collettiva era sbagliata. In effetti si poteva essere in due
posti contemporaneamente.
Mentre Sahvage si trovava di fronte a Mae nel suo garage, un'altra
parte di lui era nell'oscurità con l'altra donna. Femmina. Con-la-cosa-che-
non-deve-essere-nominata.
Con la capacità di un giornalista, stava ripetendo tutto ciò che la
bruna gli aveva detto, che aspetto aveva, come si era comportata. Era come
cercare mine sotterranee in un campo, sollevare rocce per vedere se aveva
sventato tutto il pericolo.
- Allora? - suggerì Mae. - Cosa devo accettare? –
- Scusa, come hai detto? –
- La tua condizione –
Lui si riprese e disse:
- Se ti dico di andare via, devi promettermi che lo farai. Se resterò
ferito, devi lasciarmi lì e salvarti –
Gli occhi di lei si spalancarono, ma lui non poteva aiutarla. Qualcosa
dentro sé stava ancora una volta guardando in un futuro avvolto nella
nebbia... e guardando un momento nel tempo per entrambi in cui solo uno si
salvava.
La fissò negli occhi.
- Devi andare via quando dovrai farlo. Promettimelo –
Le sopracciglia di Mae si abbassarono.
- E se mi rifiuto? –
- Allora me ne andrò adesso –
- Non ha senso –
- Beh, è così che deve essere –
Lei aprì e chiuse la bocca un paio di volte, ma lui aspettò solo che lei
arrivasse a una qualunque conclusione. Non era negoziabile, e anche se lei
lo aveva fatto incazzare, era contento che avessero dovuto rinegoziare il
loro... beh, qualunque cosa ci fosse tra loro.
- Okay. Va bene –
Sahvage allungò la mano.
- Sul tuo onore. Giuralo –
Lei esitò per un momento. Poi spinse il palmo in avanti e strinse
quello che lui le offrì con una forte stretta, come se, nella sua testa, gli
stesse strappando il braccio e offrendo un po' di buon senso.
- Dillo – chiese.
- Lo prometto –
Lui annuì una volta, come se avessero stretto un patto di sangue. E
poi diede un'occhiata alla sua macchina.
- Lasciala qui e smaterializziamoci fino al cottage. Ho rotto la
persiana del secondo piano. Possiamo entrare in quel modo –
- Hai sigillato anche le finestre del secondo piano? Con il sale? –
- Il male può entrare solo dal piano terra o con un invito –
- E se una casa non è protetta? –
- Può andare dove vuole - si strofinò la testa dolorante. - Scendere dal
camino come Babbo Natale se vuole. Non lo so, cazzo –
- Lo dirò di nuovo, grazie a Dio hai fatto quello che hai fatto - Mae
andò a prendere la borsa e il borsone dalla macchina. - E sei sicuro che
questa casa sia sicura –
- Lo hai visto di persona. Non è riuscita a entrare –
- Non posso credere che stia succedendo –
Sahvage andò verso la finestra sul retro. Le persiane diurne erano
abbassate e liberò i ganci, ma si assicurò che rimanessero per lo più al loro
posto.
- Ti riporterò al cottage – disse - poi andrò a casa mia a prendere altre
armi –
- Posso aiutarti. Verrò con te… -
- Devi stare con Tallah. Voi due dovreste restare al sicuro insieme e io
non starò via a lungo... –
- Posso chiederti una cosa? –
Lui le diede un'occhiata. Mae aveva la borsa sulla spalla e un borsone
a due manici nella mano sinistra. Sembrava esausta, i capelli erano usciti da
quella coda di cavallo, gli occhi troppo luminosi, le guance troppo pallide.
Ma era chiaro che non avrebbe mollato.
Dannazione. Le sarebbe mancata quando se ne sarebbe andato.
- Dipende da cosa vuoi sapere - disse dolcemente.
- Dove vivi? Chi è... c’è qualcuno nella tua vita? –
- Non preoccuparti. Nessuno si chiederà dove sono o cosa sto facendo
o farà il ficcanaso. La tua privacy, e quella di Tallah, è al sicuro –
Mae si schiarì la gola.
- Mi dispiace –
- Per cosa? –
- Che sei solo –
- Non è un caso, te lo assicuro… -
- Quindi è per questo che mi stai dicendo di andare via prima ancora
di iniziare, eh. Anche se sei ferito. Anche se stai... morendo –
Tutto ciò che Sahvage poteva fare era scuotere la testa.
- Non giocare al gioco delle ipotesi –
- Come? –
- Non cambio la mia unica richiesta solo perché me la stai ribadendo,
tesoro. Ora usciamo, ho bisogno di un po' d'aria, e sì, ti ho appena chiamato
tesoro di nuovo. Se vuoi sgridarmi per questo, trattieni il respiro fino a
quando non torneremo al cottage –
Mae si avvicinò a lui. Alzò il mento. E...
- Non ora - lui quasi gemette. - Per favore. Vai, ci vedremo da quella
femmina anziana. È lei la persona a cui tieni, ricordi? –
- Non è necessario che tu mi ricordi quali sono le mie priorità –
Detto questo, Mae se ne andò, e per una frazione di secondo, mentre
si guardava intorno nel garage, ebbe una breve, folle fantasia in cui lui
tornava a casa alla fine della notte, e lei da qualunque lavoro avesse fatto, e
si sedevano uno di fronte all'altro a tavola per parlare delle ore in cui erano
stati separati.
Non succederà mai, pensò mentre si allontanava. Per tanti motivi.
Mentre si allontanava dalla periferia, disperso in molecole, seguì l'eco
del suo sangue dentro di lei oltre la campagna e si riformò all'interno della
camera da letto nella parte anteriore del cottage. Lei era già lì e stava
andando verso le scale, la borsa le batteva contro il fianco, l’altro borsone le
dondolava nella mano.
- Vai a controllare Tallah? - chiese.
- Tu che pensi - mormorò.
O almeno pensava che fosse quello che aveva detto.
Mentre la ascoltava scendere la vecchia scala traballante, arrivò a due
conclusioni, nessuna delle quali gli offrì alcun conforto: avrebbero avuto
bisogno di armi che anche lei potesse usare. E merda, avrebbe voluto
credere nella Vergine Scriba.
Avrebbe potuto avere qualcuno da pregare.
- Torno subito - gridò.
Nessuna risposta. Ma non se l'aspettava.
Ascoltandola muoversi al primo livello, le diede la possibilità di
liberarsi da un po’ di stress. Poi la sentì entrare nel seminterrato, il rumore
dei suoi passi si attenuò.
Chiuse gli occhi, usò il suo istinto per assicurarsi che non ci fossero
suoni, odori o strani rumori di alcun tipo. Quando non avvertì nulla, pensò
che erano al sicuro come avrebbero dovuto essere.
Inutile dire che il viaggio di ritorno a casa sua sarebbe stato davvero
veloce. E merda, pensava di non avere abbastanza potenza di fuoco.
In realtà, avrebbe potuto avere un lanciamissili nel cortile e si sarebbe
sentito ancora come se stesse viaggiando leggero.
CAPITOLO VENTISEI
•••
Devina camminava per il locale, i tacchi alti tintinnavano, anche se
nessuno poteva sentire le sue Louboutin attraversare il pavimento sudicio.
In alto, il SoundCloud rap era martellante, la voce distorta e sintetizzata di
un ragazzo che borbottava su droghe e sesso era scandita da un sacco di
battiti sintetizzati ad alta frequenza. Secondo lei, la traccia aveva tanto in
comune con la musica reale quanto un plumcake con una spugna fatta in
casa, ma che cazzo le importava.
Era una goccia nel mare che aveva tirato fuori dalle case e dagli
appartamenti ogni sorta di umani, per creare un buffet per i suoi istinti di
base.
Mentre osservava le varie coppie e terzetti, valutando ogni genere di
corpo e scelta del guardaroba ma soprattutto il contatto visivo tra le varie
persone, pensò che si sentiva appena un po’ aggressiva.
E quella consapevolezza di sé non dimostrava una crescita personale?
Certo che sì, cazzo, pensò concentrandosi su un paio di uomini che
erano naso contro naso, occhi negli occhi, i loro corpi si muovevano in
sincronia. Dietro di loro c'erano un uomo e una donna. Accanto a loro,
intorno a loro, era più o meno lo stesso, combinazioni di sessi e altezze e
colori di capelli che si confondevano.
Così da potersi riunire.
Il fatto che fosse circondata da così tante avventure di una notte era
l'unica cosa che le impediva di far esplodere quel posto, semplicemente
travolgendo le persone con la sua ira in modo da mandarli in pezzi. Sarebbe
stato davvero fottutamente piacevole...
Okay, beh, sarebbe stato piacevole forse per il tempo necessario
affinché i pezzi delle braccia, delle gambe e dei torsi avessero smesso di
rimbalzare sul pavimento.
Ma era già qualcosa, giusto?
Fermandosi al centro di tutto quel palpeggiamento, direttamente sotto
la lampada che lanciava raggi laser nelle masse che si contorcevano, si
voltò, si voltò e si voltò... fino a quando lei non fu come il flashback di un
programma televisivo che si avvolgeva sempre più velocemente finché tutto
si confondeva e scivolava via...
Verso qualcosa che portava un nuovo significato o una rivelazione
riguardo dagli eventi del presente.
Ovviamente non era quello che stava realmente accadendo in quel
momento. Nonostante la rivoluzione del narcisismo su Instagram, che lei
aveva pienamente sostenuto, la vite delle persone, anche se eri immortale,
in realtà non erano produzioni cinematografiche con tagli di scena,
narrazione fuori campo e colonne sonore. Non c'erano sceneggiature,
nessun segno sul palco per dove dovevi essere, niente proviamo-e-riprendi
con un po' più di emozione.
Faceva schifo.
Lei voleva poter rifare una scena. E una luce migliore. E un fottuto
protagonista, grazie mille.
Mentre la sua frustrazione si acuiva ulteriormente, osservò il
panorama degli innamorati e capì che due cose erano vere: una, non tutte
queste avventure di una utu sarebbero rimaste tali. Alcune di queste coppie
avrebbero sviluppato la loro connessione e creato una relazione, e un giorno
in uture, avrebbero riso tra di loro, o forse con gli amici, per come avevano
trovato il vero amore in un locale.
- Riuscite a crederci? Eravamo così incasinati con Molly quando ci
siamo incontrati, ma ora stiamo scegliendo oggetti di porcellana e un
divano. Siamo così fortunati, Todd –
- Hai ragione, Elaine, che fortuna! -
Sì, vaffanculo, Todd ed Elaine. Oh, e l'altra cosa che sapeva per certo?
Lei non faceva parte di tutto questo e non perché non era umana. Mentre
tutti questi strumenti inutili si stavano accoppiando, a lei non era permesso
di avere un lieto fine, proprio come le era stato impedito di entrare in quello
stupido fottuto cottage.
A causa del sale. Accidenti.
Non c’era niente lì dentro che lei avrebbe voluto. Per l'amor del cielo,
senza dubbio in quel posto c’erano divani vecchi di quindici anni, tappeti
che lei non avrebbe toccato nemmeno con un palo di tre metri e carta da
parati sbiadita che era stata acquistata da Sears quando Jimmy Carter era
stato presidente e Taxi veniva trasmesso in prima serata.
Ma a volte volevi solo entrare in un posto in cui non ti era permesso
di entrare.
Volevi solo le cose che non potevi avere.
Volevi solo fare una cazzata e andartene con un esplosione nucleare
dietro di te, sentendoti la padrona del mondo solo perché eri stata in grado
di distruggerlo.
Devina smise di girare.
Basta con queste stronzate. Era ora di scegliere il suo divertimento per
il resto della notte, perché se non si fosse divertita al più presto, sarebbe
andata fuori di testa.
Oh, e quel vampiro? Con il sale?
Sarebbe stato bello mangiare il suo cuore. Perché che lui lo sapesse o
no, che lo volesse ammettere a se stesso o no, era assolutamente innamorato
di quella femmina e della sua stupida coda di cavallo. E altrettanto patetico?
Lei era innamorata di lui. Era ovvio dal modo in cui avevano comunicato
tra loro, non erano necessarie le parole per rendere chiaro il loro significato,
i loro corpi si erano rivolti l'uno all'altro, la loro connessione era tangibile.
Bene. Pazienza. Quei due piccioncini potevano essere in grado di
tenere un demone fuori da quella casa.
Ma non le avrebbero impedito di buttare giù il loro maledetto castello
di sabbia.
CAPITOLO VENTINOVE
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Di ritorno a casa dei suoi genitori, nel bagno dove non aveva mai
voluto che nessuno vedesse cosa stava tenendo congelato, Mae cercò di
bloccare la perfetta visuale di Sahvage sulla vasca... di Rhoger. Ma un
cadavere nel ghiaccio non era il genere di cosa che gli occhi potevano
ignorare, anche se si vedevano solo una parte dei resti.
- Chiudi la porta - abbaiò, perché era tutto ciò che riusciva a dire. -
Non guardarlo così –
Solo che Sahvage non era concentrato su Rhoger. Stava fissando lei.
- Mae… -
- No! - Si coprì le orecchie con i palmi delle mani. - Non voglio
ascoltarti –
Invece di continuare a parlare o di fare ciò che lei aveva chiesto,
Sahvage indietreggiò finché non fu contro il muro del corridoio. Poi scivolò
verso il basso fino a quando il suo sedere atterrò sul pavimento e si
trovarono allo stesso livello.
Ora non guardava né lei né Rhoger. Aveva messo la testa tra le mani.
Rimase in silenzio e Mae crollò contro il lato della vasca. Guardò suo
fratello attraverso il ghiaccio.
- Non capisci - sussurrò. - È tutta colpa mia –
Sahvage emise un suono esausto.
- A meno che tu non l'abbia ucciso con le tue stesse mani, sono certo
che non è così –
- I nostri genitori erano davvero severi - si sentì dire. - Molto vecchia
scuola. Dopo che furono uccisi nelle incursioni, Rhoger iniziò a cambiare.
Stava fuori tutto il giorno, a volte per tutta la settimana. Era in giro con altra
gente. Lui era... fuori controllo. Nel frattempo, ero qui a occuparmi della
casa, a pagare le bollette, a cercare di tenere insieme ciò che restava della
nostra famiglia. Ero amareggiata –
Raggiunse la vasca e versò il ghiaccio in modo più uniforme. Mentre
la sua mano si raffreddava, la differenza di temperatura tra il palmo e i
cubetti era un chiaro ricordo di tutto ciò che la separava da suo fratello.
Mae trattenne le lacrime.
- L'ultima notte che è uscito... abbiamo avuto un terribile litigio. Ho
perso la testa. Gli ho detto che doveva trovare un lavoro o trasferirsi. Lui mi
gridò contro. È stato terribile - Lei scosse la testa, anche se non era sicura
che Sahvage la stesse guardando. - Non è tornato. Per due settimane... forse
quasi tre. Non sono riuscita a tenere tutto sotto controllo. Ho provato a
cercarlo. Ho chiamato al suo telefono costantemente. Sono andata a casa dei
suoi amici. Nessuno sapeva dove fosse andato. Poi una notte stavo
lavorando qui e... lui è entrato dalla porta principale. Era tutto... sanguinava
dappertutto e sembrava che non avesse mangiato da quando se n'era andato.
Mi sono precipitata da lui ed è morto tra le mie braccia - Mae si strofinò gli
occhi che bruciavano. - Non avevo idea di cosa gli fosse successo o di cosa
fare. Ho chiamato Tallah. Non ho nessun altro nella mia vita e non riuscivo
a pensare chiaramente. Dopo che le ho raccontato tutto e sono riuscita a
calmarmi un po', lei è diventata così silenziosa a quel telefono... pensavo
avesse riattaccato. E poi ha detto quelle parole... –
- Il Libro - disse Sahvage.
Mae gli lanciò un'occhiata dal bagno.
- Il Libro –
- Non puoi farlo. Mae, non hai idea di cosa stai lasciando uscire –
- Ma era giusto prolungare la vita di Tallah - mormorò amaramente.
- Non l'ho mai detto –
Mae alzò una mano.
