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Capitolo 1

<< Ci sono guai in vista >>

- Uff, passami un’altra birra scura Elda. -


- Quando è che imparerai le buone maniere? –
- Hai ragione, ma quando sono stanco dimentico il galateo. Per favore Elda, potrei avere un’altra
birra scura? –
Probabilmente era sempre stanco, pensò tra se e se l’ostessa. Non che non fosse uno dei suoi
clienti preferiti, ma aveva proprio tutti i difetti dei nani. Per fortuna ne aveva anche le virtù.
- Certamente – gli rispose sorridendo la donna.
Con maestria proverbiale, riempì il boccale e, lanciandolo lungo il bancone, lo fece arrivare fra le
mani del nano. Questi si era appollaiato sul suo sgabello preferito alla Taverna della Luna Calante.
Soltanto lì si poteva bere “la birra scura più buona di tutta la Pianura Centrale”, diceva sempre.
Era una delle Taverne più frequentate di tutta Azureth ed aveva talmente tanti anni che tutti
pensavano che fosse stata creata insieme alle foreste e alle montagne del continente. Il bancone, le
sedie, i tavoli e le panche erano in legno proveniente dalla foresta a nord-est della città, rinforzato
da finiture in ferro battuto forgiato dai nani delle montagne di Khaland.
L’insegna all’ingresso, un grande spicchio di luna di legno era una vera reliquia e veniva
restaurata ad ogni piccolo segno di decadimento. Elda era convinta che finché l’insegna fosse
rimasta al suo posto, la locanda sarebbe sempre stata piena di avventori.
Tutto era antico. L’aria stessa che si respirava era impregnata dei racconti di eroi e di duelli, di
vittorie e di leggende. Il nano lo sapeva bene. Era stato anche lui nella locanda per sere intere ad
ascoltare avventurieri di passaggio che si fermavano a rinfrescare la gola e far riposare i cavalli.
Ormai anche lui avrebbe potuto raccontare molte delle sue avventure. Sue e dei suoi compagni.
- Devo andare Elda, grazie della birra. -
Finì metà del boccale tutto d’un fiato e, pulendosi la barba dalla schiuma, posò sul bancone la
solita moneta d’argento.
- Dove vai così di fretta? – domandò Elda.
- Ho novità importanti e urgenti da riferire ad alcuni amici. –
- Quali novità? –
Troppo tardi. Il nano aveva prevenuto ogni altra domanda uscendo in tutta fretta dalla taverna.
- Ma perché le donne devono essere sempre così curiose – borbottò mentre si incamminava per
stradine sempre più strette. – Bah, ho cose più importanti a cui pensare. Devo sbrigarmi a trovare
quei due. -
Dunter, così si chiamava il nano, cercò di affrettare un po’ il passo, per quanto le sue corte gambe
glielo consentissero. Superava di poco il metro e trenta, ma era muscoloso e la sua ascia veloce
quanto basta chiudere in fretta certi tipi di conversazione.
Il sole stava lentamente calando e ormai iniziava a fare capolino la luna, quella vera stavolta.
Camminava a testa bassa e, alla gente che lo salutava, rispondeva con un brontolio e alzando
leggermente un braccio.

- Toccato di nuovo! -
- Ehi, non dovresti impegnarti così tanto con me! Sai bene che non posso tenerti testa con la
spada! –
- Scusa Xant. Sai che quando combatto mi riesce difficile controllarmi. –
- Lo so, lo so. Ed ora in guardia! –
Xant provò a colpire di sorpresa Kyle, ma questi evitò il colpo con una mezza piroetta e,
piegandosi sulle gambe con estrema rapidità, riuscì ad entrare facilmente nella difesa
dell’avversario. Improvvisamente, però, la lama del fioretto di Kyle si piegò e mancò totalmente il
bersaglio.
- E tu avevi detto che non avresti usato i tuoi trucchetti – disse Kyle.
- Non potevo certo farmi toccare un’altra volta! – gli rispose Xant, buttando a terra l’amico con
uno spintone e lasciandosi cadere a sua volta. Così distesi notarono che il cielo stava ormai
sfumando dal rosso cremisi al blu, e le prime stelle occhieggiavano tra le nubi che iniziavano a
radunarsi sopra la città.
- Xant! Kyle! – urlò una voce femminile - Venite, ci sono visite per voi! -
Si alzarono di scatto e corsero in casa.
- Eccovi finalmente. C’è qualcuno che vi aspetta nel salone. – disse la ragazza.
