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PETER STRAUB
R. D. JAMESON
PROLOGO
Verso sud
Quando ancora si trovavano nella Carolina del Sud gli sembrò che
un agente della stradale stesse seguendoli: l'auto della polizia era
una ventina di metri più indietro e si manteneva a quella distanza,
qualsiasi manovra diversiva lui facesse. Gli sembrò di vedere
l'agente che parlava alla radio di bordo; immediatamente rallentò di
otto chilometri l'ora e cambiò corsia, ma l'auto della polizia non lo
sorpassò. Lui si sentì nel petto e nell'addome un tremore fondo:
s'immaginò l'auto che lo raggiungeva, che azionava la sirena
costringendolo ad accostare. E sarebbero cominciate le domande.
Erano circa le sei di sera, e il traffico sulla superstrada era pesante:
si sentì trasportare dal traffico, alla mercé di chiunque si trovasse
nell'auto della polizia – senza potersi opporre, intrappolato. Doveva
assolutamente riuscire a pensare. Il traffico lo trascinava verso
Charleston, attraverso chilometri di campagna piatta e cespugliosa:
le periferie si susseguivano in lontananza, miserabili catapecchie coi
box di lamiera. Neanche ricordava il numero delia superstrada che
stavano percorrendo. Nel retrovisore, dietro la lunga fila di auto,
dietro la macchina della polizia, da un tubo innalzato come un
camino un vecchio camion eruttava un'alta colonna di fumo nero.
Temeva di vedersi affiancare dall'agente della stradale, di sentirlo
gridare: "Accosta!". S'immaginava la bambina che gridava con la
sua vocetta acuta: "Mi ha costretta, quando dorme mi lega sopra di
lui!". Il sole meridionale pareva aggredirgli il volto, scavargli nei
pori. L'agente cambiò corsia e cominciò ad avvicinarsi.
Stronzo, questa non è la tua bambina, chi è?
Poi l'avrebbero messo in cella cominciando a bastonarlo, a
lavorarlo metodicamente con gli sfollagente, facendogli viola la
pelle...
Ma non accadde nulla di tutto ciò.
3
Poco dopo le otto, si fermò al lato della strada. Era una straducola
di campagna con cumuli di terriccio rossastro ai bordi, quasi che
l'avessero appena scavata. Non sapeva più con certezza quale fosse
lo stato in cui si trovavano, se la Carolina del Sud o la Georgia:
come se i due stati fossero fluidi e in grado, insieme a tutti gli altri,
di sovrapporsi e spingersi in avanti come autostrade. Era tutto
sbagliato. Quel luogo, anzitutto: nessuno avrebbe potuto vivere, o
anche solo fermarsi a pensare in uno scenario talmente brutale e
violento. Rampicanti sconosciuti, verdi e simili a corde, si facevano
strada dal fossato verso l'automobile. La spia sul cruscotto
segnalava riserva da mezz'ora. Tutto sbagliato, tutto. Guardò la
bambina, la piccola che lui aveva rapito. Dormiva con quella sua
positura da bambola, il dorso ritto contro lo schienale e i piedi nelle
scarpette fruste che penzolavano. Dormiva troppo. E se fosse stata
per caso ammalata; magari morente?
Lei si svegliò mentre la stava fissando. «Devo di nuovo andare in
bagno» disse.
«Stai bene? Non sei mica malata, vero?»
«Devo andare in bagno.»
«Okay» borbottò scostandosi per aprire la portiera.
«Lasciami andare da sola. Non scapperò. Non farò niente.
Prometto.»
Le guardò il visino serio, gli occhi neri incastonati nella pelle
olivastra.
«Tanto, dove potrei andare? Non so neanche dove siamo.»
«Nemmeno io.»
«Allora?»
Doveva pur succedere prima o poi: non poteva starle attaccato a
ogni istante. «Prometti?» le chiese, sapendo quanto la domanda
fosse sciocca.
La bambina annuì e lui disse: «D'accordo».
«Prometti anche tu di non andar via?»
«Sì.»
La bambina aprì la portiera e si allontanò. A lui costò parecchio
non guardarla, ma era una prova. Desiderò moltissimo avere la
mano di lei al sicuro nella propria. Forse la piccola stava già
arrampicandosi su per il dosso, scappando, strillando... ma no, non
strillava. Spesso le cose terrìbili che immaginava, le cose peggiori,
non succedevano; sul più bello il mondo si scuoteva e ogni cosa
tornava a posto. Quando la bambina tornò nell'abitacolo lui si sentì
riempire di sollievo – una volta ancora nessuna nera voragine si era
spalancata per inghiottirlo.
Chiuse gli occhi e vide dipanarsi davanti a lui una superstrada
solcata da righe bianche.
«Devo trovare un motel» disse.
Lei si appoggiò contro lo schienale, in attesa che lui facesse quel
che voleva. La radio, accesa ma a basso volume, emetteva i suoni
di una stazione di Augusta, nella Georgia – una serica, ritmica
chitarra. Per un istante gli venne in mente un'immagine – la
bambina morta, la lingua in fuori, gli occhi strabuzzanti. Senza aver
opposto la minima resistenza! Poi per un istante si ritrovò fermo –
proprio come se davvero lo fosse – in una via di New York, verso
la 50ma Strada, una di quelle vie lungo le quali le signore eleganti
passeggiano con i loro cani pastore. C'era infatti una di quelle
signore che passeggiava. Era alta, con dei jeans stupendamente
sbiaditi, una camicetta molto elegante e una forte abbronzatura, gli
stava venendo incontro, gli occhiali da sole spinti sui capelli. Un
enorme cane pastore le ciondolava accanto menando il sedere. La
donna era sufficientemente vicina perché potesse vederle le
lentiggini spuntare dalla camicetta sbottonata in alto.
Ah.
Ma poi tutto tornò a posto, udì la chitarra che suonava piano, e
prima di girare la chiave nel cruscotto fece una carezza alla testa
della bambina. «Dobbiamo trovare un motel» disse.
