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MASSONERIA UNIVERSALE
COMUNIONE ITALIANA
GRANDE ORIENTE D’ ITALIA
PALAZZO GIUSTINIANI

R.L. LEONESSA ARNALDO


N. 751 ALL’ORIENTE DI BRESCIA

LE ORIGINI MITRAICHE DELLA MASSONERIA

Il tema di questa Tavola è davvero ampio ed un po’ pretenzioso.


Pensare di poter presentare la tesi sottesa nel titolo e di poterne sostenere la fondatezza
tramite un consistente repertorio iconografico a sostegno, appare un’illusione pericolosa che
può risolversi in una bruciante delusione.

Chiedo pertanto ai Fratelli tutti di essere comprensivi con colui che si accinge al compito se
le capacità non saranno adeguate all’obiettivo perseguito.

IL CULTO DI MITHRA

Mithra è un dio antichissimo di origine indo-iranica la cui devozione è attestata già intorno
al 1400 a.C. in un trattato di amicizia tra gli Hittiti e Mitanni.

Da allora la sua presenza rimane costantemente attestata nell’area turco-iranico-indiana ed


in particolare, egli è presente nelle parti più antiche dei Veda, il testo sacro della religione
indù, ove è rappresentato come una divinità solare, seconda solo per potenza al grande
Varuna.
Fig.1 Il dio Mithra con la corona solare.

Alle caratteristiche naturalistiche solari associate tradizionalmente al dio Mithra, si


associano delle qualità più ideali e filosofiche.
Infatti, come il Sole, dall’alto del cielo, vede e controlla tutte le attività umane, così Mithra
svolge una funzione di controllore e garante dell’umana fede.
In questo senso, si giustifica la costante presenza di Mithra nei testi degli accordi
diplomatici delle Grandi Potenze dell’area che sottoponevano alla verifica diuturna del dio
Sole-Mithra la costante osservanza della parola data.
D’altronde, la stessa radice etimologica dalla quale deriva Mithra, la parola indo-iranica
(m)ithr significa “pace”, “accordo” o “giuramento”.

Il dio Mithra, dunque, soprattutto nell’ambiente iranico, assume nel tempo il ruolo di
garante della pace, dei contratti e del mantenimento della parola data, per traslazione, del
garante di colui che è responsabile del governo di un popolo.
In tale accezione, dunque, Mithra appare spesso in immagini iconografiche ove accompagna
i sovrani iranici nelle loro imprese ovvero stringe ad essi la mano.

La stretta di mano, infatti, diventa presto un elemento imprescindibile della divinità, il


simbolo dell’accordo, della parola data sulla quale vigilava Mithra.

Tale aspetto di nume tutore della fede pubblica rimarrà un attributo costante del dio Mithra
anche al momento della diffusione del culto nell’area greco-romana tanto che, almeno a
partire dall’imperatore Marco Aurelio, al sovrano verrà costantemente affiancato Mithra
quale divinità protettrice della dinastia e del ruolo dell’Imperatore, nella sua sempiterna
funzione di tutore dell’ordine.
Fig. 2 Il dio Mithra, incoronato dai raggi solari stringe la mano ad un sovrano della dinastia
persiana che assume le sembianze di un eroe.
Fig. 3 il dio Mithra assiste all’incoronazione del re persiano Ardashir I

In questa prima fase del culto, alla gloria del dio Mithra venivano offerti olocausti di
animali (in particolar modo cavalli e tori) di color bianco a simboleggiare la purezza della
luce; pratica, peraltro, fortemente avversata dallo stesso Zoroastro il quale, proprio per i suoi
scritti filosofi avversi al sacrificio cruento degli animali, sarà costretto ad abbandonare gli
altopiani iranici per rifugiarsi sulle montagne con i pastori (700 a.C. circa).