- Grazie sorellina – rispose Kyle. – Ora puoi tornare in cucina. Non vorrei privare nostra madre
del tuo prezioso aiuto.. – aggiunse sogghignando.
- Smettila di prendermi in giro! – disse Arianne colpendo Kyle con lo straccio che aveva in mano.
Si voltò e tornò in cucina sbattendo la porta.
- Dovresti trattare un po’ meglio tua sorella – disse Xant con aria di rimprovero.
- Via, sai bene che scherzo. Piuttosto, andiamo a vedere chi è questo visitatore. –
I due entrarono nel salotto, la stanza più accogliente e meglio arredata della casa. Sulla sinistra, un
tavolo in legno massiccio di forma ovale, modellato dalle esperte mani degli elfi, era attorniato da
otto sedie (che in quel momento erano sette) fatte con lo stesso stile ricco di riccioli e svolazzi.
Sulla destra, invece, si trovava un cerchio formato da sei poltrone rivestite di pelle di cervo. Una di
queste era leggermente più grande e più alta delle altre e sembrava dominare le altre.
Alle pareti erano appese spade, lance, asce e anche uno scudo e un arco. Tutte quelle armi erano di
fattura superba, ma l’oggetto che più di tutti attirava l’attenzione, era un’armatura completa di
metallo lucente che stava nell’angolo vicino al cerchio di poltrone. I bagliori che emanava erano i
riflessi del fuoco che crepitava nel camino.
Era un’armatura degna di re di grande stirpe, al tempo stesso semplice e sfarzosa. Il padre di Kyle
ci aveva lavorato, nel tempo libero, per cinque lunghi anni. Ne era talmente fiero che aveva
soprannominato quel salotto come “la sala dell’Armatura”. Accanto al caminetto era stato posato
uno zaino pieno di polvere, che sembrava averne passate davvero tante, al quale erano legati un
elmo e un’ascia da battaglia. Davanti al fuoco, invece, si trovava la sedia che mancava da attorno al
tavolo, e su di essa stava una figura massiccia le cui gambe però non toccavano terra e penzolavano
a qualche centimetro dal suolo.
Portava lunghi capelli rossicci fino alle spalle e una lunga barba dello stesso colore, ma raccolta in
due trecce, gli arrivava fino al petto.
Ad un tratto un coltello si staccò dalla parete e, fluttuando nell’aria si avvicinò alla schiena
dell’uomo seduto sulla sedia.
- Fuori i soldi nano, dammi tutto quello che hai! – disse Kyle ingrossando la voce, mentre il
coltello si appoggiava sul fianco della povera vittima tra le giunture dell’armatura.
- Per tutti i nani di fosso! – imprecò il nano preso di sorpresa – Prendete il mio zaino ma non
fatemi del male! –
Poi il coltello cadde a terra. Kyle e Xant non riuscirono più a trattenersi e scoppiarono in una
fragorosa risata.
Resosi conto dell’accaduto, Dunter balzò giù dalla sedia e si avvicinò minacciosamente ai due che
cercavano di tornare seri.
- Buon per voi che ho capito subito che era uno dei vostri scherzi – disse tutto rosso in viso e
cercando di riprendere fiato – altrimenti chissà come avrei potuto reagire! -
- Scusaci – disse Kyle strizzando l’occhio a Xant non appena Dunter gli aveva voltato le spalle. I
due stavano per rimettersi a ridere, ma preferirono prendere ognuno una sedia e sedersi accanto al
nano che si era issato di nuovo al suo posto vicino al camino cercando di riscaldarsi e,
probabilmente, di riprendersi dallo spavento.
- Ci sono guai in vista – esordì Dunter fissando la legna da cui si sollevavano le lingue rosse del
fuoco appena acceso.
Xant non aveva mai visto l’amico così scuro in volto. Non che il nano di collina fosse per sua
natura una creatura molto incline allo scherzo e al divertimento, ma in quel momento gli sembrò di
vederlo rabbrividire.
- Vi avevo detto – riprese – che sarei andato tra le colline, dalla mia gente. Dovevo stare via un
paio di mesi, e invece eccomi qui dopo poco più di una settimana. -
I due notarono solo allora che il loro compagno sembrava invecchiato. La sua espressione era
cambiata, forse per sempre. Era cupa, tesa, e delle profonde rughe gli solcavano la fronte. Dunter si
accorse che Kyle e Xant lo stavano fissando e cercò di fare un mezzo sorriso. Poi proseguì con voce
grave:
- Sono tornato indietro prima perché ho visto cose lungo la strada che mi hanno un sconvolto. Ve
lo ricordate quel villaggio tra la strada per Jezel e la Foresta Azzurra? –
- Quello dove ti sei ubriacato solo per dimostrare che voi nani reggete l’alcol meglio degli gnomi?
