Sei sulla pagina 1di 28

PA O L O M A F F E Z Z O N I

N O TA 1 : I L M O D E L L O C I R -
C U I TA L E

I N G E G N E R I A I N F O R M AT I C A E D E L L’ A U T O M A Z I O N E – P O -
LITECNICO DI MILANO
2

Last printing, January 2023


Contents

1 Capitolo 1 5
1.1 Sistemi elettrici e loro modelli . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2 Le grandezze descrittive: tensione e corrente . . . . . . 7
1.2.1 Gli strumenti di misura . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.2.2 Proprietà della tensione e della corrente . . . . . 10
1.2.3 Leggi delle tensioni e delle correnti . . . . . . . 13
1.3 Il circuito elettrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.4 Le leggi di Kirchhoff . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
1.5 Esercizio sulle leggi di Kirchhoff . . . . . . . . . . . . . 22
1.6 Dispositivi con più di due terminali e loro Modelli . . 23
1.6.1 Esercizi con tripoli/doppi bipoli . . . . . . . . . . 26
1.7 Il teorema di Tellegen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
1

1.1 Sistemi elettrici e loro modelli

Lo scopo di questo corso è di acquisire la capacità di svolgere l’analisi


di un sistema elettrico. Ovvero, data la descrizione del sistema in ter-
mini di elementi che lo compongono e come sono connessi tra loro,
impareremo una metodologia generale per calcolare il valore delle
grandezze elettriche che lo descrivono e con esse a capire come fun-
ziona e a che cosa serve. L’obiettivo verrà raggiunto diventando
padroni di un modello matematico fondamentale dell’Ingegneria
chiamato il modello circuitale.
Va precisato che il termine di sistema elettrico può riferirsi a realtà
fisiche molto diverse tra loro e tutte fondamentali per la preparazione
dell’Ingegnere dell’area ICT (Information and Communication Tech-
Figure 1.1: Esempio stilizzato di rete
nology). Facciamo degli esempi.
di distribuzione dell’energia: da una
Un primo tipo di sistema elettrico è rappresentato dalla rete di centrale di produzione tradizionale
trasporto/distribuzione dell’energia elettrica. Questa è formata da e da un campo eolico (energia rin-
novabile) partono dei fili di rame che
un insieme di fili di rame, chiamati conduttori, che collegano punti trasportano l’energia sotto forma di
in cui l’energia viene prodotta, es. le centrali elettriche, impianti variabili elettriche alle abitazioni dove
viene utilizzata.
fotovoltaici, ai punti in cui viene utilizzata, es. le nostre abitazioni,
gli impianti industriali, le linee di trasporto metropolitano o dei treni.
Tali reti hanno dimensioni dell’ordine delle centinaia di chilometri
dato che si possono estendere su tutto il territorio di una nazione. La
figura 1.1 mostra un esempio stilizzato di rete per l’energia.
Un secondo esempio, altrettanto rilevante, è rappresentato dai sis-
temi della micro e nano elettronica. Per es., la figura 1.2 riporta una
tipica scheda elettronica (detta anche "board"), che possiamo trovare
all’interno di un computer o di un controllore di un’automobile, dove
un certo numero di componenti sono collegati tra loro da micro-piste
di rame.
Questo secondo esempio di rete non ha lo scopo di trasportare en-
ergia bensì di elaborare l’informazione. L’energia elettrica nel primo
esempio e l’informazione nel secondo sono rappresentate (o deter- Figure 1.2: Una scheda elettronica.

Figure 1.3: Collegamenti con piste di


6 nota1:il modello circuitale

minate) da alcune grandezze fisiche misurabili chiamate grandezze


descrittive. Alcuni dei componenti che si vedono sulla scheda in fig.
1.2 sono a loro volta dei sistemi elettrici formati al loro interno da
una rete complessa di collegamenti. La fig. 1.4 mostra uno di questi
componenti chiamato microprocessore, mostrato chinato coi contatti
esterni rivolti verso l’alto, e che funziona da cpu (central processing
unit) di un computer.
Oltre che nei computer e lap-top troviamo i microprocessori negli
smart-phones, nei controlli dei robots, autovetture, aeroplani, nei
sistemi di comunicazione via satellite, ecc.. Un micro-processore ha
le dimensioni dell’ordine del centimetro quadrato e può contenere Figure 1.4: Microprocessore.
miliardi di micro/nano componenti, detti dispositivi, collegati tra
loro da micro-conduttori di rame.
Nonostante la spaventosa differenza di scala geometrica tra una
rete per l’energia e un processore elettronico il comportamento elet-
trico di questi sistemi può venire descritto dallo stesso modello cir-
cuitale. La tecnica di modeling, cioè la costruzione del modello, si
basa sull’identificazione delle grandezze fisiche descrittive che chi-
ameremo tensione e corrente elettrica e sulla scrittura delle leggi
che le governano. Nel modello, le grandezze fisiche sono sostitu-
ite da variabili matematiche (indicate v, i) mentre le leggi fisiche
si traducono in equazioni che legano tali variabili, come mostrato
schematicamente in figura 1.5.
Il modello circuitale consente di esplorare fenomeni elettrici e non
che vanno oltre gli esempi, seppur rilevanti, precedentemente ac-
cennati e che sconfinano nella ricerca più visionaria. Basti pensare,
spostandosi nel campo della biologia e bioingegneria, che gli im-
pulsi nervosi con cui il nostro cervello funziona sono degli impulsi Figure 1.5: Il processo di modeling.
elettrici che si muovono in un circuito biologico. Questo consente di
interfacciare sistemi elettrici costruiti dall’uomo, quali ad es. un arto
artificiale, con il nostro sistema nervoso/cervello.
D’altra parte, è importante fin da subito sottolineare che, sebbene
molto potente, il modello circuitale, al pari di ogni modello dell’Ingegneria,
è in grado di cogliere solo alcuni aspetti della realtà fisica che vuole
rappresentare. Come tale esso ha dei limiti di validità. Per questo
motivo è importante non solo apprenderne l’uso ma anche saper
riconoscere i suoi limiti di applicazione.
capitolo 1 7

