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Luigi Oreste Rintallo

Il governo del virus


Un anno di stato d’emergenza

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Copyright – 2021 Luigi O. Rintallo
Tutti i diritti riservati

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SOMMARIO

Prefazione p. 5
Disinformazione di agit-prop
e burocrazia ci espongono al caos p. 15
Decreti a singhiozzo più per apparire
che per risolvere p. 19
Anche il complottismo serve
per coprire governi e mass-media p. 21
Un giornalismo irreggimentato
e manipolatorio p. 25
La distanza dalla realtà del governo Conte p. 27
La crisi esistenziale dell’Europa
nella stampa tedesca p. 31
Coi “pieni poteri” il governo non fa altro
che trovare capri espiatori p. 35
L’allarme della deriva giudiziaria
impietrisce anche Colao p. 39
Le quattro zavorre dell’azione di governo p. 43
Dietro le dissimulazioni del governo
solo misure inefficaci e subalternità p. 47
L’emergenza virus usata per deturpare
l’ordinamento democratico p. 53
Il “decreto scarcerazioni” infiamma
la polemica sulla giustizia p. 57

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Dal governo del non fare nessun impegno
in termini di verità p. 61
L’alleanza statalista PD-5Stelle
motore di un processo restaurativo p. 65
Scuola: dagli allarmi all’esame “burla”
senza capacità di visione p. 69
Lo stallo politico contrasta
con le urgenze del Paese p. 73
Su Autostrade uno scambio svantaggioso
che Conte cela con la retorica p. 77
La vacua esultanza sugli aiuti dell’UE p. 81
Lo snodo Quirinale
condiziona le scadenze politiche p. 85
Quale soccorso per la barca incagliata
del governo Conte? p. 89
Slalom di Conte fra crisi
e piani di rilancio vaghi p. 93
Avvertenza p. 97

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Prefazione

Il 31 gennaio 2020, il presidente del Consiglio Giu-


seppe Conte proclama in Italia lo stato di emergenza a
causa del coronavirus. Tre giorni prima di emanare la
misura eccezionale, ospitato da Lilli Gruber nel salotto
tv di «Otto e mezzo» su La7, Conte annunciava coram
populo che l’Italia era prontissima ad affrontare la pan-
demia. Quanto tale asserzione fosse lontana dal vero, lo
abbiamo scoperto nei mesi successivi.
Si è dovuto passare per la tragedia della “prima on-
data” del virus tra febbraio e maggio, nonché per la “se-
conda ondata” manifestatasi agli inizi di ottobre, prima
di venire a conoscenza che in realtà il nostro Paese non
disponeva nemmeno di un piano anti-epidemico aggior-
nato. A margine dell’indagine aperta dalla Procura di
Bergamo, la provincia più duramente colpita dalla ma-
lattia, è emersa da inchieste giornalistiche la rivelazione
che un vice-direttore dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità (in precedenza funzionario del Ministero
della Salute preposto alla prevenzione) si è adoperato
per ritirare un report negativo sullo stato della sanità
italiana stilato dalla sezione veneta della stessa OMS.
Dalle e-mail rese note durante il programma «Report»
di Rai3, risulta inoltre come si preoccupasse di postici-
pare artatamente la data di stesura del Piano anti-pan-
demico in realtà rimasto invariato dal 2006, senza
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recepire le indicazioni del Regolamento sanitario inter-
nazionale.
Quali che saranno gli sviluppi di tale vicenda, essa è
emblematica del modus operandi di alcuni funzionari
pubblici. Al modo del Conte zio manzoniano, in molte oc-
casioni la gestione governativa ha dato adito al so-
spetto che si fosse più attenti ad accomodare in modo
conveniente lo scenario, che non ad agire davvero per
contrastare il contagio. Per certi versi, sia le comunica-
zioni che gli atti normativi del governo si sono distinti
per produrre effetti contrastanti con gli obiettivi che si
prefiggevano. E ciò è perdurato nel tempo, visto che an-
che i decreti emanati a fine 2020 hanno riproposto iden-
tiche criticità in termini di coerenza ed effettiva applica-
bilità, risultando più utili a generare disordini e disparità
che non a intervenire concretamente per la riduzione dei
rischi.
Non a caso, già il 22 marzo il «New York Times» in un
articolo osservava che “nei primi fondamentali giorni
dell’epidemia, Conte e altri alti funzionari hanno cer-
cato di minimizzare la minaccia, creando confusione e
un falso senso di sicurezza che ha permesso al virus di
diffondersi”. A due mesi dal rassicurante messaggio del
presidente del Consiglio, in effetti l’Italia consegue il ne-
fasto primato di prima nazione occidentale per numero
di morti: oltre 6.000. Dall’inutile blocco dei voli da e per
la Cina, trascurando di vigilare sugli scali, alla campa-
gna mediatica del Ministero della Salute tesa a minimiz-
zare le possibilità di contagio, è stato un altalenare di
decisioni e comportamenti contraddittori spesso ispirati
dall’opportunismo politico. Tra questi rientra l’oppo-
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sizione contro le richieste dei presidenti delle regioni
Lombardia e Veneto di monitorare quanti provenivano
dalla Cina, usata per promuovere pretestuosamente
una campagna anti-razzista; oppure la sottovalutazione
del pericolo manifestata in più occasioni da esponenti
della maggioranza di governo (dagli incontri conviviali
di “Milano non si ferma” promossi dal sindaco Sala, a
cui partecipò improvvidamente il segretario PD Zinga-
retti contraendo proprio allora il Covid19, alle critiche ri-
volte al governatore lombardo della Lega per aver in-
dossato una mascherina durante un’intervista tv).
Mentre crescono le terapie intensive di tre regioni
(Emilia, Lombardia e Veneto), sino alla domenica 8
marzo trascorrono in pratica quattro settimane di nulla
governativo. Ancora il 25 febbraio, sul sito web del Mi-
nistero della Salute compariva questo comunicato: “la
mascherina non è necessaria per la popolazione gene-
rale in assenza di malattie respiratorie”. Il primo mese
di “stato d’emergenza” non vede, dunque, alcuna inizia-
tiva concreta in ambito sanitario: diversamente dagli al-
tri Paesi, che si premuravano di bloccare l’esportazione
di dispositivi per la profilassi, l’Italia si privava anzi di
tonnellate di mascherine inviate in Cina.
L’unico primo risultato della proclamazione dello
stato di emergenza è la costituzione di un Comitato tec-
nico scientifico, al quale partecipano tecnici ed esperti
di vario indirizzo. L’operazione si ripeterà poi in altri am-
biti ministeriali (Istruzione, Trasporti), moltiplicando
staff e numero di consulenti esterni agli organici ammi-
nistrativi. Al Cts il governo Conte afferma di riferirsi per
ogni suo provvedimento sull’epidemia, ma in seguito si
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apprenderà che in realtà il governo ignorò l’indicazione
degli esperti di isolare in “zona rossa” i comuni di Alzano
e Nembro nel Bergamasco. Nonostante le sollecitazioni,
l’iniziale invio di militari per chiudere l’area è inspiega-
bilmente sospeso e non si decide alcunché, mentre dai
giornalisti filo-governativi è alimentata la polemica sulle
diatribe fra governo centrale e regioni, quasi che lo stato
di emergenza non faccia del primo l’unico responsabile
delle necessarie misure di isolamento e quarantena (art.
117 Cost., lettera “q” che cita espressamente la “profi-
lassi internazionale” fra le materie esclusive dello
Stato). A rievocare il concitato week-end che precede il
lockdown generalizzato è ancora l’articolo del «New
York Times» del 22 marzo, redatto da Jason Horowitz,
Emma Bubola ed Elisabetta Provoledo:
[Sabato 7 marzo] centinaia di sindaci delle aree più
colpite hanno fatto presente al governo che le misure
varate fino a quel momento risultavano drammatica-
mente insufficienti. I leader del nord hanno chiesto
provvedimenti ancora più restrittivi da parte del go-
verno. […] il presidente della regione ha disposto la
chiusura degli uffici pubblici, dei cantieri, e ha vietato
il jogging. In un’intervista ha dichiarato che il governo
dovrebbe smettere di scherzare e “applicare misure ri-
gide”.
[Domenica 8 marzo] In una conferenza stampa a sor-
presa alle ore 2:00 del mattino… quando 7.375 per-
sone erano già risultate positive al test del coronavirus
e 366 erano decedute, Conte ha annunciato la straor-
dinaria decisione di limitare gli spostamenti per circa
un quarto della popolazione italiana nelle regioni set-
tentrionali, locomotiva economica del paese. […] Una
bozza del decreto, fatta trapelare ai media italiani
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sabato notte, ha spinto molti milanesi a correre in
massa alla stazione nel tentativo di abbandonare la re-
gione, causando quella che molti, in seguito, hanno
considerato come una pericolosa ondata di contagio
verso il sud. Il giorno seguente, la maggior parte degli
italiani era ancora confusa sulla severità delle restri-
zioni. Nel frattempo, alcuni governatori regionali
hanno ordinato autonomamente alle persone prove-
nienti dall’area appena chiusa di mettersi in quaran-
tena. Altri non lo hanno fatto.
[Lunedì 9 marzo]. Il giorno dopo, quando i casi positivi
hanno raggiunto quota 9.172 e il bilancio dei decessi è
salito a 463, Conte ha inasprito le restrizioni estenden-
dole su scala nazionale. Ma a quel punto, dicono alcuni
esperti, era già troppo tardi.