IL CULTO DI MITHRA NELLA SUA ESPANSIONE AD OCCIDENTE

Il culto del dio Mithra, dalle plaghe originarie degli attuali Iran, Afghanistan, Pakistan ed
India, si diffuse via via che gli Imperi iranici si espandevano nel Medio Oriente e lungo le
principali rotte commerciali che dalla Persia portavano merci e persone fino alle coste del
Mar Mediterraneo.
Lungo queste strade, il culto del dio si diffuse rapidamente e raggiunse una popolarità
inconsueta per una divinità fondamentalmente straniera.
In particolare, dopo le conquiste di Alessandro Magno e la caduta dell’Impero persiano,
Mithra cominciò ad essere apprezzato anche tra le popolazioni etnicamente diverse da
quelle originarie, avendo questi perso la sua caratteristica di “protettore” di un Regno
straniero.
La divinità incontrò particolare successo in Anatolia, nell’area del Ponto e della Frigia ove
la sua diffusione è testimoniata dall’alta frequenza del nome “Mitridate”= dono di Mithra
tra i sovrani, i quali identificavano nel dio orientale il tutore delle proprie dinastie.
E’ proprio in questo ambito che il dio Mithra, mantenendo il carattere di nume tutelare della
dinastia o classe dominante, si vede sempre più aspetto sovrapposto a divinità greche o
locali con caratteri solari ed inserito nelle principali triadi sacre in tutta l’area.
Fig. 4 Particolare della terrazza ovest del mausoleo di Antioco I di Commagene (intorno al
60 a.C.) Mithra-Helios-Apollo siede accanto ad Heracles-Artagnes , la dea Tyche,
Zeus.Oromasde e Antioco I.

La penisola anatolica era all’epoca il terreno di confronto e scontro tra le culture iraniche ed
elleniche che attorno al IV secolo a.C. si contendono il predominio politico ed ideologico
nel Mediterraneo orientale.
Tra le popolazioni d’origine greca, presenti soprattutto lungo le coste dell’Anatolia, visse
altresì l’astronomo, fisico e matematico Ipparco di Nicea (190-120 a. C.) che fu il primo a
redigere un catalogo delle stelle frutto della sua paziente e costante opera di osservazione
delle stesse.
Questo straordinario personaggio fu il primo studioso ad individuare l’effetto della
precessione degli equinozi ed a trattarlo nell’opera “Sulla lunghezza dell’anno”.
La precessione degli equinozi scientificamente parlando è un movimento fisico della Terra
che fa cambiare in modo lento ma continuo l’orientamento del suo asse di rotazione rispetto
alla sfera ideale delle stelle fisse.
L’asse terrestre subisce una precessione (una rotazione dell’asse rispetto alla verticale simile
a quello di una trottola) a causa dell’effetto di due combinati fattori: la forma non
perfettamente sferica della Terra e le forze gravitazionali della Luna e del Sole che agiscono
sulla sporgenza equatoriale cercando di equilibrare l’asse della Terra con la perpendicolare
al piano dell’eclittica.
Il risultato è un moto di precessione che compie un giro completo ogni 25.800 anni circa,
periodo noto anche con il nome di anno platonico, durante il quale la posizione
delle stelle sulla sfera celeste cambia lentamente. Di conseguenza, anche la posizione
dei poli celesti cambia: infatti, tra circa 13.000 anni sarà Vega e non l'attuale Polaris, nota
comunemente col nome di Stella Polare, ad indicare il polo nord sulla sfera celeste.

L’effetto esteriore della precessione degli equinozi è lo spostamento delle stelle nel corso
dei millenni con la loro progressiva retrocessione nel cielo.
Di fatto, nel corso dei millenni, nel medesimo momento dell’anno il panorama stellato
appare completamente diverso ed in particolar modo è la posizione del principale astro del
firmamento, del Sole rispetto alle stelle del fondo ad apparire diversa.

L’osservazione astronomica dell’epoca si concentrava eminentemente sul ciclo del Sole la


cui regolarità appariva essenziale per garantire la sopravvivenza della società umana.
In tutte le civiltà, infatti, l’astro più luminoso incarna la vita, l’alternarsi continuo delle
stagioni garantisce il rinnovarsi periodico delle piante, degli animali e dell’umanità stessa e
la divinità che lo rappresenta assume la posizione preminente nei pantheon dei diversi
popoli.

In particolare, l’osservazione astronomica del ciclo del Sole rivestiva una particolare
importanza nei quattro momenti dell’anno quando la durata del giorno e della notte sono
eguali (gli equinozi di primavera e d’autunno) e soprattutto nel giorno più lungo –quando il
Sole sembra aver raggiunto il massimo della sua forza – e nel giorno più buio, quando, al
contrario, sembra che esso muoia.
Fig. 5 I solstizi d’estate e d’inverno ed i solstizi di primavera ed autunno.