Continuò a guidare per un'ora, come avvolto da un bozzolo di
intorpidimento, dall'automaticità della guida: quasi si sentiva solo
sulla strada buia.
«Mi farai del male?» chiese la bambina.
«Come posso saperlo?»
«Credo di no. Sei mio amico.»
Poi non fu "come se" si trovasse in una via di New York. In quella
via c'era, guardava la donna con l'abbronzatura e il cane che veniva
verso di lui. Di nuovo le vide sparse sotto il collo le lentiggini –
sapeva il sapore che vi avrebbe colto sfiorandole con la lingua.
Come spesso gli accadeva a New York, non riusciva a vedere il
sole, però lo sentiva – un sole greve e aggressivo. La donna era
un'estranea, di nessuna importanza... Non c'era bisogno di
conoscerla, era solamente un tipo... passò un tassi, percepì da un
lato una ringhiera di feno, una scritta sull'ingresso di un ristorante
francese dall'altra parte della strada. Il marciapiede gli scottava sotto
le suole. In alto, da qualche parte, un uomo non faceva che gridare
sempre la stessa parola. C'era, in quel luogo, era lì: parte
dell'emozione che aveva in sé dovette trasparirgli dal viso, perché la
donna con il cane lo guardò incuriosita e poi indurì il viso
scostandosi.
Poteva parlargli? Poteva farlo qualcuno, qualsiasi tipo d'esperienza
fosse quella? Poteva pronunciare frasi, normali frasi umane e
percepibili? Era possibile parlare alle persone incontrate nelle
allucinazioni, ed esse erano in grado di rispondere? Aprì la bocca.
«Devo...» ...scendere, stava per dire, ma era nuovamente
nell'automobile ferma. Sulla lingua due grumi mollicci che erano
stati due patatine.
Qual è stata la cosa peggiore che hai fatto?
Dalla carta stradale, sembrava che fosse a pochi chilometri da
Valdosta. Riprese a guidare, non osando guardare la bambina e
quindi senza sapere se fosse o no sveglia, però sentendone lo
sguardo. A un certo punto un cartello lo avvertì che a soli quindici
chilometri c'era la "Città più Ospitale del Sud".
A lui sembrò identica a tutte le altre cittadine del Sud: piccole
industrie in periferia, officine meccaniche, gruppi surreali di
baracche sotto le lampade ad arco, cortili ingombri di furgoni
vandalizzati; più avanti, case di legno bisognose di una riverniciata,
agli angoli gruppi di negri, i volti tutti uguali nell'oscurità; altre
strade si inoltravano per i campi e terminavano bruscamente tra le
erbacce; nella città vera e propria i ragazzotti passavano e
ripassavano al volante di vecchie automobili.
Passò davanti a un basso edificio, anacronisticamente recente, un
segno del nuovo Sud, con una scritta che diceva PALMETTO
MOTOR-IN; tornò indietro lungo la via fino al palazzotto.
Una ragazza con capelli laccati e cotonati e labbra rosa confetto gli
concesse un sorriso smorto e vuoto, nonché una stanza a due letti
"per me e mia figlia". Sul registro scrisse: Lamar Burgess, 155
Ridge Road, Stonington, Connecticut. Pagò in anticipo per una
notte, e lei gli consegnò la chiave.
La cameretta conteneva due letti a una piazza, un tappeto color
ruggine e pareti verde mela, due quadri – un micino che piegava il
collo, un pellerossa che osservava una gola densa di vegetazione –,
un televisore, la porta che introduceva nel bagno piastrellato
d'azzurro. Sedette sul water aspettando che la bambina si spogliasse
ficcandosi a letto.
Quando sbirciò fuori la vide già sotto il lenzuolo, il viso rivolto al
muro. Aveva lasciato i vestiti sparsi sul pavimento, accanto aveva
un sacchetto di patatine quasi vuoto. Si ritirò nuovamente nel
bagno, si spogliò e si mise sotto la doccia. Gli sembrò una
benedizione. Per un attimo fu come tornare alla sua vita di una
volta: non più "Lamar Burgess" ma Don Wanderley, già residente a
Bolinas in California, autore di due romanzi (uno dei quali aveva
persino fatto un po' di soldi). Amante per un certo tempo di Alma
Mobley, fratello del defunto David Wanderley. Ecco. Ma no, non
riusciva a sfuggire. La mente era una trappola – una gabbia che ti si
chiudeva intorno. Qualsiasi fosse il modo con cui era giunto fin lì,
ormai c'era. Incastrato. Chiuse la doccia e ogni traccia di sollievo si
dissolse.
Nella cameretta, con solo la debole lampadina sopra il suo letto a
illuminare spettralmente l'ambiente, s'infilò i jeans e aprì la valigia.
Il coltello da caccia era avvolto in una camicia, che srotolò
lasciando cadere l'arma sul letto.
Stringendone lo spesso manico di osso andò accanto al letto della
bambina. Dormiva con la bocca aperta; sulla sua fronte luceva il
sudore.
Per molto tempo restò seduto accanto a lei, il coltello nella destra,
pronto a usarlo.
Ma non stasera. Rinunciando, arrendendosi, le scosse il braccio
finché non vide le palpebre muoversi.
«Chi sei?» le domandò.
«Ho sonno.»
«Chi sei?»
«Va' via, per piacere.»
«Chi sei? T'ho chiesto chi sei.»
«Lo sai.»
«Lo so?»
«Lo sai. Te l'ho detto.»
«Come ti chiami?»
«Angie.»
«Angie come?»
«Angie Maule. Te l'ho già detto.»
Si tenne il coltello dietro la schiena affinché la bimba non lo
vedesse.
«Ho sonno» disse la bambina. «M'hai svegliata.» Si rivoltò verso il
muro. Affascinato lui osservò il sonno impadronirsi di nuovo di
lei: le punte delle dita le vibrarono, le palpebre si contrassero, il
respiro cambiò. Come se si fosse costretta al sonno per escluderlo.
