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Arthur Conan Doyle

I RACCONTI DEL TERRORE E DEL MISTERO






L'IMBUTO DI CUOIO
Il mio amico, Lionel Dacre, abitava nell'Avenue de Wagram, a Parigi. La sua casa era quella
piccola, con la cancellata di ferro e il giardinetto davanti, che s'incontra sulla sinistra, venendo
dall'Arco di Trionfo. Immagino che essa esistesse gi molto tempo prima che il viale venisse
costruito, poich i tegoli erano cosparsi di licheni, e i muri erano ammuffiti e scoloriti dagli anni.
Sembrava piccola vista dalla strada, cinque finestre sulla facciata, se ben ricordo, ma sul retro si
estendeva in un'unica, lunga sala. Era qui che Dacre teneva quella singolare biblioteca di
letteratura occulta, e quei bizzarri oggetti che costituivano il suo hobby e il divertimento dei suoi
amici. Uomo ricco, dai gusti eccentrici e raffinati, aveva speso la miglior parte della sua vita e della
sua fortuna mettendo insieme una raccolta privata, che si diceva unica nel suo genere, di opere
talmudiche, cabalistiche e di magia, molte delle quali assai rare e di grande valore. I suoi gusti
tendevano al soprannaturale e all'orrido, e ho sentito dire che i suoi esperimenti nel campo
dell'ignoto hanno passato ogni limite di civilt e di decoro. Con i suoi amici inglesi egli non parlava
mai di queste cose, anzi si atteggiava a studioso e a grande esperto; ma un francese, i cui gusti
erano analoghi ai suoi, mi ha assicurato che le pi macabre delle messe nere si sono svolte in
quella vasta sala, le cui pareti sono tappezzate da libri e da bacheche che la rendono simile a un
museo.
L'aspetto di Dacre era sufficiente a dimostrare che il suo profondo interesse in queste faccende
psichiche era intellettuale piuttosto che spirituale. Il volto massiccio non recava alcuna traccia di
ascetismo, ma l'enorme cranio a cupola che spuntava al di sopra dei capelli ormai radi, simile a
una vetta innevata circondata da una frangia di abeti, rivelava una grande forza mentale. La sua
sapienza superava la sua saggezza, e la volont era di gran lunga superiore al carattere. Gli occhi
piccoli e vivaci, profondamente infossati nel volto carnoso, brillavano di intelligenza e di
un'insaziabile curiosit della vita, ma erano gli occhi di un sensuale e di un egoista. Ma basta col
parlare di lui, poich adesso egli morto, povero diavolo, morto proprio quando era sicuro di avere
finalmente scoperto l'elisir di lunga vita. Non del suo complesso carattere che io voglio parlare,
ma della strana e inspiegabile vicenda che avvenne durante la visita che gli feci nella primavera
dell"82.
Avevo conosciuto Dacre in Inghilterra, poich le mie ricerche nella Sala Assira del British Museum
si erano svolte nel medesimo tempo in cui egli stava tentando di attribuire un significato mistico ed
esoterico alle tavole babilonesi, e questi comuni interessi ci avevano avvicinati. I primi casuali
commenti si erano approfonditi in conversazioni quotidiane, e queste, a loro volta, si erano
trasformate in qualcosa di simile all'amicizia. Avevo promesso di fargli visita, la prima volta che mi
fossi recato a Parigi. All'epoca in cui potei adempiere alla mia promessa, abitavo in una villetta a
Fontainebleau, e poich i treni della sera erano scomodi, egli mi chiese di trascorrere la notte in
casa sua.
"Non ho che quel letto da metterle a disposizione" mi disse, indicando un ampio divano nel suo
grande salone. "Spero che potr starci comodo." Era una singolare stanza da letto, quella, con le
sue alte pareti tappezzate di volumi, ma non potevano esistere mobili pi gradevoli per un amante
di libri quale io ero, n vi alcun profumo cos attraente alle mie nari quanto quel tenue, leggero
tanfo che emana da un libro antico. Lo assicurai che non avrei potuto desiderare una camera pi
piacevole, n un arredamento pi congeniale.
"Se l'arredamento non n comodo n convenzionale, perlomeno costoso" comment Dacre
guardandosi attorno. "Questi oggetti che la circondano mi sono costati quasi un quarto di milione.
Libri, armi, gemme, intarsi, arazzi, quadri... non esiste un solo oggetto che non abbia la sua storia,
e una storia che generalmente vale la pena raccontare." Mentre parlava, egli era seduto da un lato
del caminetto aperto, e io dall'altro. Alla sua destra si trovava lo scrittoio, sul cui piano una
lampada proiettava un vivido cerchio di luce dorata. In mezzo al tavolo c'era un palinsesto semi-
arrotolato, e attorno una collezione di strani oggetti. Fra questi, notai un grande imbuto, di quelli
che si adoperano per riempire i barili di vino. Pareva fatto di legno nero, e aveva il bordo di ottone
scolorito.
"Quello un oggetto curioso" commentai. "Qual la sua storia?"
"Ah" replic "anch'io mi sono posto questa stessa domanda. Darei non so che cosa per
conoscerla. Lo prenda in mano e lo esamini bene." Lo presi, e scoprii che ci che io avevo creduto
fosse legno era in realt cuoio, bench prosciugato e indurito dagli anni. Era piuttosto grande
come imbuto, e giudicai che potesse contenere all'incirca un litro. Un bordo di ottone ne
circondava il capo pi largo, ma anche quello stretto era rifinito in metallo.
"Cosa gliene pare?" mi chiese Dacre.
"Penso che sia appartenuto a un vinaio o a un birraio del Medioevo" risposi. "Ho visto dei fiaschetti
di cuoio inglesi del diciassettesimo secolo, che erano dello stesso colore e della stessa
consistenza di questo imbuto."
"Suppongo che la data sia suppergi la medesima" conferm Dacre "e indubbiamente serviva per
riempire un recipiente di un qualche liquido. Per se i miei sospetti sono fondati, era uno strano
vinaio colui che se ne serviva, e un insolito barile che veniva riempito. Non notate qualcosa di
strano sul beccuccio dell'imbuto?" Tenendolo alla luce, osservai che in un punto a una diecina di
centimetri circa dal puntale di ottone, lo stretto collo dell'imbuto era tutto segnato e tagliuzzato,
come se qualcuno avesse tentato di inciderlo con un coltello poco tagliente.
Soltanto in quel punto l'opaca superficie nera era irruvidita.
"Qualcuno ha tentato di tagliarne via il collo."
"Lo chiamereste un taglio?"
"E' strappato e lacerato. Ci deve essere voluta una certa forza per lasciare dei segni simili su un
materiale cos duro, qualsiasi fosse stato lo strumento. Ma lei cosa ne pensa? E' chiaro che ne sa
pi di quanto non abbia detto." Dacre sorrise, e i suoi occhietti brillarono divertiti.
"Ha incluso la psicologia dei sogni fra i suoi dotti studi?" mi chiese.
"Non sapevo neppure che esistesse una simile psicologia."
"Mio caro signore, quello scaffale sopra alla bacheca di gemme pieno di volumi, da Albertus
Magnus in avanti, che trattano unicamente quel soggetto. E' una scienza in se stessa."
"Una scienza di ciarlatani."
"Il ciarlatano sempre il pioniere. Dall'astrologo nato l'astronomo, dall'alchimista il chimico, dal
mesmerista lo psicologo sperimentale. Il ciarlatano di ieri il professore di domani. Anche delle
cose cos lievi e inconsistenti come i sogni, saranno col tempo ordinate e classificate. Quando
quel tempo verr, le ricerche dei nostri amici sullo scaffale laggi non saranno pi il passatempo
del mistico, ma le fondamenta di una scienza."
"Anche supponendo che sia cos, qual il rapporto fra la scienza dei sogni e un grande imbuto
nero bordato di ottone?"
"Glielo dir. Lei sa che io ho un agente che costantemente alla ricerca di oggetti rari e curiosi per
la mia collezione. Qualche giorno fa, egli ha sentito parlare di un mercante lungo uno dei "quais", il
quale aveva acquistato delle vecchie cianfrusaglie trovate in un armadio in un'antica casa dietro a
rue Mathurin, nel Quartiere Latino. La sala da pranzo di questa vecchia casa decorata con uno
stemma, strisce rosse in campo argenteo, che si dimostrato, dopo un'indagine, essere il blasone
di Nicholas de la Reyne, un alto ufficiale di re Luigi XIV. Non vi alcun dubbio che anche gli altri
oggetti in quell'armadio rimontano ai lontani giorni di quel re. Se ne deduce, pertanto, che erano
tutti propriet di questo Nicholas de la Reyne, il quale era, a quanto mi risulta, il gentiluomo
incaricato di far osservare ed eseguire le draconiche leggi di quell'epoca."
"E con ci?"
"Ora le chieder di prendere nuovamente in mano l'imbuto e di osservarne il cerchio di ottone
sull'imboccatura. Riesce a distinguervi delle lettere?" Vi erano certamente degli sgraffi, quasi
cancellati dal tempo.
L'effetto che essi davano era di una serie di lettere, l'ultima delle quali somigliava vagamente a
una B.
"Non le sembra una B?"
"S."
"Anche a me. Anzi, non dubito minimamente che non si tratti di una B."
"Ma il nobiluomo di cui avete parlato avrebbe avuto una R per iniziale."
"Esattamente, proprio questo il bello. Egli possedeva questo curioso oggetto, eppure esso
recava le iniziali di un altro.
Perch fece questo?"
"Non riesco a immaginarlo; e lei?"
"Be', potrei forse tirar a indovinare. Ha notato qualcosa disegnato un po' pi avanti sul bordo?"
"Direi che si tratta di una corona."
"E' indubbiamente una corona; ma se lei la esamina in piena luce, si convincer che non una
normale corona. E' una corona araldica, un emblema nobiliare, e consiste in quattro perle e foglie
di fragola alternate, e cio l'emblema di marchese. Ne possiamo dedurre, perci, che la persona il
cui nome cominciava per B aveva il diritto di fregiarsi di quella corona.
"Allora questo comune imbuto di cuoio apparteneva a un marchese?" Dacre mi rivolse uno strano
sorriso.
"O a un membro della famiglia di un marchese" disse "Tutto ci lo possiamo dedurre da questo
bordo inciso."
"Ma che cosa c'entra tutto questo con i sogni?" Non so se dipendesse dall'espressione sul volto di
Dacre, o da un'impercettibile suggestione nel suo atteggiamento, ma un senso di repulsione, di
inspiegabile orrore, mi assal mentre guardavo quel vecchio pezzo di cuoio contorto.
"Pi di una volta ho ricevuto importanti informazioni attraverso i miei sogni" disse il mio compagno,
col tono didattico che egli amava assumere. "Ne ho fatto una regola, adesso. Ogni qualvolta sono
in dubbio riguardo a un dato materiale qualsiasi, mentre dormo metto l'oggetto in questione
accanto a me. Spero cos di venire in qualche modo illuminato. A me il procedimento non appare
affatto oscuro, bench non abbia ancora ricevuto il riconoscimento della scienza ortodossa.
Stando alla mia teoria, qualsiasi oggetto che sia stato intimamente legato a qualsiasi supremo
parossismo di emozione umana, sia essa gioia o dolore, rimarr impregnato di una certa
atmosfera o associazione che esso in grado di comunicare a una mente sensibile. Quando dico
mente sensibile, non intendo dire anormale, ma una mente istruita e colta come la possediamo lei
o io."
"Vuol dire, per esempio, che se io dormissi accanto a quella vecchia spada sulla parete, potrei
sognare qualche sanguinosa impresa alla quale partecip proprio quella spada?"
"Un ottimo esempio, perch, a dire la verit, ho usato appunto quella spada, e ho visto nel sonno
la morte del suo proprietario, il quale per in uno scontro armato, che non sono stato in grado di
identificare ma che ebbe luogo all'epoca delle guerre dei Frondisti. Se ci pensa bene, alcune delle
nostre usanze popolari dimostrano che il fatto era gi conosciuto dai nostri antenati, bench noi,
nella nostra saggezza, lo abbiamo classificato fra le superstizioni."
"Per esempio?"
"Be', l'usanza di mettere il dolce della sposa sotto al cuscino per assicurare al dormiente dei sogni
piacevoli. Questo uno dei tanti esempi che lei trover elencati in una piccola "brochure" che sto
scrivendo sull'argomento. Ma per tornare al punto, ho dormito una notte con questo imbuto
accanto a me, ed ebbi un sogno che certamente getta una curiosa luce sul suo uso e la sua
origine."
"Che cos'ha sognato?"
"Ho sognato..." Si interruppe, e un'espressione di grande interesse si dipinse sul suo volto
massiccio. "Per Giove, questa s che una buona idea" disse. "Sar un esperimento del massimo
interesse. Lei stesso un soggetto psichico, con i nervi che reagiscono prontamente a qualsiasi
impressione."
"Non mi sono mai sottoposto a una prova di questo genere."
"E allora la sottoporremo stasera. Posso chiederle come grande favore, quando lei occuper
questo divano stanotte, di dormire con questo vecchio imbuto appoggiato accanto al cuscino?" La
richiesta mi parve grottesca; ma anch'io ho, nella mia complessa natura, una autentica fame per
tutto ci che bizzarro e fantastico. Non avevo la minima fiducia nella teoria di Dacre, n alcuna
speranza che un simile esperimento desse dei frutti; ciononostante mi divertiva che l'esperimento
venisse fatto. Dacre, con grande solennit, avvicin un tavolinetto a un capo del divano, e vi
appoggi l'imbuto. Poi, dopo una breve conversazione, mi augur la buona notte e mi lasci.
Rimasi per un po' seduto accanto al fuoco morente, fumando e riflettendo sulla curiosa
conversazione che si era svolta, e sulla strana esperienza che forse mi attendeva. Per scettico
che fossi, vi era un che di impressionante nella sicurezza dell'atteggiamento di Dacre, e lo
straordinario ambiente che mi circondava, l'enorme sala piena di strani e spesso sinistri oggetti,
fin coll'incutermi un senso di solennit. Infine mi svestii e, spento il lume, mi sdraiai. Dopo essermi
a lungo rigirato, mi addormentai. Lasciate che tenti di descrivere, con la maggior precisione
possibile, la scena che si present nei miei sogni.
Spicca ancora oggi nella mia memoria, pi vivida di qualsiasi cosa che io abbia visto con i miei
occhi.
Vi era una stanza che dava l'impressione di essere un sotterraneo.
Dai quattro angoli si alzavano volte a crociera. L'architettura era rozza, ma molto robusta. La
stanza faceva chiaramente parte di una grande costruzione.
Tre uomini vestiti di nero, con bizzarri, enormi copricapo di velluto nero, erano seduti in fila su una
pedana tappezzata di rosso. I loro volti erano molto solenni e tristi. Alla loro sinistra, si trovavano
due uomini vestiti di una lunga toga; avevano delle borse in mano, che parevano piene di carte. A
destra, rivolta verso di me, era una piccola donna con i capelli biondi e singolari occhi di un
azzurro chiarissimo: gli occhi di una bambina. Aveva passato la prima giovinezza, eppure non si
poteva ancora definirla di mezza et. La sua figura era alquanto robusta, e il suo portamento
fiducioso e arrogante. Il suo volto era pallido, ma sereno. Era uno strano volto, attraente eppure
felino, con appena un accenno di crudelt nella piccola bocca forte e diritta e nel mento
grassoccio. Era avvolta in una specie di tunica, bianca e morbida. Un prete magro e ansioso le
stava accanto, bisbigliandole nell'orecchio e sollevando continuamente un crocifisso davanti ai
suoi occhi. La donna voltava la testa e guardava fissamente oltre il crocifisso verso i tre uomini in
nero, i quali erano, ne ero certo, i suoi giudici.
Mentre guardavo, i tre uomini si alzarono e dissero qualcosa, ma non potei udire una sola parola,
bench fossi consapevole che era quello in mezzo a parlare. Poi essi uscirono dalla stanza,
seguiti dai due uomini con le carte. Nello stesso istante, numerosi uomini dall'aspetto rozzo e
vestiti di pesanti giubbotti entrarono e si misero a togliere prima il tappeto rosso, e poi le assi che
formavano la pedana, in modo da sgombrare completamente la stanza.
Quando questo impedimento fu tolto, potei vedere in fondo alla stanza degli strani pezzi di mobilia.
Uno di questi pareva un letto, con dei rulli di legno alle due estremit, e una manovella per
regolarne la lunghezza. Un altro era una cavalletta di legno.
Vi erano altri curiosi oggetti, fra cui un certo numero di corde pendenti dal soffitto, assicurate a
pulegge. Il tutto somigliava vagamente a una palestra dei nostri tempi.
Quando la stanza fu sgombrata, un nuovo personaggio apparve sulla scena. Si trattava di un
uomo alto e magro, vestito di nero, dal volto austero e macilento. Il suo aspetto mi fece
rabbrividire.
Aveva gli abiti lucidi di unto e cosparsi di macchie. Si muoveva con una lenta e terribile dignit,
come se avesse preso comando della situazione dall'istante in cui era entrato. Nonostante il suo
aspetto rozzo e il suo abito lurido, adesso era lui a comandare: la stanza era sua. Sul braccio
sinistro portava un rotolo di corda leggera. La donna lo scrut dalla testa ai piedi, ma la sua
espressione rimase immutata. Era un'espressione di sicurezza, perfino di sfida. Ma non cos il
prete. Il suo volto si fece di un mortale pallore, e vidi il sudore luccicare e scendere lungo la sua
fronte alta e inclinata. Sollev le mani in gesto di preghiera e si chin a borbottare frenetiche
parole all'orecchio della donna.
Ora l'uomo in nero avanzava, e prendendo una delle corde dal braccio sinistro, leg le mani della
donna, la quale gliele porse docilmente. Poi l'uomo le afferr un braccio ruvidamente e la
condusse verso la cavalletta di legno, che era un po' pi alta della vita di lei. Su questa ella fu
alzata e deposta supina, con il viso rivolto al soffitto, mentre il prete, sopraffatto dall'orrore, fuggiva
in fretta dalla stanza. Le labbra della donna si muovevano rapidamente, e bench io non potessi
udire, sapevo che stava pregando. I suoi piedi pendevano uno di qua, uno di l, lungo i lati della
cavalletta, e vidi che i rozzi assistenti avevano assicurato delle corde alle sue caviglie, legandone
l'altro capo agli anelli di ferro infissi nel pavimento di pietra.
Mi sentii mancare, alla vista di questi funesti preparativi, eppure ero avvinto dal fascino dell'orrido,
e non riuscii a staccare gli occhi dal macabro spettacolo. Un uomo era entrato nella stanza
recando due secchi d'acqua. Un altro lo seguiva con un terzo secchio. I tre secchi vennero deposti
accanto alla cavalletta di legno. Il secondo uomo portava anche un ramaiolo di legno, una specie
di ciotola dal lungo manico diritto, nell'altra mano. Lo porse all'uomo in nero. Nello stesso istante,
uno degli assistenti si avvicin con un oggetto scuro in mano, che anche in sogno mi riemp di un
vago senso di familiarit. Era un imbuto di cuoio. Con mostruosa energia egli lo conficc... ma non
potei resistere pi a lungo. Mi si drizzarono i capelli dall'orrore. Mi contorsi, lottai, spezzai i vincoli
del sonno e tornai con un grido nella mia propria vita, per trovarmi disteso, tremante di terrore,
nell'enorme biblioteca, con la luce lunare che penetrava a fiotti dalla finestra e gettava strane
ombre nere ed argentee sulla parete opposta. Oh, quale senso di sollievo provai nel sentire che
ero tornato nel diciannovesimo secolo, tornato da quella cripta medioevale a un mondo dove gli
uomini avevano cuori umani nel petto. Mi rizzai a sedere sul divano, tremando in tutto il corpo, con
la mente divisa fra il sollievo e l'orrore. Pensare che simili cose fossero mai avvenute, che
potessero avvenire senza che Dio fulminasse i colpevoli! Era stata tutta una fantasia, o
rappresentava davvero qualcosa che era accaduto nel periodo pi oscuro e crudele della storia
del mondo? Appoggiai il capo dolorante sulle mie mani tremanti. E allora, improvvisamente, mi
parve che il cuore mi si fermasse nel petto, e non potei neanche gridare, tale era il mio terrore.
Qualcosa avanzava verso di me nell'oscurit della stanza.
E quando un terrore si assomma a un altro terrore, che lo spirito di un uomo si spezza. Non
riuscivo a ragionare, non riuscivo a pregare; potevo soltanto restare immobile, come una statua, e
fissare la tenebrosa figura che avanzava nella vasta sala. Poi la figura si inoltr nel bianco raggio
della luna, e potei nuovamente respirare. Era Dacre, e il suo volto mostrava che era spaventato
quanto me.
"E stato lei? Per l'amor del cielo, che cosa succede?" chiese con voce rauca.
"Dacre, quanto sono lieto di vederla! Sono stato nell'inferno. Era spaventoso."
"Allora stato lei a gridare?"
"Credo proprio di s."
"Il suo grido ha echeggiato per tutta la casa. I domestici sono rimasti terrorizzati." Accese la
lampada con un fiammifero. "Credo che possiamo riattivare il fuoco" aggiunse, gettando dei ceppi
sulla brace. "Santo cielo, amico mio, com' bianco il suo viso! Si direbbe che abbia visto un
fantasma."
"E infatti ne ho visti pi d'uno."
"Dunque l'imbuto ha sortito il suo effetto?"
"Non dormirei mai pi vicino a quell'oggetto infernale per tutto l'oro del mondo." Dacre ridacchi.
"Prevedevo che avrebbe passato una notte agitata" disse. "Ma sono stato punito, perch quel suo
urlo non era molto piacevole da udirsi alle due del mattino. Arguisco da quanto mi dice che ha
visto tutta la spaventosa vicenda."
"Quale spaventosa vicenda?"
"La tortura dell'acqua, o il "Trattamento Straordinario", come veniva chiamata negli amabili giorni
del Re Sole. Lei ha resistito fino alla fine?"
"No, grazie al cielo, mi sono destato prima che incominciasse per davvero."
"Ah, una fortuna per lei. Io resistetti fino al terzo secchio.
Be', una vecchia storia, e i protagonisti sono ormai tutti nella tomba, perci che importanza ha il
modo in cui ci sono arrivati?
Suppongo che lei non abbia alcuna idea di cosa fosse quello che ha visto?"
"La tortura di qualche criminale. Quella donna dev'essere stata davvero una terribile delinquente,
se i suoi delitti sono proporzionati alla punizione inflittale."
"Infatti, abbiamo questa piccola consolazione" disse Dacre, avvolgendosi meglio nella veste da
camera e accucciandosi pi vicino al fuoco. "Erano proporzionati alla sua punizione.
S'intende, se ho riconosciuto con esattezza l'identit della donna."
"Com' possibile che lei conosca la sua identit?" Per tutta risposta, Dacre tolse da uno scaffale
un vecchio volume ricoperto in pergamena.
"Ascolti questo" disse. "E' scritto nel francese del diciassettesimo secolo, ma mentre leggo gliene
dar una traduzione approssimativa. Lei stesso giudicher se ho risolto o meno l'enigma.
"La prigioniera venne portata davanti a uno speciale Giur che agiva come tribunale, imputata
dell'assassinio di Dreux d'Aubray, suo padre, e dei suoi due fratelli, uno dei quali tenente e l'altro
consigliere del Parlamento. A giudicare dalla sua persona, sembrava difficile credere che avesse
davvero commesso delle simili malvagit, poich era di aspetto mite, e di piccola statura, con una
carnagione chiara e occhi azzurri. Eppure la Corte, avendola trovata colpevole, la condann al
trattamento ordinario e straordinario, in modo da costringerla a fare i nomi dei suoi complici, dopo
di che un carro l'avrebbe trasportata alla place de Grve, dove le avrebbero tagliato la testa, per
bruciarne poi il corpo e spargerne le ceneri al vento."
"Questa annotazione datata 16 luglio, 1676."
"E' molto interessante" replicai "ma non convincente. Come pu dimostrare che si tratti della
medesima donna?"
"Ci sto arrivando. Il racconto prosegue, e narra il comportamento della donna durante
l'interrogatorio. "Quando il boia le si avvicin, ella lo riconobbe dalle corde che teneva in mano, e
subito gli tese le proprie mani, scrutandolo dalla testa ai piedi senza profferire parola." Cosa ne
dice?"
"S, era proprio cos."
"Essa guard, senza distogliere lo sguardo, la cavalletta di legno e gli anelli che avevano straziato
tante persone e provocato tante grida di agonia. Quando i suoi occhi caddero sui tre secchi
d'acqua, che erano l pronti per lei, ella disse con un sorriso:
"Tutta quell'acqua dev'essere stata portata qui allo scopo di affogarmi, signore. Non avete
intenzione, spero, di costringere una persona piccola come me a ingoiarla tutta".
"Devo leggere i particolari della tortura?"
"No, per l'amor del cielo, non lo faccia."
"Ecco qua una frase che sicuramente vi dimostrer che ci che riportato qui si riferisce alla
medesima scena alla quale ha assistito stanotte: "Il buon Abate Pirot, incapace di contemplare le
agonie sofferte dalla sua penitente, si affrett a uscire dalla stanza". Questo la convince?"
"Assolutamente. Non pu sussistere alcun dubbio che non si tratti della stessa persona. Ma chi
dunque questa donna il cui aspetto era cos attraente, e la cui fine fu tanto orribile?" Per tutta
risposta Dacre mi si avvicin, e appoggi la lampada sul tavolino che era accanto al mio letto.
Sollevando l'infausto imbuto, ne volt il bordo di ottone in modo che la luce lo colpisse in pieno.
Vista cos, l'incisione sembrava pi chiara di quanto non lo fosse stata la sera precedente.
"Abbiamo gi convenuto che questo l'emblema di un marchese o di una marchesa" disse.
"Abbiamo anche stabilito che l'ultima lettera una B."
"Tutto ci indubbio."
"Mi permetto ora di suggerirle che le altre lettere da sinistra a destra sono: M, M, una d minuscola,
A, una d minuscola, e poi la B finale."
"S, sono certo che lei ha ragione. Riesco a vedere chiaramente le due d minuscole."
"Ci che le ho letto stasera" disse Dacre " il resoconto ufficiale del processo di Marie Madeleine
d'Aubray, Marchesa di Brinvilliers, una delle pi famose avvelenatrici e assassine di tutti i tempi."
Rimasi in silenzio, sopraffatto dalla straordinaria natura della vicenda, e dalla completezza
dell'evidenza con cui Dacre ne aveva esposto il vero significato. Ricordavo vagamente alcuni
particolari della carriera della donna, la sua depravazione senza limiti, la sua fredda e prolungata
tortura del padre ammalato, l'assassinio dei fratelli per meschini motivi di lucro. Rammentai anche
che il suo coraggioso comportamento di fronte alla morte aveva in qualche modo fatto ammenda
per l'orrore della sua vita, e che tutta Parigi era stata solidale con lei nei suoi ultimi istanti,
benedicendola come una martire, quando pochissimi giorni prima l'avevano maledetta come
un'assassina.
Mi venne in mente una sola obiezione.
"Come mai le sue iniziali e il suo stemma finirono su quell'imbuto? Non posso credere che i suoi
giustizieri portassero il loro medioevale rispetto per la nobilt al punto da decorare gli strumenti di
tortura con i loro titoli."
"Anch'io mi sono posto la stessa domanda" replic Dacre "ma mi pare che sia facilmente
spiegabile. Il caso dest a quell'epoca un interesse eccezionale, e niente di pi naturale che "La
Reyne", capo della polizia, abbia serbato questo imbuto quale macabro ricordo. Non succedeva
spesso che una marchesa di Francia fosse sottoposta al trattamento straordinario. Che egli vi
incidesse le iniziali di lei ad uso dei posteri, mi pare un atto molto normale da parte sua."
"E questi?" chiesi, indicando i segni sul collo dell'imbuto.
"Quella donna era una vera tigre" disse Dacre, allontanandosi. "Mi pare evidente che, come le
altre tigri, i suoi denti fossero sia robusti che affilati."



