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SOMMARIO
Prefazione p. 5
Disinformazione di agit-prop
e burocrazia ci espongono al caos p. 15
Decreti a singhiozzo più per apparire
che per risolvere p. 19
Anche il complottismo serve
per coprire governi e mass-media p. 21
Un giornalismo irreggimentato
e manipolatorio p. 25
La distanza dalla realtà del governo Conte p. 27
La crisi esistenziale dell’Europa
nella stampa tedesca p. 31
Coi “pieni poteri” il governo non fa altro
che trovare capri espiatori p. 35
L’allarme della deriva giudiziaria
impietrisce anche Colao p. 39
Le quattro zavorre dell’azione di governo p. 43
Dietro le dissimulazioni del governo
solo misure inefficaci e subalternità p. 47
L’emergenza virus usata per deturpare
l’ordinamento democratico p. 53
Il “decreto scarcerazioni” infiamma
la polemica sulla giustizia p. 57
3
Dal governo del non fare nessun impegno
in termini di verità p. 61
L’alleanza statalista PD-5Stelle
motore di un processo restaurativo p. 65
Scuola: dagli allarmi all’esame “burla”
senza capacità di visione p. 69
Lo stallo politico contrasta
con le urgenze del Paese p. 73
Su Autostrade uno scambio svantaggioso
che Conte cela con la retorica p. 77
La vacua esultanza sugli aiuti dell’UE p. 81
Lo snodo Quirinale
condiziona le scadenze politiche p. 85
Quale soccorso per la barca incagliata
del governo Conte? p. 89
Slalom di Conte fra crisi
e piani di rilancio vaghi p. 93
Avvertenza p. 97
4
Prefazione
17
18
Decreti a singhiozzo
più per apparire che per risolvere
20
Anche il complottismo serve a coprire
le colpe di governi e mass-media
26
La distanza dalla realtà
del governo Conte
27
Le discrepanze (se non il vero e proprio astio) fra il
governo presieduto da Giuseppe Conte e le regioni del
nord, rivelatosi anche in questa tragica occasione, sono
il risultato di indirizzi politici contrastanti: la disposi-
zione all’assistenzialismo è un contrassegno specifico
della maggioranza di governo, che distingue pure il
modo di reagire all’emergenza economica derivante
dall’attuale situazione.
Finora è prevalsa un’impostazione prevalentemente
supina ai condizionamenti degli apparati burocratici, ol-
tre che una preconcetta distanza dalla comprensione
delle realtà proprie del lavoro autonomo. Basti pensare
alla farraginosità delle procedure ideate per il sostegno
alle attività d’impresa, con il vincolo di una diminuzione
del 33% nei primi tre mesi dell’anno quando il problema
sarà quasi sicuramente il fatturato zero dei prossimi
mesi.
Durante questo drammatico frangente, molte delle
difficoltà riscontrate nel fronteggiare la prima fase
dell’epidemia scaturivano dal confuso rapporto tra enti
locali e amministrazione centrale, ereditato dalla ri-
forma costituzionale sul Titolo V varata dal governo
dell’Ulivo nel 2001.
Tuttavia, va riconosciuto che le forzature operate in
queste settimane non hanno certo contribuito a dira-
dare la confusione: tutt’altro. Permane di conseguenza
la perplessità se sia davvero saggio astenersi dall’inter-
venire per modificare l’assetto del ponte di comando
della nave, visto che è proprio in quella sede che le ma-
novre condotte paiono risultare più controproducenti
che utili.
28
Certo è che se non si registrerà in tempi brevi per lo
meno una netta inversione di marcia, sia nei comporta-
menti di tutti che nell’approccio alle situazioni determi-
nate dallo stato di crisi, difficilmente potranno deli-
nearsi prospettive di ripresa per il Paese. E patiremo
tutte le conseguenze negative delle scelte operate in
politica interna ed estera, a cominciare dalla subalter-
nità inerte dimostrata nei confronti di un processo di
unione europea consegnato ai limiti – prima psicologici
che politici – di una visione tecnocratico-finanziaria in-
capace di proiettarsi davvero verso il progetto origina-
rio profilatosi nel dopoguerra.
La sfida di oggi consiste proprio nel fare di questa
crisi la spinta propulsiva per riconsiderare le prospettive
future, alla luce di mire ben più ambiziose per la politica
dell’Europa e dell’Occidente nel suo insieme. Ma in
primo luogo serve che ci sia chi la sfida sia capace di co-
glierla.
2 aprile 2020
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30
La crisi esistenziale dell’Europa
nella stampa tedesca
31
comico come Beppe Grillo fondatore dei 5Stelle, va con-
siderato che dimostra una ridotta comprensione del fe-
nomeno criminale.
Più che aspettare i denari da Bruxelles, la mafia li
esporta con il riciclaggio che – come si evince da molte
indagini internazionali – vedono proprio il nord Europa
come luogo di destinazione. Del resto, attaccare alla
mafia l’etichetta “sovranista” sarebbe quanto meno
contrastante con la sua propensione al mercato senza
confini delle sue attività.
Se «Die Welt» non esita a utilizzare i luoghi comuni
più triti per motivare il disimpegno dell’UE e il rifiuto ad
abbandonare la linea del rigore anti-inflazione, «Der
Spiegel» rivolge invece una dura critica al governo tede-
sco, per il suo rifiuto a ricorrere agli Eurobond in questa
crisi devastante che rischia di travolgere le economie di
tanti Paesi.
L’articolo rimprovera alla cancelliera Merkel di avere
troppe volte insistito sulla “narrazione” che i bond sa-
rebbero pagati dai cittadini tedeschi e che, pertanto,
ora le è impossibile fare marcia indietro. Ma ciò è avve-
nuto, insiste l’articolo, prevalentemente per scongiu-
rare la concorrenza populista del nuovo partito alla de-
stra della Cdu, l’Alleanza per la Germania (AfD).
Interessante la considerazione finale dell’articolo.