- Rhoger è tutto ciò che mi resta –
- Questo è quello che hai detto di Tallah –
- Vogliamo davvero discutere di quante poche persone mi restano
nella vita in questo momento? Davvero? - Mae raccolse intorno a sé i
sacchetti vuoti di ghiaccio. E poi non ci fece nulla con loro. - Non posso
lasciare questa strada. Non capisci. È... è tutta colpa mia. L'ho cacciato da
questa casa e l'ho consegnato nelle mani di qualcuno che lo ha torturato così
tanto che è morto per le ferite riportate –
Sahvage imprecò.
- Se n'è andato perché se n'è andato, Mae. Poteva accadere in un'altra
notte... –
- Non fingere di conoscerci –
- E tu non fingere che quello che stai facendo sia giusto –
- C’è mio fratello in tutto quel ghiaccio - disse con voce strozzata.
- Quello è un maschio morto - ribatté Sahvage. - Poteva essere tuo
fratello quando era vivo, ma ora non più –
Mae espirò bruscamente.
- Come puoi dire una cosa del genere –
- Perché è la verità –
- Smettila - Lei chiuse gli occhi. - Smettila e basta –
Quando aprì le palpebre, Sahvage era proprio di fronte a lei, e quando
indietreggiò, lui le prese la mano.
- Per favore - disse. - Non fargli questo. Se lo ami, non lo farai... –
- Cosa, riportarlo da me? In che modo è sbagliato? –
Sahvage deglutì a fatica e la sua voce era appena udibile.
- Lascialo nel Fado. Ti scongiuro. Le conseguenze non ne valgono la
pena –
Quegli occhi blu notte le scavavano dentro e la sua espressione era
così intensa che sapeva che lui non stava soltanto cercando di fare il suo
bene.
- Cosa non mi stai dicendo? - chiese.
- Solo quello che ho sentito dire essere vero... –
- Cazzate. Cosa sai? E non mentirmi –
Sahvage interruppe il contatto tra loro e si sedette di nuovo sul culo.
Quando i suoi occhi andarono a Rhoger e al ghiaccio, rimase immobile.
Quando finalmente parlò, la sua voce, come la sua espressione, era
tormentata.
- So solo che le persone non sono fatte per vivere per sempre... –
- Non voglio che sia immortale, dannazione. Voglio solo portare... –
- E pensi di essere tu a stabilire i termini? Pensi onestamente di essere
tu a stabilire le regole? Stai giocando con le fondamenta stesse della
mortalità –
- Fanculo la mortalità! Rhoger è stato derubato. E io sistemerò tutto
questo, anche se è l'ultima cosa che faccio! -
CAPITOLO TRENTASETTE
Sahvage aveva avuto solo un altro momento in tutti i suoi anni terreni
che aveva evidenziato una cecità così grande, una cecità che aveva
cambiato tutto riguardo a dove si trovava. E non perché Mae gli aveva
mentito. Ma perché non era riuscito ad anticipare il suo vero motivo. Aveva
preso alla lettera ciò che lei gli aveva detto, e si era concentrato su altre
cose.
Tipo l'attrazione sessuale che aveva per lei.
Divertente, come quella merda avesse un suo modo per pulire la
lavagna.
- Non ho altra scelta - annunciò Mae.
- Ti sbagli su questo - lui scosse la testa. - La morte non è un male –
- Come puoi dirlo? Rhoger aveva appena settant'anni. È stato
ingannato –
- Ma se credi nel Fado... –
- Vuoi dirmi che mio padre e mia mahmen, che non andavano molto
d'accordo quando erano qui sotto questo tetto, stanno godendo di una
relazione perfetta su una nuvola da qualche parte nel cielo? Per favore. Mi
andava bene la teoria del Fado finché non ho fatto i conti sulle persone che
si suppone siano lassù. Un'eternità con i nostri cosiddetti cari è solo una
favola costruita per noi in modo da non perdere la testa in una situazione
come quella in cui mi trovo adesso… e sì, sono consapevole di essere
pazza. Ma non sai com'è... –
- Anche io ho perso l’unico membro della mia famiglia che mi era
rimasto. Quindi so esattamente come ti senti –
Questo mise a tacere la sua femmina.
Non che lei fosse sua.
- Cosa è successo? - chiese Mae con un tono più dolce.
- È stato nel Vecchio Continente - Sahvage si strofinò il viso. - Era
una mia responsabilità, mia cugina di primo grado. Ero responsabile per lei.
Ero la sua unica famiglia, il suo protettore... –
Quando non andò avanti, Mae si sporse in avanti.
- E tu... l'hai persa –
- L'ho completamente delusa. Mi è stata portata via da un
aristocratico. E poi è stata... brutalizzata - Sahvage fissò Mae con sguardo
duro. - Quindi sì, so anche io com'è, ed è stata anche tutta colpa mia –
Gli occhi di Mae brillarono di lacrime, il suo viso arrossì di
compassione.
- Ecco perché non ti piace guardarti –
- No - disse cupo. - Ecco perché odio guardare me stesso –
Merda, sta diventando tutto troppo reale, pensò.
- Come puoi dire che non capisci il mio punto di vista, allora? -
suggerì.
- Non ti ho mai detto questo. Ho detto che quello che stai cercando di
fare è sbagliato. Con il Libro. L’eternità sulla terra non è per i mortali, Mae,
e nemmeno per coloro che amiamo. Lascialo andare. Dagli un'adeguata
Cerimonia per il Fado... e lascialo andare –
Mae rimase in silenzio per un po'.
- Mi dispiace... semplicemente non penso di poter vivere con me
stessa. Ho bisogno di andare fino in fondo. Se trovo il Libro, lo farò –
- C'è qualcosa che posso dire per farti cambiare idea? –
- No –
Gli occhi di lui lasciarono i suoi e andarono alle borse di ghiaccio
vuote che lei aveva accartocciato e messo vicino al suo fianco. Una delle
borse si era aperta e mostrava il cartone animato di un pinguino con una
sciarpa rossa. Il bastardo sembrava piuttosto allegro. In un modo
inappropriato, date le circostanze.
- Mi dispiace di averti mentito - gli disse. - A proposito di Rhoger –
- Adesso non ha più importanza –
- È una cosa difficile di cui parlare –
Sahvage la fissò desiderando che fosse umana e che lui potesse
manipolare la sua mente.
- Ovviamente lo è. Perché sai che è sbagliato, e se lo dici ad alta voce
a qualcuno o lo fai vedere a qualcuno, corri il rischio di renderti conto da
sola quanto sia una cattiva idea –
Mae sbatté le palpebre. Un paio di volte. Poi si sporse in avanti,
socchiudendo gli occhi.
- Stai scherzando? - lei scosse la testa. - Sei uno sconosciuto. Ti
conosco da quarantotto ore... e ti ho incontrato mentre stavi sanguinando
per un combattimento clandestino a mani nude con un umano... –
Sahvage alzò l'indice.
- Non avrei sanguinato se tu non mi avessi distratto –
- Smettila! - Mae alzò le mani. – Dannazione! Il punto è che tu non
sei esattamente qualcuno che fa parte della mia vita. E questo… - puntò un
dito contro suo fratello - mi sta uccidendo, okay? Sta uccidendo me. Quindi
no, non avevo molta fretta di condividerlo con te –
La sua voce si incrinò e i suoi occhi si riempirono di nuovo di
lacrime. Ma era chiaro che non voleva alcun tipo di compassione, almeno
non da lui: con rabbia portò i palmi delle mani sulle guance e poi se li
asciugò sui jeans.
- Non posso stare qui seduta a non fare nulla - gli disse. - Quindi
l'unica cosa di cui io e te dobbiamo parlare è quello che farai ora. Sei dentro
o sei fuori. E prima che tu trovi un modo per farmi incazzare di nuovo con
uno dei tuoi commenti, sì, siamo qui a questo bivio. Un’altra volta –
Sahvage chiuse gli occhi. Dopo un periodo di silenzio teso, aveva
intenzione di darle una risposta. Ma invece, il presente si allontanò e venne
sostituito dal passato che lui aveva risolutamente ignorato per così tanto
tempo…
•••
•••
Sahvage non tornò nel posto di merda in cui passava la notte. Invece
si riformò in cima a un'altura in un parco pubblico, e mentre fissava un
fiume largo e lento, decise che le luci delle case sulla sponda opposta erano
come una galassia caduta al suolo. Scintillante, distante... intoccabile.
C'è qualcosa che posso dire per farti cambiare idea?
No.
Quello scambio con Mae si ripeté nella sua testa un paio di centinaia
di volte e, naturalmente, anche ripeterlo non cambiava la risposta di lei,
anche se aveva l’illusione che forse con il tempo quel discorso sarebbe
migliorato, la puntina nel proverbiale disco LP avrebbe trovato un groove
diverso, migliore.
Con un'imprecazione, tirò fuori il telefono. E mentre chiamava,
sapeva che si stava infilando in un percorso immutabile quanto quello di
Mae. Tuttavia, lo guidavano le intenzioni di lei. Ed era quello che era.
Dopo una conversazione concisa, interruppe la connessione e mise via
il telefono.
Era ancora in piedi dove aveva piantato gli stivali quando un maschio
si materializzò davanti a lui.
Il Reverendo era stato presente al combattimento, una figura
imponente con una lunga pelliccia, la sua cresta da moicano e gli occhi
ametista non erano il genere di cose che si vedevano ogni notte. Data la
mole elegante di quel visone, non era immediatamente evidente se c’erano
armi sotto lo spolverino, ma una strana sensazione disse a Sahvage che la
roba convenzionale che potevi comprare nel tuo negozio locale click-click,
bang-bang non sarebbe stata necessaria per proteggere il ragazzo.
C'era qualcosa di strano in lui.
E il fatto che fosse coinvolto con il Libro sembrava appropriato.
- È un piacere sentirti - disse il Reverendo con voce strascicata, poi si
accigliò. - Non si tratta dei soldi per il combattimento, vero? –
- No –
- Come sta la tua femmina? –
- Lei non è mia - Sahvage ignorò la risatina. - Ma devo trovare quel
Libro che sta cercando –
- A San Valentino mancano altri dieci mesi, e per quanto riguarda il
romanticismo, potresti avere un risultato altrettanto buono con i
cioccolatini, senza il fottuto fastidio... –
- Dove posso trovarlo. E non dirmi che non le hai mentito. Sai molto
più di quanto dici –
All'improvviso, la parte scherzosa abbandonò quella chiacchierata.
- Non ho alcun obbligo di assecondare il tuo dramma - Il Reverendo
sorrise freddamente, mostrando le lunghe zanne. - E non stai cercando di
ottenerlo per lei, vero? No, no, hai altri piani per il Libro –
- Certo che è per lei –
Un sopracciglio scuro si sollevò.
- O stai mentendo a me o stai mentendo a te stesso –
Dalla sua parte della conversazione, Sahvage era impegnato a
bloccare ogni pensiero che aveva, e chiaramente non stava funzionando. Il
che significava che stava decisamente parlando con il maschio giusto.
Con un'alzata di spalle disse:
- Sto solo aiutando un’amica –
- Già, perché sei il genere di maschio che fa cose del simili - Il
Reverendo si mise la mano in tasca, poi si fermò. - Non mi dirai di tenere i
palmi in bella vista? –
- No –
- Così fiducioso. Un'altra sorpresa. Continuiamo così e mi dirai che ti
stai trasformando in un pacifista –
- Non mi fido affatto di te. Ma non puoi farmi del male –
Quegli occhi color ametista si strinsero.
- Ecco, amico mio, è qui che ti sbagli –
- Nessuno può farmi del male - ribatté Sahvage cupamente.
- Sai… - il Reverendo tese di nuovo la mano - ho già sentito parlare di
narcisismo nocivo, ma tu vinci tutto. Ecco i tuoi soldi –
- Tienili e dimmi cosa sai del Libro –
- Senza offesa, non ho bisogno di soldi. Quindi non mi stai facendo
alcun favore –
- Tienili comunque. E dimmi cosa sai –
Il Reverendo fece sparire di nuovo i soldi. Poi si limitò a fissare
Sahvage.
- Dov'è la tua famiglia perduta, combattente? –
- Che cosa? –
- Ho questo piccolo talento di capire cosa nascondono le persone - si
picchiettò su un lato della testa. - Una cosa così utile, davvero. E hai perso
la tua gente, la tua famiglia, molto tempo fa, vero? –
- Non ho perso nessuno e voglio solo il Libro –
Ci fu un lungo periodo di silenzio. Poi il Reverendo passò il bastone
da una mano all'altra.
- A quanto pare, c’è qualcuno con cui vorrai parlare. Non so dove sia
quella fottuta cosa, ma un mio amico lo sa. Dovrai chiedere a lui. È davvero
un angelo –
- Bene. Dimmi quando e dove –
- Mi terrò in contatto –
- Fai in fretta –
- Non sei nella posizione di fare richieste –
Sahvage scosse lentamente la testa.
- Non sai con chi hai a che fare –
Il Reverendo aprì la bocca come per fare un commento sprezzante.
Ma il maschio non seguì quell'impulso.
Quando uno sguardo calcolatore entrò in quegli occhi, sorrise.
- Affascinante! - poi annuì con rispetto. - E credo che tu abbia
ragione. Non so con chi ho a che fare, ma nemmeno tu, combattente. Avrai
mie notizie –
Il Reverendo si inchinò. E poi se ne andò, scomparendo nella notte.
Rimasto solo, Sahvage tornò a fissare l'acqua che si muoveva
lentamente. Il fatto che non conoscesse il nome di quel fiume era una
testimonianza di quanti posti avesse visitato negli ultimi due secoli. Dal
vagare per i vari stati-nazione del Vecchio Continente al venire nel Nuovo
Mondo cinquant'anni prima per viaggiare per tutto il Sud e il Midwest, per
lui il mondo era confuso. D'altra parte, non aveva mai usato le mappe. Le
mappe erano per le persone con una destinazione. L'unica direzione che lui
aveva seguito era stata nessuna luce del giorno e le vene solo quando ne
aveva avuto assolutamente bisogno.
Altrimenti, vagava alla ricerca di un bersaglio in movimento.
No, in realtà non era più vero. Era arrivato da questa parte del grande
lago perché alla fine aveva rinunciato a trovare sua cugina. Proprio come
aveva predetto la notte in cui aveva richiuso la sua bara piena di farina
d'avena, la sua morte lo aveva liberato da ogni legame, si era tenuto
nascosto, seguendo indizi, pettegolezzi e tenui racconti di magia nella
speranza di trovare Rahvyn.
Non una sola traccia. Doveva essere morta da qualche parte... e ora lui
era qui, a un oceano di distanza. Ma non senza più uno scopo.
Il Reverendo aveva ragione. Non stava cercando il Libro per Mae.
Avrebbe trovato e distrutto quella dannata cosa prima che lei potesse
rovinare la vita di suo fratello.
E la sua.
CAPITOLO TRENTANOVE
Balz zoppicava in tondo fuori da una delle sale operatorie del centro
di addestramento. C'erano molte persone con lui: Xcor e il resto della Banda
dei Bastardi, la Confraternita, gli altri combattenti della casa. Dall'altra
parte della porta chiusa, Syphon veniva curato per Dio solo sapeva cosa.
Tirò su la manica della camicia di flanella con cui si era cambiato
dopo la visita medica. La ferita sull'avambraccio stava migliorando, la carne
sollevata era meno rossa, meno gonfia. Aveva un sacco di quelle dannate
cose, soprattutto sul petto e sulle braccia. Forse il venti per cento di tutto il
suo corpo.
Syphon era più vicino all'ottanta per cento.
Se il maschio moriva, era tutta colpa di Balz.
Manny era arrivato da quella sensitiva con la sua unità chirurgica
mobile solo otto minuti dopo la richiesta di aiuto, e Xcor e molti dei Fratelli
avevano caricato Syphon nella zona dell'infermeria. Balz a quel punto
aveva rifiutato qualsiasi assistenza medica e aveva insistito per entrare per
offrire protezione.
Anche se non era stato molto utile. Aveva sofferto di un dolore
mortale.
Ma accusare se stessi era un analgesico migliore della morfina, vai a
capire.