IL CASO DI LADY SANNOX

La relazione fra Douglas Stone e la ben nota Lady Sannox era di pubblico dominio, sia
nell'ambiente mondano in cui essa spiccava, che negli istituti accademici di cui egli era autorevole
membro.
Pertanto, quando venne annunciato una mattina che la donna aveva irrevocabilmente e per
sempre preso il velo, il fatto dest un grande interesse. Quando poi, sulla scia di questa voce, si
seppe che il celebre chirurgo, l'uomo dai nervi d'acciaio, era stato trovato quella stessa mattina,
dal suo cameriere, seduto sul letto che sorrideva in maniera vacua al mondo intero, con tutti e due
i piedi cacciati in una gamba dei pantaloni e il gran cervello degenerato in quello di un povero
imbecille, la notizia fu tanto emozionante da provocare un brivido di interesse in gente che non
aveva mai sperato che i propri nervi logorati fossero in grado di provare una simile sensazione.
Douglas Stone, nella sua piena maturit, era uno dei pi straordinari uomini di tutta l'Inghilterra. A
dire il vero, non si pu neanche dire che abbia mai raggiunto la maturit, poich aveva appena
trentanove anni all'epoca di questo piccolo incidente.
Coloro che lo conoscevano bene, si rendevano conto che per quanto famoso fosse come chirurgo,
avrebbe potuto raggiungere il successo con ancora maggior rapidit in una qualsiasi di altre
innumerevoli carriere. Avrebbe potuto conquistarsi la fama come soldato, avrebbe potuto lottare
per farsene una come esploratore, o declamando nei tribunali, o avrebbe potuto edificarsela in
pietra e acciaio come ingegnere. Era nato per essere grande, poich sapeva progettare ci che
nessun altro uomo avrebbe osato fare, e sapeva fare ci che nessun altro uomo avrebbe osato
progettare.
Nel campo della chirurgia, nessuno era alla sua altezza. Il suo coraggio e il suo intuito erano
leggendari. A pi riprese il suo bisturi aveva sconfitto la morte, sfiorando le fonti stesse della vita,
fino al punto da ridurre i suoi assistenti pallidi come lo stesso paziente. L'energia, l'audacia, la
sanguigna sicurezza di s sono ancora ben vive nel ricordo a sud di Marylebone Road e a nord di
Oxford Street.
I suoi vizi erano altrettanto grandiosi quanto le sue virt, e infinitamente pi pittoreschi. Per
cospicuo che fosse il suo reddito, ed era il terzo dei professionisti di tutta Londra, era di gran lunga
insufficiente al suo tenore di vita. Profondamente radicata nella sua complessa natura; egli
nascondeva una ricca vena di sensualit, che condizionava ogni atto della sua esistenza.
L'occhio, l'orecchio, il tatto, il palato erano i suoi padroni. Il "bouquet" dei vecchi vini, il profumo di
spezie rare, le forme e le tinte delle pi delicate porcellane d'Europa, era in tutto ci che si
trasformava il costante flusso d'oro che entrava nelle sue tasche. Poi vi fu la sua improvvisa, folle
passione per Lady Sannox, quando un solo incontro con lei, due sguardi di sfida e una parola
bisbigliata, erano sufficienti per farlo infiammare.
Lei era la pi incantevole donna di Londra, e la sola donna per lui. Lui era uno dei pi begli uomini
di Londra, ma non era il solo per lei. Essa amava sperimentare ci che era nuovo, ed era
condiscendente verso gli uomini che la corteggiavano. Poteva esserne la causa o poteva esserne
l'effetto, il fatto che Lord Sannox dimostrasse cinquant'anni, bench ne avesse appena trentasei.
Lord Sannox era un uomo tranquillo, silenzioso, di aspetto modesto, le labbra sottili e le palpebre
pesanti.
Era dedito al giardinaggio e pieno di abitudini casalinghe. In giovent aveva avuto un debole per la
recitazione, a Londra aveva perfino noleggiato un teatro, sul cui palcoscenico aveva visto per la
prima volta la signorina Marion Dawson, alla quale aveva poi offerto la sua mano, il suo titolo, e il
terzo di una contea. Dopo il matrimonio, questo giovanile hobby aveva perso per lui ogni attrattiva.
Anche nelle recite private, non era pi possibile persuaderlo a esibire quel talento che spesse
volte aveva dimostrato di possedere. Era pi felice fra le sue orchidee e i suoi crisantemi, con una
zappetta e un annaffiatoio in mano.
Era un problema assai interessante, quello di decidere se egli fosse del tutto privo di buonsenso, o
piuttosto miserabilmente mancante di coraggio. Era egli al corrente della condotta di sua moglie e
la perdonava, o era semplicemente un marito stolto? Era un argomento da discutere sorbendo il t
in piccoli, raccolti salottini, o con l'aiuto di un sigaro fra le poltrone dei club. I commenti degli
uomini riguardo alla sua condotta erano taglienti e decisi. Vi era un solo uomo che avesse una
buona parola per lui, ed era il membro pi silenzioso del club. Egli aveva visto Lord Sannox
domare all'Universit un cavallo, e questo ricordo pareva avergli lasciato un'impressione
indelebile.
Ma quando Douglas Stone divenne il favorito, ogni dubbio riguardo alla consapevolezza o
all'ignoranza di Lord Sannox fu dissipato.
Stone non conosceva sotterfugi. Nella sua maniera ardita e impetuosa, abbandon ogni resto di
cautela e di discrezione. Lo scandalo dilag. Un corpo accademico intim che il suo nome fosse
cancellato dalla lista dei suoi vice presidenti. Due amici lo supplicarono di pensare al suo credito
professionale. Stone li mand al diavolo tutti e tre, e spese quaranta ghinee per un braccialetto da
portare alla donna. Egli passava le serate in casa di lei, e lei si faceva vedere nella carrozza di lui
ogni pomeriggio. Nessuno dei due faceva il minimo tentativo per nascondere la loro relazione; ma
finalmente accadde un piccolo incidente che li divise.
Era una tetra serata d'inverno, molto fredda e burrascosa, con il vento che ululava nelle cappe dei
camini e scuoteva i vetri delle finestre. La pioggia picchiettava contro i vetri a ogni raffica della
bufera, sopraffacendo per un istante il triste gorgoglio e gocciolio delle grondaie. Douglas Stone
aveva finito di cenare ed era seduto accanto al fuoco nello studio, con un bicchiere di buon porto
sul tavolo di malachite accanto a lui. Prima di portarlo alle labbra, lo alz verso la luce della
lampada e ne osserv con occhio da intenditore il ricco color rubino. I guizzi delle fiamme
illuminavano a tratti il suo volto audace dai lineamenti ben definiti, i grandi occhi grigi, le labbra
spesse eppure risolute, e la mascella larga e quadrata, che aveva qualcosa di romano nella sua
forza e nella sua animalit. Ogni tanto sorrideva, sprofondato nella sua comoda poltrona. Invero
aveva il diritto di sentirsi soddisfatto di s, poich quel giorno stesso, nonostante il parere contrario
di sei colleghi, aveva eseguito un'operazione che era stata portata a termine due sole volte prima
d'allora negli annali della medicina, e il risultato era stato brillante oltre ogni previsione. Nessun
altro in tutta Londra avrebbe avuto il coraggio di progettare, o l'abilit di portare a termine,
un'impresa tanto rischiosa.
Ma aveva promesso a Lady Sannox di recarsi da lei quella sera, ed erano gi le otto e mezzo. La
sua mano era tesa verso il campanello per ordinare la carrozza, quando ud il tonfo sordo del
battaglio. Dopo un istante, gli giunse uno strascicare di piedi nell'ingresso, e il colpo secco della
porta che si chiudeva.
"C' un cliente, signore, nella sala d'aspetto" annunci il maggiordomo.
"E' lui il malato?"
"No, signore; credo che sia venuto a chiamarla."
"E' troppo tardi" esclam Douglas Stone irritato. "Non ci andr."
"Ecco il suo biglietto da visita, signore." Il maggiordomo glielo porse sul vassoio d'oro che era stato
regalato al suo padrone dalla moglie di un Primo Ministro.
"Hamil Ali, Smirne." Hm! Quell'individuo un turco, suppongo."
"S, signore. Sembra uno straniero, signore. Ed molto agitato."
"Che seccatura, Ho un impegno. Devo uscire. Ma gli parler. Fatelo accomodare qui, Pim." Dopo
pochi istanti, il maggiordomo apr nuovamente la porta e fece entrare un ometto piccolo e
decrepito, che camminava con la schiena curva, e con il viso proteso e gli occhi socchiusi che
denotavano una forte miopia. Aveva il volto olivastro e i capelli e la barba corvini. In una mano
teneva un turbante di mussola bianca a righe rosse e nell'altra un sacchetto di camoscio.
"Buonasera" disse Douglas Stone, quando il maggiordomo ebbe richiuso la porta. "Presumo che
lei parli inglese."
"S, signore. Vengo dall'Asia Minore, ma parlo l'inglese anche se lentamente."
"Lei vuole che io venga con lei, se ho ben capito?"
"S, signore. Ci terrei molto che lei vedesse mia moglie."
"Potrei venire domattina, poich ho un impegno che mi impedisce di recarmi da sua moglie
stasera." La risposta del turco fu singolare. Tir la cordicella che chiudeva l'imboccatura del
sacchetto di camoscio, e rovesci sul tavolo un fiume d'oro.
"Qui ci sono cento sterline" disse "e le prometto che non perder pi di un'ora. Ho alla porta una
carrozza." Douglas Stone diede un'occhiata all'orologio. Avrebbe potuto andare ugualmente da
Lady Sannox anche un'ora dopo. Ci era andato anche pi tardi, in passato. E la ricompensa era
estremamente allettante. Negli ultimi tempi era stato perseguitato dai creditori, e non poteva
trascurare una simile occasione. Ci sarebbe andato.
"Di che malattia si tratta?" chiese.
"Oh, una cos triste malattia! Cos triste! Avete per caso mai sentito parlare dei pugnali degli
Almohades?"
"No, mai."
"Ah, si tratta di pugnali orientali antichissimi e dalla forma curiosa, con l'impugnatura simile a ci
che voi chiamate staffa.
Io commercio in oggetti rari, ed per questo che sono venuto in Inghilterra da Smirne, ma la
settimana prossima torno laggi. Ho portato con me molti oggetti, e qualcuno me ne rimasto, ma
fra questi, con mio grande dolore, c' uno di questi pugnali."
"La prego di ricordarsi che ho un appuntamento" sbott il chirurgo con una certa irritazione. "Per
favore, si limiti all'indispensabile."
"Vedr che tutto questo indispensabile. Oggi mia moglie ha avuto uno svenimento nella stanza
in cui tengo la mia merce e, cadendo, si tagliata il labbro inferiore con questo maledetto pugnale
di Almohades."
"Capisco" disse Douglas Stone, alzandosi in piedi. "E lei vuole che io le medichi la ferita?"
"No, no, molto peggio di cos."
"E cio?"
"Questi pugnali sono avvelenati."
"Avvelenati!"
"S, e non esiste oggi nessuno in grado di sapere di che veleno si tratti o quale ne sia la cura. Ma
quel poco che si sa, io lo so, poich mio padre faceva questo mestiere prima di me, e abbiamo
avuto un commercio amplissimo con queste armi avvelenate."
"Quali sono i sintomi?"
"Un sonno profondo, e la morte entro trenta ore."
"E lei dice che non esiste cura. Perch dunque mi offre un onorario cos lauto?"
"Nessuna medicina pu curare, ma il coltello s."
"E come?"
"Il veleno si assorbe lentamente. Ristagna per ore nella ferita."
"Non si potrebbe eliminarlo lavando la ferita?"
"Sarebbe altrettanto inutile quanto lavare il morso di un serpente. E' un veleno troppo infido e
mortale."
"Escissione della ferita, allora?"
"Appunto. Se la ferita sul dito, tagliate il dito. Cos diceva sempre mio padre. Pensi dove si trova
questa ferita, e che si tratta di mia moglie. E' spaventoso!" Ma la lunga dimestichezza con queste
macabre faccende pu talvolta attutire la sensibilit di un uomo. Per Douglas Stone, questo era
gi un caso interessante, e respinse come trascurabili le deboli obiezioni del marito.
"Mi pare che non abbiamo alternative" disse bruscamente. "E' meglio perdere un labbro che la
vita."
"Ah, certo, lo so che lei ha ragione. Be' be', il destino e bisogna affrontarlo. La carrozza qui, e
lei verr con me e far questa cosa." Douglas Stone prese l'astuccio dei bisturi da un cassetto e
se lo mise in tasca assieme a un rotolo di bende e a qualche garza. Non aveva tempo da
sprecare, se voleva vedere Lady Sannox.
"Sono pronto" dichiar, infilandosi il soprabito. "Vuol prendere un bicchiere di vino prima di uscire
con questo freddo?" L'ospite arretr, alzando una mano in segno di protesta.
"Lei dimentica che sono un musulmano, e un fedele seguace del Profeta. Ma mi dica, che cos'
quella bottiglietta di vetro verde che si messa in tasca?"
"Cloroformio."
"Ah, anche quello ci vietato. E' un'essenza alcoolica, e noi non ci serviamo di simili cose."
"Come, Lei vorrebbe che sua moglie venisse sottoposta a un'operazione senza anestetizzarla?"
"Ah! non sentir niente, poveretta. Il sonno profondo, che il primo effetto del veleno, l'ha gi
ghermita. E poi le ho dato del nostro oppio di Smirne. Andiamo, signore, che si fa tardi." Come
uscirono nell'oscurit, furono investiti da uno scroscio di pioggia, e la lampada nell'ingresso, che
pendeva dal braccio di una cariatide di marmo, si spense con un soffio. Pim, il maggiordomo,
dovette lottare per richiudere il pesante portone, spingendolo con tutto il suo peso per vincere la
forza del vento, mentre i due brancolavano in direzione del bagliore giallastro che mostrava dove
la carrozza li attendeva. Un istante pi tardi, la carrozza partiva.
"E' lontano?" chiese Douglas Stone.
"Oh, no. Abitiamo in un posticino tranquillo vicino a Euston Road." Il chirurgo premette la molla del
suo orologio a ripetizione, e ascolt i piccoli rintocchi che gli dicevano l'ora. Erano le nove e un
quarto. Calcol le distanze, e il poco tempo che gli sarebbe bastato per eseguire un cos triviale
intervento. Avrebbe dovuto essere da Lady Sannox per le dieci. Attraverso i finestrini appannati,
vedeva passare le macchie confuse dei fanali a gas, e ogni tanto il bagliore pi grande di una
vetrina. La pioggia batteva sul tetto di cuoio della carrozza, e le ruote sciabordavano rotolando fra
il fango e le pozzanghere. In faccia a lui, il copricapo bianco del suo compagno riluceva
debolmente nell'oscurit. Il chirurgo armeggi nelle sue tasche, e sistem i suoi aghi, le sue bende
e le spille di sicurezza, in modo da non perdere tempo una volta arrivati. Fremeva dall'impazienza,
e tambureggiava il piede sul pavimento.
Infine la carrozza rallent, e poi si ferm del tutto.
Immediatamente Douglas Stone ne discese, tallonato dal mercante di Smirne.
"Aspetti pure" disse quest'ultimo rivolto al cocchiere.
La casa era squallida, e la via stretta e sordida. Il chirurgo, che conosceva bene la sua Londra,
gett una rapida occhiata attorno a s, ma non vi era alcunch di riconoscibile - nessun negozio,
nessun movimento, nient'altro che una duplice fila di case buie e insignificanti, un duplice rettifilo
di lastre di pietra bagnate che rilucevano alla luce dei fanali, e un duplice torrente d'acqua nei
rigagnoli che turbinava e gorgogliava verso i tombini. La porta di fronte a cui si trovavano era
scrostata e stinta, e la pallida luce che traspariva dalla vetrata a mezzaluna che la sovrastava
serviva soltanto a mostrare la polvere e lo sporco di cui era ricoperta. In alto, da una delle finestre
delle camere da letto, traspariva un tenue barlume giallastro. Il mercante buss con forza, e
quando si volt verso la luce, Douglas Stone vide che il suo volto era contratto dall'ansia. Venne
tirato un paletto, e una donna anziana con una candela apparve sulla soglia, riparando con una
mano nodosa la tenue fiammella.
"Niente di nuovo?" chiese il mercante con voce soffocata.
"La signora come l'ha lasciata."
"Non ha parlato?"
"No, addormentata profondamente." Il mercante richiuse la porta, e Douglas Stone percorse lo
stretto corridoio, guardandosi attorno con un certo stupore. Non vi erano tende, n tappeto, n
attaccapanni. I suoi occhi incontravano soltanto polvere e tele di ragno. Seguendo la vecchia su
per le scale, il suono del passo deciso di Stone echeggiava per la casa silenziosa.
La camera da letto era al secondo piano. Douglas Stone vi entr dietro alla vecchia infermiera,
seguito a sua volta dal mercante.
Qui, perlomeno, vi era arredamento in abbondanza: mobiletti turchi, tavoli intarsiati, giubbotti di
maglia di ferro, strane pipe ed armi grottesche. Un'unica lampada era infissa in un braccio sulla
parete. Douglas Stone se ne impadron e facendosi strada fra i mobili, si diresse verso un letto
nell'angolo, sul quale giaceva una donna vestita alla maniera turca, con 'yashmak' e velo. La parte
inferiore del suo viso era esposta, e il chirurgo vide un taglio irregolare che spiccava sul bordo del
labbro inferiore.
"Lei scuser lo 'yashmak'" disse il turco. "Certo conosce il punto di vista dei levantini a proposito
delle donne." Ma il chirurgo non stava pensando allo 'yashmak'. Quella l non era pi una donna
per lui. Era un caso. Si chin ed esamin attentamente la ferita.
"Non vi nessuna traccia di infiammazione" disse. "Potremmo rimandare l'operazione finch non
si sviluppano i sintomi locali." Il marito si torse le mani in preda a un'incontrollabile agitazione.
"Oh, signore" esclam. "Non indugi. Lei non se ne rende conto, mortale. Io lo so, e le do la mia
parola d'onore che un'operazione assolutamente indispensabile. Solo il coltello la pu salvare."
"Ciononostante preferirei aspettare" ribatt Douglas Stone.
"Basta cos" url il turco, furibondo. "Ogni minuto della massima importanza, e io non posso
restarmene qui a vedere mia moglie morire. Non ho altra alternativa che di ringraziarla per essere
venuto, e chiamare un altro chirurgo prima che sia troppo tardi." Douglas Stone esit. Non
sarebbe stato piacevole restituire quelle cento sterline. Ma naturalmente, se abbandonava il caso,
doveva per forza restituirle. E se il turco avesse avuto ragione e la donna fosse morta, la sua
posizione di fronte a un medico legale avrebbe potuto essere imbarazzante.
"Lei ha un'esperienza personale di questo veleno?" chiese.
"S."
"E mi assicura che un intervento necessario?"
"Lo giuro su tutto quello che sacro."
"La donna rimarr orrendamente sfigurata."
"Capisco che non sar una bella bocca da baciare." Douglas Stone si volt inferocito verso l'uomo.
Il discorso era brutale. Ma il turco aveva il proprio modo di pensare e parlare, e non c'era tempo
per litigare. Douglas Stone trasse dall'astuccio un bisturi, lo apr, e pass l'indice sulla lama
tagliente. Poi avvicin la lampada al letto. Due occhi scuri lo fissavano attraverso l'apertura nello
'yashmak'. Erano tutta iride, e la pupilla era quasi scomparsa.
"Le avete dato una dose assai massiccia di oppio."
"S, ne ha preso una buona dose." Il chirurgo osserv nuovamente gli occhi scuri che guardavano
fissamente i suoi. Erano opachi e privi di vivacit, ma mentre li guardava, furono animati da una
breve scintilla, e le labbra tremarono.
"Non del tutto priva di conoscenza" disse.
"Non sarebbe meglio usare il coltello finch sar insensibile al dolore?" Lo stesso pensiero aveva
attraversato la mente del chirurgo.
Afferr il labbro ferito con la pinza, e con due tagli veloci ne stacc un largo lembo a forma di V. La
donna balz a sedere sul letto con uno spaventoso grido gorgogliante. Si strapp il velo dal viso.
Era un volto che lui conosceva. Nonostante quel labbro superiore sporgente e quella carne
sanguinante, era un volto che lui conosceva. La donna seguitava a premersi la mano sullo
squarcio e a urlare. Douglas Stone si sedette ai piedi del letto con il bisturi e la pinza in mano. La
stanza gli girava vorticosamente intorno, e aveva sentito qualcosa cedergli in testa, come
un'improvvisa lacerazione. Uno spettatore avrebbe detto che, dei due volti, il suo era il pi
spettrale. Come in un sogno, o come se fosse stato intento a seguire qualcosa su un
palcoscenico, si rese conto che i capelli e la barba del turco giacevano sul tavolo, e che Lord
Sannox stava appoggiato contro la parete, con una mano sul fianco, ridendo silenziosamente. Le
urla erano ormai cessate, e quell'orribile testa era ricaduta sul cuscino, ma Douglas Stone
continuava a sedere immobile, e Lord Sannox continuava a ridere silenziosamente fra s e s.
"Per Marion quest'operazione era veramente indispensabile" diss'egli. "Non fisicamente, lei
capisce bene, ma moralmente." Douglas Stone si chin in avanti e cominci a giocherellare con la
frangia del copriletto Il bisturi cadde tintinnando per terra, ma continuava a tenere in mano la
pinza.
"Era da molto che volevo darle una piccola lezione" disse Lord Sannox in tono mellifluo. "Il vostro
bigliettino di mercoled scorso sbagli recapito; ce l'ho qui con me nel mio portafogli. E' stato
piuttosto difficile attuare il mio progetto. La ferita, a proposito, stata prodotta semplicemente dal
mio anello." Lanci un'acuta occhiata al suo compagno ammutolito, e tolse la sicura dalla piccola
pistola che teneva nella tasca del soprabito.
Ma Douglas Stone continuava a giocherellare con il copriletto.
"Vede che dopotutto ha mantenuto il suo appuntamento" disse Lord Sannox.
A quelle parole, Douglas Stone cominci a ridere. Rise a lungo, a gola spiegata. Ma ora Lord
Sannox non rideva pi. Qualcosa di simile alla paura gli aguzz e gli indur i tratti. Usc dalla
stanza, camminando in punta di piedi. La vecchia lo aspettava fuori dalla porta.
"Occupati della tua padrona quando si sveglier" disse Lord Sannox.
Poi scese in strada. La carrozza era davanti al portone, e il cocchiere alz una mano al berretto.
"John" disse Lord Sannox "prima di tutto porterai a casa il dottore. Avr bisogno di aiuto per
scendere le scale, credo. Di' al suo maggiordomo che durante una visita si sentito male."
"Molto bene, signore."
"Poi porterai Lady Sannox a casa."
"E lei, signore?"
"Oh, il mio indirizzo per i prossimi mesi sar Hotel Roma, Venezia. Procura di farmi recapitare la
posta. E di' a Stevens di mandare luned alla mostra i crisantemi viola e di telegrafarmi il risultato
del mio esperimento di floricultore."



IL TERRORE DEL BLUE JOHN GAP

Il seguente resoconto fu trovato fra le carte del dottor James Hardcastle, morto di tisi il 4 febbraio
del 1908, in Upper Coventry Flats 36, South Kensington. I suoi migliori amici, pur rifiutandosi di
esprimere un'opinione riguardo allo scritto in questione, sono unanimi nell'asserire che egli era un
uomo dalla mente sobria e scientificamente dotata, privo del tutto di immaginazione, e incapace di
inventare una serie di avvenimenti abnormi. Il documento era chiuso in una busta che recava la
scritta: "Breve resoconto degli avvenimenti che si svolsero nella scorsa primavera nei pressi della
fattoria delle signorine Allerton nel North-West Derbyshire". La busta era sigillata, e sul retro vi era
scritto a matita:
"Caro Seaton, "Ti potr interessare, e forse addolorare, di apprendere che l'incredulit con cui
accogliesti il mio racconto mi ha impedito di riparlare in seguito del problema con chicchessia.
Lascio questa breve documentazione che andr letta dopo la mia morte; potr forse succedere
che degli sconosciuti avranno pi fiducia in me che non il mio amico."
Le indagini successive non hanno appurato chi fosse questo Seaton.
Potrei aggiungere che la visita del defunto alla fattoria delle Allerton e il motivo dell'allarme che si
ebbe nei dintorni, sono stati verificati e controllati, al di fuori di questa particolare spiegazione. Con
questa premessa, faccio seguire il suo resoconto esattamente come lui lo ha lasciato. E' sotto
forma di un diario, alcuni brani del quale sono stati ampliati, altri cancellati.
17 aprile. Gi sento i benefici di questa meravigliosa aria di collina. La fattoria delle Allerton a
quattrocentotrenta metri sopra il livello del mare, ed quindi comprensibile che qui il clima sia
tanto tonificante. Tranne la solita tosse del mattino, ho pochissimi altri disturbi e, con l'aiuto del
latte appena munto e il montone allevato sul luogo, credo proprio che riuscir a ingrassare un po'.
Penso che Saunderson sar contento.
Le due signorine Allerton sono deliziosamente bizzarre e gentili, due tesori di zitelle laboriose e
instancabili, pronte a versare la piena del loro affetto, di cui avrebbero potuto colmare marito e
figli, su uno sconosciuto, e invalido per giunta. Invero, la zitella una figura di grande utilit, una
delle pi preziose riserve della comunit. La gente parla della donna superflua, ma come se la
caverebbe un poveraccio superfluo senza la sua dolce presenza? A proposito, nella loro ingenuit
hanno subito lasciato sfuggire il motivo per cui Saunderson mi raccomand la loro fattoria. Il
Professore di umili natali, e credo che trascorse la sua infanzia giocando proprio in questi campi.
E un luogo assai solitario e le passeggiate sono estremamente pittoresche. La fattoria consiste in
terreni da pascolo che giacciono in un fondovalle. Sui due lati sorgono delle fantastiche colline
calcaree, formate da pietra cos morbida che la si pu sgretolare con le mani. L'intera regione
una cava. Se la si potesse percuotere con un gigantesco martello, rimbomberebbe come un
tamburo, o forse sprofonderebbe del tutto, rivelando uno sconfinato mare sotterraneo. Un grande
mare indubbiamente ci deve essere, perch ovunque i ruscelli scompaiono dentro alla montagna
stessa, senza pi riapparire. Le rocce sono piene di crepe, e se si entra in una di esse ci si trova
poi in enormi caverne, che si insinuano nelle viscere della terra. Ho una piccola lampada a pila, ed
per me una gioia continua portarla in queste misteriose solitudini, e vedere i meravigliosi effetti
argentei e neri che si formano, quando getto la sua luce sulle stalattiti che pendono dalle altissime
volte. Spengo la lampada, e mi trovo nella pi assoluta oscurit. La accendo, ed una scena da
"Mille e una notte".
Ma vi una di queste strane aperture nella terra che riveste un interesse particolare, poich non
opera della natura, ma dell'uomo. Non avevo mai sentito parlare di Blue John quando sono venuto
da queste parti. E' il nome che danno a uno strano minerale di un bellissimo color viola, che si
trova soltanto in uno o due luoghi in tutto il mondo. E' cos raro, che un vaso qualsiasi di Blue John
avrebbe un valore astronomico. I romani, con lo straordinario istinto da loro posseduto, scoprirono
che lo si poteva estrarre in questa valle, e scavarono un profondo pozzo orizzontale nel fianco
della montagna. L'imboccatura della loro miniera viene chiamata Blue John Gap, ed un arco ben
delineato nella roccia, la cui apertura tutta ricoperta di cespugli. E' un pozzo ben lungo, quello
che i minatori romani scavarono, e incrocia alcune grandi caverne erose dall'acqua, cosicch
chiunque entrasse nel Blue John Gap, farebbe bene a stare molto attento e a portarsi dietro una
buona provvista di candele, altrimenti rischierebbe di non rivedere mai pi la luce del sole. Per ora
non mi ci sono inoltrato di molto, ma oggi stesso mi sono fermato all'imboccatura ad arco del
tunnel, e, sbirciando nelle sue nere profondit, ho giurato a me stesso che, non appena mi fossi
rimesso in salute, avrei dedicato alcuni giorni di vacanza ad esplorare quelle misteriose profondit
e a scoprire fin dove i romani sono penetrati nelle colline del Derbyshire.
Strano come siano superstiziosi questi contadini! Non l'avrei detto del giovane Armitage, poich
egli un uomo di una certa istruzione e di carattere, e un ottimo giovane per la sua condizione
sociale. Io mi trovavo in piedi vicino al Blue John Gap, quando attravers il campo per venire
verso di me.
"Be', dottore" mi disse "non si pu dire che lei abbia paura."
"Paura!" gli risposi. "Paura di che?"
"Di quello" disse, indicando con il pollice il nero antro. "Del Terrore che abita nella caverna del
Blue John." Com' assurdamente facile che una leggenda nasca in una campagna solitaria! Lo
interrogai sui motivi della sua strana convinzione.
Pare che alcune pecore siano scomparse a intervalli dai campi, portate via di peso, stando ad
Armitage. Che le pecore avessero potuto allontanarsi di propria iniziativa e perdersi sulle
montagne, era un'ipotesi alla quale lui non volle dare credito.
Una volta trovarono una pozza di sangue, e dei ciuffi di lana.
Anche quello, gli feci notare, poteva avere una spiegazione del tutto naturale. Inoltre, le notti in cui
le pecore sparivano, erano immancabilmente notti nuvolose e senza luna. Controbattei molto
logicamente che erano proprio quelle le notti che un normale ladro di pecore sceglierebbe per
svolgere il suo lavoro. Una volta, mi disse, era stata praticata un'apertura in un muro, e alcune
delle pietre erano state ritrovate a una considerevole distanza. Anche questo, secondo me, poteva
essere opera di un uomo. Infine, Armitage pose fine alla discussione dicendomi che lui aveva
udito la Creatura con i propri orecchi, che, anzi, chiunque poteva udirla se si fermava per un po'
davanti al Gap.
Era un rombo lontano di immenso volume. Non potei trattenere un sorriso a questa uscita,
conoscendo, come io conosco, gli strani riverberi provocati dai corsi d'acqua sotterranei che
scorrono fra le voragini di una formazione calcarea. La mia incredulit irrit Armitage, tanto che mi
volt le spalle e si allontan bruscamente.
Ed ora vengo alla parte pi strana di tutta la faccenda. Ero ancora ritto vicino all'imbocco della
caverna, intento a riflettere a proposito delle varie asserzioni di Armitage e a come si potessero
facilmente spiegare in modo logico, quando improvvisamente, dalle profondit del tunnel accanto
a me, emerse un suono straordinario. Come posso descriverlo? In primo luogo, sembrava che
venisse da molto lontano, dalle viscere stesse della terra. In secondo luogo, nonostante questa
impressione di lontananza, era molto forte. Infine, non era un rombo, n un tonfo, come potrebbe
essere prodotto da una cascata d'acqua o dal rovinio di una pietra ma era piuttosto un lamento
altissimo, tremulo e vibrante, quasi come il nitrito di un cavallo. Certo che era un'esperienza
notevole e tale, lo ammetto, da dare un nuovo significato alle parole di Armitage. Attesi vicino al
Blue John Gap per una mezz'ora e pi, ma quel suono non si ripet, e cos tornai alla fattoria,
piuttosto sconcertato da quanto era accaduto. Senz'altro esplorer quella caverna quando mi sar
rimesso in forze. Naturalmente, la spiegazione di Armitage troppo assurda per essere presa in
considerazione, eppure quel suono era molto strano. Anche adesso, mentre scrivo, lo sento
ancora risuonare nelle orecchie.
20 aprile. Negli ultimi tre giorni ho fatto varie spedizioni al Blue John Gap, e mi sono anche
inoltrato per un breve tratto, ma la mia lampada a pila cos piccola e debole che non oso
allontanarmi troppo. Mi organizzer meglio. Non ho pi udito alcun suono, e potrei quasi
convincermi di essere rimasto vittima di un'allucinazione, suggerita, forse, dalle parole di Armitage.
Naturalmente, una cosa assurda, eppure debbo confessare che quei cespugli all'imbocco della
caverna danno l'impressione di essere stati calpestati da un'enorme creatura. Comincio a essere
profondamente interessato. Non ho detto niente alle signorine Allerton, poich esse sono gi
abbastanza superstiziose, ma ho comprato delle candele, e intendo indagare per conto mio.
Stamattina ho osservato che, fra i numerosi ciuffi di lana di pecora cosparsi fra i cespugli vicino
alla caverna, ve n'era uno intriso di sangue. Naturalmente, la ragione mi dice che, se le pecore si
avventurano in luoghi scoscesi, facile che si feriscano, eppure in qualche modo quella macchia
cremisi mi ha dato un improvviso tuffo al cuore, e per un istante mi sono trovato ad arretrare
inorridito da quell'antico arco romano.
Pareva che un alito fetido si sprigionasse dalle nere profondit nelle quali scrutavo. E' davvero
possibile che qualche oggetto innominato, qualche spaventosa presenza, si nasconda laggi?
Sarei stato incapace di simili pensieri all'epoca in cui godevo di buona salute, ma si diventa pi
nervosi e fantasiosi quando la salute vacilla.