– chiese Kyle cercando di ammorbidire un clima che iniziava a farsi troppo pesante per i suoi gusti.
- Diciamo di sì – rispose Dunter più freddamente di quanto si aspettasse – proprio quello. Beh, se
non lo ricostruiscono, credo che te ne resterà solo il ricordo. –
Quelle parole ebbero l’effetto di una lama che avesse trafitto loro la testa da orecchio a orecchio.
Xant ricordò la locanda da cui lui e Kyle avevano tirato fuori Dunter brillo come non mai e
domandò timidamente:
- Che cosa stai cercando di dirci? Che hanno raso al suolo la locanda? -
- No, l’intero villaggio. – rispose trattenendo forse qualche lacrima.
- Come il villaggio? – sbottò alzandosi in piedi Kyle – Vuoi dire che il villaggio non esiste più?
Chi può aver fatto una cosa simile? E perché? Non c’erano tesori, o miniere o altro di così
importante da rubare in un posto del genere! –
- Non so cosa sia successo, quando sono arrivato ho trovato solo alcune macerie di case ancora in
piedi. I muri che avevano resistito erano anneriti e in certi punti addirittura sciolti. C’erano segni di
lotta dappertutto. I pochi sopravvissuti probabilmente avrebbero preferito morire anche loro
piuttosto che vedere quella devastazione. Da loro ho ricavato ben poche informazioni. Quei pochi in
grado di proferire parola mi hanno parlato di creature orribili, di lampi rossi nel buio e di ombre
veloci come i fulmini. Parole senza senso di poveracci stravolti, suppongo. –
Nella mente di Dunter si ricrearono le immagini che lo avevano indotto a tornare immediatamente
dal suo viaggio. Lungo la strada principale giacevano corpi di uomini con rozze armi in mano.
Uomini che avevano tentato di difendere la loro terra. La cosa che però lasciò il nano senza parole,
fu la barbarie con cui furono uccisi anche donne e bambini. Nessun essere umano avrebbe mai
sterminato tanti innocenti in maniera così macabra, aveva pensato di fronte a quel orrore.
Infatti, proseguendo in quel macabro sopralluogo, notò qualche corpo di goblin in mezzo a quelli
degli abitanti del paese, trafitto da forconi o col cranio fracassato da colpi di bastone.
Senza accorgersene Dunter aveva espresso i suoi pensieri ad alta voce, descrivendo quelle scene
anche ai suoi due amici man mano che gli tornavano alla mente. Kyle, che era tornato a sedersi,
strinse i pugni con forza, trattenendosi a stento dal rompere qualcosa.
- Non possono essere stati i goblin – disse Xant improvvisamente – non è nella loro natura
uccidere donne e bambini. Di solito nelle loro razzie uccidono solo chi cerca di fermarli e dopo un
breve scontro decidono se è il caso di proseguire con l’attacco o se è meglio ritirarsi. Hanno sempre
una grande superiorità numerica e se riescono a liberarsi senza enormi perdite di chi li contrasta, si
fanno consegnare qualsiasi tipo di ricchezza, cibo o bestiame dai sopravvissuti. I goblin lasciano
molti vivi se possono, in modo che nel giro di qualche anno il villaggio si riprenda
economicamente, per ritentare un nuovo attacco. -
- Hai perfettamente ragione – sospirò Dunter – infatti ho trovato qualcosa che mi ha confermato
che non può essersi trattato solo di una razzia di quelle bestie schifose. Mentre girovagavo tra le
macerie ho trovato il corpo di un uomo coperto da un telone e da parecchia polvere. Si intravedeva
solo una mano bruciacchiata che sbucava dal terreno. Scostai il telo e rigirai il poveretto. Sebbene
sfigurato e con il viso pieno di ustioni gravissime l’ho riconosciuto. Era Thonus, l’avventuriero. –
I due giovani rimasero ancor più sconvolti nel sentire quelle parole. Thonus era un validissimo
guerriero anche se a volte veniva beccato durante l’esercizio della sua seconda passione: il
borseggio. Molte volte l’avevano visto duellare e quasi mai l’avevano visto sconfitto. Aveva anche
insegnato a Kyle qualche colpo che solo un maestro d’armi può conoscere.