Le diverse civiltà del bacino mediterraneo, dunque, nel corso dei millenni avevano avuto
modo di osservare la posizione del Sole rispetto alle stelle “fisse” sullo sfondo del cielo e,
riscontrato che esso attraversa sempre lo stesso gruppo di costellazioni (quelle che
compongono le figure dello Zodiaco) avevano attribuito a dette costellazioni capacità di
influire direttamente sui destini dell’umanità.

La processione degli equinozi, dunque, il progressivo retrocedere apparente delle stelle


rispetto all’osservatore sulla Terra, fece sì che nel corso dei millenni, la costellazione
attraversata dal Sole al momento dell’equinozio di primavera mutasse e passasse, per
esempio da Toro ad Ariete, e da Ariete a Pesci.
Il tempo medio necessario perché la precessione degli equinozi abbia come effetto lo
spostamento “retrogrado” delle stelle nel cielo fino a passare a una costellazione ad un’altra
è di circa 2200 anni e tale arco di tempo viene chiamato “era astronomica”.

Attualmente viviamo nell’Era dei Pesci ovvero il giorno dell’equinozio di primavera il Sole
attraversa la costellazione dei Pesci, tuttavia, poiché tale era è iniziata all’incirca intorno
all’anno 0, siamo in procinto di passare ad un’altra Era, quella dell’Acquario.

Prima dell’Era dei Pesci, il Sole aveva attraversato la costellazione dell’Ariete e, altri 2200
anni prima quella del Toro.
Non si può peraltro non notare come la precessione degli equinozi fosse stata percepita dagli
antichi anche prima di Ipparco sebbene in forme spontanee ed irrazionali attribuendo
caratteri di divinità all’animale rappresentato nella costellazione all’epoca attraversata dal
Sole.
Prima del 2200 c.a. avanti Cristo e dunque nell’Era del Toro, troviamo tracce di tali
osservazioni astronomiche e dell’assegnazione di attributi divini alle stelle nel culto del
Toro o Bue Api in Egitto (già adorato durante la I dinastia dal 3100 al 2900 a. C.) e del Toro
a Creta (civiltà fiorita intorno al 2700 a.C.)

Fig. 6 Il Bue sacro Api con il disco solare tra le corna


Il successivo movimento nella Casa dell’Ariete è attestato a livello cultuale ed iconografico
con la devozione alle divinità a forma di capra quali Amun in Egitto e Baal in Medio
Oriente, le quali assumono, come il precedente Toro sacro, caratteri eminentemente solari e
predominanti sui pantheon delle diverse civiltà.
Peraltro, non è un caso che l’oroscopo che ancora oggi noi consultiamo, cristallizzatosi
proprio in questo periodo, abbia come primo segno l’Ariete.

Fig. 7 Il viale di Amon a Karnak.

Non si può, peraltro, tacere la singolare circostanza che proprio attorno all’anno di nascita di
Cristo si ebbe un nuovo passaggio di costellazione ed il Sole iniziò il suo percorso
all’interno della Casa dei Pesci dove tuttora esso si trova e che proprio il pesce sia divenuto
da subito uno dei più noti apparati iconografici per rappresentare Gesù Cristo e la religione
Cristiana, così come i primi discepoli di Gesù siano stati identificati come pescatori.
Fig. 8 Una delle prime rappresentazioni cristiane del Pesce.

Al momento delle osservazioni di Ipparco, dunque, il Sole si trovava ancora a muoversi


apparentemente nella Casa dell’Ariete, egli, tuttavia, grazie alla paziente osservazione dei
cieli durata decenni era arrivato per primo a descrivere lo strano fenomeno dello
spostamento delle costellazioni ed era giunto alla conclusione che, come in quel momento il
Sole si stava progressivamente spostando dalla Casa dell’Ariete a quella dei Pesci, così in
un tempo remoto esso si doveva essere spostato da una Casa precedente, quella del Toro, in
quella dell’Ariete.
Non avendo né gli strumenti né le conoscenze scientifiche per comprendere obbiettivamente
il curioso fenomeno, Ipparco o più probabilmente i suoi successori nella Scuola astronomica
da lui fondata in Anatolia, dovettero rivolgersi alla religione ipotizzando che una divinità
cosmica, di straordinaria potenza, fosse responsabile di queste migrazioni e dunque del
costante rinnovarsi del Sole e dell’intero universo.