Agli eurobond non ci sarebbero alternative, se non
quella di lasciare soli i Paesi più colpiti dalla crisi (Italia e
Spagna), le cui economie da tempo stagnanti richie-
dono ben più dei 410 miliardi di euro previsti dal Fondo
di salvataggio. Come scrive «Der Spiegel»,
32
impossibilitati a prendere in prestito denaro sul mer-
cato finanziario, a causa dei tassi di interesse troppo
alti, si troverebbero esposti sul fronte speculativo e a
trarne vantaggio sarebbero, sul piano politico, i nemici
dell’UE.
Quali siano le prospettive dell’Europa è difficile dire,
dal momento che il peso delle scelte improvvide del
passato sembra averne compromesso un qualunque
ruolo incisivo nello scenario mondiale.
Di certo il momento che viviamo è di quelli decisivi e
«Der Spiegel» coglie a pieno la situazione quando parla
di “crisi esistenziale”. Aver trascurato di dare forza al
compito politico dell’Europa, non averlo nutrito con la
linfa vitale del rafforzamento della democrazia e della
difesa dei principi liberali, rischia di pregiudicare defini-
tivamente la stessa possibilità di un futuro.
10 aprile 2020
33
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Coi “pieni poteri” il governo non fa altro
che trovare capri espiatori
35
Da questo punto di vista, come evidenziato dall’ana-
lisi del Partito Radicale di Marco Pannella (cfr. la Peste
italiana), si realizzava una continuità fra “democrazia
consociativa” e regime ante-guerra, all’insegna di una
comune volontà egemonica di fatto estranea alla demo-
crazia conflittuale delle società aperte.
Questo substrato culturale permane ancor oggi e ha
determinato le ripetute lacerazioni dei rapporti politico-
istituzionali. Al contrario di cinquant’anni fa, in termini
di rappresentatività, non conta più su consistenti basi
elettorali ed assume tratti sempre più insostenibili dal
punto di vista della dialettica democratica.
L’alleanza stretta fra gli eredi del consociativismo
Dc/Pci e il Movimento 5 Stelle ha complicato ulterior-
mente la situazione politica, dal momento che da un
lato conserva la pregiudiziale egemonica e – dall’altro
lato – promuove politiche che appaiono ai più quanto
meno inidonee se non controproducenti rispetto alla
crisi in atto.
La ragione di ciò risiede nel fatto che la classe politica
– delle forze di maggioranza, ma non solo perché lo si
può riscontrare anche nell’opposizione – è sostanzial-
mente consegnata a una condizione di subalternità ri-
spetto sia agli apparati burocratico-corporativi, sia al
condizionamento dei soggetti finanziari che presiedono
alle scelte economiche in sede europea. È una subalter-
nità di natura elettorale e finanche psicologica che,
all’esame empirico dei problemi per ricercare soluzioni,
antepone l’interesse immediato in termini di consenso
e di successo personale.
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Che oggi un commentatore alieno da faziosità come
Luca Ricolfi possa affermare che lo stesso stato d’emer-
genza, a fine gennaio, fu dichiarato “semplicemente
perché era una occasione formidabile per assumere i
pieni poteri”, dà il segno della spregiudicata strumenta-
lità con la quale i cittadini devono confrontarsi. Pur-
troppo i “pieni poteri” hanno finora prodotto una su-
perfetazione di decreti e ordinanze, senza dare alcun
vero contributo alla soluzione dei problemi scaturiti
tanto dall’emergenza sanitaria, quanto da quella econo-
mica.
Alle centinaia di miliardi evocati ogni sera nelle di-
rette tv corrisponde nella realtà concreta un prontuario
con infinite condizioni per accedere ai prestiti delle ban-
che, oltre al dato drammaticamente oggettivo che dopo
quasi due mesi nemmeno un euro è stato trasferito a
sostegno delle attività economiche compromesse dal
blocco.
Può dunque apparire paradossale che, mentre il go-
verno si comporta in questo modo, impantanando nel
ginepraio delle “condizionalità” la possibilità di accesso
agli aiuti economici degli Italiani in difficoltà, lo stesso
dia mostra di ingaggiare chissà quale aspro confronto
con l’UE allo scopo di ottenere fondi che prescindano
dagli obblighi del Mes. Un altro modo per dirottare su
altri – in questo caso i “cattivi” non sono gli amministra-
tori locali della Lombardia, ma gli Stati dell’Europa del
nord – le colpe della gravissima congiuntura nella quale
si dibatte il Paese.
Del resto sarebbe da ingenui aspettarsi dal governo
Conte quella “campagna di verità” così tanto necessaria
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al Paese, dal momento che ciò comporterebbe l’ammis-
sione che le scelte fatte dalle forze che lo sostengono
sono contrastanti col superamento della crisi di stagna-
zione in cui da tempo versiamo.
A cominciare dall’aver compresso la crescita del Pil
con politiche fiscali depressive e aumentato il debito
con spese spesso assistenziali e improduttive.
13 aprile 2020
38
L’allarme della deriva giudiziaria
impietrisce anche Colao
39
procedimenti legali derivanti dall’attività svolta all’in-
terno della task force”.
Tenuto conto della situazione in cui ci troviamo, le
obiezioni avanzate dai membri del comitato aprono un
ventaglio di considerazioni. Innanzi tutto, essi lasciano
trasparire una discrasia di non poco rilievo fra l’appa-
rente convergenza di intenti col governo e la preoccu-
pazione che quest’ultimo non sia nelle condizioni di es-
sere garante di alcunché.
Quasi che ci fosse il sentore di essere esposti a un
tranello, il che la dice lunga sul grado di affidabilità rico-
nosciuto agli interlocutori. Difficile non associare tale
circospezione allo stato di subalternità che i membri
della maggioranza di governo vivono nei confronti di al-
cuni ambienti del cosiddetto circuito mediatico-giudi-
ziario.
In secondo luogo, emerge evidente un problema da
tempo oggetto dei nostri interventi: i modi in cui è ge-
stita la giustizia nel nostro Paese. Poiché l’iniziativa di
indagine dei pm non risponde ad altro criterio se non il
libero convincimento di chi la promuove, non è affatto
improbabile diventare oggetto dell’attenzione di un
qualunque sostituto procuratore.