L per l, pensai di rinunciare al mio progetto e di lasciare che il segreto dell'antica miniera, se pur
esisteva, restasse insoluto per sempre. Ma stasera il mio interesse si ravvivato e i miei nervi
sono pi saldi. Spero che domani riuscir ad approfondire la questione.
22 aprile. Voglio tentare di descrivere il pi accuratamente possibile la mia straordinaria
esperienza di ieri. Mi incamminai nel pomeriggio verso il Blue John Gap. Confesso che le mie
paure mi riassalirono quando mi trovai a scrutarne le nere profondit, e mi pentii di non essermi
portato dietro un compagno con cui compiere l'esplorazione. Finalmente, con un ritorno di
coraggio, accesi la mia candela, mi feci strada attraverso i rovi e mi inoltrai nel pozzo roccioso.
Il pozzo scende ad angolo acuto per una quindicina di metri, e in questo tratto il terreno ricoperto
di pietre. Da l si diparte un lungo corridoio diritto, tagliato nella roccia. Non sono un geologo, ma il
rivestimento di questo corridoio indubbiamente di una materia pi dura che non la pietra
calcarea, poich vi erano alcuni punti dove riuscivo a vedere i segni lasciati dai picconi degli
antichi minatori, altrettanto freschi che se fossero stati lasciati ieri. Incespicando, percorsi questo
strano, antico corridoio, mentre la debole fiamma della mia candela gettava attorno un tenue
chiarore, che rendeva ancora pi nere e minacciose le ombre che mi stavano davanti. Infine,
arrivai in un punto dove il tunnel romano si apriva in una caverna prodotta dalle acque: un enorme
antro, dal cui soffitto pendevano innumerevoli, lunghi ghiaccioli bianchi di deposito calcareo.
Aguzzando la vista, riuscii a vedere che da questa sala centrale si dipartivano un gran numero di
diramazioni, formate da torrenti sotterranei, le quali si inoltravano nelle viscere della terra. Me ne
stavo l fermo, chiedendomi se mi convenisse tornare indietro, o se avevo l'ardire di avventurarmi
oltre in quel pericoloso labirinto, quando il mio sguardo cadde su qualcosa ai miei piedi, che attir
prepotentemente la mia attenzione.
Il pavimento della caverna era in genere ricoperto da massi di pietra e da dure incrostazioni di
calcio, ma in quel particolare punto vi era stato uno sgocciolio dal soffitto, che aveva lasciato una
vasta chiazza di fango molle. Nel bel mezzo di questa, vi era un'enorme infossatura, un segno dai
contorni mal definiti, profondo, largo e irregolare, come se vi fosse caduto un pesante masso.
Eppure non vidi nessuna pietra rotolata l vicino, n qualsiasi altra cosa che potesse giustificare
quel segno. Era molto, troppo grande per essere l'orma di un qualsiasi animale e, inoltre, ve ne
era una sola, e la chiazza di fango era di una misura tale che nessuno avrebbe potuto superarla
con un solo passo. Quando rialzai la testa dopo aver esaminato quella singolare traccia e mi fui
guardato attorno, in quelle ombre nere che mi circondavano, debbo confessare che provai per un
istante uno sgradevole senso di paura e, per quanto tentassi di dominarmi, la candela trem nella
mia mano protesa.
Ben presto comunque riacquistai il mio sangue freddo, riflettendo come fosse assurdo associare
una cos vasta e informe traccia con l'orma di qualsiasi animale noto all'uomo. Neppure un
elefante avrebbe potuto lasciarla. Decisi pertanto che non avrei permesso a delle vaghe e informi
paure di impedirmi di portare a termine la mia esplorazione. Prima di proseguire, presi
accuratamente nota di una bizzarra formazione calcarea nella parete, dalla quale avrei potuto
riconoscere l'entrata del tunnel romano. Era una precauzione indispensabile, poich la vasta
caverna, fin dove potevo vedere, era intersecata da diramazioni. Essendomi garantito il ritorno, e
dopo aver riesaminato la scorta delle candele e dei fiammiferi, presi ad avanzare lentamente sul
terreno roccioso e sconnesso.
Fu allora che mi capit l'improvviso e agghiacciante disastro. Un torrentello con poca acqua ma
largo cinque o sei metri, attraversava il mio cammino, e io percorsi una certa distanza lungo la riva
per trovare un punto che mi permettesse di attraversarlo senza bagnarmi i piedi. Infine, giunsi in
un punto dove un unico masso piatto affiorava proprio in mezzo al corso, e che io potevo
raggiungere con un solo passo. Purtroppo, invece, sotto la superficie del masso, la pietra era stata
consumata dallo scorrere delle acque, cosicch quando ci appoggiai il mio peso si inchin e mi
catapult nell'acqua gelida. La mia candela si spense, e mi ritrovai immerso nella pi completa e
totale oscurit.
Mi rialzai incespicando, pi divertito che spaventato dalla mia avventura. La candela mi era caduta
di mano e si era persa nel fiume, ma ne avevo altre due in tasca, quindi la perdita non era di
nessuna importanza. Ne approntai un'altra, e tirai fuori la mia scatola di fiammiferi per accenderla.
Soltanto allora mi resi conto della situazione. La scatola si era inzuppata durante il mio tuffo nel
fiume. Era impossibile accendere i fiammiferi.
Quando mi resi conto di quel fatto mi sembr che una gelida mano mi ghermisse il cuore.
L'oscurit era densa, orribile, cos totale da farmi alzare una mano al viso, come per respingere
qualcosa di solido. Rimasi immobile, dominandomi con uno sforzo. Tentai di ricostruire nella mia
mente una mappa della caverna, come l'avevo vista per l'ultima volta. Ahim, gli orientamenti che
si erano impressi nella mia mente erano in alto sulle pareti, e non avrei potuto ritrovarli al tatto.
Comunque, ricordavo vagamente come fossero disposte le pareti, e sperai, strisciando, di arrivare
prima o poi all'entrata del tunnel romano. Muovendomi lentamente, e battendo di continuo contro
le rocce, mi accinsi a questo disperato tentativo.
Ben presto per mi resi conto di come fosse impossibile. In quell'oscurit nera e ovattata,
l'orientamento si perdeva di colpo. Prima che avessi percorso dieci passi, ero completamente
confuso e non avevo la minima idea di dove mi trovassi. Lo scroscio del corso d'acqua, l'unico
suono percettibile, mi indicava dove si trovasse, ma, non appena ne abbandonavo la riva, ero
irrimediabilmente perso. L'idea di ripercorrere i miei passi nella totale oscurit in quel labirinto di
pietra era chiaramente un'impresa impossibile.
Mi sedetti su un masso, e riflettei sulla mia situazione. Non avevo detto a nessuno che intendevo
scendere nella miniera, ed era improbabile che mi venissero a cercare laggi. Dovevo quindi fare
affidamento sulle mie sole forze per cavarmi d'impiccio. Vi era una sola speranza, e cio che i
fiammiferi si sarebbero asciugati.
Quando ero caduto nell'acqua, soltanto una met del mio corpo si era bagnata. La mia spalla
sinistra era rimasta fuori dall'acqua.
Perci presi la scatola di fiammiferi e la misi sotto l'ascella sinistra. La mia speranza era che il
calore del mio corpo vincesse l'aria umida della caverna, ma anche nel migliore dei casi, sapevo
che non avrei potuto accendere un fiammifero per molte ore. Nel frattempo, non potevo fare altro
che aspettare.
Per mia fortuna, mi ero ficcato parecchi biscotti in tasca prima di lasciare la fattoria. Li divorai,
buttandoli gi con un sorso d'acqua di quel maledetto ruscello che era la causa di tutte le mie
disgrazie. Poi mi diedi da fare per trovare fra i massi un sedile comodo e avendo trovato un posto
dove poter appoggiare la schiena, allungai le gambe e mi preparai all'attesa. Ero bagnato e
infreddolito, ma tentai di rallegrarmi pensando che la medicina moderna prescrive per la mia
malattia le finestre aperte e le passeggiate col brutto e col bel tempo. Pian piano, cullato dal
monotono gorgoglio del fiume e dalla profonda oscurit, caddi in un sonno agitato.
Non so dire quanto dormii. Forse un'ora, forse parecchie ore.
Improvvisamente balzai a sedere sul mio letto di roccia, con ogni nervo percorso da un fremito, e
ogni senso all'erta. Al di l di ogni possibile dubbio, avevo udito un suono, un suono molto diverso
dal gorgoglio dell'acqua. Era passato, ma l'eco perdurava ancora nei miei orecchi. Si trattava forse
di una spedizione di salvataggio? Ma in quel caso, mi avrebbero certamente chiamato, e per vago
che fosse il suono che mi aveva svegliato, era molto diverso dalla voce umana. Rimasi immobile,
tremante, incapace di respirare. Eccolo di nuovo! E di nuovo! Adesso era diventato continuo. Era
un passo, s, certamente era il passo di qualche creatura vivente. Ma quale passo! Dava
l'impressione di un peso enorme portato da piedi spugnosi, che emettevano un suono attutito e
pur pieno. L'oscurit era sempre assoluta, ma il passo era deciso e regolare. E veniva senza alcun
dubbio nella mia direzione.
Al suono di quel passo poderoso e risoluto mi si rizzarono i capelli e mi si ghiacci la pelle. Vi era
una creatura l e, a giudicare dalla velocit con cui avanzava, era un essere che poteva vedere al
buio. Mi appiattii sulla roccia, tentando di diventare tutt'uno con essa. I passi si avvicinarono
ancora di pi, poi si fermarono, e ben presto fui conscio di un rumoroso sciacquio e gorgoglio. La
creatura stava abbeverandosi al fiume.
Poi vi fu nuovamente silenzio, interrotto da una successione di respiri e grugniti di tremendo
volume e energia. La creatura aveva colto il mio odore? Le mie proprie narici furono colpite da un
puzzo fetido, mefitico, abominevole. Poi udii nuovamente i passi.
Adesso erano sulla sponda del fiume dove mi trovavo. Le pietre scricchiolarono a pochi metri di
distanza da me. Mi rannicchiai sulla mia roccia, trattenendo perfino il respiro. Poi i passi si
allontanarono. Udii gli schizzi mentre la Creatura attraversava nuovamente il fiume, poi il suono si
allontan nella direzione dalla quale era venuto, fino a scomparire del tutto.
Rimasi a lungo disteso sulla roccia, troppo terrorizzato per potermi muovere. Ripensai al suono
che avevo udito, proveniente dalle nere viscere della caverna, ripensai alle paure di Armitage, alla
strana orma impressa nel fango, ed ora a quest'ultima e irrefutabile prova che vi era davvero
qualche inconcepibile mostro, qualcosa di ignoto e di spaventoso, che stava in agguato nel cuore
della montagna. Non potevo farmi alcuna idea della sua forma o della sua natura. La lotta fra la
ragione, che mi diceva che simili cose non esistono, e i miei sensi, che mi dicevano che esse
esistono, infuriava dentro di me mentre giacevo. Infine, ero quasi disposto a convincermi che
questa esperienza era stata parte di un angoscioso incubo, e che le mie anormali condizioni di
salute avrebbero potuto evocare un'allucinazione. Ma dovevo ancora affrontare un'ulteriore
esperienza, la quale rimosse ogni possibile dubbio dalla mia mente.
Avevo preso i fiammiferi dalla mia ascella e li avevo tastati.
Sembravano perfettamente asciutti e rassodati. Chinandomi verso una fessura fra le rocce, tentai
di accenderne uno. Con mia grande gioia, prese immediatamente fuoco. Accesi la candela e, con
un'ultima occhiata terrorizzata verso le oscure profondit della caverna, mi affrettai in direzione del
tunnel romano. Cos facendo, passai davanti alla chiazza di fango sulla quale avevo visto la
gigantesca orma. Rimasi inchiodato dallo stupore, poich ora vi erano tre orme uguali sulla sua
superficie, enormi di misura, irregolari di contorno, e di una profondit che rivelava il peso
poderoso che le aveva impresse. Allora una paura incontrollabile si impossess di me.
Chinandomi e riparando la fiamma della candela con una mano, corsi in preda a un parossismo di
paura verso l'arco di pietra, mi affrettai su per la salita, senza mai fermarmi finch, i piedi doloranti
e i polmoni in fiamme, non ebbi superato l'ultimo tratto, non mi fui aperto un varco fra i rovi, e non
mi fui gettato esausto sulla morbida erba sotto la tranquilla luce delle stelle. Erano le tre del
mattino quando raggiunsi la fattoria, e ancora oggi sono agitato e sconvolto dalla mia spaventosa
avventura. Per il momento non ne ho parlato a nessuno. Bisogna agire con prudenza. Che cosa
potrebbero pensare queste povere donne sole, o questi contadini ignoranti se raccontassi loro la
mia esperienza? E' meglio che mi rivolga a qualcuno in grado di capirmi e di consigliarmi.
25 aprile. Sono dovuto restare a letto due giorni dopo la mia incredibile avventura nella caverna.
Adopero l'aggettivo nel suo senso pi autentico, perch nel frattempo mi capitata un'esperienza
che mi ha sconvolto quasi quanto l'altra. Ho detto come intendessi cercare qualcuno che mi
potesse consigliare. Vi un certo dottor Mark Johnson che esercita a pochi chilometri da qui. E'
stato il professor Saunderson a raccomandarmelo. Andai a trovarlo, quando mi fui
sufficientemente rimesso, e gli raccontai la mia strana esperienza. Egli mi ascolt attentamente,
poi mi visit con cura, con particolare riguardo ai miei riflessi e alle pupille degli occhi. Quando
ebbe terminato, si rifiut di parlare della mia avventura, dicendo che non era di sua competenza,
ma mi diede un biglietto per il signor Picton di Castleton, consigliandomi di andare
immediatamente da lui e di raccontargli la storia esattamente come l'avevo raccontata a lui. Il
signor Picton era, secondo lui, l'uomo che faceva al caso mio. Andai dunque alla stazione, e mi
recai nella piccola cittadina, che dista una quindicina di chilometri. Il signor Picton doveva essere
un tipo di una certa importanza, poich la sua targa di ottone faceva bella mostra di s sul portone
di uno dei pi grossi edifici alla periferia della citt. Stavo per suonare il campanello, quando fui
assalito da un dubbio e, attraversata la strada, entrai in un negozio, chiedendo all'uomo dietro al
banco ragguagli sul signor Picton.
"Ma come" mi disse " il miglior medico alienista di tutto il Derbyshire, e quello il suo
manicomio." Come potete bene immaginare, mi affrettai a lasciare Castleton e a tornare alla
fattoria, maledicendo tutti i pedanti privi di fantasia, incapaci di concepire che possano esistere
delle cose nel creato, che essi non abbiano toccato con mano. Dopotutto, adesso che sono pi
calmo, sono disposto ad ammettere che io stesso non fui pi comprensivo nei confronti di
Armitage di quanto il dottor Johnson non lo sia stato con me.
27 aprile. Da studente, avevo la fama di essere un uomo coraggioso e intraprendente. Ricordo
che quando andammo a caccia di fantasmi a Coltbridge, fui io a vegliare nella casa frequentata
dagli spettri. Sono gli anni (ma, dopotutto, ne ho soltanto trentacinque), o questa malattia fisica
la causa della mia degenerazione? Certo che il mio cuore trema di paura, quando penso a
quell'orribile caverna nella collina, e alla certezza che in essa risiede qualche mostruoso
occupante. Che cosa debbo fare? Mi dibatto continuamente in questa incertezza. Se non dico
niente, allora il mistero rimane insoluto. Se viceversa parlo, ho l'alternativa di gettare un
angoscioso allarme su tutta la zona, o di suscitare un'assoluta incredulit che potrebbe farmi finire
in manicomio. Visto e considerato il problema, credo che mi convenga aspettare, e preparare una
spedizione pi metodica e meglio organizzata dell'ultima. Il primo passo stato di recarmi a
Castleton per ottenere alcune cose indispensabili: per incominciare una grossa lanterna ad
acetilene, e una buona doppietta da caccia. Quest'ultima l'ho noleggiata, ma ho acquistato una
dozzina di cartucce per la caccia grossa, capaci di atterrare anche un rinoceronte. Adesso sono
pronto per il mio amico troglodita. Se mi sar concessa un po' di salute e un pizzico di energia, mi
sentir in grado di affrontarlo. Ma chi e che cos' quella creatura? Ah! questa la domanda che si
frappone fra me e il sonno. Quante ipotesi continuo a formulare, solo per scartarle ad una ad una!
E' tutto cos inconcepibile. Eppure il grido, l'orma, il passo nella caverna, nessun ragionamento
pu farli scomparire. Penso alle antiche leggende di draghi e di altri mostri. E' possibile dunque
che non fossero, come noi le ritenevamo, puro frutto di fantasia? E' possibile che fossero basate
su fatti realmente accaduti, e sono proprio io, fra tutti i mortali, quello prescelto per svelarli?
3 maggio. Per alcuni giorni sono stato costretto a rimanere a letto, grazie ai capricci della
primavera inglese. Durante quei giorni vi sono stati degli avvenimenti il cui vero e sinistro
significato non pu essere compreso da nessuno, tranne che da me.
Aggiungo che ultimamente abbiamo avuto una serie di notti nuvolose e senza luna che, stando
alle mie informazioni, erano quelle in cui le pecore sparivano. Be', alcune pecore sono scomparse.
Due pecore delle signorine Allerton, una del vecchio Pearson di Cat Walk, e una della signora
Moulton. Un totale di quattro, in tre notti. Di esse non rimasta traccia alcuna, ma nella zona
circolano voci sulla presenza di zingari e ladri di bestiame.
E' accaduto per un fatto pi grave di questo. E' scomparso anche il giovane Armitage. Ha
lasciato la sua casetta nella brughiera mercoled sera di buonora, e da allora non se ne pi
saputo niente. Viveva solo, quindi la sua scomparsa ha destato meno scalpore di quanto non
avrebbe fatto se avesse avuto famiglia. La gente dice che lo ha fatto per sfuggire ai suoi debitori,
che avr trovato lavoro da qualche altra parte, e che ben presto scriver per farsi mandare i suoi
effetti personali. Ma io ho dei gravi dubbi. Non pi probabile che la recente scomparsa delle
pecore lo abbia indotto a un'azione che potrebbe aver provocato la sua fine? Potrebbe, per
esempio, avere teso un trabocchetto alla creatura mostruosa e anonima ed essere stato da essa
ghermito e portato nella tana nella montagna. Quale inconcepibile sorte, per un inglese civilizzato
del ventesimo secolo! Eppure io sento che possibile, e perfino probabile. Ma in tal caso, fino a
dove sono io responsabile, sia della sua morte che di qualsiasi altro disastro che possa accadere?
Sicuramente, essendo al corrente di alcuni fatti, dovrei far prendere qualche provvedimento, o, se
necessario, dovrei prenderli io stesso. Ma credo proprio che non mi resti che quest'ultima
soluzione, poich stamattina mi sono recato al posto di polizia locale, e ho raccontato la mia
storia.
Mentre parlavo, l'ispettore segnava qualcosa in un grosso libro e poi mi accompagn alla porta
con encomiabile seriet, ma prima che fossi arrivato in fondo al viottolo del suo giardino, udii uno
scoppio di risa. Certamente stava raccontando la mia avventura alla sua famiglia.
10 giugno. Sto scrivendo questi appunti seduto a letto; sono passate sei settimane dalle mie
ultime annotazioni in questo diario. Ho subto uno choc terribile, sia psichico che fisico in seguito a
un'esperienza che raramente pu essere accaduta a un essere umano. Ma ho ottenuto il mio
scopo. La fonte del terrore che sopravviveva nel Blue John Gap scomparsa per sempre. Almeno
io, povero invalido, ho fatto questo per il bene comune. Lasciate che racconti il pi chiaramente
possibile ci che accaduto.
La notte di venerd, 3 maggio, era buia e nuvolosa, proprio il tipo di notte in cui il mostro si sarebbe
spinto fuori dalla sua tana. Verso le undici, sono uscito dalla fattoria con la mia lanterna e il mio
fucile, dopo aver lasciato un biglietto sul tavolo in camera mia, in cui dicevo che se non fossi
tornato, avrebbero dovuto mandare una squadra di soccorso in direzione del Blue John Gap. Mi
recai all'imbocco della miniera romana e, dopo essermi appostato fra i massi vicino all'arco, spensi
la lanterna e attesi pazientemente con il fucile carico a portata di mano.
Fu un'attesa malinconica. Vedevo lungo il fondovalle le luci sparse delle fattorie, e da lontano
giungevano i rintocchi del campanile di Chapel-le-Dale. Questi lontani segni di vita servirono
soltanto a farmi sentire pi solo, e a rendere necessario uno sforzo maggiore per superare il
terrore che mi istigava continuamente a tornare alla fattoria e ad abbandonare per sempre questa
pericolosa impresa. Eppure ogni uomo possiede, radicato in s profondamente, un forte amor
proprio che gli rende difficile di abbandonare un'impresa una volta che l'abbia incominciata.
Questo orgoglio fu la mia salvezza, e fu soltanto quello a tenermi inchiodato l, quando ogni mio
istinto mi avrebbe trascinato lontano. Adesso sono felice di averne avuto la forza.
Nonostante tutto ci che mi costato, la mia dignit non ha subto affronti.
Suonarono le dodici al lontano campanile, poi l'una, e le due. Era l'ora pi buia della notte. Le
nuvole vagavano basse, e neanche una stella riluceva nel cielo. Non vi era alcun suono, tranne
l'occasionale grido di una civetta e il dolce respiro del vento.
Poi improvvisamente li udii, Da molto lontano in fondo al tunnel, udii quei passi attutiti, cos dolci
eppure minacciosi. Udii anche il crepitare dei sassi mentre cedevano sotto a quel passo
gigantesco. I passi si avvicinarono sempre di pi. Mi furono a ridosso. Udii un rovinio fra i cespugli
attorno all'imboccatura, e poi a malapena intravidi delinearsi nell'oscurit una forma enorme, una
mostruosa creatura rudimentale, che usciva veloce e silenziosa dal tunnel. Fui paralizzato dalla
paura e dallo stupore. Per quanto avessi atteso a lungo, adesso che la creatura era veramente
apparsa, ero impreparato al colpo. Rimasi disteso, immobile, senza respiro, mentre l'enorme
massa scura mi pass accanto e scomparve nella notte.
Mi preparai al suo ritorno. Nessun suono giungeva dalla campagna immersa nel sonno, a
raccontare del mostro che vi vagava in libert. Non potevo in alcun modo giudicare a quale
distanza fosse andato, che cosa stesse facendo, o quando sarebbe tornato. Ma il mio coraggio
non mi avrebbe abbandonato di nuovo, il mostro non sarebbe passato indisturbato una seconda
volta. Lo giurai a denti stretti, mentre appoggiavo il mio fucile puntato sulla roccia.
Eppure, per poco non accadde. Non ebbi alcun avviso che la creatura stesse attraversando il
campo. Improvvisamente, come un'enorme ombra vagante, l'immensa mole mi si par
nuovamente davanti, diretta all'ingresso della caverna. Provai ancora una volta quella paralisi
della volont, che mi inchiodava l'indice impotente sul grilletto. Ma riuscii a liberarmene con uno
sforzo disperato. Nell'istante stesso in cui i cespugli stormirono, e la mostruosa bestia si confuse
con l'ombra del Gap, feci fuoco su quella forma fuggente. Alla luce della fiammata del fucile,
intravidi una grande massa irsuta, un qualcosa rivestito di un irto e ruvido pelo di un grigio stinto,
che si faceva bianco nelle parti inferiori, il cui corpo enorme poggiava su corte zampe, tozze e
ricurve. Ebbi quell'unica fugace visione, poi udii un rotolio di sassi mentre la creatura fuggiva nella
sua tana. In un attimo, con una trionfale e improvvisa rivoluzione di sentimenti, avevo gettato le
mie paure al vento, e scoprendo la mia potente lanterna, con il fucile in mano, balzai gi dalla mia
roccia e mi precipitai dietro al mostro lungo la vecchia miniera romana.
La mia magnifica lampada gettava davanti a me un potente raggio di luce, molto diverso dal
tremulo bagliore giallastro che mi aveva rischiarato il cammino soltanto dodici giorni prima. Mentre
correvo, vedevo l'immane bestione caracollare davanti a me, con la sua enorme mole che
riempiva tutto lo spazio da una parete all'altra. Il suo pelo, simile a una massa di ruvida stoppa
sbiadita, ricadeva in lunghi folti ciuffi che ondeggiavano a ogni passo. Il suo vello lo faceva
somigliare a un'enorme pecora mai tosata, ma la sua mole oltrepassava quella del pi grande
elefante, e la sua larghezza era tale quale la sua altezza. Adesso che ci ripenso, sono stupito di
aver avuto il coraggio di inseguire un simile mostro nelle viscere della terra, ma quando il proprio
sangue bolle nelle vene e la preda ha le ali ai piedi, si risveglia l'antico, primitivo istinto del
cacciatore e ogni prudenza viene messa da parte. Fucile imbracciato, correvo a tutta velocit
all'inseguimento del mostro.
Mi ero reso conto che la creatura era veloce. Ora dovevo scoprire, a mio danno, che essa era
anche molto astuta. Avevo creduto che stesse fuggendo in preda al panico, e che io dovessi
soltanto inseguirla. L'idea che potesse rivoltarsi contro di me, non aveva neppure sfiorato la mia
mente esaltata. Ho gi spiegato come il tunnel lungo il quale correvo, si aprisse in una vasta
caverna centrale. Mi precipitai in questa caverna, temendo di perdere ogni traccia del bestione.
Ma questi si era girato improvvisamente, e l'istante dopo ci trovammo l'uno di fronte all'altro.
Quell'immagine, vista alla bianca e brillante luce della mia lanterna, scolpita per sempre nel mio
cervello. Il mostro si era impennato sulle zampe posteriori come farebbe un orso, e mi sovrastava,
enorme, minaccioso, una creatura come neanche il peggiore degli incubi aveva mai evocato alla
mia mente. Ho detto che si era impennato come un orso, e infatti vi era qualcosa dell'orso, se si
riesce a concepire un orso dieci volte pi grande di qualsiasi orso mai visto sulla terra, nella sua
posizione e nel suo atteggiamento, nelle sue grandi zampe anteriori ricurve munite di artigli
bianco-avorio, nella sua pelle rugosa, e nelle sue fauci spalancate e rossastre, orlate di mostruose
zanne. Soltanto in una cosa esso differiva da un orso, o da qualsiasi altra creatura esistente, e
anche in quell'istante supremo, quando vidi che gli occhi che rilucevano al raggio della mia
lanterna, erano degli enormi bulbi sporgenti, bianchi e privi di vista, un brivido di orrore mi
percorse. Per una frazione di secondo le sue gigantesche zampe rotearono sopra la mia testa. Poi
cadde in avanti sopra di me, io e la mia lanterna rotta precipitammo a terra, e non ricordo altro.
Quando ripresi conoscenza, mi trovavo nella fattoria delle Allerton. Erano trascorsi due giorni dalla
mia terribile avventura nel Blue John Gap. Pare che fossi rimasto tutta la notte nella caverna, privo
di conoscenza in seguito a commozione cerebrale, con il braccio sinistro e due costole fratturati.
La mattina dopo era stato trovato il mio biglietto, una dozzina di contadini avevano organizzato
una spedizione di soccorso, ed io ero stato trovato e riportato nella mia camera, dove da allora ero
rimasto in preda al delirio. Pare che non vi fosse traccia del mostro, n alcuna macchia di sangue
a testimoniare che la mia pallottola lo avesse colpito mentre mi passava davanti. Tranne le mie
condizioni e le orme nel fango, non vi era niente che dimostrasse che ci che dicevo era vero.
Adesso sono passate sei settimane, e io sono nuovamente in grado di sedere all'aperto, sotto i
tiepidi raggi del sole. Proprio dirimpetto a me si erge la ripida collina, grigia di rocce porose, e
laggi, sul pendio, c' la nera fessura che segna l'imbocco del Blue John Gap. Ma essa non pi
fonte di terrore. Non passer mai pi, per quel sinistro tunnel, alcuna mostruosa creatura per
avventurarsi nel mondo degli uomini. Le persone istruite e gli uomini di scienza, il dottor Johnson e
i suoi simili potranno sorridere del mio racconto, ma le semplici genti della regione non hanno mai
dubitato della sua veridicit. Il giorno dopo che io ebbi ripreso conoscenza, essi si radunarono a
centinaia attorno al Blue John Gap. Ecco il resoconto del "Castleton Courier":
"Non servito a nulla che il nostro corrispondente, o parecchi degli avventurosi giovanotti
convenuti da Matlock, Buxton, o altri villaggi, si offrissero di scendere, di esplorare la caverna fino
in fondo, e di mettere finalmente alla prova lo straordinario racconto del dottor James Hardcastle. I
contadini locali si erano impadroniti della situazione, e fin dalle prime ore del mattino avevano
lavorato di lena per bloccare l'ingresso del tunnel. Vi una ripida discesa subito dopo l'imbocco, e
centinaia di mani volonterose hanno spinto un gran numero di enormi massi gi per la china,
finch il Gap non stato completamente ostruito. Cos si conclude l'episodio che ha destato tanta
agitazione in tutto il paese. L'opinione locale ferocemente divisa sulla questione. Da una parte, vi
sono quelli che fanno notare come la salute del dottor Hardcastle sia compromessa, per cui ci
sarebbe la possibilit di lesioni cerebrali di origine tubercolare che hanno dato luogo a strane
allucinazioni. Secondo loro, qualche "ide fixe" ha spinto il dottore ad avventurarsi nel tunnel, e
una caduta fra le rocce pi che sufficiente per spiegare le sue ferite. D'altra parte, una leggenda
a proposito di una strana creatura nel Gap circolava gi da vari mesi, e i contadini considerano il
racconto del dottor Hardcastle e le sue lesioni come la prova decisiva. Cos l'episodio si conclude
nell'incertezza, e nell'incertezza perdurer, poich ormai non ci sembra pi possibile alcuna
soluzione definitiva. Una spiegazione scientifica che possa chiarire quanto Hardcastle afferma,
trascende le possibilit della mente umana."
Forse, prima che il "Courier" pubblicasse queste parole, sarebbe stato pi saggio mandare da me
il loro cronista. Ho riflettuto a lungo sull'accaduto, pi di quanto chiunque altro possa aver fatto. E'
quindi possibile che io avrei potuto eliminare alcuni aspetti apparentemente incredibili del mio
racconto, rendendo pi plausibile una spiegazione scientifica. Lasciate che esponga l'unica
spiegazione che secondo me pu chiarire ci che ho imparato a mie spese, e che so
corrispondere a verit. La mia teoria potr sembrare altamente improbabile, ma perlomeno
nessuno oser dire che sia impossibile.
La mia opinione , e me la sono formata, come il diario dimostra, prima della mia avventura, che in
questa regione dell'Inghilterra esiste un vasto lago o mare sotterraneo, alimentato da numerosi
corsi d'acqua che si infiltrano attraverso la pietra calcarea.
Dove esiste una grande quantit di acqua, deve esistere anche dell'evaporazione, nebbia o
pioggia, e la possibilit di una determinata vegetazione. A sua volta ci suggerisce che possa
sussistere una vita animale, derivante, allo stesso modo della vita vegetale, da quei semi e da
quei prototipi che furono introdotti in un'epoca antichissima della storia del mondo, quando la
comunicazione con il mondo esterno era pi facile. Questo luogo aveva sviluppato a quei tempi
una flora e fauna particolari, ivi compresi dei mostri simili a quello che io ho visto e che potrebbero
essere benissimo l'antico orso delle caverne, enormemente ingrandito e modificato dalle nuove
condizioni ambientali. Per un numero incalcolabile di millenni, quei due mondi, uno interno e uno
esterno, sono rimasti divisi, allontanandosi l'uno dall'altro sempre di pi. Poi si deve essere
prodotta qualche crepa nelle profondit della montagna, che ha permesso a una di queste
creature di salire e, per mezzo del tunnel romano, di raggiungere l'aria aperta. Come tutti gli
abitanti del mondo sotterraneo, essa era priva della vista, ma indubbiamente la natura aveva
provveduto a dotarla di altre capacit. E' certo che avesse un sistema per orientarsi e per cacciare
le pecore sul pendio della collina. In quanto alla sua scelta delle notti oscure, fa parte della mia
teoria che la luce intollerabile per quegli enormi bulbi oculari bianchi, per cui essi possono
tollerare soltanto un mondo immerso nella oscurit pi completa. Pu, anzi, darsi che fu proprio il
riverbero della mia lanterna a salvarmi la vita in quello spaventoso istante in cui ci trovammo
faccia a faccia. E' cos che io spiego l'enigma.
Lascio questi fatti ai miei posteri, e se voi potete spiegarli, fatelo pure; o se preferite diffidatene
pure. N la vostra fiducia n la vostra incredulit possono mutarli, o influire in modo alcuno su una
persona il cui compito quasi terminato.
Cos finiva lo strano racconto del dottor James Hardcastle.



