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Dove comanda la mafia, i posti nelle Istituzioni

vengono tendenzialmente affidati a dei cretini:


l’insegnamento di Coppola e Falcone
5 Maggio 2020   Blog dell'Editore

di Vik van Brantegem

Nel suo libro “La convergenza. Mafia e politica nella seconda Repubblica” (Melampo Editore 2010) Nando
dalla Chiesa – Professore di Sociologia della criminalità organizzata dell’Università statale di Milano,
Presidente onorario della Associazione Libera, Presidente della Scuola di formazione politica “Antonino
Caponnetto”, Editorialista de il Fatto Quotidiano e di Europa – racconta le convergenze tra Cosa Nostra e
politica e spiega come, dove comandano le organizzazioni mafiose, i posti di potere siano “affidati a dei cretini”,
che “fanno spontaneamente ciò di cui la mafia ha bisogno”.

Se la mafia prospera grazie alla “disponibilità di cretini”


Tratto da “La convergenza. Mafia e politica nella seconda
Repubblica”
di Nando dalla Chiesa

La forza della mafia sta fuori dalla mafia. È impossibile capire la lunga storia dei rapporti tra Stato e mafia,
società e mafia se non si assume questa tesi come propria (e prima) bussola mentale. Saranno molte in questo
libro le pagine ispirate al concetto di convergenza, che ne costituisce – come detto – l’architrave intellettuale. E
che permette di comprendere gran parte del cammino compiuto dalle organizzazioni mafiose nella vita del
Paese. Ma prima di dedicarsi all’analisi della straordinaria convergenza di progetti, di interessi e di culture che si
è prodotta in Italia tra ciò che è mafia e ciò che non lo è, è necessario partire da un apologo. Un apologo
raccontato alla giornalista Marcelle Padovani da Giovanni Falcone, il giudice che aprì alle istituzioni la via di
nuovi e rigorosi modelli di indagine oltre che di nuovi principi legislativi e di organizzazione giudiziaria nella
lotta contro la mafia.

“Uno dei miei colleghi romani”, racconta Falcone, “nel 1980 va a trovare Frank Coppola, appena arrestato, e lo
provoca: ‘Signor Coppola, che cosa è la mafia?’. Il vecchio, che non è nato ieri, ci pensa su e poi ribatte: ‘Signor
giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il
secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è
la mafia…”

Il bisogno e la disponibilità di cretini. Qui sta la chiave di tutto, prima ancora che nelle complicità intenzionali o
nelle affinità morali. Che in termini sociologici può essere così tematizzata: quale rapporto esiste tra la mafia e
l’ampiezza della (multiforme) comunità dei cretini. O, riprendendo la nota, felice espressione letteraria di
Fruttero e Lucentini, tra la mafia e “la prevalenza del cretino”. È curioso come alcuni insegnamenti e metafore di
Falcone abbiano avuto una diffusa fortuna nella letteratura o nella memoria civile successive. E come questo non
vi trovi invece mai spazio. Eppure abbiamo un vecchio, saggio e prestigioso capomafia che decide di spiegare,
sia pure allegoricamente, a un magistrato che cosa sia la mafia, ben prima che arrivino i racconti di Tommaso
Buscetta. E poi uno dei più grandi magistrati di sempre, maestro della lotta alla mafia, che raccoglie
quell’apologo e ne fa a sua volta un criterio descrittivo di che cosa sia la mafia.

Frank Coppola e Giovanni Falcone dicono a chi voglia ascoltarli una cosa di una straordinaria semplicità
didascalica: che dove comanda la mafia i posti nelle istituzioni vengono tendenzialmente affidati a dei
cretini. E che dunque una società che abbia, anche nei suoi ceti colti e professionali, delle buone riserve di
cretini è assolutamente funzionale ai disegni e alle ambizioni delle organizzazioni mafiose.

“Cretino”. I dizionari non aiutano molto perché spiegano la parola rinviando ad altre: stupido, imbecille,
deficiente, idiota. Sennonché però è proprio quest’ultima a potere offrire la chiave più utile per entrare nello
spirito dell’apologo, grazie alla sua limpida etimologia greca. Idiota: “uomo inetto a partecipare alla cosa
pubblica”. Ma che vi diventa adatto e prende anzi a parteciparvi, anche ai livelli più alti, appunto per
assecondare (o con l’effetto di assecondare) le esigenze della mafia.

Si apre qui un campo di riflessioni del tutto nuovo e praticamente sterminato. Perché, infatti, la mafia preferisce,
fra le tre ipotesi prospettate da Coppola, quella del giudice cretino?