Il confinamento costrittivo inaugura una nuova fase,


contraddistinta da una martellante azione propagandi-
stica, mentre sui media gli scienziati assurgono a ruolo
di protagonisti assoluti. Tuttavia, ciò non porta a miglio-
rare il grado di conoscenza collettiva sul virus: spesso in
contrasto tra loro, i cosiddetti esperti non hanno remore
a incorrere in plateali incoerenze per di più senza nem-
meno riconoscerlo. Chi, sino a qualche tempo prima, as-
sicurava che contagiarsi era una remota possibilità è lo
stesso che prefigura poi scenari apocalittici.
Nel frattempo, l’informazione assorbe quasi total-
mente la trasmissione governativa, trasformando gior-
nalisti e conduttori in “corazzieri da parata” che, anziché
approfondire e ricercare chiarimenti, sono pure pre-
senze esornative delle performances di ministri e funzio-
nari impegnati ad auto-elogiare il proprio operato. Di-
fatti articoli, come quello citato del «New York Times»,
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non trovano alcuna eco sulla stampa nazionale mentre
abbondano servizi che descrivono l’Italia quale modello
da seguire nella lotta all’epidemia. A fronte di una
straordinaria copertura mediatica, è privilegiata una co-
municazione emotiva, che mira più a suggestionare che
ad informare: si punta da un lato a infondere paura ed
allarme, dall’altro ad accusare comportamenti di singoli
come la causa principale di pericolo, trascurando di oc-
cuparsi delle azioni che le autorità dovrebbero intra-
prendere per fronteggiare la situazione sia sul fronte sa-
nitario, che su quello economico.
Ne consegue che, nonostante i quotidiani interventi
di un manipolo di gettonati virologi, a lungo restano ine-
vasi numerosi quesiti sul Covid19 (che origini ha? Come
si cura?). Altrettanto lacunose e fuorvianti risultano le
notizie relative ai dati sulla malattia e alle iniziative
prese per porvi rimedio e contrastarne gli effetti sociali.
Un rilevante contributo alla condizione di incertezza
è fornito anche dall’Organizzazione Mondiale della Sa-
nità (OMS), la quale dopo aver omertosamente coperto
le reticenze del regime di Pechino, ritardando di comu-
nicare al mondo la diffusione del virus, dà indicazioni ap-
prossimative e infondate sulle terapie da adottare. Pur-
troppo esse sono recepite alla lettera dai protocolli del
nostro Ministero della Salute, cosicché emerge solo
dopo qualche tempo come i medici che li disattendono
hanno ottenuto migliori esiti nella cura. Sempre all’OMS
si deve l’interdizione nei confronti dell’anti-malarico clo-
rochina, sulla base di uno studio comparso sulla rivista
«Lancet» senza che nessuno si sia preoccupato di verifi-
carne le fonti, che coinciderebbero alla fine con un solo
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estensore Sapan Desai. Questi è amministratore dele-
gato della Surgisphere, un'azienda inattiva da sette
anni, coinvolta in tre cause giudiziarie per negligenza,
tra i cui dipendenti c'è uno scrittore fantasy e un'attrice
porno. A giugno l’OMS riconosce la frettolosità del giu-
dizio, ma solo a fine anno – dopo l’accoglimento del ri-
corso di alcuni medici – il Consiglio di Stato dà il via li-
bera all’uso del medicinale, capace di scongiurare l’ag-
gravamento dei contagiati se assunto ai primi sintomi.
Al pari del virus anche i numeri dei suoi contagi e de-
cessi galleggiano in una bolla nebulosa, dove non è fa-
cile orientarsi visto che sono usati per la loro forza di im-
patto emotivo, anziché essere analizzati razionalmente.
Di una epidemia che nel mondo provoca 1 morto ogni
7.000 persone si stenta a paragonarla con le altre del
passato e, tuttavia, la facilità del contagio e la descri-
zione che se ne dà sui mezzi di informazione originano
nella generalità della popolazione ansia e turbamento,
altrettanto nocivi ai fini della salute pubblica. Le cifre as-
solute, decontestualizzate dalla relazione con altri fat-
tori, sono citate per avvalorare la falsa idea che – tutto
sommato – in Italia vada meglio che altrove, ma ben
presto la costruzione si sfarina e affiora l’amara realtà:
il nostro Paese si colloca al quarto posto (dopo Belgio,
San Marino e Perù) per il maggior numero di decessi in
rapporto agli abitanti. Degli oltre 65.000 morti registrati
a dicembre più del 55% si concentra in Lombardia, Pie-
monte ed Emilia, evidenziando un legame tra le difese
immunitarie e le aree più infestate dai particolati, per i
quali a suo tempo il chimico Cesare Pedrazzini suggerì –
senza ottenere risultati dalle autorità sanitarie – un ad-
ditivo per il gasolio che ne riduceva la presenza. Inoltre
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abbiamo uno dei più alti indici di letalità fra i contagiati
Covid19, che può spiegarsi soltanto con la precarietà
dell’organizzazione sanitaria specialmente a livello ter-
ritoriale e della prima assistenza medica.
Nondimeno su questi problemi, pur avendo rinno-
vato lo stato d’emergenza e affidato a un commissario
unico con pieni poteri la gestione organizzativa, il go-
verno non fa registrare risultati significativi. Al rialzarsi
del numero dei contagi in ottobre, in coincidenza con la
crescita delle presenze su tram e bus dopo la ripresa
delle attività e la riapertura delle scuole rimaste chiuse
da marzo a giugno, si scopre l’inadeguatezza dei mezzi
di trasporto e, soprattutto, delle strutture sanitarie volte
a monitorare e contrastare il virus. Al manifestarsi della
“seconda ondata” non disponiamo di un adeguato si-
stema per tracciare, testare e trattare (noto come piano
delle tre “T”) i contagiati e ciò porta a chiedersi cosa
siano serviti i nove mesi che hanno preceduto il secondo
parziale lockdown del Natale 2020.
Mesi che non sono occupati per predisporre un
“piano trasporti” o assunzioni straordinarie di personale
sanitario, bensì per la produzione in serie di Decreti della
Presidenza del Consiglio (i DPCM). Questi ultimi si con-
centrano per lo più a regolamentare attività e sposta-
menti delle persone, oltre che a dar mostra – anche at-
traverso un lessico che rispolvera aggettivazioni ridon-
danti e retoriche – di chissà quali capacità di intervento,
sul piano del sostegno a un’economia terremotata dal
blocco esteso a tutto il territorio nazionale. In realtà, su
aziende e piccoli imprenditori non vi sono ricadute con-
crete sia perché molte misure mancano dei decreti
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attuativi, sia per la farraginosità burocratica che le ca-
ratterizza davvero scoraggiante.
In compenso la superfetazione normativa soddisfa
da un lato lo scopo prioritario di ridurre gli spazi di li-
bertà e di condivisione democratica e, dall’altro, di co-
struire una “narrazione” che dirotta su altro l’attenzione
collettiva, distogliendola dalle oggettive inadempienze
dei responsabili. Affidata la gestione operativa al com-
missario unico per l’emergenza Domenico Arcuri, il go-
verno di fatto accentra ogni decisione e la sottrae al con-
trollo di altri organi istituzionali. E per di più copre sotto
una coltre di riservatezza – del tutto inusuale – ogni pro-
cedura intrapresa, mentre la gran parte dei media com-
piacenti si sottraggono alla loro funzione, evitando di di-
sturbare il guidatore.
Eppure, non sono poche le perplessità attorno alle
modalità con cui si è operato: dal reperimento dei dispo-
sitivi di protezione agli appalti promossi per l’acquisto
dell’arredo scolastico. Grazie alla cortina di protezione e
– va detto – alla protervia nello svolgere l’incarico, biso-
gna attendere diverso tempo prima che esca allo sco-
perto lo scandalo di una commissione milionaria ai me-
diatori con le ditte cinesi fornitrici di mascherine. Percet-
tori della provvigione ammontante a oltre 60 milioni di
euro (quasi il 6%, una percentuale lunare per tali affari)
un ex funzionario RAI e una società dai contorni foschi,
che in precedenza fatturava poche centinaia di migliaia
di euro. Una ridotta trasparenza ha riguardato anche
l’acquisto dei banchi scolastici, pervicacemente voluti
dal ministro dell’Istruzione Laura Azzolina che uguale
impegno non ha mostrato per la revisione delle
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normative sulla composizione delle classi e l’adegua-
mento del numero dei docenti. Soltanto a seguito di una
pronta interrogazione parlamentare, si è palesato che la
struttura commissariale di Arcuri aveva appaltato la for-
nitura di 180.000 banchi a una società (la Nexus Made
di Ostia) con un fatturato di soli 4.000 euro e un dipen-
dente. Il contratto per 45 milioni di euro, dopo l’interro-
gazione in Parlamento, non viene perfezionato, ma già
il fatto che una società come la Nexus figurasse tra i pos-
sibili contraenti mina irrimediabilmente il livello di affi-
dabilità dell’ente appaltatore.
Ritardi, rinvii, opacità hanno contraddistinto questo
anno di stato di emergenza. Gli stati di emergenza ser-
vono per prendere provvedimenti tempestivi: nono-
stante quello del governo Conte sia stato rinnovato a lu-
glio e prorogato di altri sei mesi, non pare davvero che
lo abbia mai fatto. Procrastinare e scaricare lontano da
sé le responsabilità – individuando capri espiatori ora
negli amministratori locali, ora negli Stati europei restii
a concedere crediti – hanno rappresentato la cifra di-
stintiva di un governo e di un premier più preoccupato
di durare, che non di risolvere i problemi causati dalla
crisi scatenatasi con la pandemia.
Il governo del virus raccoglie ventuno articoli scritti
durante un anno di “stato di emergenza”. Il titolo rac-
chiude un triplice significato, perché descrive la neces-
sità di governare gli effetti provocati dal Covid19 come
pure il fatto che proprio il virus ha finito per condizio-
narci, determinando scelte e decisioni, ed infine evoca
quale tipo di governo si è trovata ad avere l’Italia in que-
sto eccezionale e drammatico 2020.
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Disinformazione di agit-prop
e burocrazia ci espongono al caos

Dopo l’improvvida dichiarazione della presidente


della BCE, Christine Lagarde, perfino il solitamente
cauto Sergio Mattarella è intervenuto con parole nette:
dall’Europa, “si attendono… a buon diritto, quanto
meno nel comune interesse, iniziative di solidarietà e
non mosse che possano ostacolare l’azione…” di contra-
sto alla crisi per le conseguenze dell’epidemia in corso.
Eppure, nel circo informativo italiano, per una volta
al Presidente della Repubblica è toccato inizialmente il
destino di un radicale qualsiasi, nel senso che il suo in-
tervento è stato quasi del tutto “marginalizzato”, impe-
gnati com’erano a inneggiare all’invio di nove (dicasi
nove) medici dalla Cina, la quale ha anche “restituito”
una parte delle mascherine e dei materiali sanitari da
noi inviati all’inizio dell’epidemia lì.
Poi il presidente della Commissione Europea, Ursula
Von der Leyen, ha cercato un parziale rimedio e anche i
silenti Paolo Gentiloni, commissario europeo all’econo-
mia, e David Sassoli, presidente del Parlamento euro-
peo, si sono apparentemente svegliati dal sonno subal-
terno che li caratterizza.
In queste settimane, si è manifestata a pieno la di-
storsione del nostro sistema informativo che, a parte le
eccezioni, più che informare ha “deformato” secondo la
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scuola dei collaudati uffici agit-prop. Dopo un Carnevale
trascorso a mettere la maschera di razzismo alla paura
del contagio, sempre accompagnata dalla locuzione “ir-
responsabilmente alimentata”, con la Quaresima si è
passati a cantare il “Gloria” per la reclusione dell’intero
Paese imposta per decreti partoriti con innaturale tra-
vaglio, a causa soprattutto della collocazione in un ipe-
ruranio formalistico-giuridico dei loro estensori.
Ora è tutto un invocare ordine e disciplina, è tutto
un appello alla nazione e al senso di comunità, dimenti-
chi del fatto che a forza di questa retorica si è arrivati
all’8 settembre regalatoci da Badoglio. Perfino gli opi-
nionisti celebrati come “liberali” (senza mai assumerne
i comportamenti conseguenti) straparlano di “libertà”
da mettere da parte nei momenti d’emergenza. Al con-
trario, ad essere mancati sono proprio gli elementi mi-
nimi della cultura liberale: paghiamo le conseguenze
della sua assenza presso la classe politica e dirigente
dell’Italia.
È proprio di questa cultura fondare ogni azione su
un metodo pragmatico e graduale, che invece non è af-
fatto praticato nemmeno in questo particolare fran-
gente. Persino l’emergenza viene usata strumental-
mente in senso contrario: da un lato si mette in deroga
la libertà dei cittadini, ma dall’altro si stenta a derogare
dalle norme cervellotiche e bloccanti della burocrazia
che ostacolano l’apertura di padiglioni ospedalieri di
emergenza in Lombardia, l’area più a rischio.
Altrettanto avviene sul fronte delle scelte economi-
che, con i timidi interventi proposti dal ministro Roberto
Gualtieri: i 12 miliardi impegnati per questo anno in
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corso sono ancora figli della sudditanza, psicologica
prima ancora che reale, alle logiche dei vincoli imposti
in Europa.
Tanto che è possibile alla stessa presidente della
Commissione, Von der Leyen, sorprendere tutti con
l’annuncio di una ben altra consapevolezza degli effetti
provocati dalla crisi derivante dalla diffusione del virus:
la Germania conta di investirne 550 di miliardi. A testi-
monianza di come un’intera classe politica vive una di-
mensione di subalternità, consegnata com’è alle logiche
di pura preservazione di sé stessa.
Intanto sul fronte quotidiano della lotta alla malat-
tia, emerge la situazione critica delle nostre strutture
sanitarie. E va detto che la loro precarietà si deve anche
a quella sorta di antropologia negativa diffusa a piene
mani in questi ultimi anni.
Oggi i medici sono eroi, ma solo qualche tempo fa
erano il bersaglio delle denunce – spesso pretestuose –
che potevano contare sull’accoglienza, e relative con-
danne, da parte di una magistratura investita da una
pretesa salvifica. Il giustizialismo e l’anti-politica inse-
diatisi nelle istituzioni hanno fatto la loro parte per ri-
durre in stato comatoso la coesione civile ed esporci al
caos.
14 marzo 2020

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Decreti a singhiozzo
più per apparire che per risolvere

Sabato notte sono state interrotte le trasmissioni te-


levisive ed è apparso a reti unificate il presidente del
Consiglio, che ha “annunciato” provvedimenti ancor più
drastici per contrastare l’epidemia in corso.
Si dà il caso che tali provvedimenti devono ancora
prendere la forma di un decreto che – forse – entrerà in
vigore nella giornata di lunedì. Prosegue dunque la ne-
fasta politica degli annunci a singhiozzo, dove ciò che
conta non è agire e prendere decisioni, ma “dar mostra”
di farlo. Apparire prima che essere, insomma, è l’impe-
rativo che detta le mosse di una classe dirigente che
abusa di tale attributo.
In realtà non si dirige nulla, i messaggi inviati gene-
rano confusione ed equivoci. E mentre avviene tutto
questo un’informazione accucciata si desta soltanto per
abbaiare contro i cittadini, disorientati e incerti, per ad-
ditarli come irresponsabili.
Di annuncio in annuncio si imbastiscono narrazioni
prive di riscontri effettuali, come quella delle cento mi-
lioni di mascherine in arrivo dalla Cina sì, ma che se va
bene saranno disponibili fra tre giorni e destinate ai me-
dici. Per i cittadini – si dice – potrebbero essere disponi-
bili tra due settimane. Ma tutto fa brodo nell’uso
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spudorato dell’emergenza a scopi puramente propa-
gandistici o di testardo sostegno a scelte oggetto di più
d’una perplessità, anche a livello internazionale.
Dal centro dell’amministrazione, da quello che do-
vrebbe essere il cuore pulsante delle iniziative atte a ri-
solvere i problemi posti dalla diffusione del virus, pare
che stenti a giungere un contributo utile. Al contrario, si
ha l’impressione che funzioni piuttosto come un organo
malandato, apportatore di impedimenti più che di riso-
luzioni.
Intanto, quasi ottomila medici offrono la loro dispo-
nibilità ad aiutare i colleghi degli ospedali più congestio-
nati e – a nord come a sud – si rafforza la tendenza delle
autonomie locali a soppiantare in proprio alle carenze
di coordinamento centrale. Una situazione che do-
vrebbe spingere a domandarsi se davvero sia saggio so-
prassedere da qualunque mutamento di indirizzo nella
gestione di questa drammatica emergenza.
22 marzo 2020

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Anche il complottismo serve a coprire
le colpe di governi e mass-media