Scrutando nel cielo notturno, ai seguaci di Ipparco apparve inevitabile attribuire un tale
carattere alla figura d’uomo presente nell’arco stellato sovrastante il Toro, in un
atteggiamento di aggressione.
Era la costellazione che ancora oggi chiamiamo Perseo, una figura astrale i Greci,
assorbendo le nozioni astrologiche maturate in Mesopotamia, assimilarono al nome di
Perseo, eroe argivo liberatore di Andromeda, per assonanza con l’antico nome che gli
avevano dato i Magi persiani.

In realtà, i Sumeri avevano identificato in detta costellazione proprio la divinità iranica per
eccellenza, Mithra, Perseus- Il Persiano.
Fig. 8 Rappresentazione dello Zodiaco con l’indicazione dell’equinozio di primavera in
Toro e con la Costellazione di Perseo evidenziata.
Fig. 9 Particolare della Costellazione del Toro con la costellazione di Perseo sovrastante.

Dunque, per Ipparco dovette essere facile ritenere Mithra il responsabile del sacrificio del
Toro attribuendogli l’onere di rinnovare ciclicamente l’universo conosciuto.
Proprio in quel periodo, comincia a diffondersi la credenza di un Mithra cosmogonico, in
grado di alterare i destini dell’universo, il tutore dell’ordine non solo sulla Terra ma anche
tra le Stelle.

Tale credenza, diffusasi nella penisola anatolica grazie ai seguaci della scuola astronomica
di Ipparco, prese piede e cominciò a diffondersi nel bacino mediterraneo grazie alla
campagna del 67 a. C. di Gneo Pompeo Magno contro i pirati cilici, che avevano assunto il
carattere di vera e propria piaga lungo le coste asiatiche e greche, dei quali Plutarco riferisce
la fedeltà al dio Mithra, spesso affiancato alla dea Cibele.

Proprio attraverso i pirati catturati e fatti schiavi da Roma, il culto di Mithra raggiunse
l’Occidente.
E’ attestata la sua presenza a Roma intorno al 50-60 d.C. quando lo stesso imperatore
Nerone sarebbe stato iniziato ai Misteri di Mithra dal re del Ponto Tiridate.

Da allora, il successo di Mithra non avrà confini: la sua presenza è attestata soprattutto
presso i confini dell’Impero ove maggiore è la presenza delle legioni, in particolar modo di
quelle di leva asiatica, oltre che nei centri principali del commercio e dell’industria dove i
liberti, ex schiavi liberati, spesso di origine ellenica od asiatica, ricoprono molte cariche di
rilievo nell’amministrazione pubblica.

Il culto di Mithra si caratterizzò nell’Occidente – in via del tutto originale rispetto alle
precedenti esperienze cultuali iranico-indiane – per aver assunto una natura misterico-
esoterica che chiaramente rimandava alle precedenti esperienze elleniche dei culti di Eleusi
e di Cibele, con le quali certamente il dio del Sole persiano deve essersi mescolato
rimanendone profondamente influenzato.

Da allora, i fedeli di Mithra, tipicamente uomini appartenenti alla classe militare ed


amministrativa dell’Impero, si diffusero in ogni angolo dell’Impero anche se la versione
misterica del suo culto non ebbe particolare successo presso le popolazioni locali nel Medio
Oriente ove il ricordo della versione originaria del dio ebbe sempre migliore accoglienza.

Con la progressiva espansione dell’Impero romano verso il cuore della Mesopotamia ed il


confronto bellico plurisecolare con l’Impero persiano sassanide che premeva ai suoi confini,
l’influenza dei caratteri orientaleggianti della sovranità trovarono una maggiore eco presso
le classi dominanti dell’Impero ed in particolar modo presso le famiglie imperiali le quali
avevano tutto l’interesse ad adottare le abitudini asiatiche della divinizzazione del re, quale
rappresentante dei numi celesti sulla Terra, per meglio giustificare il proprio potere sui
cittadini romani.