1.2 Le grandezze descrittive: tensione e corrente

Gli uomini hanno imparato a descrivere e dominare i fenomeni elet-


trici ammettendo che essi siano dovuti ad una proprietà della materia
chiamata carica elettrica. La carica elettrica si manifesta in quanto i
corpi che la possiedono esercitano l’un l’altro delle interazioni (cioè
delle forze). Esistono due tipi distinti di carica elettrica, indicati con-
venzionalmente come cariche di tipo positivo e di tipo negativo. Tra
cariche elettriche dello stesso tipo si misura una forza che tende a
respingerle mentre tra cariche di tipo opposto tale forza è di tipo
attrattivo. La figura 1.6 mostra qualitativamente le forze che si eserci-
tano tra cariche puntiformi, cioè le cui dimensioni siano trascurabili.

Gli atomi che formano la materia sono composti da particelle


che possiedono sia carica positiva che negativa in egual numero
e che tendono quindi a neutralizzare vicendevolmente gli effetti. Figure 1.6: Azioni tra cariche pun-
Questo fa si che a livello macroscopico i corpi materiali non manifestano tiformi.
particolari effetti elettrici. Per “scatenare” tali fenomeni è necessario
che, attraverso una qualche azione, alcune cariche dello stesso tipo
siano in eccesso nel corpo in modo da prevalere su quelle di tipo
opposto. È allora evidente che per sottrarre/apportare alcune cariche
al corpo è necessario applicare una forza che vinca la forza di tipo
attrattivo/repulsivo, rispettivamente, che le lega alle altre cariche
del corpo, cioè è necessario compiere un lavoro. Un primo aspetto
comune a tutti i fenomeni elettrici è che affinché essi si manifestino
deve esistere un’azione attraverso cui si separano cariche elettriche di
tipo opposto eseguendo un lavoro.

Il primo esperimento in cui l’elettrizzazione della materia fu con-


dotta in modo controllato e ripetibile, fu quello eseguito da Alessan-
dro Volta alla fine del 1799 quando riuscì a costruire il primo esempio
di pila elettrica. La pila di Volta è composta da dischi di rame e
zinco disposti in modo alternato uno sull’altro interponendo tra loro
una spugna imbevuta in una soluzione di acido (solforico).
Per effetto della reazione chimica che ha luogo tra i due metalli,
alcuni atomi con un eccesso di carica positiva, detti ioni positivi, ven-
gono spostati verso un capo della pila mentre contemporaneamente
ioni negativi si spostano al capo opposto. In questo modo dunque il Figure 1.7: Il circuito con la pila di
lavoro proveniente dalla reazione chimica si trasforma nel lavoro elettrico Volta.

necessario per attuare la separazione delle cariche. Volta si accorse che


quando due fili metallici collegati agli estremi della pila venivano
impugnati si avvertiva la sensazione di essere attraversati da un flu-
8 nota1:il modello circuitale

ido, una sensazione che oggi potremmo definire "elettrizzante". Alla


luce delle nostre conoscenze oggi sappiamo che ciò accade perché le
cariche positive e negative separate dal lavoro chimico della pila si
ricongiungono muovendosi lungo il cammino che si viene a formare
lungo i due conduttori metallici e l’uomo che li impugna. Si viene
così a formare un circuito chiuso lungo cui le cariche si mettono in
movimento dando vita ad una circolazione continua (o flusso) di car-
ica. Convenzionalmente si attribuisce a tale circolazione il verso del
movimento delle cariche positive.

L’esperimento mette in luce due aspetti della manifestazione elet-


trica:

a. esiste un dispositivo, la pila, che funziona come generatore del


fenomeno elettrico in quanto è in grado di separare cariche di
segno opposto svolgendo un lavoro;

b. si instaura un movimento continuo di cariche elettriche lungo un


percorso chiuso.

L’esperimento della pila di Volta rappresenta un caso elementare di


circuito elettrico e ad ognuno dei due aspetti fondamentali dell’esperimento,
lavoro elettrico e movimento di cariche, siamo in grado di associare
una grandezza elettrica descrittiva del fenomeno.

La tensione elettrica è una grandezza fisica associata ad una linea


γ orientata nello spazio, cioè su cui è stato fissato un verso di percor-
renza, che congiunge due punti A e B.
Chiamiamo tensione elettrica lungo la linea γ e la indichiamo
come V (γ) il lavoro elettrico che noi dobbiamo compiere in antag-
Figure 1.8: La tensione elettrica lungo la
onismo alle forze elettriche per muovere lungo tale linea una carica linea γ è indicata come V (γ).
di prova positiva e unitaria. L’unità di misura della tensione è il volt
[V], dal nome dell’inventore della pila. Chiaramente il lavoro da noi
svolto sarà positivo se il movimento della carica di prova avviene
effettivamente in opposizione alle forze elettriche che agiscono su di
essa oppure sarà negativo (cioè non svolto da noi ma assorbito) se il
movimento avviene concordemente alle forze elettriche. Pertanto la
tensione elettrica è una grandezza dotata di segno.

Per definire la seconda grandezza elettrica, si supponga di voler


misurare il flusso di carica all’interno del filo metallico. A tale propos-
ito si taglia il filo venendo a formare la superficie sezione σ.