Nel raccontare l'attacco, aveva fatto quello che poteva per informare i
dottori e gli altri combattenti dell'accaduto. Ma aveva dato a tutti loro una
versione modificata, anche se era stato totalmente schietto sull'ombra.
Ancora una volta, era stato un vero peccato che non avesse avuto l'acqua
della fontana della Vergine Scriba in quei proiettili...
- C'è un nuovo male in città - mormorò Butch. - Forse le ombre
appartengono a lei –
Quando una fredda ondata di consapevolezza cadde sulla testa di
Balz, si girò e affrontò il Fratello. Butch O'Neal era molto elegante quando
era fuori turno, un grande combattente quando cacciava. Era anche stato a
distanza ravvicinata con...
- Lei? - Balz si sentì dire.
- Ricordi cos'è successo con l'Omega. La donna… o qualunque cazzo
di cosa sia –
- Oh giusto - Balz si schiarì la gola. Due volte. - Giusto. Giusto, certo
–
Il suo cervello, la sua coscienza, era come uno stereoscopio
vittoriano, dove due fotografie piatte della stessa cosa si fondevano e
diventavano un'immagine tridimensionale.
Gli sembrava di non riuscire a respirare.
- Solo per curiosità. Che aspetto aveva? –
Butch scosse la testa mentre lanciava un'occhiata al suo coinquilino,
V, e poi si voltò.
- Vuoi dire, se ho visto la sua patente di guida? - Poi si accigliò. -
Aspetta, dici sul serio. Che aspetto aveva? –
- Sì - Balz si strinse nelle spalle e cercò di apparire disinvolto. -
Voglio dire, se è là fuori per le strade di Caldwell, con una specie di esercito
ombra, non dovremmo avere tutti un'idea di come è fatta? –
Butch si strinse nelle spalle e poi annuì.
- Giusta osservazione. Ah beh... è praticamente la bruna più bella che
tu abbia mai visto. Finché non la guardi negli occhi. Poi... è puro orrore,
distruzione e malattia... - Butch si fece il segno della croce sul grosso petto.
- Lei è attraente come il veleno in un bocciolo di rosa –
La conversazione a quel punto esplose, i Fratelli che l'avevano vista
intervennero. Ma Balz non aveva bisogno di altre descrizioni: la verità era...
che lui aveva saputo la risposta prima di aver fatto la domanda.
Per far sembrare che non ci fosse niente che non andava, rimase in
giro un altro po', e poi si allontanò, assicurandosi di dire a Xcor che sarebbe
tornato subito. Lo spogliatoio per i maschi era lì accanto, e quando vi entrò
barcollando, oltrepassò la fila di armadietti fino ai lavandini vicino alle
docce. Facendo scorrere un po' d'acqua si spruzzò il viso e strofinò via
l'umidità con alcuni asciugamani di carta color camoscio presi da un
distributore.
Lasciando cadere le mani, si guardò allo specchio…
Non preoccuparti, ti perdono, amante mio.
Quando la voce femminile echeggiò nella sua testa, si voltò.
- Non sono tuo - disse ai box doccia.
Cosa vuoi scommettere?
La porta dello spogliatoio si aprì e lui cercò la pistola che aveva
caricato...
Butch entrò, e il passo del Fratello era disinvolto come quello di Balz
quando se ne era andato. Quel viso, però, non era minimamente rilassato, e
quegli occhi nocciola sapevano. Il ragazzo era stato un poliziotto nella sua
vita precedente da umano.
- Dimmi dove l'hai vista –
Per fortuna, come ladro, Balz era un abile bugiardo. La verità,
dopotutto, era solo un'altra cassaforte da forzare e da cui rubare. Solo che lo
facevi con le parole invece che con le mani.
- Non so di cosa stai parlando... –
- Non prendermi in giro - Butch incrociò le braccia sul petto, il
giubbotto da combattimento di pelle scricchiolò. - Non aiuterà nessuno di
noi. Quando l'hai vista e cosa ti ha fatto –
Con un'imprecazione, Balz pensò a quella pausa, a quel momento in
cui era rimasto bloccato tra salvare suo cugino e... qualunque cosa fosse.
Non avrebbe dovuto esserci stata alcuna esitazione. Ed era questo che
lo terrorizzava adesso.
- Stasera - Prese un respiro profondo. - Stasera da quella sensitiva. E
prima ancora, durante il giorno nella mia camera da letto. È venuta a
trovarmi e ho pensato che stessi sognando, ma in qualche modo mi ha
graffiato la schiena –
Butch fece un respiro profondo, come se fosse sollevato.
- Bene –
- Come hai detto? - disse Balz.
- Guarda, so che sei un ragazzo grande e puoi prenderti cura di te
stesso. So anche che non mentiresti mai su una cosa del genere… -
- Certo che non lo farei –
- Ero solo preoccupato che l'avessi vista. Sono contento che tu non
l'abbia fatto –
- Che cosa? - Balz scosse la testa perché chiaramente le sue orecchie
non funzionavano. - Ti ho appena detto che l'ho fatto. Che lei era con me...
–
- Non possiamo essere mai troppo attenti, lo sai. Penso che lei sia
come una specie di infezione. Una volta che ti entra dentro, prende il
sopravvento fino alla tua morte - Butch diede una pacca sulla spalla di Balz.
- Mi dispiace di essere stato paranoico e sono davvero felice che lei non
abbia incrociato la tua strada –
Balz fissò il Fratello in totale confusione. Quando Butch arrivò alla
porta, il combattente si guardò alle spalle e sorrise.
- Ma… ehi, mettiamo le mani su quel Libro e abbiamo ogni genere di
arma –
- Cioè? - chiese Balz.
- Si dice che il Libro possa essere usato per molte cose divertenti.
Compreso lo sbarazzarsi di fastidiosi intrusi, e non sto parlando di tuo zio
Norman durante le vacanze di Natale –
Il Fratello uscì dallo spogliatoio e Balz borbottò:
- Non ho uno zio Norman –
Di sicuro aveva un intruso, comunque, e aveva la sensazione che lei
stesse operando attraverso di lui in modi di cui non era a conoscenza.
Questa consapevolezza lo avrebbe completamente terrorizzato.
Se non fosse stato già spaventato a morte.
•••
•••
•••
•••
- No, no, sono felice di... - Nate guardò Elyn e decise di non finire
quel pensiero ad alta voce.
Sono felice di andare ovunque con te sembrava un po' intenso.
- È una bella idea camminare - concluse decidendo di guardare il cielo
stellato. - E prendere un po' d'aria –
Avevano passato la maggior parte della notte a sistemare tutti i mobili
della sua camera da letto. Erano stati una buona squadra, seguendo le
indicazioni, usando gli strumenti, cercando di capire dove tutto doveva
essere sistemato per ottenere l’effetto migliore. Il fatto che Elyn non avesse
nulla da mettere nei cassetti del cassettone o da appendere nell'armadio non
gli era sfuggito.
- Sai cosa potremmo fare qualche volta? - disse mentre si infilavano
sotto la ringhiera superiore della recinzione nel cortile laterale. - C'è un
posto dove fare shopping. Un centro commerciale. È come un mucchio di
negozi sotto lo stesso tetto. La gente dice che stanno scomparendo, ma
quello di Caldwell va ancora forte –
Una cosa che aveva imparato su Elyn era che non aveva familiarità
con tante cose che lui dava per scontate. Apparentemente, non l'aveva
chiamato perché non era sicura di come far funzionare un telefono. Aveva
pensato che fosse una scusa, ma mentre lei lo fissava negli occhi, si rese
conto che era mortalmente seria. E poi, quando si erano presi una pausa a
mezzanotte per uno spuntino, non aveva idea di come usare un microonde e
lo spremiagrumi che ronzava l'aveva spaventata. Oh, e la TV l'aveva
affascinata.
Al punto che aveva fatto il giro e aveva guardato dietro lo schermo
piatto come se non riuscisse a capire da dove provenissero le immagini.
Quando poco prima gli aveva chiesto di prendere una pausa da casa,
lui l'aveva compresa completamente...
All'improvviso, Elyn si fermò e alzò lo sguardo. La luna era luminosa
in alto, strisce di nuvole si spostavano sulla sua faccia.
- Quando sono uscito dal laboratorio - si sentì dire - era tutto troppo.
Troppo forte. Troppo tutto. I miei genitori adottivi mi hanno aiutato molto e
mi sono abituato. Ma per un buon mese o due, ogni tanto dovevo rilassarmi.
Mi sdraiavo nella mia camera da letto con le luci basse e un po' di musica
classica. Mi ha aiutato –
Mentre lei era concentrata sul cielo notturno, lui studiò il suo profilo e
la tristezza sul suo viso era qualcosa che conosceva bene. Il dolore aveva lo
stesso aspetto sui lineamenti di tutti, non importava se fossero vecchi o
giovani, maschi o femmine.
- Chi hai perso? - disse a bassa voce.
- Non posso... –
Le sue parole andarono alla deriva, e lui non fu sorpreso che lei non
avesse finito il pensiero. O, più probabilmente, non aveva potuto farlo.
- Non dirò niente a nessuno - giurò. - Lo prometto –
Quell’assicurazione sembrava l'unica cosa che lui potesse fare per
aiutarla, ovunque fosse la sua mente.
Con un cenno della testa, riprese a camminare, gli occhi bassi, le mani
infilate nel parka grigio chiaro che le era stato regalato al Porto Sicuro. Le
era stato fornito anche l’abbigliamento che indossava, i jeans, la dolcevita e
un maglione comodo adatto al tempo. E fuori da quella tunica nera che
aveva indossato, era molto più piccola di quanto era sembrata… e questo lo
faceva sentire peggio per qualunque cosa le era stata fatta.
Aveva bisogno di protezione.
Mentre attraversavano il prato, non era sorpreso che lei li avesse
portati nella foresta, fino al punto d'impatto della meteora. E quando
emersero dagli alberi nella radura, lei non si fermò finché non fu proprio
sull'orlo della fossa, e rimase silenziosa e immobile per così tanto tempo
che lui dovette cominciare a camminare perché una delle sue gambe iniziò
ad avere i crampi.
- Ho dovuto lasciarlo - disse bruscamente. - Non ho avuto scelta –
Lo stomaco di Nate si strinse... eppure non era sorpreso. I maschi
violenti erano la ragione per cui esistevano il Porto Sicuro e la Luchas
House. E grazie a Dio ne era uscita viva.
- Dovevi salvarti - Con gli occhi tracciò i suoi bei lineamenti e il
modo in cui la luce della luna trasformava i suoi capelli bianchi in filati
d'argento. - Grazie a Dio ora sei al sicuro –
Quando lei rimase in silenzio ancora una volta, sapeva che stava
rivivendo il suo incubo e voleva abbracciarla.
- Ho dovuto salvare entrambi - si passò una mano sul viso. - Lui non
mi avrebbe lasciato, ed era troppo pericoloso perché mi restasse accanto. Io
sono pericolosa –
Nate si ritrasse.
- Che cosa? - allungò la mano e le prese il braccio. - Non lo sei. Non
permettere a nessuno di farti pensare una cosa del genere –
Dopo un momento, lei alzò gli occhi in quelli di lui.
- Tu non mi conosci, Nate –
L'espressione grave sul suo viso lo fece restare in silenzio. Ma poi se
lo scrollò di dosso.
- Ti conosco invece. E qualunque cosa ti abbia detto il tuo aggressore
è una bugia. Non devi vederlo mai più... –
- Aggressore? - Elyn si accigliò e poi scosse la testa. - Oh, no. Era
buono con me. Era troppo buono con me. Stava per perdere la vita per me,
la sua vocazione per me. Ho dovuto separarci. Meritava molto di più del
voto che aveva fatto alla morte di mio padre, ed era un maschio così degno
che, indipendentemente dalle circostanze, non avrebbe mai cambiato i
nostri destini – Si concentrò di nuovo sulla fossa. - Era uno dei migliori
maschi che abbia mai conosciuto. Onore e forza erano solo l'inizio delle sue
numerose virtù –
- Oh… - Nate lasciò cadere la presa. Fece un passo indietro. -
Pensavo... bene. Forse avresti dovuto restare con lui, allora –
- Ero una sua responsabilità e mi ha protetto meglio di chiunque altro.
Questo ha fatto di lui un bersaglio e i miei nemici hanno deciso di
ucciderlo. Volevano me, ma sapevano che dovevano togliere di mezzo lui
per prima cosa, perché sarebbe morto piuttosto che permettere che mi
succedesse qualcosa - Chiuse gli occhi e gemette. - E alla fine, sono stata
presa lo stesso... –
Qualcosa nel modo in cui lo disse fece andare la mente di Nate in
posti molto brutti.
- Sai se il maschio che hai perso è sopravvissuto? - chiese con voce
roca.
Elyn rimase in silenzio per un po'.
- C'è stata... una grande distanza tra noi. Davvero vasta –
- Quando è stata l'ultima volta che l'hai visto? –
- Secoli fa –
Nate sbatté le palpebre, sbalordito.
- Ehm... vuoi provare a cercarlo? –
Elyn fece un respiro profondo.
- Credo di sì. Ma non voglio che gli venga fatto del male di nuovo a
causa mia. Sono sopravvissuta a malapena a quel fardello una volta, in
verità non potrei viverlo di nuovo. Ma lui... beh, lui è tutto quello che ho –
Nate si strofinò i capelli per assicurarsi che non si vedesse nulla sulla
sua espressione, del suo profondo dolore al cuore.
- Come posso aiutarti? Sai se è qui a Caldwell? –
- Lui è qui. Ecco perché sono arrivata –
- Okay, abbiamo una gran varietà di modi per trovare le persone -
pensò a tutte le cose che la confondevano. - Ci sono dei database per le
ricerche. Posti in cui possiamo andare o, tipo, puoi andare tu. Voglio dire,
non voglio essere d'intralcio... –
- Non puoi aiutarmi, Nate -
Oh, ti sbagli su questo, pensò. Sono assolutamente entusiasta di
aiutarti a riunirti con il maschio che ami. Mettimi alla prova.
- Certo che posso –
- Sarà... pericoloso –
Nate si accigliò.
- Chi ti sta cercando? –
- È morto, adesso –
- Quindi hai paura dei parenti di lui? - Quando lei non rispose, Nate
sentì una strana sensazione d’avvertimento lungo la schiena. - Quindi i suoi
parenti sono vivi? –
- Era di un buon lignaggio –
- Glymera? - Quando lei annuì, Nate sospirò di sollievo, anche se non
c'erano ragioni per farlo. Non ancora. - Forse non lo sai, ma molti di loro
sono morti adesso –
- Davvero? –
- Nei raid di un paio di anni fa - Non fu sorpreso quando lei lo fissò
con sguardo assente. - I lesser si sono infiltrati nelle loro case qui a
Caldwell. Molti sono stati uccisi. Puoi dirmi il nome del tuo nemico?
Possiamo controllare e vedere se la sua linea di sangue è stata colpita.
Possiamo chiedere all’hellren della signora Mary, lui lo saprà, o saprà come
scoprirlo... –
Quando ancora una volta lei fissò la fossa dell'impatto e non gli
rispose, Nate le diede un colpetto sulla spalla e aspettò che i suoi occhi
d'argento si alzassero nei suoi.
- Non ho paura - disse.
La risposta di lei fu cupa:
- Dovresti averne –
Invece di blaterare per quell'avvertimento, Nate sentì nel petto una
certezza che non aveva mai conosciuto prima, una sicurezza solida come
una roccia, come se il punto di arrivo di dove erano diretti fosse già
arrivato.
- Non ne ho e non ne avrò mai - disse a bassa voce. - Qualunque cosa
accada –
- Nate… -
- Credi che non abbia vissuto il dolore? Ho subito interventi chirurgici
senza anestesia. Virus e batteri infilati nelle mie vene. Sono stato esaminato
al solo scopo di degradarmi, ed ero giovane quando è successo tutto questo.
Non ci sono sofferenze che non ho sopportato, e se l'ho vissuto una volta,
posso farlo di nuovo –
Soprattutto per lei, e anche se chiaramente non c'era futuro per loro.
Era innamorata del suo maschio e, visto il genere di eroe che il ragazzo
ovviamente era, chi avrebbe potuto competere con lui?
Dopo un lungo momento, Elyn si alzò e mise la mano sul lato del viso
di Nate.