Se a questo si aggiunge che i tempi per accertare i
fatti sono assai lunghi e che, come dimostra il caso re-
cente della sentenza su Contrada ingiustamente dete-
nuto per anni, il danno subito da inchieste mal condotte
è difficilmente risanabile non meravigliano le cautele ri-
chieste.
40
Ritorna dunque la vera e decisiva emergenza che, da
tempo, l’Italia deve fronteggiare: far sì che l’ammini-
strazione della giustizia si muova in un alveo piena-
mente costituzionale. Va liberato l’ordine giudiziario dai
condizionamenti esercitati in nome non dell’autono-
mia, ma di una volontà egemonica che rischia di offu-
scare il suo fondamentale ruolo di difesa dal sopruso
per farne strumento di contrasto dentro logiche stret-
tamente corporative.
16 aprile 2020
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42
Le quattro zavorre
dell’azione di governo
43
stiamo assistendo a ripetuti vulnus delle libertà proprie
di un ordinamento democratico.
Per quanto riguarda la nostra repubblica e la sua ra-
dicata pre-modernità, il fenomeno in realtà dura da
tempo e le situazioni attuali non ne sono che l’estrema
propaggine. Del resto, la condizione italiana oltre che
l’esito di un semi-secolare processo politico che pativa i
guasti del consociativismo, si inserisce nel più generale
contesto di deriva autoritaria registrato ovunque dopo
lo sfumare delle prospettive della globalizzazione, evi-
denziatosi a seguito della lunga parabola discendente
provocata dalla crisi del 2008.
L’attacco alla democrazia è stato condotto con siste-
maticità, a partire dalla riduzione a vassallaggio della
politica rispetto alla finanza globalista, e se ne eviden-
ziavano i contorni già cinque anni fa nel libro-intervista
del direttore Giuseppe Rippa, Alle frontiere della libertà
(Rubbettino). Il territorio a rischio di conflitti devastanti
è rappresentato proprio dalla libertà, di cui ancor di più
oggi si percepisce come sia sottoposta alle minacce che
provengono tanto dai regimi politici verticistici, quanto
dal cedimento e frustrazione delle istanze liberali mai
davvero nutrite e coltivate nel nostro Paese.
Il modo in cui si è intervenuti per affrontare i pro-
blemi dell’epidemia ha dimostrato quanto sia condizio-
nante il peso di burocrazia e corporazioni, che non
hanno esitato a profittare del vuoto politico per inse-
diarsi con le loro determinazioni.
Il grande assente è stato il Parlamento, di fatto
esautorato e auto-esclusosi dall’esercitare un
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qualunque ruolo. Si sente la mancanza di un leader
come Marco Pannella che, in altri momenti critici della
nostra storia recente, seppe se non altro dare testimo-
nianza della difesa estrema, di fronte all’intimidazione
esercitata da poteri fuori controllo: ricordiamo tutti le
auto-convocazioni del cosiddetto Parlamento degli in-
quisiti.
Oggi dall’opposizione non proviene alcun segnale
degno di nota, dal momento che, al pari delle forze di
maggioranza, essa dà mostra di quanto stordita e con-
fusa appaia la classe politica nel suo complesso denu-
trita com’è di una effettiva capacità di governance.
La miriade di componenti di task force di consulenti
(oltre 450 stando ad alcuni calcoli) costituite dal go-
verno, in assenza di un indirizzo e di una reale capacità
gestionale, appaiono più dei comitati pletorici utili a
dare rappresentanza delle velleità e a posizionarsi negli
equilibri di potere che non altro.
Così come enormi varchi si sono aperti per le in-
fluenze di soggetti oggi esonerati dal rispondere a chic-
chessia del loro operato: lo dimostra la vicenda del rin-
novo delle nomine di enti come Finmeccanica, dove gli
spostamenti sono serviti – come riferisce su «la Repub-
blica» Giuliano Foschini – per risolvere contese dal sa-
pore feudale all’interno degli uffici preposti alla sicu-
rezza.
Altrettanto preoccupanti sono le ripetute incursioni,
di natura fintamente tecnocratica, nel dibattito pub-
blico, riguardino queste la situazione delle carceri o le
strategie da seguire per la prossima ripresa. Da esse non
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proviene mai una indicazione rivelatrice di una sincera
volontà risolutiva dei problemi, ma piuttosto la pro-
terva rivendicazione di un ruolo egemonico. Lo stato
delle istituzioni appare così quanto mai esposto a un
preoccupante anarchismo baronale, che potrebbe sfo-
ciare in forzature e accelerazioni dagli esiti imprevedi-
bili.
21 aprile 2020
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Dietro le dissimulazioni del governo
solo misure inefficaci e subalternità
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farsi portatori di una visione come avvenne ai tempi di
De Gasperi.
Giungiamo a questo difficile tornante della nostra
storia già sfibrati da anni di politiche economiche de-
pressive e male attrezzati dal punto di vista dell’effi-
cienza del nostro impianto istituzionale, sabotato dalla
deriva corporativa che di fatto ha espanso il suo potere
di condizionamento prescindendo da qualunque capa-
cità di governo reale delle situazioni. È il risultato
dell’abdicazione della politica, che almeno dal 1989 in
avanti non ha saputo individuare un percorso con il ve-
nir meno dell’ordine mondiale post-Yalta.
Il tracollo dei partiti di governo della prima Repub-
blica, vissuto dall’opposizione post-comunista come
l’occasione per farsi unico referente politico delle élites
dominanti, ha dato la stura allo tsunami dell’anti-poli-
tica e permesso la completa lacerazione di un tessuto
sociale già gravemente compromesso.
Oggi il PD, sostenuto dalla tela di intrecci sindacal-
burocratico-corporativi, reagisce alla crisi limitato dalla
sua oggettiva condizione di subalternità che gli impedi-
sce di svincolarsi da un’impostazione di politica econo-
mica basata sul “tassa e spendi”, dove l’unica variante
consiste nell’ordine delle due azioni: quando ha di
fronte la possibilità di durare al governo spende senza
badare al “chi paga”, mentre in vista dell’estromissione
dal governo crea vincoli soffocanti per la crescita.