Figure 1.9: Il filo viene sezionato iden-


tificando così la sezione σ di cui si deve
scegliere un verso di attraversamento.
capitolo 1 9

Si fissa arbitrariamente un verso di attraversamento come posi-


tivo che induce un orientiamo della superficie σ e si conta la quantità
netta di carica positiva che attraversa la superficie. La corrente elet-
trica in un mezzo conduttivo (cioè che ne consente la circolazione)
è una grandezza descrittiva associata ad una superficie σ orientata,
che indichiamo come I (σ ), definita come la quantità di carica elettrica
netta che attraversa la sezione nell’unità di tempo. L’aggettivo netta
si riferisce al fatto che in un dato istante di osservazione la superficie
in esame potrebbe essere attraversata da una carica Q1 che si muove
concorde col verso di orinetazione assunto ed una carica Q2 che in-
vece si muove in senso opposto. La carica netta in questo caso è data
da Q1 − Q2 . L’unità di misura della corrente è chiamata ampere [A],
in onore del fisico francese che la studiò. Anche il valore della corrente
è dotato di segno, ad indicare se il flusso netto di carica è concorde o
discorde rispetto al senso di attraversamento fissato sulla superficie.

1.2.1 Gli strumenti di misura

Per potere rilevare operativamente le grandezze tensione e corrente


sono stati costruiti appositi strumenti di misura che chiamiamo volt-
metro ed amperometro.
I due strumenti sono composti da un organo di lettura che for-
nisce il valore della grandezza in modo digitale o analogico, due
Figure 1.10: Misura della tensione: i
morsetti contraddistinti dal segno “più” e “meno” e una coppia di cordoni del voltmetro definiscono la
cordoni terminanti in due puntali metallici. I cordoni costituiscono la linea lungo cui avviene la misura.

sonda dello strumento e cioè l’ente geometrico lungo cui o attraverso cui
si esegue la misura. Per la misura di tensione i cordoni del voltmetro
costituiscono la linea γ come mostrato in figura 1.10. Si noti che il
verso di misura indotto sulla linea è quello che entra dal morsetto
“meno” ed esce dal “più”.
La misura di corrente richiede che il filo metallico in cui scorre il
flusso di cariche venga sezionato lungo σ come mostrato in figura e
che i puntali dell’amperometro si appoggino sulle due facce che si
vengono a formare (cfr figura 1.11). In questo caso, l’orientamento
indotto sulla superficie σ è il verso di attraversamento che va dal
morsetto “più” al morsetto “meno” dell’amperometro.
Osserviamo che da un punto di vista matematico, le misure di ten-
sione o di corrente istituiscono una relazione che ad un ente geomet- Figure 1.11: Misura della corrente:
rico astratto fa corrispondere uno ed un solo numero reale (dotato di il morsetto “più” e il morsetto
“meno” dell’amperometro definis-
segno). Si dirà allora, ad esempio, che lungo una certa linea orientata
cono l’orientamento della superficie σ.
vi è una tensione di −2.1V o di 5.0V o che la corrente che attraversa
una certa superficie orientata vale 0.5A o −3mA.
10 nota1:il modello circuitale

1.2.2 Proprietà della tensione e della corrente


L’uso del voltmetro e dell’amperometro mostra che la misura di
tensione e quella di corrente godono della proprietà di essere dispari
e della proprietà additiva. Vediamo dette proprietà esamiando per
primo il caso della tensione e poi quello della corrente.

• Proprietà della variabile tensione.


Indichiamo con γ una linea orientata diretta dal punto A al punto
B e con −γ la stessa linea ma orientata nel verso opposto, cioè che
va da B ad A, come mostrato in fig. 1.12.
Operativamente la misura di tensione lungo −γ si ottiene inver-
tendo l’inserimento dei morsetti del voltmetro. Vale la proprietà di
disparità, ovvero Figure 1.12: Inversione
V (−γ) = −V (γ). dell’orientamento di una linea.

La disparità ha l’ovvio significato che il lavoro svolto per spostare


la carica di prova da A a B è lo stesso in modulo ma opposto in
segno a quello che si svolge per spostarla da B ad A.

Ora consideriamo le linee orientate γ1 che va da A a B e γ2 che


va da B a C (crf. figura 1.13). La loro unione dà origine alla linea
complessiva γ = γ1 ∪ γ2 che va da A a C. Sia v1 = V (γ1 ) la ten-
sione misurata lungo γ1 e v2 = V (γ2 ) la tensione misurata lungo
γ2 . Indichiamo poi con V (γ) la misura lungo la linea complessiva.
Vale allora la proprietà additiva della tensione:

V (γ) = V (γ1 ∪ γ2 ) = V (γ1 ) + V (γ2 ) = v1 + v2 .

Figure 1.13: γ = γ1 ∪ γ2 .

Combiniamo ora le due proprietà e consideriamo le tre linee


γ1 , γ2 e γ3 orientate come mostrato in figura 1.14 (cioè con γ2
orientata in modo discorde alle altre) e la linea unione γ = γ1 ∪
(−γ2 ) ∪ γ3 . Abbiamo eseguito le relative misure di tensione v1 =
V (γ1 ), v2 = V (γ2 ) e v3 = V (γ3 ). Dalla proprietà di disparità si ha
capitolo 1 11

che V (−γ2 ) = −v2 e dunque applicando la proprietà di additività


concludiamo che

v(γ) = V (γ1 ∪ (−γ2 ) ∪ γ3 ) = v1 − v2 + v3 .

Figure 1.14: γ = γ1 ∪ (−γ2 ) ∪ γ3 .

La misura di tensione lungo un cammino orientato è dato dalla somma


algebrica (cioè con segno) delle misure eseguite lungo i tratti parziali,
prendendo con segno positivo le misure eseguite con orientamento con-
corde al cammino e con segno negativo le discordi.

• Proprietà della variabile corrente.


Sia σ una superficie orientata come in figura 1.11 e con −σ la
stessa superficie ma orientata nel verso opposto (cfr. figura 1.15).
Operativamente, la misura di corrente lungo −σ si ottiene in-
Figure 1.15: La superficie −σ è orientata
vertendo l’inserimento dei morsetti dell’amperometro. Vale la nel verso opposto rispetto alla σ in
proprietà di disparità: figura 1.11. Notate che l’orientamento
della superficie è determinato dalla
modalità di inserimento dei terminali
I (−σ ) = − I (σ ).
dell’amperometro.