- Sei così coraggioso –
Non appena registrò il contatto della carne di lei con la sua, si bloccò
dove si trovava... e si rese conto, mentre fissava i suoi occhi d'argento, che
era come il maschio che amava.
Disposto a dare la vita per lei.
- Il tuo hellren è un maschio molto, molto fortunato - disse rudemente
Nate.
Elyn aggrottò la fronte e inclinò la testa di lato.
- Hellren? Non sono accoppiata –
- Il maschio che ami, allora –
- No, non è così. Lo amo, ma è mio cugino di primo grado. Lui è la
mia famiglia, non il mio compagno –
Quando le sue parole affondarono, l'anima di Nate sorrise. Non
poteva descrivere quella sensazione in nessun altro modo. Ma si riprese in
fretta, dato che Elyn sembrava ancora molto seria.
- Allora troviamolo - disse. – Insieme –
Lei lo guardò negli occhi, e lui voleva essere ancora più alto di quanto
non fosse. Più grande. Più forte. Aveva attraversato la transizione, certo, ma
rispetto a suo padre, Murhder, era un microbo.
- Sei stato così buono con me - mormorò lei. - Sei stato un amico
quando ne avevo bisogno, un rifugio quando non ne avevo nessuno, un
pozzo di comprensione in questa oscurità in cui sono intrappolata. Quindi
non posso e non voglio fare nulla che possa metterti in pericolo. Questa è
sempre stata una mia missione, e deve restare tale –
Si fissarono a lungo.
Baciala, pensò Nate. Adesso è il momento…
Oltre la spalla di Elyn, apparve un minuscolo bagliore di luce e iniziò
a muoversi. E un altro. E un terzo.
Si voltò e guardò la piccola galassia che si era inspiegabilmente
formata dietro di lei.
- Oh, sono tornate –
Elyn allungò il palmo e le scintille arrivarono a lei, fondendosi sopra
la sua mano tesa.
- Lucciole - mormorò Nate. – Wow –
Il bagliore era tale che le illuminava il viso rendendola decisamente
splendente - no, era più di questo. I suoi capelli e i suoi occhi d'argento
sembravano attirare la luce dorata e rifletterla indietro, così che un alone si
era formato tutt'intorno a lei.
Senza preavviso, lei lo fissò con uno sguardo duro.
- Non permetterò a niente e nessuno di farti del male, Nate –
Toccato com'era dal sentimento, non aveva il cuore di affermare la
verità. Tra loro due lei non era certo in grado di offrire alcuna protezione.
Quello era un suo compito.
CAPITOLO QUARANTATRE
•••
Sahvage trovò l'auto di Mae dopo quattro ore di ricerche. Non aveva
trovato niente nel cottage di Tallah. Niente a casa di lei. Niente che potesse
percepire da nessuna parte.
Era come se fosse scomparsa dalla faccia del pianeta.
O, cosa ancora più insostenibile, non c'era più... perché era andata nel
Fado anche se lei non ci credeva.
Proprio mentre stava per perdere la sua fottuta mente, e faceva un
altro giro di ritorno dalla periferia e verso il cottage, senza Mae a casa sua,
senza Mae al telefono e senza Mae...
Luci blu. Luci blu lampeggianti.
Le aveva già viste durante il precedente giro in città dai campi rurali,
ma poiché non l'aveva percepita da nessuna parte vicino alla scena, le aveva
ignorate. Inoltre, la verità era che, circa due ore dopo aver cercato Mae,
aveva smesso di sperare di trovarla e aveva iniziato a prepararsi ad essere
trovato.
Da una bruna con delle pretese.
Oppure, Vergine Scriba non voglia, con pezzi di cadavere.
Senza nessun altro posto dove andare, decise di controllare la scena
dell'incidente. Materializzandosi nell'oscurità proiettata da un muro di
pietra, osservò l'incidente d'auto...
- Mae! –
Sahvage urlò il suo nome quando riconobbe la sua Civic e quando i
poliziotti alzarono lo sguardo da quello che si rivelò essere un corpo a terra,
il suo sangue si gelò. Sapeva che non era Mae, ma poiché era sottovento,
pregò che non fosse Tallah.
- Signore, a meno che non sia un testimone o non sia in grado di
identificare... –
Quando un'ufficiale donna si avvicinò a lui, non le diede la possibilità
di andare oltre. Entrò nella sua mente e ottenne i dettagli di cui aveva
bisogno: la vittima di sesso maschile sull'erba era stata pugnalata ed era
morta. L'auto fuori strada era intestata a un certo Christopher Wooden
morto nel 1982 e che viveva a dieci miglia di distanza. Un passante che
aveva una casa nel quartiere aveva chiamato la polizia.
Nient’altro, almeno che potesse importare a Sahvage. Ma quella era
sicuramente l'auto di Mae.
Allora dove diavolo era?
Eppure, anche mentre si poneva quella domanda, lo sapeva. Era
pronto a scommettere che in qualche modo la bruna era arrivata lì e aveva
rapito Mae...
Quando il telefono squillò, lo tirò fuori dalla giacca per controllare lo
schermo. Quando vide chi era, tipo per la centesima volta, perse il
controllo.
- Oh, porca puttana… cosa? - scattò mentre rispondeva alla chiamata. -
Puoi lasciarmi in pace, cazzo? –
- Sei tu quello che mi ha chiamato, stronzo - ribatté il Reverendo. - E
visto quello che stai cercando, pensavo che avresti risposto al tuo cazzo di
telefono nelle ultime quattro maledette cazzo di volte che ho chiamato. Ora,
vuoi trovare il Libro o no? –
Sahvage guardò il tipo morto e si passò una mano sopra la testa.
- A meno che tu non ce l'abbia in grembo, ho altre priorità in questo
momento... –
- Ci vediamo al parco cittadino. Quindici minuti. Se vuoi il Libro, ci
sarai. Questa è la tua unica possibilità. Dopo questo, non mi sentirai e non
mi cercherai mai più –
Quando la linea si interruppe, Sahvage quasi lanciò il suo fottuto
telefono contro la Honda di Mae. Ma si aggrappò alla cosa perché sperava
ancora, per un miracolo del tutto impossibile, che lei lo chiamasse.
Imprecò e si guardò intorno…
E si rese conto che tutti i poliziotti sulla scena erano immobili e lo
fissavano come se fossero pronti a ricevere una lista di ordini da eseguire. O
forse un indizio su quali erano i loro nomi di battesimo.
Andò alla macchina di Mae. La portiera del guidatore era aperta e lui si
sporse verso l'interno. Entrambi gli airbag erano esplosi, ma le chiavi erano
ancora nell'accensione. Strappandole via, non vide dove fosse il suo
telefono o la sua borsa. Potevano essere già nelle mani dei poliziotti, ma
non era preoccupato che gli agenti si presentassero a casa sua… e Dio non
voglia, trovassero suo fratello in quella vasca. Come la carta di
circolazione, tutti i suoi documenti d'identità erano intestati a qualcun altro
con un indirizzo diverso da quello in cui viveva realmente. Era una
procedura standard per i vampiri che vivevano nelle aree umane
densamente popolate.
- Merda! - mormorò. - Merda, merda... –
- Posso aiutarla? - disse la poliziotta. - C'è qualcosa di cui ha bisogno? –
- Quello di cui ho bisogno è... –
Mentre lasciava svanire il suo pensiero, una parola giunse dal nulla,
come se gli fosse stata impiantata nella testa: Scambio.
Esatto, pensò.
Aveva bisogno di qualcosa da poter scambiare.
Il genere di cosa che quando quella bruna si fosse presentata di
nuovo, e lo avrebbe fatto, lui avrebbe avuto qualcosa che lei voleva.
Qualcosa di cui aveva bisogno. In modo da poter ottenere ciò che lui
doveva avere in cambio.
Che era Mae. Al sicuro.
- Uno scambio - disse ad alta voce guardando il suo telefono.
Si smaterializzò e liberò i poliziotti dal loro stato catatonico, ma solo
dopo aver cancellato ogni ricordo della sua presenza dalle loro menti. Per
quanto potevano ricordare, lui non sarebbe stato altro che etere.
Come fantasma lui aveva molto senso.
Ma era un fantasma con una fottuta missione. Avendo già
abbandonato una femmina nel corso della sua vita, non avrebbe fatto di
nuovo quella stronzata. Anche se lo aveva ucciso.
E sperava che lo facesse di nuovo.
CAPITOLO QUARANTAQUATTRO
•••
•••
Dopo che un’anziana guardia di sicurezza era stata mandata via senza
alcun ricordo dei tre vampiri che si erano presentati nel seminterrato del suo
edificio, Sahvage stava impazzendo mentre attraversava una specie di
magazzino.
Erano più di quattrocento metri quadrati di assolutamente,
fottutamente nulla.
Ma Mae era qui.
Camminando attorno ai piloni che sorreggevano il soffitto, non
riusciva a spiegare cosa stesse fiutando, cosa stesse sentendo. Ma Mae era
lì. Poteva quasi sentirla. Eppure i suoi occhi gli dicevano che era solo in
quelle quattro mura di cemento.
- Non capisco - gridò.
Butch, il Fratello che si era offerto volontario per guidarlo, scosse la
testa.
- È stato così anche per me e V. Stavamo seguendo il demone con il
GPS, ma... non siamo riusciti a trovarla anche se era in questa posizione –
- Mae è qui - inspirò e annusò anche il fumo. Insieme al profumo
della sua femmina. - Io riesco... lei è qui –
Continuò a camminare sempre più veloce. Ma sarebbe cambiato
qualcosa?
- Fanculo - disse tornando indietro verso la porta d'acciaio. - Prendo il
cazzo di Libro. Poi farò un patto con lei. Lei lo vuole e farà di tutto per
ottenerlo –
Il dolore in quei volti che lo guardavano era un forte e chiaro
avvertimento.
- Mi dispiace, Mae viene prima –
Tohr scosse la testa.
- Riporteremo indietro la tua femmina. Ma il Libro e quel demone
non possono essere riuniti. Le dà troppo potere –
- Solo per essere chiari - Sahvage puntò lo sguardo su di loro. - Non
me ne frega un cazzo se quella bruna fa esplodere metà Caldwell, l'unica
cosa che mi interessa è Mae –
- Abbiamo altre risorse. Possiamo aiutarti –
- Tutto ciò di cui ho bisogno è quel fottuto Libro –
Mentre Sahvage affrontava i Fratelli, riconobbe le urla nella sua testa.
Lo riportarono a tutte quelle notti piene di divertimento alla ricerca di
Rahvyn. Dannazione, come aveva fatto a passare dallo sguardo a Mae tra la
folla in quel combattimento a questa... cieca disperazione... per non essere
in grado di salvarla?
- Sto venendo a prenderti, Mae - disse ad alta voce. - Resta viva, sto
venendo a prenderti –
Mentre la sua voce riecheggiava sul cemento grigio e nero, capì di
essere pazzo. Ma non c'era modo di scendere da quel treno.
Si voltò e uscì a grandi passi dal magazzino. Chiudendo la porta
dietro di sé e dei Fratelli, guardò su e giù per il corridoio mentre gli altri
combattenti continuavano a guardarlo storto con ogni genere di no-non-
andare.
Quando uscì, gli sembrò farlo dalla propria pelle. E l'unico modo in
cui poteva andare avanti era promettere a se stesso... che in qualche modo
avrebbe trovato la sua femmina.
Non che lei fosse sua.
Porca puttana, avrebbe dovuto ascoltare il suo istinto e non farsi
coinvolgere...
Un rumore sordo risuonò nel corridoio, come se qualcosa di metallico
avesse colpito... qualcosa di metallico. Voltandosi, si accigliò al fatto che
non stava succedendo nulla.
- Cosa c'è? - chiese Tohr.
- Non l'hai sentito? –
- No. Non ho sentito alcun rumore –
Butch scosse la testa.
- Non c'era niente, ragazzo mio –
Sahvage li ignorò. Ma quando non sentì altro... proprio un cazzo di
niente... comprese di essere solo uno idiota.
- Figlio di puttana! -
Si voltò, e fu allora che udì il pianto. Leggero. Come da lontano...
eppure il suono era inconfondibile.
Concentrato, Sahvage tornò alla porta d'acciaio, anche se non si
aspettava di vedere nulla.
Si sbagliava.
- Mae! Porca puttana! Mae! –
Il solido pannello di metallo si era in qualche modo trasformato in
uno schermo: ora poteva vedere attraverso di esso, e dall'altra parte, Mae
era seduta a gambe incrociate su un pavimento di marmo bianco brillante, la
testa tra le mani, i suoi singhiozzi attraversavano qualsiasi tipo di distanza
che li separava.
- Mae! -gridò cadendo in ginocchio.
- Cosa fai? - chiese Butch.
- Lei è proprio lì! Che diavolo c'è di sbagliato con te? Mae! –
Sahvage toccò il metallo... e cedette, le sue dita in qualche modo
entrarono dentro ciò che non avrebbe dovuto cedere affatto.
E come se lo sentisse, Mae alzò di scatto la testa e si guardò intorno.
- Sono qui! - si strappò la giacca e la porse al Fratello più vicino a lui.
- Prendi questa –
Tohr guardò in basso confuso.
- Di cosa stai parlando –
- Vado da lei. Devo tirarla fuori. Ma avrò bisogno di un riferimento -
non gli importava se l’altro non capiva. - Tieni questa! –
Tohr continuò a guardarlo come se avesse perso la testa… benvenuto
nel dannato club… ma il Fratello afferrò il polso della giacca.
- Non so dove diavolo pensi di andare... –
- La tua opinione è irrilevante –
Sahvage sostenne il suo corpo, un piede piantato dietro di lui, l'altro
appoggiato proprio sul bordo della porta. Poi allungò il braccio nel pannello
d'acciaio...
La sensazione era sgradevole, come se stesse spingendo la mano nel
fango freddo, ma non gliene fregava un cazzo. Continuò semplicemente ad
andare, sporgendosi sempre più in avanti, il palmo, il polso, l'avambraccio,
penetrarono attraverso la porta... e uscirono dall'altra parte.
Mae si ritrasse.
E poi, all'istante, la sua espressione cambiò.
Sahvage!
O almeno questo è quello che pensava lei avesse detto. Lui non
riusciva a sentirla.
- Prendi la mia mano - gridò. - Prendila, ti tirerò fuori –
Anche se non sapeva se era possibile. Non sapeva nient'altro tranne
che non se ne sarebbe andato senza di lei.
- Sto entrando - disse.
Muovendosi con cautela, infilò lo stivale nell'altra versione della
realtà e spostò parte del suo peso. Lo stesso istinto che gli diceva di
assicurarsi di tenere un piede in ogni piano dell'esistenza, uno su ciascun
lato della porta, diventò sempre più forte, quindi fece affidamento sulla
presa della manica della sua giacca mentre si sporgeva.
Penetrare quella porta con il busto gli fece venire i brividi, la pelle
d'oca, i muscoli si contraevano, le ossa gli facevano male fino al midollo. E
quando la sua testa si liberò dalla resistenza, venne investito da ogni genere
di vista e odore. Abiti. Qualcosa che bruciava. Profumo.
Come se gliene fregasse un cazzo.
Mae era proprio di fronte a lui. Poteva finalmente annusare le sue
lacrime, percepire la sua presenza e ascoltarla nel modo giusto.
Oh, Dio, era ferita. Il suo viso era ferito e...
- Sahvage! –
Gli si lanciò contro di lui e lui si aggrappò al suo corpo, ma non poté
dedicare nemmeno un secondo a controllare le sue ferite.
- Aspetta, femmina mia. Tienimi stretto –
Guardando sopra la sua testa, ebbe una breve, ma indelebile,
impressione di scaffali e scaffali di roba di lusso. E mobili moderni e una
cucina e un letto. C'era un intero spazio vivibile nel magazzino, ma il
demone era così intelligente, giusto?
- Andiamo - disse Sahvage.
L'ultima cosa che notò, quando iniziarono a ritirarsi, fu la bottiglia di
aceto proprio accanto alla porta. E il contenitore del sale. E una busta di
candeline di compleanno.
E una borsa bianca e grigia in fiamme.