Angie – Angela? Angela Maule. Non sembrava affatto il nome che
gli aveva dato quando l'aveva costretta a salire in auto. Minoso?
Minnorsi? Un nome dei genere, italiano – non Maule.
Strinse il pugnale con tutt'e due le mani, il nero manico d'osso
premuto contro lo stomaco, i gomiti in fuori: non doveva che
spingerlo avanti e poi verso l'alto, tutta la sua forza...
Infine, verso le tre del mattino, tornò al suo letto.
Non molto dopo il confine dello stato, però non sull'autostrada che
aveva mostrato ad Angie sulla cartina, bensì su una strada di
campagna a due corsie si fermarono davanti a una costruzione di
legno verniciato di bianco. Uno spaccio, il Buddy's Supplies.
«Angie, scendi anche tu?»
Lei aprì la portiera e scese dall'auto con quel suo fare infantile. Lui
le tenne aperta la porta dello spaccio. Un uomo grosso e tondo
come un uovo, in maniche di camicia, sedeva sul bancone. «Lei
imbroglia sulle tasse» disse. «Ed è il primo cliente della giornata. Le
par possibile? È mezzogiorno passato, ed è la prima persona che mi
entra da quella porta. No» disse chinandosi in avanti per meglio
esaminarli. «Cavolo, no. Non è un evasore fiscale, ma qualcosa di
peggio. Lei è quello che alcuni giorni fa a Tallahassee ne ha fatto
fuori quattro o cinque.»
«Come...?» farfugliò l'altro. «Io... io sono venuto solo per
comprare qualcosa da mangiare... mia figlia...»
«Ho capito tutto» disse l'uomo. «Facevo lo sbirro. Allentown,
Pennsylvania. Vent'anni. Mi sono comperato 'sto buco perché mi
dicevano che potevo tirarci fuori un centone la settimana. Il mondo
e zeppo di ladri. Chiunque entri, so con quale tipo di ladro ho a che
fare. E adesso ho capito chi sei. Mica un assassino. Sei un rapitore
di bambini.»
«No, io...» Sentiva il sudore colargli sui fianchi. «Mia figlia...»
«Non me la fa nessuno, a me. Sbirro per vent'anni.»
Lui cominciò a guardarsi intorno freneticamente, in cerca della
bambina. Alla fine la vide che fissava uno scaffale pieno di
barattoli di burro d'arachidi. «Angie» le disse, «Angie... dai...»
«Ehi, sta' a sentire» disse il grassone. «Stavo solo cercando di darle
una scossa. Mica devi prendertela. Ragazzina, vuoi un po' di quel
burro d'arachidi?»
Angie si voltò, annuendo.
«Be', prenditi un barattolo dallo scaffale e portalo qua. Nient'altro,
signore? Certo che se tu fossi Bruno Hauptmann dovrei portarti
dentro. Ho ancora la mia pistola di servizio da qualche parte. Potrei
freddarti con un niente, lascia che te lo dica.»
Era, ormai l'aveva capito, tutta una stanca presa in giro. Ciò
nonostante riusciva a mascherare appena la propria trepidazione.
Forse che un ex sbirro certe cose non le notava? Si voltò verso gli
scaffali.
«Ehi, sta' a sentire» disse il grassone alle sue spalle. «Se hai quel
tipo di guai, puoi anche toglierti di torno immediatamente.»
«No, no» rispose. «Ho bisogno di alcune cose...»
«Non è che ti assomigli molto la piccolina.»
Cominciò a servirsi a casaccio dagli scaffali. Un vasetto di cetrioli,
una scatola di brioche, un prosciutto in scatola, due o tre altri
barattoli che neanche controllò. Andò a metterli sul bancone.
Buddy, il grassone, lo stava osservando sospettosamente. «È che
prima mi ha spaventato» gli spiegò allora. «Non ho dormito molto,
sto guidando da due giorni...» Come una benedizione gli scaturì
una storia. «Devo portare mia figlia da sua nonna. A Tampa...»
Angie si girò di colpo con in mano due vasetti di burro d'arachidi,
spalancandogli addosso gli occhi mentre lui proseguiva: «Ehm...
Tampa, dato che la madre e io ci siamo divisi e devo trovarmi un
lavoro, debbo rimettermi in sesto, dico bene Angie?» La bambina
lo guardava a bocca aperta.
«Ti chiami Angie?» le chiese il grassone.
Lei annuì.
«Questo qui è il tuo papà?»
A lui sembrò di sprofondare.
«Adesso sì» disse la bambina.
Il grassone scoppiò a ridere. «Adesso sì! Proprio un parlar da
bambini. Dio santo. Valla a capire la testa di un bambino, bisogna
essere dei geni. D'accordo, mio nervoso cliente, mi sa che i tuoi
quattrini posso anche pigliarli.» Restandosene seduto sul bancone
si piegò di lato e premette i tasti sul registratore di cassa. «Ti
conviene riposarti un po'. Mi fai venire in mente tutti quelli che ho
sbattuto dentro nella mia carriera.»
Quando uscirono, Wanderley disse alla bimba: «Grazie per quel che
hai detto».
«Perché, cosa ho detto?» petulante, sicura di sé. Poi di nuovo,
quasi meccanicamente, inclinando il capo ora da un lato ora
dall'altro: «Cos'ho detto? Cos'ho detto? Cos'ho detto?».
Un blues
La Chowder Society:
Le storie di ottobre
Frederick Hawthorne
Sears James
Frederick Hawthorne
Nella sua camera all'Archer Hotel, Anna Mostyn stava ritta davanti
alla finestra, e osservava i fiocchi di neve scendere sulla via.