Ora consideriamo le superfici σ1 e σ2 , orientate in modo concorde


e che condividono parte della loro frontiera. La loro unione dà
origine alla superficie complessiva σ = σ1 ∪ σ2 . Se i1 = I (σ1 )
e i2 = I (σ2 ) sono i valori delle misure delle correnti attraverso
le superfici parziali mentre i = I (σ ) è la misura attraverso la
superficie complessiva, la proprietà additiva delle correnti dice
che:
i = I (σ ) = I (σ1 ∪ σ2 ) = I (σ1 ) + I (σ2 ) = i1 + i2 .

Infine siano σ1 , σ2 e σ3 tre superfici orientate come in figura e


cioè con σ2 orientata in modo discorde alle prime due e sia σ =
σ1 ∪ (−σ2 ) ∪ σ3 . Si sono eseguite le relative misure di corrente
i1 , i2 e i3 . Dalla proprietà di disparità si ha che i (−σ2 ) = −i2 e
dall’additività che:

i = I (σ1 ∪ (−σ2 ) ∪ σ3 ) = i1 − i2 + i3 .
12 nota1:il modello circuitale

Figure 1.16: σ = σ1 ∪ σ2 ).

Figure 1.17: σ = σ1 ∪ (−σ2 ) ∪ σ3 .

La misura di corrente attraverso una superficie orientata è dato dalla


somma algebrica (cioè con segno) delle misure eseguite attraverso le sotto-
superfici parziali che la formano prendendo con segno positivo le misure
eseguite con orientamento concorde e con segno negativo le discordi.
capitolo 1 13

1.2.3 Leggi delle tensioni e delle correnti


Le grandezze fisiche tensione e corrente che misuriamo in un sis-
tema elettrico possono variare nel tempo a seconda dello stato e
del modo di funzionamento del sistema; per esempio è chiaro che
all’accensione di una apparecchiatura elettrica si assiste a delle fasi
transitorie in cui è naturale attendersi che le tensioni e le correnti
varino nel tempo prima di raggiungere i valori desiderati. Tuttavia,
nella prima parte del corso è lecito trascurare le fasi transitorie e
concentrarsi sullo scenario in cui tutte le grandezze elettriche as-
sumono valori costanti nel tempo. Chiamiamo questa condizione
Regime Stazionario o anche funzionamento in continua (indicato
anche come DC, "direct current"). In un sistema elettrico operante
in regime stazionario, valgono rigorosamente le seguenti evidenze
sperimentali.

• Si consideri una linea γ chiusa, cioè tale che il punto di partenza e


di arrivo coincidono come mostrato in figura 1.18).
L’evidenza mostra come la tensione elettrica misurata lungo tale
linea vale zero V (γ) = 0.
Figure 1.18: Linea chiusa, ovvero il
Supponiamo ora che tale linea chiusa sia composta dai percorsi punto di partenza A e di arrivo B
parziali γ1 , γ2 , γ3 e γ4 , orientati come mostrato in figura 1.19, coincidono.
lungo cui si sono eseguite le relative misure parziali di tensione
v1 = V (γ1 ), v2 = V (γ2), v3 = V (γ3 )e v4 = V (γ4).

Figure 1.19: La linea chiusa γ è com-


posta da quattro percorsi parziali.

Muovendosi lungo γ in senso orario e applicando la proprietà


additiva e quella di disparità, si ottiene:

v1 − v2 + v3 − v4 = 0.

Generalizzando, possiamo quindi enunciare la seguente legge


fondamentale.

Legge delle tensioni: la somma algebrica (cioè tenendo conto dei


segni) delle tensioni misurate lungo una linea γ chiusa è uguale
a zero.
14 nota1:il modello circuitale

Dalla legge delle tensioni discende un’altra importante con-


seguenza. Con riferimento alla figura 1.20 si considerino per
iniziare le due linee γ1 e γ2 che partono dal punto A e portano
attraverso due percorsi alternativi al medesimo punto B.

Figure 1.20: Le linee in figura hanno gli


stessi estremi e orientamento, cioè sono
cammini che partono da A e arrivano in
B.

Per la legge delle tensioni applicata alla linea chiusa unione

γ1 ∪ (−γ2 )

si ottiene
v1 − v2 = 0 −→ v1 = v2 .

Lo stesso ragionamento si estende alla linea γ3 per cui v1 = v3


Questo indica che tensioni misurate lungo cammini diversi ma
che collegano gli stessi punti estremi A e B hanno lo stesso valore.
In regime stazionario dunque, la tensione dipende solo dagli
estremi del cammino lungo cui è misurata ed è quindi lecito in-
dicarla in modo sintetico come v BA intendendola come la tensione
del punto B rispetto al punto A:

v1 = v2 = v3 = v BA .

• La seconda evidenza sperimentale che si registra in regime stazionario


riguarda la variabile corrente. A tale proposito, consideriamo
una superficie chiusa σ, ad esempio come mostrato in fig. 1.21.
L’evidenza sperimentale mostra come la corrente che attraversa
tale superficie è zero, ovvero I (σ ) = 0.
Ora si supponga che la superficie cubica chiusa σ sia formata
dall’unione di superfici parziali, diciamo per esempio dalle sei
Figure 1.21: Esempio di superficie
faccie che la compongono con l’orientamento mostrato in fig.1.22. chiusa orientata σ. Il senso postivio di
In particolare, le superfici colorate in azzurro e verde sono ori- attraversamento è assunto quello che va
entate dall’esterno verso l’interno, mentre le superfici colorate in dall’interno all’esterno.

rosso sono orientate dall’interno verso l’esterno. Indicando per


semplicità
I (σk ) = ik
capitolo 1 15

Figure 1.22: Superfici parziali che


compongono σ e relativo orientamento
per la misura di corrente.

le misure di corrente eseguite sulle superfici parziali ed applicando


le proprietà additiva e di essere dispari, vale il seguente bilancio
attraverso σ:
−i1 − i2 + i3 − i4 − i5 + i6 = 0.
Generalizzando possiamo dedurre la seguente legge fondamentale.