Non aveva importanza. Aveva Mae tra le braccia, e questo era tutto
ciò che contava.
•••
Mae era al capolinea, piangendo con la testa tra le mani, quando
aveva sentito qualcosa fuori dalla porta. E poi un braccio, un braccio
muscoloso e pieno di vene, in qualche modo, era arrivato a lei. Era stata
così scioccata che era quasi scappata.
Ma poi aveva sentito Sahvage. Chiaramente.
E poi lui era apparso, proprio di fronte a lei, attraverso la porta.
- Mae! –
Quando aveva pronunciato il suo nome, non ci aveva pensato due
volte. Si era lanciata in avanti e si era gettata su di lui… e nel momento in
cui aveva sentito la sua solida presa, era quasi andata a pezzi per il sollievo.
Non aveva mai afferrato niente così forte in vita sua.
Sahvage le aveva detto qualcosa sul fatto di tenerlo stretto, ma quello
era un comando di cui non aveva bisogno quando si aggrappò al suo collo e
gli avvolse quasi le gambe intorno alla vita. Quando iniziò a ritirarsi
attraverso la porta, la trazione fu terribile, il suo corpo si stirò finché le sue
ossa divennero fitte di agonia e i suoi muscoli scaglie di dolore
incandescente. Tutto quello che poteva fare era seppellire il viso nella gola
del maschio e cercare di continuare a respirare.
Il tremito arrivò in seguito, i brividi la percorsero, i denti batterono,
spasmi alle gambe. Proprio quando pensò che sarebbe andata in pezzi, nel
momento in cui comprese di non farcela più, tutta la resistenza sul suo
corpo scomparve...
Mae esplose fuori da quel covo come se fosse stata caricata a molla...
e Sahvage fu la sua piattaforma di atterraggio. Mentre venivano sbattuti
contro il muro di un corridoio, lei gli sbatté contro il petto, colpendo con il
ginocchio qualcosa di duro come una roccia, il suo naso registrò ogni
genere di nuovi odori.
- Ti ho presa - le disse subito dopo. - Stai bene, sei fuori... ti ho presa
–
Mae tremava dappertutto, l'adrenalina diminuiva e la lasciava così
debole che non riusciva a sollevare la testa.
- Va tutto bene... - mormorò Sahvage mentre le accarezzava le spalle.
Gradualmente, i sensi di Mae tornarono in linea. Erano in un
corridoio... dall’altra parte di una porta d'acciaio che era chiusa.
Due enormi maschi stavano in piedi sopra di loro.
E un demone stava ancora per tornare da un momento all'altro.
Presa dal panico, Mae si sollevò dai pettorali di Sahvage.
- Dobbiamo andarcene da qui. Sta tornando. Dobbiamo... casa mia.
Andiamo lì. Il sale la terrà fuori... –
- Puoi smaterializzarti? –
Con l'aiuto di Sahvage, Mae riuscì a stare in piedi per lo più da sola,
ma quando si spostò bruscamente di lato, lui imprecò. Così fece lei.
- Se dovete andare a piedi, vi proteggeremo noi - disse uno dei
maschi, il più tarchiato della coppia.
Lei lo guardò e si rese conto che aveva un paio di pugnali neri legati
al petto con le impugnature in basso. E così anche l’altro.
La Confraternita del Pugnale Nero, pensò con soggezione.
- Ti ho presa - disse Sahvage per la centesima volta.
Subito dopo, lui l'aveva presa in braccio e aveva iniziato a correre.
Con tutte le sue forze, la portò lungo il corridoio di cemento come se non
pesasse nulla, i suoi stivali battevano sul pavimento mentre i due fratelli
fornivano riparo davanti e dietro.
Quando arrivarono a una porta pesante con sopra un cartello rosso di
uscita, il Fratello più tarchiato balzò avanti e la tenne aperta.
- Da questa parte - ordinò.
Mae sentiva la sua coscienza andare e venire, come era successo
subito dopo essere stata coinvolta in quell'incidente. Nel frattempo, Sahvage
continuava a correre, correre, correre come se avesse una quantità infinita di
energia nel suo corpo e tutto il potere del mondo.
Alla fine, arrivarono a una specie di centro di consegna, una fila di
stive di carico e ogni tipo di contenitori per la movimentazione, il che
suggeriva che si trovassero nel reparto di smistamento della posta di un
grande edificio. Gli altri due combattenti andarono immediatamente in una
delle aree di ricezione e aprirono una serie di porte verticali facendo ruotare
le stecche sui loro binari...
All'improvviso Mae sentì l'aria della notte che portava un accenno di
olio e spazzatura. Erano in città da qualche parte.
- Posso smaterializzarmi - disse. Schiarendosi la gola, parlò più forte.
- Posso farlo –
- Prima ti facciamo controllare –
Sahvage saltò giù sul marciapiede e, quando ricominciò a correre, si
rese conto che stavano andando verso un enorme camper... dove un uomo in
camice bianco, un umano?, era in piedi vicino a quella che sembrava essere
una sala operatoria.
- No, non è sicuro - disse Mae spingendo contro la spalla di Sahvage.
- Devo tornare a casa mia. Lei verrà qui da un momento all'altro… -
- Mae… -
- No! - si spinse via dalle sue braccia e dovette recuperare l’equilibrio
sulle luci dei freni del veicolo. - Sta arrivando! - Mae guardò tutti i maschi
in preda al panico. - Voi non sapete cos’è... –
- No - ribatté quello più tarchiato. - Sappiamo esattamente cos'è. Se
hai un posto sicuro, vai ora. Noi vi raggiungeremo –
Sahvage aprì la bocca come se volesse mettersi a discutere, ma il
Fratello gli afferrò la spalla.
- Lasciala andare dove deve essere, le porteremo le cure. L'hai tirata
fuori una volta, ma ti garantisco che qualunque scappatoia hai trovato quel
demone lo capirà nel momento stesso in cui tornerà. Ora abbiamo qualche
secondo, usiamolo –
Mae si fece avanti e mise entrambe le mani sul viso di Sahvage.
- Incontriamoci a casa dei miei genitori. Dì loro dove andare –
E poi, anche se era ancora stordita, e nonostante la testa che
martellava e il dolore al corpo, strinse gli occhi per chiuderli.
Puoi farlo, ordinò a sé stessa. Ma soprattutto, devi.
Oppure la sua vita, e quella di Sahvage e degli altri due maschi, erano
finite.
CAPITOLO QUARANTANOVE
•••
•••
Sdraiato al buio, con Mae tra le braccia, Sahvage era calmo quasi
quanto lo era prima di un combattimento a mani nude: era consapevole del
coltello, gli occhi si muovevano incessantemente intorno ai contorni in
ombra della stanza, le orecchie percepivano qualsiasi suono, i sensi in
allerta. E accanto a lui, la sua femmina…
No. Non era sua.
Questa femmina, si corresse, era al sicuro. Per adesso.
- Sahvage? –
- Sì? - Sperava che lei volesse qualcosa da mangiare in modo da poter
fare qualcosa. - Hai fame? Posso portarti un po' di cibo? –
- Sento che dovrei scusarmi - Lei si spinse sul suo petto. - Mi sento
come... vorrei potermi fermare. Ma non posso. Spero che tu lo possa capire,
soprattutto perché sai cosa vuol dire una simile perdita –
Senza pensare, le spostò indietro una ciocca di capelli. Poi le toccò il
viso. Quando lei trattenne il respiro, non approvò dove fosse andata la sua
mente.
- Sì, lo so –
- Sono così grata che tu sia ancora qui. Ancora con me –
- Non me ne andrò finché non sarà finita. Nel bene e nel male –
L'ombra di un sorriso apparve sul viso di lei.
- Questa è una cosa umana –
- Cosa? –
- Nel bene e nel male. È quello che dicono quando si accoppiano per
la vita - Lei distolse lo sguardo. - Comunque, sono grata che tu sia qui –
- La lealtà è praticamente la mia unica virtù - Il suo tono di voce si
fece ironico. - E anche così, sono riuscito a trasformarlo in un peccato –
Si fissarono negli occhi, e poi lei disse:
- Quando ero intrappolata in quel posto... ero così arrabbiata. Mi sono
sentita completamente tradita. Ho provato a fare tante cose giuste nel corso
della mia vita, ma ero lì. Sapevo che non appena la bruna fosse tornata, mi
avrebbe ucciso… e avrei perso tutto… ed è un bel paradosso considerando
che vivo con un maschio morto e lavoro da casa… -
Sahvage pensò alla terra desolata della sua vita.
- Almeno sai di avere una fine… -
- Di nuovo il Fado - disse rassegnata. - Hai davvero bisogno di lasciar
perdere –
- Quindi quel consiglio è una strada a senso unico per te, eh? Ti
aspetti che gli altri lascino perdere le stronzate, ma tu non lo fai –
- Sì! - si mise a sedere. - Un po' come te che rifiuti di rispettare i
confini. Non importa quante volte ti viene detto di smetterla –
All'improvviso, diede un'occhiata alla porta come se nella sua mente
stesse camminando verso di essa. E poi lasciò cadere la testa all'indietro e
iniziò a borbottare imprecazioni verso il soffitto della camera da letto.
- Se hai intenzione di urlarmi contro - osservò Sahvage - tanto vale
che mi fai partecipare al tuo memento di tenerezza. Mi sembra giusto e…
ehi, posso sempre usare i tuoi consigli su come usare correttamente la
parola stronzo –
Gli lanciò un'occhiata.
- In realtà, sto urlando contro me stessa –
- Perché? –
- Perché non riesco a credere che tu eri una delle cose per cui ero
arrabbiata –
- Oh, andiamo… - rise forte. - Non è una notizia scioccante. Sei
incazzata con me da quando mi hai incontrato. Il che è piuttosto divertente
considerando che mi hai distratto in quella rissa... –
- Non tirare fuori di nuovo quella storia del taglio –
- Taglio? - Anche lui si mise seduto, quindi erano allo stesso livello. -
Stai chiamando quell'emorragia arteriosa un taglio? Solo per curiosità, cosa
consideri una ferita? L’eviscerazione totale? –
- Sei sopravvissuto! –
- Sopravvivo sempre - disse rudemente.
- Giusto, perché sei davvero un duro –
- Non era quello che stavi per mettere sul mio cartellino con il nome?
–
- In realtà stronzo era quello che stavo pensando. E questo solo perché
coglione era già stato preso –
Sahvage iniziò a sorridere. Non poteva farci niente.
- Ti irrito, vero? –
- No - lei incrociò le braccia sul petto e lo fissò. – Affatto –
- Va bene. Ti credo. Davvero. Sono solo curioso, però... per cosa in
particolare eri così arrabbiata con me? Voglio dire, non può essere la mia
affascinante personalità –
Quando si voltò verso di lui, ci fu una pausa e all'improvviso l'aria
nella stanza cambiò. E anche se c’era poca luce, poteva dire che gli occhi di
lei erano scivolati sulla sua bocca, e nonostante le sue ferite, il suo profumo
era cambiato. Più intenso.
- Dai, dimmi - mormorò Sahvage. - Sai quanto ti piace elencare i miei
difetti. Ce ne sono così tanti nel tuo libro –
Lei ancora non distolse lo sguardo, anche dopo che lui l'aveva
provocata... fu allora che il suo sangue iniziò ad addensarsi.
- Quando ero bloccata in quel posto, ero arrabbiata... la sua voce si
spezzò. - Ero arrabbiata perché non avrei mai saputo come sarebbe stato…
–
- Cosa? –
Ci fu un lungo silenzio. Poi gli disse:
- Pensi che sopravvivremo a questo? –
Non voleva che lei si sforzasse di definire questo. Non c'era motivo
per lei di dire ad alta voce che avrebbero affrontato quella bruna, alla
ricerca di un Libro che era un catalogo di magia nera per cercare di
resuscitare i morti.
Sì, perché cosa avrebbe potuto andare storto con tutta quella merda?
- Posso prometterti - le disse - che farò tutto ciò che è in mio potere
per farti uscire viva –
Come se fossero in un combattimento.
Ma non lo erano?
- Riuscirò mai a trovare il Libro? –
- Non lo so - Lui scosse la testa. - Ma se quell'incantesimo di
evocazione ha funzionato per portarmi da te... scommetterei che funzionerà
anche per portarci al Libro. Ci vuole solo un po' di tempo per organizzare lo
scambio –
E quando le fosse atterrato in grembo, lui le avrebbe salvato la vita
con...
- Ero arrabbiata perché mi sono sentita tradita - sussurrò. - Se non... –
Adesso era lui a fissarle la bocca. E cazzo, c'erano così tante ragioni
per non percorrere la strada che stava apparendo davanti a loro, ancora una
volta. Ma...
- Dillo! - ordinò.
- Se non avessi saputo com'eri –
Con un'ondata di calore sessuale, Sahvage allungò la mano e le toccò
di nuovo il viso, lasciando che la punta delle dita si spostasse lungo la
mascella e poi scendesse fino al battito irregolare al lato della gola.
- Vuoi dire, come compagno di cena? - le disse. - O stavi pensando a
qualcosa di più... coinvolgente? Come gli scacchi? –
Mae rise.
- Sul serio –
- Monopoli? - Si piegò in avanti e le premette un bacio sulla guancia.
- So già che il Monopoli ti fa addormentare –
Mae si chinò verso lui e sentì la sua mano sulla spalla, ma non per
spingerlo via. Lo tenne stretto.
- Voglio solo stare con te - Quando lui cercò di dire qualcosa, lei gli
mise un dito sulle labbra per farlo tacere. - So che non cambia nulla. So che
te ne andrai quando tutto questo sarà finito. Ma continuo a pensare...
eccomi qui, determinata a riportare indietro mio fratello, ma che tipo di vita
sto conducendo? Non faccio altro che lavorare e preoccuparmi. E le due
persone che mi hanno fatto giurare di non fare mai sesso prima di
accoppiarmi sono andate via da quanti anni? Tre? Cosa sto aspettando
esattamente? Quando arriverà la prossima gabbia per cani per cosa mi
pentirò di non aver fatto? –
- Ho bisogno che tu sappia una cosa - le disse con voce ruvida.
Mae abbassò bruscamente il braccio. E lui lo rimise dov'era.
- Se potessi essere diverso, lo sarei... per te - le disse. - E in futuro, se
mai dubiterai di quanto tu sia importante, pensa solo a me. Prometto che
sarò da qualche parte sul pianeta... a pensare a quanto sei speciale e a
desiderare che le cose fossero diverse –
- Ti lascerai tutto alle spalle - mise la mano su quella di lui. - Mi
dimenticherai e sarò io a sentire la tua mancanza – Lui fece per parlare, ma
lei scosse la testa. - Va tutto bene. Sono una che si dimentica facilmente –
- Non dire così… -
- Sono una delle mille femmine civili, uscite dalla transizione, ma non
nel declino della vecchiaia, che vive in una casa semplice e fa un lavoro
regolare. Mi preoccupo del giorno in cui ritirano la spazzatura e se ho
riciclato abbastanza. Rimango impigliata nella mia testa davanti alle
verdure di Hannaford quando non riesco a decidere cosa mangiare. La mia
macchina ha dieci anni, beh, aveva dieci anni. Russo quando dormo sulla
schiena, faccio brutti sogni se sono troppo stanca e mi manca la sensazione
del sole sul viso, anche se sono passati decenni da quando potevo uscire a
mezzogiorno - rise senza gioia. - Anche il demone ha detto che non sono
brutta, ma che non vale la pena attraversare la strada per... –
Sahvage la baciò. Perché voleva farlo. Perché odiava quello che lei
stava dicendo di se stessa. Perché lei non capiva.
Anche se tutte quelle statistiche di vita mediocre erano
presumibilmente vere, lei era comunque indimenticabile.
Per lui.
Quando si trattava di essere una leggenda, bastava una persona per
riconoscere che eri epico. Era così.
•••
Mae poteva non aver fatto sesso prima, ma era Sahvage a non essere
preparato per quello che stava succedendo. Non si sarebbe mai aspettato di
essere così coinvolto dalla sua pelle, dal suo profumo, dal suo erotismo
innocente mentre si strofinava contro ogni parte di lui che entrava in
contatto con il suo sesso eccitato gloriosamente nudo e bello.