Sebbene la luce nella camera fosse spenta, e sebbene fosse passata
la mezzanotte, era completamente vestita. Il lungo soprabito era sul
letto come se lei fosse appena entrata o stesse per uscire. Ferma
davanti alla finestra fumava, una donna alta e attraente, i capelli
scuri, gli occhi azzurri a mandorla. Vedeva quasi tutta Main Street,
la piazza deserta da un lato con le vuote panchine e gli alberi spogli,
le facciate nere dei negozi e del ristorante Village Pump, un grande
magazzino; due isolati più avanti un semaforo proiettava la sua luce
verde sulla strada vuota. Main Street continuava così per otto isolati
di bui negozi chiusi o di uffici. Sull'altro lato della piazza Anna
Mostyn vedeva le facciate di due chiese che svettavano oltre le cime
degli alberi nudi. Al centro della piazza un bronzeo generale della
guerra di indipendenza faceva un gesto imperioso col suo
moschetto.
Stasera o domani?, si domandò fumando una sigaretta, mentre il
suo sguardo perlustrava la cittadina.
Stasera.
Stella sedette sul letto parlandogli come se quel che aveva detto
fosse logico. «Ma il ricevimento di John non è stato un anno fa,
Ricky? Non capisco che cosa abbia a che fare con la nevicata di
stanotte.»
Lui si stropicciò gli occhi e gli zigomi; si lisciò i baffi. «È stato
esattamente un anno fa.» Poi si rese conto di ciò che aveva detto.
«No, certo che no. Voglio dire, non c'è alcun legame.»
«Tesoro, torna qui a letto e spiegami cosa c'è che non va.»
«Oh, sto bene» disse, ma tornò comunque a letto. Mentre s'infilava
sotto le coperte, Stella disse: «Tesoro, non è affatto vero che stai
bene. Devi aver fatto un sogno terribile. Vuoi raccontarmi?».
«È privo di logica.»
«Raccontamelo lo stesso.» Cominciò ad accarezzargli la schiena e le
spalle, e Ricky si voltò a guardarla. Come aveva detto Sears, Stella
era davvero molto bella: tale era stata quando l'aveva conosciuta e
tutto lasciava supporre che lo sarebbe stata ancora al momento
della morte. Non era una di quelle bellezze sdolcinate, da scatola di
cioccolatini; aveva zigomi alti, lineamenti regolari, sopracciglia nere
ben segnate. I suoi capelli si erano ingrigiti già verso i trent'anni, e
lei aveva sempre rifiutato di tingerli capendo prima di chiunque
altro quanto fosse attraente una folta chioma grigia che si
accompagni a un volto giovanile: la chioma grìgia e abbondante
l'aveva ancora e il suo volto non era poi più segnato di allora. Il
suo viso, anzi, non era mai stato proprio giovanile, e mai sarebbe
stato proprio vecchio: anzi, ogni anno, sin verso i cinquanta, lei
aveva affinato ancor più la propria bellezza, e poi si era fermata.
Aveva dieci anni meno di Ricky, ma nei giorni buoni sembrava
aver superato da pochissimo i quaranta.
«Dimmi, Ricky» fece, «cosa sta succedendo?»
E lui cominciò a raccontarle il suo sogno e vide, sull'elegante viso
di lei, passare la preoccupazione, l'orrore, l'amore, la paura.
Continuò a massaggiargli la schiena, spostando poi la mano sul suo
petto. «Dolcezza» gli disse quando lui ebbe finito di raccontare, «li
hai ogni notte questi sogni?»
«No» rispose Ricky scorgendo sui lineamenti di lei
quell'atteggiamento divertito che sempre l'accompagnava, al di là
delle emozioni del momento. «Il sogno di stanotte è stato il
peggiore.» Poi, con un sorriso perché aveva capito dove Stella
stava puntando con tutti quei massaggi, disse, «è stato il massimo.»
«Ultimamente ti ho visto molto teso.» Gli sollevò la mano
portandosela alle labbra.
«Lo so.»
«Tutti voi fate questi brutti sogni?»
«Tutti chi?»
«La Chowder Society.» Lei si portò la mano di lui alla guancia.
«Penso di sì.»
«Be'» disse lei, e tirandosi su incrociò le braccia per togliersi la
camicia, «non pensate, voialtri scemotti, di dover fare qualcosa?»
La camicia da notte sembrò restare sospesa nell'aria e lei scosse la
testa per riordinarsi i capelli. I due figli le avevano svuotato i seni,
allargando e scurendo i capezzoli, ma il resto del corpo era
invecchiato poco più del suo volto.
«Non sappiamo cosa fare» ammise lui.
«Be', io sì» disse Stella riadagiandosi tra le lenzuola e aprendo le
braccia. Se mai Ricky aveva desiderato d'essere celibe come Sears,
in quel momento era un desiderio del tutto sconosciuto.
«Vecchio stallone» mormorò lei, quando ebbero finito. «Non fosse
stato per me, ci avresti rinunciato da chissà quanto tempo. E che
perdita sarebbe stata! Non fosse stato per me saresti persino troppo
dignitoso per toglierti i vestiti.»
«Non è vero.»
«Oh? Cosa faresti, sentiamo... Andresti dietro alle ragazzine come
Lewis Benedikt?»
«Lewis non va dietro le ragazzine.»
«Be', diciamo le ventenni.»
«No. Non lo farei.»
«Vedi? Ho ragione io. Non avresti alcuna vita sessuale, proprio
come Sears, il tuo pregiatissimo socio.» Scostò lenzuola e coperte e
scese dal letto. «La doccia la faccio prima io» disse. La mattina
aveva sempre bisogno di molto tempo in bagno. Indossò la lunga
vestaglia grigio-bianca, e sembrò pronta a incitare al saccheggio di
Troia. «Però voglio dirti quel che dovresti fare. Dovresti telefonare
immediatamente a Sears e raccontargli quel terribile sogno. Non
riuscirai mai a venirne a capo se non ne parli con qualcuno. E per
quel che so, tu e Sears riuscite a superare intere settimane senza
raccontarvi qualcosa di privato. Lo trovo terribile. Viene da
chiedersi di cosa riusciate mai a parlare, voi due.»