IL GATTO BRASILIANO

E' duro per un giovanotto trovarsi ad avere gusti costosi, grandi aspettative, parenti aristocratici,
ma neanche un soldo in tasca e nessuna professione per procurarseli. Il fatto che mio padre, un
buon uomo ottimista e facilone, si fidava a tal punto della ricchezza e della benevolenza del suo
fratello maggiore, Lord Southerton, uno scapolo, da prendere per scontato il fatto che io, l'unico
suo figlio, non avrei mai avuto bisogno di guadagnarmi la vita. Egli immaginava che se non ci
fosse stato un posto vacante per me nei vasti possedimenti dei Southerton, qualcuno mi avrebbe
fatto entrare nel servizio diplomatico, che tuttora dominio delle nostre classi privilegiate. E' morto
troppo presto per rendersi conto di come i suoi calcoli fossero errati. N mio zio n lo Stato si
curarono minimamente di me, o mostrarono il minimo interesse per la mia carriera. Un'occasionale
coppia di fagiani o un cesto di lepri furono le sole cose che mi ricordassero che io ero erede di
Otwell House, e di una delle pi ricche tenute del paese. Nel frattempo, da bravo scapolo e uomo
di mondo, abitavo in un appartamento in Grosvenor Mansions, senza alcuna occupazione tranne il
tiro al piccione e il giuoco del polo a Hurlingham. Col passare dei mesi, mi resi conto che
diventava sempre pi difficile poter indurre i mediatori a rinnovare le mie cambiali, o a incassare
ulteriori anticipi su un'eredit non vincolata. La rovina mi si parava davanti, e ogni giorno la vedevo
avvicinarsi sempre di pi, farsi sempre pi chiara e inevitabile.
Ci che contribuiva a farmi sentire pi acuta la mia povert, era il fatto che, a parte la grande
ricchezza di Lord Southerton, tutti gli altri miei parenti erano piuttosto benestanti. Il mio parente pi
prossimo era Everard King, nipote di mio padre e mio cugino di primo grado, il quale aveva
trascorso una vita avventurosa nel Brasile ed era tornato da poco in questo paese per vivere di
rendita. Non venimmo mai a sapere in quale modo avesse fatto soldi, ma sembrava che ne
avesse fatti parecchi, poich aveva comperato la tenuta di Greylands, vicino a Clipton-on-the-
Marsh, nel Suffolk. Durante il primo anno del suo soggiorno in Inghilterra, non si cur di me pi di
quanto non se ne curasse il mio avaro zio; ma infine, una mattina d'estate, con mia grandissima
gioia e sollievo, ricevetti una lettera in cui mi invitava ad andare da lui quel giorno stesso, per
trascorrere un breve periodo a Greylands Court. Proprio allora mi aspettavo di dover trascorrere
un periodo piuttosto lungo in carcere per i debiti, e questo intervallo mi sembr quasi un dono della
provvidenza. Se soltanto fossi riuscito a mettermi d'accordo con questo sconosciuto parente, forse
me la sarei ancora potuta cavare. Per l'onore della famiglia, non poteva lasciarmi andare a picco.
Ordinai al mio cameriere personale di prepararmi la valigia, e quella sera stessa partii per Clipton-
on-the-Marsh.
Dopo aver cambiato a Ipswich, un trenino locale mi deposit in una piccola stazione del tutto
deserta, che sorgeva in una campagna verdeggiante e mossa, dove un fiume pigro e tortuoso si
snodava fra una valle e l'altra, chiuso fra sponde alte e cosparse di deposito marino, segno che
era a portata della marea. Non c'era nessuno ad attendermi (venni a sapere pi tardi che il mio
telegramma aveva subto un ritardo), cos noleggiai un calesse dell'alberghetto locale. Il cocchiere,
bravissima persona, era pieno di lodi per il mio parente, e da lui seppi che Everard King godeva in
quella zona di un certo prestigio. Aveva organizzato un ricevimento per gli alunni della scuola,
aveva spalancato i cancelli della sua tenuta ai visitatori, aveva contribuito a innumerevoli
beneficenze, per farla breve, la sua benevolenza era cos universale, che il mio cocchiere poteva
spiegarla soltanto con la supposizione che egli mirasse a un seggio al Parlamento.
La mia attenzione fu distolta dal panegirico, dall'apparizione di un bellissimo uccello che and a
posarsi su un palo telegrafico lungo la strada. A prima vista lo scambiai per una ghiandaia, ma era
pi grande e aveva il piumaggio pi brillante. Il cocchiere ne chiar subito la provenienza,
spiegandomi che apparteneva proprio all'uomo dal quale stavamo andando. Pare che
l'acclimatazione degli animali esotici fosse uno dei suoi hobbies, e che egli si fosse portato con s
dal Brasile un certo numero di uccelli e altri animali, che stava tentando di allevare in Inghilterra.
Una volta varcato il cancello di Greylands Park, incontrammo prove palesi di questa sua
inclinazione. Alcuni piccoli cervi macchiati, un curioso maiale selvatico chiamato, se non sbaglio,
pecari, un rigogolo dalle stupende penne, un tipo di armadillo, e un singolare, goffo animaletto
simile a un tasso molto pingue. Questi furono alcuni degli animali che osservai mentre il calesse
percorreva il viale alberato.
Il signor Everard King, il mio sconosciuto cugino, era ad attendermi di persona sulla scalinata
davanti a casa sua, poich ci aveva visti da lontano, e aveva immaginato che fossi io. Era di
aspetto dimesso e benevolo, piccolo e tracagnotto; poteva avere quarantacinque anni circa, e il
suo volto tondo e bonario era bruciato dal sole tropicale e solcato da mille rughe. Indossava un
abito di lino bianco, in puro stile coloniale, aveva fra le labbra un sigaro e un cappello di paglia
spinto verso la nuca. Era una figura come quelle che si associano a un bungalow con veranda, e
pareva curiosamente fuori posto davanti a questo imponente castello tutto pietra, con le sue
colonne palladiane davanti al portone.
"Mia cara," chiam egli, voltandosi indietro. "Mia cara, ecco il nostro ospite! Benvenuto, benvenuto
a Greylands! Sono lietissimo di fare la tua conoscenza, cugino Marshall, e sono lusingato che tu
abbia voluto onorare della tua presenza questo sonnolento paesino di campagna." Non poteva
esserci niente di pi cordiale dei suoi modi, che mi fecero immediatamente sentire a mio agio. Ma
ci voleva tutta la sua cordialit quale compenso alla freddezza e perfino alla maleducazione di sua
moglie, una donna alta ed emaciata, che si present in risposta al suo richiamo. Credo che fosse
di origine brasiliana, bench parlasse un ottimo inglese, e io le perdonai le sue cattive maniere
imputandole alla sua ignoranza delle nostre consuetudini. Ciononostante, ella non tent di
nascondere, n allora n in seguito, che io non fossi un ospite molto gradito a Greylands Court. Le
poche parole che mi rivolgeva erano generalmente cortesi; ma essa aveva un paio di occhi scuri
particolarmente espressivi, e io vi lessi molto chiaramente, fin dal primo istante, il suo desiderio di
vedermi ripartire per Londra.
Ma i miei debiti erano troppo pressanti e le mie mire nei confronti del mio ricco cugino troppo vitali,
perch mi lasciassi offendere dal cattivo carattere di sua moglie, e quindi ignorai la sua freddezza
e viceversa ricambiai l'estrema cordialit del benvenuto di lui. Tutto era stato previsto per rendere
gradevole il mio soggiorno. La mia stanza era deliziosa. Mio cugino mi supplic di dirgli se ci fosse
qualcosa che lui avrebbe potuto fare per rendermi felice. Poco ci manc che gli dicessi che un
assegno in bianco avrebbe contribuito materialmente alla mia felicit, ma mi sembr prematuro
allo stadio attuale della nostra conoscenza.
La cena fu ottima, e a pasto terminato, mentre ci intrattenevamo con un buon avana e il caff, che
egli mi disse veniva preparato appositamente nella sua piantagione, mi parve che tutte le lodi del
mio cocchiere fossero giustificate, e che io non avessi mai conosciuto un uomo pi generoso e
ospitale.
Nonostante il suo buon umore, era per un uomo dotato di una forte volont, incline alla violenza.
Di questo ebbi una prova il mattino seguente. La curiosa antipatia che la signora King aveva
concepito nei miei riguardi era cos forte, che il suo comportamento durante la colazione fu quasi
offensivo. Ma la sua mira divenne inconfondibile quando suo marito usc dalla stanza.
"Il miglior treno quello delle dodici e un quarto" mi disse.
"Ma io non avevo intenzione di partire oggi" risposi con franchezza, forse anche in tono di sfida,
poich ero deciso a non lasciarmi mettere alla porta da quella donna.
"Oh, se dipende da lei..." replic la signora King, interrompendosi con un'espressione assai
insolente negli occhi.
"Sono sicuro" dissi "che il signor King me lo direbbe, se io prolungassi troppo la mia visita."
"Come? Come?" esclam una voce e mio cugino apparve nella stanza.
Aveva udito le mie ultime parole, e uno sguardo ai nostri visi gli disse il resto. Di colpo il suo viso
allegro e grassoccio si indur in un'espressione di ferocia assoluta.
"Potrei chiederti di uscire un momento, Marshall?" mi disse. (A proposito, io mi chiamo Marshall
King.) Egli richiuse la porta alle mie spalle e, per qualche istante, lo udii parlare a sua moglie con
un tono di furia repressa.
Evidentemente, questa grossolana mancanza di ospitalit lo aveva dolorosamente colpito. A me
non piace origliare, cos me ne andai in giardino. Poco dopo, udii un passo affrettato dietro di me
e, voltandomi, vidi la signora, il viso pallido dall'agitazione e gli occhi rossi dal pianto.
"Mio marito mi ha detto di chiederle scusa, signor Marshall King" mi disse, ritta davanti a me e con
gli occhi bassi.
"La prego, non parliamone pi, signora King." Improvvisamente, i suoi occhi scuri mi trafissero con
uno sguardo fiammeggiante.
"Imbecille!" sibil con una foga disperata, poi, voltandosi bruscamente, si diresse verso la casa.
L'insulto era cos oltraggioso, cos intollerabile, che potei soltanto restare l immobile, sconcertato,
seguendo la donna con gli occhi. Ero ancora l, quando il mio ospite mi raggiunse. Era ritornato la
persona allegra e pacioccona di sempre.
"Spero che mia moglie ti abbia chiesto scusa per i suoi sciocchi discorsi" mi disse.
"Oh, s... s, certo!" Mi prese sottobraccio e passeggiammo su e gi per il prato.
"Non devi prendertela" prosegu mio cugino. "Sarei oltremodo desolato se abbreviassi la tua visita
di una sola ora. Il fatto - e non vi alcun motivo che ci si debba nascondere qualcosa fra parenti
-, che la mia povera moglie incredibilmente gelosa. Non pu sopportare che chiunque, uomo o
donna, si intrometta fra noi due, anche per un solo istante. Il suo ideale sarebbe un'isola deserta e
un eterno "tte--tte". Questo ti pu spiegare il suo comportamento, il quale , lo confesso, assai
vicino a una mania.
Rassicurami che non ci penserai pi."
"Ma no, no di certo."
"Allora, accenditi questo sigaro, e vieni con me a ispezionare il mio piccolo serraglio." L'intero
pomeriggio trascorse in questa ispezione, che comprendeva tutti gli animali, uccelli e perfino rettili,
che egli aveva importato. Alcuni erano in libert, altri in gabbia, altri addirittura in casa. Mio cugino
mi parl con entusiasmo dei suoi successi e dei suoi fiaschi, delle nascite e delle morti, gettando
ogni tanto un gridolino di gioia quando, durante la nostra passeggiata, qualche uccello variopinto
si alzava in volo, o qualche strano animaletto sgattaiolava nella sua tana. Infine mi condusse lungo
un corridoio che si dipartiva da un'ala dell'edificio. In fondo al corridoio, vi era una massiccia porta
munita di una persiana scorrevole, e accanto ad essa, infissa nel muro, una manovella di ferro,
collegata a una ruota e a un rullo.
Un insieme di robuste sbarre attraversava il corridoio.
"Sto per mostrarti il gioiello della mia collezione" disse mio cugino. "Vi un solo altro esemplare in
Europa, adesso che il cucciolo di Rotterdam morto. Si tratta di un gatto brasiliano."
"Ma come si differenzia da un qualsiasi altro gatto?"
"Te ne renderai conto assai presto" mi disse, ridendo. "Ti dispiace aprire quella persiana e
guardarci dentro?" Feci come mi aveva detto, e scoprii che stavo guardando in una grande stanza
vuota, dall'impiantito di pietra e munita, sulla parete di fondo, di piccole finestre sbarrate. Al centro
di questa stanza, sdraiato in mezzo a una chiazza dorata di sole, stava disteso un enorme
animale, grande come una tigre, ma nero e lucido come l'ebano. Sembrava nient'altro che un
gatto gigantesco e molto ben curato; infatti se ne stava rannicchiato, crogiolandosi al sole,
esattamente come farebbe un gatto. Era cos pieno di grazia, cos muscoloso, e cos dolcemente
e subdolamente diabolico, che non riuscii a distoglierne lo sguardo.
"Non splendido?" esclam il mio ospite, pieno di entusiasmo.
"Magnifico! Non ho mai visto una cos nobile creatura."
"Alcuni lo chiamano un puma nero, ma in realt non per niente un puma. Quest'animale misura
quasi tre metri e mezzo dalla testa alla coda. Quattro anni fa era una pallina di pelo nero, con due
occhioni gialli che ti fissavano. Mi fu venduto che era un cucciolo appena nato, nella selvaggia
regione della sorgente del Rio Negro. Sua madre era stata finita a colpi di lancia, dopo che aveva
ucciso una decina di indigeni.
"Dunque, sono animali feroci?"
"Sono le creature pi infide e assetate di sangue che esistano sulla faccia terrestre. Prova a
parlare di un gatto brasiliano a un indigeno di quelle parti, e vedrai come reagisce. Sono animali
che preferiscono cibarsi di esseri umani, che di selvaggina.
Quello che vedi non ha ancora assaggiato sangue umano, ma quando ci avverr, sar il terrore.
Ora come ora, nella sua gabbia non tollera nessuno, tranne me. Perfino Baldwin, lo stalliere, non
osa avvicinarsi a lui. In quanto a me, gli faccio da padre e da madre." Mentre parlava, con mio
grande stupore, apr improvvisamente la porta e si infil nella stanza, richiudendola subito alle sue
spalle. Al suono della sua voce, l'enorme, agile animale si alz sbadigliando e gli and a strofinare
affettuosamente il capo nero e rotondo contro il fianco, mentre Everard lo carezzava e lo
vezzeggiava.
"Adesso entra nella tua gabbia, Tommy!" gli disse.
L'enorme felino si avvi a un angolo della stanza e si rannicchi sotto un'inferriata. Everard King
usc, e afferrando la manovella di ferro a cui ho gi accennato, prese a girarla. Via via che girava,
la fila di sbarre nel corridoio prese a passare attraverso una fessura nella parete e chiuse la parte
anteriore di quell'inferriata, in modo da formare una vera e propria gabbia.
Quando fu a posto, egli apr nuovamente la porta e mi invit a entrare nella stanza, che era
pregna dell'odore acre e pungente proprio ai grossi carnivori.
"E' cos che l'abbiamo abituato" mi spieg. "Di giorno, ha a disposizione tutta la stanza per poter
fare un po' di moto, poi la sera lo rinchiudiamo in gabbia. Lo si libera girando la manovella dal
corridoio, e si pu, come hai visto, rinchiuderlo nello stesso modo. No, no, questo non lo devi
fare!" Avevo infilato la mano fra le sbarre per accarezzare il fianco lucido e fremente della belva.
Everard me la tir indietro, con un'espressione seria.
"Ti assicuro che non ci si pu fidare di lui. Non credere che chiunque lo possa fare, perch io mi
prendo delle libert con lui.
E' molto esclusivo nelle sue amicizie, vero, Tommy? Ah, sente che sta arrivando la sua cena,
Vero, ragazzo?" Infatti udimmo un rumori di passi sull'impiantito del corridoio.
Il felino balz in piedi e prese a camminare avanti e indietro nell'angusta gabbia, gli occhi gialli che
rilucevano e la lingua scarlatta che palpitava fremente sulla candida fila dei denti frastagliati. Uno
stalliere entr con un grosso pezzo di carne su un vassoio e lo gett all'animale attraverso le
sbarre. La bestia l'afferr, se lo port in un angolo, e l, tenendolo fra le zampe, vi affond
voracemente i denti, alzando ogni tanto il muso sporco di sangue per guardarci. Era uno
spettacolo crudele eppure affascinante.
"Puoi capire come sia affezionato a Tommy, vero?" disse il mio ospite, mentre uscivamo dalla
stanza. "Tanto pi se si pensa che sono stato io ad allevarlo. Non stato facile portarlo fin qui dal
centro dell'America meridionale; ma ora qua, sano e salvo, e come ti ho gi detto, esso di gran
lunga l'esemplare pi perfetto in tutta l'Europa. La gente dello zoo darebbe non so che cosa per
averlo, ma io non potrei separarmene. E adesso, credo proprio di averti inflitto fin troppo il mio
hobby, quindi non ci resta che seguire l'esempio di Tommy, e andare a cena." Il mio cugino,
chiamiamolo cos sudamericano, era talmente preso dalla sua tenuta e dai suoi singolari inquilini,
che pareva non avere altri interessi al di fuori di quelli. Che viceversa ne avesse, e molto
pressanti, mi fu ben presto dimostrato dal numero di telegrammi che egli riceveva. Arrivavano a
tutte le ore, e venivano sempre aperti da lui con un'espressione del viso della massima
impazienza e addirittura dell'ansia. Talvolta immaginavo che si trattasse di un suo allibratore, e
talvolta del suo agente di cambio, ma certamente si trattava di un affare molto urgente le cui
trattative non si svolgevano a Downs nel Suffolk. Durante i sei giorni della mia visita, non ricevette
mai meno di tre o quattro telegrammi al giorno, e talvolta perfino sette o otto.
Mi ero cos ben destreggiato in quei sei giorni, che al termine di essi ero riuscito a stabilire un
rapporto della massima cordialit con mio cugino. Ogni sera eravamo rimasti alzati fino a tardi,
nella sala del biliardo, mentre lui mi raccontava i pi straordinari racconti delle sue avventure in
America, racconti cos temerari e spericolati, che mi era quasi impossibile associarli a quell'ometto
grassoccio e bruciato dal sole che mi stava davanti. A mia volta, lo intrattenevo con le mie
esperienze della vita londinese, che lo interessavano a tal punto da indurlo a dichiarare che
sarebbe venuto a trascorrere un lungo periodo da me, a Grosvenor Mansions. Era ansioso di
conoscere la vita notturna della citt e, modestia a parte, non avrebbe potuto scegliere una guida
pi competente di me. Fu soltanto l'ultimo giorno della mia visita, che mi azzardai a parlare di ci
che mi stava a cuore. Gli dissi con molta franchezza delle mie difficolt finanziarie e della mia
imminente rovina, e gli chiesi un consiglio, bench sperassi in qualcosa di pi concreto. Egli mi
ascolt attentamente, fumando il suo grosso sigaro.
"Ma certo" mi disse "tu sei l'erede del nostro parente, Lord Southerton?"
"Ne sono convinto, ma egli non ha mai voluto assegnarmi una rendita."
"No, no, ho sentito parlare della sua avarizia. Mio povero Marshall, la tua posizione molto
difficile. A proposito, hai avuto recentemente notizie della salute di Lord Southerton?"
"La sua salute sempre stata critica, fin dalla mia infanzia."
"E magari camper cent'anni. La tua eredit potrebbe essere ancora molto lontana. Santo cielo, in
che brutta situazione ti trovi!"
"Avevo qualche speranza che tu, sapendo come stanno le cose, avresti ritenuto di potermi
anticipare..."
"Non dire un'altra parola, mio caro ragazzo" esclam egli, con la massima cordialit. "Ne
riparleremo stasera, e ti do la mia parola che far quanto in mio potere..." Non ero del tutto
dispiaciuto che la mia visita stesse volgendo al termine, poich sgradevole sentire che c'
qualcuno in casa che desidera ardentemente di vederti partire. Il viso giallastro e gli occhi severi
della signora King mi diventavano sempre pi odiosi.
La donna non era pi esplicitamente scortese (il timore di suo marito la tratteneva) ma spingeva la
sua insana gelosia al punto di ignorarmi, non parlandomi mai, e industriandosi per rendere il mio
soggiorno a Greylands quanto pi sgradevole possibile. Il suo atteggiamento nei miei riguardi fu,
quell'ultimo giorno, cos offensivo, che sarei certamente partito, se non fosse stato per quel
colloquio con mio cugino che avrebbe, cos mi auguravo, risolto il mio dilemma.
Era molto tardi quando ebbe luogo, poich il mio parente, che aveva ricevuto, durante la giornata,
pi telegrammi del solito, si era ritirato nel suo studio dopo pranzo, e ne emerse soltanto quando
gli altri membri della casa se ne furono andati a letto. Lo udii fare il giro della casa chiudendo le
porte a chiave, come al solito la sera, e infine mi raggiunse nella sala del biliardo. La sua pingue
figura era avvolta in una veste da camera, e indossava un paio di pantofole rosse. Prima di
sistemarsi in poltrona, si prepar un bicchiere di grog e non potei fare a meno di notare che il
whisky predominava di gran lunga sull'acqua.
"Parola mia," esclam "che nottata da lupi!" Lo era davvero. Il vento ululava e gemeva intorno alla
casa, e le finestre vibravano e tintinnavano come se fossero sul punto di cedere. La luce che
spandevano le lampade e il profumo dei nostri sigari parevano, per contrasto, pi accoglienti e
fragranti.
"E ora, ragazzo mio" disse il mio ospite "abbiamo la casa e la serata tutta per noi. Dammi un
quadro dei tuoi affari, e io vedr ci che si pu fare per raddrizzarli. Voglio che tu mi racconti ogni
particolare." Cos incoraggiato, intrapresi una lunga esposizione nella quale figuravano tutti i miei
fornitori e creditori; dal mio padrone di casa al mio cameriere personale. Avevo degli appunti nel
portafogli, e conoscevo i miei debiti a menadito; riuscii a dargli un quadro analitico e preciso,
oserei dire, delle mie deplorevoli abitudini e della mia precaria situazione. Ero tuttavia avvilito dalla
constatazione che gli occhi del mio compagno erano vacui e la sua attenzione rivolta altrove.
Quando infatti ogni tanto faceva un commento, era cos casuale e privo di senso, che fui sicuro
che non aveva minimamente seguito il mio discorso. Ogni tanto si destava e mostrava una
parvenza di interesse, chiedendomi di ripetere qualcosa o di spiegarmi meglio, ma sempre per
sprofondarsi nuovamente nei propri pensieri. Infine si alz e gett il mozzicone del sigaro nel
caminetto.
"Ti dir, ragazzo mio" mi disse. "Le cifre non sono mai state il mio forte, quindi devi scusarmi.
Dovresti scrivere tutto quanto su un foglietto, e darmi un appunto del totale. Lo capir quando lo
vedr nero su bianco." La proposta era incoraggiante. Promisi di farlo.
"E adesso ora di andare a letto. Per Giove, sta suonando l'una all'orologio dell'ingresso." I
rintocchi dell'orologio sovrastarono il frastuono della bufera.
Il vento si avventava sulla casa, con un rombo simile a quello di un grande fiume.
"Bisogna che vada a vedere il mio gatto prima di coricarmi" disse il mio ospite. "Il vento lo eccita.
Vuoi venire anche tu?"
"Volentieri."
"Allora cammina in punta di piedi e non parlare, perch gli altri dormono tutti." Attraversammo
silenziosamente l'atrio illuminato e ricoperto di tappeti persiani e varcammo la porta nella parete
opposta. Il corridoio dall'impiantito di pietra era buio, ma vi era una lanterna appesa ad un gancio,
e il mio ospite la stacc e l'accese. Non vidi le sbarre di ferro nel corridoio, perci capii che la
bestia si trovava nella sua gabbia.
"Entra!" disse mio cugino aprendo la porta.
Un sordo ringhio ci accolse quando entrammo; stava a dimostrare che effettivamente la tempesta
aveva eccitato l'animale. Alla tremula luce della lanterna lo vedemmo, enorme sagoma nera
sdraiata nell'angolo del suo antro, che gettava un'ombra tozza e grottesca sulla parete imbiancata.
La sua coda sferzava rabbiosamente la paglia.
"Il povero Tommy non di un gran buon umore" disse Everard King, alzando la lanterna e
affacciandosi alla gabbia. "Sembra proprio un diavolaccio nero, no? Gli dar qualcosa da
mangiare per rallegrarlo un poco. Ti dispiace reggere per un momento la lanterna?" Gliela presi di
mano ed egli si diresse verso la porta.
"La sua dispensa proprio qui fuori" mi disse. "Mi scuserai per un istante, vero?" Usc, e la porta
si richiuse alle sue spalle con un colpo secco e metallico.
Quel suono duro e deciso mi agghiacci il sangue. Un'improvvisa ondata di terrore mi pervase. Fui
colto da una vaga percezione di un mostruoso trabocchetto. Balzai verso la porta, ma il lato
interno era privo di maniglia.
"Everard," gridai. "Fammi uscire!"
"D'accordo! Ma non fare tanto baccano!" disse mio cugino dal corridoio. "Dopotutto hai la
lanterna."
"S, ma non ci tengo a rimaner chiuso qui dentro da solo."
"Davvero?" Udii la sua risata cordiale e divertita. "Non rimarrai solo a lungo."
"Fammi uscire, Everard!" ripetei furibondo. "Non mi piacciono gli scherzi di questo genere."
"Un momento" disse egli, con un'altra odiosa risata. Poi udii improvvisamente, fra l'infuriare della
tempesta, il cigolio e lo scricchiolio della manovella che girava, e il rumore delle sbarre che
passavano attraverso la scanalatura. Gran Dio, stava liberando il gatto brasiliano!
Alla luce della lanterna, vidi le sbarre scivolare davanti a me lentamente. Gi vi era un'apertura di
una trentina di centimetri sul lato opposto. Con un urlo, afferrai l'ultima sbarra con le mani e la tirai
con la forza di un invasato. Ero invasato, dalla furia e dall'orrore. Per un minuto, o fors'anche pi,
riuscii a tenere immobile la sbarra. Sapevo che egli premeva sulla manovella con tutte le sue forze
e sapevo che il potere della leva l'avrebbe ben presto avuta vinta. Cedevo centimetro per
centimetro, i miei piedi scivolavano sulle pietre, e tutto il tempo supplicavo e pregavo questo
mostro disumano di salvarmi da questa orribile morte. Gli rammentai la nostra parentela. Gli
ricordai che ero suo ospite; lo implorai di dirmi che male gli avevo mai fatto. Le sue sole risposte
furono gli strappi della manovella, ognuno dei quali, nonostante i miei sforzi disperati, tirava
un'altra sbarra attraverso la scanalatura. Fui trascinato, aggrappato e avviticchiato, attraverso tutta
la larghezza della gabbia, finch finalmente, con i polsi dolenti e le dita lacerate, rinunciai all'inutile
lotta. Le sbarre scomparvero con un rumore di ferraglia quando mollai, e dopo un istante udii lo
scalpiccio delle pantofole nel corridoio, e il tonfo della porta lontana. Poi tutto tacque.
Nel frattempo l'animale non si era mosso. Giaceva immobile nell'angolo, aveva smesso di agitare
la coda. Questo spettacolo di un uomo aggrappato alle sbarre e trascinato urlante davanti a lui,
apparentemente lo aveva riempito di stupore. Avevo lasciato cadere la lanterna quando mi ero
afferrato alle sbarre, ma essa non si era spenta, e feci una mossa per riprenderla, con l'idea che in
qualche modo la luce mi avrebbe protetto. Ma nell'istante in cui mi mossi, la bestia emise un
ringhio profondo e minaccioso. Mi arrestai e rimasi immobile, tremando di paura dalla testa ai
piedi. Il gatto (se si pu attribuire un nome cos pacifico a un tanto orribile animale) giaceva a non
pi di tre metri da me. I suoi occhi rilucevano come due dischi fosforescenti nell'oscurit.
Mi riempivano di terrore, eppure mi affascinavano. Non riuscivo a distoglierne lo sguardo. La
natura ci giuoca degli strani scherzi in simili momenti di tensione, e il bagliore di quegli occhi
pareva aumentare e diminuire con un ritmo regolare. Talvolta parevano essere minuscoli punti di
una brillantezza estrema, piccole scintille elettriche nella nera oscurit, altre volte invece si
ingrandivano sempre pi fino a riempire della loro luce sinistra e cangiante tutto l'angolo della
stanza. Poi, improvvisamente, si spensero del tutto.
La bestia aveva chiuso gli occhi. Non so se vi sia qualcosa di vero nell'idea che attribuisce un
potere particolare allo sguardo umano, o se invece l'enorme gatto fosse semplicemente
assonnato, ma resta il fatto che, lungi dal mostrare qualsiasi intenzione di aggredirmi, la bestia
appoggi il liscio capo nero sulle grosse zampe anteriori e parve addormentarsi. Rimasi immobile,
non osando muovermi nel timore di ridestarlo. Ero in grado perlomeno di pensare chiaramente,
ora che non sentivo pi su di me quello sguardo minaccioso. Dunque eccomi qua, rinchiuso per la
notte con quella belva feroce. I miei propri istinti, per non parlare delle parole di quell'infida
carogna che mi aveva teso questo tranello, mi dicevano che l'animale era altrettanto feroce del
suo padrone.
Come avrei potuto tenerlo a bada fino al mattino? N la porta, n le strette finestre munite di
inferriate offrivano alcuna speranza di salvezza. Non vi era riparo alcuno nella nuda stanza.
Sarebbe stato assurdo gridare aiuto. Sapevo che questa tana era esterna al corpo vero e proprio
dell'edificio, e che il corridoio che la collegava era lungo almeno trenta metri. Inoltre, la bufera che
infuriava avrebbe attutito le mie grida. Avevo soltanto il mio coraggio e la mia prontezza d'animo
su cui fare affidamento.
E allora, con una nuova ondata di terrore, i miei occhi caddero sulla lanterna. La candela era quasi
del tutto consumata, e gi la fiamma stava vacillando. Entro dieci minuti si sarebbe spenta.
Cos mi restavano soltanto dieci minuti in cui fare qualcosa, poich sentivo che quando fossi
rimasto al buio con quella belva spaventosa, sarei stato incapace di agire. Il solo pensiero mi
paralizzava. Disperato, mi guardai attorno in quella cella di morte, e i miei occhi si soffermarono
sull'unico punto che pareva promettere, se non la salvezza, perlomeno un pericolo meno
immediato e imminente che non il terreno aperto.
Ho detto che la gabbia era munita in alto di un'inferriata orizzontale, che la chiudeva a mo' di
soffitto, oltre che di un'inferriata verticale che la divideva dal resto della stanza, e questo soffitto
rimaneva al suo posto quando l'inferriata verticale veniva ritratta attraverso l'apertura nella parete.
Il soffitto della gabbia era composto di una fila di sbarre a pochi centimetri di distanza l'una
dall'altra, e ricoperto da una robusta rete di filo metallico, e le due estremit poggiavano su un
grosso palo. Si ergeva come un grande baldacchino metallico sopra la figura accovacciata
nell'angolo. Fra questa mensola di ferro e il soffitto vero e proprio c'era uno spazio di un'ottantina
di centimetri. Se solo fossi riuscito a inerpicarmi lass, racchiuso fra le sbarre e il soffitto, avrei
avuto un solo lato vulnerabile. Sarei stato difeso dalla parte inferiore, da quella posteriore e dai
due lati. Avrei potuto essere attaccato unicamente dalla parte anteriore, aperta. Da quella parte,
vero, non avrei avuto alcuna protezione; ma perlomeno sarei stato fuori dai piedi, quando la belva
avesse preso a camminare avanti e indietro per la tana. E avrebbe dovuto fare uno sforzo per
raggiungermi. Dovevo tentare subito o mai pi, perch una volta che la luce si fosse spenta,
sarebbe stato impossibile. Inghiottii spasmodicamente, poi feci un balzo, afferrai il bordo della
mensola, e con una spinta possente di tutto il corpo mi ci trovai sopra. Ansimando, mi divincolai
bocconi in avanti nell'angusto spazio, e mi trovai a guardare in gi, dritto nei terribili occhi e nella
bocca sbadigliante del gatto. Il suo alito fetido mi colp in faccia, come il vapore da una pentola
puzzolente.
Comunque, pareva pi incuriosito che adirato. Con un fremito della lunga groppa nera si alz, si
stir, poi, alzandosi sulle zampe posteriori, appoggi una delle zampe anteriori contro la parete,
sollev l'altra, e pass gli artigli lungo la rete metallica sotto di me. Un uncino bianco e tagliente
sbran i miei pantaloni bianchi, poich ero ancora in abito da sera, e mi scav un solco nel
ginocchio. Non era inteso come un attacco, ma piuttosto come un esperimento, poich al mio
improvviso grido di dolore, l'animale si lascio ricadere a terra, e, balzando agilmente nella stanza,
prese a percorrerla rapidamente avanti e indietro, gettando ogni tanto uno sguardo nella mia
direzione. In quanto a me, mi trascinai indietro finch non mi trovai a giacere con la schiena contro
il muro, rannicchiandomi nel minor spazio possibile. Pi lontano mi rintanavo, pi difficilmente mi
poteva attaccare.
Adesso che aveva incominciato a muoversi, sembrava pi eccitato, e correva velocemente e
silenzioso in giro per la tana, passando continuamente sotto il letto di ferro sul quale giacevo. Era
meraviglioso vedere un simile bestione passare come un'ombra, senza alcun suono tranne il
fruscio leggero delle zampe vellutate.
La candela era ormai agli sgoccioli per cui a malapena riuscivo a intravedere la belva. Poi, con un
ultimo guizzo, si spense del tutto. Ero solo al buio col gatto!
E' pi facile affrontare un pericolo quando si sa di aver fatto tutto ci che possibile fare. A quel
punto, non resta altro che attendere tranquillamente l'esito. In questo caso, il solo posto che
offrisse una qualche speranza di salvezza era precisamente quello dove mi trovavo. Perci mi
sdraiai lungo disteso e giacqui in silenzio, senza quasi respirare, sperando che la belva si sarebbe
dimenticata della mia presenza se io non avessi fatto niente per ricordargliela. Calcolai che
dovevano essere gi le due. Alle quattro sarebbe stata l'alba. Dovevo attendere soltanto due ore,
prima che fosse giorno.
Fuori, la tempesta continuava a infuriare, e la pioggia sferzava senza soste le piccole finestrelle.
All'interno, l'aria era irrespirabile. Non potevo vedere n udire il gatto. Tentai di pensare ad altro,
ma vi era un solo pensiero che avesse il potere di distogliere la mia mente dalla mia tremenda
situazione: il considerare la malvagit di mio cugino, la sua ipocrisia senza precedenti, il suo
perfido odio per me. Sotto quel volto bonario, si nascondeva lo spirito di un assassino di tipo
medioevale. E ripensando a quanto era accaduto, vidi chiaramente con quanta astuzia egli avesse
eseguito il suo piano. Apparentemente, egli era andato a letto insieme agli altri. Senza dubbio,
aveva dei testimoni pronti a dimostrarlo. Poi, a loro insaputa, era sceso di nascosto, mi aveva
attirato in questa tana e mi aveva abbandonato.
La sua versione sarebbe stata assolutamente semplice: mi aveva lasciato nella sala dei biliardi, a
finire il mio sigaro. Io ero andato per conto mio a dare un'ultima occhiata al gatto. Ero entrato nella
stanza senza accorgermi che la gabbia era aperta, ed ero stato aggredito. Come accusarlo di un
simile delitto?
Sospetti, forse, ma prove, mai!
Come passarono lentamente quelle due terribile ore! Una volta udii un suono basso, raschiante, e
pensai che fosse l'animale che si lisciava il pelo. Pi di una volta quegli occhi fosforescenti mi
guardarono nel buio, ma mai a lungo, e si rafforz in me la speranza di essere stato dimenticato o
ignorato. Finalmente, un tenue chiarore illumin le finestre, dapprima le intravidi a malapena come
due riquadri grigi sulla parete nera, poi il grigio si trasform in bianco, e potei nuovamente vedere
il mio tremendo compagno. Ed egli, ahim, poteva vedere me!
Fu subito evidente che era di umore molto pi pericoloso e aggressivo di quando lo avevo visto
l'ultima volta. Il freddo mattutino lo aveva irritato, inoltre aveva fame. Con un ringhio continuo,
camminava velocemente su e gi per il lato della stanza pi distante dal mio nascondiglio, con i
baffi rabbiosamente irti, e la coda sferzante. Ogni volta che faceva dietro front, alzava su di me i
suoi occhi selvaggi, pieni di una terribile minaccia.
Capii allora che intendeva uccidermi. Eppure, anche in un momento simile, non potei fare a meno
di ammirare la grazia sinuosa di quel diabolico animale, i suoi lunghi movimenti ondulati, la
lucentezza dei magnifici fianchi, il vivo, palpitante scarlatto della lingua luccicante che pendeva dal
muso nerissimo. E tutto il tempo quel ringhio profondo e minaccioso saliva e saliva in un
crescendo ininterrotto. Seppi che il momento della crisi era giunto.
Era un'ora infelice per incontrare una simile morte, cos fredda, cos severa; tremavo nel mio
leggero abito da sera sul letto di tortura dove ero sdraiato. Tentai di farmi forza per poter affrontare
quella morte, di innalzare la mia anima al di sopra di essa, e al medesimo tempo, con la lucidit
che sopravviene nei momenti di tale disperazione, tentai di escogitare un mezzo per fuggire. Una
cosa era chiara: se le sbarre che formavano la parete anteriore della gabbia fossero state
nuovamente al loro posto, avrei potuto trovare dietro ad esse un rifugio sicuro. Mi sarebbe stato
possibile riportarle al loro posto? Non osavo muovermi per paura di attirare la bestia su di me.
Lentamente, molto lentamente, protesi una mano finch non afferr l'estremit di quella parete
mobile, l'ultima sbarra che sporgeva dal muro. Con mia grande sorpresa, cedette facilmente al mio
strattone.
Naturalmente la difficolt di tirarla dipendeva dal fatto che io vi ero appoggiato. Tirai ancora, e altri
cinque centimetri emersero dalla parete. Evidentemente scorreva su ruote. Tirai ancora... e allora
il gatto balz!
Fu cos rapido, cos improvviso, che non vidi neppure come avvenne. Udii soltanto il ringhio
selvaggio, e dopo neanche un istante i gialli occhi fiammeggianti, la testa nera e appiattita con la
sua lingua rossa e i denti balenanti mi furono vicinissimi.
L'impatto della belva scosse le sbarre sulle quali giacevo, finch pensai (per quel poco che potevo
pensare in un momento simile) che non avrebbero resistito. Il gatto ondeggi l per un istante, la
testa e le zampe anteriori vicinissime a me, annaspando per cercare un appiglio sul bordo delle
sbarre. Udii il raspare degli artigli sulla rete metallica, e il fiato della belva mi diede il voltastomaco.
Ma aveva calcolato male il suo balzo. Non riusc a mantenere la sua posizione. Lentamente, con
un ghigno furibondo e annaspando follemente sulle sbarre, si gir indietro e cadde pesantemente
a terra. Con un ringhio si gir immediatamente verso di me, accovacciandosi, pronto a balzare
nuovamente.
Sapevo che i prossimi istanti avrebbero deciso della mia sorte.
L'animale aveva imparato con l'esperienza. Non avrebbe pi sbagliato i suoi calcoli. Dovevo agire
immediatamente, intrepidamente, se volevo avere qualche speranza di salvezza. In un istante
ideai il mio piano. Togliendomi la giacca, la gettai gi sulla testa della belva. Nello stesso istante,
mi lasciai cadere a terra, afferrai la prima sbarra e la tirai freneticamente verso di me.
Cedette pi facilmente di quanto non mi fossi aspettato. Mi precipitai attraverso la stanza,
tirandomela dietro; ma purtroppo, correndo, mi trovai sul lato esterno della gabbia. Se fosse stato
all'incontrario, avrei potuto cavarmela impunemente. Cos come andarono le cose, viceversa, vi fu
un attimo di sosta mentre mi fermai e tentai di infilarmi attraverso l'apertura che mi ero lasciato.
Quell'attimo fu sufficiente all'animale per sbarazzarsi della giacca con la quale lo avevo accecato e
per balzarmi addosso. Mi scagliai attraverso l'apertura e chiusi le sbarre dietro di me, ma la belva
afferr la mia gamba prima che avessi il tempo di ritirarla. Un solo colpo di quell'immane zampa mi
strapp via il polpaccio, come un truciolo di legno sollevato dalla pialla. L'istante dopo,
sanguinante e semi-svenuto, ero disteso fra la putrida paglia, con una fila di amichevoli sbarre fra
me e la belva che vi si gettava contro tanto freneticamente.
Ferito in modo troppo grave per potermi muovere, e troppo debole per aver paura, potevo soltanto
restare sdraiato, pi morto che vivo, e guardarlo. Premeva il suo largo petto nero contro le sbarre
e tentava di agguantarmi con le sue zampe ricurve, cos come ho visto fare a un gattino davanti
alla trappola di un topo.
Mi strappava i vestiti, ma per quanto si sforzasse, non ce la faceva ad arrivare fino a me. Ho
sentito parlare del curioso intorpidimento provocato dalle ferite dei grandi animali carnivori, ed ora
ero destinato a sperimentarlo di persona, poich avevo perso qualsiasi senso della realt, e
provavo lo stesso interesse nella sconfitta o nel successo della belva, come se si fosse trattato di
un giuoco che io stessi guardando. A poco a poco, la mia mente si perse in strani e vaghi sogni,
sempre popolati da quel muso nero e da quella lingua rossa, e cos mi smarrii nel nirvana del
delirio, che aiuta coloro che troppo hanno sofferto.
Ricostruendo in seguito gli avvenimenti, sono giunto alla conclusione che rimasi privo di
conoscenza per quasi due ore. Ci che mi ridest fu quel suono secco e metallico che era stato il
precursore della mia terribile esperienza. Era il riaprirsi della serratura. Poi, prima che i miei sensi
fossero sufficientemente desti per capire chiaramente ci che vedevano, fui conscio del volto
grassoccio e benevolo di mio cugino che si era affacciato alla porta. Ci che vide dovette stupirlo.
Il gatto era accovacciato per terra. Io ero sdraiato supino in maniche di camicia dentro alla gabbia,
con i calzoni ridotti a brandelli, e una gran pozza di sangue intorno a me. Ancora oggi rivedo il suo
viso stupefatto, illuminato da un raggio di sole. Mi guard, e mi guard ancora. Poi si chiuse la
porta alle spalle, e si diresse verso la gabbia per accertarsi che fossi davvero morto.
Non sono in grado di raccontare ci che avvenne. Non ero in condizioni da seguire o da riferire
simili avvenimenti. Posso soltanto dire che mi resi improvvisamente conto che il viso di mio cugino
non era pi rivolto verso di me, stava guardando l'animale.
"Buono, Tommy!" grid. "Buono, Tommy!" Poi si avvicin alle sbarre, sempre volgendomi la
schiena.
"Gi, stupida bestiaccia!" rugg. "Gi, Tommy! Non riconosci il tuo padrone?" Di colpo, nella mia
mente confusa si fece strada il ricordo delle parole di mio cugino, quando mi aveva detto che il
sapore del sangue avrebbe trasformato quel gatto in un demonio. Era stato il mio sangue a
compiere la trasformazione, ma lui avrebbe pagato.
"Vai via!" url. "Va' via, diavolaccio!... Baldwin! Baldwin! Oh, accidenti!" E poi lo udii cadere, e
rialzarsi, e cadere di nuovo, con un rumore simile a una tela da sacco che viene lacerata. I suoi
urli si fecero pi deboli, poi si persero nel ringhio furioso della belva. Infine, quando gi lo credevo
morto, vidi, come in un incubo, una figura lacera, cieca, grondante sangue che correva follemente
per la stanza, e quella fu l'ultima volta che lo vidi prima di perdere nuovamente i sensi.
La mia degenza dur molti mesi, ma in effetti non posso dire di essere mai guarito, poich fino alla
fine dei miei giorni dovr servirmi di un bastone come ricordo della notte che passai col gatto
brasiliano. Baldwin, lo stalliere, e gli altri domestici non furono in grado di capire ci che era
successo, quando, attirati dalle grida mortali del loro padrone, trovarono me dietro le sbarre e i
suoi resti, o ci che in seguito scoprirono essere i suoi resti, nelle grinfie dell'animale che egli
aveva allevato. Lo allontanarono con dei ferri ardenti, e poi dovettero sparargli attraverso la
serratura della porta, prima di riuscire a liberarmi. Mi portarono nella mia stanza, e l, sotto il tetto
di colui che aveva tentato di uccidermi, rimasi fra la vita e la morte per parecchie settimane. Era
stato convocato un chirurgo da Clipton e un'infermiera da Londra, e dopo un mese potei essere
portato alla stazione, e cos ritornai a Grosvenor Mansions.
Ho un ricordo di quel periodo, che potrebbe essere stato frutto del sempre cangiante panorama
evocato dal delirio, se non fosse cos saldamente fissato nella mia memoria. Una notte, quando
l'infermiera si era allontanata, la porta della mia camera si apr, e una donna alta, in gramaglie,
scivol nella stanza. Venne verso di me, e quando chin il suo volto giallastro, vidi, al debole
chiarore del lumino da notte, che era la donna brasiliana che mio cugino aveva sposato. Mi guard
fissamente in viso, e la sua espressione era pi gentile di quanto non l'avessi mai vista.
"E' in s?" mi chiese.
Annuii appena, poich ero ancora molto debole.
"Bene, allora volevo soltanto dirle che deve rimproverare soltanto se stesso. Non ho forse fatto
tutto ci che ho potuto per lei?
Tentai di mandarla via di casa fin dall'inizio. Tentai in ogni modo, tranne che tradendo mio marito,
di salvarla da lui. Sapevo che lui aveva una ragione per portarla qui. Sapevo che non l'avrebbe
mai pi lasciato andar via. Nessuno lo conosceva come lo conoscevo io, che con lui avevo tanto
sofferto. Non osavo dirle tutto questo. Egli mi avrebbe uccisa. Ma ho fatto del mio meglio per
salvarla. Cos come le cose sono andate, lei stato il miglior amico che io abbia mai avuto. Mi ha
liberata, e io pensavo che solo con la morte sarei stata libera. Mi dispiace che sia stato ferito, ma
non posso rimproverarmi. Glielo dissi che lei era un imbecille... e imbecille stato." Usc dalla
stanza in punta di piedi, quella donna strana e amara, e non la rividi mai pi. Con quanto eredit
da suo marito, ritorn nella sua terra nativa; in seguito ho sentito dire che aveva preso il velo a
Pernambuco.
Non fu che parecchio tempo dopo il mio ritorno a Londra che i medici mi dichiararono in grado,
fisicamente, di potermi occupare dei miei affari. Non era un permesso molto piacevole, poich
temevo che sarebbe stato il segnale per un'invasione di creditori:
ma fu Summers, il mio avvocato, il primo ad approfittarne.
"Sono lieto che stia molto meglio" disse. "E' da tanto che aspetto per porgerle i miei rallegramenti."
"Che intende dire, Summers? Non mi sembra il momento di scherzare."
"Voglio dire proprio ci che sto dicendo" mi rispose. "Lei Lord Southerton da sei settimane, ma
temevamo di ritardare la sua guarigione, dicendoglielo prima." Lord Southerton! Uno dei pi ricchi
Pari d'Inghilterra! Non potevo credere ai miei orecchi. Poi di colpo pensai al tempo che era
trascorso, e come esso coincidesse con l'epoca in cui ero rimasto ferito.
"Allora Lord Southerton dev'essere morto all'incirca lo stesso giorno in cui sono rimasto ferito?"
"La sua morte avvenne proprio il medesimo giorno." Mentre parlavo Summers mi guard
fissamente e sono convinto, poich egli un uomo molto perspicace, che avesse indovinato il
vero retroscena della vicenda. Si interruppe per un momento, come in attesa di una mia conferma,
ma io non vedevo l'utilit di confermare un simile scandalo familiare.
"S, una coincidenza molto strana" continu con lo stesso sguardo di chi la sa lunga.
"Naturalmente, lei sa che suo cugino Everard King era il secondo in linea di eredit al titolo e alla
successione. Quindi, se fosse stato lei invece di lui a essere sbranato da quella tigre, o quel che
diavolo fosse, naturalmente adesso sarebbe lui Lord Southerton."
"Indubbiamente" replicai.
"Egli si interessava molto al problema" disse Summers. "E' accaduto poi che io venissi a sapere
che il cameriere personale di Lord Southerton era prezzolato da suo cugino, e che quest'ultimo
riceveva ogni poche ore dei telegrammi da lui nei quali si informava delle condizioni di salute del
suo padrone. Doveva essere pi o meno l'epoca in cui lei si trovava laggi. Non strano che egli
desiderasse essere tanto bene informato, dal momento che sapeva di non essere l'erede diretto?"
"Molto strano" dissi. "E adesso, Summers, se vuole portarmi i miei conti e un nuovo libretto degli
assegni, cominceremo a sistemare i miei affari."