Legge delle correnti: la somma algebrica (cioè tenendo conto dei


segni) delle correnti misurate attraverso una superficie σ chiusa
è uguale a zero.

Un modo alternativo di enunciare la legge delle correnti consiste


nel riscrivere il bilancio trasportando tutte le (misure) correnti
negative al membro di destra:

i3 + i6 = i1 + i2 + i4 + i5 .

I termini a primo membro rappresentano la somma delle correnti


uscenti da σ mentre i termini al secondo membro sono la somma
delle correnti entranti. La legge delle correnti impone che tali
somme debbano eguagliarsi, cioè che la corrente totale che entra in
una superficie chiusa sia pari alla corrente totale che ne fuori esce.

1.3 Il circuito elettrico

Le grandezze elettriche e le loro proprietà sono state fino a qui de-


scritte in termini astratti riferendosi ad una regione qualunque di
16 nota1:il modello circuitale

spazio. Passiamo ora ad ambientarle nella struttura particolare di un


circuito elettrico inteso come interconnessione di dispositivi elemen-
tari.
I componenti/dispositivi elettrici sono fabbricati combinando
materiali che da un punto di vista elettrico possiedono proprietà
opposte: gli isolanti ed i conduttori. Per isolante ideale noi inten-
diamo un materiale che a fronte della applicazione di una tensione
elettrica finita v6=0, per esempio applicandogli una pila elettrica, sia
attraversato da una corrente nulla i=0. Un tale materiale dunque si
oppone al passaggio di corrente anche in presenza di tensioni sig-
nificative. Materiali isolanti sono per esempio la carta, il legno o la
plastica. Viceversa un materiale conduttore ideale è quello in cui può
circolare una corrente finita i6=0 anche in assenza di tensione v=0.
Un conduttore reale è quello che consente la circolazione di correnti
significative anche in presenza di tensioni molto piccole. Materiali
conduttori sono tutti i metalli o l’acqua. Alle due categorie estreme
ora introdotte si deve aggiungere quella dei semi-conduttori i quali in
natura presentano proprietà elettriche intermedie tra il conduttore e
l’isolante e possono essere trasformati nell’uno o nell’altro attraverso
opportuni trattamenti tecnologici. La loro grande flessibilità ha di
fatto reso possibile l’enorme sviluppo della micro-elettronica. Un dis-
positivo elementare è avvolto da una superficie di materiale isolante
attraverso la quale non può esserci passaggio di carica, cioè corrente.
Questa superficie isolante ha la funzione di confinare la parte interna
del dispositivo dall’ambiente esterno e di protezione. La superficie
isolante è poi attraversata in pochi punti da parti di materiale con-
duttore che funzionano come tramite o porta con l’ambiente esterno.
Tali parti conduttrici vengono chiamate terminali o morsetti o an-
cora poli del dispositivo. L’interazione elettrica del dispositivo con
l’ambiente esterno avviene esclusivamente attraverso i suoi poli.

Figure 1.23: Elementi circuitali.


capitolo 1 17

La figura 1.23 mostra esempi di dispositivi con 2, 3 o quattro poli a


cui daremo il nome rispettivamente di bipolo tripolo e quadripolo.

Inizieremo col considerare il caso di circuiti formati interconnet-


tendo tra loro un numero arbitrario di dispositivi con due poli, cioè
di bipoli, e chiameremo nodo ogni punto in cui due terminali di
bipoli vengono connessi. Per esempio, il circuito in figura 1.24 con-
tiene 6 bipoli ed 4 nodi indicati con A, B, C e D.
Caratterizziamo elettricamente il bipolo 1 collegato ai nodi A
e B inserendo opportunamente gli strumenti voltmetro e amper-
ometro. L’inserimento del voltmetro avviene collegando i puntali ai
due morsetti del bipolo in modo che lungo il voltmetro cada la ten-
sione da misurare; si dice che il voltmetro viene collegato in parallelo.
Figure 1.24: Un circuito.
L’inserimento dell’amperometro avviene tagliando il filo ad uno dei
morsetti ed inserendo lo strumento in modo che sia attraversato dalla
corrente da misurare; si dice che l’amperometro viene collegato in
serie. Notate dalla figura 1.25 come tale inserimento corrisponda a
rilevare la misura della tensione v AB cioè della tensione del morsetto
o nodo A rispetto al morsetto o nodo B e della corrente i A entrante
nel bipolo dal morsetto A.
La particolare modalità di inserimento degli strumenti verrà indi-
cata d’ora in poi semplicemente disegnando accanto al bipolo un arco
di linea orientato che specifica il verso di misura della tensione e sul
filo accanto al corrispondente terminale una freccia che indica il verso Figure 1.25: Inserimento del voltmetro e
amperometro sul bipolo 1.
della misura di corrente.
Nel linguaggio della teoria dei circuiti diremo semplicemente che
v AB e i A sono le variabili tensione e corrente del bipolo (o associate al
bipolo), sottintendendo che esse rappresentano nel modello le misure
delle grandezze fisiche corrispondenti. Ricordiamo anche che tali
misure possono assumere valore positivo, negativo o nullo.
Si supponga ora di misurare al terminale B la corrente entrante
i B . Dalla legge delle correnti assumendo una superficie chiusa che
avvolge il bipolo 1, ricaviamo:
Figure 1.26: Verso assunto nella misura
della tensione e della corrente.
i A + i B = 0 → i B = −i A

che ci dice che la misura al terminale B si deduce da quella eseguita


in A. Concludiamo dunque che ai capi di un bipolo esiste solo una
corrente indipendente che ne caratterizza completamente il flusso di
carica.
Ragioniamo ora sulle tensione e supponiamo di misurare la ten-
sione v BA , cioè del mosetto B rispetto al morsetto A. Dalla legge delle
tensioni (o dalla proprietà di disparità) ricaviamo che:
Figure 1.27: Applicazione della legge
v AB + v BA = 0 −→ v BA = −v AB delle correnti al bipolo.
18 nota1:il modello circuitale

e dunque che ai capi di un bipolo esiste solo una tensione indipen-


dente che ne caratterizza completamente il lavoro elettrico svolto per
spostare lungo il bipolo una carica di prova.
Quindi, un dispositivo elettrico con due morsetti è descritto com-
pletamente da una corrente ed una tensione; si dice anche che i due
morsetti con le relative grandezze formano una porta elettrica o an-
Figure 1.28: Applicazione della legge
che un lato.
delle tensioni al bipolo.