Come tanti, in questi giorni abbiamo avuto modo di


imbatterci in video o post su Internet che evocano la
fabbricazione in laboratorio del virus che sta imperver-
sando nel mondo. A seconda delle fonti – antiamericane
o anticinesi – il virus sarebbe stato fabbricato per deter-
minare tracolli economici funzionali alle speculazioni fi-
nanziarie (Controtv, di Mazzucco) oppure deriverebbe
da loschi esperimenti in vista di future guerre batterio-
logiche (servizio di TGR Leonardo).
Tali ipotesi, per lo più, vengono confinate nella ca-
tegoria del “complottismo dietrologico”, ma ciò non to-
glie che riescano a insinuarsi nei convincimenti diffusi e
questo dà lo spunto per svolgere considerazioni ulte-
riori.
È facile spiegare il fenomeno con la necessità, du-
rante circostanze come quella che stiamo vivendo, di in-
dividuare un capro espiatorio. Sul piano della psicologia
sociale risponde a una domanda ricorrente delle per-
sone che non accettano di essere preda della casualità
quando accadono tragedie. Tuttavia, su un piano poli-
tico occorre approfondire qualche altro aspetto.
In primo luogo, va notato come esse si presentino
nella veste di “verità” alternative e quindi si
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ammantano del ruolo di opposizione a un dominio, a un
potere descritto sempre come portatore di interessi
oscuri e contrari alla prosperità della gran parte della
popolazione. In questa maniera accreditano i loro soste-
nitori quali “giustizieri del popolo”, quasi dei Robin
Hood contro il pervicace disegno di oppressione portato
avanti dai bersagli della loro polemica.
Così sfugge ai più la natura strumentale di letture
della realtà che sono il frutto di stratificazioni ideologi-
che, piuttosto che analisi fondate sull’esame spassio-
nato dei dati di fatto. Da questo punto di vista, il loro
retroterra non è diverso da quello dei gruppi che anima-
rono il terrorismo politico negli anni ’70. Oggi non ricor-
rono alla clandestinità e alle armi, ma risentono delle
stesse influenze culturali e ideologiche.
D’altra parte, ciò non significa che queste letture an-
tagoniste non possano esprimere anche frammenti ve-
ritieri. Soltanto che alimentare supposizioni inconsi-
stenti risulta funzionale proprio alla programmata sot-
tovalutazione di uno stato di cose dove, effettivamente,
possono determinarsi derive autoritarie o trame di po-
tere circoscritto alla volontà di pochi soggetti politici o
economici. Anche sotto questo aspetto si riscontra una
somiglianza con quanto accaduto negli anni di piombo.
Lo notiamo nell’atteggiamento della grande infor-
mazione, per lo più condizionata dai circoli imprendito-
riali e finanziari. Da un lato la cosiddetta contro-infor-
mazione viene incastonata entro il recinto dell’attivi-
smo complottista, ma dall’altro non è affatto oscurata
come dimostra la sua ampia circolazione e la penetra-
zione presso ogni strato sociale. Nei suoi confronti si
22
ripete il meccanismo adottato, per esempio, nei con-
fronti dei proclami delle Brigate Rosse: squalificati come
“deliranti”, non li si voleva rendere pubblici ma proprio
questo serviva a dare loro rilevanza politica.
In questo modo, si è potuto “gestire” il terrorismo
politico e usarlo come pretesto per giustificare scelte al-
trimenti improponibili. Proprio perciò i radicali, al
tempo del rapimento del magistrato D’Urso, rovescia-
rono l’impostazione e diffusero i contenuti dei volantini
di rivendicazione: da essi emergeva sì il “delirio”, ma an-
che l’assoluta inconsistenza del disegno rivoluzionario
quale minaccia per lo Stato.
Oggi accade che, mentre ci lasciamo affascinare dal
mito del virus costruito in laboratorio e scientemente
propagato per mire inconfessabili del potere (sia la
grande finanza o il totalitarismo), trascuriamo di pre-
stare attenzione a circostanze di tutta evidenza. A co-
minciare dalla natura omertosa e reticente del regime
dittatoriale cinese, che ha impedito a lungo la circola-
zione di informazioni sullo stato della malattia nello
Stato asiatico.
Oppure i limiti di una informazione nostrana, che
non ha nemmeno bisogno di un regime dispotico per
abdicare ai suoi compiti specifici e ridursi a grancassa
della propaganda di parte.
O ancora di prendere atto dello stato di degrado in-
sostenibile del nostro apparato amministrativo e sta-
tale, che in queste ore drammatiche ha rivelato quanto
sia di peso a trovare soluzioni adeguate.
27 marzo 2020
23
24
Un giornalismo irreggimentato
e manipolatorio

L’emergenza causata dalla diffusione del coronavi-


rus ha fatto emergere come l’informazione sia esposta
a un uso manipolatorio da parte delle fonti che proma-
nano dai governi e, più in generale, da poteri circoscritti.
Innanzi tutto, abbiamo registrato l’eccezionale ri-
tardo da parte del regime cinese a rendere nota l’epide-
mia in corso a Wuhan; oggi apprendiamo che anche sul
numero dei morti non sono forniti dati attendibili: nelle
ultime settimane, si conterebbero molti più decessi di
quelli dichiarati ufficialmente.
È una situazione che non riguarda, tuttavia, soltanto
lo Stato asiatico governato dal presidente a vita Xi. Le
notizie che quotidianamente inondano telegiornali e
prime pagine della stampa in Italia, a parte la generale
omologazione, palesano un intento direzionale che
vede sempre più sfumare i contorni del quarto potere
come soggetto indipendente e autonomo e lo identifica
piuttosto quale mezzo atto ad assecondare indirizzi in-
formativi prestabiliti.
Si ripete quanto accaduto in occasione dei grandi
conflitti europei, quando il processo di irreggimenta-
zione dei Paesi determinò un condizionamento sull’in-
formazione che sfociava nella pura propaganda.
25
Che questo accada anche in democrazia, dà il segno
delle trasformazioni profonde intervenute. Lo scorrere
ripetuto delle immagini sugli aiuti provenienti da Cina,
Cuba e Russia è chiaramente funzionale al sostegno
delle scelte operate in politica internazionale; così come
la persistente polemica verso l’America che si manifesta
persino nella indicazione che gli USA sono ora la nazione
con più contagi, evitando di fare il confronto tra realtà
demografiche e territoriali simili.
Si scoprirebbe in tal caso, ad esempio, che i morti
per Covid19 oltre Atlantico sono finora un decimo di
quelli dell’Europa, ma questo dato stonerebbe con la
narrazione proposta.
Più in generale, va notato che non solo in Italia ma
nella UE si riscontra un accentuato scostamento dai fon-
damenti propri delle democrazie liberali.
30 marzo 2020

26
La distanza dalla realtà
del governo Conte

Poco più di due mesi fa, quando l’emergenza del vi-


rus cinese era ancora tutta da venire, in un articolo del
25 gennaio evidenziavamo fra le criticità del governo a
maggioranza PD-5 Stelle tanto il cedimento a “una de-
riva anti-parlamentare e tecnocratica”, quanto il rischio
che avrebbe contribuito ad allargare la faglia divisiva nel
Paese rischiando “di allargare il divario fra le due aree
dell’Italia” e di profilare nuovi scenari secessionistici fra
Nord e Sud.
Allora non si immaginava che esse potessero pren-
dere corpo in così breve tempo. La notizia dell’apertura
del reparto di terapia intensiva alla Fiera di Milano, rea-
lizzato sotto la supervisione di Guido Bertolaso incari-
cato direttamente dal presidente della Lombardia, rap-
presenta – per certi versi – la plastica dimostrazione di
quanto abbia pesato la divergenza rispetto al governo
Conte 2.
L’ospedale ha potuto essere ultimato in dieci
giorni nonostante gli impedimenti (e non con la collabo-
razione) dell’amministrazione centrale, e questo è un
fatto che anche in futuro lascerà un segno al pari
dell’elevato numero di morti registrato da febbraio in
poi a causa dell’epidemia nelle regioni settentrionali.

27
Le discrepanze (se non il vero e proprio astio) fra il
governo presieduto da Giuseppe Conte e le regioni del
nord, rivelatosi anche in questa tragica occasione, sono
il risultato di indirizzi politici contrastanti: la disposi-
zione all’assistenzialismo è un contrassegno specifico
della maggioranza di governo, che distingue pure il
modo di reagire all’emergenza economica derivante
dall’attuale situazione.
Finora è prevalsa un’impostazione prevalentemente
supina ai condizionamenti degli apparati burocratici, ol-
tre che una preconcetta distanza dalla comprensione
delle realtà proprie del lavoro autonomo. Basti pensare
alla farraginosità delle procedure ideate per il sostegno
alle attività d’impresa, con il vincolo di una diminuzione
del 33% nei primi tre mesi dell’anno quando il problema
sarà quasi sicuramente il fatturato zero dei prossimi
mesi.
Durante questo drammatico frangente, molte delle
difficoltà riscontrate nel fronteggiare la prima fase
dell’epidemia scaturivano dal confuso rapporto tra enti
locali e amministrazione centrale, ereditato dalla ri-
forma costituzionale sul Titolo V varata dal governo
dell’Ulivo nel 2001.
Tuttavia, va riconosciuto che le forzature operate in
queste settimane non hanno certo contribuito a dira-
dare la confusione: tutt’altro. Permane di conseguenza
la perplessità se sia davvero saggio astenersi dall’inter-
venire per modificare l’assetto del ponte di comando
della nave, visto che è proprio in quella sede che le ma-
novre condotte paiono risultare più controproducenti
che utili.
28
Certo è che se non si registrerà in tempi brevi per lo
meno una netta inversione di marcia, sia nei comporta-
menti di tutti che nell’approccio alle situazioni determi-
nate dallo stato di crisi, difficilmente potranno deli-
nearsi prospettive di ripresa per il Paese. E patiremo
tutte le conseguenze negative delle scelte operate in
politica interna ed estera, a cominciare dalla subalter-
nità inerte dimostrata nei confronti di un processo di
unione europea consegnato ai limiti – prima psicologici
che politici – di una visione tecnocratico-finanziaria in-
capace di proiettarsi davvero verso il progetto origina-
rio profilatosi nel dopoguerra.
La sfida di oggi consiste proprio nel fare di questa
crisi la spinta propulsiva per riconsiderare le prospettive
future, alla luce di mire ben più ambiziose per la politica
dell’Europa e dell’Occidente nel suo insieme. Ma in
primo luogo serve che ci sia chi la sfida sia capace di co-
glierla.
2 aprile 2020

29
30
La crisi esistenziale dell’Europa
nella stampa tedesca

Gli articoli di due giornali tedeschi – «Die Welt» e


«Der Spiegel» – hanno in qualche modo agitato in que-
sti giorni la platea dei media italiani. Mentre è in corso
una faticosa trattativa dentro le istituzioni dell’UE per
decidere come affrontare la crisi derivante dal blocco
delle attività economiche causato dalla diffusione del vi-
rus cinese, le due testate hanno espresso posizioni net-
tamente contrastanti circa le posizioni che dovrebbe as-
sumere la Germania. Com’è noto, da parte italiana è
avanzata la richiesta di un massiccio intervento di soste-
gno da realizzarsi a livello comune fra tutti i Paesi
dell’UE e la divisione riguarda le cosiddette “condizio-
nalità” che tale intervento comporterebbe.
Senza entrare nei dettagli delle questioni econo-
mico-finanziarie, che comunque testimoniano il limite
profondo dell’unione costruita dopo Maastricht, priva
di quel respiro politico che solo renderebbe vitale il
ruolo dell’Europa, qui interessa soffermarsi sui conte-
nuti dei due articoli.
Particolarmente bruciante quello del «Die Welt»,
secondo il quale gli aiuti europei dati all’Italia finireb-
bero alla mafia. Al di là della banalità qualunquistica,
che non a caso ripete quanto detto nel 2014 da un

31
comico come Beppe Grillo fondatore dei 5Stelle, va con-
siderato che dimostra una ridotta comprensione del fe-
nomeno criminale.
Più che aspettare i denari da Bruxelles, la mafia li
esporta con il riciclaggio che – come si evince da molte
indagini internazionali – vedono proprio il nord Europa
come luogo di destinazione. Del resto, attaccare alla
mafia l’etichetta “sovranista” sarebbe quanto meno
contrastante con la sua propensione al mercato senza
confini delle sue attività.
Se «Die Welt» non esita a utilizzare i luoghi comuni
più triti per motivare il disimpegno dell’UE e il rifiuto ad
abbandonare la linea del rigore anti-inflazione, «Der
Spiegel» rivolge invece una dura critica al governo tede-
sco, per il suo rifiuto a ricorrere agli Eurobond in questa
crisi devastante che rischia di travolgere le economie di
tanti Paesi.
L’articolo rimprovera alla cancelliera Merkel di avere
troppe volte insistito sulla “narrazione” che i bond sa-
rebbero pagati dai cittadini tedeschi e che, pertanto,
ora le è impossibile fare marcia indietro. Ma ciò è avve-
nuto, insiste l’articolo, prevalentemente per scongiu-
rare la concorrenza populista del nuovo partito alla de-
stra della Cdu, l’Alleanza per la Germania (AfD).
Interessante la considerazione finale dell’articolo.
Agli eurobond non ci sarebbero alternative, se non
quella di lasciare soli i Paesi più colpiti dalla crisi (Italia e
Spagna), le cui economie da tempo stagnanti richie-
dono ben più dei 410 miliardi di euro previsti dal Fondo
di salvataggio. Come scrive «Der Spiegel»,

32
impossibilitati a prendere in prestito denaro sul mer-
cato finanziario, a causa dei tassi di interesse troppo
alti, si troverebbero esposti sul fronte speculativo e a
trarne vantaggio sarebbero, sul piano politico, i nemici
dell’UE.
Quali siano le prospettive dell’Europa è difficile dire,
dal momento che il peso delle scelte improvvide del
passato sembra averne compromesso un qualunque
ruolo incisivo nello scenario mondiale.
Di certo il momento che viviamo è di quelli decisivi e
«Der Spiegel» coglie a pieno la situazione quando parla
di “crisi esistenziale”. Aver trascurato di dare forza al
compito politico dell’Europa, non averlo nutrito con la
linfa vitale del rafforzamento della democrazia e della
difesa dei principi liberali, rischia di pregiudicare defini-
tivamente la stessa possibilità di un futuro.
10 aprile 2020

33
34
Coi “pieni poteri” il governo non fa altro
che trovare capri espiatori

La situazione determinata dall’epidemia del virus ci-


nese ha fatto emergere come l’anomalia dell’Italia non
riguarda soltanto il primato delle vittime, ma anche la
condizione del suo assetto politico-istituzionale.
Non sono pochi gli osservatori, di vario orienta-
mento, che riconoscono in quanto è accaduto i segni di
disgregazione dei fondamenti democratici. “Democra-
zia sospesa” è una locuzione oramai ricorrente, che è
stata evocata più volte anche nel recente passato a pro-
posito di altre occasioni – dalla crisi per lo spread alle
lunghe transizioni gestite da governi tecnici (Dini,
Monti) – e che trova le sue radici nella lunga pratica con-
sociativa della prima Repubblica.
Negli anni ’70, il consociativismo imperniato sul
patto tra Dc e Pci fu sancito coi governi Andreotti
dell’unità nazionale e poteva contare sul consenso di ol-
tre il 70% dei votanti. Nella strategia che lo sottendeva,
tuttavia, era presente una tabe autoritaria: concepiva
quell’alleanza come l’incontro tra le forze sociali e poli-
tiche “migliori” del Paese e pertanto escludeva chi vi si
opponeva, relegandolo in un ruolo non solo marginale
ma addirittura delegittimandolo sul piano politico.