Nell’attuale dialettica interna alla maggioranza col
M5S, la situazione è alquanto più complicata ma non si
distoglie più di tanto da questa dualità. Tutt’al più
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rispolverano i chimerici fasti di uno statalismo, i cui gua-
sti sono all’origine del capitalismo assistito e monopoli-
stico alieno dal libero mercato che ci contraddistingue,
nell’illusoria pretesa di ridistribuire un reddito senza
preoccuparsi di favorirne la produzione.
Altrettanto duale è l’approccio che la classe politica
nel suo complesso ha nei confronti dell’UE. Due sono
infatti i modi di concepirla e di rapportarsi con essa:
quello dell’appeasement e quello di un sano, proficuo
conflitto che dal dialogo e dal confronto sappia trarre i
termini di una convivenza tra pari. Onestà intellettuale
vorrebbe che ai due modi si riconosca una uguale rispet-
tabilità, mentre così non è presso la generalità dei me-
dia e l’establishment.
Se il primo modo mira a ottenere il massimo dentro
i trattati esistenti, senza metterli in discussione; il se-
condo parte dalla presa d’atto che per la ripresa è prio-
ritario rivedere quei trattati, che fra l’altro hanno mor-
tificato nel corso dell’ultimo quarto di secolo il grande
progetto dei padri fondatori dell’unità politica dell’Eu-
ropa.
Entrambi evidentemente sono sottoposti all’aura
del rischio, ma andrebbe riconosciuto se non altro che
dell’appeasement prono alle direttive comunitarie co-
nosciamo, in questi decenni, gli esiti: un PIL asfittico, ri-
petutamente vessato da misure deprimenti che, d’altra
parte, non sono nemmeno riuscite a contenere l’au-
mento della spesa pubblica e del debito conseguente.
Difficile dunque accreditarlo come risolutivo di una
crisi che si annuncia quanto mai destrutturante di interi
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sistemi di vita e che minaccia di allargare enormemente
le aree di povertà ovunque. Da più parti si richiede
all’UE di compiere un vero e proprio ripensamento della
strategia fin qui prevalente, considerando come ha ri-
cordato «Der Spiegel» che dalla risposta che si darà di-
pende la stessa esistenza dell’UE. A meno che non vi sia
chi, fra gli Stati più forti, non pensi sia giunto il tempo di
soprassedere dal percorso cominciato coi Trattati di
Roma.
Non vogliamo crederlo, anche se le conclusioni del
vertice europeo del 23 aprile sono all’insegna dell’at-
tendismo e al governo italiano tocca appendersi ai due
aggettivi – “urgente e necessario” – strappati a qua-
ranta giorni dal precedente vertice del 16 marzo e rela-
tivi a un ipotetico varo di “recovery fund”.
Non molto, soprattutto dal punto di vista della
chiarezza di intenti perché nulla è detto circa l’entità
delle cifre da impegnare e tanto meno le scadenze tem-
porali. Per questo convince poco il compiacimento di
Gianfranco Pasquino, che evidenzia nel premier Giu-
seppe Conte l’ennesima metamorfosi da “avvocato del
popolo” a “pubblico ministero” di una Unione accusata
di inadempienze: ammesso sia vero, non ha condotto
ad alcuna condanna esecutiva né a un effettivo ripen-
samento dei fondamentali della tecnocrazia europea. Il
dilemma fra prestiti e investimenti a fondo perduto non
è stato sciolto, tant’è che la Spagna ha onestamente ri-
conosciuto che la sua proposta in favore dell’emissione
di un’obbligazione perpetua garantita da tutti i Paesi
membri non è stata accolta.
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Uguale chiarezza non è emersa nelle dichiarazioni
del presidente del Consiglio italiano dopo il vertice eu-
ropeo, come pure dai resoconti giornalistici per lo più
propensi a rimarcare svolte epocali forse più utili alla
dialettica dentro i partiti di maggioranza che non alla
rappresentazione della realtà data.
E proprio qui si inserisce il tema della profonda de-
bolezza del quadro politico odierno, evidenziato anche
dal mancato voto in Parlamento alla vigilia del vertice,
sostituito da una generica informativa del governo.
Quest’ultimo è fondato su una maggioranza assem-
blata più per non fare che per fare e ciò costituisce un
limite drammatico, aggravato oggi dalle decisioni as-
sunte in stato di eccezione rispetto al nostro ordina-
mento costituzionale. Uno stato di eccezione che va al
più presto superato, riportando alla vita normale non
solo i cittadini ma le istituzioni e i partiti. Sempre che si
voglia continuare a vivere in una democrazia liberale.
26 aprile 2020
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L’emergenza virus usata per deturpare
l’ordinamento democratico
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Cesare che non a libere tribune – attribuisce a ciò il mar-
chio infamante del “golpismo di palazzo”.
Ad avere deturpato il volto del nostro ordinamento
democratico è stata un’abile gestione della comunica-
zione del virus, che è stato “usato” così come furono
usate altre emergenze allo scopo di incuneare leve nor-
mative e far assimilare dalla collettività una rappresen-
tazione dove si dà un enorme spazio di manovra a pochi
centri decisionali.
Fondamentale per questo è stata la lettura volta a
descrivere la situazione creatasi come unica ed eccezio-
nale, a dispetto di una minima consapevolezza storica
che avrebbe invece rivelato la possibilità di ben altro
tipo di reazione ad essa. Senza riandare alle pestilenze
medievali, basterebbe considerare quanto diverso fu il
comportamento in occasione del diffondersi dell’AIDS
che falciò negli anni Ottanta milioni di persone, ma non
determinò alcuna restrizione delle libertà individuali
imposta per decreto.
Chi si è trovato occasionalmente al governo dell’Ita-
lia non ha fatto altro che prestarsi supinamente a que-
sta rappresentazione, che probabilmente risponde a un
disegno strategico di molta più vasta portata teso a rea-
lizzare una profonda destrutturazione sistemica. Di essa
si vedranno a breve i drammatici risultati sul piano eco-
nomico, accelerati – quanto volutamente? – profit-
tando della dichiarata pandemia da Coronavirus: intere
filiere produttive compromesse, decrescita industriale
e riduzione all’inattività di grandi masse di popolazione,
affidate solo ai sussidi pubblici.