La prima ipotesi, quella del giudice “intelligentissimo”, ha alcuni seri inconvenienti. Se è anche onesto – e
magari pure coraggioso –, infatti, egli sarà per la mafia un nemico pericoloso, che richiederà comunque un
impiego considerevole di energie per contrastarlo. O per farlo trasferire, o per delegittimarlo, o per eliminarlo
fisicamente. In tutti i casi dovendo allestire alleanze ed elaborare strategie dall’esito incerto, ossia dovendo
entrare in complessi meccanismi di scambio di utilità. E con prezzi da pagare, specie nel caso dell’eliminazione
fisica. Se invece il giudice è intelligentissimo ma non è onesto, egli metterà le proprie qualità intellettuali al
servizio di sue strategie personali. La mafia dovrà esporsi, contrattare, fare commettere comunque dai propri
esponenti reati corruttivi, con in più i rischi che derivano dall’atto stesso di manifestarsi con persone, volti,
profferte.

La seconda ipotesi, quella del magistrato che “gode dell’appoggio dei partiti di governo”, presenta a sua volta
altri inconvenienti. Se è onesto (caso ampiamente possibile), i partiti dovranno intervenire su di lui con un’opera
di persuasione che non potrà superare certi limiti. Non solo, proprio i partiti di governo (così accadde con
Falcone, d’altronde) potrebbero essere convinti da un tale magistrato ad adottare comportamenti più rigorosi o
intelligenti nei confronti della mafia. Il suo rapporto di fiducia con la classe di governo, cioè, potrebbe in certe
circostanze rivolgersi contro gli interessi mafiosi. Viceversa, se si tratterà di un giudice di princìpi più “duttili”,
potrà ben essere convinto dai propri superiori a operare in senso meno ostile a quegli interessi. Ma di nuovo sarà
necessario attivare una rete di pressioni che obbligheranno a uscire allo scoperto, ad aprire un canale di scambio
che non sempre può essere già oliato alla perfezione (gli uomini politici di riferimento cambiano spesso incarico
dentro le istituzioni…).

La terza ipotesi invece non è solo la più desiderabile. È quella perfetta. Il cretino farà spontaneamente, spesso in
buona fede, ciò di cui la mafia ha bisogno. Di più: lo farà gratis. E se ci sarà da omettere, ometterà. Più in
generale: se bisognerà non capire, lui non capirà. Anzi, porterà a sostegno delle azioni od omissioni desiderate
dai clan nuove e insospettabili argomentazioni. Talora con entusiasmo da neofita. Userà parole che i clan, o gli
ambienti a essi vicini, non avrebbero saputo inventare o rendere credibili. La mafia dunque, una volta ottenuto
che il cretino ricopra l’incarico giusto, non dovrà più fare nulla, se non guidarlo o farlo guidare ogni tanto da
lontano. Non avrà bisogno di uscire allo scoperto. Non dovrà commettere reati corruttivi o intimidatori. Non
dovrà entrare ogni volta in un circuito di scambi. Avrà sempre quel che le serve. Immagine immacolata e totale
sintonia operativa: ecco il giudice ideale. Per questo avrà il posto, giurava sardonico dall’alto della sua
esperienza Frank Coppola.
A questo punto occorre però procedere ad alcune specificazioni, che riguardano proprio il concetto di
“cretino”. Che non necessariamente implica – questo è un passaggio mentale decisivo – un basso livello
intellettuale o professionale della persona considerata. Se infatti attribuiamo al termine il significato su visto
di “idiota”, ossia di “inetto a partecipare alla vita pubblica”, dobbiamo precisare che questa inettitudine va
riferita alla vita pubblica in un contesto determinato: quello dominato o aggredito da una presenza mafiosa.
Certo un giudice non corrotto che si riveli funzionale alla mafia in un contesto dove essa prosperi o sia
comunque presente, sarà in genere, proprio per le specificità attitudinali richieste dal ruolo, effettivamente
(molto o un po’) cretino nel senso più stretto del termine. Ma il problema è che la mafia riceve continuamente
favori, e nelle forme più varie, da intellettuali, giornalisti, avvocati, imprenditori, esponenti di
associazioni, amministratori o politici di grande valore. I quali non sono in assoluto inetti alla vita
pubblica (anzi), ma lo sono in relazione al contesto in cui operano. Un contesto, cioè, dove le organizzazioni
mafiose ammodernano e realizzano senza sosta le proprie strategie di aggressione alla vita democratica e civile.
L’inettitudine di queste persone è dunque relativa, nel senso che esse non vedono, o non sanno misurare, sulla
base delle loro priorità culturali, il pericolo mafioso. E pensano e agiscono di conseguenza. Il fatto è che tale
campo di inettitudine (assolutamente decisivo) è veramente vasto. E va dai livelli più alti del potere al
generalissimo livello degli elettori. Qui ha radici l’Eden mafioso: la società ideale, quella che vede la mafia solo
nei suoi scoppi criminali più eclatanti, e ne circoscrive comunque la presenza ad alcune regioni “tipiche”. La
società in cui la mafia viene umoralmente e maldestramente confusa con ogni forma di clientelismo o criminalità
comune, meglio se straniera. Dove ogni interesse di parte o egoistico, economico o politico, diventa
naturalmente più importante della lotta alle organizzazioni mafiose.

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