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30 ANNI DALLA STRAGE DI CAPACI: COSA CI È RIMASTO?

Definizione di “mafia”: Organizzazione criminale suddivisa in più associazioni (cosche o famiglie),


rette dalla legge dell'omertà e della segretezza, che esercitano il controllo di attività economiche
illecite e del sottogoverno, diffusa originariamente in Sicilia.

“La mafia non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la
miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli, maestri cantori,
gente intimidita e ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Un tumore che vive di
complicità”

La mafia è il mostro contro quale il giudice Giovanni Falcone, come tanti altri, ha combattuto
coraggiosamente fino a perdere la vita. In tempi in cui si negava, in ogni ambiente, l’esistenza della
mafia, fu tra i primi a parlare di un’organizzazione parallela allo Stato. Ha creato un metodo
investigativo diventato modello nel mondo: rigorosa ricerca delle prove,  indagini
patrimoniali e bancarie, lavoro di squadra e ostinata caccia alle tracce lasciate dal denaro,
perché, come lui stesso affermava “dove ci sono i soldi c’è mafia”.
Queste erano le armi con le quali, insieme al pool antimafia,  ha istruito il
primo maxiprocesso a Cosa nostra. Dopo anni portò in carcere 475 tra boss e gregari di
Cosa nostra e si concluse con 19 ergastoli e condanne a 2665 anni di carcere.

“L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e
non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma
incoscienza”

Il 23 maggio del 1992 alle ore 17.58 (come indicato dall’orologio al polso della moglie Francesca
Morvillo) le autovetture del giudice (al volante) e della scorta (a seguire) vengono fatte saltare in
aria nei pressi di Capaci con una carica composta da tritolo. Con Falcone non muore soltanto la
moglie, ma anche i tre uomini della scorta: Antonio Montinari, Rocco Di Cillo e Vito Schifano.
Un terribile attentato avvenuto per mano di Cosa Nostra. Uccisione decisa nel corso di alcune
riunioni delle Commissioni di Cosa Nostra, presiedute dal boss Salvatore Riina, dopo la sentenza
della Cassazione che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso.
La morte di Giovanni Falcone rappresenta paradossalmente l’inizio della fine per Cosa
nostra.
Scossa dalla strage di Capaci, Palermo si risveglia, scende in piazza e grida forte il suo no
alla mafia.
Il 19 luglio del 1992, a 57 giorni dall’attentato, la mafia uccide  Paolo Borsellino, collega e
amico di una vita di Falcone, e la sua scorta. Lo Stato decide di fare sul serio nella lotta alle
cosche.
Tutti i più grandi latitanti, tranne il boss Matteo Messina Denaro, sono in prigione e
l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine non si è mai fermata.
Nella società è certamente cresciuta e si è consolidata una coscienza antimafiosa.
Un risorgimento civile che, però, deve essere tenuto vivo. Nella guerra allo Stato la mafia è
pronta ad approfittare di ogni indecisione. Per questo è  fondamentale l’impegno delle
istituzioni e, soprattutto, la vigilanza della società.
Spetta a tutti noi portare avanti la lezione di legalità e di amore per lo Stato che il
magistrato Giovanni Falcone ci ha lasciato.
Il termine “eroi” è molto inflazionato, si usa a proposito e a sproposito. Ma che termine potremmo
impiegare per i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e per tutti i poliziotti uccisi dalla
criminalità organizzata? “Eroi”, in casi come questo, non significa altro che “fedeli, leali e
coraggiosi servitori dello Stato”
Falcone non si è mai sentito un eroe, ma solo un uomo dello Stato chiamato a fare il
proprio dovere. Contro il mito negativo dell’invincibilità di Cosa nostra diceva:

“la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua
evoluzione e avrà una fine”

Falcone, come Borsellino, come tanti altri servitori delle istituzioni, caduti in Sicilia o altrove, erano
straordinari nel loro impegno ma si sentivano ed erano persone normali. Le doti di tenacia, di
coraggio, di intuizione, di intelligenza, di rigore morale erano presenti in loro in grande misura. Ma
i loro sono stati comportamenti che ogni persona ciascuno di noi può esprimere, compiendo scelte
chiare e coerenti. Quegli uomini, oggi, costituiscono punti di riferimento. Ma devono essere,
soprattutto, esempi. Falcone (che prevedeva che, prima o poi, avrebbero tentato di ucciderlo)
disse:

“Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali, e continueranno a
camminare sulle gambe di altri uomini”

"La città in cui per anni Cosa nostra ha spadroneggiato si è riempita di ragazzi che hanno fatto di
un giorno di lutto una festa" spiega Maria Falcone, sorella del magistrato che dalla morte del
fratello è diventata per una tragica fatalità ambasciatrice di legalità.   
Dall'esplosione di Capaci sono trascorsi 30 anni, il tempo di una generazione, il momento giusto
per un bilancio.
"Ovviamente la mafia non è sconfitta ma tanto è stato fatto: culturalmente, giudiziariamente con
gli arresti e le condanne di tantissimi mafiosi, legislativamente con le norme antimafia che ci
rendono un modello nel mondo. Non dobbiamo mai distrarci perché la mafia ha la capacità di
riprendersi quel che le abbiamo tolto”.
Per commemorare Falcone quindi, la strage di Capaci, dobbiamo tenere accesa la luce e cercare di
capire che cosa non ha funzionato, quali sono state le incongruenze, quali sono i punti che
rimangono ancora oscuri e non vengono svelati della lunga stagione delle stragi.

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