«A parlare?» domandò Ricky, un po' sorpreso. «Parliamo di legge.»
«Oh, di legge» disse Stella marciando verso la stanza da bagno.
Quando ricomparve, quasi mezz'ora dopo, trovò Ricky seduto a
letto, alquanto confuso, le occhiaie più scavate del solito. «Il
giornale ancora non c'è» disse, «sono andato giù a guardare.»
«È naturale che non ci sia» commentò Stella, lasciando cadere sul
letto un asciugamano e una scatola di fazzolettini di carta, e poi
voltandosi per andare nel guardaroba. «Secondo te che ore sono?»
«Che ore sono? Già, che ore sono? Ho l'orologio sul tavolo.»
«Sono appena passate le sette.»
«Le sette?» Di solito non si alzavano mai prima delle otto, e Ricky
aveva l'abitudine di restarsene in casa almeno fino alle nove e
mezza. Sebbene né lui né Sears volessero ammetterlo, non avevano
molto lavoro da fare in Wheat Row. I vecchi clienti passavano ogni
tanto, c'era qualche causa complicata che sembrava decisa a
trascinarsi per un decennio almeno, c'era sempre un testamento o
due, un problema fiscale da chiarire, ma avrebbero potuto
tranquillamente restarsene a casa due giorni alla settimana e
nessuno se ne sarebbe accorto. Solo, nella sua biblioteca di casa,
Ricky si era messo a leggere il secondo libro di Donald Wanderley,
tentando inutilmente di persuadersi dell'opportunità di far venire a
Milburn l'autore. «Cosa ci facciamo alzati?»
«Sei stato tu a svegliarti urlando, se proprio devo ricordartelo»
disse Stella dal vestibolo. «Avevi dei problemi con un mostro che
stava per divorarti, ricordi?»
«Uhm» fece Ricky, «Io dicevo che era piuttosto buio, fuori.»
«Non cercare di cambiare discorso» disse Stella, e dopo due minuti
ricomparve davanti al letto vestita di tutto punto. «Quando cominci
a gridare nel sonno è ora di prendere molto sul serio qualsiasi cosa
ti stia succedendo. So bene che non vuoi andare da un medico...»
«In ogni caso non certo da un analista» disse Ricky. «La mia mente
funziona benissimo.»
«Appunto. Quindi perlomeno parlane con Sears. Non mi piace
vedere che ti preoccupi così da solo.» E così dicendo uscì dalla
camera da letto.
Ricky si abbandonò sul letto, meditando. Proprio come aveva detto
a Stella, era stato il peggiore dei suoi incubi. Anche soltanto a
ripensarci provava un forte turbamento – anche ascoltando i passi
di Stella scendere le scale. L'incubo era stato particolarmente
vivido, non come i soliti sogni. Ricordò i volti dei suoi amici,
poveri cadaveri ormai privi di vita. Era stato orrendo: in un certo
senso anche immorale, e l'offesa al suo senso etico l'aveva spinto
ad aprire la bocca e a gridare, ancor più della paura. Forse Stella
aveva ragione. Senza sapere come avrebbe affrontato l'argomento
con Sears, sollevò il telefono del comodino. Dopo aver formato il
numero Ricky si rese conto che quella telefonata era piuttosto
atipica per lui: né riusciva a capire come Stella potesse pensare che
Sears James avesse qualcosa di pertinente da dirgli. Era comunque
troppo tardi: Sears aveva a sua volta sollevato la cornetta
rispondendo:
«Sears, sono Ricky.»
Evidentemente era la mattina giusta per i comportamenti atipici: la
risposta che Sears gli diede non avrebbe potuto essere più anomala
per lui. «Ricky, grazie a Dio» proruppe infatti. «Dev'essere un caso
di telepatia. Stavo proprio per chiamarti. Puoi passare a prendermi
fra cinque minuti?»
«Facciamo quindici» disse Ricky. «Cos'è successo?» E poi,
pensando al proprio sogno: «È morto qualcuno?».
«Perché me lo chiedi?» disse Sears facendosi subito più tagliente.
«Nessun motivo. Ti spiegherò poi. Immagino che andremo in
ufficio.»
«No. Ho appena avuto una chiamata dal Nostro Virgilio. Vuole che
andiamo subito – vuole far causa a chiunque sia in grado di
muoversi. Sbrigati, d'accordo?»
«Elmer vuole che andiamo alla sua fattoria? Cos'è successo?»
Sears era impaziente. «Qualcosa di sconvolgente, parrebbe.
Muoviti, Ricky.»
«Va bene, sentiamo» disse Ricky. «Di che cosa si tratta, altri intrusi?
Gliela abbiamo spiegata la nostra posizione. Deve capire che se
anche vince una causa del genere, non ci ricaverà neppure le spese
processuali.»
Stavano addentrandosi nella Cayuga Valley e Ricky trattava la
vecchia Buick con particolare attenzione. Le strade erano scivolose;
di solito montava gli pneumatici da neve prima di affrontare i
dodici chilometri che conducevano alla fattoria, ma questa volta
Sears non gliene aveva dato il tempo. Sears stesso, enorme sotto il
suo cappello nero e avvolto nel grande cappotto col collo di
pelliccia sembrava rendersene conto almeno quanto Ricky. «Pensa
alla guida» gli disse. «Dicono che ci sia ghiaccio intorno a
Damascus.»
«Mica stiamo andando a Damascus» disse Ricky.
«Fa lo stesso.»
«Perché non hai voluto prendere la tua auto?»