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Fatto sta che la maggioranza attualmente al go-
verno vi ha corrisposto in pieno e l’agenda dettata dai
5Stelle è stata finora accettata e sottoscritta dal PD,
tanto che le indicazioni proposte sono tutte nel segno
dell’assistenzialismo e della conseguente mortifica-
zione di ogni iniziativa autonoma.
Una strada che presto si interrompe e ci lascia in un
pantano nel quale si affonda come nelle sabbie mobili.
Per questo è urgente invertire la marcia e non basta
certo esprimere semplici richiami, come è stato fatto
dal Presidente della Repubblica che, pure, non ha po-
tuto fare a meno di rilevare come siano “necessarie in-
dicazioni, ragionevoli e chiare, da parte delle istituzioni
di governo”, confermando così che quelle emanate sino
ad oggi non lo sono state.
Né ragionevoli, né chiare: funzionali piuttosto a per-
durare nello stato di incertezza e soprattutto a preser-
vare un’area di assoluta discrezionalità nell’applica-
zione che sconfina nell’arbitrio.
3 maggio 2020
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Il “decreto scarcerazioni” infiamma
la polemica sulla giustizia
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l’inconsistenza o, se vogliamo usare un altro termine, la
debolezza delle reazioni sia da parte dei politici, sia da
parte dei media visto che una notizia del genere è stata
data con poche parole nei servizi tg o relegata in pagine
interne.
Se si pensa che solo un anno fa, agli inizi di maggio
2019, sulla base di intercettazioni che, soltanto de re-
lato e per di più senza riscontro effettuale, coinvolge-
vano il sottosegretario Siri, il presidente del Consiglio
Conte dimostrò un’immediata sensibilità e non esitò a
revocargli l’incarico, non può non risaltare il silenzio che
lo ha invece contraddistinto in questa occasione.
Stavolta l’episodio rimarchevole ha come fonte di-
retta un magistrato componente del CSM, che pubbli-
camente in tv riferisce di un cambiamento di decisione
da parte di un ministro e offre una spiegazione dai con-
torni inquietanti. Nella sua replica, sempre nel corso
della trasmissione televisiva, il ministro conferma la se-
quenza dei fatti raccontata da Di Matteo, ribadendo con
forza che non è nemmeno pensabile che il suo ripensa-
mento sia dovuto a pressioni di alcun tipo. E tuttavia
non fornisce alcuna motivazione del perché quella
prima scelta sia stata da lui abbandonata, aggiungendo
– in modo sibillino – che quella di Di Matteo “è una per-
cezione legittima”.
Quali che siano gli aspetti reconditi di questa vi-
cenda, occorre rilevare con forza come è assolutamente
impensabile che rappresentanti delle istituzioni ab-
biano potuto consumare il confronto su temi di estrema
delicatezza nello spazio del tutto improprio degli studi
televisivi di Giletti. Ciò dà il segno di un logoramento
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estremo delle relazioni fra i soggetti istituzionali, la cui
inerzia nel reagire è l’espressione più manifesta e dram-
matica.
Di essa si può dire che rischia di essere, nell’attuale
contesto di frammentazione e debolezza politica, l’en-
nesimo tassello del disequilibrio dei poteri intervenuto
nell’ultimo venticinquennio. È dal 1992 che gli snodi cri-
tici della nostra storia sono stati contrassegnati
dall’azione intrapresa in alcune procure, determinando
non solo giudiziariamente ma anche politicamente il de-
corso successivo.
Giancarlo Caselli attribuì apertamente alle inchieste
su mafia e corruzione la caduta della prima Repubblica,
ma ugualmente è avvenuto con altri passaggi decisivi:
nel 1995 con l’avviso di garanzia a Berlusconi, che portò
alle dimissioni del suo primo governo uscito dal suc-
cesso del centrodestra nelle elezioni del 1994; nel 2006,
quando mentre stava per nascere il Partito Democra-
tico, l’inchiesta Unipol ne condizionò la formazione, co-
stringendo sulla difensiva i leader dei Ds rispetto alla
componente cattolica della Margherita; poi ancora nel
2008 l’indagine Why not portò prima alle dimissioni del
ministro di Giustizia Mastella e quindi alle dimissioni del
secondo governo Prodi; per finire con la telenovela dei
processi milanesi sulle “cene galanti” del premier Berlu-
sconi, fiaccandone definitivamente le forze in prossi-
mità della crisi dovuta allo spread del 2011.
6 maggio 2020
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Dal governo del non fare
nessun impegno in termini di verità
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caricarle di ulteriori oneri e impedire i prestiti non può
certo dirsi lungimirante. Senza contare che la riduzione
delle entrate fiscali conseguente finirà per avere riper-
cussioni anche sulle uscite fisse dello Stato, portando a
misure restrittive di riduzione dei servizi e delle dispo-
nibilità indipendentemente dagli obblighi imposti sul
piano finanziario da ipotetiche troike.
Per di più, la debolezza intrinseca degli equilibri in-
terni all’attuale maggioranza comporta un sostanziale
immobilismo. Proprio perché fare è esiziale per la so-
pravvivenza del governo Conte 2, non fare o quanto
meno limitarsi a far finta di fare costituisce il suo per-
corso privilegiato. Soltanto che questo non è affatto
privo di conseguenze nella situazione data. Da qui la
priorità che dovrebbe avere, in questa fase, il riconside-
rare gli assetti politici in Parlamento e difatti le crona-
che registrano l’agitarsi di politici e istituzioni in questa
direzione.