Non aveva intenzione di portare le cose in questa direzione.
Ma eccoli… con lui sul punto di metterci la bocca…
- Sahvage… - gemette.
Gettando di nuovo la testa sui cuscini, Mae si inarcò di nuovo e poi
ondeggiò, i suoi seni a punta, quei piccoli capezzoli eretti erano il genere di
cosa che lui non poteva non toccare.
Allungando la mano ne pizzicò uno e poi fece ruotare l'altro avanti e
indietro tra il pollice e l'indice, ancora… ancora… ancora…
E poi abbassò la testa e le sfiorò il basso ventre con le labbra.
- Qui? Mae... fa male qui? –
Con voce roca lei disse:
- Più in basso -
Cazzo, pensò mentre si avvicinava al suo fianco. Sussurrando con la
bocca sulla graziosa sporgenza del bacino di lei, fece scivolare
completamente la parte inferiore del suo corpo dall'estremità del letto.
Quando le sue ginocchia toccarono il tappeto, la tirò a sé per la parte
posteriore delle ginocchia, le cosce spalancate, il suo sesso luccicava nella
luce scarsa.
Sahvage si leccò le labbra in attesa.
- Ho bisogno di assaggiarti - si sentì dire.
Lei gemette il suo nome, lui cominciò dall'esterno di una delle gambe,
nel caso avesse ripensamenti.
Ma lei non ne aveva. Pronunciò di nuovo il suo nome... con quella
voce ruvida e ansimante che quasi lo fece venire.
Le baciò la parte superiore della coscia fino all'interno, seguendo la
piega dove incontrava il suo corpo, dove si collegava alla sua...
Voleva restare su quella pelle morbida, sul precipizio del suo bel
sesso, ma il bacino di lei si mosse senza preavviso...
E all'improvviso le sue labbra furono di lei, e tutta la sua intenzione di
essere gentile, di andarci piano e prendersela comoda, andò fuori dalla
fottuta finestra. La succhiò, e nell'istante in cui assaggiò il suo sapore, il suo
cervello andò completamente in corto.
Quando Mae urlò il suo nome e gli afferrò i capelli con forza, lui
perse completamente la testa. Bloccando i palmi delle mani sulla parte
posteriore delle sue cosce, la allargò ancora di più mentre le dava piacere
con la bocca e la lingua, leccandola e succhiandola finché non capì che si
stava avvicinando all’orgasmo.
Con un movimento improvviso, Mae si mosse contro il suo viso e...
Proprio come aveva previsto, lei gridò e si irrigidì. E poi sussultò più
e più volte, il suo corpo si liberò mentre lui la leccava per farla andare
avanti... mentre tutto quello che voleva era essere dentro di lei, sentire le
sue contrazioni fino a quando non sarebbe venuto anche lui.
Ma non sarebbe successo.
Lei meritava qualcuno meglio di lui per la sua prima volta, e non
l'avrebbe privata della gioia e della comunione che sarebbero arrivate
quando si fosse donata per amore invece che per disperazione. Non poteva
proprio farle questo.
La buona notizia era che c’erano molte altre cose che potevano fare
insieme.
Quando finalmente Mae si rilassò, le braccia e la testa ricaddero sul
piumone, respirava a fatica, i seni si gonfiavano e si abbassavano, le costole
si espandevano e si contraevano. Sahvage sorrise e iniziò a pianificare la
loro prossima posizione. Tipo lei a quattro zampe davanti a lui, la sua mano
che si masturbava sul suo sesso così da poterla leccare fino a pulirla…
In lontananza, in salotto, un telefono iniziò a squillare.
Ma come poteva lasciarla, in quel momento?
- Sahvage? - chiese lei.
- Sei incredibile - mormorò accarezzandole le cosce.
- Che cosa... cosa farai adesso? Che cosa... e tu? –
Raddrizzandosi sulle ginocchia, portò le mani alla cintura. Mentre di
toglieva i pantaloni, si rese conto che il suo cazzo era così duro, così
affamato, che doveva stringere i denti ed esercitare un po' di autocontrollo,
o rischiare di venirle addosso.
Cosa che stava per fare? Voleva solo essere nudo quando lo faceva e
lei era così rilassata che decise che non l'avrebbe fatta inginocchiare. Gli
piaceva proprio quella vista, i suoi seni sodi, la sua pancia così liscia, il suo
sesso...
- Stai bene? - le chiese, come se la penetrazione che stava accadendo
nella sua mente stesse effettivamente avvenendo proprio in quel momento.
- Io sono... oh, Dio, sì... - disse quando vide la sua erezione.
Con le mani che all'improvviso tremavano, lui si tolse i pantaloni, tipo
Magic Mike, strappandoli dalla parte inferiore del corpo.
E il suo materasso era all'altezza perfetta per lui: la sua erezione era
proprio al livello del sesso di lei. Ma doveva essere sicuro.
- Tutto bene? –
- Oh, Dio, sì... e voglio di più –
- Davvero? - lui non aveva intenzione di toccarsi. Ma lo fece. - Cazzo,
Mae... –
Le mani di lei erano irrequiete, afferravano il piumone, lo chiudevano
tra i pugni... una di loro scivolò via e le sbatte contro il fianco.
Sahvage allungò la mano e le prese la sua. La spostò tra le gambe, lei
sussultò quando lui cominciò ad accarezzarla con le sue stesse dita mentre
lavorava sul suo cazzo.
Quando lei si avvicinò di nuovo all'orgasmo, disse:
- Mae... Mae, guardami –
Nella penombra, colse i suoi occhi scintillanti mentre eseguiva il suo
comando. E poi sollevò alla bocca quello con cui lei si era toccata. Le
succhiò le dita, lui era oh, così soddisfatto quando lei gridò di nuovo il suo
nome che echeggiò nella camera da letto.
Leccando la sua essenza, sorrise nell'oscurità... quando si rese conto
che lei era già la migliore amante che avesse mai avuto.
•••
Gli occhi di Mae si chiusero e non riuscì a farli restare aperti. Ma
buon Dio, voleva continuare a vedere tutto. Voleva guardare tutto, eppure
c'era un sorprendente erotismo nell'oscurità. Tutto quello di cui era
consapevole era la lingua di Sahvage, calda e scivolosa, che le leccava le
dita... poi la sua bocca calda e liscia che le succhiava il pollice.
I rumori la facevano impazzire.
E un nuovo orgasmo la attraversò.
Quando finalmente svanì, aprì gli occhi. Il suo amante era una forma
massiccia sopra di lei e il suo profumo le inondava il naso ed era...
Lui le abbassò la mano sul piumone. E proprio mentre stava per
chiedergli... cosa aveva intenzione di chiedere? … sentì qualcosa sul suo
sesso.
Non erano le sue dita. Non era la sua bocca.
Era a punta. Molto liscio. E molto caldo.
Mae si inarcò di nuovo, e se ci fosse stato un modo per allargare
ancora di più le cosce, l'avrebbe fatto.
Sahvage la accarezzò con se stesso, stuzzicando l'apertura del sesso di
lei, poi si concentrò sulla parte superiore della sua fessura. Mentre un altro
orgasmo scaturì nel sesso di lei, nel suo sangue, sapeva che ora era il
momento… sarebbe successo...
Il suo ampio palmo si chiuse sul suo fianco, tenendola ferma. Mentre
Mae era sospesa sull'orlo, sentì parole rauche uscire dalla sua bocca, ma
non aveva idea di cosa stesse dicendo. Ma lui la stava accarezzando sempre
più velocemente, e il fatto che fosse il suo sesso sul sesso di lei, loro due
così vicini a essere uniti, significava che tutto era amplificato.
Proprio quando ricominciò a venire, sentì uno schiocco. Veloce. Una
delle sue braccia andava avanti e indietro… e poi si stava reggendo sul
materasso con il palmo opposto, incombendo su di lei, sul punto di…
Il primo dei getti caldi sferzò il suo sesso e il calore la fece esplodere
ancora una volta. Dato che era venuta per... quante volte era successo? …
non aveva importanza perché quando venne di nuovo, lui eiaculò su di lei,
coprendole il sesso, l'interno delle cosce, il basso ventre.
Nell'oscurità, poteva sentirlo respirare affannosamente, una
imprecazione che sfuggiva tra ciò che sapeva essere denti serrati.
Passò un po' prima che arrivasse la delusione.
Per quanto fosse stato eccitante, giusto, nonostante si fosse preso cura
di lei... si rese conto che non sarebbe andato oltre.
Non l'avrebbe presa.
Non davvero.
Non l’avrebbe mai fatto.
CAPITOLO CINQUANTAQUATTRO
•••
•••
Sahvage era perso nei suoi pensieri quando la porta si chiuse dietro di
lui, ma ebbe abbastanza presenza di spirito da aspettare che Mae si
avvicinasse per chiudere il chiavistello. Quando lei non lo fece, lui riaprì
con l'intenzione di ricordarle di farlo.
Alla fine del breve corridoio, lei era ancora al tavolo della cucina con
la testa tra le mani. Non stava piangendo; sembrava che non riuscisse a
reggersi da sola e avesse bisogno dei gomiti per tenere il viso lontano dalla
ciotola dei cereali.
Si fece forza per non tornare lì dentro e prenderla tra le braccia, e
dirle che tutto sarebbe andato bene. Ma non gli piaceva fare promesse che
non poteva mantenere.
Così, invece, richiuse la porta e ricordò a se stesso che ciò che
avevano paura potesse entrare in casa era già stata chiusa fuori. Mae era al
sicuro.
Per un momento, prima di andarsene, fissò il punto in cui era
parcheggiata la macchina di lei. Ora c'erano solo macchie d'olio e segni
dove le gomme erano andate avanti e indietro così tante volte, e immaginò
che i suoi genitori parcheggiassero qui in passato. Pensò a quante volte la
famiglia, compreso suo fratello, era entrata e uscita dalla porta che lui aveva
appena usato per andare via.
La capiva davvero riguardo a Rhoger. Ci era già passato con Rahvyn.
E cazzo, se lui avesse creduto ai miracoli? Nel destino? Nel fatto che
l'universo era un luogo giusto e perfetto? Allora lui e sua cugina avrebbero
potuto riunirsi e se Mae avesse riportato indietro suo fratello, non ci
sarebbero stati rimpianti.
Ma non credeva più a quella merda di giustizia esistenziale.
E dannazione, Mae lo avrebbe ringraziato per quello che stava per
fare. Forse non subito, ma in seguito... quando la natura non sarebbe stata
alterata e lei non avrebbe sofferto così tanto. Allora, avrebbe capito che
aveva fatto la cosa giusta.
Calmandosi, si smaterializzò attraverso l'imposta aperta. Ma non
tornò a casa sua per farsi un giro in quel buco di merda.
Andò in città.
Dato che era a Caldwell solo da un mese, non conosceva i nomi delle
strade o altro. La buona notizia era che il Commodore era l'unico edificio
residenziale di oltre venti piani, e dato che aveva lettere luminose verticali
sul fianco che recitavano C-O-M-M-O-D-O-R-E…
Non ci voleva un genio per individuarne il tetto.
E proprio come avevano pianificato, c'era una figura solitaria che lo
aspettava vicino ai sistemi di ventilazione.
Quando Sahvage si riformò di fronte al ragazzo, teneva le mani vicino
alle pistole, ma non alzò il palmo. Non c'era motivo per non essere civile, e
inoltre, durante le ore diurne si era fatto un'idea del Bastardo. Quando Mae
dormiva, era andato di sopra per scoprire chi aveva fatto squillare il suo
telefono.
Ed era stata proprio la chiamata che stava aspettando.
- Quindi sei Sahvage, il maschio del momento - Il combattente
allungò la mano. – Balthazar –
Sahvage annuì e scosse ciò che gli veniva offerto.
- Sei pronto a farlo? –
- Come ho detto al telefono, dobbiamo muoverci in fretta –
Guardandosi intorno, Sahvage ebbe la sensazione che l'edificio fosse
circondato. Ombre?, si chiese. No... riusciva a cogliere i profumi, anche se
lontani e diluiti dal vento freddo, e ne riconosceva molti.
- I tuoi rinforzi sono in posizione - disse. - So che non siamo soli –
- Proprio come avevamo concordato, sono sul perimetro e resteranno
lì a meno che le cose non vadano a puttane. Non voglio... beh, come ti ho
detto, ieri sera è arrivata non appena mi sono avvicinato al Libro –
- Indicami solo la direzione giusta, poi me ne occuperò io –
Il maschio socchiuse gli occhi.
- Non era il nostro accordo –
- Anche se ti impedirà di essere ucciso? –
- Lei vuole il Libro, non noi. Quindi se morirò, sarà perché sono un
danno collaterale. Lo stesso vale per te. O facciamo come abbiamo
concordato, o lasciamo perdere –
Sahvage guardò il combattente dritto negli occhi.
- Ricevuto –
Quando Balthazar si voltò, Sahvage seguì il maschio fino all'ingresso
della tromba delle scale che correva al centro dell'edificio. Scesero i gradini
di cemento e quando, un paio di piani più in basso, Balthazar si fermò
davanti a una porta tagliafuoco e sembrò annusare la fenditura attorno allo
stipite della porta, Sahvage si rese conto di qualcosa.
- Non hai emesso un suono - disse sotto voce.
Il Bastardo si guardò alle spalle.
- Eh? –
- Mentre scendevamo. Non hai fatto alcun rumore –
- Sono un ladro - Il tipo alzò gli occhi al cielo e mise la mano sulla
maniglia per aprire. - Pensi che dovrei avere una banda musicale nel culo? –
- Questo sì che è un bel biglietto da visita –
Si avviarono rapidamente per un corridoio che puzzava di gente ricca
e aveva un'atmosfera elegante e moderna, e Sahvage cercò di prendere
esempio da Mr Shhh. Ma come faceva lo stronzo a non far scricchiolare
nemmeno il suo equipaggiamento?
Era ovvio dove stavano andando.
Il nastro della polizia lo suggeriva.
Quando si avvicinarono alla porta, Balthazar si voltò.
- Dall’altra parte c’è un’enorme sala. Spero che non ci siano
attrezzature della polizia in mezzo. Disattiverò l'allarme e attraverseremo le
stanze delle collezioni –
- Sono proprio dietro di te –
Balthazar entrò per primo e Sahvage fu un nanosecondo dietro di lui.
Nessuna attrezzatura della polizia, solo un’enorme sala come aveva
descritto, come se quel posto fosse un museo.
- Da questa parte - sussurrò il Bastardo. - È laggiù –
Le stanze erano piccole e senza finestre, e contenevano collezioni di
strani oggetti. Strumenti chirurgici. Scheletri di pipistrello… e poi…
Il respiro di Sahvage esplose dai polmoni quando entrarono in uno
spazio pieno di espositori di libri e i suoi stivali si bloccarono dov'erano. Lì,
attraverso il pavimento intricato, oltre una sezione di scaffalature distrutte e
disordine sul pavimento di legno duro... c’era un contenitore trasparente.
Ospitava un oggetto che Sahvage non vedeva da duecento anni.
Mentre sbatteva le palpebre, era di nuovo nell'alloggio padronale di
Zxysis, il sangue innocente di sua cugina versato sul lenzuolo del letto, la
finestra aperta, le erbe, le pozioni e la cera delle candele sul tavolo.
Aveva la sensazione che il Bastardo gli stesse parlando.
Ma ancora una volta, il maschio non emetteva alcun suono.
Sahvage si avvicinò alla teca con le gambe intorpidite, e avrebbe
potuto giurare, quando si fermò davanti all'antico volume, che le pagine del
tomo aperto svolazzassero in segno di saluto. E non era l'unico pietrificato.
Balthazar era accanto a lui e fissava il Libro con lo stesso tipo di
incantesimo.
In effetti, lui e l'altro combattente erano così affascinati... da non
riuscire a notare la luce rossa lampeggiante del rilevatore di movimento sul
soffitto.
CAPITOLO CINQUANTASEI
- È l'allarme –
Quando la signora Cambourg si alzò dal divano con il telefono in
mano, Erika era già al lavoro, non solo si alzò, ma mise la mano sulla
fondina dell'arma di servizio.