«Perché stamattina mi montano gli pneumatici da neve.» Ricky
grugnì divertito. Sears aveva uno dei suoi umori più biechi,
frequente conseguenza degli incontri con Elmer Scales, uno dei
loro clienti più vecchi e più difficili. Elmer si era presentato per la
prima volta nel loro studio a quindici anni con un lungo e
complicato elenco di gente cui voleva far causa. Non erano mai più
riusciti a disfarsi di lui, né a modificargli quel suo modo d'intendere
una qualsiasi controversia come qualcosa da affrontare
immediatamente a colpi di carte legali. Uomo scarno, facile
all'eccitazione, con orecchie sporgenti e una voce acuta, Scales
veniva chiamato il "Nostro Virgilio" da Sears a motivo delle poesie
che regolarmente inviava a riviste cattoliche e ai giornali locali. Per
quanto ne sapeva Ricky, le riviste altrettanto regolarmente gliele
restituivano – una volta Elmer gli aveva fatto vedere una cartelletta
piena di lettere con cui le sue opere erano state respinte – ma i
giornali locali gliene avevano pubblicata una o due. Erano poesie di
tipo religioso, le cui visioni attingevano alla vita agricola quotidiana
di Elmer: le mucche muggiscono, gli agnelli belano, la gloria di Dio
giunge con passi tonanti. Come faceva anche Elmer Scales: otto
figli e una mai spenta passione per il litigio.
Una volta all'anno uno o l'altro dei due avvocati veniva convocato
alla fattoria, ed Elmer lo conduceva a un punto della sua staccionata
dove un cacciatore o un ragazzo avevano praticato un'apertura per
poi attraversare i campi: Elmer spesso riconosceva gli intrusi grazie
al suo binocolo e allora voleva fare causa. Di solito riuscivano a
dissuaderlo, ma lui aveva sempre due o tre litigi alternativi da
sfoderare. Ma questa volta Ricky aveva la sensazione che in ballo ci
fosse qualcosa di più serio; Elmer infatti non aveva mai chiesto
(anzi, ordinato) che entrambi gli avvocati andassero da lui.
«Come ben sai, Sears» disse, «sono in grado di guidare e di pensare
contemporaneamente. Sto procedendo a cinquanta chilometri
all'ora. Penso quindi che tu possa rendermi partecipe di qualsiasi
cosa Elmer abbia escogitato.»
«Alcune delle sue bestie sono morte.» Sears lo disse a denti stretti,
come sottintendendo che il mero atto di discorrere avrebbe potuto
da un momento all'altro provocare un incidente.
«Allora perché ci stiamo andando? Mica possiamo resuscitarle.»
«Vuole che diamo un'occhiata. Ha convocato anche Walter
Hardesty.»
«Allora non sono semplicemente morte.»
«Con Elmer, chi può dirlo? E adesso, se non ti dispiace, concentrati
sulla strada, Ricky. Questa esperienza è già abbastanza paurosa di
per sé.»
Ricky scoccò un'occhiata al suo socio e si rese conto di quanto
fosse pallido. Sotto la pelle ben levigata affioravano grosse vene; e
sotto gli occhi ancor giovanili c'erano borse di pelle grigiastra.
«Guarda in avanti» ingiunse Sears.
«Hai un aspetto orrendo.»
«Vedrai che Elmer non se ne accorgerà.»
Ricky stava controllando la strada; il che lo autorizzò a parlare. «Hai
avuto una nottataccia?»
Sears disse «Mi sembra di cominciare a rilassarmi.»
Era una palese menzogna e Ricky non gli badò. «Sì o no?»
insistette.
«Sempre osservatore il nostro Ricky. Sì, ho avuto una nottataccia.»
«Anch'io. Secondo Stella dovremmo parlarne.»
«Perché? Anche lei ha delle nottatacce?»
«Secondo lei a parlarne ci sentiremo più sollevati.»
«Mica per niente è una donna. Parlarne non fa che riaprire le ferite.
Non parlarne aiuta a rimarginarle.»
«Nel qual caso è stato un errore invitare Donald Wanderley a venire
qui.»
Sears lanciò un grugnito esasperato.
«Parole ingiuste» disse Ricky. «Mi spiace di averle dette. Ritengo
che si debba parlare di queste cose per lo stesso motivo che ti ha
fatto ritenere di dover invitare quel ragazzo.»
«Non è un ragazzo. Avrà almeno trentacinque anni. Forse
quaranta.»
«Sai benissimo cosa voglio dire.» Ricky respirò a fondo. «Mi scuso
con anticipo perché sto per raccontarti il sogno che ho fatto
stanotte. Stella mi ha detto che mi sono svegliato gridando. In ogni
caso è stato il sogno peggiore, finora.» Ricky capì che Sears era
sempre più agitato. «Mi trovavo in una casa abbandonata, all'ultimo
piano, e un animale misterioso mi stava cercando. Tralascio i
particolari, comunque la sensazione di pericolo era sconvolgente.
Alla fine la cosa entrò nella stanza dove mi trovavo ma non era più
un mostro; eravate tu, Lewis e John ed eravate morti.» Sbirciando
verso Sears gli vide la curva dello zigomo e la tesa del cappello.
«Così, ci hai visto tutti e tre.»
Ricky annuì.
Sears si schiarì la gola e abbassò di una spanna il finestrino. L'auto
si riempì di aria gelida. Sears gonfiò il torace sotto il cappotto nero:
la pelliccia del colletto si appiattì sotto la spinta dell'aria.
«Straordinario. Hai visto noi tre, dici.»
«Sì, perché?»
«Perché ho fatto un sogno identico. Ma quando quella cosa
tremenda si è precipitata in camera ho visto solo due persone.
Lewis e John. Tu non c'eri.»
Ricky colse nella voce dell'amico una sfumatura che non riuscì a
identificare subito; e poi, quando ci riuscì, ne fu talmente sorpreso
che restò zitto finché non arrivarono alla fattoria di Elmer Scales.
Nella voce di Sears aveva riconosciuto l'invidia.
John Jaffrey
Quel volto gli sorrideva da una delle finestre ai piani superiori della
vecchia casa di Eva Galli. Muoviti, ora. Come ubriaco percorse il
marciapiede. Ai piedi aveva ancora le pantofole ma non sentiva
freddo. Prese la direzione del centro. Fin quando non fu sull'angolo
sentì la casa di fronte come una presenza che gli premeva le spalle;
restò fermo sull'angolo, il cappotto aperto che gli sventolava
intorno ai pantaloni del vestito grigio e alla giacca dello smoking.