- Comunque – proseguì Dunter - Nella mano sepolta stringeva una cosa. –
Balzò giù dalla sedia e prese il suo zaino. Lo aprì e ne estrasse un fagotto di tessuto che poteva
essere una coperta. Lo distese a terra con grandissima cautela.
- Ecco – disse sollevando con due dita, quasi fosse un serpente, un pugnale – questa sicuramente
non è un’arma goblin. -
- In effetti le loro armi preferite sono la spada corta o la lancia, anche se può benissimo esisterne
uno con dei gusti diversi. O magari era la sua seconda arma… – asserì Kyle.
- Possibile, ma inverosimile – lo interruppe Xant – queste armi così pregiate i goblin le vendono,
non le usano per attaccare villaggi. Non vedi che è un pugnale di forgia eccezionale? Probabilmente
avrebbero ricavato molte più monete d’oro vendendolo che razziando il villaggio. –
Come sempre i ragionamenti di Xant non facevano una piega.
- Tanto più – intervenne Dunter – che quel pugnale è magico, e non è l’unica cosa interessante che
ho trovato addosso a Thonus. -
Tirò fuori un foglio dalla borsa che portava a tracolla e lo porse a Xant. Era scritto in lingua
Comune e la calligrafia era troppo bella per essere quella di un goblin, considerando tra l’altro che
solitamente sono analfabeti.

“… e questo lavoro dovrà essere fatto entro il prossimo plenilunio nero. Dovete assolutamente
trovarlo. Enormi ricchezze andranno a chi lo cattura. Conto molto su di te e sui tuoi uomini. Q.A.”

- Pare che manchi la prima parte – continuò Dunter mentre gli altri osservavano il foglio strappato
– ma mi sembra di poter dire che ci sia un mandante per questo massacro. -
- Le domande ora sono queste – disse Xant mentre passava il foglio a Kyle – chi è questo Q.A. e
come può aver ordinato una cosa simile? Chi o cosa sta cercando? E questo riferimento alla
prossima luna piena? –
- E’ per trovare una risposta a queste domande che sono tornato – rispose annuendo Dunter –
voglio che veniate con me alla Casa della Magia Bianca. –

- A rapporto signore! – rispose alla chiamata.


Il nobile si alzò dal suo trono di ebano e argento. Discese i pochi gradini che lo separavano dal
suolo e si avvicinò al suo soldato. Era uno dei suoi messaggeri e sperava che portasse notizie
migliori rispetto a quelle dei giorni precedenti.
- Ebbene? Quali novità ci sono dal Sud? – lo interrogò.
- Ecco, signore, in pratica… - iniziò a farfugliare – è successa una cosa durante l’attacco ad un
villaggio… -
- Cosa? – tuonò impaziente – cosa è successo? E’ stato sconfitto uno dei nostri eserciti? Gahikk ha
fallito? LUI si è fatto vivo? –
Il messaggero se la sarebbe data a gambe già alla prima di quella serie di domande, ma sapeva che
se l’avesse fatto, l’indomani ci sarebbe stato qualcun altro al suo posto, e il suo corpo sarebbe stato
cibo per le bestie.
- Nu – nulla di tutto questo – riuscì a dire balbettando.
Poi, vedendo che il viso del suo comandante si era un po’ rasserenato, riuscì a proseguire.
- L’attacco è riuscito, ma del mezzo drago nessuna traccia. L’unica cosa, che probabilmente non
interessa nemmeno a Vostra Altezza, è che Gahikk ha perso il suo pugnale durante la lotta. Ha
provato a cercarlo… -
Come un fulmine a ciel sereno, un pugno colpì il messaggero alla bocca dello stomaco e lo
costrinse a piegarsi in due, rimanendo per lunghi secondi senza fiato.
- Maledetto imbecille, speriamo solo che nessuno trovi quel pugnale – disse fra se e se tornando
verso il grande trono.
Appena si fu ripreso dal colpo, il povero corriere lasciò la sala con un inchino e si avviò verso la
propria stanza, mormorando qualcosa sul dar retta alla propria madre che gli diceva di trovarsi un
lavoro più decente.

Finalmente era tornato a casa. Non che il tragitto dalla bottega fosse lungo, ma fare l’armaiolo
certamente non era il lavoro più riposante del mondo. Il braccio destro gli doleva per la fatica e
sentiva le gambe gonfie e pesanti.