- C’è qualcuno al secondo piano - La donna girò lo schermo del
cellulare. - Cosa devo... –
- Probabilmente è solo uno dei tecnici della scientifica –
- Oh. Va bene –
O almeno era quello che Erika sperava, e se lo era davvero? Avrebbe
strigliato chiunque non si fosse presentato come si doveva.
- Voglio che si chiuda dentro e resti quassù - disse. - Vado giù a
controllare –
- Ma è sicuro? - chiese la donna stringendo il telefono al petto.
- Torno subito. Sono sicura che c’è una spiegazione assolutamente
ragionevole –
- Va bene - La signora Cambourg indicò un arco. - Può attraversare
quel corridoio e prendere la tromba delle scale per scendere di un livello.
Devo chiamare qualcuno? –
- Me ne occupo io. Non si preoccupi. Resti quassù –
Mentre Erika si allontanava a grandi passi lungo il corridoio, ci fu una
serie di leggeri suoni dietro di lei. Quando si guardò indietro, l'area era stata
chiusa con un pannello dorato opaco.
Bene. Ciò significava che non doveva preoccuparsi di nessun altro.
Inoltre, probabilmente era solo un tecnico che non si era fatto vedere.
La scala era ricurva, arte moderna risplendeva sulle pareti. C'era un
dipinto che le piaceva particolarmente, ma non aveva intenzione di perdere
tempo ad ammirare il cromatismo di quella dannata cosa.
Come se sapesse qualcosa di arte, comunque.
Ma di sicuro sapeva come proteggere se stessa.
Quando arrivò in fondo alle scale, al secondo piano, sfilò la sua arma
di servizio, ma la tenne sul fianco. L'ultima cosa di cui qualcuno aveva
bisogno era che lei facesse saltare in aria un collega. Allo stesso tempo, le
cose stavano diventando strane a Caldwell, quindi non avrebbe corso rischi
con la propria vita.
Tutti quei corpi che aveva visto senza cuore erano ciò che aveva in
mente quando girò l'angolo e vide, oltre un paio di stanze, un paio di uomini
davanti a una vetrina di Lucite nella stanza dei libri. Erano... enormi. Vestiti
di nero. Sembravano esser in grado di cavarsela da soli in qualsiasi
situazione.
Quindi sì, sicuramente non erano della scientifica.
Si voltarono contemporaneamente.
L'addestramento di Erika le imponeva di fare due cose; scattare
un'istantanea mentale delle loro caratteristiche da poter usare in seguito per
l’identificazione. E mettere in atto la procedura per chiamare i rinforzi.
Invece, fissò quello a sinistra. Era... l'uomo del filmato, il ladro che
aveva portato lì gli orologi... quello che la signora Cambourg credeva di
aver sognato. E Dio, era davvero incredibilmente bello, se si poteva usare
quella parola su qualcosa di così virile: il suo viso era tutto angoli perfetti e
mascella, e i suoi occhi, mentre si restringevano e la squadravano su e giù,
erano astuti e...
- Non sono sorpresa che tu sia qui - si sentì dire. - Sembra che passi
molto tempo in questo posto –
Quando parlò, lui inclinò la testa in un modo che le ricordò un pastore
tedesco, un predatore curioso di sapere quanto velocemente potesse correre
la sua preda.
- Detective Saunders, polizia di Caldwell - Erika gli puntò contro la
pistola e prese le manette. - Chiederò a entrambi di mettere le mani sulla
testa e di voltarvi. Siete in arresto per violazione di domicilio, ma qualcosa
mi dice che le accuse non si fermeranno qui –
Nessuno dei due si mosse. E fu allora che si rese conto di aver
riconosciuto anche l'altro.
Il fight club, pensò con un'ondata di adrenalina.
Era quello del filmato con Ralph DeMellio.
Porca puttana.
Prima che potesse ripetere il suo comando, quello a sinistra, quello
che aveva davvero bisogno di fissare in modo esclusivamente professionale,
disse sottovoce:
- Ci penso io –
Erika approfondì la voce.
- Mettete le mani sulla testa e… -
•••
C’erano alcune battaglie in cui perdere non era un'opzione. Questa era
una di esse.
Mentre il corpo di Sahvage era messo a dura prova e il sudore gli
colava sul petto e sul viso, serrò i molari e continuò a tirare. Dall’altra parte
delle pagine del Libro aperto, il Bastardo stava facendo lo stesso, ogni
grammo di potenza nel corpo e nella mente di quel maschio era determinato
a prendere anche il controllo.
C'era la tentazione di prendere un'arma. Un proiettile alla testa
dell'altro combattente e questa discussione fisica sarebbe finita, cazzo.
Ma Sahvage non poteva rischiare che il Libro venisse strappato via
dalla sua presa. Senza conoscere molti dettagli sul Bastardo, aveva la
sensazione che Balthazar fosse perfettamente in grado di smaterializzarsi in
un batter d'occhio. E se lo faceva?
Sahvage non avrebbe avuto una seconda possibilità. In duecento anni,
non aveva mai incrociato la strada con quella cazzo di cosa. Non sarebbe
accaduto di nuovo, e con quell'incantesimo di evocazione?
Sicuramente, vista la sua fottuta fortuna, avrebbe trovato la strada per
arrivare da Mae...
All'improvviso, e senza preavviso, il Bastardo lasciò la presa. Aprì
semplicemente le mani e lasciò andare quella dannata cosa.
Senza più forze opposte che lavoravano contro di lui, lo slancio
all'indietro di Sahvage fu così grande che andò a sbattere contro il muro
opposto, l'impatto lo rese intontito per una frazione di secondo.
Nel frattempo, attraverso la vetrina ormai vuota, Balthazar si
guardava le mani come se non capisse cosa avesse fatto, o pensasse che
avevano agito in modo indipendente.
Alzò gli occhi e parlò con rassegnazione.
- Dove lo porterai? –
Per qualche ragione, forse perché Sahvage aveva riconosciuto la
disperazione sul volto dell'altro combattente, si trovò a rispondere.
- Dove nessuno potrà mai più usarlo –
- Ne ho bisogno. Per togliere il male dentro di me –
- Non c'è male in te –
- Ti sbagli di grosso su questo, e il Libro è la mia unica speranza -
Se solo Rahvyn fosse ancora viva, pensò Sahvage.
Si prendeva cura di problemi del genere nel loro villaggio nel Vecchio
Continente.
- Mi dispiace - disse Sahvage, e lo intendeva sul serio.
Poi si smaterializzò fuori dalla stanza. Fuori dalla galleria. Poi uscì
nel corridoio ed entrò nella tromba delle scale.
Ma non salì. Li è dove era, o era stata, la Confraternita. Scese,
sfrecciando attraverso i pianerottoli di cemento più veloce di un battito del
cuore. In fondo, aprì una porta antincendio e si aspettò di trovare tutta la
Confraternita con le pistole puntate contro di lui. No. Solo un elegante atrio
di marmo con un paio di umani seduti alle scrivanie e due donne che
entravano con le borse della spesa
Mentre correva su quel pavimento lucido, sentì qualcuno che gridava.
Fuori, nell'oscurità davanti all'edificio, si aspettava di nuovo la
Confraternita. O la bruna. O le ombre.
Niente.
Per una frazione di secondo, si guardò intorno e si chiese che cazzo
fosse successo a tutti i personaggi della sua commedia. Il palco era davvero
fottutamente vuoto. Neanche fosse nella posizione di discutere quando le
cose finalmente andavano nel verso giusto…
Sentendosi come un rapinatore di banche durante la rapina della sua
vita, chiuse gli occhi e svanì nella fresca notte primaverile.
Mentre lasciava il centro, ebbe un pensiero bizzarro.
Era quasi come se Balthazar lo avesse lasciato andare.
•••
Nella stanza dei libri, Balz cadde a terra e si prese la testa tra le mani.
- Fanculo. Fanculo... cazzo! –
Quando alzò di nuovo lo sguardo, non era solo. Lassiter era proprio di
fronte a lui, e l'angelo caduto si abbassò lentamente in modo che fossero
faccia a faccia.
- Ciao! –
Balz deglutì a fatica.
- Non so cosa ho appena fatto –
- Sì. Lo sai –
- Come faccio a sapere che sei davvero tu? Non so più di cosa
fidarmi, e include anche me stesso –
- Dammi la mano –
L'angelo caduto allungò la mano e Balz pensò che se avesse toccato
ciò che gli veniva offerto, sarebbe potuto rimanere intrappolato per sempre
in...
Fanculo.
Balz afferrò ciò che aveva davanti e si preparò a...
Con un'improvvisa ondata di energia, sentì un calore, simile al sole.
Accettazione, come da una mahmen che ti amava. Pace, per un'anima
tormentata.
Hai fatto la cosa giusta, disse Lassiter senza muovere le labbra.
- Era la mia unica e sola possibilità, però - Balz non era sicuro di
come poteva saperlo con tanta certezza. - Verrò mangiato vivo da lei,
dall'interno -
No, c'è un altro modo.
Tutto quello che Balz riuscì a fare era scuotere la testa. Ma poi
Lassiter sorrise.
Il vero amore ti salverà.
Balz quasi rise.
- Non credo nel vero amore -
Quando è stata l'ultima volta che hai visto il sole?
- La mia transizione -
Eppure ha continuato a esistere e a riscaldare il pianeta, a sostenere
la vita, anche senza il beneficio dei tuoi occhi. Sei meno potente di così,
Balthazar. Il vero amore non richiede il tuo riconoscimento per essere una
forza in questo mondo.
Okay.
- Uccideranno me, i Fratelli e i miei bastardi. Ho lasciato che Sahvage
prendesse il Libro -
No, non è quello che è successo. C'è stata una lotta e tu sei scivolato
e hai preso una storta alla caviglia. Quando hai rilasciato la presa su di
esso, Sahvage è fuggito con il Libro…
- Ahi, che cazzo… - Balz lasciò cadere la mano dell'angelo e si
afferrò la parte inferiore della gamba destra, che all'improvviso lo stava
uccidendo.
Quando alzò di nuovo lo sguardo, Lassiter se n'era andato, ma il
dolore era così grande che non riuscì a preoccuparsi della sua partenza.
Fece una smorfia, rotolò sulla schiena e si chiese perché diavolo
l’articolazione in questione urlava come se lui…
Beh, come se fosse scivolato su qualcosa...
Cercando a tentoni il telefono, fece una chiamata e non era necessaria
nessuna promessa di una statuetta dell'Oscar per dire:
- Figlio di puttana, ha preso il libro: sono caduto a terra, non posso
camminare o smaterializzarmi... dovete venire a prendermi, e no… non so
dove sia andato quello stronzo –
Immediatamente, chiunque fosse dall’altra parte della linea iniziò ad
abbaiare contro di lui, e quando non riuscì più a sopportare il rumore,
interruppe la connessione e chiuse gli occhi. L'unica buona notizia, pensò,
era anche la cattiva notizia: con il Libro sparito, era meno probabile che la
bruna si sarebbe fatta viva e avrebbe giocato di nuovo a dadi con chiunque
fosse importante per Balz.
O con lui stesso.
Sahvage, quel bugiardo figlio di puttana, aveva preso la proverbiale
tigre per la coda. Le probabilità erano molto, molto buone che non sarebbe
sopravvissuto per vedere un altro tramonto, e non per quello che la
Confraternita gli avrebbe fatto. Il suo destino, era colpa sua.
E mentre Balz si preoccupava per la sua anima infetta, udì la voce
dell'angelo nella sua testa.
Il vero amore, pensò Balz. Che fottuto mucchio di...
Attraverso quel dolore incandescente che reclamava tutta la sua
attenzione, un'immagine trafisse il velo, tagliando via la sofferenza.
Era quella della donna umana, la detective con la pistola e le manette,
così disciplinata, così concentrata... così stanca, come se avesse lavorato
sodo per troppe ore di seguito. Troppi anni di fila.
Ma sicuramente quello non era il suo destino.
O quello di lei.
Giusto?
CAPITOLO CINQUANTOTTO
Mae era seduta al tavolo della cucina a fissare il vuoto sopra i suoi
quasi-Cheerios ormai molli, quando il telefono iniziò a squillare. Pensando
che fosse Tallah, tirò fuori il cellulare dalla tasca, ma nessuno la stava
chiamando.
Quando il suono continuò, si alzò e lo seguì fino alle scale del
seminterrato. Scese, si guardò intorno e si diresse verso il divano nell’area
salotto. Nascosto dietro di esso... c’era un borsone nero. Era di Sahvage,
quello pieno di pistole: doveva essere tornato al cottage per recuperarlo in
modo da essere ben armato durante il giorno. Mentre guardava la cerniera
chiusa, tutto divenne silenzioso, ma quasi immediatamente, la suoneria
riprese.
Imprecando tra sé e sé, si inginocchiò e si avvicinò alla borsa,
frugando tra... beh, i fucili, come aveva scoperto. Giù, in fondo a molte altre
armi... c’era il suo cellulare.
Lo schermo mostrava che il numero era privato.
Rispose alla chiamata.
Prima che potesse salutare, una voce maschile ringhiò:
- Figlio di puttana doppiogiochista. Hai appena firmato la tua
condanna a morte e sappiamo dove sei... –
- Chi è? –
Ci fu un momento si silenzio.
- Tu chi sei? –
- Io sono un... - Amica? Come diavolo poteva rispondere a quello. -
Conosco Sahvage. Cosa ha fatto? –
- Dove si trova? –
- È uscito... - A prendere del ghiaccio per mio fratello morto. - Mi
dispiace, ma non so cosa stia succedendo –
- Signora, dovrò chiederle di identificarsi. E deve sapere che abbiamo
un localizzatore nel telefono dal quale sta parlando, quindi siamo a
conoscenza della sua posizione. Sahvage è ora un nemico della
Confraternita del Pugnale Nero. Se lo nasconde in qualsiasi modo, o tenta
di ingannarci per suo conto, si ritroverà dalla parte sbagliata, mi capisce? –
Mae si raddrizzò.
- Cosa ha fatto? –
- Ha qualcosa che è nostro –
Facendo un passo di lato, fissò la sua camera da letto e ricordò che
stavano litigando.
Quando un freddo terrore le colpì la testa, disse:
- Lui ha il Libro, vero? –
- Cosa sa del Libro? –
Figlio di puttana.
Riattaccando il telefono e tenendolo con sé, Mae salì le scale a due a
due e andò direttamente in garage dove si smaterializzò dalla casa. Se la
Confraternita aveva la posizione del telefono, non li voleva vicino a casa
sua. Avrebbero trovato Rhoger.
A circa cinque miglia di distanza, si riformò dietro un centro
commerciale e gettò il cellulare in un cassonetto sul retro. Poi scomparve di
nuovo.
Viaggiando in una dispersione di molecole, seguì il segnale del
sangue emesso da Sahvage, a cui solo lei aveva accesso. E mentre si
concentrava su di esso, venne portata in una parte vecchia di Caldwell, ai
margini dei quartieri fatiscenti della città. Qui, le case erano vittoriane a tre
piani, molte delle quali erano state convertite in appartamenti o venivano
usate come dormitori per il SUNY Caldwell perché erano vicine al campus.
Per orientarsi adeguatamente, si riformò nel parcheggio di una
costruzione che era stata ristrutturata e trasformata in un museo. Mentre si
trovava in uno spazio per disabili e si guardava intorno, stava tremando, ma
non perché faceva freddo e non aveva il cappotto. Chiuse gli occhi,
combatté la distrazione della sua rabbia e si concentrò su dove fosse
Sahvage. Quando ebbe un punto preciso, svanì di nuovo e si materializzò in
un cortile trasandato che era recintato da assi alte un metro e ottanta.
In lontananza, un cane abbaiò. Poi sentì un'ambulanza.
Esaminando il retro della casa, trovò due porte posteriori. Una portava
in una cucina, da quello che poteva vedere attraverso le finestre. L'altra era
alla base di una serie di gradini di cemento poco profondi.
Era lì che aveva percepito Sahvage.
•••
Un dei vantaggi di dormire in una vecchia casa piena di spifferi che
era stata costruita prima della fine del secolo scorso e che ora era di
proprietà di un vecchio eccentrico... era che c'erano un sacco di impianti
vecchio stile e roba del genere. Tipo l'impianto idraulico. Gli
elettrodomestici. Le luci.