35
Da questo punto di vista, come evidenziato dall’ana-
lisi del Partito Radicale di Marco Pannella (cfr. la Peste
italiana), si realizzava una continuità fra “democrazia
consociativa” e regime ante-guerra, all’insegna di una
comune volontà egemonica di fatto estranea alla demo-
crazia conflittuale delle società aperte.
Questo substrato culturale permane ancor oggi e ha
determinato le ripetute lacerazioni dei rapporti politico-
istituzionali. Al contrario di cinquant’anni fa, in termini
di rappresentatività, non conta più su consistenti basi
elettorali ed assume tratti sempre più insostenibili dal
punto di vista della dialettica democratica.
L’alleanza stretta fra gli eredi del consociativismo
Dc/Pci e il Movimento 5 Stelle ha complicato ulterior-
mente la situazione politica, dal momento che da un
lato conserva la pregiudiziale egemonica e – dall’altro
lato – promuove politiche che appaiono ai più quanto
meno inidonee se non controproducenti rispetto alla
crisi in atto.
La ragione di ciò risiede nel fatto che la classe politica
– delle forze di maggioranza, ma non solo perché lo si
può riscontrare anche nell’opposizione – è sostanzial-
mente consegnata a una condizione di subalternità ri-
spetto sia agli apparati burocratico-corporativi, sia al
condizionamento dei soggetti finanziari che presiedono
alle scelte economiche in sede europea. È una subalter-
nità di natura elettorale e finanche psicologica che,
all’esame empirico dei problemi per ricercare soluzioni,
antepone l’interesse immediato in termini di consenso
e di successo personale.

36
Che oggi un commentatore alieno da faziosità come
Luca Ricolfi possa affermare che lo stesso stato d’emer-
genza, a fine gennaio, fu dichiarato “semplicemente
perché era una occasione formidabile per assumere i
pieni poteri”, dà il segno della spregiudicata strumenta-
lità con la quale i cittadini devono confrontarsi. Pur-
troppo i “pieni poteri” hanno finora prodotto una su-
perfetazione di decreti e ordinanze, senza dare alcun
vero contributo alla soluzione dei problemi scaturiti
tanto dall’emergenza sanitaria, quanto da quella econo-
mica.
Alle centinaia di miliardi evocati ogni sera nelle di-
rette tv corrisponde nella realtà concreta un prontuario
con infinite condizioni per accedere ai prestiti delle ban-
che, oltre al dato drammaticamente oggettivo che dopo
quasi due mesi nemmeno un euro è stato trasferito a
sostegno delle attività economiche compromesse dal
blocco.
Può dunque apparire paradossale che, mentre il go-
verno si comporta in questo modo, impantanando nel
ginepraio delle “condizionalità” la possibilità di accesso
agli aiuti economici degli Italiani in difficoltà, lo stesso
dia mostra di ingaggiare chissà quale aspro confronto
con l’UE allo scopo di ottenere fondi che prescindano
dagli obblighi del Mes. Un altro modo per dirottare su
altri – in questo caso i “cattivi” non sono gli amministra-
tori locali della Lombardia, ma gli Stati dell’Europa del
nord – le colpe della gravissima congiuntura nella quale
si dibatte il Paese.
Del resto sarebbe da ingenui aspettarsi dal governo
Conte quella “campagna di verità” così tanto necessaria
37
al Paese, dal momento che ciò comporterebbe l’ammis-
sione che le scelte fatte dalle forze che lo sostengono
sono contrastanti col superamento della crisi di stagna-
zione in cui da tempo versiamo.
A cominciare dall’aver compresso la crescita del Pil
con politiche fiscali depressive e aumentato il debito
con spese spesso assistenziali e improduttive.
13 aprile 2020

38
L’allarme della deriva giudiziaria
impietrisce anche Colao

Mentre vediamo dispiegare contro famiglie in ter-


razza gli elicotteri di quelle forze dell’ordine che, sino a
soli sei mesi fa, erano senza benzina per il normale ser-
vizio di pattuglia, nelle sale dei palazzi romani sono in
corso febbrili riunioni per dar avvio al comitato della
“fase 2” guidato da Vittorio Colao.
Il manager Vodafone è stato direttamente interpel-
lato dal Quirinale, che lo ha convinto – dopo una certa
resistenza – ad assumere questa importante responsa-
bilità. A giudizio di alcuni cronisti, l’iniziativa sarebbe
stata più imposta che condivisa dal presidente del Con-
siglio, il quale ha reagito costituendo una folta commis-
sione attorno a Colao sul modello più di un redivivo Cnel
che non di una vera centrale operativa.
Ora, come riferisce Huffington post, sembra che il
comitato debba risolvere in primo luogo un problema:
come tutelare i singoli componenti dalle conseguenze
giudiziarie delle loro future determinazioni. In pratica ri-
cercano la stessa garanzia richiesta a suo tempo da Ar-
chelor Mittal, quando si assunse l’onere della ristruttu-
razione dell’Ilva e che tanta indignazione suscitò presso
le anime belle di media e politici. Il timore, secondo l’ar-
ticolo, “è legato a possibili avvisi di garanzia e

39
procedimenti legali derivanti dall’attività svolta all’in-
terno della task force”.
Tenuto conto della situazione in cui ci troviamo, le
obiezioni avanzate dai membri del comitato aprono un
ventaglio di considerazioni. Innanzi tutto, essi lasciano
trasparire una discrasia di non poco rilievo fra l’appa-
rente convergenza di intenti col governo e la preoccu-
pazione che quest’ultimo non sia nelle condizioni di es-
sere garante di alcunché.
Quasi che ci fosse il sentore di essere esposti a un
tranello, il che la dice lunga sul grado di affidabilità rico-
nosciuto agli interlocutori. Difficile non associare tale
circospezione allo stato di subalternità che i membri
della maggioranza di governo vivono nei confronti di al-
cuni ambienti del cosiddetto circuito mediatico-giudi-
ziario.
In secondo luogo, emerge evidente un problema da
tempo oggetto dei nostri interventi: i modi in cui è ge-
stita la giustizia nel nostro Paese. Poiché l’iniziativa di
indagine dei pm non risponde ad altro criterio se non il
libero convincimento di chi la promuove, non è affatto
improbabile diventare oggetto dell’attenzione di un
qualunque sostituto procuratore.
Se a questo si aggiunge che i tempi per accertare i
fatti sono assai lunghi e che, come dimostra il caso re-
cente della sentenza su Contrada ingiustamente dete-
nuto per anni, il danno subito da inchieste mal condotte
è difficilmente risanabile non meravigliano le cautele ri-
chieste.

40
Ritorna dunque la vera e decisiva emergenza che, da
tempo, l’Italia deve fronteggiare: far sì che l’ammini-
strazione della giustizia si muova in un alveo piena-
mente costituzionale. Va liberato l’ordine giudiziario dai
condizionamenti esercitati in nome non dell’autono-
mia, ma di una volontà egemonica che rischia di offu-
scare il suo fondamentale ruolo di difesa dal sopruso
per farne strumento di contrasto dentro logiche stret-
tamente corporative.
16 aprile 2020

41
42
Le quattro zavorre
dell’azione di governo

Nel suo articolo sul «Corriere della Sera», Angelo Pa-


nebianco ha il merito di aver indicato i fattori che sono
di ostacolo alla ripresa dalla crisi causata dal virus cinese
e che, a un tempo, fanno dell’Italia un’anomalia
nell’ambito delle democrazie. Spirito di fazione, inva-
denza della burocrazia, deriva statalista e il pan-penali-
smo per cui ogni aspetto della vita è ricondotto al diritto
penale, amministrato da settori della magistratura in-
quirente portati a debordare dall’alveo costituzionale,
combinati con uno spirito di fazione alieno dal conside-
rare prioritario l’interesse pubblico, rappresentano per
l’editorialista quattro formidabili zavorre.
Esiste una coincidenza fra questi fattori e la pro-
fonda crisi dell’assetto democratico del nostro Paese,
che l’emergenza in atto ha reso ancor più evidente.
Quanto avvenuto in questi ultimi mesi, per certi versi,
ha riprodotto con un moto accelerato le fasi tipiche
delle trasformazioni intervenute dopo il primo conflitto
mondiale.
Come allora l’irreggimentazione della società, con il
potenziamento del controllo e la riduzione degli spazi di
autonomia imposti per fronteggiare le difficoltà belli-
che, la predispose alle svolte in senso autoritario, oggi

43
stiamo assistendo a ripetuti vulnus delle libertà proprie
di un ordinamento democratico.
Per quanto riguarda la nostra repubblica e la sua ra-
dicata pre-modernità, il fenomeno in realtà dura da
tempo e le situazioni attuali non ne sono che l’estrema
propaggine. Del resto, la condizione italiana oltre che
l’esito di un semi-secolare processo politico che pativa i
guasti del consociativismo, si inserisce nel più generale
contesto di deriva autoritaria registrato ovunque dopo
lo sfumare delle prospettive della globalizzazione, evi-
denziatosi a seguito della lunga parabola discendente
provocata dalla crisi del 2008.
L’attacco alla democrazia è stato condotto con siste-
maticità, a partire dalla riduzione a vassallaggio della
politica rispetto alla finanza globalista, e se ne eviden-
ziavano i contorni già cinque anni fa nel libro-intervista
del direttore Giuseppe Rippa, Alle frontiere della libertà
(Rubbettino). Il territorio a rischio di conflitti devastanti
è rappresentato proprio dalla libertà, di cui ancor di più
oggi si percepisce come sia sottoposta alle minacce che
provengono tanto dai regimi politici verticistici, quanto
dal cedimento e frustrazione delle istanze liberali mai
davvero nutrite e coltivate nel nostro Paese.
Il modo in cui si è intervenuti per affrontare i pro-
blemi dell’epidemia ha dimostrato quanto sia condizio-
nante il peso di burocrazia e corporazioni, che non
hanno esitato a profittare del vuoto politico per inse-
diarsi con le loro determinazioni.
Il grande assente è stato il Parlamento, di fatto
esautorato e auto-esclusosi dall’esercitare un

44
qualunque ruolo. Si sente la mancanza di un leader
come Marco Pannella che, in altri momenti critici della
nostra storia recente, seppe se non altro dare testimo-
nianza della difesa estrema, di fronte all’intimidazione
esercitata da poteri fuori controllo: ricordiamo tutti le
auto-convocazioni del cosiddetto Parlamento degli in-
quisiti.
Oggi dall’opposizione non proviene alcun segnale
degno di nota, dal momento che, al pari delle forze di
maggioranza, essa dà mostra di quanto stordita e con-
fusa appaia la classe politica nel suo complesso denu-
trita com’è di una effettiva capacità di governance.
La miriade di componenti di task force di consulenti
(oltre 450 stando ad alcuni calcoli) costituite dal go-
verno, in assenza di un indirizzo e di una reale capacità
gestionale, appaiono più dei comitati pletorici utili a
dare rappresentanza delle velleità e a posizionarsi negli
equilibri di potere che non altro.
Così come enormi varchi si sono aperti per le in-
fluenze di soggetti oggi esonerati dal rispondere a chic-
chessia del loro operato: lo dimostra la vicenda del rin-
novo delle nomine di enti come Finmeccanica, dove gli
spostamenti sono serviti – come riferisce su «la Repub-
blica» Giuliano Foschini – per risolvere contese dal sa-
pore feudale all’interno degli uffici preposti alla sicu-
rezza.
Altrettanto preoccupanti sono le ripetute incursioni,
di natura fintamente tecnocratica, nel dibattito pub-
blico, riguardino queste la situazione delle carceri o le
strategie da seguire per la prossima ripresa. Da esse non

45
proviene mai una indicazione rivelatrice di una sincera
volontà risolutiva dei problemi, ma piuttosto la pro-
terva rivendicazione di un ruolo egemonico. Lo stato
delle istituzioni appare così quanto mai esposto a un
preoccupante anarchismo baronale, che potrebbe sfo-
ciare in forzature e accelerazioni dagli esiti imprevedi-
bili.
21 aprile 2020