Improvvisamente vide nella sua mente la casa che risplendeva,
avvolta in una fiamma trasparente che già gli riscaldava la schiena;
si volse a guardarla ma non stava bruciando, non c'erano fiamme
trasparenti, nulla era accaduto.
Così, mentre Ricky Hawthorne e Sears James si sedevano insieme a
Walt Hardesty nella cucina del cascinale a bere il caffè, il dottor
Jaffrey, sagoma sottile con in testa un cappellino da pescatore, il
cappotto slacciato, i calzoni di un vestito e la giacca d'un altro, le
pantofole ai piedi, passava trafelato davanti all'Archer Hotel. Non
badò all'albergo così come non fece caso al vento che gli frustava il
cappotto. Eleanor Hardy, intenta a passare l'aspirapolvere nell'atrio
dell'Archer lo vide procedere quasi di corsa tenendosi con una
mano il cappello da pesca, e pensò: povero dottor Jaffrey, deve
andare a vedere i suoi pazienti anche con questo tempo. Non si
accorse delle pantofole. E certo sarebbe rimasta interdetta
vedendolo esitare all'angolo e poi girare a sinistra –tornando da
dove era venuto.
Quando passò davanti alle ampie vetrate del ristorante Village
Pump, William Webb, il giovane cameriere che Stella Hawthorne
aveva intimidito, stava preparando i tavoli spostandosi man mano
verso il retro del ristorante dove avrebbe potuto concedersi una
pausa e una tazza di caffè. Siccome conosceva il dottor Jaffrey
molto più di Eleanor Hardy afferrò molti insoliti particolari del
volto pallido e confuso del medico. Gli vide il cappotto sbottonato
sul collo nudo, la giacca da sera su quella del pigiama. Pensò: quel
vecchio matto deve avere un attacco di amnesia. In più di
un'occasione aveva visto Jaffrey al ristorante leggere un libro per
l'intera durata del pasto, e poi andarsene lasciandogli una mancia
minima. Vedendo che Jaffrey quasi correva sebbene avesse
un'espressione assolutamente smarrita, Webb lasciò cadere una
manciata di posate e si precipitò fuori dal ristorante. Il dottor
Jaffrey adesso camminava quasi in mezzo alla strada. Webb lo
raggiunse a un semaforo poco lontano: il medico gli sembrava un
goffo uccello. Gli tirò la manica del cappotto nero.
«Dottor Jaffrey, posso aiutarla?»
Dottor Jaffrey.
Lì davanti a Webb, senza preoccuparsi del traffico, che al momento
era tutt'altro che inesistente, Jaffrey si voltò udendo il suo nome
pronunciato da una voce atona. Billy Webb ebbe allora una delle
esperienze più sconvolgenti della sua vita. Un uomo che conosceva,
che mai l'aveva degnato di uno sguardo, ora lo fissava, sconvolto
da un intenso tenore. Webb ritrasse la mano: non poteva sapere che
il medico non stava vedendo la sua faccia un po' da rospetto, non
sapeva che il medico in realtà stava fissando il volto dal sorriso
scarlatto di una ragazza morta.
«Vado» disse il medico, il viso sconvolto dal terrore. «Adesso
vado.»
«Ah, certo» farfugliò Webb.
Il dottore si voltò fuggendo, raggiunse l'altro marciapiede e poi
continuò quella sua corsa da uccello lungo Main Street, i gomiti che
sobbalzavano, il cappotto che gli scivolava dalle spalle. Webb
rimase così turbato dall'espressione del medico che per un po' non
si rese neppure conto d'essere lì a un isolato dal ristorante senza
neanche la giacca.
La festa di Jaffrey
4
«Walter, ho visto tuo figlio dabbasso.» Ricky si rivolse a Walter
Barnes, il più anziano dei due banchieri. «Mi ha detto della sua
decisione. Spero che riesca a farcela.»
«Già, ha deciso di andare alla Cornell. Ho sempre sperato
perlomeno in Yale – sai, la mia vecchia scuola. Sono tuttora
convinto che potrebbe farcela.» Era un uomo pesante che aveva la
stessa espressione ostinata del figlio. Non sembrò accogliere
volentieri le congratulazioni di Ricky. «Ma a lui sembra non
interessi neppure. Dice che la Cornell va fin troppo bene. Fin
troppo. Una generazione, la sua, persino più conservatrice della
mia. La Cornell è il tipo di università dove prevale lo spirito
goliardico. Nove o dieci anni fa avevo paura che Pete mi sarebbe
cresciuto completo di barba e bomba Molotov, e adesso invece
temo che si accontenti di meno di quel che potrebbe avere.»
Ricky espresse il suo consenso con un borbottio.
«E i tuoi figli sono ancora sulla costa occidentale?» gli chiese il
banchiere.
«Sì. Robert insegna inglese in un liceo. Il marito di Jane è appena
stato nominato vice presidente.»
«Vice presidente incaricato di cosa?»
«Sicurezza.»
«Oh, be'.» Entrambi sorseggiarono i loro drinks, trattenendosi
dall'inventare commenti su ciò che poteva significare in una
compagnia di assicurazioni l'essere promossi a vice presidente
incaricato della sicurezza. «Verranno per Natale?»
«Non so. Sai, hanno parecchi impegni.» In realtà, erano mesi che
lui e Stella non ricevevano lettere dai figli. Erano stati bambini
felici, poi adolescenti imbronciati... ora, entrambi prossimi alla
quarantina, erano degli adulti insoddisfatti – e per molti versi
ancora adolescenti. Le poche lettere di Robert non erano che
richieste appena mascherate di soldi; quelle di Jane apparivano
superficialmente scintillanti, ma Ricky vi intravedeva la
disperazione ("Comincio davvero a piacermi": una dichiarazione
che per Ricky significava il contrario. Una loquacità che gli dava
fastidio). I figli di Ricky, già prediletti dal suo cuore, gli
sembravano ora pianeti Iontanissimi. Le loro lettere erano penose e
il vederli lo era ancora di più. «No» disse, «penso proprio che
quest'anno non riusciranno a venire.»