Proprio per questo, con il passare del tempo si riscontrò un sempre maggiore interesse per le
pratiche cultuali orientali e nello specifico diversi Imperatori vennero introdotti al culto di
Mithra interpretato come uno strumento per garantire la fedeltà dei militari e degli
amministratori alla persona dell’Imperatore: tra essi sicuramente presero parte ai Misteri
mitraici i sovrani Adriano, Commodo, i membri della famiglia Severo (Settimio, Caracalla,
Eliogabalo ed Alessandro) e gli Imperatori soldato del III secolo d.C. tra i quali spicca
Aureliano detto “La spada”(270-275 d.C.) il quale adottò a Roma una versione “ufficiale”
del culto di Mithra identificato quale Helios o Sol Invictus, divinità solare posta a garanzia
della sopravvivenza e continuità dell’Impero.
Egli fece costruire un grande tempio al dio Sole presso il grande Ippodromo di Roma, la cui
frequentazione avrebbe dovuto garantire alla città Eterna, nuova fortuna e gloria.
Questo culto “pubblico” di Mithra nella sua classica declinazione solare e di garante della
parola data e della fede pubblica proseguì negli anni successivi fino all’apogeo del
convegno di Carnuntum (308 d.C.) durante il quale i Tetrarchi (Galerio, Diocleziano e
Massimiano) riuniti a consiglio per risolvere l’ennesima crisi dell’Impero, vollero sigillare il
successo dell’incontro con un’ara dedicatoria al dio Sol Invictus-Mithra quale garante
dell’unità dell’Impero.
Fig. 10 L’ara votiva dedicata al dio Sol Invictus-Mithra posta dai Tetrarchi a Carnuntum nel
308 dopo Cristo.
L’ultima scintilla di gloria per il culto di Mithra si ebbe con l’ascesa al potere di Giuliano
(360-363 d.C.) il quale rimise al bando la religione cristiana e consentì solamente ai
sacerdoti del Sole Invictus di praticare la propria fede alla luce del Sole.
Caduto però Giuliano, tutte le religioni pagane vennero progressivamente abbandonate
anche se in alcune zone periferiche dell’Impero o nelle valli tra le montagne, le antiche
tradizioni permasero e si trasformarono poco a poco in credenze popolari e superstizioni
duramente avversate dalla Chiesa già nei primi decenni del Medio Evo.
Il culto di Mithra, come le altre religioni pagane, venne a poco a poco abbandonato e
dimenticato, sebbene esistano tracce della persistenza di pratiche religiose ad esso dedicate
almeno fino ai primi anni del VI secolo d.C. in alcune valli trentine.

LA TAUROCTONIA ED I SIGNIFICATI DEI MISTERI DI MITHRA

L’episodio della tauroctonia ovvero dell’uccisione del Toro, evento mitico per il quale il dio
Mithra è particolarmente noto soprattutto in Occidente, fu una rielaborazione ellenistica del
mito.
In essa si fondeva la tradizione iranica dell’olocausto animale dei tori o cavalli bianchi in
onore del dio contro i quali si era battuto Zarathustra e la concezione cosmogonica della
precessione degli equinozi - e latatamente della rivoluzione periodica dell’universo –
maturata nell’ambiente della scuola di Ipparco che aveva individuato nelle costellazioni
presenti nella volta stellata una spiegazione mitico-religiosa.

Le prime tracce relative ad un culto mitraico innovativo con caratteri misterici e


“cosmogonici” si hanno in Pannonia e nelle provincie carpatiche intorno alla metà del I
secolo d.C. in luoghi dove era folta la presenza di militari di origine siriano-anatolica, i quali
evidentemente, svilupparono un culto esoterico come reazione ad un ambiente almeno
inizialmente ostile e lontano dai temi del dio solare.

Con il II secolo d.C. la dinamica mitologica della tauroctonia e dei Misteri di Mithra si
attesta in forme definitive che resteranno sostanzialmente inalterate fino agli ultimi bagliori
del culto.