Non sappiamo se, a breve, ciò sarà possibile e se le
prossime delibere alle quali sarà chiamato il Parlamento
potranno rappresentare un’occasione per ricollocare gli
schieramenti al suo interno. Ad essere sicuramente ne-
cessario è che da parte della politica si manifesti un ef-
fettivo impegno per palesare in termini di verità la con-
dizione in cui ci troviamo. Finora, specialmente dall’in-
terno di questa compagine governativa, è venuto il con-
trario, diffondendo a piene mani una vuota propaganda
attraverso uno spregiudicato uso dell’informazione che
a questo si è prestata volontariamente, a conferma
della sua intrinseca natura subalterna.
10 maggio 2020
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L’alleanza statalista PD-5stelle
motore di un processo restaurativo
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diversi – dalla politica all’economia e all’informazione –
registriamo l’evidenza di un idem sentire caratterizzato
dalla riproposizione di schemi, modelli interpretativi e
assetti di potere accomunati dalla convinzione, a nostro
avviso del tutto infondata, che si possano sostanzial-
mente conservare le modalità di gestione del passato.
Se consideriamo, ad esempio, le indicazioni preva-
lenti nel dibattito politico notiamo come sia in atto un
formidabile attacco rivolto contro i principi liberali, per
sostenere un interventismo pubblico che si colloca in
realtà sulla scia dell’invadenza pervasiva da considerarsi
la causa prima della compressione subita dalla società
italiana.
Se ne è fatto promotore esplicito Goffredo Bettini,
da molti considerato in qualche modo lo stratega
dell’alleanza oggi al governo del Paese. La soluzione in-
dicata muove dall’attribuire al liberalismo le degenera-
zioni della finanziarizzazione globale: un espediente
fuorviante, dal momento che essa è tutto fuorché ispi-
rata da criteri liberali.
Il cosiddetto turbocapitalismo finanziario, poten-
ziato dal globalismo delle multinazionali del digitale, è
piuttosto l’espressione di un indirizzo fondamental-
mente autoritario teso a ridurre gli spazi della democra-
zia partecipata.
Una volta imposta questa lettura deformata, è poi
facile innestare una finta polemica contro la pretesa de-
riva liberista. Peccato che in Italia questa non abbia mai
avuto modo di manifestarsi, rimanendo piuttosto vero
che il nostro Paese è stretto dai vincoli corporativi e
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dalla presenza invasiva e bloccante di apparati burocra-
tici e sindacali. Pensare di impostare l’ipotesi di un suo
rilancio consegnandolo alla gestione di questi apparati,
è come legargli una pietra al collo prima di spingerlo nel
fiume.
In questo senso, l’impostazione prevalente presso i
partiti della maggioranza attuale – con il M5S che si ri-
vela come la proiezione costruita a tavolino del pro-
cesso restaurativo – è quanto mai contrastante con le
necessità reali emergenti dall’attuale contesto.
Sul piano economico ne deriva la continuità col pas-
sato, contraddistinto dall’incremento del debito pub-
blico allo scopo di anestetizzare la società a colpi di as-
sistenzialismo. Una strategia che pregiudica irrimedia-
bilmente le possibilità di sviluppo e investimento, per
privilegiare una redistribuzione di risorse di fatto impro-
duttiva e destinata a provocare uno sconquasso sociale,
nel momento in cui ai disoccupati cronici si aggiunge-
ranno anche quanti saranno estromessi dal circuito
commerciale e imprenditoriale perché impossibilitati a
durare per le politiche anti-impresa adottate.
In tale situazione, assistiamo intanto da parte dei
grandi protagonisti della finanza nostrana a un generale
riassetto delle posizioni con FCA di Elkann, sostenuta da
Banca Intesa, mentre in Mediobanca si profila la scalata
di Del Vecchio.
Anche questi sono segnali di un processo restaura-
tivo, che mira a preservare un controllo più stringente
sull’informazione quale strumento di condizionamento
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nelle scelte e che evidentemente fa le sue mosse in vista
di una ricollocazione entro gli equilibri internazionali.
Resta da vedere quanto risulteranno efficaci tali risi-
stemazioni, se di qui a qualche mese gli effetti della crisi
in atto minacceranno la stessa coesione sociale e terri-
toriale. Il timore è che l’avvitamento delle classi diri-
genti e politiche finisca per portare a un immobilismo
inerte, cosicché si determini una condizione di caos in-
sostenibile per il Paese.
3 giugno 2020
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Scuola: dagli allarmi all’esame “burla”
senza capacità di visione
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Eppure, da tempo è finanziato l’INVALSI, l’istituto
nazionale di valutazione, che ogni anno effettua prove
on line su base nazionale in tutti gli istituti secondari: se
si riteneva indispensabile svolgere una prova d’esame,
non sarebbe stato più serio effettuarla fornendo un pin
a ciascun candidato per svolgerla in un tempo determi-
nato e con criteri uniformi? Si è preferito invece scari-
care ogni onere e responsabilità su presidi e corpo do-
cente, con la conseguenza di creare una situazione di
enorme disparità sia rispetto agli studenti dell’anno
passato che di quelli futuri.
La vicenda dell’esame di Stato dimostra l’assenza di
una visione circa le riforme che richiede il mondo della
scuola. Ci si è appiattiti nella mera gestione di incom-
benze burocratiche, senza prefigurare alcun vero dise-
gno innovatore come confermano del resto anche le al-
tre norme contenute nel decreto approvato sul recluta-
mento dei docenti.
Perseverare nelle direttrici del passato, non è certo
quello che serve per risollevare il nostro sistema forma-
tivo: occorre al più presto un deciso scarto che rimetta
in discussione norme e indicazioni che sono la causa
prima del degrado in cui versa.
7 giugno 2020
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Lo stallo politico contrasta
con le urgenze del Paese
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luogo, perché com’è noto lo scioglimento delle Camere
è nella disponibilità del solo Presidente della Repub-
blica.
E al Quirinale sembrano siano tutt’altro che propensi
dal farlo: quasi sicuramente, anche a fronte degli impe-
gni da assumere nei confronti dell’Unione Europea per
risolvere la trattativa sui sostegni agli investimenti per
uscire dalla crisi, nel caso si opererà per evitare il voto
anche ricercando nuove combinazioni di alleanze in
grado di dare fiducia al governo.