46
Dietro le dissimulazioni del governo
solo misure inefficaci e subalternità

Nelle stime del Ministero dell’Economia, dopo il loc-


kdown imposto per contenere la diffusione del virus ci-
nese, si prevede che il prodotto interno lordo italiano
diminuisca nel 2020 dell’8 per cento. Né sembra che le
misure finora adottate pongano davvero rimedio agli
effetti di tale fosca prospettiva, dal momento che, come
può leggersi sul «Sole 24 ore», le domande pervenute
dalle imprese per accedere ai prestiti delle banche ga-
rantiti nel decreto “Cura Italia” sono duemila.
A dimostrazione, forse, che le condizioni vanno
tutt’altro che in direzione di favorire la liquidità, risul-
tando piuttosto motivo di cautela e preoccupazione da
parte dei richiedenti, se è vero che il peso delle commis-
sioni bancarie potrebbe raggiungere anche l’11,6% del
credito utilizzato.
Quella che va profilandosi all’orizzonte non è dun-
que una crisi economica congiunturale, ma secondo
quanto scrive Stefano Folli può avere l’effetto di “una
guerra perduta, le cui ombre si allungherebbero sull'as-
setto politico-istituzionale”. Se le conseguenze con le
quali doversi confrontare sono paragonabili a quelle
dell’immediato dopoguerra, non disponiamo però di
una classe politica dove figurino personalità capaci di

47
farsi portatori di una visione come avvenne ai tempi di
De Gasperi.
Giungiamo a questo difficile tornante della nostra
storia già sfibrati da anni di politiche economiche de-
pressive e male attrezzati dal punto di vista dell’effi-
cienza del nostro impianto istituzionale, sabotato dalla
deriva corporativa che di fatto ha espanso il suo potere
di condizionamento prescindendo da qualunque capa-
cità di governo reale delle situazioni. È il risultato
dell’abdicazione della politica, che almeno dal 1989 in
avanti non ha saputo individuare un percorso con il ve-
nir meno dell’ordine mondiale post-Yalta.
Il tracollo dei partiti di governo della prima Repub-
blica, vissuto dall’opposizione post-comunista come
l’occasione per farsi unico referente politico delle élites
dominanti, ha dato la stura allo tsunami dell’anti-poli-
tica e permesso la completa lacerazione di un tessuto
sociale già gravemente compromesso.
Oggi il PD, sostenuto dalla tela di intrecci sindacal-
burocratico-corporativi, reagisce alla crisi limitato dalla
sua oggettiva condizione di subalternità che gli impedi-
sce di svincolarsi da un’impostazione di politica econo-
mica basata sul “tassa e spendi”, dove l’unica variante
consiste nell’ordine delle due azioni: quando ha di
fronte la possibilità di durare al governo spende senza
badare al “chi paga”, mentre in vista dell’estromissione
dal governo crea vincoli soffocanti per la crescita.
Nell’attuale dialettica interna alla maggioranza col
M5S, la situazione è alquanto più complicata ma non si
distoglie più di tanto da questa dualità. Tutt’al più

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rispolverano i chimerici fasti di uno statalismo, i cui gua-
sti sono all’origine del capitalismo assistito e monopoli-
stico alieno dal libero mercato che ci contraddistingue,
nell’illusoria pretesa di ridistribuire un reddito senza
preoccuparsi di favorirne la produzione.
Altrettanto duale è l’approccio che la classe politica
nel suo complesso ha nei confronti dell’UE. Due sono
infatti i modi di concepirla e di rapportarsi con essa:
quello dell’appeasement e quello di un sano, proficuo
conflitto che dal dialogo e dal confronto sappia trarre i
termini di una convivenza tra pari. Onestà intellettuale
vorrebbe che ai due modi si riconosca una uguale rispet-
tabilità, mentre così non è presso la generalità dei me-
dia e l’establishment.
Se il primo modo mira a ottenere il massimo dentro
i trattati esistenti, senza metterli in discussione; il se-
condo parte dalla presa d’atto che per la ripresa è prio-
ritario rivedere quei trattati, che fra l’altro hanno mor-
tificato nel corso dell’ultimo quarto di secolo il grande
progetto dei padri fondatori dell’unità politica dell’Eu-
ropa.
Entrambi evidentemente sono sottoposti all’aura
del rischio, ma andrebbe riconosciuto se non altro che
dell’appeasement prono alle direttive comunitarie co-
nosciamo, in questi decenni, gli esiti: un PIL asfittico, ri-
petutamente vessato da misure deprimenti che, d’altra
parte, non sono nemmeno riuscite a contenere l’au-
mento della spesa pubblica e del debito conseguente.
Difficile dunque accreditarlo come risolutivo di una
crisi che si annuncia quanto mai destrutturante di interi

49
sistemi di vita e che minaccia di allargare enormemente
le aree di povertà ovunque. Da più parti si richiede
all’UE di compiere un vero e proprio ripensamento della
strategia fin qui prevalente, considerando come ha ri-
cordato «Der Spiegel» che dalla risposta che si darà di-
pende la stessa esistenza dell’UE. A meno che non vi sia
chi, fra gli Stati più forti, non pensi sia giunto il tempo di
soprassedere dal percorso cominciato coi Trattati di
Roma.
Non vogliamo crederlo, anche se le conclusioni del
vertice europeo del 23 aprile sono all’insegna dell’at-
tendismo e al governo italiano tocca appendersi ai due
aggettivi – “urgente e necessario” – strappati a qua-
ranta giorni dal precedente vertice del 16 marzo e rela-
tivi a un ipotetico varo di “recovery fund”.
Non molto, soprattutto dal punto di vista della
chiarezza di intenti perché nulla è detto circa l’entità
delle cifre da impegnare e tanto meno le scadenze tem-
porali. Per questo convince poco il compiacimento di
Gianfranco Pasquino, che evidenzia nel premier Giu-
seppe Conte l’ennesima metamorfosi da “avvocato del
popolo” a “pubblico ministero” di una Unione accusata
di inadempienze: ammesso sia vero, non ha condotto
ad alcuna condanna esecutiva né a un effettivo ripen-
samento dei fondamentali della tecnocrazia europea. Il
dilemma fra prestiti e investimenti a fondo perduto non
è stato sciolto, tant’è che la Spagna ha onestamente ri-
conosciuto che la sua proposta in favore dell’emissione
di un’obbligazione perpetua garantita da tutti i Paesi
membri non è stata accolta.

50
Uguale chiarezza non è emersa nelle dichiarazioni
del presidente del Consiglio italiano dopo il vertice eu-
ropeo, come pure dai resoconti giornalistici per lo più
propensi a rimarcare svolte epocali forse più utili alla
dialettica dentro i partiti di maggioranza che non alla
rappresentazione della realtà data.
E proprio qui si inserisce il tema della profonda de-
bolezza del quadro politico odierno, evidenziato anche
dal mancato voto in Parlamento alla vigilia del vertice,
sostituito da una generica informativa del governo.
Quest’ultimo è fondato su una maggioranza assem-
blata più per non fare che per fare e ciò costituisce un
limite drammatico, aggravato oggi dalle decisioni as-
sunte in stato di eccezione rispetto al nostro ordina-
mento costituzionale. Uno stato di eccezione che va al
più presto superato, riportando alla vita normale non
solo i cittadini ma le istituzioni e i partiti. Sempre che si
voglia continuare a vivere in una democrazia liberale.
26 aprile 2020

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52
L’emergenza virus usata per deturpare
l’ordinamento democratico

È bastato che nel dibattito al Senato Matteo Renzi


pronunciasse il suo discorso di “penultimatum” alla
maggioranza che sostiene il governo, perché giuristi e
personalità delle istituzioni (Zagrebelsky, Cartabia) che
pure avevano mosso osservazioni critiche sulla legitti-
mità costituzionale dei provvedimenti emanati dal pre-
mier Conte innestassero una rapida retromarcia. A di-
mostrazione di quanto certi pronunciamenti vengano
utilizzati da opportunismi strumentali che non rispec-
chiano l’espressione di radicati convincimenti, fondati
davvero sulla difesa dello Stato di diritto e dei principi
democratici.
Il che non deve meravigliare più di tanto, tenuto
conto di come in passato la stessa Corte costituzionale
si sia distinta nel plasmare a proprio piacimento il det-
tato della Legge fondamentale: basti pensare alle sen-
tenze sui referendum, adattate ai bisogni degli equilibri
politici del momento prescindendo dalle considerazioni
di merito. Oggi, di fronte a possibili dinamiche d’azione
parlamentare e a possibili riprese d’iniziativa dei sog-
getti politici, scatta l’allarme generale e, nel completo
rovesciamento della realtà, la generalità dei media – a
cominciare dai giornali più simili a guardie pretoriane di

53
Cesare che non a libere tribune – attribuisce a ciò il mar-
chio infamante del “golpismo di palazzo”.
Ad avere deturpato il volto del nostro ordinamento
democratico è stata un’abile gestione della comunica-
zione del virus, che è stato “usato” così come furono
usate altre emergenze allo scopo di incuneare leve nor-
mative e far assimilare dalla collettività una rappresen-
tazione dove si dà un enorme spazio di manovra a pochi
centri decisionali.
Fondamentale per questo è stata la lettura volta a
descrivere la situazione creatasi come unica ed eccezio-
nale, a dispetto di una minima consapevolezza storica
che avrebbe invece rivelato la possibilità di ben altro
tipo di reazione ad essa. Senza riandare alle pestilenze
medievali, basterebbe considerare quanto diverso fu il
comportamento in occasione del diffondersi dell’AIDS
che falciò negli anni Ottanta milioni di persone, ma non
determinò alcuna restrizione delle libertà individuali
imposta per decreto.
Chi si è trovato occasionalmente al governo dell’Ita-
lia non ha fatto altro che prestarsi supinamente a que-
sta rappresentazione, che probabilmente risponde a un
disegno strategico di molta più vasta portata teso a rea-
lizzare una profonda destrutturazione sistemica. Di essa
si vedranno a breve i drammatici risultati sul piano eco-
nomico, accelerati – quanto volutamente? – profit-
tando della dichiarata pandemia da Coronavirus: intere
filiere produttive compromesse, decrescita industriale
e riduzione all’inattività di grandi masse di popolazione,
affidate solo ai sussidi pubblici.

54
Fatto sta che la maggioranza attualmente al go-
verno vi ha corrisposto in pieno e l’agenda dettata dai
5Stelle è stata finora accettata e sottoscritta dal PD,
tanto che le indicazioni proposte sono tutte nel segno
dell’assistenzialismo e della conseguente mortifica-
zione di ogni iniziativa autonoma.
Una strada che presto si interrompe e ci lascia in un
pantano nel quale si affonda come nelle sabbie mobili.
Per questo è urgente invertire la marcia e non basta
certo esprimere semplici richiami, come è stato fatto
dal Presidente della Repubblica che, pure, non ha po-
tuto fare a meno di rilevare come siano “necessarie in-
dicazioni, ragionevoli e chiare, da parte delle istituzioni
di governo”, confermando così che quelle emanate sino
ad oggi non lo sono state.
Né ragionevoli, né chiare: funzionali piuttosto a per-
durare nello stato di incertezza e soprattutto a preser-
vare un’area di assoluta discrezionalità nell’applica-
zione che sconfina nell’arbitrio.
3 maggio 2020

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Il “decreto scarcerazioni” infiamma
la polemica sulla giustizia

La polemica divampata attorno alla telefonata che il


pm Nino Di Matteo ha fatto durante la trasmissione Non
è l’arena di La7, per il momento, è stata trattata dall’in-
formazione al pari di una improvvisa fiammata subito
soffocata. Secondo il membro del CSM, già procuratore
in Sicilia, le decisioni sulla nomina nel 2018 del direttore
del Dipartimento amministrazione penitenziaria sareb-
bero state in qualche modo condizionate dai mafiosi.
Da alcune note informative della polizia penitenzia-
ria, ha raccontato Di Matteo, risulterebbe la reazione di
alcuni capi mafia detenuti all’indiscrezione che il mini-
stro Bonafede aveva offerto al magistrato l’incarico di
direttore del Dap e il giorno dopo tale incarico sfumò
nel corso di un colloquio con il Guardasigilli. Un’affer-
mazione insidiosissima che ha lasciato strabiliato il mi-
nistro dei 5Stelle alla Giustizia, il quale – va rammentato
– è il solo responsabile dei dicasteri di peso ad aver con-
servato l’incarico che ricopriva nel precedente governo
M5S-Lega guidato sempre da Giuseppe Conte, a dimo-
strazione della rilevanza del suo ruolo politico nella
compagine pentastellata.
In effetti, a colpire di più in questo caso è il divario
– davvero strabiliante – fra la gravità dell’accusa e