I RACCONTI DEL MISTERO


IL TRENO SCOMPARSO

La confessione di Herbert de Lernac, che adesso a Marsiglia in attesa di venir condannato a
morte, ha fatto luce su uno dei pi inspiegabili delitti di questo secolo, un caso che non credo
abbia precedenti negli annali criminali di nessun paese. Nonostante vi sia una certa riluttanza a
parlare di questa vicenda negli ambienti ufficiali, e ben poche notizie siano state rilasciate alla
stampa, vi sono comunque indicazioni sufficienti per dimostrare che la dichiarazione di questo
arci-criminale corroborata dai fatti, e che stata finalmente trovata la soluzione a una vicenda
sbalorditiva. Poich il caso successo otto anni fa, e poich la sua importanza stata alquanto
oscurata da una crisi politica che a quell'epoca occupava la pubblica opinione, sar meglio
riepilogare i fatti per quanto ci stato possibile appurarli. Li abbiamo raccolti dai giornali di
Liverpool, dal resoconto dell'inchiesta svolta in seguito alla morte di John Slater, il macchinista, e
dagli archivi della "London and West Coast Railway Company", che mi sono stati messi a
disposizione. In breve, essi sono i seguenti:
Il 3 giugno, 1890, un signore che disse di chiamarsi Louis Caratal, chiese di parlare con il signor
James Bland, sovrintendente della stazione "London and West Coast Central" di Liverpool.
Questo Caratal era un uomo piccolo e bruno, di mezza et, con un portamento cos incurvato da
suggerire qualche deformit della spina dorsale. Era accompagnato da un amico, un uomo dal
fisico imponente, i cui modi rispettosi e la cui costante attenzione mostravano come fosse l in
qualit di sottoposto.
Questo amico o compagno, di cui non venne fatto il nome, era certamente uno straniero e, a
giudicare dalla sua carnagione olivastra, probabilmente uno spagnolo o un sudamericano. Fu
notato in lui uno strano particolare. Egli teneva nella mano sinistra una piccola custodia di pelle
nera, e un impiegato della stazione, dalla vista acuta, not che quella custodia era assicurata al
suo polso mediante un laccio. Allora non venne attribuita importanza alcuna al fatto, ma ci che
successe in seguito gli confer un preciso significato.
Il signor Caratal fu accompagnato nell'ufficio del signor Bland, mentre il suo compagno rimase ad
attenderlo fuori dalla porta.
Caratal chiar subito il motivo della sua visita. Era arrivato quel pomeriggio stesso dall'America
centrale. Affari della massima importanza gli imponevano di recarsi a Parigi nel minor tempo
possibile. Aveva perso il rapido per Londra. Era indispensabile che gli mettessero a disposizione
un treno speciale. Non si preoccupava della spesa. Il tempo era il solo fattore che contasse. Se la
compagnia gli avesse fornito i mezzi per partire immediatamente, avrebbe potuto fissare i propri
prezzi.
Il signor Bland premette un pulsante, chiam Potter Hood, l'incaricato addetto al movimento
ferroviario, e in cinque minuti furono presi gli accordi necessari. Il treno sarebbe partito dopo tre
quarti d'ora. Quel tempo era necessario per assicurarsi che la linea fosse sgombra. La potente
locomotiva, chiamata Rochdale (numero 247 nel registro della compagnia), venne attaccata a due
vagoni, con dietro il vagoncino del capotreno. Il primo vagone serviva unicamente per attenuare il
disagio derivante dall'oscillazione. Il secondo era diviso, come al solito, in quattro scompartimenti:
uno di prima classe, uno di prima classe per fumatori, uno di seconda, e uno di seconda per
fumatori. Il primo scompartimento, quello pi vicino alla locomotiva, era quello destinato ai
viaggiatori. Gli altri tre erano vuoti. Il capotreno del convoglio speciale era James McPherson, il
quale da parecchi anni era alle dipendenze della compagnia. Il macchinista John Slater e il
fuochista William Smith, che era stato appena assunto.
Il signor Caratal, uscendo dall'ufficio del sovrintendente, raggiunse il suo compagno, ed entrambi
manifestarono la massima impazienza di partire. Avendo pagato la cifra richiesta, che ammontava
a cinquanta sterline e cinque scellini, alla consueta tariffa per treni speciali di tre scellini al
chilometro, chiesero di essere accompagnati al loro scompartimento, dove presero
immediatamente i loro posti, nonostante essi fossero stati informati che avrebbe dovuto
trascorrere quasi un'ora prima che la linea potesse essere libera. Nel frattempo, una singolare
coincidenza aveva avuto luogo nell'ufficio che il signor Caratal aveva appena lasciato.
Una richiesta per un treno speciale non un fatto molto raro in un ricco centro commerciale, ma
che ne venissero richiesti due nello stesso pomeriggio era assolutamente insolito. Accadde,
tuttavia, che pochi istanti dopo che Bland aveva congedato il primo viaggiatore, se ne presentasse
un secondo con una richiesta identica. Si trattava stavolta di un certo signor Horace Moore, un tipo
dall'aspetto militaresco, il quale dichiar che la grave e improvvisa malattia di sua moglie a Londra
rendeva assolutamente imperativo che egli la raggiungesse senza perdere un solo istante.
La sua pena e la sua ansia erano cos evidenti, che Bland fece il possibile per accontentarlo. Un
secondo treno speciale era fuori discussione, poich il normale servizio era gi stato un po' messo
in crisi dal primo. Vi era tuttavia l'alternativa, che il signor Moore dividesse le spese del treno con il
signor Caratal, e viaggiasse nell'altro scompartimento, vuoto, di prima classe, nel caso che il
signor Caratal si fosse dichiarato contrario alla sua presenza nel proprio scompartimento.
Sembrava che non ci potesse essere niente da obbiettare per un simile accordo, eppure il signor
Caratal, quando la proposta gli venne avanzata da Potter Hood, rifiut assolutamente di prenderla
in considerazione. Il treno era suo, egli disse, ed egli insisteva che gliene fosse riservato l'uso
esclusivo. Nessun argomento pot prevalere sulle sue scortesi obbiezioni, e infine il piano dovette
essere abbandonato. Il signor Horace Moore lasci la stazione assai abbattuto, dopo avere
appurato che la sola cosa che gli restasse da fare era di prendere il normale treno accelerato che
partiva da Liverpool alle sei. Alle quattro e trentuno esatte all'orologio della stazione, il treno
speciale con a bordo lo storpio signor Caratal e il suo gigantesco compagno lasci la stazione di
Liverpool. La linea a quell'ora era libera, e non avrebbero dovuto esserci intoppi fino a
Manchester.
I treni della "London and West Coast Railway" usufruiscono delle linee di un'altra compagnia fino a
quella citt, dove il treno speciale avrebbe dovuto arrivare qualche minuto prima delle sei.
Alle sei e un quarto, un telegramma da Manchester, in cui si diceva che il treno non era ancora
arrivato, provoc stupore e costernazione fra i funzionari della stazione. Una richiesta diretta a
Saint-Helens, che si trova a un terzo della distanza fra le due citt, suscit la seguente risposta:
"A James Bland, Sovrintendente, Central London and West Coast Railway, Liverpool. Treno
speciale transitato ore 4,52, perfetto orario. Dowser, Saint-Helens." Questo telegramma fu
recapitato alle sei e quaranta. Alle sei e cinquanta, un secondo messaggio venne ricevuto da
Manchester:
"Nessun segno del treno speciale da voi annunciato." E dopo dieci minuti un terzo, pi
sconcertante ancora:
"Riteniamo che abbiate commesso un errore segnalando orario treno speciale. Treno locale da
Saint-Helens che secondo vostre informazioni avrebbe dovuto giungere dopo treno speciale
appena arrivato e non ne ha visto traccia. Vi preghiamo di telegrafarci dei chiarimenti.
Manchester." La faccenda andava assumendo un aspetto sbalorditivo, bench da un certo punto
di vista l'ultimo telegramma recasse un certo sollievo alle autorit di Liverpool. Se il treno speciale
aveva avuto un incidente, sembrava impossibile che il treno locale avesse potuto transitare per la
stessa linea senza accorgersene. Eppure, qual era l'alternativa? Dove poteva essere finito il
treno? Era forse stato deviato, per qualche ragione, su un binario morto, onde lasciar passare il
treno pi lento? Una spiegazione simile era possibile, nel caso che si fosse resa necessaria una
piccola riparazione. Venne inviato un telegramma a ognuna delle stazioni fra Saint-Helens e
Manchester, e il sovrintendente e l'addetto al movimento ferroviario, in preda a grande ansia,
attesero vicino all'apparecchio la serie di risposte che li avrebbe messi in grado di dire con
certezza ci che era capitato al treno scomparso.
Le risposte giunsero nell'ordine in cui erano state inviate le domande, e cio l'ordine delle stazioni
a partire da Saint-Helens:
"Treno speciale transitato ore 17. Collins Green."
"Treno speciale transitato ore 17,06. Earlestown."
"Treno speciale transitato ore 17,10. Newton."
"Treno speciale transitato ore 17,20. Kenyon Junction."
"Nessun treno speciale transitato di qui. Barton Moss." I due funzionari si guardarono in faccia
sbalorditi.
"E' un fatto senza precedenti nei miei trent'anni di esperienza" disse il signor Bland.
"Senza precedenti e del tutto inspiegabile, signore. Il treno speciale deve essersi guastato fra
Kenyon Junctions e Barton Moss."
"Eppure non vi sono binari morti, per quanto io ricordi, fra le due stazioni. Il treno deve essere
uscito dai binari."
"Ma com' possibile che l'accelerato delle sedici e cinquanta sia passato per la stessa linea senza
accorgersene?"
"Non ci sono alternative, signor Hood. Deve essere cos. Pu darsi che il personale del treno
locale abbia notato qualcosa che possa chiarire la faccenda. Telegraferemo a Manchester per
chiedere ulteriori informazioni, e a Kenyon Junction pregandoli di controllare immediatamente la
linea fino a Barton Moss." La risposta da Manchester arriv dopo pochi minuti.
"Nessuna notizia del treno scomparso. Macchinista e capotreno dell'accelerato sicurissimi nessun
incidente fra Kenyon Junction e Barton Moss. Binari sgombri e nessun segno di irregolarit.
Manchester."
"Quei due, il macchinista e il capotreno, dovranno essere licenziati" disse il signor Bland furibondo.
"C' stato un incidente e non se ne sono accorti. Quel treno speciale evidentemente deragliato
senza ingombrare la linea; come questo sia potuto accadere, supera la mia capacit di
immaginazione, ma deve essere cos, e ben presto riceveremo un telegramma da Kenyon o da
Barton Moss in cui ci avvertono di averlo trovato in fondo a una scarpata." Ma non era destino che
la previsione del signor Bland si avverasse. Trascorse mezz'ora, e arriv il seguente messaggio
dal capo stazione di Kenyon Junction:
"Nessuna traccia del treno scomparso. E' assodato che il treno transitato di qui e che non
giunto a Barton Moss. Abbiamo staccato locomotiva dal treno merci e io stesso ho percorso la
linea, ma del tutto sgombra e non vi sono tracce di incidenti." Il signor Bland si strapp i capelli
al colmo della disperazione.
"E' pura follia, Hood!" esclam. "Le pare possibile che un treno svanisca nel nulla, qui in
Inghilterra, in pieno giorno? E' assurdo. Una locomotiva, un tender, due vagoni, un vagoncino,
cinque esseri umani... tutti scomparsi su un tratto di binari perfettamente diritto! A meno di non
ricevere qualche notizia positiva entro un'ora, prender l'ispettore Collins e andr l di persona."
Infine accadde qualcosa di positivo. Venne sotto forma di un altro telegramma da Kenyon
Junction.
"Rattristati dovervi informare che cadavere di John Slater, macchinista del treno speciale, stato
appena rinvenuto fra i cespugli a quattro chilometri da Kenyon Junction. E' caduto dalla
locomotiva, rotolato gi per il terrapieno e finito fra i cespugli. Le ferite alla testa provocate dalla
caduta sembra siano la causa della morte. La zona all'intorno stata attentamente controllata ma
non vi traccia del treno mancante." La nazione, come gi abbiamo detto, era travagliata da una
crisi politica, e l'attenzione del pubblico era ulteriormente distolta da importanti e sensazionali
avvenimenti a Parigi, dove un enorme scandalo minacciava di far saltare il governo e di rovinare le
reputazioni di molti fra i personaggi pi in vista della Francia.
I giornali erano pieni di questi avvenimenti, e la singolare scomparsa del treno speciale attir
meno attenzione di quanto non avrebbe fatto in momenti pi tranquilli. La grottesca natura del
caso contribu a minimizzarne l'importanza, poich i giornali erano poco propensi a credere ai fatti
di cui erano stati informati. Pi di un giornale londinese consider la faccenda alla stregua di
un'abile beffa, finch l'istruttoria riguardo allo sfortunato macchinista (istruttoria che non appur
niente di importante) non li convinse della tragica natura del caso.
Il signor Bland, accompagnato dall'ispettore Collins, l'investigatore con la massima anzianit di
grado alle dipendenze della compagnia, si rec a Kenyon Junction la sera stessa, e le loro
ricerche durarono tutta la giornata successiva, ma con risultati assolutamente negativi. Non
soltanto non venne trovata alcuna traccia del treno mancante, ma non pot essere avanzata
alcuna ipotesi che potesse comunque spiegare l'accaduto. Al tempo stesso, il rapporto ufficiale
dell'ispettore Collins (che ho qui sotto i miei occhi mentre scrivo) serv a mostrare che le possibilit
erano pi numerose di quanto non ci si potesse aspettare.
"Nel tratto di linea ferroviaria fra queste due localit" vi si legge "la campagna punteggiata da
ferriere e da miniere di carbone. Di queste ultime, alcune vengono ancora sfruttate e altre sono
state abbandonate Almeno dodici di queste miniere dispongono di linee a scartamento ridotto per
portare i carrelli trasportatori alla linea principale. Naturalmente, le possiamo escludere. Oltre a
queste, per, ve ne sono sette che hanno, o avevano, linee a scartamento normale collegate alla
linea principale, per trasportare i loro prodotti direttamente dall'imbocco della miniera ai grandi
centri di distribuzione.
Tutte queste linee, senza eccezione, non superano tratti di pochi chilometri. Delle sette linee,
quattro appartengono a miniere ormai abbandonate, o perlomeno a pozzi che non vengono pi
sfruttati. Queste sono le miniere di Redgauntlet, Hero, Slough of Despond e Heartsease;
quest'ultima, dieci anni fa, era una delle principali miniere del Lancashire. Possiamo eliminare
queste quattro diramazioni dalla nostra indagine, poich, per evitare possibili incidenti, i binari pi
vicini alla linea principale sono stati tolti, e non vi pi nessun collegamento. Restano altre tre
diramazioni che conducono: la prima alle Ferriere Carnstock; la seconda alla Miniera Big Ben e la
terza alla Miniera Perseverance.
"Di queste, la linea che porta alla Miniera Big Ben lunga appena mezzo chilometro, e termina
davanti a un deposito di carbone posto proprio all'imbocco della miniera, in attesa di essere
caricato.
Nessuno l ha visto o udito niente di particolare. La linea della Ferriera Carnstock stata bloccata
tutto il giorno 3 giugno da sedici vagoni di ematite. E' a binario unico, e pertanto non potrebbe
essere transitato nessun altro treno. Quanto alla linea della Miniera Perseverance, si tratta di un
doppio binario di una certa lunghezza, dove si svolge un notevole traffico, poich la produzione
della miniera molto forte. Il 3 giugno, questo traffico si svolgeva come al solito; centinaia di
uomini, compresa una squadra di operai addetta alla riparazione delle massicciate, lavoravano
lungo i tre chilometri e mezzo che costituiscono la lunghezza totale della linea, ed inconcepibile
che un treno possa essere transitato inopinatamente per di l senza destare l'attenzione generale.
Possiamo, inoltre, aggiungere che questa diramazione pi vicina a Saint-Helens di quanto non lo
sia il punto dove stato rinvenuto il macchinista, per cui possiamo ritenere con fondate ragioni che
il treno ha sorpassato la diramazione.
"In quanto a John Slater, non possiamo ricavare nessun indizio dal suo aspetto n dalle sue ferite.
Possiamo soltanto dire che, a quanto ci risulta, egli morto cadendo dalla locomotiva; ma perch
egli sia caduto, o che cosa sia capitato alla locomotiva dopo la sua caduta, una domanda alla
quale non ritengo di poter rispondere." In seguito, l'ispettore diede le sue dimissioni dal consiglio di
amministrazione, indispettito dall'essere stato accusato di incompetenza dalla stampa.
Trascorse un mese, durante il quale sia la polizia che la compagnia continuarono a svolgere le
loro indagini, senza il minimo successo. Fu offerta una ricompensa e fu promesso il perdono nel
caso di un delitto, ma nessuna delle due cose sort un effetto.
Ogni giorno il pubblico apriva il giornale convinto che un mistero tanto grottesco sarebbe stato
finalmente risolto, ma le settimane passavano, e la soluzione restava un pio desiderio. Un treno
con i suoi occupanti era scomparso in pieno giorno, in un pomeriggio di giugno, nella regione pi
densamente popolata dell'Inghilterra, come se un esperto in chimica occulta l'avesse trasformato
in un gas. In effetti, fra le varie ipotesi formulate dalla stampa, ve ne erano alcune che
sostenevano con tutta seriet che vi fossero coinvolte delle forze soprannaturali, o, perlomeno,
preternaturali, e che il deforme signor Caratal era probabilmente una persona che meglio
conosciuta sotto altro, e meno lusinghiero, nome. Altri sostennero che fosse il suo olivastro
compagno l'autore del guaio, ma che cosa esattamente egli avesse fatto, mai si fu in grado di
formulare.
Fra le molte teorie avanzate dai vari giornali o privati cittadini, ce n'erano una o due abbastanza
plausibili da colpire l'attenzione del pubblico. Una di queste, che apparve sul Times, firmata da un
filosofo dilettante che a quell'epoca godeva di una certa fama, tentava di chiarire la vicenda in
maniera critica e semi-scientifica. Sar sufficiente citarne qui un estratto, anche se il lettore
curioso potr leggere tutta la lettera nel numero del 3 luglio.
"E' uno dei princpi elementari del pensiero pratico" egli commentava "che quando l'impossibile sia
stato eliminato, ci che resta, per quanto improbabile, deve contenere la verit. E' certo che il
treno sia transitato per Kenyon Junction. E' certo che esso non mai arrivato a Barton Moss. E'
estremamente improbabile, ma non impossibile, che abbia imboccato una delle sette diramazioni
esistenti. E' chiaramente impossibile che un treno vada dove non ci sono rotaie e, pertanto,
possiamo ridurre il numero delle nostre improbabilit alle tre diramazioni aperte, e cio la ferriera
Carnstock e le miniere Big Ben e Perseverance. Esiste una societ segreta, una Camorra inglese,
in grado di distruggere sia un treno che i suoi passeggeri? E' improbabile, ma non impossibile.
Confesso di non essere in grado di suggerire altre soluzioni. Consiglierei vivamente alla
compagnia di incanalare tutte le sue energie nell'effettuare un controllo di queste tre linee, e degli
operai che vi lavoravano. Un attento esame dei monti di pegno nella zona potrebbe dare dei frutti
interessanti." Il fatto che il suggerimento provenisse da un'autorit indiscussa in queste faccende
cre un interesse notevole e una feroce opposizione da parte di coloro che ritenevano che una
tale dichiarazione fosse una gratuita calunnia nei confronti di una cos onesta e meritevole
categoria. L'autore della lettera si limit a rispondere a queste critiche, sfidando gli obbiettori a
offrire al pubblico una pi plausibile spiegazione.
Ne giunsero due, in risposta (Times, 7 e 9 luglio). La prima suggeriva che il treno poteva essere
uscito dai binari ed essere sprofondato nel Lancashire and Staffordshire Canal, il quale corre
parallelo alla ferrovia per qualche centinaia di metri. Questo suggerimento fu decisamente scartato
per via della profondit del canale, del tutto insufficiente per nascondere una simile mole. Il
secondo interlocutore scriveva, richiamando l'attenzione alla custodia che pareva essere il solo
bagaglio che i viaggiatori si fossero portati appresso, e suggerendo che qualche nuovo esplosivo,
di immenso potere polverizzante, vi potesse essere stato nascosto. L'evidente assurdit
nell'immaginare che l'intero treno potesse essere polverizzato mentre le rotaie rimanevano
indenni, ridusse una simile spiegazione a una farsa. Le indagini erano giunte a questo punto
morto, quando avvenne un nuovo e del tutto inaspettato sviluppo.
Si trattava di una lettera scritta alla signora McPherson da parte di suo marito, James McPherson,
il capotreno scomparso. La lettera, datata 5 luglio, 1890, era stata imbucata a New York e giunse
a destinazione il 14 luglio. Qualcuno espresse un dubbio sulla sua autenticit, ma la signora
McPherson riconobbe la scrittura di suo marito, e il fatto che vi fossero allegati cento dollari in
biglietti da cinque dollari fu sufficiente per dissipare il sospetto di uno scherzo. La lettera non
conteneva alcun indirizzo; eccone il testo:
"Mia cara moglie, "Ti ho molto pensato in questi giorni, ed assai duro rinunciare a te. Lo stesso
vale per Lizzie. Cerco di essere forte, ma non credo che ce la far.. Ti mando dei quattrini, che
potrai cambiare in una ventina di sterline. Dovrebbero bastare per far venire in America sia te che
Lizzie; vedrai che le navi che partono da Amburgo e che fanno scalo a Southampton sono molto
buone, e meno care di quelle che partono da Liverpool. Se tu potessi venire qui e fermarti alla
Johnson House, farei del mio meglio per farti sapere dove ci potremo incontrare, ma per ora sono
in una situazione piuttosto difficile, e mi sento molto infelice all'idea di dover rinunciare a voi due.
Basta per oggi, un abbraccio affettuoso da tuo marito. James McPherson."
Per un po', nessuno mise in dubbio che questa lettera non sarebbe servita per chiarire tutta la
faccenda, tanto pi quando fu accertato che un passeggero molto somigliante al capotreno
scomparso aveva viaggiato sotto il nome di Summers sulla nave Vistula della linea Amburgo-New
York, salpata il 7 giugno. La signora McPherson e sua sorella Lizzie Dolton andarono a New York
secondo le istruzioni, e si fermarono per tre settimane alla Johnson House, ma senza ricevere
alcuna notizia da parte dell'uomo scomparso. E' probabile che alcuni incauti commenti della
stampa lo avessero avvisato che la polizia si serviva delle due donne come esca. Questo
comunque non certo, ma certo che lui n scrisse n si fece vivo di persona, per cui le due
donne furono costrette a tornare a Liverpool.
A questo punto rimase la vicenda, e ha continuato a rimanere fino ad oggi, 1898. Per incredibile
che possa sembrare, in questi otto anni non emerso nulla che abbia gettato la minima luce sulla
straordinaria scomparsa del treno speciale che portava il signor Caratal e il suo compagno. Le
approfondite ricerche svolte per chiarire i trascorsi dei due viaggiatori sono servite soltanto a
stabilire il fatto che Caratal era assai noto come finanziere e agente politico nell'America centrale,
e che durante il suo viaggio in Europa egli si era mostrato esageratamente ansioso di raggiungere
Parigi. Il suo compagno, che dalle liste dei passeggeri risult chiamarsi Eduardo Gomez, era un
uomo dal passato violento, con una reputazione di sicario e di prepotente.
Risultava chiaro, tuttavia, che egli aveva avuto sinceramente a cuore gli interessi del signor
Caratal, e che quest'ultimo, essendo di debole costituzione, aveva assunto Gomez come sua
guardia personale. Possiamo aggiungere che da Parigi non giunse alcuna informazione che si
riferisse alle ragioni del frettoloso viaggio intrapreso dal signor Caratal. Questi sono tutti i fatti noti
inerenti al caso, fino alla pubblicazione nei giornali di Marsiglia della recente confessione di
Herbert de Lernac, ora in attesa della condanna a morte per l'omicidio di un mercante a nome
Bonvalot. Tale dichiarazione pu essere letteralmente tradotta come segue:
"Non per puro orgoglio o vanteria che do le seguenti informazioni; se infatti fosse quello il mio
scopo, potrei raccontare una decina di imprese altrettanto splendide; lo faccio, invece, perch certi
signori di Parigi si mettano bene in testa che io, cos come mi accingo a raccontare la fine del
signor Caratal, sono anche in grado di fare i nomi delle persone nel cui interesse e per cui
richiesta il fatto avvenne, a meno che non mi venga al pi presto concessa la grazia che sto
attendendo. State quindi attenti, signori, prima che sia troppo tardi, Voi conoscete Herbert de
Lernac, e sapete che egli mantiene ci che dice.
Affrettatevi dunque, o siete perduti!
"Per ora non far nomi - se solo sentiste i nomi, che cosa non pensereste, - ma vi dir soltanto
con quanta abilit io abbia agito. Allora io fui leale con i miei superiori, e non dubito che essi
saranno leali con me adesso. Lo spero, e finch non sar convinto che essi mi hanno tradito,
questi nomi, che sconvolgerebbero l'Europa, non saranno divulgati. Ma quel giorno... be', non
voglio aggiungere altro!
"Dunque, venendo al sodo, vi fu un famoso processo a Parigi nel 1890, a proposito di un
mostruoso scandalo politico e finanziario.
Nessuno era in grado di sapere quanto mostruoso fosse quello scandalo, tranne quegli agenti
confidenziali quale io ero. L'onore e la carriera di numerosi uomini pi importanti della Francia
erano in gioco. Vi sar capitato di vedere un gruppo di birilli in fila, tutti rigidi, impettiti e severi. Poi
da molto lontano arriva la palla e pop, pop, pop, i birilli si rovesciano tutti.
Be', immaginate che alcuni dei pi grandi uomini della Francia fossero questi birilli, e che il signor
Caratal fosse la palla e che la si potesse veder giungere da lontano. Se lui fosse arrivato, sarebbe
stato pop, pop, pop per tutti i birilli. Si decise che egli non sarebbe arrivato.
"Non accuso tutti, naturalmente, di essere stati al corrente di quanto stava per accadere. Vi erano
in gioco, come ho gi detto, enormi interessi sia finanziari che politici e venne organizzato una
specie di trust che si doveva occupare della faccenda. Alcuni si iscrissero senza neppur sapere
molto chiaramente quali fossero i suoi obbiettivi. Ma altri li conoscevano benissimo, e costoro
possono star certi che non ho dimenticato i loro nomi. Essi furono avvertiti dell'arrivo del signor
Caratal molto tempo prima che egli partisse dal Sud America, ed essi sapevano che le prove che
egli avrebbe portato con s avrebbero significato la rovina per tutti loro. Questo "trust" disponeva
di una quantit illimitata di fondi. Ripeto: assolutamente illimitata. I suoi membri cercarono un
agente che fosse in grado di esercitare questo enorme potere.
L'uomo prescelto doveva essere risoluto, malleabile e pieno di fantasia, un uomo fra un milione di
altri uomini. Scelsero Herbert de Lernac, e devo ammettere che scelsero bene.
"I miei incarichi erano di scegliere i miei subordinati, di servirmi liberamente del potere conferitomi
dal denaro, e di assicurarmi che il signor Caratal non giungesse mai a Parigi. Con la mia
caratteristica energia mi misi al lavoro non appena ebbi ricevuto le istruzioni, e i passi che
intrapresi erano i migliori e i pi atti allo scopo che mente umana potesse escogitare.
"Un uomo di mia fiducia fu mandato immediatamente nel Sud America per compiere il viaggio di
ritorno con il signor Caratal. Se solo fosse arrivato in tempo, la nave non sarebbe mai giunta a
Liverpool; ma, ahim, essa era partita prima dell'arrivo del mio agente. Feci attrezzare un piccolo
brigantino armato per intercettarla, ma nuovamente la fortuna non mi arrise. Come tutti i grandi
organizzatori, avevo tuttavia previsto gli eventuali insuccessi ed avevo gi pronte una serie di
alternative, di cui almeno una avrebbe funzionato. Non dovete sottovalutare le difficolt della mia
impresa, n immaginare che un semplice e comune omicidio sarebbe bastato. Dovevamo
distruggere non soltanto il signor Caratal, ma anche i suoi documenti, e i suoi compagni, se ci
fossero stati fondati motivi di credere che egli avesse comunicato loro i suoi segreti. Dovete
considerare inoltre che essi stavano in guardia, estremamente sospettosi di eventuali attentati. Era
un compito, sotto ogni aspetto, degno di me, poich proprio dove gli altri vacillano, che io sono
maggiormente audace.
"Avevo predisposto ogni cosa per l'arrivo del signor Caratal a Liverpool, ed ero tanto pi
impaziente perch mi risultava che egli aveva preso accordi per godere di una massiccia
sorveglianza fin dal suo arrivo a Londra. Qualsiasi cosa intendessi fare, andava fatta fra il
momento in cui metteva piede sul molo di Liverpool e il suo arrivo alla stazione di Londra.
Preparammo sei piani, di cui uno pi elaborato dell'altro; di quale dei sei ci saremmo serviti, ci
sarebbe dipeso dalle mosse del nostro avversario. Qualsiasi cosa avesse fatto, noi eravamo
pronti. Se si fosse trattenuto a Liverpool, eravamo pronti. Se avesse preso un accelerato, un
rapido, o un treno speciale, tutto era pronto.
Tutto era stato previsto: avevamo provveduto a tutto.
"Come potete ben immaginare, non potevo fare tutto questo da solo.
Cosa potevo saperne io delle linee ferroviarie inglesi? Ma i quattrini possono procurare agenti
volenterosi in tutto il mondo, e ben presto ebbi dalla mia, per assistermi, una delle menti pi acute
d'Inghilterra. Non voglio fare nomi, ma sarebbe ingiusto che io mi rivendicassi tutto il merito. Il mio
alleato inglese era degno di tale alleanza. Conosceva a fondo la linea "London and West Coast",
ed aveva alle sue dipendenze una squadra di uomini fidati e intelligenti. Il piano fu suo, e il mio
giudizio si rese necessario solo nei particolari. Corrompemmo vari funzionari, fra i quali il pi
importante era James McPherson, che secondo i nostri accertamenti ci risultava essere l'uomo
che aveva le maggiori probabilit di venir prescelto quale capotreno di un treno speciale. Smith, il
fuochista, era anch'egli dei nostri.
John Slater, il macchinista, era stato abbordato, ma si era mostrato testardo e pericoloso, e
pertanto desistemmo. Non eravamo certi che il signor Caratal avrebbe richiesto un treno speciale,
ma lo ritenevamo molto probabile, poich era oltremodo importante per lui raggiungere
rapidamente Parigi.
"Per questa contingenza noi predisponemmo le cose in modo particolare e molto tempo prima che
la sua nave avvistasse le coste dell'Inghilterra. Forse vi potr divertire il sapere che vi era uno dei
miei uomini nel battello pilota che condusse in porto quella nave.
"Nell'istante in cui Caratal giunse a Liverpool, comprendemmo che egli intuiva il pericolo e che
stava in guardia. Si era portato come scorta un tipo pericoloso, un certo Gomez, un uomo armato
e che non avrebbe certo esitato a servirsi delle sue armi. Era lui a portare le carte confidenziali di
Caratal, ed era pronto a proteggere sia quelle che il suo padrone. Probabilmente Caratal lo aveva
messo al corrente dei suoi segreti, e quindi liberarsi di Caratal senza liberarsi di Gomez sarebbe
stato uno spreco di energie. Era indispensabile per noi che quei due facessero la stessa fine, e i
nostri progetti in quel senso furono assai facilitati dalla loro richiesta di un treno speciale.
"Tenete in mente che, su quel treno speciale, due dei tre dipendenti della compagnia erano
assoldati da noi, per una cifra che li avrebbe resi indipendenti per il resto della loro vita. Non voglio
arrivare a dire che gli inglesi siano pi onesti di qualsiasi altro popolo, per mi sono accorto che
l'onest ha per loro un prezzo pi alto.
"Ho gi parlato del mio agente inglese, il quale ha un promettente avvenire davanti a s, a meno
che un qualche disordine delle corde vocali non se lo porti via prima del tempo. Egli era incaricato
di compiere i passi necessari a Liverpool, mentre io mi trovavo nell'albergo di Kenyon, dove
aspettavo un segnale cifrato per mettermi in moto. Quando furono presi gli accordi per il treno
speciale, il mio agente mi telegraf istantaneamente e mi disse l'ora per cui avrei dovuto tenermi
pronto. Egli stesso, sotto il nome di Horace Moore, fece a sua volta un'immediata richiesta per un
treno speciale, nella speranza di riuscire a viaggiare nello stesso treno del signor Caratal, cosa
che, in certe circostanze, avrebbe potuto esserci assai utile. Se per esempio, il nostro grande
colpo avesse fatto fiasco, sarebbe stato compito del mio agente di sparare a entrambi e di
distruggere le loro carte.
Caratal, invece, stava bene in guardia, e rifiut la presenza di altri passeggeri. Quindi il mio agente
si allontan dalla stazione, vi rientr da un altro ingresso, sal nel vagoncino del capotreno dal lato
opposto a quello della banchina, e comp il tragitto con McPherson, il capotreno.
"Vi potr interessare sapere quali fossero le mie mosse nel frattempo. Tutto era ormai pronto da
parecchi giorni, e mancavano soltanto gli ultimi tocchi. La diramazione che avevamo scelto era un
tempo collegata alla linea principale, ma era stata interrotta.
Bastava riattare alcuni metri di rotaie per ricollegarla al resto della derivazione. Avevamo gi
rimesso il maggior numero di rotaie che era possibile mettere senza correre il rischio di attirare
l'attenzione, e ora si trattava soltanto di completare la congiunzione con la linea principale, e di
sistemare gli scambi nella loro posizione originale. Le traversine non erano mai state tolte, e le
rotaie e i grossi chiodi, che avevamo tolti da un binario morto della diramazione abbandonata,
erano l pronti. Con la mia piccola ma capace squadra di operai, sistemammo tutto molto tempo
prima che giungesse il treno speciale. Quando infine arriv, infil la diramazione cos facilmente
che i due passeggeri non parvero neanche avvedersi della scossa provocata dallo scambio.
"Il nostro progetto prevedeva che Smith, il fuochista, cloroformizzasse John Slater, il macchinista,
in modo che quest'ultimo scomparisse con gli altri. Sotto questo aspetto, e unicamente sotto
questo aspetto, i nostri piani fallirono. Sorvolo sulla criminale follia che spinse McPherson a
scrivere a sua moglie. Il nostro fuochista fece la sua parte con tanta goffaggine che Slater,
dibattendosi, cadde dalla locomotiva, e nonostante che la fortuna fosse dalla nostra, poich,
cadendo, si ruppe il collo, tuttavia egli rimane una macchia nera su quello che altrimenti sarebbe
stato uno di quei capolavori assoluti, che si possono contemplare soltanto in una specie di muta
ammirazione. L'esperto in criminologia trover in John Slater l'unico difetto nella nostra
ammirevole regia. Un uomo che ha avuto i trionfi che ho avuto io, pu permettersi di essere
franco, e quindi io metto un dito su John Slater, e lo definisco un "difetto".
"Ma ora il nostro treno sta percorrendo la breve diramazione lunga circa due chilometri, che porta,
o piuttosto portava, alla miniera abbandonata di Heartsease, che ai suoi tempi era una delle pi
grandi miniere di carbone dell'Inghilterra. Voi mi chiederete come fosse possibile che nessuno
abbia visto il treno percorrere questa linea ormai in disuso. Io vi rispondo che la linea, per tutta la
sua lunghezza, si snoda in un profondo avvallamento, e che, a meno che non si fosse stati sul
ciglio di quell'avvallamento, nessuno avrebbe potuto vederlo. Ma vi era qualcuno sul ciglio di
quell'avvallamento. Io ero l. Ecco che cosa vidi:
"Il mio assistente era rimasto vicino allo scambio in modo da sovrintendere al deviamento del
treno. Aveva con s quattro uomini armati, cos che se il treno avesse deragliato, cosa che
ritenevamo possibile, perch gli scambi erano molto arrugginiti, avremmo potuto ugualmente far
fronte alla situazione. Una volta che il treno ebbe felicemente superato lo scambio, egli cedette a
me la responsabilit dell'azione. Io aspettavo in un punto che guarda dall'alto l'imbocco della
miniera, ed ero anch'io armato, come lo erano i miei due compagni. Qualsiasi cosa fosse potuta
accadere, io ero sempre pronto.
"Non appena il treno ebbe percorso un breve tratto della linea, Smith, il fuochista, rallent la
locomotiva, e poi, dopo averla spinta nuovamente alla massima velocit, lui e McPherson, con il
mio agente inglese, balzarono gi prima che fosse troppo tardi.
Pu darsi che sia stato questo rallentamento a richiamare l'attenzione dei viaggiatori, ma il treno
correva di nuovo a tutta velocit prima che le loro teste si fossero affacciate al finestrino aperto. Mi
viene da sorridere, al pensiero del loro smarrimento. Provate a immaginarvi ci che voi stessi
avreste provato se, affacciandovi dal vostro lussuoso scompartimento, vi foste improvvisamente
accorti che i binari sui quali state viaggiando sono arrugginiti, corrosi, rossastri, giallastri per il
mancato uso. Che tuffo al cuore dovettero provare, quando di colpo capirono che non era
Manchester, ma la Morte, che li attendeva al termine di quel sinistro viaggio.
"Il treno viaggiava a velocit folle, rullando e oscillando sui binari marci, mentre le ruote
emettevano un gemito spaventoso sulla superficie rugginosa. Io ero vicino a loro e potei vedere i
loro volti. Caratal stava pregando, credo; aveva qualcosa di simile a un rosario che gli pendeva
dalla mano. L'altro ruggiva come un toro che sente l'odore del sangue del macello. Ci vide fermi
sul ciglio e ci fece dei cenni frenetici. Poi si strapp qualcosa dal polso, e gett la custodia fuori dal
finestrino, verso di noi. Naturalmente, il significato del suo gesto era chiaro. Ecco le prove, ed essi
ci avrebbero garantito il silenzio, se noi avessimo salvato loro la vita. Sarebbe stato molto
simpatico poterlo fare ma gli affari sono affari. Inoltre, il treno era ormai fuori dal nostro dominio,
quanto lo era dal loro.
"Gomez cess di urlare quando il treno imbocc la curva ed essi videro la nera bocca della
miniera spalancarsi davanti a loro.
Avevamo tolto le assi che la ricoprivano e avevamo sgombrato l'entrata. Un tempo, i binari si
fermavano molto vicini al pozzo per poter caricare pi facilmente il carbone, e dovemmo soltanto
aggiungere due o tre tronchi di binario per farli giungere proprio all'orlo del pozzo. In effetti, poich
i binari non coincidevano del tutto, la linea superava l'orlo di circa un metro. Vedemmo le due teste
al finestrino: Caratal in basso, Gomez sopra; ci che avevano visto, li aveva ridotti al silenzio.
Eppure non riuscivano a tener dentro la testa. Pareva fossero paralizzati.
"Mi ero chiesto come il treno, procedendo a cos forte velocit, avrebbe imboccato il pozzo nel
quale lo avevo guidato, e ci tenevo molto a vederlo. Uno dei miei colleghi riteneva che il treno lo
avrebbe addirittura superato, ed effettivamente poco ci manc. Per fortuna, invece, non ce la fece
a superare il vuoto, e i respingenti della locomotiva colpirono l'altra sponda del pozzo con uno
schianto fragoroso. La ciminiera vol via. Tender, vagoni e vagoncino si sfasciarono in un solo
mucchio di ferraglia, che, insieme ai resti della locomotiva, ostruirono per un minuto e pi
l'imboccatura del pozzo. Poi qualcosa cedette nel mezzo, e tutta la massa di ferro verde, di
carboni fumanti, rifiniture di ottone, ruote, rivestimenti in legno, e cuscini franarono assieme e
precipitarono nella miniera. Udimmo il frastuono dei rottami che urtavano le pareti del pozzo, poi,
dopo parecchio tempo, ci giunse un rombo immane: i resti del treno cozzavano contro il fondo.
Pu darsi anche che fosse scoppiata la caldaia, poich al rombo fece seguito uno schianto secco,
e una densa nube di vapore e fumo usc turbinando dalle nere profondit, ricadendo attorno ai noi
come pioggia. Poi il vapore si dilegu in nuvolette leggere, che si allontanarono nel chiaro cielo
estivo, e il silenzio ricadde sulla miniera di Heartsease.
"Eseguiti i piani con tanto successo, per noi rimaneva solo il problema di cancellare le nostre
tracce. La piccola squadra di operai all'altro capo della linea aveva gi divelto i binari e staccato la
diramazione dalla linea principale, rimettendo ogni cosa al punto di prima. Noi eravamo
ugualmente affaccendati alla miniera. La ciminiera e altri frammenti furono gettati dentro, il pozzo
fu ricoperto come prima da assi, e i binari che vi conducevano furono divelti e portati via. Poi,
senza fretta, ma senza perdere tempo, lasciammo il paese, la maggioranza di noi diretti a Parigi, il
mio collega inglese a Manchester, e McPherson a Southampton, donde emigr in America.
Possono testimoniare i giornali inglesi di quell'epoca con quanta precisione e meticolosit
compimmo il nostro lavoro, e con quanta abilit riuscimmo a far perdere le nostre tracce ai pi abili
dei loro investigatori.
"Gomez aveva gettato dal finestrino la sua cartella con i documenti; inutile che vi dica che io me
ne impossessai immediatamente portandoli ai miei superiori. Oggi tuttavia potr interessare i miei
superiori di sapere che tolsi dalla cartella uno o due fogli, una specie di ricordo del fatto. Non ho
alcun desiderio di rendere noto il contenuto di quei fogli; per a questo mondo, ciascuno deve
badare ai propri interessi e cos'altro posso fare, se i miei amici non vorranno aiutarmi quando io
ho bisogno di loro? Credetemi pure, signori, Herbert de Lernac altrettanto temibile come nemico
che come amico, ed egli non uomo da andare alla ghigliottina finch non vi ha visti tutti quanti
"en route" per la Nuova Caledonia. Per amor vostro, se non per il mio, affrettatevi, "Monsieur
de...", e "Gnral...", e "Baron..." (potete riempire voi stessi i puntini di sospensione leggendo
queste mie righe). Vi prometto che nella prossima edizione non vi saranno vuoti da riempire."
"Post Scriptum - Rileggendo queste mie righe, mi accorgo di un'unica omissione. Si riferisce al
disgraziato McPherson, che fu tanto sciocco da scrivere a sua moglie e da fissarle un
appuntamento a New York. E' evidente che, quando ci sono in gioco degli interessi come i nostri,
non potevamo affidarli alla probabilit che un uomo della sua classe sociale tradisse i suoi segreti
con una donna. Avendo mancato una volta alla sua parola con la lettera alla moglie, non
potevamo pi fidarci di lui. Ci premunimmo, dunque, perch l'amico non fosse in grado di rivedere
la donna. Talvolta ho pensato che sarebbe stato cortese scriverle, assicurandole che non esiste
impedimento alcuno per un suo nuovo matrimonio."