È in questo contesto che si trovano ora le forze poli-
tiche. Da qui i boatos sui contatti fra Conte e Berlusconi,
i passaggi da un gruppo parlamentare all’altro e gli at-
triti nemmeno più smentiti all’interno della compagine
ministeriale. La condizione determinatasi ha caratteri
accentuati di precarietà e potrebbe facilmente sfuggire
al controllo degli stessi politici coinvolti. Da parte sua
l’opposizione che il 4 luglio manifesta a Roma, qualora
prevalessero le posizioni di Meloni e Salvini, insiste
sull’opzione del voto subito; mentre il Movimento 5
Stelle, interessato a evitarlo a ogni costo, di fronte alle
manovre in atto potrebbe anche finire per far precipi-
tare la situazione e così favorire la conclusione
dell’esperienza di governo con il PD e Italia viva di Renzi.
Quali spazi ci siano per dar vita a soluzioni alterna-
tive in questa legislatura è tutto da vedere. Ma è difficile
possano prendere corpo in assenza di un’iniziativa di-
versa da parte del PD. Quest’ultimo non pare in grado
di prospettare una strategia risolutiva dell’impasse, an-
che a causa delle divisioni interne e dell’assenza di vi-
sione che contraddistingue la sua dirigenza oramai
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preoccupata soltanto di preservare il controllo delle po-
stazioni assunte nell’ambito degli apparati pubblici, isti-
tuzionali e finanziari che siano.
Nondimeno tale intento, puramente conservativo se
non restaurativo, contrasta inevitabilmente con le ur-
genze imposte dalla crisi occupazionale e produttiva
che manifesterà i suoi drammatici effetti di qui a pochi
mesi. Più che mai il tempo odierno obbliga a una decisa
inversione di rotta rispetto alle coordinate che hanno
fin qui caratterizzato una politica che patisce l’assenza
di metodi e soluzioni liberali.
4 luglio 2020
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Su autostrade uno scambio svantaggioso
che Conte cela con la retorica
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mancata manutenzione che spettava al suo gestore e
cioè appunto Atlantia.
Sul piano del diritto civile la responsabilità è chiara:
se un ponte è mal progettato, o ha una cattiva manu-
tenzione, o addirittura è pericolante, il gestore ha il
compito di chiudere l’accesso, di ripararlo o di abbat-
terlo. Nessuna di queste cose è stata fatta. Quanto al
“controllore” del gestore, il Ministero di infrastrutture e
trasporti, ha anch’esso la sua responsabilità e – dal
punto di vista politico – va ripartita fra quanti hanno go-
vernato nel corso di questi anni.
Dopo la tragedia, invece, tutto è stato “buttato in
caciara” mescolando responsabilità civile e penale, con-
fondendo le acque con polemiche ad arte, al solo scopo
di pervenire alla soluzione che è stata varata oggi.
Soluzione che era l’esito al quale si mirava sin
dall’inizio, con il preciso intendimento di evitare l’emer-
sione delle responsabilità come pure la giusta attribu-
zione delle sanzioni economiche. È stato tutto un succe-
dersi di dichiarazioni roboanti, si è scomodata l’etica, si
è imbastito uno scontro politico e giudiziario, ci si è tra-
vestiti da giustizieri e si sono usati i morti di Genova, per
raggiungere lo scopo prefissato: salvare il business e il
patrimonio degli azionisti di Atlantia, fra i quali – ricor-
diamolo – ci sono la tedesca Allianz e la cinese Belt and
Road Initiative.
A questi azionisti, infatti, dopo la cessione della
maggioranza allo Stato rimane un 37%, di cui l’11% con-
tinuerà ad essere direttamente nella disponibilità della
famiglia Benetton, che potrà farlo fruttare quando la
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nuova società sarà collocata in Borsa e, contempora-
neamente, riduce il suo stato debitorio in Aspi da 5 a 3
miliardi. Quello che viene presentato sui media come
un esproprio è, dunque, quanto mai vantaggioso e, per
riprendere l’espressione di Alessandro Di Battista, tante
altre società forse gradirebbero “prendersi questi
schiaffi”.
Nessun colpevole e nessun risarcimento, a parte
qualche eventuale capro espiatorio del processo penale
che si concluderà fra qualche lustro. In cambio Atlantia,
svincolandosi dalla maggioranza su Autostrade, si sot-
trae anche dai contenziosi giudiziari, mentre l’aumento
di capitale necessario se lo assume lo Stato attraverso
la Cassa Depositi e Prestiti.
Per non parlare delle speculazioni finanziarie inter-
venute nell’ultima fase della trattativa, con improvvisi
crolli azionari e successivi rialzi, avvenuti all’indomani
dell’intervista di Conte al «Fatto» dove ancora ipotiz-
zava la revoca, che hanno consentito altrettanti improv-
visi (e provvidenziali) incassi ad accorti operatori in
Borsa.
18 luglio 2020
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La vacua esultanza
per gli aiuti dall’UE
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Lo snodo Quirinale condiziona
le scadenze politiche
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serie di risultati: dalla neutralizzazione del M5S al ripo-
sizionamento geostrategico dell’Italia, considerato il
probabile lento sciogliersi della liaison fra Germania e
Cina.
In questo senso, si colgono segnali che potrebbero
anche portare a una diversa scansione temporale e ma-
gari prevedere pure una cesura elettorale, che consen-
tirebbe di far nominare il successore di Mattarella da un
nuovo Parlamento e darebbe al nuovo governo un re-
spiro maggiore così da gestire al meglio i piani di inve-
stimento e risanamento economico.
In ogni caso, quali che saranno le eventuali prospet-
tive politiche, è indubitabile che il prossimo snodo è
rappresentato proprio dalla nomina del nuovo Presi-
dente della Repubblica. Al di là dei più o meno interes-
sati commenti del premier Conte in favore di un reinca-
rico a Mattarella, va osservato che – a fronte di un Par-
lamento non più rappresentativo del corpo elettorale e
per di più di fatto cassato dal referendum – sarebbe
quanto mai da scongiurare un presidente che uscisse
eletto dopo il quarto scrutinio, sostenuto soltanto dai
partiti di maggioranza.