57
l’inconsistenza o, se vogliamo usare un altro termine, la
debolezza delle reazioni sia da parte dei politici, sia da
parte dei media visto che una notizia del genere è stata
data con poche parole nei servizi tg o relegata in pagine
interne.
Se si pensa che solo un anno fa, agli inizi di maggio
2019, sulla base di intercettazioni che, soltanto de re-
lato e per di più senza riscontro effettuale, coinvolge-
vano il sottosegretario Siri, il presidente del Consiglio
Conte dimostrò un’immediata sensibilità e non esitò a
revocargli l’incarico, non può non risaltare il silenzio che
lo ha invece contraddistinto in questa occasione.
Stavolta l’episodio rimarchevole ha come fonte di-
retta un magistrato componente del CSM, che pubbli-
camente in tv riferisce di un cambiamento di decisione
da parte di un ministro e offre una spiegazione dai con-
torni inquietanti. Nella sua replica, sempre nel corso
della trasmissione televisiva, il ministro conferma la se-
quenza dei fatti raccontata da Di Matteo, ribadendo con
forza che non è nemmeno pensabile che il suo ripensa-
mento sia dovuto a pressioni di alcun tipo. E tuttavia
non fornisce alcuna motivazione del perché quella
prima scelta sia stata da lui abbandonata, aggiungendo
– in modo sibillino – che quella di Di Matteo “è una per-
cezione legittima”.
Quali che siano gli aspetti reconditi di questa vi-
cenda, occorre rilevare con forza come è assolutamente
impensabile che rappresentanti delle istituzioni ab-
biano potuto consumare il confronto su temi di estrema
delicatezza nello spazio del tutto improprio degli studi
televisivi di Giletti. Ciò dà il segno di un logoramento
58
estremo delle relazioni fra i soggetti istituzionali, la cui
inerzia nel reagire è l’espressione più manifesta e dram-
matica.
Di essa si può dire che rischia di essere, nell’attuale
contesto di frammentazione e debolezza politica, l’en-
nesimo tassello del disequilibrio dei poteri intervenuto
nell’ultimo venticinquennio. È dal 1992 che gli snodi cri-
tici della nostra storia sono stati contrassegnati
dall’azione intrapresa in alcune procure, determinando
non solo giudiziariamente ma anche politicamente il de-
corso successivo.
Giancarlo Caselli attribuì apertamente alle inchieste
su mafia e corruzione la caduta della prima Repubblica,
ma ugualmente è avvenuto con altri passaggi decisivi:
nel 1995 con l’avviso di garanzia a Berlusconi, che portò
alle dimissioni del suo primo governo uscito dal suc-
cesso del centrodestra nelle elezioni del 1994; nel 2006,
quando mentre stava per nascere il Partito Democra-
tico, l’inchiesta Unipol ne condizionò la formazione, co-
stringendo sulla difensiva i leader dei Ds rispetto alla
componente cattolica della Margherita; poi ancora nel
2008 l’indagine Why not portò prima alle dimissioni del
ministro di Giustizia Mastella e quindi alle dimissioni del
secondo governo Prodi; per finire con la telenovela dei
processi milanesi sulle “cene galanti” del premier Berlu-
sconi, fiaccandone definitivamente le forze in prossi-
mità della crisi dovuta allo spread del 2011.
6 maggio 2020

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Dal governo del non fare
nessun impegno in termini di verità

I tre voti su dieci che, alle elezioni del 2018, il Movi-


mento 5 Stelle ha ottenuto lo hanno reso il perno delle
alleanze politiche in questo Parlamento. Nell’arco di
due anni ciò ha condotto alla formazione attorno ad
esso di due maggioranze diverse, con finalità opposte
fra loro sul piano dell’azione di governo, se non altro in
termini di rapporto con le basi sociali alle quali un go-
verno risponde. È emersa così evidente la sua natura
prevalentemente strumentale e opportunistica, che or-
mai stenta ad essere occultata dietro il proclamato con-
tinuismo degli intenti perseguiti.
Passando dall’euroscetticismo degli esordi al soste-
gno acritico per la commissione presieduta da Ursula
von der Leyen, scaturita dalla torsione imposta dall’asse
franco-tedesco al progetto europeo; dal movimentismo
alla preoccupazione ossessiva per garantirsi postazioni
negli apparati pubblici (Inps, Sace) per finire alla disa-
strosa gestione della giustizia, con le polemiche odierne
tra il ministro Bonafede e il pm Di Matteo, i penta stel-
lati hanno mutato non solo l’alleanza ma i riferimenti
essenziali per cui raccoglievano il consenso ed è questa
la vera ragione della disaffezione di tanti ex votanti già
registrata alle elezioni europee: ragione ignorata dai
loro gruppi dirigenti.
61
Tutto questo potrebbe rientrare nell’ordine delle
cose di una politica screditata agli occhi dei cittadini, ma
in realtà testimonia come il M5S non sia altro che la pro-
paggine ultima del suo processo degenerativo e non
contenga affatto i requisiti di una reale alternativa di
quella che un tempo si definiva come partitocrazia.
Una volta riconosciuti come collocati nel solco del
continuismo rispetto al sistema di potere fondato sulle
oligarchie di natura corporativa, diventa impossibile
aspettarsi dai 5Stelle una qualunque spinta dinamica a
un cambiamento. Oltre al fatto decisivo che l’impronta
che essi imprimono alle determinazioni governative le
rende quanto mai distanti dai bisogni del Paese in que-
sto momento così critico, rispondendo a logiche assi-
stenziali che comportano piuttosto il soffocamento
delle sue capacità di reagire.
Credere che i problemi possano risolversi con la re-
distribuzione di risorse, senza preoccuparsi della loro
produzione, è un clamoroso abbaglio determinato
dall’aderenza al passato che non piuttosto da una disa-
mina delle necessità future.
Il fatto che anche il PD assecondi tali scelte non fa
che confermare quanto esso sia lontano dall’aver af-
frontato la questione liberale, realizzando su un fronte
di retroguardia conservatrice l’incontro con il movi-
mento di Beppe Grillo.
Lo prova l’atteggiamento assunto verso il mondo
delle imprese, ispirato da una pervicace volontà a
creare ostacoli anziché contribuire a tirarle fuori
dall’impasse in cui si trovano: ostacolare la produzione,

62
caricarle di ulteriori oneri e impedire i prestiti non può
certo dirsi lungimirante. Senza contare che la riduzione
delle entrate fiscali conseguente finirà per avere riper-
cussioni anche sulle uscite fisse dello Stato, portando a
misure restrittive di riduzione dei servizi e delle dispo-
nibilità indipendentemente dagli obblighi imposti sul
piano finanziario da ipotetiche troike.
Per di più, la debolezza intrinseca degli equilibri in-
terni all’attuale maggioranza comporta un sostanziale
immobilismo. Proprio perché fare è esiziale per la so-
pravvivenza del governo Conte 2, non fare o quanto
meno limitarsi a far finta di fare costituisce il suo per-
corso privilegiato. Soltanto che questo non è affatto
privo di conseguenze nella situazione data. Da qui la
priorità che dovrebbe avere, in questa fase, il riconside-
rare gli assetti politici in Parlamento e difatti le crona-
che registrano l’agitarsi di politici e istituzioni in questa
direzione.
Non sappiamo se, a breve, ciò sarà possibile e se le
prossime delibere alle quali sarà chiamato il Parlamento
potranno rappresentare un’occasione per ricollocare gli
schieramenti al suo interno. Ad essere sicuramente ne-
cessario è che da parte della politica si manifesti un ef-
fettivo impegno per palesare in termini di verità la con-
dizione in cui ci troviamo. Finora, specialmente dall’in-
terno di questa compagine governativa, è venuto il con-
trario, diffondendo a piene mani una vuota propaganda
attraverso uno spregiudicato uso dell’informazione che
a questo si è prestata volontariamente, a conferma
della sua intrinseca natura subalterna.
10 maggio 2020
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L’alleanza statalista PD-5stelle
motore di un processo restaurativo

A dispetto della sequenza numerica che in Italia


conta le “repubbliche” in base ai cambiamenti di si-
stema di voto, per cui dalla seconda del bipolarismo
maggioritario saremmo passati alla terza delle coalizioni
post-voto dell’ibrido modello attuale, in realtà siamo
ancora nel pantano dei liquami prodotti dalla dissolu-
zione della prima repubblica fondata sui partiti del post-
Yalta. Il problema è che le classi dirigenti affondano in
queste sabbie mobili e non dimostrano alcuna vera co-
gnizione dello stato in cui il Paese si trova.
Tant’è vero che, anche di fronte all’evidenza della
crisi che si trascina almeno da venticinque anni, con il
suo portato di crescita asfittica e fragilità sistemica ben
manifesta dalle crepe apertesi nei rapporti tra le istitu-
zioni, esse persistono tetragone nel riproporre le loro
risposte fondamentalmente restaurative - come ripete
il direttore di «Quaderni Radicali» e «Agenzia Radicale»
Giuseppe Rippa -, nell’illusione di difendere a oltranza
interessi ormai in palese contrasto con le condizioni ge-
nerali sia interne che internazionali.
Lo si vede anche nelle odierne circostanze, con gli ef-
fetti devastanti provocati dalla diffusione del virus ci-
nese sulla struttura sociale ed economica. Su fronti

65
diversi – dalla politica all’economia e all’informazione –
registriamo l’evidenza di un idem sentire caratterizzato
dalla riproposizione di schemi, modelli interpretativi e
assetti di potere accomunati dalla convinzione, a nostro
avviso del tutto infondata, che si possano sostanzial-
mente conservare le modalità di gestione del passato.
Se consideriamo, ad esempio, le indicazioni preva-
lenti nel dibattito politico notiamo come sia in atto un
formidabile attacco rivolto contro i principi liberali, per
sostenere un interventismo pubblico che si colloca in
realtà sulla scia dell’invadenza pervasiva da considerarsi
la causa prima della compressione subita dalla società
italiana.
Se ne è fatto promotore esplicito Goffredo Bettini,
da molti considerato in qualche modo lo stratega
dell’alleanza oggi al governo del Paese. La soluzione in-
dicata muove dall’attribuire al liberalismo le degenera-
zioni della finanziarizzazione globale: un espediente
fuorviante, dal momento che essa è tutto fuorché ispi-
rata da criteri liberali.
Il cosiddetto turbocapitalismo finanziario, poten-
ziato dal globalismo delle multinazionali del digitale, è
piuttosto l’espressione di un indirizzo fondamental-
mente autoritario teso a ridurre gli spazi della democra-
zia partecipata.
Una volta imposta questa lettura deformata, è poi
facile innestare una finta polemica contro la pretesa de-
riva liberista. Peccato che in Italia questa non abbia mai
avuto modo di manifestarsi, rimanendo piuttosto vero
che il nostro Paese è stretto dai vincoli corporativi e

66
dalla presenza invasiva e bloccante di apparati burocra-
tici e sindacali. Pensare di impostare l’ipotesi di un suo
rilancio consegnandolo alla gestione di questi apparati,
è come legargli una pietra al collo prima di spingerlo nel
fiume.
In questo senso, l’impostazione prevalente presso i
partiti della maggioranza attuale – con il M5S che si ri-
vela come la proiezione costruita a tavolino del pro-
cesso restaurativo – è quanto mai contrastante con le
necessità reali emergenti dall’attuale contesto.
Sul piano economico ne deriva la continuità col pas-
sato, contraddistinto dall’incremento del debito pub-
blico allo scopo di anestetizzare la società a colpi di as-
sistenzialismo. Una strategia che pregiudica irrimedia-
bilmente le possibilità di sviluppo e investimento, per
privilegiare una redistribuzione di risorse di fatto impro-
duttiva e destinata a provocare uno sconquasso sociale,
nel momento in cui ai disoccupati cronici si aggiunge-
ranno anche quanti saranno estromessi dal circuito
commerciale e imprenditoriale perché impossibilitati a
durare per le politiche anti-impresa adottate.
In tale situazione, assistiamo intanto da parte dei
grandi protagonisti della finanza nostrana a un generale
riassetto delle posizioni con FCA di Elkann, sostenuta da
Banca Intesa, mentre in Mediobanca si profila la scalata
di Del Vecchio.
Anche questi sono segnali di un processo restaura-
tivo, che mira a preservare un controllo più stringente
sull’informazione quale strumento di condizionamento

67
nelle scelte e che evidentemente fa le sue mosse in vista
di una ricollocazione entro gli equilibri internazionali.
Resta da vedere quanto risulteranno efficaci tali risi-
stemazioni, se di qui a qualche mese gli effetti della crisi
in atto minacceranno la stessa coesione sociale e terri-
toriale. Il timore è che l’avvitamento delle classi diri-
genti e politiche finisca per portare a un immobilismo
inerte, cosicché si determini una condizione di caos in-
sostenibile per il Paese.
3 giugno 2020

68
Scuola: dagli allarmi all’esame “burla”
senza capacità di visione

Sulle prospettive del premier Conte, Stefano Folli os-


serva che la sua debolezza dipende dal fatto che “il go-
verno 5Stelle-Pd ha dimostrato finora di non saper guar-
dare verso un orizzonte lungo”. Di conseguenza, se in-
tende proseguire a svolgere un ruolo da protagonista il
presidente del Consiglio deve puntare soprattutto su se
stesso e sfruttare il vantaggio di poter calamitare su di
sé ipotetici consensi elettorali.
Quanto sia vero che i ministri hanno dimostrato
un’evidente incapacità di visione e una disarmante
sprovvedutezza di fronte ai problemi lo si vede in modo
rilevante nell’ambito della scuola.
Sabato 6 giugno il decreto sulla scuola è passato con
soli 245 voti a favore, a dimostrazione che molto meno
della metà dei deputati è stata convinta dalle scelte
operate nel ministero guidato da Lucia Azzolina. Per lo
più esse sono il risultato del lavoro del comitato di
esperti insediato dal Ministero che, a fronte del numero
pletorico di componenti (oltre un centinaio), si distin-
guevano per non avere tra loro persone interne al
mondo scolastico.
Emblematica, in tal senso, la decisione di svolgere
gli esami di Stato operata in assenza di un reale
69
confronto e caratterizzata da una ottusa aderenza alle
procedure formali, senza che da marzo a maggio si sia
riflettuto sulla sua effettiva indispensabilità.
Anziché prendere atto dell’anacronismo di un
esame da tempo screditato, che non fa alcuna vera se-
lezione (il 99% dei candidati lo supera), e quindi proce-
dere al suo definitivo superamento a partire proprio
dalla situazione eccezionale determinatasi, si è deli-
neato un percorso ibrido dove si è dato valore a un
esame “burla”, con elaborati individualizzati che gli stu-
denti svolgono a casa e che saranno oggetto di un col-
loquio al termine del quale è rilasciato comunque un di-
ploma pari a quelli conseguiti da chi ha svolto due prove
scritte nazionali.
L’insensatezza di tutto ciò salta agli occhi, tanto più
che per realizzare l’impresa occorre una complicata ge-
stione di spazi e persone per rispettare le prescrizioni
sanitarie tuttora in vigore. Sembra più una sperimenta-
zione a spese di attempati docenti, i quali si autocertifi-
cheranno non infetti senza saperlo davvero, esone-
rando l’amministrazione pubblica da ogni eventuale re-
sponsabilità. Dopo settimane di allarmi, pare incredibile
che ci si esponga a inutili rischi per un obiettivo franca-
mente risibile come lo svolgimento di un esame di tal
fatta.
Così come viene da domandarsi come mai, dopo
tanta retorica sulla didattica on line, quando si presenta
la volta buona per sperimentare un esame vero sulle
piattaforme informatiche si decida di soprassedere.