L'UOMO DAGLI OROLOGI

Ci sono certamente parecchie persone che ricordano ancora le singolari circostanze che, sotto il
titolo "Il mistero di Rugby", riempirono molte colonne dei quotidiani nella primavera del 1892.
Capitando infatti in un periodo eccezionalmente scarso di notizie, il fatto attir forse pi attenzione
di quanto non meritasse; tuttavia esso offriva al pubblico quel miscuglio di assurdo e di tragico che
il dato pi stimolante per l'immaginazione popolare.
L'interesse per decadde quando, dopo settimane di infruttuose ricerche, fu chiaro che non
sarebbe sopraggiunta alcuna definitiva spiegazione ai fatti. La tragedia parsa finora rimanere in
un oscuro catalogo di delitti inspiegabili e senza imputati. Un recente comunicato, la cui autenticit
pare essere indiscutibile, ha gettato tuttavia una nuova e pi chiara luce sulla faccenda.
Prima di renderlo noto al pubblico sar utile, penso, rinfrescarne la memoria, relativamente ai
singolari fatti sui quali si basa questo comunicato. I fatti sono questi:
Alle ore cinque pomeridiane del 18 marzo dell'anno gi menzionato, un treno diretto a Manchester
lasciava "Euston Station". Pioveva e tirava un forte vento e, col passare delle ore, il tempo si
faceva sempre pi burrascoso, tanto che non era certamente la giornata in cui una persona
avrebbe scelto di viaggiare, a meno di non esservi costretta. Quel treno, tuttavia, il preferito dagli
uomini di affari di Manchester che rientrano da Londra, poich compie il tragitto in quattro ore e
venti minuti, effettuando tre sole fermate. Nonostante quindi la serata inclemente il treno era quasi
al completo. Il capotreno era un fedele dipendente della compagnia, un uomo che aveva lavorato
per ventidue anni, senza che nessuno avesse mai trovato da ridire sul suo lavoro. Si chiamava
John Palmer.
Le lancette dell'orologio della stazione segnavano le diciassette e il capotreno stava per dare il
consueto segnale al macchinista, quando si avvide che due passeggeri ritardatari si stavano
affrettando lungo la banchina. Uno di essi era un uomo eccezionalmente alto, e indossava un
lungo cappotto nero con collo e polsi di astrakan. Ho gi detto che la serata era inclemente, e il
viaggiatore aveva alzato il bavero per proteggersi il collo dal gelido vento di marzo. Doveva avere,
per quanto il capotreno potesse giudicare da una tanto affrettata osservazione, fra i cinquanta e i
sessant'anni. Tuttavia aveva conservato il passo risoluto ed energico della giovinezza. Aveva con
s una valigetta di pelle color marrone. Era accompagnato da una signora, alta e di portamento
eretto, la quale camminava con un passo vigoroso che distanziava il suo compagno. Indossava un
lungo spolverino marrone chiaro, un cappello nero aderente e un velo scuro che le nascondeva
quasi tutto il viso. I due avrebbero potuto benissimo passare per padre e figlia. Camminavano
rapidamente lungo la teoria dei vagoni, gli occhi rivolti ai finestrini, fintanto che il capotreno, John
Palmer, non li raggiunse.
"Si affretti, signore, il treno sta partendo" diss'egli.
"Prima classe" rispose l'uomo.
Il capotreno gir la maniglia dello sportello pi vicino. Nello scompartimento, sedeva un uomo con
in bocca un sigaro. Il suo aspetto rimase impresso nella memoria del capotreno, poich, in
seguito, fu in grado di descriverlo. Era un uomo sui trentaquattro, trentacinque anni, vestito di
grigio, dall'espressione sveglia, il volto rossiccio e provato dalle intemperie, il naso aguzzo e con
una piccola barba nera tagliata molto corta. Alz gli occhi quando lo sportello fu aperto. L'uomo
alto indugi, col piede gi sul predellino.
"Questo uno scompartimento per fumatori. Alla signora d fastidio il fumo" disse, rivolgendosi al
capotreno.
"Va bene, Ecco qua, signore!" replic John Palmer. Sbatt lo sportello dello scompartimento per
fumatori, apr quello accanto, che era vuoto, e aiut i due a salirvi. Nello stesso istante diede il
segnale di partenza e le ruote del treno cominciarono a girare.
L'uomo col sigaro si era affacciato al finestrino del suo scompartimento, e grid qualcosa al
capotreno mentre gli passava davanti, ma le parole si persero nel frastuono della partenza. Il
capotreno sal nel suo vagoncino, quando giunse alla sua altezza, e non pens pi all'incidente.
Dodici minuti dopo la partenza, il treno raggiunse Willesden Junction, dove si ferm per una
brevissima sosta. Un successivo controllo dei biglietti dimostr che nessuno scese o sal sul treno
durante la sosta, e che nessun passeggero fu visto scendere sulla banchina. Alle diciassette e
quattordici il treno ripart, e raggiunse Rugby alle diciotto e cinquanta, con un ritardo di cinque
minuti.
A Rugby, i funzionari della stazione notarono che lo sportello di uno degli scompartimenti di prima
classe era aperto. Un esame di quello scompartimento, e di quello attiguo, rivel una situazione
quanto mai preoccupante.
Lo scompartimento per fumatori nel quale era stato visto l'uomo dal viso rubicondo e la barba
nera, adesso era vuoto. Tranne un sigaro fumato per met, non vi era alcuna traccia del suo
occupante. Lo sportello di questo scompartimento era chiuso. Nello scompartimento attiguo,
quello che aveva richiamato l'attenzione, non vi era traccia alcuna n del signore con il bavero di
astrakan, n della giovane donna che lo accompagnava. Tutti e tre i passeggeri erano scomparsi.
Viceversa, trovarono sul pavimento di questo scompartimento, quello occupato dal viaggiatore alto
e dalla signora, un giovane, elegantemente vestito e di aspetto distinto. Giaceva con le ginocchia
piegate e la testa appoggiata contro lo sportello del lato opposto, e i gomiti, uno di qua, uno di l,
sui due sedili. Una pallottola gli aveva trapassato il cuore, e la sua morte doveva essere stata
istantanea. Nessuno aveva visto quell'uomo salire sul treno, e nessun biglietto ferroviario fu
rinvenuto nelle sue tasche, n vi erano segni particolari nei suoi abiti, e tantomeno documenti od
oggetti personali che potessero servire a identificarlo. Chi egli fosse, donde venisse, e in che
modo avesse trovato la morte, erano tre interrogativi tanto misteriosi quanto era misterioso ci che
era accaduto alle tre persone che un'ora e mezzo prima, a Willesden, erano in quei due
scompartimenti.
Ho detto che non vi erano oggetti personali che servissero a identificarlo, ma viceversa vi era in
questo giovanotto sconosciuto un particolare assai strano che a quell'epoca dest non pochi
commenti. Nelle sue tasche furono rinvenuti nientemeno che sei costosi orologi d'oro, tre nelle
varie tasche del panciotto, due nel taschino della giacca, e uno piccolo, legato a un cinturino di
cuoio e fissato sul polso sinistro. La spiegazione pi ovvia, e cio che il giovanotto fosse un
borsaiolo e che gli orologi costituissero il suo bottino, era screditata dal fatto che tutti e sei erano
americani, e di un tipo assai raro in Inghilterra. Tre di essi recavano il marchio di fabbrica della
"Rochester Watchmaking Company"; uno proveniva dalla "Mason Company" di Elmira; uno era
senza marchio; e quello piccolo, incrostato di gioielli, proveniva da "Tiffany", di New York.
Inoltre, nelle sue tasche furono rinvenuti un temperino di avorio munito di cavaturacciolo della ditta
"Rodgers", di Sheffield; un piccolissimo specchio rotondo, di un paio di centimetri di diametro; una
contromarca del "Lyceum Theatre"; una scatoletta d'argento piena di fiammiferi; un portasigari di
cuoio marrone con due sigari, e due sterline e quattordici scellini in contanti. Era quindi chiaro, che
qualsiasi fossero i motivi che avevano causato la sua morte, la rapina non vi era compresa. Come
ho gi detto, non vi erano etichette sui suoi vestiti, che sembravano nuovi, n il nome del sarto sul
cappotto. Di aspetto era giovane, piuttosto piccolo, aveva i lineamenti delicati e la carnagione
liscia. Uno dei suoi incisivi aveva una vistosa otturazione d'oro.
Dopo la scoperta del cadavere, fu effettuato un immediato controllo dei biglietti di tutti i passeggeri,
e furono contati i passeggeri stessi. Risultarono esservi soltanto tre biglietti in sovrappi,
corrispondenti ai tre viaggiatori mancanti. Il treno pot quindi riprendere il viaggio, accompagnato
per da un nuovo capotreno, e John Palmer fu trattenuto a Rugby come testimone. Il vagone che
comprendeva i due scompartimenti in questione fu staccato e avviato su un binario morto. Poi,
all'arrivo dell'ispettore Vane, di Scotland Yard, e del signor Henderson, un investigatore alle
dipendenze della compagnia ferroviaria, fu svolta un'esauriente indagine.
Che un delitto fosse stato commesso era indiscutibile. La pallottola, che sembrava provenire da un
piccola pistola o da un revolver, era stata sparata da una certa distanza, poich gli abiti non erano
bruciacchiati. Nello scompartimento non venne trovata alcuna arma (il che elimin l'ipotesi di
suicidio), n vi fu pi traccia della valigetta di pelle marrone che il capotreno aveva visto in mano al
viaggiatore alto. Un ombrello da signora fu trovato sulla reticella, ma non vi era nessun'altra
traccia, nei due scompartimenti dei viaggiatori. A parte il delitto, l'interrogativo di come o perch tre
passeggeri (tra cui una donna) fossero scesi dal treno e un altro salito durante l'ininterrotta corsa
fra Willesden e Rugby, era tale da destare la massima curiosit nel pubblico, e diede adito nella
stampa londinese a una serie di congetture.
John Palmer, il capotreno, fu in grado di fornire alcune informazioni all'istruttoria preliminare, che
gett un po' di luce sulla vicenda. Vi era un punto fra Tring e Cheddington, stando alla sua
dichiarazione, dove, per restauri alla linea, il treno aveva rallentato per qualche minuto la sua
andatura a un velocit non superiore ai dodici - quindici chilometri orari. In quel punto, un uomo o
anche una donna eccezionalmente svelta, avrebbe potuto scendere dal treno senza gravi
conseguenze. Vero che vi era una squadra di operai addetti alla posa delle rotaie, e che essi
non avevano visto niente, ma era loro consuetudine, quando passava un treno, di aspettare fra un
binario e l'altro, e lo sportello aperto dello scompartimento si trovava sull'altro lato, di modo che
era plausibile che qualcuno fosse sceso senza essere visto, tanto pi che a quell'ora doveva
essere ormai quasi buio.
Un ripido terrapieno avrebbe immediatamente nascosto agli occhi degli operai chiunque fosse
balzato dal treno.
Il capotreno dichiar inoltre che vi era parecchio movimento sulla banchina di Willesden Junction,
e bench risultasse che nessuno fosse salito sul treno o ne fosse disceso l, era comunque
possibile che qualcuno dei passeggeri fosse passato da uno scompartimento all'altro senza
essere visto. Non era affatto raro che un viaggiatore finisse di fumare un sigaro in uno
scompartimento per fumatori, e poi si trasferisse in uno con l'aria pi respirabile. Supponendo che
l'uomo con la barba nera avesse fatto ci a Willesden (e il sigaro fumato a met sul pavimento
pareva confermare l'ipotesi), naturalmente si era spostato nello scompartimento pi vicino,
venendo in tal modo a trovarsi in compagnia degli altri due protagonisti del dramma. Il primo atto
della vicenda poteva cos essere ricostruito senza eccessivo sforzo di immaginazione. Ma quale
fosse stato il secondo atto, o come si fosse svolto quello finale, n il capotreno n gli investigatori,
per quanto abili, furono in grado di suggerirlo.
Un attento sopralluogo alla linea fra Willesden e Rugby favor una scoperta che poteva o meno
avere un rapporto con la tragedia.
Vicino a Tring, proprio dove il treno aveva rallentato, venne trovata in fondo al terrapieno una
piccola Bibbia tascabile, assai logora e consunta. Era stampata dalla "Bible Society" di Londra, e
recava una dedica sulla prima pagina:
"Da John a Alice. 13 gennaio, 1856". Sotto vi era scritto: "James, 4 luglio, 1859". E sotto ancora:
"Edward, 1 novembre, 1869".
Tutte le annotazioni risultavano fatte dalla stessa mano. Questo fu il solo indizio, se indizio lo si
pu chiamare, che la polizia scopr e il verdetto del magistrato inquirente di "Omicidio per mano di
persona o persone ignote" fu l'insoddisfacente finale di un caso singolare. Inserzioni, ricompense
e ricerche si dimostrarono ugualmente infruttuose, e non fu trovato niente di sufficientemente
concreto per costituire da base a una proficua indagine.
Sarebbe tuttavia un errore supporre che non fossero formulate ipotesi per spiegare la vicenda. Al
contrario, la stampa, sia in Inghilterra che in America, pullulava di suggerimenti e supposizioni,
gran parte dei quali palesemente assurdi. Il fatto che gli orologi fossero di fabbricazione
americana, e qualche particolare riguardo all'otturazione d'oro dell'incisivo parevano indicare che il
defunto fosse cittadino degli Stati Uniti, nonostante che i suoi abiti e stivali fossero indubbiamente
inglesi. Alcuni ritennero che egli si era nascosto sotto il sedile, e che, essendo stato scoperto,
fosse stato ucciso per qualche ragione dai suoi compagni di viaggio, forse per aver udito i loro
colpevoli segreti. Collegata con alcuni luoghi comuni che circolavano sulla ferocia e sull'astuzia
degli anarchici e di altre societ segrete, questa ipotesi trov i suoi seguaci.
Il fatto che egli fosse privo di biglietto, pareva avallare l'ipotesi che avesse voluto nascondersi, ed
era risaputo che le donne ricoprivano un ruolo importante nella propaganda nichilista.
D'altra parte, era chiaro, dalla dichiarazione del capotreno, che l'uomo doveva essersi nascosto l
prima che gli altri arrivassero, e com'era improbabile la coincidenza che i cospiratori capitassero
proprio nello scompartimento nel quale una spia era gi nascosta!
Inoltre, questa spiegazione non teneva conto dell'uomo nello scompartimento per fumatori, e non
forniva alcuna ragione per la sua simultanea scomparsa. La polizia non ebbe difficolt a
dimostrare che una simile teoria non teneva sufficientemente conto dei fatti, ma non fu in grado,
per mancanza di prove, di avanzare una diversa alternativa.
Apparve nel "Daily Gazette" una lettera, firmata da un noto detective, che provoc a quell'epoca
una nutrita polemica. Egli aveva formulato un'ipotesi che, se non altro, era ingegnosa. Potr
essere utile trascriverla qui.
"Qualsiasi possa essere la verit" diceva la lettera "essa deve dipendere da una bizzarra e rara
combinazione di eventi, per cui non dobbiamo esitare a dare questi eventi per scontati se
vogliamo spiegarli. In mancanza di dati, dobbiamo abbandonare il metodo analitico o scientifico
dell'indagine, e dobbiamo abbordarla in maniera sintetica. In altre parole, invece di partire da
eventi conosciuti e dedurre da essi ci che accaduto, dobbiamo fabbricare una spiegazione
ipotetica, che dovr per corrispondere agli elementi che conosciamo. Metteremo poi alla prova la
nostra spiegazione con ogni nuovo fatto che possa emergere. Se tutti i fatti combaceranno, ci
dimostrer che siamo sulla giusta via; e con ogni nuovo fatto, questa probabilit aumenta in
progressione geometrica finch la prova non diventi decisiva e convincente.
"Ora, vi un fatto oltremodo suggestivo e interessante che non ha avuto l'attenzione che meritava.
Vi un treno locale che fa servizio fra Harrow e King's Langley, che, stando all'orario, deve essere
stato raggiunto dal treno rapido all'incirca nel momento in cui quest'ultimo stava rallentando la sua
velocit a dodici chilometri orari per via dei lavori sulla linea. Quindi i due treni stavano viaggiando
nella stessa direzione, a uguale velocit e su linee parallele. Tutti quanti sanno, per averlo
sperimentato di persona, come, in casi analoghi, l'occupante di ogni scompartimento possa
vedere benissimo i passeggeri del vagone dirimpetto a lui. Le luci del rapido erano state accese a
Willesden, di modo che ogni scompartimento era illuminato, e del tutto visibile a un osservatore
esterno.
"Dunque, la sequenza degli eventi cos come io li ho ricostruiti sarebbe questa: il giovanotto con
l'abnorme quantit di orologi era solo in uno scompartimento del treno locale. Il suo biglietto,
assieme ai suoi giornali e guanti e altri oggetti, era, supporremo, sul sedile accanto a lui. Si
trattava probabilmente di un americano, e probabilmente di un uomo di scarsa intelligenza.
Indossare un numero eccessivo di gioielli un precoce sintomo di certe forme di pazzia.
"Mentre se ne stava seduto a guardare gli scompartimenti del rapido che andavano (per via delle
condizioni della linea) alla sua stessa velocit, vi vide improvvisamente delle persone che egli
conosceva. Immaginiamo, ai fini della nostra teoria, che queste persone fossero una donna che
egli amava e un uomo che egli odiava, e che a sua volta odiava lui. Il giovane era eccitabile e
impulsivo. Aperto lo sportello del suo scompartimento, pass dal predellino del treno locale a
quello del rapido, apr l'altro sportello e si trov in presenza degli altri due. L'impresa (sempre che i
due treni stessero viaggiando alla stessa velocit) non tanto difficile come si potrebbe pensare.
"Ecco dunque che il nostro giovanotto, senza biglietto, si trova nello scompartimento nel quale
stanno viaggiando il signore anziano e la giovane donna, e non difficile immaginare che ne
consegu una violenta scenata. E' possibile che anche la coppia fosse americana, anzi, assai
probabile, dal momento che l'uomo era armato, cosa assai insolita in Inghilterra. Se la nostra
ipotesi di pazzia incipiente esatta, facile pensare che il giovanotto abbia aggredito il suo rivale.
L'esito della lotta fu che l'uomo anziano spar all'intruso e poi fugg dallo scompartimento,
portando con s la giovane donna. Riteniamo che tutto questo si sia svolto molto rapidamente, e
che il treno andasse ancora a una velocit tale da consentir loro di scendere. Una donna pu
essere in grado di scendere da un treno che viaggia a dodici chilometri l'ora. In effetti, noi
sappiamo che questa donna lo ha fatto.
"E ora dobbiamo situare nel quadro l'uomo con il sigaro.
Presumendo di avere ricostruito correttamente la tragedia fino a questo punto, non vi niente in
quest'altro uomo che ci induca a cambiare le nostre conclusioni. Stando alla mia teoria,
quest'uomo ha visto il giovanotto passare da un treno all'altro, lo ha visto aprire lo sportello, ha
udito il colpo di pistola, ha visto i due fuggiaschi balzare a terra, si reso conto che un omicidio
era stato commesso e, balzato a terra a sua volta, ha tentato di inseguirli. Da allora non si pi
saputo nulla di lui: forse andato incontro alla morte durante l'inseguimento o, cosa assai pi
probabile, gli stato detto che il fatto non lo riguardava.
Si tratta di una alternativa che ora come ora non siamo in grado di chiarire. Ammetto che vi sono
alcuni punti oscuri. A prima vista, pu sembrare improbabile che in un momento simile un omicida
abbia voluto intralciare la sua fuga con una valigia di pelle marrone. La mia risposta che egli
sapeva bene che se la valigia fosse stata ritrovata, avrebbero potuto identificarlo facilmente. Era
assolutamente indispensabile che lui se la portasse con s. La mia teoria regge o cade su un
particolare, e faccio appello alla compagnia ferroviaria di svolgere una immediata inchiesta per
stabilire se venne trovato un biglietto privo di proprietario sul treno locale che fa servizio fra
Harrow e King's Langley il giorno 18 marzo. Se tale biglietto stato trovato, la mia ipotesi
confermata. In caso contrario, la mia ipotesi pu ugualmente essere esatta, poich concepibile
che egli viaggiasse senza biglietto, o che il suo biglietto fosse andato smarrito." La risposta della
polizia e della compagnia ferroviaria a questa elaborata e plausibile ipotesi fu, in primo luogo, che
nessun biglietto del genere era mai stato ritrovato; in secondo luogo, che il treno locale non
percorre mai quella linea contemporaneamente al rapido; e, in terzo luogo, che il treno locale era
fermo alla stazione di King's Langley, quando il rapido, viaggiando a ottanta chilometri orari, lo
aveva sorpassato. Fu cos smantellata la sola spiegazione soddisfacente, e cinque anni sono
trascorsi senza che se ne presentasse un'altra.
Ora, finalmente, giunge una precisazione che soddisfa ogni particolare, e che dobbiamo
considerare emessa in perfetta buona fede. E' stata presentata sotto forma di una lettera spedita
da New York, indirizzata allo stesso detective la cui ipotesi ho citato. Viene riprodotta qui per
esteso, eccezion fatta per i primi due paragrafi, che sono di carattere strettamente personale:
"Lei mi scuser, se non faccio molti nomi. In questo, sono meno giustificato adesso di quanto non
lo fossi cinque anni fa, quando mia madre era ancora viva. Ma nonostante ci, preferisco
nascondere le mie tracce quanto pi mi possibile. Ma le devo una spiegazione, poich anche se
la sua versione dell'accaduto era completamente sbagliata, essa era comunque molto ingegnosa.
Dovr rifarmi a parecchi anni fa, perch lei possa rendersi conto della vicenda.
"I miei erano originari del Bucks, Inghilterra, ed emigrarono negli Stati Uniti verso il 1850. Si
stabilirono a Rochester, nello Stato di New York, dove mio padre apr un negozio di mercerie.
Aveva due figli: James, io, appunto, ed Edward, mio fratello. Io avevo dieci anni pi di mio fratello,
e dopo la morte di mio padre gli feci io da padre: da bravo fratello maggiore. Era un ragazzo
vivace e intelligente, e una delle pi belle creature che siano mai esistite. Ma fin da piccolo c'era in
lui qualcosa di corrotto e, come la muffa nel formaggio, si allargava sempre pi. Per quanto si
tentasse, non si riusciva a bloccarlo. Nostra madre se ne rendeva conto quanto me, ma
ugualmente continu a viziarlo, perch Edward ci sapeva fare cos bene, che era impossibile
rifiutargli alcunch. Usai ogni mezzo per tenergli testa, e lui appunto per questo mi odiava.
"Infine ne combin di ogni colore e, per quanto tentassimo, nessuno riusc pi a bloccarlo. Si
rifugi a New York e le cose andarono rapidamente di male in peggio. All'inizio, era soltanto
dissoluto, poi divenne un piccolo delinquente; poi, dopo un anno o due, divenne uno dei pi
famigerati giovani furfanti della citt.
Aveva stretto amicizia con Sparrow MacCoy, un individuo degno di lui, truffatore notissimo. Si
misero a fare i bari, frequentando i migliori alberghi di New York. Mio fratello era un ottimo attore
(avrebbe potuto diventare qualcuno, se solo lo avesse voluto) e, a seconda delle necessit di
Sparrow MacCoy, si fingeva un giovane titolato inglese, un semplice ragazzo del West, o uno
studente universitario. Poi un giorno si travest da ragazza, e recit cos bene la parte,
funzionando tanto bene da esca, che da allora quello fu il loro giochetto preferito. Erano riusciti a
corrompere Tammany Hall e la polizia, e pareva che niente li avrebbe mai fermati, perch allora
non esisteva ancora il comitato Lexow, e se uno era ben introdotto, poteva fare quanto voleva.
"Niente li avrebbe bloccati se si fossero accontentati delle partite a carte e di rimanere a New
York; invece pensarono di venire a Rochester e di apporre una firma falsa su un assegno. Fu mio
fratello a farlo, ma tutti sapevano che era stato ispirato da Sparrow MacCoy. Fui costretto a coprire
quell'assegno, e mi cost una bella cifra. Poi andai da mio fratello, glielo misi sotto il naso, e giurai
di denunciarlo se non avesse lasciato il paese. In un primo momento, mi rise in faccia. Non potevo
denunciarlo, disse, se non volevo spezzare il cuore a nostra madre, e lui sapeva che io non
potevo agire cos. Gli feci capire, tuttavia, che il cuore di nostra madre era comunque spezzato, e
che io preferivo vederlo in una prigione di Rochester che non in un albergo di New York. Cedette
infine, e mi promise solennemente che non avrebbe mai pi visto Sparrow MacCoy, che se ne
sarebbe andato in Europa, e che si sarebbe dedicato a qualsiasi lavoro io gli avessi procurato.
Senza perdere tempo lo accompagnai da un vecchio amico di famiglia, Joe Wilson, che esporta
orologi e sveglie americane, e lo indussi ad affidargli un'agenzia a Londra, con un piccolo salario e
una provvigione del quindici per cento su tutte le vendite. Il suo aspetto e il suo comportamento gli
valsero l'immediata fiducia del mio vecchio amico, ed entro una settimana part per Londra con
una valigia di campioni.
"Ebbi l'impressione che la faccenda dell'assegno fosse stata una salutare lezione per mio fratello,
e che ci fosse ancora qualche speranza. Mia madre gli aveva parlato a lungo, e ci che gli aveva
detto lo aveva commosso, perch lei era sempre stata la migliore delle madri, e lui naturalmente
era stato il grande dolore della sua vita. Ma io sapevo che questo Sparrow MacCoy aveva una
grandissima influenza su di lui, e che soltanto troncando i legami fra loro potevo sperare che mio
fratello si salvasse. Avevo un amico nella polizia di New York e, tramite costui, tenni d'occhio
Sparrow MacCoy. Quando, neanche due settimane dopo la partenza di Edward, venni a sapere
che MacCoy aveva prenotato un passaggio sull'"Etruria", fui certo, come se me lo avesse detto,
che andava in Inghilterra per indurre Edward a riprendere la vita di prima.
Decisi immediatamente che ci sarei andato anch'io, e che avrei fatto valere la mia influenza su
quella di MacCoy. Sapevo che era una battaglia persa in partenza, ma io ritenevo, e mia madre
pure riteneva, che fosse mio dovere agire in questo modo. Passammo l'ultima sera pregando
insieme per il mio successo, e lei mi diede la Bibbia che mio padre le aveva regalato il giorno del
loro matrimonio nella loro vecchia patria, di modo che io potessi tenerla sempre vicino al cuore.
"Sulla nave, ero compagno di viaggio di Sparrow MacCoy, e almeno ebbi la magra consolazione
di rovinargli i suoi programmi per la traversata. La prima sera del viaggio mi recai nella sala da
giuoco e lo trovai seduto a un tavolo con una mezza dozzina di giovanotti che portavano in Europa
i loro portafogli imbottiti e le loro zucche vuote. MacCoy si stava preparando a raccogliere un assai
lauto bottino. Non persi tempo.
"Signori" dissi, "vi rendete conto chi l'uomo con cui state giuocando?"
"E a lei cosa gliene importa? Si occupi degli affari suoi!" replic MacCoy, con una bestemmia.
"Chi , si pu sapere?" chiese uno di quei giovani imbecilli.
"Sparrow MacCoy, il pi famigerato baro degli Stati Uniti."
"MacCoy balz in piedi con una bottiglia in mano, ma si ricord di essere sotto la giurisdizione
della vecchia Europa, dove imperano la legge e l'ordine, e dove Tammany Hall non ha alcun
potere. Il carcere e la forca puniscono la violenza e l'omicidio, e su un transatlantico non ci si
mette in salvo scappando dalla porta di servizio.
"Provi quello che ha detto, cane maledetto!" grid MacCoy.
"Lo far" replicai. "Se lei tira su la manica destra della camicia fino alla spalla, prover le mie
parole o me le rimanger."
"MacCoy impallid e non aggiunse parola. Vede, io conoscevo alcuni dei suoi trucchi, e sapevo
che uno di essi, di cui si servono lui e i suoi colleghi, consiste in un elastico che scende lungo il
braccio con una molletta proprio al di sopra del polso. E' per mezzo di questa molletta che essi si
liberano delle carte indesiderate che si trovano in mano, mentre vi sostituiscono altre carte da un
altro nascondiglio. Contavo sulla presenza di quella molletta, e infatti c'era. Lui mi maledisse, usc
dalla sala con la coda fra le gambe, e non si fece pi vedere per tutta la traversata. Per una volta,
almeno, avevo prevalso sul signor Sparrow MacCoy.
"Non tard a prendersi la sua vendetta naturalmente, poich, quando si trattava di influenzare mio
fratello, lui mi batteva comunque. Edward si era comportato bene le prime settimane a Londra, e
aveva fatto qualche buon affare con i suoi orologi americani, finch quel furfante non lo and a
cercare. Io feci del mio meglio, ma il mio meglio non era sufficiente. Poco dopo sentii dire che in
uno degli alberghi di Northumberland Avenue vi era stato uno scandalo: un cliente era stato
spogliato di una grossa somma da due bari americani, e la faccenda era nelle mani di Scotland
Yard. Appresi l'accaduto dal giornale della sera, ed ebbi immediatamente la certezza che mio
fratello e MacCoy avevano ripreso le loro vecchie abitudini. Mi affrettai subito all'alloggio di
Edward. Mi dissero che lui e un signore alto (capii che si trattava di MacCoy) se ne erano andati
insieme, e che lui aveva disdetto la camera, portandosi via la sua roba.
L'affittacamere li aveva sentiti dare varie istruzioni al cocchiere, terminando con Euston Station, e
per caso aveva sentito dire al signore alto qualcosa a proposito di Manchester. La donna riteneva
che quella fosse la loro destinazione.
"Un'occhiata all'orario mi convinse che il treno pi probabile era quello delle diciassette, bench
forse avrebbero potuto prendere anche quello delle sedici e trentacinque. Ormai io non potevo
acciuffare che quello delle diciassette e dei due non vidi traccia n alla stazione, n nel treno.
Dovevano aver preso quello precedente; mi risolsi lo stesso a seguirli a Manchester e a cercarli
negli alberghi di quella citt. Un ultimo appello a mio fratello, ricordandogli nostra madre e tutto ci
che aveva fatto per lui, poteva ancora essere la sua salvezza. Avevo i nervi tesi, e per calmarli
accesi un sigaro. In quell'istante, proprio mentre il treno stava per partire, lo sportello del mio
scompartimento si apr di colpo, e vidi sulla banchina MacCoy e mio fratello.
"Erano entrambi travestiti, e con ragione, poich sapevano che la polizia di Londra era sulle loro
tracce. MacCoy aveva un grande collo di astrakan che gli lasciava liberi solo gli occhi e il naso.
Mio fratello era vestito da donna, ma naturalmente il suo abbigliamento non mi trasse in inganno,
e non mi avrebbe ingannato anche se non avessi saputo che spesse volte in passato si era
travestito in tal modo. Come stavo per alzarmi, MacCoy mi riconobbe. Disse qualcosa, il capotreno
sbatt lo sportello e li introdusse nello scompartimento attiguo. Tentai di far fermare il convoglio
per poterli seguire, ma gi le ruote si muovevano ed era troppo tardi.
"Quando ci fermammo a Willesden, cambiai subito scompartimento.
Pare che nessuno mi abbia notato, e non me ne meraviglio, poich la stazione era assai affollata.
Naturalmente MacCoy mi stava aspettando, e aveva trascorso il tempo fra Euston e Willesden
dicendo tutto ci che poteva per indurire il cuore di mio fratello e mettermelo contro. Questo io lo
intuii, poich non lo avevo mai visto cos irremovibile. Tentai ogni mezzo; gli descrissi il suo
avvenire in un carcere inglese; gli parlai del dolore di sua madre quando le avrei recato la notizia;
dissi tutto ci che potevo per commuoverlo, ma inutilmente. Se ne stava l sogghignando, mentre
ogni tanto MacCoy mi apostrofava con espressioni beffarde, o rivolgeva a mio fratello parole di
incoraggiamento per indurlo a tener duro.
"Perch non va a dirigere una scuola parrocchiale?" mi diceva, e poi subito, rivolto a mio fratello:
"Quello ti crede senza spina dorsale. Ti tratta come un bamboccio. Crede di poterti costringere a
fare ci che vuole. Sta scoprendo soltanto adesso che sei un uomo esattamente come lui."
"Furono quelle sue parole a farmi perdere la pazienza. Nel frattempo avevamo lasciato Willesden,
perch tutto questo and avanti per un bel po'. Persi le staffe, e per la prima volta in vita mia mi
comportai duramente con mio fratello. Forse sarebbe stato meglio se lo avessi fatto prima e pi
spesso.
"Un uomo!" esclamai. "Be', mi fa piacere che almeno il tuo amico lo pensi, perch nessuno lo
sospetterebbe, vedendoti conciato come una scolaretta. Non credo che in tutto il paese ci sia un
essere pi spregevole di te, seduto l con quel vestituccio da femmina." Edward, che era un uomo
vanitoso, arross alle mie parole, e si dimostr sconcertato della mia derisione.
"E' soltanto uno spolverino" disse, togliendoselo. "Bisogna pur sfuggire ai poliziotti, e non avevo
altro modo." Si lev il cappello con il velo e mise sia quello che il soprabito nella valigetta marrone.
"Comunque, posso farne a meno finch non viene il capotreno" aggiunse.
"Non ti serviranno neanche allora" replicai, e afferrando la valigia, la scagliai con tutta la forza dal
finestrino. "Stammi a sentire, non ti vestirai pi da donnicciola finch vi sono io presente. Se fra te
e la prigione non c' altro che quel travestimento, vuol dire che andrai in prigione."
"Era cos che andava trattato. Sentii subito di avere un vantaggio. La sua debole natura cedeva
pi facilmente alla durezza che non alle suppliche. Arross dalla vergogna, e i suoi occhi si
riempirono di lacrime. Ma anche MacCoy si avvide del mio vantaggio, ed era deciso a non
lasciarmelo sfruttare.
"Edward il mio compagno, e lei non far il prepotente con lui" esclam.
"E' mio fratello, e lei non lo roviner" replicai. "Credo che un soggiorno in carcere sia il miglior
modo per tenervi lontani, e questo soggiorno sar lei a farlo, quant' vero il Padreterno."
"Ah, vuol fare la spia, eh?" grid, tirando fuori la sua pistola.
Mi avventai contro la sua mano, ma vidi che era troppo tardi e balzai in disparte. Nello stesso
istante MacCoy fece fuoco, e la pallottola destinata a me trapass il cuore del mio povero fratello.
"Cadde a terra senza un lamento, e MacCoy ed io, ugualmente inorriditi, ci inginocchiamo accanto
a lui, tentando di richiamare in lui qualche segno di vita. MacCoy teneva ancora in mano la pistola
carica, ma la sua ira contro di me e il mio risentimento contro di lui erano entrambi stati annientati
da questa improvvisa tragedia. Fu lui il primo a rendersi conto della situazione. Per qualche
ragione, in quel tratto il treno stava procedendo molto lentamente, ed egli intravide l'occasione per
mettersi in salvo.
In un lampo apr lo sportello, ma io fui altrettanto svelto e, saltandogli addosso, cademmo
ambedue dal predellino rotolando avvinghiati gi per la ripida scarpata. Arrivati in fondo, andai a
sbattere il capo contro una pietra e non ricordo altro. Quando rinvenni, ero sdraiato fra dei bassi
cespugli non lontano dai binari; qualcuno mi passava sulla fronte un fazzoletto bagnato.
Era Sparrow MacCoy.
"Non me la sono sentita di lasciarla" mi disse. "Non volevo macchiarmi del sangue di tutti e due voi
lo stesso giorno. Lei amava suo fratello, non ne dubito affatto; ma non lo amava un briciolo pi di
quanto non lo amassi io, bench lei dir che avevo uno strano modo di mostrare il mio affetto.
Comunque, il mondo mi sembra maledettamente vuoto adesso che lui non c' pi, e non me ne
importa un fico se lei mi denuncia."
"MacCoy si era slogato una caviglia nella caduta, e ce ne stavamo l, lui col suo piede
immobilizzato e io con la mia testa malconcia; parlammo finch a poco a poco la mia amarezza si
attenu e si trasform in qualcosa di molto simile alla compassione. A che pro vendicare la morte
di mio fratello su di un uomo che era altrettanto addolorato da quella morte quanto lo ero io? E poi,
riprendendo a ragionare lucidamente, cominciai a rendermi conto che, oltre a tutto, non potevo
fare niente contro MacCoy che non si sarebbe ritorto contro mia madre e me stesso.
Come potevamo farlo condannare senza che fosse resa di pubblico dominio tutta la carriera di mio
fratello, proprio la cosa che noi volevamo evitare? In effetti, era altrettanto nel nostro interesse che
nel suo di tenere celata la storia, e dall'essere un vendicatore del delitto, mi trovai trasformato in
un cospiratore contro la giustizia. Il luogo in cui ci trovavamo era una di quelle riserve di caccia
cos comuni in Europa, e mentre la attraversavamo brancolando, mi trovai intento a consultare
l'uccisore di mio fratello sul miglior modo per tener nascosto l'accaduto.
"Mi resi conto dalle parole di MacCoy che se non ci fossero stati dei documenti, di cui peraltro non
sapevamo niente, nelle tasche di mio fratello, non vi era alcun mezzo per la polizia di identificarlo,
o di capire come avesse fatto a trovarsi su quel treno. Il suo biglietto e lo scontrino per alcune
valigie che avevano lasciato alla stazione erano in tasca di MacCoy. Come la maggior parte degli
americani, Edward aveva trovato pi comodo e pi economico rinnovare il proprio guardaroba a
Londra piuttosto che portarselo dietro da New York, di modo che i suoi abiti erano nuovi e privi di
segni di identificazione. La valigia contenente lo spolverino che io avevo gettato dal finestrino,
doveva essere finita fra dei cespugli dove si trova tuttora, o forse se ne era impossessato qualche
vagabondo, o forse la polizia l'ha ritrovata, e non ne ha fatto parola. Comunque, i giornali non ne
hanno parlato. In quanto agli orologi, essi facevano parte del campionario che gli era stato affidato
per promuoverne la vendita.
Pu darsi che egli si stesse recando a Manchester proprio per questo motivo, ma... be', inutile
ormai rinvangare il passato.
"La polizia non ha nessuna colpa dello scacco subto. Non vedo come avrebbe potuto succedere
diversamente. Vi era un solo indizio che avrebbe potuto aiutarli, ma era molto limitato. Mi riferisco
allo specchietto rotondo che fu rinvenuto in tasca a mio fratello.
E' un oggetto piuttosto insolito in tasca a un giovanotto, non le pare? Ma un giocatore sarebbe
stato in grado di spiegare ci che uno specchietto di questo genere pu significare per un baro. Se
uno si siede un po' distante dal tavolo e si pone lo specchio sul grembo, si possono vedere,
mentre si distribuiscono, tutte le carte che si danno al proprio avversario. Non difficile dire se sia
il caso di "vedere" o di rilanciare, quando si conoscono le carte dell'avversario come le proprie. E'
uno dei ferri del mestiere del baro, cos come lo l'elastico con la molletta di Sparrow MacCoy. Se
la polizia avesse capito il significato dello specchietto, e lo avesse collegato alle recenti truffe negli
alberghi, forse avrebbe trovato il bandolo della matassa.
"Non credo che ci sia altro da spiegare. Quella sera arrivammo in un paesetto che si chiama
Amersham. Passavamo per turisti, e in seguito tornammo a Londra, donde MacCoy ripart per il
Cairo. Io proseguii per New York. Mia madre mor sei mesi dopo, e sono lieto di dire che non
seppe mai ci che era successo. Si illuse fino all'ultimo che Edward si stesse guadagnando la vita
a Londra, onestamente, e io non ebbi mai il coraggio di dirle la verit. Non ricevette sua posta,
naturalmente: tuttavia. non le scriveva mai neanche prima, e quindi nulla cambiava. Le ultime
parole di mia madre furono per lui.
"Vi un solo favore che vorrei chiederle, signore, in cambio di questa lunga spiegazione, e le sarei
molto grato se lo potesse fare. Si ricorder certo della Bibbia ritrovata. La portavo sempre nel
taschino interno della mia giacca, e dev'essere caduta durante il mio ruzzolone. Mi molto cara,
poich era la Bibbia di famiglia, con il nome mio e di mio fratello scritti da mio padre nella prima
pagina. La pregherei di farsela dare da chi di dovere e di inviarmela. Non vedo come possa servire
ad altri. Se la indirizza a X, Libreria Bassano, Broadway, New York, essa mi giunger certamente."