E, d’altro canto, sebbene vi sia il precedente del se-
condo mandato a Napolitano, la rielezione dell’attuale
Capo dello Stato non sarebbe una soluzione conside-
rato anche che, a ben leggere la Costituzione, questa as-
segna la carica di senatore a vita al cessare del mandato
settennale.
Solo una elezione presidenziale che raccolga il più
vasto consenso, da realizzarsi già nei primi scrutini,
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permetterebbe di bypassare le criticità di una nomina
da parte di un Parlamento deprivato della sua pienezza
rappresentativa. È tempo già da ora di lavorare a rose
di nomi davvero condivisi, magari diradando le velleità
di quanti ben difficilmente sono in grado di soddisfare
questo presupposto. È tempo di lavorare a un Presi-
dente davvero di tutti, meglio se eletto nel 2022 al
primo scrutinio con il concorso di tutte le forze presenti
in Parlamento.
Non è un problema da poco nell’Italia divisa e fran-
tumata dagli interessi delle corporazioni, dove si pratica
la delegittimazione costante dell’avversario. Se si vo-
gliono creare le condizioni per ridare vigore a una de-
mocrazia asfittica, l’operazione di una convergenza sul
nome della personalità che siederà al Quirinale rappre-
senta il giusto modo per porne le premesse indispensa-
bili.
19 ottobre 2020
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Quale soccorso per la barca incagliata
del governo Conte?
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Tanto più che nel 2022, tocca appunto al Parla-
mento eleggere il nuovo Capo dello Stato che rimarrà al
Quirinale per i successivi sette anni. È chiaro che se il
Presidente della Repubblica dovesse uscire da Camera
e Senato attuali si determinerebbe una circostanza di
difficile sostenibilità.
La scelta del candidato sarebbe stata effettuata da
assemblee non solo divergenti dall’effettiva volontà dei
cittadini, perché espressione di maggioranze costruite
attraverso alchimie procedurali, ma anche formal-
mente prive del crisma di legalità che deriva dall’ade-
renza al dettato costituzionale in vigore.
Di tutto questo, i vertici della Repubblica – a comin-
ciare proprio dal Quirinale – dovrebbero tener conto.
Anche perché la situazione di impasse nella quale si ri-
schia di avvitarsi è stata determinata, in parte, proprio
da alcune delle decisioni prese nel recente passato.
La nascita del secondo governo Conte, infatti, è stata
determinata dall’anomala conduzione della crisi
dell’agosto 2019, quando furono scartate le tre opzioni
normalmente sul tavolo (rinvio del governo al voto delle
Camere; designazione di altro premier; voto anticipato)
e se ne intraprese una quarta inedita di dare tempo af-
finché i partiti neo-alleati si accordassero per riconfer-
mare lo stesso premier, alla guida di un governo che
aveva ora al suo interno forze che sino al giorno prima
gli avevano votato contro in aula: evento mai accaduto
in precedenza.
Più che dar luogo a prospettive di “unità costituzio-
nali” o di incameramenti di supporti “responsabili”
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all’attuale maggioranza, sarebbe opportuno individuare
un percorso capace di avviare a soluzione il groviglio di
problemi, di natura politica e istituzionale, sui quali è di
fatto incagliata l’iniziativa di governo del Paese.
Tenendo conto di due priorità: garantire una reale
base di consenso popolare alle azioni che dovranno
prossimamente essere intraprese e dare legittimità
piena al prossimo candidato che salirà al Quirinale. Per
soddisfarle entrambi, è ben difficile pensare che si
possa mantenere invariata l’attuale conformazione
dell’esecutivo: meglio sarebbe non insistere quindi nei
tentativi di dissimulazione.
Le tappe di questo percorso, non necessariamente
alternative tra loro, dovrebbero pertanto essere: o con-
durre a una fine concordata della legislatura, cosicché
la prossima possa avere una prospettiva ampia di legit-
timazione; o lavorare per candidature alla Presidenza
della Repubblica capaci di garantirsi vasti consensi nelle
forze politiche.
22 novembre 2020
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Slalom di Conte fra crisi
e piani di rilancio vaghi
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Di certo il “Piano nazionale di ripresa e resilienza”
(Pnrr) presentato dal governo Conte non pare davvero
incoraggiante, dal punto di vista della chiarezza di in-
tenti e di propositi. Nelle 125 pagine che lo compon-
gono, a parte l’indicazione della ripartizione dei circa
200 miliardi di euro previsti, fra l’altro oggetto di per-
plessità e meraviglia da parte di molti osservatori eco-
nomici, prevalgono espressioni all’insegna di vuoti for-
mulari e proponimenti generici.
Se sottoposto a un’attenta lettura, sarebbe possibile
cogliere come le sue proposizioni nascondano pratiche
e modalità di gestione fin troppo note. Un po’ come av-
viene con le parafrasi di opere letterarie arcaiche, è ne-
cessario dipanare il linguaggio involuto e criptico per
scoprirne i risvolti assai più prosaici.
Qualche spigolatura per capire meglio. In sei pagi-
nette relative alla “Rivoluzione verde e transizione eco-
logica” (per la quale, ricordiamolo, è previsto l’impiego
di ben 74,3 miliardi), troviamo una serie di formule sug-
gestive senza che vi sia alcuna indicazione precisa circa
i progetti che si intendono realizzare. Lo stesso avviene
per le politiche sul lavoro dei giovani, dove si parla ge-
nericamente di azioni “volte a favorire l’ingresso dei
giovani al mondo del lavoro, potenziando i centri per
l’impiego”, che significa di fatto finanziare apparati bu-
rocratici che sinora non hanno dato valida prova di sé.
L’impressione è che gli estensori del documento ri-
spondano a tutt’altri criteri che non a quelli dell’effica-
cia. In quelle righe ritroviamo la mano di quella schiatta
di funzionari descritta nell’amaro volumetto di Augusto
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Frassineti, Lo spirito delle leggi, ben accorti a creare reti
di interessi clientelari e tutele corporative.
14 dicembre 2020
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Avvertenza
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