Il sistema di riscaldamento
Quando Sahvage passò davanti alla sua stanza in affitto, sentì il calore
aumentare di intensità e pensò di essere contento di essersi sistemato a nord
di New York invece che, tipo, in Florida o in Carolina. In nessun modo
avrebbero acceso le loro vecchie caldaie in una notte d'aprile.
Entrando nel locale caldaia, controllò il bruciatore panciuto e
alimentato con combustibili fossili che manteneva calda quella struttura a
tre piani e piena di stanze.
Grazie al fatto che lui stesso aveva duecento anni, conosceva bene
come funzionava. Eppure, mentre si trovava di fronte al colosso di ferro, era
come se non ne avesse mai visto uno prima.
Sotto il suo braccio sentiva il Libro tremare, come se fosse un piccolo
animale spaventato.
- Mi dispiace - disse. - Devi sparire... e lo sai. Causi troppi fottuti
problemi – Quando cominciò a tremare ancora più forte, abbassò lo
sguardo. - Oh andiamo. Un po' di coscienza, per favore –
Il Libro si fermò con un brivido di ciò che sembrava rassegnazione.
Che diavolo sto aspettando?, si chiese Sahvage.
Allungò la mano verso il chiavistello della porta della caldaia…
- Fermati! –
All'inizio, quando immaginò di sentire la voce di Mae, pensò che
fosse la sua coscienza a parlare. Ma poi un raggio rosso lo trafisse
attraverso il bulbo oculare destro.
Quando voltò la testa, il mirino laser gli perforò il cranio. E alla fine
di quel biglietto da visita? Mae era assolutamente immobile, mentre usava
due mani sulla pistola che aveva preso per lei.
- Che diavolo stai facendo? - gli chiese con una voce rotta.
Lui tornò a guardare la caldaia.
- È così che deve andare... –
- Chi lo dice! Questo non ti riguarda, non sono affari tuoi, dannazione
–
- Sto cercando di salvarti! –
Mae scoprì le zanne, il viso contratto dalla rabbia, il corpo che
vibrava di emozione.
- Non ho bisogno dell'aiuto di un codardo come te -
- Come hai detto? –
- Sei stato scottato dal tuo passato, e mi dispiace per questo, ma da
allora scappi. Niente radici, niente legami. Perché non hai le palle per
vivere la vita. Bene, questo è un tuo fallimento, non mio. E tu non mi
impedirai di percorrere il mio cammino –
- Tu non mi conosci - disse lui freddamente. - Non sai niente di me –
- Sicuro? Non hai potuto nemmeno fare l'amore con me come si deve,
la scorsa note, perché non riesci a gestire nessuna responsabilità, nemmeno
quella inventata nella tua fottuta testa. Non hai il coraggio di essere reale…
ma non ha importanza, non lascerò che i tuoi fallimenti mi rovinino la vita.
Dammi quel dannato Libro –
Sahvage scattò in avanti.
- Solo per essere chiari, non ho fatto sesso con te perché sapevo che
dovevo farlo… - indicò con un dito la caldaia - e sapevo che mi avresti
odiato per questo. L'ultima cosa che una femmina vuole è una prima volta
con qualcuno che disprezza, quindi mi sono trattenuto per te, non per me –
- Beh, non sei un fottuto eroe –
Alzando il Libro, le disse:
- Non sai cosa stai facendo, Mae. Sto solo cercando di fare in modo
che tu... –
- Non voglio più parlare. Dammi il libro. È mio –
- Non è di nessuno –
- L'ho evocato - Lei scosse la testa e abbassò la canna della pistola
puntandogliela al centro del petto. - Ha cercato di trovarmi e tu sei
d'intralcio –
Com'è appropriato, pensò.
Se avesse premuto il grilletto, gli avrebbe sparato dritto al cuore.
- Mae… -
- No! - gridò nel calore del locale caldaia. - Non ho bisogno che tu mi
dica un dannato niente. Non hai nessun diritto di decidere della vita di
un’estranea… soprattutto dato il modo in cui hai gestito la tua. Non sono
affari tuoi! Ci siamo incontrati per errore e per me sei già uno dei miei
rimpianti, non voglio aggiungerti alla mia lista di tragedie! –
Sahvage strinse gli occhi... e si disse che lei aveva ragione. Erano
estranei. La vicinanza e un po' di casini li avevano tenuti insieme in maniera
casuale. Se lei voleva rovinare suo fratello e se stessa perché diavolo gli
importava così tanto?
Con un'imprecazione, questa volta contro se stesso, gettò il Libro.
Quando Mae si mise a correre per prendere quella dannata cosa,
armeggiò con la pistola e premette il grilletto per errore, un proiettile
esplose dalla canna e rimbalzò nella stanza di pietra grezza con una serie di
ping!
Sahvage si chinò e si coprì la testa, preparandosi a essere colpito da
qualche parte...
Uno strillo acuto, come quello di un maiale, segnò la fine del viaggio
in volo libero del proiettile di piombo.
Abbassò le braccia e guardò Mae. Aveva il Libro al petto, e quando si
raddrizzò dalla propria posizione accovacciata, girò il tomo.
Nel bagliore polveroso della lampadina sopra la loro testa, il piccolo
foro rotondo al centro della copertina era come qualsiasi altra ferita nella
carne, ma l'imperfezione non durò a lungo. Come se fosse in grado di
guarire, come se fosse viva, la ferita da proiettile si richiuse gradualmente.
Mae alzò gli occhi, e quando Sahvage incontrò il suo sguardo, il
dolore al petto fu proprio come se fosse stato lui a essere stato colpito.
- Addio, Mae - disse a voce bassa girandole intorno. Sulla soglia della
stanza della caldaia, si guardò alle spalle. - E lo sto dicendo perché io
voglio chiudere. Potrebbe essere uno shock per te, ma anche le altre persone
fanno delle scelte -
CAPITOLO CINQUANTANOVE
Balz era ancora accasciato sul pavimento della stanza dei libri,
quando Xcor entrò a grandi passi. Era accompagnato da un certo numero di
Fratelli, nessuno dei quali vide davvero, e nessuno sembrava felice.
Il capo della Banda dei Bastardi, quello a cui Balz aveva affidato la
sua vita tanto tempo prima, si inginocchiò e prese la sua mano del pugnale.
Quando l'immagine di quella faccia dura, con il labbro leporino e i suoi
occhi familiari, si mosse, Balz si prese a calci nel sedere. Ma accidenti, il
senso di colpa faceva male.
- Ti tireremo fuori di qui e faremo controllare quella gamba –
Dio, si sentiva malissimo, e non solo perché la sua caviglia era in
fiamme.
- Avete trovato Sahvage? –
- V sta rintracciando il suo cellulare –
- Va bene - Merda. Merda. Merda. - Mi dispiace. mi dispiace tanto... –
- Hai fatto del tuo meglio. E non preoccuparti, lo troveremo e
prenderemo il Libro. Questo non cambierà il risultato. Avanti, lascia che ti
aiuti ad alzarti –
Balz continuò a imprecare per un sacco di ragioni mentre cercava di
rialzarsi, e dovette fare affidamento sulle spalle di Xcor per uscire
zoppicando dall'appartamento. In corridoio dovette fermarsi per riposare
mentre i Fratelli fornivano copertura controllando il corridoio.
Per favore, non lasciate che quella bruna si presenti, pensò Balz.
E poi allontanò molto velocemente quel pensiero. L'ultima cosa che
doveva aggiungere a questo spettacolo di merda era una telefonata mentale
a quella puttana.
- Manny è al piano di sotto in attesa - disse Xcor.
- Possiamo usare l'ascensore? Non posso smaterializzarmi –
- Ovviamente –
Ebbe una scorta armata fino a dove si trovavano i pulsanti con le
frecce, e quando arrivarono alle doppie porte, aveva le vertigini per il
dolore. Quando l’ascensore arrivò, si trascinarono nella cabina piena di
specchi. Cioè, tre di loro. Lui, Xcor e Butch. Non c'era abbastanza spazio
per Z e Phury.
- Ci vediamo giù - annunciò uno dei due.
- Capito - disse Butch.
Quando i pannelli si chiusero, qualcosa si mosse nella coda
dell'occhio di Balz. Sussultò, ma vide solo il suo riflesso, l'immagine del
suo viso pallido e segnato dal dolore che si rifletteva avanti e indietro,
all'infinito. E quello di Xcor. E di Butch…
Là.
Eccolo di nuovo, qualcosa che si muoveva in quella serie di riflessi,
un'ombra, che saltava di un livello. E un altro livello. E un altro livello...
avvicinandosi alla realtà.
- Che cos'è? - chiese Xcor.
- Sta venendo per noi... –
Le luci in alto tremolarono. La cabina si fermò di colpo.
Da qualche parte scattò un allarme.
- Chiudete gli occhi - ordinò Balz, anche se non sapeva perché. -
Dovete chiudere gli occhi o lei vi prenderà! Chiudete gli occhi! –
Strinse la presa sul suo leader e afferrò la parte anteriore della fondina
del pugnale di Butch, avvicinando il fratello.
- Non guardare, non aprire gli occhi... –
Un suono, come il sibilo della lingua di un serpente, arrivò a loro, li
circondò, diventando più forte. E attraverso le palpebre, poteva dire che la
luce stava lampeggiando di nuovo. Preso dal panico, tutto ciò che riuscì a
fare fu pregare che gli altri due maschi avessero gli occhi chiusi come lui.
Ma non c'era modo di controllare…
Qualcosa gli sfiorò la caviglia ferita e sembrò sondargli il piede, come
se stesse cercando, e avesse identificato, la sua debolezza. Poi Butch si
mosse contro di lui, come se stesse cercando di sottrarsi a un tocco. Xcor
ringhiò.
Ma nessuno disse niente.
Con un forte rumore, tutti e tre i loro comunicatori si attivarono
contemporaneamente.
- Combattimento! Combattimento, ripeto... –
Il sibilo simile a un serpente si fece più forte e scattò sulla spalla di
Balz, come se l'entità, qualunque cosa fosse, stesse controllando il rumore.
Balz alzò la mano e mise a tacere l'emergenza. Dato che anche le altre
unità tacevano, pensò che gli altri avessero fatto lo stesso.
Sembrava che tutti i combattenti fossero stati attaccati all’improvviso.
Contemporaneamente.
Cazzo .
•••
•••
A Luchas House, Nate era sdraiato accanto a Elyn sul divano. Il suo
laptop era aperto su di lei… beh, sul suo grembo, per meglio dire… e lei
stava cercando un database di nomi della razza. Dall'altra parte della stanza,
sulla TV montata sopra il caminetto, era in onda la seconda stagione di
Stranger Things.
Quando Elyn chiuse bruscamente il computer, lui sollevò lo sguardo.
- Niente? –
Lei non rispose. Si limitò a fissare il pavimento.
Quando inspirò e sentì l'odore della pioggia fresca, si accigliò e si
mise a sedere.
- Elyn, stai piangendo –
Lei si portò le mani al viso.
- Mi dispiace. Mi dispiace... mi dispiace... –
- Per cosa? Dimmi. Dimmi cosa sta succedendo –
Con un brivido, lei sembrò cercare di riprendersi. E quando lo guardò
di nuovo, i suoi occhi d'argento brillarono in un modo che lo fece ricadere
sullo schienale.
La luce in loro era... scintillante. Come se fossero bacini di luce,
piuttosto che qualcosa di convenzionale attraverso cui la femmina guardava
semplicemente fuori.
- Ti ho mentito - disse con calma. - Non... –
- Su cosa? –
- Non appartengo a questo posto –
- Luchas House è pensata per aiutare le persone come te... –
- No, non è quello che intendevo –
- Caldwell, allora? –
- Questo tempo presente. È stato tutto un errore. Un errore enorme –
Elyn mise da parte il portatile e si alzò. Cominciò a camminare su e
giù e si voltò verso la cucina.
- Siamo soli - le disse. - Puoi parlare liberamente. Shuli e gli altri non
torneranno prima di mezz'ora –
- Mi dispiace, Nate –
Le sue parole furono pronunciate distrattamente, come se non si fosse
accorta che lui era ancora nella stanza. Come se non sapesse esattamente
dove si trovava. - Devo andare - sbottò.
- Andare dove? –
- Fuori a camminare. Non posso restare qui dentro adesso, ho bisogno
di un po' d'aria –
- Verrò con te –
- No, vorrei stare da sola. Non andrò lontano, te lo prometto –
Infilò i piedi negli stivali che le erano stati dati dal personale della
Luchas House, e poi si diresse verso la parte anteriore della casa. Dopo un
momento lui sentì la porta aprirsi e chiudersi silenziosamente.
- Merda! –
Nate si guardò intorno e si chiese se doveva chiamare l'assistente
sociale. Sarebbe dovuta tornare a casa insieme a Shuli e a due potenziali
ospiti. Erano andati a rifornire gli armadietti e il frigorifero.
Ansioso e incerto su cosa diavolo fare, tirò su il suo laptop. Effettuò
l'accesso ed entrò nella funzione di ricerca. Si disse che stava violando la
sua privacy, ma non riuscì a trattenersi. Era successo qualcosa. Qualcosa...
probabilmente era stato lì per tutto il tempo. Lui era solo un sempliciotto,
però, e si preoccupava di...
Il nome che aveva cercato venne fuori subito perché non aveva chiuso
il database.
Sahvage.
Sahvage era il nome che lei aveva cercato.
•••
Nella camera da letto al secondo piano del cottage, Mae giaceva nuda
tra lenzuola fresche, la testa su un cuscino soffice, il respiro profondo e
tranquillo. Al piano di sotto, sentì muoversi dei passi pesanti... e poi
iniziarono a salire le scale.
Il corpo che stava salendo era così grande che il vecchio legno
scricchiolava, ma era un suono accogliente.
Perché sapeva chi si sarebbe avvicinato al suo letto.
Sulla porta aperta apparve Sahvage, il suo enorme corpo splendido,
potente, nudo. La luce del lampadario in alto inondava gli affossamenti e i
rilievi dei muscoli, e quando entrò nella stanza, lei vide chiaramente il suo
enorme tatuaggio sul petto.
Solo che ora il dito puntato su di lei sembrava molto diverso.
Le sembrava che fosse la risposta alla domanda... di chi era
innamorato.
Mae sorrise spostandosi dal suo lato del letto e rivelando il suo corpo.
- Oh, Mae - sospirò.
- Vieni da me, maschio mio –
Sahvage si unì a lei, ma quando fece per girarsi su un fianco, lei
scosse la testa.
- Voglio sentirti addosso - sussurrò.
- Sarò gentile –
- So che lo sarai. Non mi farai mai e poi mai del male –
- Mai - iniziò a baciarla. - Amore mio –
Il contatto delle loro labbra era sensuale, e aveva la sensazione che lui
volesse andarci piano. Ma lei aveva troppa fame, e anche lui.
- Mae… -
- Per favore… - pregò. - Voglio solo te dentro di me. Ho aspettato così
a lungo. Aspetto da una vita –
Lui gemette, e poi lei sentì una delle sue mani tra le gambe. Quando
le sfiorò il sesso, lei fece le fusa.
Quando Sahvage iniziò ad accarezzarla, e lei sentì il suo piacere
aumentare, scosse la testa.
- No, voglio stare con te –
- Come desideri –
Proprio mentre era al limite, la mano di lui scomparve e lei sentì la
punta smussata proprio dove voleva.
- Ti amo - sussurrò.
Sahvage lasciò cadere la testa nel suo collo mentre ripeteva le parole
che lei non si sarebbe mai stancata di sentire o di dire. E poi mosse i fianchi
in avanti e ci fu un breve lampo di dolore che fu immediatamente
dimenticato quando una miracolosa sensazione di pienezza la portò sull'orlo
di un orgasmo che le fece venire le lacrime agli occhi.
Quando Mae iniziò a venire, gridò il nome del suo amore,
marchiandogli la schiena con le unghie e inarcando il corpo contro il suo.
E lui fece lo stesso, unendosi a lei nel piacere.
Era così bello, così perfetto, che lei pianse.
Di gioia.
CAPITOLO SESSANTACINQUE
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