Il racconto mitologico, spesse volte rappresentato in affreschi o lapidi scolpite a formelle,


narra la nascita del dio il quale emerge già armato di pugnale/spada da una pietra.
Dopo aver dovuto affrontare alcune prime prove di coraggio tra le quali la più rappresentata
è l’aver fatto sgorgare una sorgente d’acqua da una pietra colpendola con alcune frecce,
Mithra si trova ad inseguire in un campo verde un grande Toro bianco.
Una volta catturato il Toro, Mithra lo trascina – caricandoselo sulla schiena – fino ad una
grotta nella quale il Toro viene rinchiuso, questi tuttavia riesce misteriosamente a fuggire e
Mithra è costretto per una seconda volta a catturarlo e, a quel punto, su ordine diretto del
Sole, a sacrificarlo recidendo la gola dell’animale.
A quel punto il Sole scende sulla Terra e condivide con Mithra un banchetto di
ringraziamento dopo il quale risale in cielo assieme al dio iranico.Il momento del sacrificio
del Toro è considerato da sempre il momento topico del mito del dio iranico: è il momento
più rappresentato, quello nel quale si riassume il nucleo del messaggio di Mithra.
Fig. 11 Mithra petrogenito.con pugnale
e fiaccola.

Fig. 12 Mithra mentre sacrifica il Toro.


Il complesso marmoreo raffigura il momento topico del sacrificio, quando Mithra, dietro
sollecitazione del Sole, distogliendo lo sguardo per pietà nei confronti dell’animale, lo
sacrifica.
Ai suoi piedi sono presenti un cane, un serpente ed uno scorpione: rappresentano le forze
del male e del caos le quali non intendono consentire il sacrificio e nel caso del cane e del
serpente si sforzano di bere il sangue del Toro prima che tocchi la Terra e la rigeneri mentre
lo scorpione stringe nelle tenaglie i testicoli del bovino.
Lo sforzo tuttavia sarà vano, già dalla punta della coda del Toro spunta una spiga di grano a
rappresentare il potere rigenerante insito nella morte dell’animale.
Naturalmente è appena il caso di dire che gli animali rappresentati in questa scena sono
esattamente i medesimi che si ritrovano nella volta celeste nelle immediate vicinanze della
costellazione del Toro ( Canis Minor, Scorpio ed Hydra).
Appare dunque condivisibile la tesi di coloro che ravvisano nella narrazione fantastica e
nelle rappresentazioni del momento del sacrificio del Toro la trasposizione mitologica del
fenomeno astronomico della precessione degli equinozi.

Come detto, infatti, detto fenomeno giustificava l’idea della presenza di un Essere che
potesse elevarsi al di sopra dell’universo in grado di governarne i movimenti, assicurando il
ciclo evolvere delle Ere con le sue distruzioni e le sue rinascite.
L’identificazione di tale figura in Mithra, complice da una parte la sua natura di divinità
solare regolatrice del ciclo della natura e di garante dell’ordine e dall’altra la felice
circostanza della quasi sovrapponibilità, in un’ottica meramente umana, tra le costellazioni
del Toro e del Perseo, giustificano il suo ruolo preminente nel racconto leggendario sopra
riassunto.
Fig. 13 Lo Scorpione attacca i testicoli del Toro (part.)

Mithra nasce da un pietra o da un uovo, a simboleggiare la sua superiorità rispetto alla volta
celeste.
Essa, infatti, nelle epoche antiche veniva considerata una vera e propria volta in pietra
all’interno della quale si trovavano le stelle, quelle erranti (i cosiddetti pianeti) e le stelle
fisse.
E’ chiaro dunque come una volta, vista dall’altro lato appaia del tutto simile ad un uovo o ad
una pietra ovale ed il suo superamento, il suo attraversamento, dunque, indichi che la
potenza di Mithra travalica i suoi stessi confini raggiungendo lo spazio universo al di là del
cielo dal quale egli opera lo spostamento delle stelle.
In tale senso, trascinare il Toro all’interno della grotta nella quale il medesimo viene
sacrificato ha il significato opposto: di riportare l’azione all’interno del mondo conosciuto
dall’Uomo, là dove le stelle sono visibili e dove le costellazioni sono a ricordare per sempre
il momento dell’olocausto.

La narrazione della leggenda di Mithra con le spiegazioni cosmogoniche o teogoniche ad


essa collegate, delle quali purtroppo non resta quasi più traccia, veniva tramandata di adepto
in adepto attraverso il progressivo superamento di prove fisiche, comportamentali e
dottrinali che avrebbero alla fine consentito all’iniziato di comprendere il messaggio
nascosto nel mito.

Il percorso di formazione del fedele comportava il superamento delle prove prescritte il cui
fine era la forgiatura del carattere dell’adepto e la sua preparazione psicologica ed
attitudinale per il disvelamento finale del segreto.
I gradi di iniziazione erano sette, il cui numero riprendeva il numero dei colori primari
visibili con l’effetto della rifrazione della luce, tipico attributo di un dio Solare.