Poiché un bipolo è descritto da due grandezze e dalle rispettive


convenzioni di misura nasce spontanea l’idea di coordinare tra di
loro tali convenzioni di misura. La figura 1.29 mostra un primo modo
di abbinare le due misure prendendo il verso di misura della cor-
rente entrante dal morsetto verso cui è rivolta la freccia che descrive
l’orientazione della misura di tensione. Questa modalità viene riferita
come convenzione degli utilizzatori. La figure 1.30 invece mostra un

Figure 1.29: Convenzione degli utilizza-


tori.

modo alternativo di coordinare le misure prendendo il verso della


corrente uscente dal morsetto verso cui è rivolta la freccia della ten-
sione. Questa modalità si dice convenzione dei generatori.

Figure 1.30: Convenzione dei genera-


tori.
capitolo 1 19

1.4 Le leggi di Kirchhoff

Siamo ora in grado di tornare al circuito completo mostrato in figura


1.24. Ogni bipolo è descritto elettricamente da una tensione e da una
corrente che supponiamo misurate con la convenzione degli utilizza-
tori. Rivediamo la legge delle correnti ambientandola sul circuito. Per
questo consideriamo, per prima, la superficie chiusa σ1 indicata in
figura 1.31 che orientiamo dall’interno verso l’esterno. Notiamo che
per costruzione in un circuito elettrico le correnti possono circolare
solo nei bipoli e nei loro terminali esterni e che la superficie σ1 inter-
seca i morsetti dei bipoli 2, 3, 4 e 6. La legge delle correnti si riduce a

i2 + i3 − i4 − i6 = 0 (1.1)

In termini generali possiamo allora enunciare la seguente:

Legge di Kirchhoff delle correnti (KCL): la somma algebrica (cioè


con segno) delle correnti (cioè delle misure di corrente) dei bipoli
i cui terminali vengono intersecati da una superficie chiusa è sem-
pre zero.

Tale somma con segno viene anche chiamato bilancio di corrente.


E’ istruttivo (e rilevante nella pratica) notare come il bilancio di
corrente (1.1) si possa riscrivere portando le correnti che compaiono
col segno meno al membro di destra:
Figure 1.31: Le linee tratteggiate rosse e
i2 + i3 = i4 + i6 blue mostrano la traccia sul foglio delle
due superfici chiuse σ1 e σ2 . La KCL
bilancia le correnti che attraversano tali
Questa riscrittura corrisponde ad interpretare la legge KCL come: la
superfici.
somma delle correnti dei bipoli il cui verso (di misura) è entrante in
σ1 è uguale alla somma delle correnti dei bipoli il cui verso è uscente
dalla medesima.
Si consideri ora la superficie chiusa indicata con σ2 che circonda
il nodo 3. La superficie interseca esclusivamente i morsetti dei bipoli
che sono collegati al nodo, cioè 3, 5 e 6 . Orientando la superficie
dall’interno all’esterno, la legge di Kirchhoff delle correnti diventa nel
caso particolare:
i3 − i5 − i6 = 0 (1.2)

e si può enunciare nel modo seguente:

Legge di Kirchhoff delle correnti al nodo: la somma algebrica


(cioè con segno) delle correnti che escono (o in modo del tutto
equivalente che entrano) da un nodo di un circuito è sempre zero.

Anche in questo caso, il bilancio di corrente si può riscrivere

i3 = i5 + i6
20 nota1:il modello circuitale

e pensare nei termini: la somma delle correnti entranti al nodo è pari


alla somma delle correnti ivi uscenti.

Passiamo ora alle tensioni facendo riferimento alla figura 1.32 che
mostra le relative misure sui vari bipoli. Ci focalizziamo sulla linea
chiusa γ1 tratteggiata in rosso, che supponiamo orientata in senso
orario. Essa descrive un percorso chiuso tra i nodi B → A → D →
C → B.
Attualizziamo la legge delle tensioni osservando ora che ogni
tratto del percorso chiuso corrisponde alla tensione misurata su di un
bipolo. Si ha:
v1 − v6 + v5 − v2 = 0 (1.3)
Figure 1.32: Cammini chiusi γ1 e γ2
In teoria dei circuiti, si indica con il nome di "cammino" la sequenza lungo cui si bilanciano le tensioni.

ordinata di bipoli (o lati) che si incontrano muovendosi lungo un


certo percorso. Un cammino chiuso viende detto maglia.

Legge di Kirchhoff delle tensioni (KVL): la somma algebrica delle


tensioni misurate lungo una maglia è zero.

Osserviamo anche che la (1.3) può essere riscritta come:

v1 − v6 = v2 − v5

Le tensioni a membro di sinistra corrispondono alla somma lungo il


cammino che parte da B e va a D (attraverso A) mentre il membro di
destra è la somma delle tensioni lungo un secondo cammino sempre
da B a D (attraverso C). Questa seconda espressione della legge di
Kirchhoff delle tensioni dunque corrisponde ad imporre che le ten-
sioni raccolte lungo cammini diversi ma con gli stessi estremi devono
essere uguali tra loro. Per esempio, facendo riferimento alla maglia
descritta da γ2 tratteggiata in blu in figura 1.32, si può scrivere diret-
tamente che:
v2 = v3 + v5

anziché
v2 − v3 − v5 = 0.