«Jane è una gran bella ragazza» disse Walter Barnes.
«Degna figlia di sua madre.» Istintivamente Ricky incominciò a
cercare Stella fra la folla, e vide Milly Sheehan presentarla a un
signore alto con le spalle curve e labbra tumide. Il nipote
professore.
Barnes chiese, «L'hai vista l'attrice di Edward?»
«So che è da qualche parte. L'ho vista scendere.»
«John Jaffrey ne pare entusiasta.»
«Ha davvero una bellezza diversa» disse Ricky, e rise. «Diversa
anche per Edward.»
«Peter ha letto in una rivista che ha appena diciassette anni.»
«Nel qual caso è un pericolo pubblico.»
Quando Ricky lasciò Barnes per unirsi a sua moglie e a Milly
Sheehan, rivide la giovane attrice: stava ballando con Freddy
Robinson ai ritmi di Count Basie, e si muoveva come uno
strumento delicato, i verdi occhi splendenti; Freddy Robinson
pareva istupidito dalla felicità. Sì, gli occhi della ragazza
risplendevano davvero. La vide voltarsi e avvertì la corrente de!
suo sguardo su di sé; a Ricky sembrò il genere di donna che sua
figlia Jane, ormai appesantita e delusa, aveva sempre desiderato di
essere. Guardandola ballare con il vanesio Freddy Robinson, capì
d'avere davanti una persona che mai avrebbe pronunciato quella
maledetta frase di sua figlia, mai avrebbe dichiarato di cominciare a
piacersi: era un piccolo campione d'autocontrollo.
«Milly, salve» disse. «Sbaglio o sta lavorando troppo?»
«Macché, quando sarò troppo vecchia per lavorare morirò e basta.
Le hanno dato qualcosa da mangiare?»
«Non ancora. Questo dev'essere suo nipote.»
«Oh, la prego, mi scusi. Non vi ho presentati.» Toccò il braccio
dell'uomo alto che le stava accanto. «Questo è il cervellone di
famiglia, Harold Sims. Insegna all'università e abbiamo appena
fatto una chiacchierata con sua moglie. Harold, ti presento
Frederick Hawthorne, uno dei più intimi amici del dottore.» Sims
gli sorrise guardandolo dall'alto. «Hawthorne è un membro della
Chowder Society» precisò Milly.
«Mi stavano appunto raccontando di questo vostro circolo» disse
Harold Sims. Aveva una voce baritonale. «Pare interessante.»
«Credo sia tutto fuorché interessante.»
«Intendo dal punto di vista antropologico. Sto studiando il
comportamento e l'interazione di gruppi maschili cronologicamente
affini. Il contenuto rìtualistico è sempre molto accentuato. Voi della
Chowder Society, hem... è vero che quando vi riunite indossate
l'abito da sera?»
«Sì, temo di sì.» Ricky cercò l'aiuto di Stella, ma lei si era
mentalmente estraniata e li stava osservando entrambi con occhi
gelidi.
«E come mai, se posso chiederlo?»
Ricky non sarebbe stato sorpreso di vedergli estrarre un taccuino.
«Cent'anni fa sembrava una buona idea. Milly, come mai John ha
invitato mezza città e poi consente a Freddy Robinson di
monopolizzare la signorina Moore?»
Prima che Milly potesse rispondere Sims chiese: «Lei conosce le
opere di Lionel Tiger?».
«Temo di essere di un'ignoranza abissale» rispose Ricky.
«Mi piacerebbe poter assistere a una delle vostre riunioni. Sarebbe
possibile?»
Stella finalmente scoppiò a ridere, e lanciò a Ricky un'occhiata che
voleva dire, vediamo come pari questa.
«Io invece immagino diversamente» disse Ricky. «Però mi sarebbe
forse possibile farla presenziare a una delle prossime riunioni del
Kiwanis.»
Sims si ritrasse come urtato, e Ricky si rese conto che era un uomo
troppo insicuro per saper accettare gli scherzi. «Siamo soltanto
cinque anziani signori che si divertono a riunirsi ogni tanto»
soggiunse. «Antropologicamente siamo zero. Non potremmo
interessarla.»
«Interessate me» intervenne Stella. «Perché non inviti il signor
Sims e tua moglie alla prossima riunione?»
«Già!» Sims cominciò a manifestare un'allarmante dose di
entusiasmo. «Tanto per cominciare vorrei potervi registrare. E poi
l'elemento visivo...»
«Vede quel signore laggiù?» Con un cenno del capo Ricky indicò
Sears James che sembrava più una nube temporalesca che una
sagoma umana. Pareva che Freddy Robinson, il quale era stato
abbandonato dalla signorina Moore, stesse cercando di vendergli
qualche polizza. «Quel signore grande e grosso? Bene, mi
taglierebbe la gola se facessi qualcosa del genere.»
Milly sembrò scioccata; quanto a Stella, sollevò il mento e disse, «È
stato un piacere conoscerla, signor Sims» e si allontanò.
Harold Sims disse: «Antropologicamente, la sua è una dichiarazione
interessante». E rimase a osservare Ricky con un interesse più che
mai professionale. «La Chowder Society dev'essere molto
importante per voi.»
«Certo che lo è» si limitò a rispondere Ricky.
«Da quel che m'ha appena detto presumo che quel signore che mi
ha indicato sia la figura dominante del gruppo, il leader, per così
dire.»
«Lei ha molto intuito» osservò Ricky. «Ma ora, se vuole scusarmi,
vedo qualcuno con cui devo proprio scambiare due chiacchiere.»
Quando si fu allontanato di qualche passo udì Sims chiedere a
Milly: «Ma questi due sono davvero sposati?».