Ora però si sarebbe riposato per qualche minuto sulla sua vecchia, ma meravigliosamente
comoda, poltrona, aspettando che la cena fosse pronta. Guardò la striscia di cielo che le grandi case
costeggianti i viottoli gli lasciavano libera, e vide nubi grigie, talmente ammassate e sovrapposte
che non lasciavano filtrare altra luce se non quella rossastra di un sottilissimo spicchio di luna.
Due giorni prima, infatti, si era compiuto il ciclo della luna bianca, ed ora l’astro aveva assunto
un colore scarlatto. Pallide candele illuminavano i balconi degli appartamenti ai piani bassi e le
bocche di lupo delle taverne. In quella zona vicino al porto erano molte, ma quasi mai ben
frequentate.
Assorto nei suoi pensieri, giunse al basso steccato in legno che circondava per due lati la sua
dimora. Il fianco sinistro della casa era invece in comune con quello destro del vicino e sul retro
stava un piccolo giardino, delimitato dalle mura della città.
Aprì il cancelletto e pensò che uno di quei giorni avrebbe dovuto ridipingerlo. Il lucido infatti
aveva cominciato a scrostarsi e il legno si stava squamando e rovinando in più punti. Arrivato alla
porta afferrò un cordone rosso che penzolava alla sua destra e lo tirò. All’interno si sentì il suono di
una campanella, uscita dalla sua fucina molto tempo addietro.
- E’ arrivato papà! – si sentì gridare una voce femminile dall’interno. Poi la porta si spalancò.
Sulla soglia era comparsa una bellissima ragazza dai lunghi capelli neri come piume di corvo. I
lineamenti del viso erano molto delicati e le gote leggermente spruzzate di rosso, probabilmente per
il caldo. Ciò che stupiva di più era il verde intenso degli occhi. Due smeraldi rubati ad un regale
gioiello e incastonati in un viso scolpito nel marmo da un grande artista. Il cuore del padre si
riempiva di orgoglio ogni volta che la vedeva. Era una ragazza invidiata non solo per la sua
bellezza, ma anche per la voce cristallina. Spesso cantava alla taverna della Luna Calante e tutti
andavano ad ascoltarla, dimenticando, come d’incanto, tutte le fatiche della giornata.
- Ci sono anche i soliti ospiti a cena – disse strizzando l’occhio al padre, che sorrise.
- Bene, chiamatemi quando è pronto – rispose l’uomo - io vado a riposare qualche minuto sulla
mia poltrona. –
Chiuse il portone e diede un bacio affettuoso alla figlia che tornò in cucina. Lui invece aprì la
porta sulla sua sinistra ed entrò nel salotto.
- Buonasera signor Steelborn – salutò Xant.
- Salve Eric – aggiunse Dunter. Aveva una certa confidenza col padre di Kyle visto che erano
amici di vecchia data. Molti erano stati i loro viaggi insieme, per lo più avventurosi, prima che Eric
si sposasse.
- ‘sera padre. – fece loro eco Kyle e si avvicinò al padre stringendolo nel consueto abbraccio di
bentornato.
- Ebbene, cosa sono quelle facce? – chiese vedendo i volti scuri dei tre – e tu Dunter, come mai
sei già di ritorno? –
Il trio si aspettava quella domanda, e aveva cercato di sembrare disinvolto e immerso in una
piacevole conversazione quando Eric Steelborn era entrato nella sala. Impresa impossibile,
considerando le notizie che il nano aveva portato con se dal suo breve viaggio.
- Ti diremo tutto dopo cena – disse Kyle cercando di allontanare la tensione dal volto – tu intanto
riposati un po’ mentre noi andiamo a vedere cosa hanno preparato Arianne e la mamma. -
Dopo circa dieci minuti Eric si unì agli altri attorno alla tavola imbandita e tutti risero e
scherzarono come al solito. Dunter si vendicò dello scherzo di poco prima insaporendo con molto
pepe i piatti di carne di Kyle e Xant. I due cercarono di non darla vinta al nano facendo i
complimenti alla cuoca. Dopo qualche boccone però non riuscirono più a trattenere le lacrime e m
una caraffa di acqua a testa. Dunter se la rise di gusto, nascosto dai folti baffi.
Finita la cena, Eric e i tre giovani amici si sedettero sulle poltrone di pelle della sala
dell’Armatura.