La validità della legge di Kirchhoff delle tensioni ha come con-


seguenza che la tensione elettrica misurata tra due nodi qualunque
di un circuito elettrico è sempre la stessa indipendentemente dal per-
corso lungo cui avviene la misura. Questo ci permette di introdurre il
concetto di tensione di nodo o potenziale di nodo.
Allo scopo, si assuma in modo arbitrario un nodo del circuito
come nodo di riferimento, per esempio in figura 1.33 il riferimento
sia il nodo A, e si misurino le tensioni degli altri nodi rispetto al
Figure 1.33: .
capitolo 1 21

nodo di riferimento. La tensione relativa di un nodo rispetto al rifer-


imento è detta tensione di nodo o potenziale e viene indicata con la
lettera “e” mettendo al pedice il numero o la lettera che idientifica
il nodo di misura. Nella figura, prendendo A come riferimento, si
hanno le seguenti tensioni di nodo

e B = v BA = −v1 , eC = vCA = −v4 , e D = v DA = −v6 .

Notiamo che, ragionando in modo inverso, dalla conoscenza dei


potenziali di nodo è possibile ricavare le tensioni dei bipoli. In gen-
erale infatti si ha che per il generico bipolo connesso tra i nodi k e
j, in cui indichiamo con ek ed e j i rispettivi potenziali rispetto ad un
riferimento qualunque, la tensione misurata ai capi del bipolo, cioè
vkj , vale:
vkj = ek − e j .

Figure 1.34: Dai potenziali ai nodi a cui


un bipolo è connesso si risale alla sua
tensione.
22 nota1:il modello circuitale

1.5 Esercizio sulle leggi di Kirchhoff

Figure 1.35: .

Nella rete di bipoli mostrata in 1.35 sono noti i valori di alcune


correnti indicate in rosso, cioè:

i2 = 1A; i6 = −2A; i7 = 3A

Determinare per primo il valore della corrente i3 scrivendo una sola


KCL. Successivamente completate determinando le altre correnti
incognite. [Ris. i3 = 6A].

Nella rete di bipoli mostrata in 1.36 sono ora noti i valori di alcune
tensioni indicate in rosso in figura, cioè:

v1 = 1V; v3 = −1V; v4 = −2V; v5 = 3V.

Determinare per primo il valore della tensione v7 scrivendo una sola

Figure 1.36: .

KVL. Successivamente completate determinando le altre tensioni


incognite. [Ris. v7 = 7V].
Quindi si fissi il nodo E come riferimento e si determinino i poten-
ziali ai rimanenti nodi. [Ris. eC = v BE = −6V].
capitolo 1 23

1.6 Dispositivi con più di due terminali e loro Modelli

Un primo esempio di dispositivo con più di due terminali è il tripolo


elettrico disegnato in figura 1.37.
In questo caso, le grandezze elettriche che si possono misurare
sono tre tensioni e tre correnti tuttavia è facile verificare che solo un
sottoinsieme di queste risultano tra di loro indipendenti. Infatti appli-
cando la legge delle correnti ad una superficie chiusa che racchiude
in se tripolo, si ricava la relazione Figure 1.37: Un tripolo.

i1 + i2 + i3 = 0 → i3 = − i1 − i2

mentre dalla legge delle tensioni lungo un cammino chiuso che tocca
i tre terminali, si ha

v13 − v12 − v23 = 0 → v12 = v13 − v23

Si conclude che in un tripolo solo due correnti e due tensioni sono tra di
loro indipendenti e dunque possono essere assunte come variabili de-
scrittive. E’ facile verificare che questa proprietà si estende facilmente
al caso di un generico N-polo, cioè di un dispositivo con N termi-
nali. Nel caso generale, l’N-polo ha N − 1 corrente e N − 1 tensioni
indipendenti.
Il procedimento che si adotta per determinare il sottoinsieme di
tensioni e correnti da utilizzare come variabili descrittive è quello di
scegliere arbitrariamente un terminale come riferimento comune e
quindi di scegliere le correnti entranti agli N − 1 nodi rimanenti e
le N − 1 tensioni misurate tra gli N − 1 nodi e il riferimento. Come

Figure 1.38: (Sinistra) Possibile scelta


delle due tensioni e correnti che de-
scrivono un tripolo: si assume come
nodo comune di riferimento il numero
3. (Destra) Analogia con il caso di due
bipoli.

esempio, la figura 1.38 mostra per un tripolo il caso in cui come rifer-
imento si è assunto il nodo 3 e quindi le due tensioni indipendenti
risultano v13 e v23 . Con questa scelta, come correnti indipendenti si
assumeranno quelle entranti in tutti i nodi tranne quello di riferi-
mento, ovvero nel caso specifico i1 e i2 .
La figura 1.39 mostra un secondo esempio nel quale il riferimento
viene assunto nel nodo 2. Nella parte (Destra) delle fugure 1.38 e
1.39 viene mostrata la seguente proprità: dal punto di vista delle leggi
di Kirchhoff, il tripolo è del tutto analogo al caso di due bipoli collegati tra di
loro nel nodo di riferimento Generalizzando, si ha che un dipositivo con N
terminali (cioè un N-polo), al fine delle leggi di Kirchhoff, può essere ricon-
dotto al caso di un insieme di N − 1 bipoli collegati tra loro nel nodo scelto
24 nota1:il modello circuitale

come riferimento. Ogni coppia di terminali formata da un nodo ed il


nodo di riferimento identifica una porta elettrica o lato in quanto,
al pari di un bipolo, è descritta dall’informazione composta da una
tensione ed una corrente.

Figure 1.39: (Sinistra) Scelta delle due


tensioni e correnti che descrivono un
tripolo quando si assume come nodo
comune di riferimento il numero 2.
(Destra) Analogia con il caso di due
bipoli.