70
Eppure, da tempo è finanziato l’INVALSI, l’istituto
nazionale di valutazione, che ogni anno effettua prove
on line su base nazionale in tutti gli istituti secondari: se
si riteneva indispensabile svolgere una prova d’esame,
non sarebbe stato più serio effettuarla fornendo un pin
a ciascun candidato per svolgerla in un tempo determi-
nato e con criteri uniformi? Si è preferito invece scari-
care ogni onere e responsabilità su presidi e corpo do-
cente, con la conseguenza di creare una situazione di
enorme disparità sia rispetto agli studenti dell’anno
passato che di quelli futuri.
La vicenda dell’esame di Stato dimostra l’assenza di
una visione circa le riforme che richiede il mondo della
scuola. Ci si è appiattiti nella mera gestione di incom-
benze burocratiche, senza prefigurare alcun vero dise-
gno innovatore come confermano del resto anche le al-
tre norme contenute nel decreto approvato sul recluta-
mento dei docenti.
Perseverare nelle direttrici del passato, non è certo
quello che serve per risollevare il nostro sistema forma-
tivo: occorre al più presto un deciso scarto che rimetta
in discussione norme e indicazioni che sono la causa
prima del degrado in cui versa.
7 giugno 2020

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72
Lo stallo politico contrasta
con le urgenze del Paese

Gli attuali protagonisti della scena politica italiana si


trovano in un’evidente situazione di stallo. Ciò vale
tanto per la maggioranza, quanto per le opposizioni.
Tale situazione deriva soprattutto dai “paletti” tempo-
rali che sono stati presi come riferimento. In partico-
lare, il Partito Democratico, quando ha accettato di en-
trare in coalizione con il Movimento 5 Stelle, lo ha fatto
da un lato per evitare il ritorno alle urne e, dall’altro, per
far sì di condizionare da posizione di forza la prossima
elezione del Capo dello Stato.
Tuttavia, essendo quest’ultima fissata tra due anni,
con la crisi determinata dall’emergenza Covid19 e i suoi
devastanti effetti sull’economia, allungare sino al 2022
l’inazione di un governo soffocato dai veti e dall’impos-
sibilità di assumere decisioni diventa quanto mai impra-
ticabile.
Ugualmente, nel centro-destra la posizione di Lega e
Fratelli d’Italia che si collocano sulla trincea del voto po-
litico prima possibile – addirittura in concomitanza con
l’election day fissato per il referendum costituzionale e
le amministrative – appare ben poco plausibile. In
primo luogo perché un po’ tutti i parlamentari sono re-
stii dall’anticipare la fine della legislatura e, in secondo

73
luogo, perché com’è noto lo scioglimento delle Camere
è nella disponibilità del solo Presidente della Repub-
blica.
E al Quirinale sembrano siano tutt’altro che propensi
dal farlo: quasi sicuramente, anche a fronte degli impe-
gni da assumere nei confronti dell’Unione Europea per
risolvere la trattativa sui sostegni agli investimenti per
uscire dalla crisi, nel caso si opererà per evitare il voto
anche ricercando nuove combinazioni di alleanze in
grado di dare fiducia al governo.
È in questo contesto che si trovano ora le forze poli-
tiche. Da qui i boatos sui contatti fra Conte e Berlusconi,
i passaggi da un gruppo parlamentare all’altro e gli at-
triti nemmeno più smentiti all’interno della compagine
ministeriale. La condizione determinatasi ha caratteri
accentuati di precarietà e potrebbe facilmente sfuggire
al controllo degli stessi politici coinvolti. Da parte sua
l’opposizione che il 4 luglio manifesta a Roma, qualora
prevalessero le posizioni di Meloni e Salvini, insiste
sull’opzione del voto subito; mentre il Movimento 5
Stelle, interessato a evitarlo a ogni costo, di fronte alle
manovre in atto potrebbe anche finire per far precipi-
tare la situazione e così favorire la conclusione
dell’esperienza di governo con il PD e Italia viva di Renzi.
Quali spazi ci siano per dar vita a soluzioni alterna-
tive in questa legislatura è tutto da vedere. Ma è difficile
possano prendere corpo in assenza di un’iniziativa di-
versa da parte del PD. Quest’ultimo non pare in grado
di prospettare una strategia risolutiva dell’impasse, an-
che a causa delle divisioni interne e dell’assenza di vi-
sione che contraddistingue la sua dirigenza oramai
74
preoccupata soltanto di preservare il controllo delle po-
stazioni assunte nell’ambito degli apparati pubblici, isti-
tuzionali e finanziari che siano.
Nondimeno tale intento, puramente conservativo se
non restaurativo, contrasta inevitabilmente con le ur-
genze imposte dalla crisi occupazionale e produttiva
che manifesterà i suoi drammatici effetti di qui a pochi
mesi. Più che mai il tempo odierno obbliga a una decisa
inversione di rotta rispetto alle coordinate che hanno
fin qui caratterizzato una politica che patisce l’assenza
di metodi e soluzioni liberali.
4 luglio 2020

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76
Su autostrade uno scambio svantaggioso
che Conte cela con la retorica

A proposito della conclusione della vertenza con la


società Atlantia, della famiglia Benetton, azionista prin-
cipe di Autostrade per l’Italia (Aspi), il presidente del
Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato: “È successo
qualcosa di assolutamente inedito nella storia politica
italiana . È stata scritta una pagina inedita della nostra
storia. L’interesse pubblico ha avuto il sopravvento ri-
spetto a un grumo ben consolidato di interessi privati .
Ha vinto lo Stato. Hanno vinto i cittadini”.
Non sappiamo quale lotteria abbiano vinto i citta-
dini, con questo accordo. A parte l’enfasi retorica alla
quale Conte ci ha ormai abituati, con le ridondanze e le
ripetizioni tipiche dei pedanti descritti magistralmente
da Giordano Bruno, quello che è successo non è affatto
inedito. Al contrario, ripete un percorso ben collaudato
nel rapporto tra amministrazione statale e privati, con-
traddistinto dal motto “privatizzare i profitti e socializ-
zare le perdite”.
Se riandiamo al 14 agosto di due anni fa, quando
tutta la vicenda è iniziata con i 43 morti provocati dal
crollo del ponte Morandi, i termini del problema pos-
sono così definirsi. Il ponte non è crollato perché colpito
improvvisamente da un meteorite, ma a causa della

77
mancata manutenzione che spettava al suo gestore e
cioè appunto Atlantia.
Sul piano del diritto civile la responsabilità è chiara:
se un ponte è mal progettato, o ha una cattiva manu-
tenzione, o addirittura è pericolante, il gestore ha il
compito di chiudere l’accesso, di ripararlo o di abbat-
terlo. Nessuna di queste cose è stata fatta. Quanto al
“controllore” del gestore, il Ministero di infrastrutture e
trasporti, ha anch’esso la sua responsabilità e – dal
punto di vista politico – va ripartita fra quanti hanno go-
vernato nel corso di questi anni.
Dopo la tragedia, invece, tutto è stato “buttato in
caciara” mescolando responsabilità civile e penale, con-
fondendo le acque con polemiche ad arte, al solo scopo
di pervenire alla soluzione che è stata varata oggi.
Soluzione che era l’esito al quale si mirava sin
dall’inizio, con il preciso intendimento di evitare l’emer-
sione delle responsabilità come pure la giusta attribu-
zione delle sanzioni economiche. È stato tutto un succe-
dersi di dichiarazioni roboanti, si è scomodata l’etica, si
è imbastito uno scontro politico e giudiziario, ci si è tra-
vestiti da giustizieri e si sono usati i morti di Genova, per
raggiungere lo scopo prefissato: salvare il business e il
patrimonio degli azionisti di Atlantia, fra i quali – ricor-
diamolo – ci sono la tedesca Allianz e la cinese Belt and
Road Initiative.
A questi azionisti, infatti, dopo la cessione della
maggioranza allo Stato rimane un 37%, di cui l’11% con-
tinuerà ad essere direttamente nella disponibilità della
famiglia Benetton, che potrà farlo fruttare quando la

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nuova società sarà collocata in Borsa e, contempora-
neamente, riduce il suo stato debitorio in Aspi da 5 a 3
miliardi. Quello che viene presentato sui media come
un esproprio è, dunque, quanto mai vantaggioso e, per
riprendere l’espressione di Alessandro Di Battista, tante
altre società forse gradirebbero “prendersi questi
schiaffi”.
Nessun colpevole e nessun risarcimento, a parte
qualche eventuale capro espiatorio del processo penale
che si concluderà fra qualche lustro. In cambio Atlantia,
svincolandosi dalla maggioranza su Autostrade, si sot-
trae anche dai contenziosi giudiziari, mentre l’aumento
di capitale necessario se lo assume lo Stato attraverso
la Cassa Depositi e Prestiti.
Per non parlare delle speculazioni finanziarie inter-
venute nell’ultima fase della trattativa, con improvvisi
crolli azionari e successivi rialzi, avvenuti all’indomani
dell’intervista di Conte al «Fatto» dove ancora ipotiz-
zava la revoca, che hanno consentito altrettanti improv-
visi (e provvidenziali) incassi ad accorti operatori in
Borsa.
18 luglio 2020

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La vacua esultanza
per gli aiuti dall’UE

Da quando il presidente del Consiglio Giuseppe


Conte è tornato dal vertice europeo di luglio, con l’an-
nuncio dell’accordo raggiunto per il recovery fund desti-
nato per una buona fetta all’Italia, data la sua peculiare
condizione di nazione in maggiori difficoltà economi-
che, gran parte degli esponenti politici della maggio-
ranza governativa ha occupato gli spazi informativi ripe-
tendo continuamente la cifra che sarebbe a disposi-
zione: 209 miliardi di euro.
Oggi, che si scopre come i contenuti di quell’accordo
siano ancora tutti da precisare, la condiscendenza del
sistema mediatico all’operazione propagandistica ap-
pare per quello che è e aggiunge un ulteriore elemento
di discredito sul ruolo deformante, ma anche contro-
producente svolto dall’informazione pubblica.
Va ricordato che l’Italia è stata fra i paesi UE quello
che ha utilizzato più o meno la metà dei normali fondi
di sostegno provenienti da Bruxelles. Il resto, a causa
della mancanza di progetti di investimento, è tornato
nella disponibilità delle casse europee.
Pertanto sarebbe logico che una informazione dav-
vero interessata a svolgere il suo compito di animazione
del dibattito democratico dovrebbe prodigarsi ad
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alimentare il confronto su quali iniziative e progetti
puntare, anziché fare solo da cassa di risonanza a vacue
esultanze per le risorse che si dicono disponibili.
Per l’appunto, il continuo ripetere e insistere sull’ec-
cezionalità del dato quantitativo (“più del Piano Mar-
shall”, reiterano ogni volta) rappresenta il comporta-
mento meno idoneo a garantire l’effettiva realizzazione
del piano stesso. E dà il segno della superficialità che
contraddistingue la classe politica attuale, incapace di
dar prova di una visione complessiva e a lungo termine.
A confermarlo le assurdità di alcune delle indicazioni
alle quali, pare, si stia lavorando con gli improbabili
elenchi di “cose da fare” che assomigliano più alle tatti-
che scaltre di chi si appressa a un buffet per riempirsi il
piatto, che non a un’attenta e meditata strategia per in-
dividuare le aree di investimento.
Leggere, com’è capitato, di 500 milioni da impe-
gnare in un sondaggio da effettuare nella Pubblica Am-
ministrazione per scoprire le sue “criticità”, non può che
far cadere le braccia.
Al momento, comunque, registriamo la cautela pru-
dente del ministro Vincenzo Amendola che non dà af-
fatto per concluso l’iter presso le istituzioni europee,
come pure la proiezione temporale del commissario
all’Economia Paolo Gentiloni il quale tende a ritenere il
mese di aprile 2021 quale momento conclusivo. Come
si vede, siamo ben lontani dall’affresco dipinto da alcuni
media all’insegna dei colori rosei di certa propaganda.
Anche questo contribuisce a generare più di una per-
plessità sullo scadenzario politico che si è data la
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maggioranza di governo, dando per scontata una ina-
movibilità dello scenario – parlamentare e di governo –
sino al 2023. Non è credibile che per i prossimi mille
giorni ci si possa continuare a comportare come si è
fatto finora.
3 ottobre 2020