Il nano disse, come sempre, di trovare quelle poltrone un po’ scomode. In realtà odiava il fatto che
le sue gambette non arrivassero a toccare terra e quindi stava talmente in avanti, che poteva
benissimo sembrare in piedi.
Non appena tutti furono seduti, o quasi, entrò Arianne con un vassoio sul quale portava tre
bicchieri di vino rosso speziato (di origine elfica) e un boccale di birra scura. Conoscendo la
passione di Dunter per la bevanda, Arianne non la faceva mai mancare in casa e la acquistava
direttamente dalla taverna della Luna Calante.
Dopo aver posato i bicchieri sul tavolino che stava al centro del cerchio di poltrone, Arianne
salutò uno ad uno i quattro uomini dicendo che sarebbe tornata in cucina dalla madre. Xant la seguì
con lo sguardo, finché non uscì dalla sala.
Dunter raccontò di nuovo la sua inquietante avventura. Quando ebbe finito discussero della cosa
ed espressero i loro dubbi e quesiti ad Eric. Questi era rimasto visibilmente sconvolto dalle scene
raccapriccianti che gli erano state descritte, ma ancor di più lo sorpresero le storie sul pugnale e sul
pezzo di lettera. Chiese allora a Dunter di mostrargli l’arma dalla lama nerastra. In tutta la città era
lui il più grande conoscitore di armi e armature e sperava di capirne la provenienza.
- Eccolo – disse il nano porgendo il pugnale ad Eric – questo è il misterioso oggetto di cui ti
abbiamo parlato. Tutto quello che sono riuscito a capire è che possiede un’aura magica. Un’aura
malvagia. Non l’ho mostrato a nessun altro, per paura che qualcuno lo riconoscesse o ne volesse
sapere di più. -
Il maestro armaiolo convenne subito con Dunter sul fatto che il pugnale fosse magico. I nani,
infatti, conoscono profondamente i metalli e la loro lavorazione, soprattutto quella delle armi. Eric
rimase sbalordito anche dalla foggia dell’arma. L’impugnatura aveva alla base una sfera di due
colori intrecciati. Uno era dato dal bronzo, l’altro da uno strano metallo scuro. Da questa sfera
partiva un intreccio dei due materiali ferrosi. Salendo in questa spirale, il bronzo formava l’elsa con
due grandi riccioli, l’altro dava vita alla lama.
- Sembrerebbe un pugnale elfico – azzardò Eric – ma in vita mia non ho mai visto questo metallo
scuro. Vi consiglio di tenere nascosta questa arma, non si sa mai che genere di magia contenga. -
Ci fu un minuto di silenzio, mentre tutti fissavano il pugnale che era stato riposto al centro del
tavolino. Dunter diede un’occhiata a Xant e Kyle che annuirono, e il nano riferì ad Eric la loro
decisione di fare visita agli stregoni alla Casa della Magia Bianca.
- Sapevo che sarebbe giunto il giorno – pensò – in cui questi tre si sarebbero imbarcati in
un’impresa del genere. Speriamo solo che stavolta tornino a casa tutti interi. -
Immerso nei suoi pensieri, Eric non si accorse di Kyle che lo stava chiamando e che gli ripeteva
che se ne andavano a letto perché avevano intenzione di partire il mattino seguente alle prime luci
dell’alba. Quando il figlio gli posò una mano sul braccio e lo scosse dolcemente, si risvegliò da
quello stato di trance in cui era caduto.
- Bene, allora domani mattina mi alzerò con voi per darvi un ultimo saluto – disse ancora
sovrappensiero – Se volete fermarvi qui a dormire, non ci sono problemi. -
- Grazie – rispose con aria leggermente preoccupata – vado a prendere le mie cose e torno. –
- Io posso restare – accettò Dunter – domattina passerò da casa mia e mi basteranno cinque minuti
per prendere quello che non ho nello zaino. –
Gli altri sorrisero e si guardarono, pensando a quale scorta di cibarie e bevande avrebbe dovuto
caricare il nano per soddisfare il suo inestinguibile appetito durante il viaggio.
Mentre si scambiavano le solite strette di mano, non poterono fare a meno di notare che nell’aria
c’era una tensione strana, una sensazione di pericolo vicino, anche se non ancora imminente.
- Non fate parola con nessun altro di questa faccenda. – bisbigliò Eric – soprattutto non dire niente
a tua madre e a tua sorella – continuò rivolgendosi al figlio.
Nessuno di loro poteva immaginare che quella non era più una conversazione privata già da molti
minuti.

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