Questo punto di vista diventa ancora più evidente se il nodo di


riferimento nel caso del tripolo viene raddoppiato in modo da for-
mare le due coppie di terminali a − a0 e b − b0 in figura 1.40, che
definiscono esplicitamente le due porte, le quali sono poi collegate
a due bipoli esterni. Il collegamento ai bipolo esterni assicura che la

Figure 1.40: Tripolo in cui il nodo


comune viene raddoppiato in modo da
formare un modello circuitale di tipo
doppio bipolo.

corrente i1 entrante in a sarà uguale a quella uscente in a0 mentre la


corrente i2 entrante in b sarà uguale a quella uscente in b0 . In queste
condizioni, si dice che l’elemento a quattro terminali che si è venuto
a formare in fig. 1.40 (racchiuso con linea tratteggiata) si comporta, o
può essere descritto, come un (modello) doppio bipolo. Si badi che il
modello di doppio bipolo si differenzia da un dispositivo quadripolo
generico. Il dispositivo quadripolo infatti è in generale descritto da
3 tensioni e 3 correnti indipendenti, cioè da tre porte elettriche. Il
modello doppio bipolo in fig. 1.40, invece, è descritto da sole due cor-
renti e due tensioni indipendenti, cioè da due porte. Il doppio bipolo
che abbiamo derivato partendo dal tripolo (raddoppiandone un ter-
capitolo 1 25

minale) rappresenta un caso particolare di modello di tipo doppio


bipolo e viene spesso indicato come doppio bipolo tripolare.

Il caso più generale di modello doppio bipolo è invece quello


mostrato di seguito, in cui le due porte non sono necessariamente
collegate tra loro. Dal punto di vista della scrittura delle leggi di
Kirchhoff il doppio bipolo è analogo (e quindi può essere ricondotto)
a quello di due bipoli non necessariamente collegati tra di loro.

Figure 1.41: Modello generico di doppio


bipolo in cui le porte non sono colle-
gate.

Infine la figura 1.42 mette in evidenza come sia sempre possibile


utilizzare il modello di doppio bipolo per descrivere un dispositivo
tripolo.

Figure 1.42: Il dispositivo tripolo si può


ottenere dal modello doppio bipolo
collegando i terminali di quest’ultimo
in modo opportuno.
26 nota1:il modello circuitale

1.6.1 Esercizi con tripoli/doppi bipoli

Figure 1.43: .

Il circuito mostrato in 1.43 contiene un tripolo e sono noti i valori


delle correnti:

i1 = 1A; i6 = 2A; i7 = 3A

Determinare il valore delle correnti i3 ed i4 nel tripolo. Notate che


la è possibile trasformare il tripolo in un insieme di due bipoli 3 e 4
connessi al nodo comune C come mostrato in fig.1.44

Figure 1.44: .
Nella rete mostrata in 1.45 sono ora noti i valori delle tensioni:

v2 = 2V; v3 = 3V; v4 = 4V; v5 = 5V.

Determinare le tensioni v7 , v1 e v6 .

Figure 1.45: .
capitolo 1 27

Infine il circuito in 1.46 contiene un doppio bipolo e son note le


correnti:
i1 = 1A; i4 = 4A; i5 = 5A.
Determinate i valori di i2 , i3 , e di Ix e Iy .

Figure 1.46: .
28 nota1:il modello circuitale

1.7 Il teorema di Tellegen

Torniamo a considerare il generico circuito elettrico prendendo come


esempio quello mostrato in figura 1.47. Notate che ogni "scatola"
(elemento) che lo forma può rappresentare il modello di un bipolo
oppure una porta di un N-polo o doppio bipolo. Si assume di coor-
dinare le misure di corrente e tensione su ogni elemento con la stessa
convenzione, per esempio quella degli utilizzatori.
Si sceglie a caso un insieme di valori delle correnti i1 , i2 , . . . , i6 col
solo vincolo che questi soddisfino le KCL e quindi si sceglie a caso
un insieme di valori delle tensioni v1 , v2 , . . . , v6 purché soddisfino
le KVL. E’ possibile mostrare che vale la seguente relazione detta
teorema di Tellegen: Figure 1.47: Generico circuito.
6
∑ vk · ik = 0 (1.4)
k =1

Verifichiamo. Dopo avere scritto per esteso la sommatoria

v1 · i1 + v2 · i2 + v3 · i3 + v4 · i4 + v5 · i5 + v6 · i6

, esprimiamo le tensioni sui vari elementi in funzione dei potenziali


ai nodi. Per far questo dobbiamo prendere uno qualunque dei nodi
come riferimento. Assumendo il nodo A come riferimento si hanno i
tre potenziali ai nodi:

e B = v BA = −v1 , eC = vCA = −v4 , e D = v DA = −v6 .

La sommatoria si può scrivere:

− e B · i1 + ( eC − e B ) · i2 + ( e D − e B ) · i3 − eC · i4 + ( eC − e D ) · i5 − e D · i6

e quindi riordinare in modo da raccogliere i termini che contengono


lo stesso potenziale ai nodi

e B · (−i1 − i2 − i3 ) + eC · (i2 − i4 + i5 ) + e D · (−i6 − i5 + i3 )

E’ facile realizzare che ogni termine nell’ultima formulazione è dato


dal prodotto del potenziale di nodo (es. e B ) moltiplicato per la som-
matoria delle correnti uscenti dal medesimo nodo (es. −i1 − i2 − i3 ).
Valendo la KCL, questi termini sono nulli portando alla (1.4).
Si può riassumere a parole: Scelto per ogni elemento (bipolo o porta)
di un circuito tensione e corrente, con la stessa convenzione di misura, nella
sola ipotesi che tali variabili soddisfino alle KVL e KCL la sommatoria dei
prodotti vk · ik estesa a tutti gli elementi vale zero. Il prodotto vk · ik è
detto potenza virtuale.

Potrebbero piacerti anche