IL DOTTORE NERO

Bishop's Crossing un piccolo villaggio a quindici chilometri a sud-ovest di Liverpool. In quel
villaggio venne a stabilirsi, verso l'anno 1870, un medico che si chiamava Aloysius Lana. I locali
non sapevano niente delle sue origini n delle ragioni che lo avevano spinto a stabilirsi in questo
piccolo borgo del Lancashire. Due sole cose si sapevano sul suo conto: la prima, che si era
laureato in medicina a pieni voti a Glasgow; l'altra, che egli discendeva indubbiamente da una
razza tropicale, ed era infatti cos scuro che poteva quasi avere del sangue indiano nelle vene. Le
sue caratteristiche predominanti erano tuttavia europee; e la sua cortesia cerimoniosa e il suo
portamento solenne suggerivano un'origine spagnola. La pelle olivastra, i capelli corvini e gli occhi
scuri e lucenti sotto le folte sopracciglia formavano uno strano contrasto con gli abitanti del luogo
biondi o castani, e il nuovo venuto fu ben presto conosciuto come "Il dottore nero di Bishop's
Crossing". In un primo tempo, era una definizione spregiativa; ma, con il passare degli anni,
divenne un titolo di rispetto; egli era noto infatti in tutta la regione, la sua fama aveva superato di
gran lunga i ristretti confini del villaggio.
Il nuovo venuto si era mostrato un abile chirurgo e un bravissimo internista. Prima del suo arrivo, il
medico di quella condotta era Edward Rowe, figlio di Sir William Rowe, il noto medico consulente
di Liverpool, ma egli non aveva ereditato il talento del padre, e il dottor Lana, grazie al suo aspetto
e al suo comportamento, prese ben presto il suo posto. Il successo mondano del dottor Lana fu
altrettanto rapido di quello professionale. Uno straordinario intervento chirurgico praticato
all'onorevole James Lowry, figlio minore di Lord Belton, serv a introdurlo nella buona societ della
contea, dove divenne assai ricercato grazie al fascino della sua conversazione e all'eleganza dei
modi. L'assenza di antenati e di familiari pu essere talvolta di giovamento piuttosto che d'ostacolo
nell'ascesa sociale, e la distinta personalit del bel dottore era la sua migliore commendatizia.
I suoi clienti gli trovavano un solo difetto. Si era fatto la fama di scapolo incorreggibile. Questo era
tanto pi strano, in quanto la casa dove abitava era molto grande, e inoltre era risaputo che il suo
successo professionale gli aveva permesso di mettere da parte delle cifre notevoli. In un primo
tempo, le comari locali si affannavano ad accoppiare il suo nome a quello di una o dell'altra delle
giovani donne da marito, ma via via che gli anni passavano e il dottor Lana non accennava a
volersi sposare, si sparse la voce che qualche ragione lo induceva a rimanere scapolo. Alcuni
arrivarono persino a dire che era gi sposato, e che era proprio per sfuggire a un matrimonio
sbagliato che egli era venuto a seppellirsi a Bishop's Crossing. Poi, proprio quando le comari si
erano finalmente date per vinte, improvvisamente fu annunciato il suo fidanzamento con la
signorina Frances Morton, di Leigh Hall.
La signorina Morton era una giovane assai conosciuta nella zona perch suo padre, James
Haldane Morton, era stato il signorotto di Bishop's Crossing. Entrambi i suoi genitori erano per
morti, ed essa abitava con il suo unico fratello, Arthur Morton, il quale aveva ereditato la tenuta di
famiglia. La Morton era alta e imponente, nota per il suo temperamento focoso e impulsivo e per la
sua forza di carattere. Conobbe il Lana a una festa all'aperto e fra i due sorse un'amicizia che ben
presto si trasform in amore. Essi si amavano di un amore tenerissimo. Vi era fra loro una certa
differenza di et, avendo egli trentasette anni ed essa appena ventiquattro; ma a parte questo
particolare, non poteva esserci la minima obiezione al loro matrimonio. Il fidanzamento ebbe luogo
in febbraio, e fu deciso che il matrimonio si sarebbe svolto in agosto.
Il 3 giugno, il dottor Lana ricevette una lettera dall'estero. In un piccolo villaggio, il titolare
dell'ufficio postale, grazie alla sua posizione, detiene spesso anche il primato dei pettegolezzi, e il
signor Bankley, di Bishop's Crossing, era a conoscenza di molti dei segreti dei suoi compaesani.
Di questa particolare lettera, egli not soltanto che la busta era di forma insolita, che era
indirizzata con una scrittura maschile, che il timbro era di Buenos Ayres e il francobollo della
Repubblica argentina. A quanto gli risultava, questa era la prima lettera che Lana aveva ricevuto
finora dall'estero, ed era questo il motivo per cui la studi con particolare attenzione prima di
affidarla al postino. La lettera venne consegnata con la distribuzione della sera.
Il mattino seguente, e cio il 4 giugno, il dottor Lana and a far visita alla signorina Morton e ne
segu un lungo colloquio, al termine del quale egli fu visto rientrare a casa in uno stato di grande
agitazione. La Morton rimase rinchiusa tutto il giorno, e la cameriera la trov pi d'una volta in
lacrime. Entro una settimana, era un segreto noto a tutto il villaggio che il fidanzamento era stato
buttato all'aria, che il dottor Lana si era comportato in maniera vergognosa nei confronti della
giovane, e che Arthur Morton, suo fratello, si riprometteva di dargli una buona lezione. Quale fosse
l'esatta natura del vergognoso comportamento del medico, nessuno era in grado di saperlo: chi
diceva una cosa e chi un'altra; ma fu osservato, e interpretato come un evidente segno di cattiva
coscienza, che egli preferiva fare un giro assai lungo piuttosto che passare sotto le finestre di
Leigh Hall, e che aveva rinunciato a recarsi in chiesa la domenica, per timore di imbattersi nella
giovane. Fu notata inoltre un'inserzione nel Lancet che si riferiva alla cessione di una clientela
avviata, dove non si facevano nomi, ma che secondo alcuni si riferiva a Bishop's Crossing e ci
significava che Lana era in procinto di abbandonare la scena del suo successo. Questa la
situazione quando, la sera di luned 21 giugno, avvenne un fatto imprevisto che trasform ci che
era stato un semplice scandalo locale in una tragedia che richiam l'attenzione di tutto il paese. E'
necessario addentrarsi nei particolari, affinch i fatti di quella sera si possano presentare in tutta la
loro importanza.
Gli unici abitanti nella casa del medico erano la sua governante, una donna anziana e di provata
moralit, che si chiamava Martha Woods, e una giovane cameriera, Mary Pilling. Il suo assistente
e il cocchiere erano alloggiati altrove. Il medico era solito trattenersi la sera nel suo studio, che si
trovava accanto al gabinetto medico nell'ala della casa pi lontana dalle stanze della servit.
Quest'ala dell'edificio aveva un'entrata di svincolo, per maggior comodit dei pazienti, di modo che
era possibile per il medico far entrare e ricevere un paziente all'insaputa di tutti. Effettivamente,
quando i pazienti si recavano da lui a tarda ora, era sua abitudine farli entrare e uscire da quella
porta, poich la cameriera e la governante erano solite andare a letto assai presto.
La sera in questione, Martha Woods entr nello studio del medico alle nove e mezzo, e lo trov
intento a scrivere alla sua scrivania. Gli augur la buona notte, mand la cameriera a letto, quindi
si occup di alcune faccende casalinghe fino alle undici meno un quarto. Suonavano le undici
all'orologio nell'ingresso quando la donna si ritir in camera. Dopo un quarto d'ora o venti minuti al
massimo, ud un grido o un richiamo, che sembrava provenire dall'interno della casa. Rimase un
istante in attesa, ma il grido non si ripet. Allarmata, poich il grido era stato fortissimo e urgente,
indoss la vestaglia e corse a precipizio verso lo studio del medico.
"Chi ?" grid una voce, quando lei buss alla porta.
"Sono io, la signora Woods."
"Mi lasci in pace, per favore. Se ne torni subito in camera sua" grid la voce, che era, a quanto
pareva, quella del suo padrone.
Il tono era cos duro e diverso dal solito tono di voce del suo padrone, che la donna ne fu stupita e
offesa.
"Mi pareva di averla sentita chiamare, signore" disse a mo' di spiegazione, ma non ricevette
alcuna risposta. La Woods diede un'occhiata all'orologio mentre tornava in camera sua, ed erano
allora le undici e mezzo.
Fra le undici e la mezzanotte (la donna non riusc in seguito a ricordare l'ora esatta) una cliente si
rec dal medico ma senza riceverne alcuna risposta. Questa cliente ritardataria era la signora
Madding, la moglie del droghiere del paese, il quale era gravemente ammalato di tifo. Il dottor
Lana le aveva detto di passare da lui sul tardi, per dargli notizie di suo marito. La donna osserv
che la luce nello studio era accesa, ma, dopo aver bussato varie volte alla porta del gabinetto
medico, concluse che il medico doveva essere stato chiamato altrove, e pertanto se ne torn
verso casa.
Vi un breve vialetto tortuoso con una lampada in fondo che unisce la casa del medico alla
strada. Proprio mentre la signora Madding usciva dal cancello, vide venirle incontro un uomo.
Pensando che si trattasse del dottor Lana che tornava da una visita a un suo paziente, rimase ad
attenderlo, e fu stupita di accorgersi che si trattava di Arthur Morton. Alla luce della lampada, si
avvide che l'uomo appariva sconvolto e che teneva in mano un grosso frustino. Stava entrando dal
cancello, quando lei lo apostrof.
"Il dottore non in casa, signore" gli disse.
"Come fa a saperlo?" le chiese Morton aspramente.
"Ho appena bussato alla porta dello studio."
"Vedo una luce" osserv il giovane, guardando verso la casa.
"Quello il suo studio, no?"
"Certamente, ma sono sicura che il dottore non in casa."
"Be', prima o poi dovr rientrare" disse il giovane Morton, e varc il cancello mentre la Madding si
avviava verso casa.
Alle tre del mattino, suo marito ebbe una forte ricaduta, e la donna, spaventata dai sintomi, decise
di andar a chiamare senza indugi il medico. Varcando il cancello, fu stupita di vedere qualcuno
appostato fra i cespugli di alloro. Era sicuramente un uomo, e le sembr di riconoscere il signor
Arthur Morton. Assorta nei propri guai, non gli prest particolare attenzione, ma prosegu per la
sua strada.
Quando fu giunta alla casa, si avvide con stupore che la luce nello studio era ancora accesa.
Pertanto buss alla porta del gabinetto medico. Non ebbe risposta. Continu a bussare
ripetutamente, ma senza effetto. Le sembr improbabile che il medico fosse andato a letto o fosse
uscito lasciando accesa una luce cos forte, e la donna pens che forse egli si era addormentato
nella poltrona. Buss pertanto alla finestra dello studio, ma inutilmente. Poi, avvedendosi che vi
era uno spiraglio fra la tenda e la cornice della finestra, sbirci dentro.
La piccola sala era brillantemente illuminata da una grande lampada sul tavolo centrale, il cui
piano era cosparso di libri e di strumenti medici. La signora Madding non vide nessuno, n not
nulla di insolito, se non che in un angolo, nell'ombra proiettata dal tavolo, un guanto bianco sporco
giaceva sul tappeto. E poi, improvvisamente, a mano a mano che i suoi occhi si abituavano alla
luce, uno stivale emerse all'altro capo dell'ombra, e la donna si rese conto, con orrore, che ci che
aveva preso per un guanto era la mano di un uomo, disteso per terra. Intuendo che qualcosa di
anormale era accaduto, and a suonare alla porta principale, svegli la Woods, e le due donne si
introdussero nello studio, dopo aver mandato la cameriera al comando di polizia.
Accanto al tavolo, dal lato opposto della finestra, trovarono il dottor Lana disteso supino, morto. Fu
subito evidente che, prima, era stato brutalmente picchiato, poich aveva un occhio pesto e
recava tracce di lividi sul viso e sul collo. Un leggero gonfiore e ispessimento dei tratti pareva
indicare che la morte era avvenuta per strangolamento. Era vestito dei suoi soliti abiti
professionali, ma indossava delle pantofole di panno, le cui suole erano perfettamente pulite. Il
tappeto recava ovunque, e in particolare in prossimit della porta, tracce di scarpe sporche,
presumibilmente lasciate dall'assassino. Era evidente che qualcuno era entrato dalla porta dello
studio, aveva ucciso il medico, ed era poi fuggito senza essere visto. Che l'assassino fosse un
uomo era indubbio, a giudicare dalle dimensioni delle orme e dalla natura delle ferite. Ma al di l di
questo, la polizia non aveva molto su cui basarsi.
Non vi erano tracce di furto, e l'orologio d'oro del medico fu rinvenuto nella sua tasca. Egli era
solito tenere i suoi quattrini in una robusta cassetta nello studio, e questa fu trovata chiusa a
chiave, ma vuota. La signora Woods aveva l'impressione che solitamente egli vi tenesse delle forti
somme, ma quel giorno stesso il medico aveva pagato un grosso conto; si pens quindi che fosse
dovuto a questo fatto, e non a un ladro, se la scatola era vuota. Un solo oggetto mancava nella
stanza, ma quell'oggetto dava da pensare. Il ritratto della signorina Morton, che di solito stava sul
tavolino accanto alla poltrona, era stato tolto dalla cornice e portato via. La Woods l'aveva visto l
poche ore prima quando era andata ad augurare la buona notte al suo padrone, e adesso era
scomparso. Viceversa, fu trovata a terra una benda verde per occhi, che la governante non
ricordava di avere mai vista. Tuttavia, una benda del genere poteva forse anche far parte
dell'attrezzatura di un medico, e niente indicava che fosse in alcun modo collegata con il delitto.
I sospetti potevano confluire in un'unica direzione, e Arthur Morton venne immediatamente
arrestato. Le prove a suo carico erano indiziarie, ma schiaccianti. Egli era affezionatissimo a sua
sorella, e fu dimostrato che pi volte, dopo la rottura fra lei e il Lana, era stato udito esprimersi in
termini violenti nei riguardi dell'ex-fidanzato. Era stato visto, come abbiamo gi detto, imboccare il
vialetto della casa del medico verso le undici, con un frustino in mano. In seguito, stando alla
versione della polizia, egli aveva fatto irruzione nello studio del Lana, il cui grido di spavento o di
ira era stato tanto forte da attirare l'attenzione della signora Woods. Quando la Woods aveva
bussato, il Lana aveva nel frattempo deciso di riparlarne con il suo ospite, e aveva pertanto
pregato la governante di ritornare in camera sua. La conversazione era durata a lungo, facendosi
sempre pi accesa, ed era degenerata in un corpo a corpo, nel corso del quale il medico aveva
trovato la morte. Il fatto, rivelato dall'autopsia, che egli soffriva di una grave malattia di cuore,
malattia di cui nessuno aveva sospettato, faceva supporre che la morte in questo caso potesse
essersi verificata in seguito a ferite che non sarebbero state letali per un uomo in buone condizioni
di salute. Arthur Morton si era poi impossessato del ritratto di sua sorella e se n'era andato a casa,
nascondendosi nei cespugli di alloro per evitare di incontrare la signora Madding sul cancello.
Questa la tesi dell'accusa, e le prove a carico di Morton parevano schiaccianti.
Viceversa, anche la difesa aveva delle buone carte. Morton era focoso e impulsivo, come sua
sorella, ma era rispettato e amato da tutti, e la sua natura onesta e generosa pareva incapace di
un simile delitto. La sua versione era che egli era ansioso di avere un colloquio con il Lana
riguardo a urgenti questioni familiari (dal principio alla fine si rifiut di fare il nome di sua sorella).
Non tent di negare che questo colloquio sarebbe stato certamente spiacevole. Era stato
informato da una paziente che il medico non era in casa, e aveva perci atteso il suo ritorno fin
verso le tre del mattino, ma poich a quell'ora non era ancora rientrato, aveva rinunciato ed era
tornato a casa sua. Quanto alla sua morte, non ne sapeva niente pi di ci che non ne sapesse il
poliziotto che l'aveva arrestato. In precedenza, era stato amico intimo del defunto; ma le
circostanze, di cui preferiva non parlare, avevano mutato i suoi sentimenti.
Vi erano parecchi fatti che confermavano la sua innocenza. Pareva accertato che il Lana fosse
vivo e nel suo studio alle undici e mezzo. La signora Woods era disposta a giurare che a quell'ora
aveva sentito la sua voce. Gli amici dell'imputato opponevano che era probabile che a quell'ora il
dottor Lana non fosse solo. Il grido che aveva richiamato l'attenzione della governante, e l'insolita
impazienza del suo padrone per essere lasciato in pace, parevano confermare questa versione
dei fatti. Se cos era, allora pareva probabile che egli fosse stato ucciso nell'intervallo di tempo
intercorso fra il momento in cui la governante aveva sentito la sua voce e il momento in cui la
Madding si era recata da lui per la prima volta, senza essere riuscita a richiamare la sua
attenzione. Ma se era questa l'ora della sua morte, allora era dimostrato che Arthur Morton non
poteva essere il colpevole, poich era dopo questo fatto che la donna aveva incontrato il giovane
davanti al cancello.
Se questa ipotesi era esatta, e se qualcuno si trovava davvero con il dottor Lana prima che la
Madding incontrasse Arthur Morton, chi era dunque questo qualcuno, e quale motivo poteva avere
per desiderare la morte del medico? Era universalmente riconosciuto che se gli amici dell'imputato
fossero riusciti a chiarire questo interrogativo, avrebbero praticamente dimostrato la sua
innocenza.
Ma nel frattempo il pubblico era libero di dire, come infatti diceva, che non vi era alcuna prova che
qualcuno fosse stato l tranne il giovane Morton; mentre, d'altra parte, vi erano ampie prove che le
ragioni della sua visita erano assai poco amichevoli.
Quando la Madding si era recata l la prima volta, il medico poteva essersi recato in camera sua, o
poteva; come la donna pens allora, essere uscito e in seguito tornato per trovare Arthur Morton
che lo aspettava. Alcuni sostenitori dell'imputato sottolineavano il fatto che il ritratto di sua sorella
Frances, che era stato sottratto dallo studio del medico, non era stato trovato in possesso del
giovane. Questo argomento, tuttavia, non aveva molto peso, poich egli aveva avuto tempo
sufficiente prima del suo arresto per bruciarlo o distruggerlo. In quanto agli unici indizi concreti nel
caso, le orme di fango sul pavimento, erano talmente imprecisi per via della morbidezza del
tappeto, che era impossibile trarne delle deduzioni decisive. Il massimo che se ne potesse dire,
era che il loro aspetto non era in contrasto con la teoria che esse vi fossero state lasciate
dall'imputato; inoltre, risultava che la sera in questione i suoi stivali erano ben infangati: aveva
piovuto copiosamente quel pomeriggio, e probabilmente tutti gli stivali erano nelle stesse
condizioni.
Questo il nudo resoconto della singolare e romantica serie di eventi che richiam l'attenzione del
pubblico su questa tragedia del Lancashire. L'ignota origine del medico, la sua curiosa e raffinata
personalit, la posizione dell'uomo accusato dell'assassinio, e la storia d'amore che aveva
preceduto il delitto, tutto contribuiva a fare della vicenda uno di quei drammi che assorbono
l'interesse dell'intera nazione. Ovunque in Gran Bretagna, gli uomini discutevano il caso del
dottore nero di Bishop's Crossing, e molte furono le tesi avanzate per spiegare i fatti; ma si pu
dire, senza tema di smentita, che fra tutte non ve n'era una che preparasse il pubblico allo
straordinario colpo di scena, che provoc tanto scalpore il primo giorno del processo, giungendo al
punto culminante il secondo.
Ho davanti a me mentre scrivo la raccolta del "Lancashire Weekly" con il suo ampio resoconto del
caso, ma debbo accontentarmi di dare una sintesi del processo fino al momento in cui, la sera del
primo giorno, la testimonianza della signorina Frances Morton gett una singolare luce sulla
vicenda.
Porlock Carr, il Pubblico Ministero, aveva presentato la sua tesi con l'abilit che gli era propria e,
col trascorrere delle ore, diveniva sempre pi evidente come fosse arduo il compito di Humphrey,
l'avvocato difensore. Vari testimoni furono chiamati a riferire le minacciose frasi che il giovane
Morton si era lasciato sfuggire nei riguardi del medico, e la collera con la quale aveva reagito al
supposto maltrattamento di sua sorella. La Madding ripet la sua testimonianza riguardo alla visita
fatta dall'imputato al defunto, e un altro teste dimostr che l'imputato era a conoscenza della
consuetudine del medico di trascorrere le serate in quell'ala isolata dell'edificio, e che egli aveva
scelto quell'ora inoltrata per recarsi l, sapendo che la vittima sarebbe stata alla sua merc. Un
domestico di casa Morton fu costretto ad ammettere di aver sentito il suo padrone rincasare verso
le tre del mattino, il che confermava la dichiarazione della signora Madding, secondo cui la donna
lo aveva visto fra i cespugli di alloro nei pressi del cancello, in occasione della sua seconda visita.
Gli stivali infangati e una supposta somiglianza delle orme furono debitamente sfruttati, e
l'opinione generale, al termine della tesi dell'accusa, fu che, per quanto indiziaria essa fosse, era
tuttavia cos completa e cos convincente da far ritenere che il destino dell'imputato fosse deciso,
a meno che la difesa non rivelasse qualcosa di assolutamente inatteso. Erano le quindici quando
l'accusa concluse. Alle sedici e trenta, quando l'udienza venne ripresa, si verific una nota del
tutto inattesa.
Riporto l'incidente, o parte di esso, basandomi sul giornale cui ho gi accennato, e tralasciando i
discorsi preliminari della difesa.
Vi fu un grande scalpore nell'aula affollata quando la prima teste chiamata dalla difesa risult
essere la signorina Frances Morton, sorella dell'imputato. I nostri lettori rammenteranno che la
giovane era stata fidanzata del Lana, e si riteneva appunto che fosse l'ira per l'improvvisa fine di
questo fidanzamento ad aver spinto suo fratello a commettere il delitto. La Morton non era stata,
tuttavia, in alcun modo implicata nel caso, n durante l'inchiesta n durante l'istruttoria, e la sua
comparsa come testimone principale per la difesa dest grande sorpresa fra il pubblico.
La signorina Frances Morton, una bella giovane, alta e bruna, rese la sua testimonianza a voce
bassa ma chiara, bench fosse evidente durante tutta la sua deposizione che era in preda a una
forte emozione. Alluse al fidanzamento con il medico, accenn brevemente alla sua fine, dovuta,
ella disse, a questioni private della famiglia di lui, e sorprese la corte dichiarando che ella aveva
sempre ritenuto lo sdegno di suo fratello irragionevole e immotivato. In risposta a una domanda
diretta dell'avvocato difensore, la giovane replic che non si riteneva in alcun modo offesa dal
dottor Lana, e che secondo lei aveva agito in modo del tutto onorevole. Suo fratello, non essendo
a completa conoscenza dei fatti, aveva assunto un atteggiamento differente, ed essa fu costretta a
riconoscere che, nonostante le sue suppliche, egli aveva proferito minacce contro il medico, ed
aveva, la sera della tragedia, annunciato la sua intenzione di "vedersela con lui". La giovane
aveva fatto del suo meglio per indurlo a ragionare, ma suo fratello era un tipo molto testardo e
assai poco controllato quando erano in gioco le sue emozioni o i suoi pregiudizi.
Fino a questo punto, la deposizione della giovane donna era sembrata andare pi a carico
dell'imputato, che non a suo favore.
Le domande dell'avvocato difensore gettarono, tuttavia, ben presto una luce assai diversa sulla
vicenda, e rivelarono un'inaspettata linea di difesa.
Humphrey: Lei ritiene suo fratello colpevole di questo delitto?
Giudice: Non posso permettere questa domanda, signor Humphrey.
Siamo qui per vagliare i fatti, non le opinioni.
Humphrey: Lei sa con certezza che suo fratello non colpevole della morte del dottor Lana?
Frances Morton: S.
Humphrey: Come fa a saperlo?
Frances Morton: Perch il dottor Lana non morto.
Segu nell'aula un lungo brusio che interruppe l'interrogatorio della teste.
Humphrey: E come fa a sapere, signorina Morton, che il dottor Lana non morto?
Frances Morton: Perch ho ricevuto una lettera da lui dopo la data della sua presunta morte.
Humphrey: Ha con s questa lettera?
Frances Morton: S, ma preferirei non mostrarla.
Humphrey: Ha la busta?
Frances Morton: S eccola qua.
Humphrey: Che timbro reca?
Frances Morton: Liverpool.
Humphrey: E la data?
Frances Morton: 22 giugno.
Humphrey: Cio il giorno successivo alla sua presunta morte. E' disposta a giurare che si tratta
della sua scrittura, signorina Morton?
Frances Morton: Certamente.
Humphrey: Sono pronto a chiamare altri sei testimoni, Vostro Onore, per attestare che questa
lettera stata scritta dal dottor Lana.
Giudice: Allora dovr chiamarli domani.
Porlock Carr, Pubblico Ministero: Nel frattempo, Vostro Onore, chiediamo che ci venga
consegnato questo documento, in modo da potere far eseguire una perizia che dimostri fino a che
punto sia stata contraffatta la scrittura di questo signore, che noi tuttora affermiamo con sicurezza
essere morto. Mi pare inutile far osservare che la tesi, cos inaspettatamente presentataci,
potrebbe dimostrarsi un espediente escogitato dagli amici dell'imputato allo scopo di sviare la
nostra indagine. Vorrei per richiamare l'attenzione sul fatto che la signorina doveva essere,
stando alle sue proprie parole, in possesso di questa lettera durante l'inchiesta e l'istruttoria
preliminare. La signorina vorrebbe farci credere di aver lasciato che questi preliminari avessero
luogo, bench avesse in tasca una prova tale che avrebbe potuto in qualsiasi momento
interromperli.
Humphrey: Pu spiegarci questo, signorina Morton?
Frances Morton: Il dottor Lana voleva che il suo segreto fosse rispettato.
Porlock Carr: E allora perch lo avete reso di pubblico dominio?
Frances Morton: Per salvare mio fratello.
Un mormorio di compassione, subito represso dal giudice, proruppe nell'aula.
Giudice: Ammettendo la vostra linea di difesa, sta a lei, signor Humphrey, far luce sull'identit
dell'uomo il cui corpo stato riconosciuto da tanti amici e pazienti del dottor Lana come il corpo
dello stesso medico.
Un membro della giuria: Esiste qualcuno che abbia precedentemente espresso qualche dubbio sul
riconoscimento?
Porlock Carr: Non che io sappia.
Humphrey: Ci auguriamo di poter chiarire la vicenda.
Giudice: Allora l'udienza sospesa e rinviata fino a domani mattina.
Questo nuovo sviluppo del caso suscit nel pubblico un grandissimo interesse. I commenti della
stampa erano ostacolati dal fatto che il processo era tuttora in corso, ma ovunque la gente si
chiedeva fin dove fosse veritiera la dichiarazione della signorina Morton, e fin dove potesse essere
un audace trucco per salvare suo fratello. L'evidente dilemma nel quale si trovava il medico
scomparso era che se per uno straordinario caso non era morto, allora egli doveva essere ritenuto
responsabile della morte dello sconosciuto trovato nel suo studio, e che gli somigliava in modo
cos impressionante. La lettera che la Morton si rifiutava di esibire poteva essere una confessione
di colpevolezza, e poteva darsi che lei si trovasse nella terribile posizione di potere salvare suo
fratello dalla forca unicamente con il sacrificio del suo ex-fidanzato. Il mattino seguente l'aula era
stipata all'inverosimile, e un mormorio di eccitazione la percorse quando l'avvocato Humphrey fu
visto entrare in uno stato di grande agitazione, che neanche i suoi nervi ben muniti di grasso
potevano dominare, e conferire con il Pubblico Ministero. Poche frettolose parole, parole che
lasciarono un'espressione stupefatta sul volto del signor Porlock Carr, furono scambiate fra di loro,
e poi l'avvocato difensore, rivolgendosi al giudice, annunci che, con il consenso della parte
avversa, la giovane donna che aveva deposto nella seduta precedente non sarebbe stata
richiamata.
Giudice: Ma ho l'impressione, signor Humphrey, che la questione sia rimasta in sospeso.
Humphrey: Vostro Onore, forse il mio prossimo teste potr chiarirla.
Giudice: Allora chiamate il teste.
Humphrey: Chiamo il dottor Aloysius Lana.
Molte furono le frasi decisive pronunciate dall'illustre avvocato durante la sua carriera, ma
certamente egli non suscit mai una simile sensazione con una frase cos breve. La corte fu
semplicemente fulminata dallo stupore, mentre proprio l'uomo la cui sorte era stata causa di tanta
discordia, comparve di persona davanti a loro sul banco dei testimoni. Quelli fra il pubblico che lo
avevano conosciuto a Bishop's Crossing lo videro adesso, magro ed emaciato, il volto
profondamente segnato dal dolore. Ma nonostante il suo malinconico atteggiamento e la sua
espressione abbattuta, ben pochi potevano dire di aver mai visto un uomo di pi distinto aspetto.
Inchinandosi al giudice, chiese il permesso di fare una dichiarazione, ed essendo stato
debitamente informato che qualsiasi cosa egli avesse detto avrebbe potuto essere usata contro di
lui, si inchin nuovamente e cominci a parlare:
"E' mio desiderio" egli disse "di non nascondere niente, ma di raccontare con perfetta franchezza
tutto ci che accadde la sera del 21 giugno. Se avessi saputo che degli innocenti stavano
soffrendo, e che tanto dolore si era rovesciato su coloro che io amo di pi al mondo, mi sarei fatto
vivo molto tempo prima, ma vi erano motivi che impedirono a queste cose di giungermi a orecchio.
Era mio intento che un disgraziato scomparisse dal mondo. Ma non avevo previsto che altri
avrebbero sofferto delle mie azioni.
Lasciatemi, per quanto mi possibile, rimediare al male fatto.
"A chiunque conosca la storia della Repubblica argentina, il nome di Lana ben noto. Mio padre,
che discendeva da una delle migliori famiglie della vecchia Spagna, ricopr le pi alte cariche dello
Stato, e sarebbe divenuto presidente se non fosse morto nella rivolta di San Juan. Una brillante
carriera avrebbe potuto schiudersi davanti a Ernest, mio fratello gemello e a me, se dei rovesci
finanziari non ci avessero messi in condizioni di doverci guadagnare la vita. Chiedo scusa, Vostro
Onore, se questi particolari possono sembrare irrilevanti, ma essi sono un'indispensabile
premessa a ci che deve seguire "Come ho gi detto, avevo un fratello gemello di nome Ernest.
Egli mi somigliava talmente che anche quando eravamo insieme la gente non riusciva a vedere
alcuna differenza fra noi due. Eravamo identici fin nel pi piccolo particolare. Con gli anni, questa
somiglianza si fece meno marcata perch le nostre espressioni non erano simili, ma in determinati
momenti la differenza nei nostri volti era minima.
"Non desidero parlare troppo di una persona che morta, tanto pi che egli era il mio unico
fratello, ma lascio un giudizio sul suo carattere a coloro che lo conoscevano meglio. Dir soltanto,
poich debbo dirlo, che in giovent io concepii un vero orrore per lui, e che l'avversione che mi
riempiva era motivata. La mia stessa reputazione ebbe a soffrire per causa sua, poich, per via
della nostra somiglianza, ero spesso ritenuto responsabile di molte sue azioni. Infine, in occasione
di un episodio particolarmente vergognoso, egli fece in modo di far ricadere tutto l'odio su di me in
maniera tale, che fui costretto a lasciare l'Argentina per sempre, e cercarmi un lavoro in Europa.
L'essermi liberato della sua odiata presenza mi ricompensava abbondantemente della perdita
della mia terra natia. Avevo abbastanza denaro per pagarmi gli studi di medicina a Glasgow, e mi
stabilii in seguito nella condotta di Bishop's Crossing, con la ferma convinzione che in quel remoto
paesetto del Lancashire non avrei mai pi saputo nulla di lui.
"Per anni le mie speranze si realizzarono, ma poi finalmente Ernest mi scopr. Un tale di Liverpool,
recatosi per caso a Buenos Ayres, lo mise sulle mie tracce. Aveva perso tutto il suo denaro, e
pens di raggiungermi e di spartirsi il mio. Conoscendo l'orrore che nutrivo per lui, pens
esattamente che sarei stato disposto a pagarlo purch mi lasciasse in pace. Ricevetti una sua
lettera, in cui mi annunciava il suo arrivo. Mi trovavo in un momento delicato, e temevo che il suo
arrivo avrebbe arrecato guai a coloro che io ero tenuto in particolar modo a proteggere da una
cosa del genere. Intrapresi pertanto dei passi per assicurarmi che qualsiasi danno ne potesse
venire, ricadesse soltanto su di me, e fu lui" qui il medico si volt a guardare l'imputato "il motivo
della mia condotta cos severamente giudicata. Il mio unico desiderio era di difendere coloro che
mi erano cari da ogni possibile pericolo di scandalo o di disonore.
"Mio fratello giunse una sera, non molto tempo dopo l'arrivo della sua lettera. Mi trovavo nel mio
studio dopo che i domestici erano andati a letto, quando udii un passo sulla ghiaia del giardino, e
dopo un istante vidi il suo volto che mi fissava attraverso la finestra. Neanche lui aveva la barba,
come non ce l'ho io, e la somiglianza fra noi due era ancora cos pronunciata che, per un istante,
pensai che si trattasse della mia propria immagine riflessa nel vetro. Egli portava una benda scura
su un occhio, ma i nostri lineamenti erano assolutamente identici. Poi Ernest sorrise con quel
ghigno sardonico che era stato suo fin da ragazzo, e io capii che era lo stesso fratello che mi
aveva cacciato dalla mia terra, coprendo di vergogna un nome onorato.
Andai alla porta e lo feci entrare. Saranno state circa le ventidue.
"Quando entr nel raggio di luce della lampada, vidi subito che era molto malconcio. Era giunto a
piedi da Liverpool, ed era stanco e ammalato. Fui sconvolto dalla sua espressione. Le mie nozioni
mediche mi dissero che egli soffriva di una grave malattia. Inoltre aveva bevuto, e il suo viso
recava i segni di una rissa sostenuta con dei marinai. Soltanto per coprirsi l'occhio pesto egli
portava la benda, ma se la tolse entrando nella stanza. Indossava un giaccone da marinaio e una
camicia di flanella, e i suoi stivali consunti lasciavano intravedere i piedi nudi. Eppure la miseria lo
aveva soltanto reso pi ferocemente vendicativo nei miei confronti. Il suo odio sfiorava la pazzia.
Io facevo una vita da nababbo, secondo lui, mentre lui moriva di fame nell'America meridionale.
Non occorre ripeta le sue minacce, o gli insulti di cui mi ricoperse. La mia impressione che la
miseria e la dissolutezza gli avessero sconvolto il cervello. Camminava su e gi per la stanza
come una belva in gabbia, chiedendomi da bere, chiedendomi denaro, e tutto nel linguaggio pi
osceno. Io perdo facilmente il controllo, ma per fortuna in quella occasione mi padroneggiai, e mai
alzai la mano su di lui. La mia freddezza serv soltanto a irritarlo maggiormente. Farneticava,
bestemmiava, mi scuoteva i pugni davanti al viso, poi improvvisamente un orribile spasimo gli
contrasse il volto, si batt una mano sul petto, e con un grido altissimo mi cadde ai piedi. Lo
sollevai e lo adagiai sul divano, ma i miei richiami non ebbero risposta, e la mano che tenevo nella
mia era fredda e viscida. Il cuore aveva ceduto. La sua violenza lo aveva ucciso.
"Rimasi a lungo seduto come in preda a uno spaventoso incubo, fissando il corpo di mio fratello.
Fui destato dalla Woods che bussava alla porta. Era stata disturbata da quel grido di morte.
La mandai a letto. Poco dopo, una paziente buss alla porta dello studio medico, ma poich io non
mi mossi, lui o lei che fosse, se ne and. A poco a poco, gradatamente, mentre mene stavo l
seduto, un piano prendeva forma nella mia mente, in quel curioso modo automatico in cui i piani si
formano. Quando mi alzai dalla sedia, i miei movimenti futuri erano irrevocabilmente decisi senza
che io avessi consapevolmente formulato dei pensieri. Era l'istinto che mi spingeva
irresistibilmente in una direzione.
"Fin da quel mutamento nella mia vita al quale ho accennato, Bishop's Crossing mi era diventata
intollerabile. I miei progetti per l'avvenire erano stati rovinati, e mi ero imbattuto in giudizi affrettati,
ero stato trattato in modo crudele proprio l dove mi ero aspettato di essere compreso. E' vero che
qualsiasi pericolo di scandalo da parte di mio fratello era scomparso con la sua morte; ma ero
addolorato dal passato, e sentivo che le cose non avrebbero potuto essere mai pi come una
volta. Pu darsi che la mia sensibilit mi avesse giocato un brutto scherzo e che non fossi
sufficientemente comprensivo verso gli altri, ma i miei sentimenti erano quelli. Non vedevo l'ora
che mi si presentasse un'occasione per lasciare Bishop's Crossing e tutti i suoi abitanti. Ed ecco
presentarsi un'occasione quale non avrei mai osato sperare, un'occasione che mi avrebbe dato
modo di dare un taglio netto al passato.
"C'era quest'uomo morto disteso sul divano, cos simile a me, che, tranne una certa gonfiezza e
grossolanit dei lineamenti, non vi era nulla che da me lo differenziasse. Nessuno lo aveva visto
arrivare, e nessuno si sarebbe accorto della sua scomparsa. N io n lui portavamo la barba, e i
suoi capelli erano circa della stessa lunghezza dei miei. Se io avessi scambiato i nostri abiti, il
dottor Aloysius Lana sarebbe stato trovato morto nel suo studio, e sarebbe stata la fine di un
disgraziato con una carriera rovinata. Avevo abbastanza danaro liquido e avrei potuto portarmelo
dietro; avrei potuto cos ricostruirmi una vita altrove. Vestito degli abiti di mio fratello, avrei potuto
camminare nottetempo fino a Liverpool senza richiamare l'attenzione, e in quel grande porto avrei
potuto trovare modo assai presto di andarmene dal paese. Dopo il crollo delle mie speranze, la pi
umile esistenza in un luogo dove fossi sconosciuto era di gran lunga preferibile, nel mio giudizio, a
una carriera, per quanto brillante, a Bishop's Crossing, dove in un momento qualsiasi potevo
trovarmi faccia a faccia con coloro che, se possibile, desideravo dimenticare. Decisi di effettuare lo
scambio.
"E cos feci. Non entrer in particolari, perch il ricordo mi altrettanto doloroso dell'esperienza
stessa; ma un'ora dopo mio fratello giaceva, rivestito fin nei minimi particolari, con i miei abiti,
mentre io me la svignavo per l'ingresso dello studio, e prendendo il viottolo sul retro che portava
attraverso i campi, mi misi in cammino verso Liverpool, dove giunsi la notte stessa. La borsa col
mio danaro e un certo ritratto erano le sole cose che mi portai dietro; nella fretta lasciai nello studio
la benda che mio fratello portava sull'occhio. Recai con me anche quanto gli era appartenuto.
"Le do la mia parola, Vostro Onore, che neanche per un istante mi pass per la mente l'idea che la
gente avrebbe potuto pensare che io fossi stato assassinato, e neppure immaginai che qualcuno
avrebbe potuto trovarsi in grave pericolo a causa di questo stratagemma, tramite il quale io
tentavo di rifarmi una nuova vita. Al contrario, era proprio il pensiero predominante di liberare gli
altri dal fardello della mia presenza. Un veliero salpava da Liverpool quel giorno stesso diretto a La
Coruna, e su di esso decisi di imbarcarmi, sperando che il viaggio mi avrebbe dato il tempo di
ritrovare il mio equilibrio, e di decidere per l'avvenire. Ma prima di partire, ebbi un ripensamento.
Riflettei che vi era una sola persona al mondo alla quale non volevo causare neanche un'ora di
dolore. Lei mi avrebbe pianto in cuor suo, per quanto rigidi e ostili potessero essere i suoi parenti.
Lei aveva capito e apprezzato le ragioni che mi avevano spinto ad agire come avevo agito, e se il
resto della sua famiglia mi disprezzava lei, almeno, non mi avrebbe dimenticato. Perci le scrissi
una lettera sotto il vincolo della segretezza per risparmiarle un dolore immotivato. Se, sotto la
pressione degli eventi, essa ha rotto quel vincolo, essa ha tutta la mia comprensione e il mio
perdono.
"Soltanto ieri sera sono ritornato in Inghilterra, e in tutto questo tempo non avevo saputo niente
dello scalpore suscitato dalla mia presunta morte, n del fatto che ne era stato incriminato Arthur
Morton. Lessi il resoconto della seduta di ieri in un giornale della sera, e sono arrivato qui stamani
con tutta la velocit consentitami da un treno diretto, per attestare la verit."
Questa fu la stupefacente dichiarazione del dottor Aloysius Lana, che provoc l'improvvisa
conclusione del processo. Una successiva indagine la corrobor fino al punto da individuare la
nave sulla quale suo fratello Ernest Lana aveva compiuto la traversata dall'America meridionale. Il
medico di bordo fu in grado di attestare che egli si era lamentato durante il viaggio di disturbi
cardiaci, e che i suoi sintomi erano compatibili con una morte come quella descritta.
Quanto ad Aloysius Lana, egli fece ritorno al villaggio dal quale era cos drammaticamente
scomparso, e una completa riconciliazione ebbe luogo fra lui e il giovane Morton, dopo che
quest'ultimo ebbe riconosciuto di avere grossolanamente frainteso i motivi che avevano spinto
l'altro a porre fine al suo fidanzamento. Un'altra riconciliazione ebbe luogo successivamente e i
risultati si possono dedurre da un trafiletto apparso nel "Morning Post":
"Il 19 settembre stato celebrato un matrimonio dal reverendo Stephen Johnson della parrocchia
di Bishop's Crossing. Gli sposi erano Aloysius Xavier Lana, figlio di Alfredo Lana, ex-Ministro degli
esteri della Repubblica argentina, e Frances Morton, figlia del compianto James Morton di Leigh
Hall, Bishop's Crossing nel Lancashire."