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Lo snodo Quirinale condiziona
le scadenze politiche

Nel corso di un’intervista a Giorgia Meloni, il vicedi-


rettore di «Huffington Post» Alessandro De Angelis ha
detto: "È evidente pure ai sassi che non si voterà prima
del 2023". A questo assunto, in effetti, la maggioranza
in Parlamento si affida, stabilendo le tappe di un viaggio
che dovrebbe durare un migliaio di giorni.
Ma quanto fondamento ha una tale prospettiva, te-
nuto conto del sostanziale immobilismo governativo e
dell’assenza di una benché minima comunanza di vi-
sione per le scelte che attendono il Paese? Davvero si
può credere di galleggiare come sugheri nello stagno
così a lungo?
A essere davvero evidente è invece il fatto che,
dopo il 21 settembre, il Parlamento attuale non è più
conforme alla lettera della Costituzione. Trascinarsi nel
nulla per altri tre anni non è affatto auspicabile e di que-
sto forse cominciano a rendersi conto anche coloro che,
sino ad ora, hanno promosso e sostenuto la soluzione
del Conte-bis.
Gli esiti del voto amministrativo hanno, per certi
versi, evidenziato come la minaccia sovranista sia molto
de-potenziata, per cui diventa plausibile immaginare al-
tre soluzioni da mettere in atto una volta emanata la
nuova legge elettorale. Potrebbero così garantirsi una

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serie di risultati: dalla neutralizzazione del M5S al ripo-
sizionamento geostrategico dell’Italia, considerato il
probabile lento sciogliersi della liaison fra Germania e
Cina.
In questo senso, si colgono segnali che potrebbero
anche portare a una diversa scansione temporale e ma-
gari prevedere pure una cesura elettorale, che consen-
tirebbe di far nominare il successore di Mattarella da un
nuovo Parlamento e darebbe al nuovo governo un re-
spiro maggiore così da gestire al meglio i piani di inve-
stimento e risanamento economico.
In ogni caso, quali che saranno le eventuali prospet-
tive politiche, è indubitabile che il prossimo snodo è
rappresentato proprio dalla nomina del nuovo Presi-
dente della Repubblica. Al di là dei più o meno interes-
sati commenti del premier Conte in favore di un reinca-
rico a Mattarella, va osservato che – a fronte di un Par-
lamento non più rappresentativo del corpo elettorale e
per di più di fatto cassato dal referendum – sarebbe
quanto mai da scongiurare un presidente che uscisse
eletto dopo il quarto scrutinio, sostenuto soltanto dai
partiti di maggioranza.
E, d’altro canto, sebbene vi sia il precedente del se-
condo mandato a Napolitano, la rielezione dell’attuale
Capo dello Stato non sarebbe una soluzione conside-
rato anche che, a ben leggere la Costituzione, questa as-
segna la carica di senatore a vita al cessare del mandato
settennale.
Solo una elezione presidenziale che raccolga il più
vasto consenso, da realizzarsi già nei primi scrutini,

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permetterebbe di bypassare le criticità di una nomina
da parte di un Parlamento deprivato della sua pienezza
rappresentativa. È tempo già da ora di lavorare a rose
di nomi davvero condivisi, magari diradando le velleità
di quanti ben difficilmente sono in grado di soddisfare
questo presupposto. È tempo di lavorare a un Presi-
dente davvero di tutti, meglio se eletto nel 2022 al
primo scrutinio con il concorso di tutte le forze presenti
in Parlamento.
Non è un problema da poco nell’Italia divisa e fran-
tumata dagli interessi delle corporazioni, dove si pratica
la delegittimazione costante dell’avversario. Se si vo-
gliono creare le condizioni per ridare vigore a una de-
mocrazia asfittica, l’operazione di una convergenza sul
nome della personalità che siederà al Quirinale rappre-
senta il giusto modo per porne le premesse indispensa-
bili.
19 ottobre 2020

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Quale soccorso per la barca incagliata
del governo Conte?

Con l’approvazione del 18 novembre scorso dei do-


cumenti preparatori della manovra economica 2021, il
governo ha ancora una volta dimostrato di voler sopras-
sedere dal confronto in Parlamento e, di fatto, con-
ferma il processo in corso di deriva anti-parlamentare.
D’altronde questo comportamento, per cui si impedisce
il dibattito sul bilancio dello Stato tanto dentro la mag-
gioranza che con l’opposizione, risponde alla mistifica-
zione sistematica che contraddistingue l’attuale esecu-
tivo a cominciare dalle modalità con le quali è stata
fronteggiata l’emergenza causata dal virus cinese.
Altrettanto mistificatorio risulta essere il proposito,
proclamato dopo il vertice di maggioranza del 6 novem-
bre, di durare comunque sino alla fine della legislatura
che scade nel 2023. Non tiene conto di una serie di fat-
tori, meritevoli invece di essere attentamente conside-
rati, in specie ai livelli più alti delle istituzioni.
Dopo il referendum che ha approvato la modifica
costituzionale della riduzione dei parlamentari, il Parla-
mento attuale è formalmente non rispondente al det-
tato della Legge fondamentale e, per quanto si sia in re-
gime di deroga, non va dimenticato l’impegno assunto
a ripristinare la conformità delle assemblee alla norma
approvata dal corpo elettorale.

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Tanto più che nel 2022, tocca appunto al Parla-
mento eleggere il nuovo Capo dello Stato che rimarrà al
Quirinale per i successivi sette anni. È chiaro che se il
Presidente della Repubblica dovesse uscire da Camera
e Senato attuali si determinerebbe una circostanza di
difficile sostenibilità.
La scelta del candidato sarebbe stata effettuata da
assemblee non solo divergenti dall’effettiva volontà dei
cittadini, perché espressione di maggioranze costruite
attraverso alchimie procedurali, ma anche formal-
mente prive del crisma di legalità che deriva dall’ade-
renza al dettato costituzionale in vigore.
Di tutto questo, i vertici della Repubblica – a comin-
ciare proprio dal Quirinale – dovrebbero tener conto.
Anche perché la situazione di impasse nella quale si ri-
schia di avvitarsi è stata determinata, in parte, proprio
da alcune delle decisioni prese nel recente passato.
La nascita del secondo governo Conte, infatti, è stata
determinata dall’anomala conduzione della crisi
dell’agosto 2019, quando furono scartate le tre opzioni
normalmente sul tavolo (rinvio del governo al voto delle
Camere; designazione di altro premier; voto anticipato)
e se ne intraprese una quarta inedita di dare tempo af-
finché i partiti neo-alleati si accordassero per riconfer-
mare lo stesso premier, alla guida di un governo che
aveva ora al suo interno forze che sino al giorno prima
gli avevano votato contro in aula: evento mai accaduto
in precedenza.
Più che dar luogo a prospettive di “unità costituzio-
nali” o di incameramenti di supporti “responsabili”

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all’attuale maggioranza, sarebbe opportuno individuare
un percorso capace di avviare a soluzione il groviglio di
problemi, di natura politica e istituzionale, sui quali è di
fatto incagliata l’iniziativa di governo del Paese.
Tenendo conto di due priorità: garantire una reale
base di consenso popolare alle azioni che dovranno
prossimamente essere intraprese e dare legittimità
piena al prossimo candidato che salirà al Quirinale. Per
soddisfarle entrambi, è ben difficile pensare che si
possa mantenere invariata l’attuale conformazione
dell’esecutivo: meglio sarebbe non insistere quindi nei
tentativi di dissimulazione.
Le tappe di questo percorso, non necessariamente
alternative tra loro, dovrebbero pertanto essere: o con-
durre a una fine concordata della legislatura, cosicché
la prossima possa avere una prospettiva ampia di legit-
timazione; o lavorare per candidature alla Presidenza
della Repubblica capaci di garantirsi vasti consensi nelle
forze politiche.
22 novembre 2020

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Slalom di Conte fra crisi
e piani di rilancio vaghi

Per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, le ul-


time settimane di dicembre rappresentano forse la
curva più insidiosa del suo abile slalom verso il tra-
guardo di rimanere in carica. Entro questo arco di
tempo si dovrebbe scoprire se Matteo Renzi, leader di
Italia viva e regista dell’attuale maggioranza fra partiti
del centrosinistra e 5Stelle, spingerà il suo attacco al go-
verno sino al punto di determinarne la crisi.
Va detto che, stavolta, le ragioni di dissidio non ri-
guardano princìpi (quali la difesa dello Stato di diritto,
come per la gestione della giustizia da parte del ministro
Bonafede), né gli incarichi in settori chiave come in oc-
casione dei precedenti “penultimatum” sempre rien-
trati, dopo aver soprasseduto dai primi e ottenuto sod-
disfazione per i secondi. In gioco c’è qualcosa di più so-
stanzioso e decisivo: il controllo sulla gestione dei fondi
di spesa previsti dal recovery fund e il tentativo da parte
di Conte di accentrare a sé il processo decisionale, non
solo per quel che riguarda l’utilizzo delle risorse ma an-
che inediti organismi preposti alla guida dei servizi di si-
curezza.
Non è possibile, per il momento, sapere come finirà
la partita – se col pareggio di un compromesso attra-
verso un ritiro delle velleità del premier unito a un rim-
pasto ministeriale, oppure con una crisi che porti o a
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nuove alleanze o al voto – ma è il caso di soffermarsi sia
sul tipo di narrazione offerta dalle cronache giornalisti-
che, sia sugli evidenti limiti di approccio alla questione
del piano di ripresa da parte della classe politica.
È significativo come, attraverso le indiscrezioni di al-
cuni commentatori, sui principali quotidiani sia passata
la tesi secondo cui non vi siano alternative all’attuale
governo se non le elezioni. Senza voler approfondire
quanto essa sia frutto davvero di segnali dal Colle più
alto o provenga, piuttosto, dalle comunicazioni di Pa-
lazzo Chigi, va rilevato che una simile argomentazione è
quanto mai priva di fondamento. Innanzi tutto perché,
in occasione della cosiddetta “crisi di agosto” 2019, pro-
prio il Quirinale si adoperò per una piena applicazione
del dettato costituzionale, secondo cui prima del voto
occorre verificare la possibilità di soluzioni alternative
nelle aule parlamentari. Non si capisce per quale ra-
gione non debba più valere questa lettura, tanto più che
in Parlamento – dopo gli spostamenti intervenuti entro
i gruppi di 5Stelle e altre forze – sono in effetti possibili
svariate combinazioni di maggioranze, nient’affatto
meno coese e più anomale di quella attuale.
Se si allontana la prospettiva del voto anticipato, di-
venta prioritario allora affrontare il nodo di cosa fare di
qui alla fine della legislatura e, soprattutto, quali inter-
venti programmare per risollevare il Paese dalla grave
crisi in cui versa. È proprio su questo versante che emer-
gono le criticità che riguardano le modalità e i compor-
tamenti della classe dirigente, rispetto alle proposte da
avanzare in vista di un rilancio economico e sociale.

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Di certo il “Piano nazionale di ripresa e resilienza”
(Pnrr) presentato dal governo Conte non pare davvero
incoraggiante, dal punto di vista della chiarezza di in-
tenti e di propositi. Nelle 125 pagine che lo compon-
gono, a parte l’indicazione della ripartizione dei circa
200 miliardi di euro previsti, fra l’altro oggetto di per-
plessità e meraviglia da parte di molti osservatori eco-
nomici, prevalgono espressioni all’insegna di vuoti for-
mulari e proponimenti generici.
Se sottoposto a un’attenta lettura, sarebbe possibile
cogliere come le sue proposizioni nascondano pratiche
e modalità di gestione fin troppo note. Un po’ come av-
viene con le parafrasi di opere letterarie arcaiche, è ne-
cessario dipanare il linguaggio involuto e criptico per
scoprirne i risvolti assai più prosaici.
Qualche spigolatura per capire meglio. In sei pagi-
nette relative alla “Rivoluzione verde e transizione eco-
logica” (per la quale, ricordiamolo, è previsto l’impiego
di ben 74,3 miliardi), troviamo una serie di formule sug-
gestive senza che vi sia alcuna indicazione precisa circa
i progetti che si intendono realizzare. Lo stesso avviene
per le politiche sul lavoro dei giovani, dove si parla ge-
nericamente di azioni “volte a favorire l’ingresso dei
giovani al mondo del lavoro, potenziando i centri per
l’impiego”, che significa di fatto finanziare apparati bu-
rocratici che sinora non hanno dato valida prova di sé.
L’impressione è che gli estensori del documento ri-
spondano a tutt’altri criteri che non a quelli dell’effica-
cia. In quelle righe ritroviamo la mano di quella schiatta
di funzionari descritta nell’amaro volumetto di Augusto

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Frassineti, Lo spirito delle leggi, ben accorti a creare reti
di interessi clientelari e tutele corporative.
14 dicembre 2020

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Avvertenza

Tutti gli articoli qui raccolti sono comparsi su «nuova


Agenzia Radicale», supplemento telematico della rivista
«Quaderni Radicali», diretta da Giuseppe Rippa.

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