LA STANZA DEGLI INCUBI

Il salotto dei Mason era una stanza assai singolare. Una parte di esso era arredata
lussuosamente. I morbidi divani, le ampie, basse poltrone, le voluttuose statuette, e i ricchi
tendaggi che scendevano da alte e decorative griglie di ferro battuto, formavano una degna
cornice alla bellissima padrona di casa.
Appariva evidente che Mason, giovane ma ricco uomo d'affari, aveva fatto di tutto pur di
accontentare ogni desiderio e capriccio della sua incantevole moglie. Era naturale che cos fosse,
poich essa aveva rinunciato a molto per amor suo. La pi famosa ballerina di tutta la Francia,
l'eroina di una dozzina di romantiche storie d'amore, aveva rinunciato alla sua vita di sfavillanti
piaceri per condividere la sorte del giovane americano, il cui austero comportamento differiva tanto
dal suo.
In tutto quello che la ricchezza poteva procurare, egli tentava di ripagarla per ci che aveva
perduto. C'era forse chi pensava che sarebbe stato di miglior gusto non sbandierare questo fatto,
e tantomeno permettere che venisse reso pubblico ma, tranne alcune stranezze di questo tipo, il
suo comportamento era quello di un marito che non ha mai smesso neppure per un attimo di
essere anche amante.
La presenza di altre persone non ostacolava del resto la pubblica esibizione del suo travolgente
amore.
Eppure la stanza era strana. In un primo momento sembrava accogliente, ma un pi approfondito
esame rivelava le sue sinistre peculiarit. Era silenziosa, molto silenziosa. Nessun rumore di passi
poteva udirsi su quei ricchi e pesanti tappeti. Una lotta, perfino la caduta di un corpo, non avrebbe
fatto alcun rumore.
Inoltre, era stranamente priva di colore, sotto una luce che pareva sempre smorzata. N la sala
era arredata con un gusto coerente. Si sarebbe detto che quando il giovane banchiere aveva
speso dei milioni in questo boudoir, questo scrigno per il suo pi prezioso possedimento, egli si
fosse dimenticato di calcolare le spese e fosse stato bruscamente interrotto da una minaccia alla
propria solvibilit. Era lussuosa dalla parte che si affacciava sulla strada affollata. Dal lato opposto,
era nuda, spartana, e rifletteva pi il gusto di un asceta che non quello di un essere avido di
piaceri. Forse per questo la donna vi trascorreva poche ore della sua giornata, talvolta due,
talvolta quattro, ma mentre era l viveva intensamente, e, fra le pareti di questa stanza degli incubi,
Lucille Mason era un essere molto diverso e molto pi pericoloso che non altrove.
Pericoloso, ecco la definizione. Chi poteva dubitarne, vedendo la sua delicata figura reclinata sulla
grande pelle di orso che ricopriva il divano. Stava appoggiata sul gomito destro, il mento delicato
ma volitivo appoggiato sulla mano, mentre i grandi occhi languidi, incantevoli ma inesorabili,
guardavano davanti a s con una fissit che possedeva qualcosa di intenso e vagamente terribile.
Era un volto incantevole, un volto di fanciulla, eppure la natura vi aveva posto un marchio sottile,
un'espressione indefinibile, che poteva far presumere che in lei albergava un'anima diabolica. Era
stato notato che i cani la fuggivano, e che i bambini urlavano rifiutando le sue carezze. Vi sono
istinti pi profondi della ragione.
In un particolare pomeriggio qualcosa l'aveva turbata enormemente Aveva in mano una lettera
che leggeva e rileggeva, aggrottando quelle delicate piccole sopracciglia e serrando le deliziose
labbra. Improvvisamente trasal, e un'ombra di paura ammorbid la felina minaccia dei suoi
lineamenti. Si sollev sul braccio, e i suoi occhi erano ansiosamente fissi sulla porta. Ascoltava
intenta, tesa a percepire qualcosa che temeva. Per un attimo, un sorriso di sollievo illumin il suo
volto. Poi, con uno sguardo di orrore, si cacci la lettera nel corpetto dell'abito. Aveva a malapena
finito, quando la porta si apr, e un giovane entr a gran passi nella stanza. Era Archie Mason, suo
marito, l'uomo che essa aveva amato, l'uomo al quale aveva sacrificato la sua fama, l'uomo che
adesso lei considerava come l'unico ostacolo a una nuova e meravigliosa esperienza.
L'americano era un tipo di una trentina d'anni, atletico, vestito assai bene, con un abito aderente,
che delineava il suo corpo perfetto. Si ferm accanto alla porta, le braccia conserte, guardando
attentamente sua moglie. Il volto avrebbe potuto essere una bella maschera abbronzata se non
fosse stato per quegli occhi intensi. La donna era ancora reclinata, ma i suoi occhi erano fissi su
quelli di lui. Vi era qualcosa di terribile in quel dialogo muto. Ciascuno dei due interrogava l'altro, e
ciascuno dei due trasmetteva la sensazione che la risposta alla propria domanda era di vitale
importanza. Pareva che lui le chiedesse: "Che cos'hai fatto?". Lei a sua volta sembrava
domandargli: "Che cosa sai?". Infine, lui le si avvicin, si sedette sulla pelle d'orso accanto a lei, e
prendendole dolcemente l'orecchio delicato fra le dita, gir il viso verso di lui.
"Lucille" disse l'uomo "mi stai avvelenando?" La donna al suo contatto si ritrasse, il viso pieno di
orrore, le labbra pronte a protestare. Troppo turbata per poter parlare, il suo stupore e la sua
collera parevano mostrarsi piuttosto nelle mani gesticolanti e nei lineamenti convulsi. Tent di
alzarsi, ma la mano di lui le serrava il polso. Ancora una volta il marito le pose una domanda, ma
questa volta il suo terribile significato si era fatto pi pressante.
"Lucille, perch mi stai avvelenando?"
"Sei pazzo, Archie! Pazzo!" ansim la donna.
La risposta di Mason le raggel il sangue. Con le pallide labbra socchiuse e le guance sbiancate,
pot soltanto fissarlo in muta impotenza, mentre egli traeva una bottiglietta dalla sua tasca e gliela
metteva davanti agli occhi.
"Era nel tuo scrigno!" esclam.
Per due volte, essa tent di parlare, senza riuscirvi. Finalmente le parole uscirono lentamente una
ad una dalla sua bocca contorta:
"Perlomeno non me ne sono mai servita." Di nuovo l'uomo si infil in tasca una mano. Ne trasse
un foglio di carta, che egli apr mostrandoglielo.
"E' il certificato del dottor Angus. Dimostra la presenza di dodici grani di antimonio. Ho anche la
testimonianza di Du Val, il farmacista che l'ha venduto." Il viso di Lucille era terribile. Non poteva
dire niente. Poteva soltanto restare l sdraiata, con quello sguardo fisso e privo di speranza, come
un animale feroce caduto in una trappola mortale.
"Ebbene?" fece Mason.
Non vi fu risposta, tranne un gesto di disperazione e di supplica.
"Perch?" prosegu Mason. "Voglio sapere il perch." Mentre parlava, il suo occhio colse un lembo
della lettera che essa si era nascosta nel seno. In un lampo, l'ebbe in mano. Con un grido
disperato, la donna tent di recuperarla, ma lui la tenne discosta mentre i suoi occhi scorrevano
rapidamente il testo.
"Campbell!" esclam con voce soffocata. "Era Campbell!" Lucille aveva ritrovato il suo sangue
freddo. Non aveva pi niente da nascondere. Il volto le si indur. Gli occhi fiammeggiavano.
"S" disse " Campbell."
"Perdiana! Proprio Campbell!" Mason si alz, andando su e gi per la stanza a grandi passi.
Campbell, il miglior uomo che lui avesse mai conosciuto, un essere la cui vita intera era una
testimonianza di abnegazione, di coraggio, di tutte le qualit che contraddistinguono un uomo
superiore. Eppure, anche lui era caduto preda di questa sirena, ed era stato costretto ad
abbassarsi al punto di tradire, nelle intenzioni se non nei fatti, l'uomo la cui mano egli stringeva in
segno di amicizia. Era incredibile, eppure aveva sotto gli occhi l'appassionata, implorante lettera
nella quale costui supplicava sua moglie di fuggire e di tentare la sorte con un tipo che
praticamente non possedeva il becco d'un quattrino. Ogni parola della lettera dimostrava che
almeno Campbell non pensava affatto alla morte di Mason, quale mezzo per rimuovere ogni
ostacolo.
Quella diabolica soluzione era frutto della tortuosa e perversa mente che covava sotto
un'apparenza perfetta.
Mason era un tipo straordinario, un tipo di filosofo, di pensatore, provvisto di grande comprensione
verso gli altri. Per un attimo, il suo animo era stato sopraffatto dall'amarezza. In quel breve
intervallo, avrebbe potuto uccidere sia sua moglie che Campbell, e affrontare la propria morte con
la serenit di uno che ha soltanto fatto il suo dovere. Ma pochi secondi dopo, mentre camminava
su e gi per la stanza, pensieri pi equilibrati avevano cominciato a prevalere. Come poteva
incolpare Campbell? Conosceva il diabolico potere di questa donna. Non si trattava soltanto della
sua meravigliosa bellezza fisica. Essa aveva l'impareggiabile dote di mostrarsi interessata a un
uomo, di intrufolarsi nel pi profondo del suo animo, in quelle parti della natura che erano troppo
sacre per mostrarle di fronte al mondo, e di fingere di stimolarlo all'ambizione e perfino alla virt.
Era proprio l che si affermava il letale potere della sua rete. Mason ricordava come fossero
andate le cose nel suo caso. Lei allora era libera, o cos aveva creduto, e aveva potuto sposarla.
Ma supponiamo che non fosse stata libera. Supponiamo che fosse gi sposata. E supponiamo
che essa si fosse impossessata della sua anima nello stesso modo. Lui si sarebbe fermato l?
Sarebbe stato in grado di allontanarsi da lei con i suoi desideri insoddisfatti?
Fu costretto ad ammettere che, nonostante la sua forza d'animo, non avrebbe potuto farlo.
Perch, allora, doveva provare tanta amarezza nei confronti del suo disgraziato amico che era
nella sua stessa situazione? Furono dei sentimenti di piet, di umana comprensione a riempirgli la
mente mentre pensava a Campbell.
E lei? Eccola l, distesa sul divano, una povera farfalla spezzata, con i suoi sogni infranti, il suo
complotto scoperto, il suo avvenire buio e incerto. Anche per lei, omicida non ancora arrivata
all'ultimo atto, il suo cuore si impietos. Egli conosceva il suo passato, sapeva che fin dalla nascita
era stata una bambina viziata, che era stata un essere incontrollato, che aveva travolto ogni cosa
con la sua sensitivit, la bellezza, e il fascino. Non aveva mai conosciuto ostacoli. Ed ora uno le si
parava davanti, e lei, con folle perfidia, aveva tentato di farlo fuori. Ma se aveva provato il
desiderio di eliminarlo, non era quello un segno intrinseco che lui, Mason, era stato trovato
mancante, che non era lui l'uomo che potesse darle serenit e tranquillit? L'americano era troppo
rigido e riservato per quella natura allegra e volubile. Lui era un tipo nordico, lei era meridionale e
per un certo periodo erano stati fortemente attratti l'uno verso l'altra appunto perch tanto diversi,
ma essi non erano fatti per un legame duraturo. Egli avrebbe dovuto prevederlo, avrebbe dovuto
capirlo. Era su di lui, con la sua superiore intelligenza, che ricadevano le responsabilit della
situazione. Ebbe verso di lei della tenerezza, come verso un bambino che, senza alcuna colpa, si
trovi nei guai. Mentre rifletteva, Mason aveva camminato su e gi per la stanza in silenzio, le
labbra serrate, i pugni stretti. Ora, con un movimento improvviso, si sedette accanto a lei e prese
una delle sue mani fredde e inerti. Un pensiero gli martellava nel cervello.
"E' generosit o debolezza, la mia?" L'interrogativo gli risuonava nelle orecchie, si formulava
davanti ai suoi occhi, poteva quasi immaginarlo materializzato, scritto a chiare lettere in modo che
tutto il mondo potesse leggerlo.
Una dura lotta, ma Mason aveva vinto.
"Sceglierai fra noi due, mia cara" le disse infine. "Se sei veramente sicura, sicura capisci, che
Campbell ti potr far felice come marito, io non ti ostacoler."
"Divorzio?" esclam la donna con voce soffocata.
La mano di Mason si strinse sulla bottiglietta di veleno. "Puoi averlo" disse.
Una nuova, strana luce splendeva negli occhi di Lucille mentre guardava suo marito. Quest'uomo
le era sconosciuto, l'americano duro e concreto era scomparso. Le parve di vedere al suo posto
un eroe, un santo, un essere capace di assurgere a vette sovrumane di altruismo. Stringeva con le
due mani quella di lui, stretta sulla fiala letale.
"Archie" esclam la donna "sapresti perdonarmi anche questo!" Mason la guard sorridendo.
"Dopotutto, sei soltanto una bambina capricciosa." Lucille gli stava tendendo le braccia quando
bussarono alla porta e la cameriera entr nello strano modo silenzioso in cui ogni cosa si muoveva
in quella stanza degli incubi. Portava su un vassoio un biglietto. Lucille vi gett un'occhiata.
"Il capitano Campbell, Non voglio vederlo." Mason balz in piedi.
"Al contrario, che sia il benvenuto. Lo faccia passare immediatamente."
Dopo poco, un giovane alto e abbronzato fece il suo ingresso nella sala. Entr con un sorriso sul
volto attraente, ma come la porta si richiuse alle sue spalle, e le due persone davanti a lui
riassumevano la loro espressione naturale, egli si ferm indeciso e guard l'uno poi l'altra.
"Ebbene?" chiese.
Mason gli si avvicin e gli appoggi una mano sulla spalla.
"Non ti serbo rancore."
"Rancore?"
"S, so tutto. Ma forse avrei fatto lo stesso anch'io, se la situazione fosse stata capovolta."
Campbell indietreggi e guard la donna con sguardo interrogativo.
Essa annu, alzando le belle spalle. Mason sorrise.
"Non temere, non una trappola per costringerti a confessare.
Lucille e io ne abbiamo parlato con tutta franchezza. Senti, Jack, tu sei sempre stato un buon
giocatore. Ecco qua una bottiglia. Non mi chiedere da dove proviene. Se uno di noi due la beve,
risolverebbe la situazione." Parlava in modo incontrollato, quasi delirante. "Lucille, scegli, chi dei
due deve berla?" Una strana forza si era imposta nella stanza degli incubi. Un terzo uomo era l
presente, bench non uno dei tre che si trovavano nel momento cruciale della loro vita aveva il
tempo o la voglia di pensare a lui. Da quanto tempo si trovasse l, o quanto avesse udito, nessuno
era in grado di dirlo. Nell'angolo pi lontano dal piccolo gruppo, egli giaceva rannicchiato contro la
parete, una sinistra, serpentina figura, muta e quasi immobile, tranne una contrazione nervosa
della mano destra serrata. Era nascosto, coperto da una cassetta quadrata e da un panno scuro
astutamente appeso sopra ad essa, in modo da celare il suo volto.
Attento, osservando ansiosamente ogni nuovo sviluppo del dramma, era quasi giunto al momento
del suo intervento. Ma i tre non pensavano a quello. Assorti nelle proprie emozioni, avevano
dimenticato l'esistenza di una forza pi potente di loro stessi, una forza che avrebbe potuto
dominare la scena da un momento all'altro.
"Ci stai, Jack?" chiese Mason.
Il militare annu.
"No,... per l'amor di Dio, no!" grid la donna.
Mason aveva stappato la bottiglietta e, andando verso il tavolino, prese un mazzo di carte. Carte e
bottiglia erano vicine.
"Non possiamo lasciare a lei la responsabilit" disse Mason. "Su, Jack, la carta pi alta." Il militare
si avvicin al tavolo. Le sue dita sfiorarono le carte fatali. La donna, appoggiata su una mano,
protese il volto e fiss i due uomini con occhi affascinati.
Allora, e soltanto allora, il fulmine squarci l'atmosfera:
L'estraneo si era alzato, pallido e grave.
Tutti e tre furono improvvisamente consci della sua presenza. Si rivolsero a lui, con uno sguardo di
impaziente interrogativo. Egli li guard freddamente, con tristezza, con qualcosa di didascalico nel
suo atteggiamento.
"Com'era?" gli chiesero, insieme.
"Schifoso!" replic lui. "Schifoso! Domani dovremo girare daccapo la scena."




LO SPECCHIO D'ARGENTO
3 gennaio. Questa revisione dei conti di White e Wotherspoon si sta rivelando un'impresa titanica.
Vi sono venti grossi libri mastri da esaminare e controllare. Ecco cosa capita, quando si il socio
pi giovane in una ditta. Comunque, la prima volta che mi viene affidato un vero e proprio
incarico, e debbo dimostrarmi all'altezza. Ma devo portarlo a termine, questo incarico, in modo che
gli avvocati possano averne l'esito in tempo utile per il processo. Johnson ha detto stamattina che
dovr controllare tutto entro il venti del mese. Santo cielo! Be', far del mio meglio, e se mente
umana e sistema nervoso resisteranno allo sforzo, me la caver. Ci significher lavorare in ufficio
dalle dieci alle diciassette, e poi rimettermi al lavoro dalle venti all'una del mattino. Anche la vita di
un contabile pu essere drammatica.
Quando, nelle silenziose ore notturne, mentre tutto il mondo dorme, mi trovo intento a cercare
accanitamente in una colonna dopo l'altra quelle cifre mancanti che trasformeranno un rispettabile
assessore municipale in un delinquente, capisco che la mia non poi una professione tanto
prosaica.
Luned ho individuato la prima traccia di appropriazione indebita.
Mai nessun cacciatore prov maggior emozione, scorgendo per primo le tracce della preda.
Guardo i venti libri mastri, e penso alla giungla attraverso la quale dovr inseguire la mia preda
prima di poterla afferrare. Un duro lavoro... ma anche un divertimento emozionante, in un certo
senso! Ho avuto occasione di incontrare l'individuo in questione a una cena ufficiale; ricordo il suo
faccione rubicondo al di sopra del tovagliolo bianco. Stava guardando un ometto pallido seduto in
fondo al tavolo. Anche lui sarebbe stato pallido, se avesse saputo il compito che avrei dovuto
svolgere.
6 gennaio. Che assurdit da parte dei medici, ordinare il riposo quando il riposo fuori questione!
Idioti! Tanto varrebbe gridare a un uomo inseguito da un branco di lupi che la cosa di cui ha
bisogno l'assoluta tranquillit. Devo concludere la verifica delle cifre entro una data precisa; se
non lo faccio, perder un'occasione unica, e quindi come diavolo posso riposare? Mi prender una
settimana di vacanza dopo il processo.
Forse stato sciocco da parte mia l'essere andato dal dottore. Ma divento nervoso e iperteso
quando sto seduto al tavolino, di notte. Non si tratta di un dolore, ma di una specie di confusione in
testa, e ogni tanto di un annebbiamento alla vista. Avevo pensato che forse del bromuro, o della
valeriana, o qualcosa del genere avrebbero potuto giovarmi. Ma interrompere il lavoro?
Assurdo pretendere una cosa simile. E' come quando si partecipa a una lunga corsa. Dapprima ci
si sente strani, il cuore martella e i polmoni ansimano, ma se soltanto si ha la forza di tener duro,
si riprende fiato. Continuer a lavorare e aspetter di riprendere fiato. Se non lo riprender,
pazienza, continuer ugualmente a lavorare. Due libri mastri sono finiti, e il terzo gi a buon
punto. Quel mascalzone ha nascosto bene le sue tracce, ma io le scoprir nonostante tutto.
9 gennaio. Non avevo alcuna intenzione di tornare dal medico.
Eppure ho dovuto farlo. "Sta compiendo uno sforzo eccessivo, rischia un grave esaurimento
nervoso, mette perfino in giuoco la sua sanit mentale." Bella roba, sentirsi dire una frase simile.
Be', resister allo sforzo e correr il rischio, e fintanto che sar in grado di star seduto in una sedia
e di muovere la penna, seguir le orme di quel vecchio furfante.
A proposito, tanto vale che annoti qui la strana esperienza che mi ha spinto a recarmi dal medico
per la seconda volta. Terr un'esatta documentazione dei miei sintomi e delle mie sensazioni,
perch sono interessanti in se stessi, "un curioso studio psico - fisico", dice il medico; e anche
perch sono sicurissimo che quando li avr superati, mi sembreranno confusi e irreali, come uno
strano sogno fatto nel dormi - veglia. Cos ora, finch sono freschi, li appunter, se non altro per
distrarmi da quelle interminabili cifre.
Nella mia stanza ho un antico specchio con la cornice d'argento.
Mi stato regalato da un amico, appassionato di oggetti antichi, il quale, a quanto pare, lo aveva
comperato a una vendita all'asta e non aveva la minima idea di dove provenisse. E' un oggetto
piuttosto grande, largo un metro e alto un'ottantina di centimetri e, mentre scrivo, si trova alla mia
sinistra, appoggiato alla parete sopra a una credenza. La cornice piatta, larga circa sei
centimetri, e molto vecchia; di gran lunga troppo vecchia per avere marchi di fabbrica o altri segni
in base ai quali poter determinare la sua et. Lo specchio ne emerge, con un bordo smussato, e
possiede quella qualit di riflettere le immagini in modo eccezionale, che si trova soltanto, secondo
me, negli specchi molto antichi. Specchiandovisi, d un senso di prospettiva come nessuno
specchio moderno potr mai dare.
Lo specchio sistemato in modo tale che, quando sto al mio tavolo, non riesco a vedervi altro se
non il riflesso dei tendaggi rossi della finestra. Ma ieri sera avvenuta una cosa strana.
Stavo lavorando da parecchie ore, e assai svogliatamente con continui ritorni di quel disturbo alla
vista cui ho gi accennato.
Pi d'una volta sono stato costretto a interrompere e a riposare gli occhi. Be', in uno di quegli
intervalli il caso ha voluto che guardassi lo specchio. Aveva un aspetto stranissimo. I tendaggi
rossi che avrebbero dovuto esservi riflessi non si vedevano pi, ma lo specchio pareva essere
rannuvolato e coperto di vapore, non in superficie, poich riluceva come l'acciaio, ma in
profondit, nella fibra stessa dello specchio. Questa opacit, mentre la fissavo intensamente,
parve roteare lentamente, prima da una parte, poi dall'altra, fino a trasformarsi in una spessa nube
bianca che turbinava in pesanti volute. Tanto l'immagine era reale e concreta, e tanto io ero in me,
che ricordo di essermi voltato, convinto che i tendaggi avessero preso fuoco. Ma tutto nella stanza
era mortalmente immobile: nessun suono tranne il ticchettio dell'orologio, nessun movimento
tranne il lento turbinare di quella strana, soffice nube, profondamente radicata nel cuore dell'antico
specchio.
Poi, mentre guardavo, il vapore, o il fumo, o la nuvola, in qualsiasi modo la si voglia definire, parve
concentrarsi e solidificarsi in due punti piuttosto ravvicinati, e mi avvidi, con un brivido di interesse
anzich di paura, che quei punti erano due occhi che guardavano nella stanza. Potevo intravedere
anche il vago contorno di una testa... una testa di donna a giudicare dai capelli, ma quella parte
restava nell'ombra. Soltanto gli occhi spiccavano, ma quali occhi! Scuri, luminosi, colmi di una
fortissima emozione, furia od orrore. Mai ho visto occhi cos pieni di vita intensa e fremente. Non
erano intenti su di me, ma guardavano fissamente nella stanza. Poi, come mi raddrizzai,
passandomi una mano sulla fronte e facendo uno sforzo su me stesso per dominarmi, la vaga
figura scomparve nell'opacit, lo specchio lentamente si schiar e vidi nuovamente apparire i
tendaggi rossi.
Uno scettico direbbe indubbiamente che mi ero addormentato sulle mie cifre, e che la mia
esperienza era un sogno. A dire il vero non sono mai stato cos sveglio in vita mia. Ero in grado di
discuterne perfino mentre guardavo quell'immagine, e di dirmi che si trattava di un'impressione
soggettiva, di uno scherzo dei nervi, nato dalla preoccupazione e dall'insonnia. Ma perch proprio
quella forma? E chi era quella donna, quale la terribile emozione che leggo in quei magnifici occhi
castani? Essi si frappongono fra me e il mio lavoro. Per la prima volta, sono venuto meno al
compito quotidiano che mi ero prefisso. Forse per ci che stasera non ho provato nessuna
sensazione abnorme. Domani devo rimettermi al lavoro, succeda quello che succeda.
11 gennaio. Tutto bene; proseguo nel mio lavoro. Tendo la rete, un capo dopo l'altro, attorno a
quel corpo massiccio. Forse per sar lui a trionfare, se i miei nervi si spezzeranno nella fatica. Lo
specchio sembra essere una specie di barometro che segna la pressione nel mio cervello. Ogni
notte ho notato che si appannato prima che giungessi alla fine del mio compito.
Il dottor Sinclair (che , a quanto pare, un po' uno psicologo) si talmente interessato al mio
racconto, che stasera venuto a trovarmi per dare un'occhiata allo specchio. Avevo gi notato
che qualcosa stava scarabocchiato sul retro della cornice, a caratteri antichi. Il medico li ha
esaminati con una lente, ma non riuscito a decifrarli. "Sanc. X. Pal." ci che ne ha ricavato, ma
questo non ci stato di grande aiuto. Mi ha consigliato di mettere lo specchio in un'altra stanza;
ma, dopo tutto, qualsiasi cosa io vi veda, lo ha ammesso lui stesso, soltanto un sintomo.
Il pericolo sta nella causa. I venti libri mastri, e non lo specchio d'argento, dovrebbero essere
riposti, se solo potessi farlo. Sono gi all'ottavo, quindi faccio progressi.
13 gennaio. Forse, dopo tutto, avrei fatto bene a portare altrove lo specchio. La notte scorsa esso
mi ha procurato una straordinaria esperienza. Eppure lo trovo cos interessante, cos pieno di
fascino, che continuer ugualmente a lasciarlo al suo posto. Che cosa diavolo pu significare tutto
ci?
Dovevano essere circa l'una, e io stavo chiudendo i libri in procinto di buttarmi sul letto, quando
vidi la donna, l davanti a me. La fase di annebbiamento e di formazione doveva essere passata
inosservata, e improvvisamente eccola l, in tutta la sua bellezza e passione e pena, cos viva
come se fosse stata davvero davanti a me in pelle e ossa. La figura era piccola, ma molto netta,
tanto che ogni suo lineamento e ogni particolare del suo abito sono impressi nella mia memoria. E'
seduta nella zona sinistra dello specchio. Una figura indistinta accovacciata accanto a lei, riesco
a malapena a distinguere che si tratta di un uomo; dietro a loro c' una nuvola, nella quale vedo
altre figure, figure in movimento. Non semplicemente un quadro che vedo. E' una scena vivente,
un vero e proprio episodio. La donna si stringe le braccia, tutta fremente. L'uomo accanto a lei sta
rannicchiato, in preda al terrore. L'interesse da me provato allontana ogni mio timore. Mi rende
furioso il poter vedere tanto, ma non di pi.
Posso almeno descrivere la donna fin nel pi piccolo particolare.
A mio giudizio molto bella e piuttosto giovane, e non pu avere pi di venticinque anni. I capelli
sono di un bellissimo colore bruno, con dei caldi riflessi castani che si tramutano in oro. Una
piccola cuffietta aderente di trine bordata di perle le delimita la fronte. La fronte alta, troppo alta
forse perch la sua bellezza sia perfetta, ma non si potrebbe desiderare che fosse altrimenti,
poich d un tocco di autorevolezza e di forza a un volto che altrimenti sarebbe dolcemente
femminile. Le sopracciglia formano un arco delicato al di sopra delle palpebre pesanti. Gli occhi
sono stupendi: cos grandi, cos scuri, cos colmi di un'incontrollabile emozione, di rabbia e di
orrore, in lotta con la volont di controllarsi che la trattiene dalla disperazione! Le guance sono
pallide, le labbra sbiancate dall'agonia, il mento e il collo squisitamente tondeggianti. La figura,
seduta su una sedia, si protende in avanti, tesa e rigida, folle di orrore.
L'abito di velluto nero, un gioiello le splende come una fiamma sul seno, e un crocifisso d'oro
arde cupo nell'ombra di una piega.
Questa la dama la cui immagine vive ancora nell'antico specchio d'argento. Quale pu essere lo
spaventoso fatto che ha lasciato l la sua impronta, facendo s che oggi, in un'altra epoca, non
appena lo spirito di un uomo sia sufficientemente provato, egli possa essere consapevole della
sua presenza?
Ancora un particolare: in basso, sul lato sinistro dell'abito nero vi era, o cos mi parve a prima
vista, un informe nodo di nastri bianchi. Poi, guardando con maggior attenzione, o forse
definendosi pi chiaramente la visione, capii ci che era. Era la mano di un uomo, contratta e
sbiancata dall'agonia, avvinghiata con una stretta convulsa alla piega dell'abito. Il resto della figura
accovacciata era appena una vaga ombra, ma quella mano aggrappata spiccava chiaramente
sullo sfondo scuro, con un sinistro senso di tragedia nel suo disperato gesto. L'uomo
spaventato, terribilmente spaventato. Questo lo discerno chiaramente. Che cosa lo ha terrorizzato
a quel punto? Perch stringe l'abito della donna? La risposta sta nelle figure sullo sfondo. Esse
sembrano portare pericolo sia a lei che a lui.
L'interesse della scena mi teneva avvinto. Non ho pi pensato al suo rapporto con i miei nervi.
Guardavo fissamente come fossi stato a teatro. Ma non sono andato oltre. La nebbia si diradata.
Vi furono movimenti affannosi in cui tutte le figure si trovavano vagamente coinvolte. Poi lo
specchio fu di nuovo limpido.
Il medico dice che devo smetterla di lavorare per un giorno, e invero posso farlo perch ho
proceduto alacremente negli ultimi tempi. E' evidentissimo che le visioni dipendono solo dalla
condizione dei miei nervi, perch stasera sono rimasto seduto per un'ora davanti allo specchio,
senza alcun risultato. La giornata di riposo ha cacciato ogni visione. Mi domando se riuscir mai a
comprendere appieno il loro significato.
Stasera ho esaminato lo specchio con una buona luce; accanto alla misteriosa scritta "Sanc. X.
Pal.", sono riuscito a scoprire tracce di uno stemma araldico, appena appena visibili sull'argento.
Devono essere antichissime, poich sono quasi del tutto scomparse. Se ho decifrato bene, si
tratta di tre punte di lancia, due in alto e una in basso. Le mostrer al medico quando verr
domani.
14 gennaio. Mi sento nuovamente in forma, e non intendo che qualcosa si frapponga fra me e il
mio lavoro, almeno finch non avr concluso. Ho mostrato al medico le scritte sullo specchio e lui
era d'accordo nel sostenere che si tratta di uno stemma araldico. E' estremamente interessato a
tutto ci che gli ho raccontato, anzi ha voluto che lo informassi su ogni particolare.
Mi diverte notare come egli sia diviso fra due desideri contrastanti: da una parte, che il suo
paziente guarisca dai sintomi; dall'altra, che il medium, poich tale mi considera, riesca a risolvere
questo mistero del passato. Mi ha consigliato di rimettermi quieto, a riposo, ma non si ribellato
troppo alla mia dichiarazione che un fatto simile impensabile finch i rimanenti dieci libri mastri
non siano stati controllati.
17 gennaio. Per tre notti non ho avuto ulteriori esperienze; il mio giorno di riposo ha dato i frutti
sperati. Mi resta da fare soltanto un quarto del mio compito, ma si tratter di una marcia forzata,
poich gli avvocati reclamano a gran voce il materiale.
Ne avr fin troppo di materiale da consegnar loro. Ne ho scoperte di belle, sul conto di quel
delinquente. Quando si renderanno conto di quanto infido e astuto sia quel mascalzone, dovrei
trarne un certo prestigio. Fatture falsificate, bilanci alterati, dividendi attinti dal capitale, perdite
segnate come guadagni, soppressione di costi, giochetti con la piccola cassa... un bel primato!
18 gennaio. Mal di testa, tic nervosi, annebbiamenti alla vista, le tempie scoppiano: tutti i cenni
premonitori di guai vicini, e i guai non si sono fatti aspettare. Eppure, il mio vero dispiacere non
tanto che la visione mi si presenti, quanto che si interrompa prima che tutto sia stato svelato.
Ma stanotte ho visto di pi. L'uomo accovacciato era altrettanto ben visibile quanto la dama alla
cui veste egli si stringeva. E' un uomo piccolo, di pelle scura, con una barba nera e appuntita.
Indossa un'ampia veste bordata di pelliccia. Il colore predominante sul suo abito il rosso. Com'
terrorizzato, quel poveretto! Si rannicchia, tutto tremante, e guarda alle sue spalle con sguardo
malevolo. Ha in una mano un piccolo pugnale, ma assolutamente intimorito e vile per servirsene.
Ora comincio a distinguere vagamente le figure sullo sfondo. Volti feroci, barbuti e scuri, prendono
forma nella nebbia. Vedo un essere spaventoso, uno scheletro vivente, le guance incavate e gli
occhi infossati nella testa. Anche costui ha in mano un coltello. Un uomo alto, molto giovane, dai
capelli biondi, dal volto torvo e duro sta in piedi sulla destra della donna. La bellissima dama alza
gli occhi verso di lui con sguardo supplichevole. Altrettanto fa l'uomo rannicchiato accanto a lei.
Questo giovane pare essere l'arbitro del loro destino. L'uomo accovacciato si avvicina ancora di
pi alla donna, nascondendosi fra le sue gonne. Il giovane alto si china e tenta di strapparlo da lei.
Tutto questo ho visto stanotte prima che lo specchio ridiventasse limpido. Non sapr mai come
finisce questa storia? Non si tratta di semplice immaginazione, di ci sono pi che certo. Questa
scena accaduta in un luogo, in una determinata epoca e l'immagine si riflessa nell'antico
specchio. Ma dove?... Quando?...
20 gennaio. Il mio lavoro sta per giungere alla fine, ed era ora.
Sento una tensione, un senso di costrizione intollerabile che mi dice che qualcosa deve
succedere. Ho lavorato fino allo stremo delle mie forze. Questa dovrebbe essere per l'ultima
sera. Con uno sforzo supremo dovrei finire l'ultimo libro mastro e concludere il caso prima di
alzarmi dalla sedia. Devo riuscirci.
Ci riuscir.
7 febbraio. Ci sono riuscito. Ma che esperienza, Non so ancora se le mie forze mi consentiranno di
metterla per iscritto.
Permettete che, prima di tutto, io spieghi come stia scrivendo questi appunti nella clinica privata
del dottor Sinclair, circa tre settimane dopo l'ultima annotazione nel mio diario. La notte del 20
gennaio il mio sistema nervoso ha finalmente ceduto, e non ricordo pi nulla di quanto accaduto
in seguito, finch non mi sono ritrovato qui, tre giorni fa, in una casa di cura. Ora posso riposare
con la coscienza in pace. Prima di crollare ho portato a termine il mio lavoro. Le mie cifre sono in
mano agli avvocati. La caccia finita.
Adesso devo descrivere l'ultima nottata. Avevo giurato di finire il mio lavoro, e mi ci dedicai con
tanta costanza, bench mi sentissi scoppiare la testa, che mi rifiutai cocciutamente di alzare gli
occhi fin quando non avessi finito di controllare l'ultima colonna di cifre. Eppure era una
imposizione crudele, poich sapevo che per tutto il tempo nello specchio stavano succedendo
cose meravigliose. Me lo diceva ogni nervo del mio corpo. Ma se avessi alzato gli occhi, sarebbe
stata la fine del mio lavoro. Non sollevai dunque lo sguardo finch non ebbi finito tutto. Allora,
quando gettai la penna con la testa in fiamme e alzai gli occhi, quale visione!
Lo specchio nella sua cornice d'argento era una specie di palcoscenico meravigliosamente
illuminato, sul quale si stava svolgendo un dramma. Non vi era pi nebbia. La tensione dei miei
nervi aveva provocato questa stupefacente chiarezza. Ogni espressione, ogni movimento era
nitido come in una scena di vita reale. Strano come io, uno stanco contabile, l'essere pi prosaico
della razza umana, davanti a me i libri mastri di un astuto delinquente, debba essere stato scelto
fra tutti gli uomini per contemplare una simile scena!
La scena era la stessa e uguali erano i personaggi, ma il dramma aveva progredito. Il giovane alto
stava stringendo fra le braccia la donna. Lei cercava di sfuggire alla stretta e lo guardava con
espressione d'odio. Avevano allontanato con la forza dalla donna l'uomo rannicchiato. Una
dozzina di esseri selvaggi e barbuti, lo circondavano. Lo stavano massacrando a colpi di pugnale.
Pareva che lo colpissero all'unisono. Le loro braccia si alzavano e ricadevano. Il sangue non
sgorgava da lui: zampillava. La veste rossa ne era tutta macchiata. Egli si gettava da una parte e
dall'altra, grondante di rosso sangue, come una susina troppo matura. Eppure essi continuavano a
pugnalarlo, e il sangue continuava a zampillare. Era orribile!... Lo trascinarono verso la porta
mentre lui tentava ancora di scalciare. La donna volt la testa per guardarlo, la bocca spalancata.
Non udivo nulla, eppure sapevo che stava urlando. Poi, non so se per via della terrificante visione
che mi stava di fronte, o se invece per l'eccesso di fatica delle ultime settimane, la stanza prese a
girarmi attorno, il pavimento parve sprofondare sotto i miei piedi; dopodich non ricordo pi nulla.
L'indomani mattina, di buonora, la padrona di casa mi ha trovato steso, privo di sensi, davanti allo
specchio d'argento, ma io stesso non ricordo altro finch non mi sono svegliato tre giorni fa nella
pace assoluta della casa di cura del mio medico.
9 febbraio. Soltanto oggi ho raccontato al dottor Sinclair la mia esperienza. Finora non mi aveva
permesso di parlare di questo argomento. Mi ha ascoltato con profondo interesse.
"Lei non crede di poter identificare tutto questo con un noto episodio storico?" mi chiese
sospettoso.
Lo assicurai che non conosco la storia.
"Non ha proprio idea dell'origine di quello specchio, n a chi appartenesse una volta?" continu il
medico.
"E lei lo sa?" chiesi a mia volta, poich la sua domanda mi era parsa densa di significato.
"E' incredibile" disse Sinclair "eppure come si pu spiegarlo altrimenti? Le scene che lei mi aveva
descritto precedentemente lo suggerivano, ma adesso le cose sono andate oltre ogni possibilit di
coincidenza! Questa sera le porter alcuni appunti." Ed ecco quanto mi disse quella sera.
Permettete che annoti le sue parole quanto pi esattamente possibile. Ha esordito appoggiando
vari volumi ammuffiti sul mio letto.
"Questi li potr consultare con suo comodo" mi ha detto. "Ho qui degli appunti che lei potr
controllare. Non vi alcun dubbio che ci che lei ha visto l'assassinio di Rizzio da parte dei nobili
scozzesi alla presenza della regina Mary, che avvenne nel marzo del 1566. La descrizione da lei
fatta della donna assai precisa.
La fronte alta e le palpebre pesanti accoppiate a una grande bellezza, difficilmente potrebbero
riferirsi a due donne. Il giovane alto era suo marito, Darnley. Rizzio, dice la cronaca, "era vestito di
un'ampia veste da camera bordata di pelliccia, con calze di velluto color ruggine". Con una mano
si aggrappava alla veste di Mary, con l'altra teneva un pugnale. L'uomo dall'espressione feroce e
dagli occhi infossati era Ruthven, appena rimesso da lunga malattia. Ogni particolare
corrisponde."
"Ma perch a me?" chiesi, sconcertato. "Perch di tutti gli uomini, proprio a me?"
"Perch lei era in una condizione mentale idonea a ricevere l'impressione. Perch per puro caso
possedeva lo specchio..."
"Lo specchio!" gridai. "Lei dunque convinto si tratti dello specchio della regina Mary.. che si
trovasse nella stanza dove successe il fatto storico?"
"Sono convinto che si tratti dello specchio di Mary. Essa era stata regina di Francia. I suoi oggetti
personali avrebbero recato l'insegna reale. Ci che lei ha scambiato per tre punte di lancia erano
in realt i gigli di Francia."
"E la scritta?"
"Sanc. X. Pal" la si pu spiegare con "Sanctae Crucis Palatium".
Qualcuno ha segnato sullo specchio il luogo donde proveniva. Era il Palazzo della Santa Croce."
"Holyrood!" esclamai.
"Precisamente. Il suo specchio proveniva da Holyrood. Lei ha avuto un'esperienza unica ed
riuscito a liberarsene. Mi auguro che non si metter mai pi in condizioni di doverne affrontare una
analoga."

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