Essi erano:

 Corax (il corvo; Mercurio)


 Cryphius o Nymphus (l'occulto o lo sposo, Venere)
 Miles (il soldato, Marte)
 Leo (il leone, Giove)
 Perses (il Persiano, Luna)
 Heliodromus (il corriere del sole, Sole)
 Pater (il Padre, Saturno).
Secondo alcune versioni del mito, a ogni grado era associata una porta, una sfera planetaria,
un giorno della settimana, un colore ed un metallo. Le varie versioni a volte differiscono per
l'associazione dei pianeti.
Una molto comune associa alla prima porta la Luna e l'argento, alla seconda il Mercurio e il
ferro, alla terza Venere e lo stagno, alla quarta il Sole e l'oro, alla quinta Marte e la lega, alla
sesta Giove e il bronzo e alla settima Saturno e il piombo.
I primi tre gradi era rappresentativi dei progressi spirituali che il fedele avrebbe dovuto
compiere per giungere ad un certo livello di coscienza interiore mentre, una volta
conseguito il grado di Leo o Leone, essendo così assurto al più elevato grado di
approfondimento personale, il fedele avrebbe potuto accedere agli altri gradi superiori che
incarnavano uffici specializzati volti al funzionamento del Mitreo, intendendo per Mitreo,
non solo il locale adibito a tempio ma – altresì – la comunità di fedeli che condividevano i
Misteri solari.
I patres dei diversi Mitrei esprimevano poi, per votazione segreta, il Pater Patrum ovvero il
supremo grado amministrativo della comunità il quale assumeva su di sé la responsabilità di
guidare i fedeli.

Delle pratiche cultuali vere e proprie o delle attività svolte durante le cerimonie non resta
nulla, ciò che residua sono brevi riferimenti inseriti nella letteratura paleocristiana la quale
citava singole elementi delle cerimonie per confutarle, paragonarle alle tradizioni cristiane o
criticarle, purtroppo, il materiale originario non è sopravvissuto ad eccezione del Papiro
Magico oggi conservato a Parigi il quale contiene un riassunto della tauroctonia ed un inno
religioso-magico al dio medesimo.

Da quel poco che è rimasto e dalle tracce presenti nel materiale iconografico sopravvissuto
si può ragionevolmente ritenere che il cosiddetto Corax o Corvo non partecipasse
direttamente ai lavori nel tempio ma ne fosse escluso chiamato come era ad assistere in
silenzio alle cerimonie “pubbliche” ed a prestare la sua opera nelle attività di manutenzione,
sorveglianza e di vettovagliamento.

Le cerimonie misteriche, infatti, terminavano con un’agape fraterna durante la quale ai


fedeli più giovani era richiesto di cucinare e servire a tavola.
Fig. 14 Un’agape rituale con i Corax (a sin. con la maschera rituale) che servono a tavola tra
le colonne del Tempio-

LE SIMILITUDINI TRA MITRAISMO E MASSONERIA NELL’ICONOGRAFIA

Sommariamente analizzato il culto di Mithra e l’evoluzione che il medesimo ha avuto nel


corso dei secoli, procediamo con l’analisi delle similitudini esistenti tra l’iconografia
mitraica e quella massonica (in particolar modo di rito Scozzese).

L’Arredo del Tempio

Confrontiamo innanzitutto i luoghi.


I Mitrei ovvero i luoghi sacri al dio Mithra ove si tenevano i suoi Misteri, soprattutto
nell’area occidentale dell’Impero romano erano solitamente costruzioni ipogee o grotte
riadattate all’uso.

L’ingresso, dopo la scalinata di accesso era caratterizzato da una nicchia nella quale si
trovava solitamente una statua o un’ara dedicatoria, dopo un primo spazio comune si
accedeva al tempio vero e proprio costruito tipicamente come un’aula a volta unica con una
nicchia in fondo, un altare davanti alla nicchia e lungo i due lati lunghi due banchi
contrapposti ove i fedeli sedevano per assistere alle cerimonie che presumibilmente si
tenevano in prossimità dell’altare.
In molte occasioni, i banchi erano arricchiti da colonne divisorie che finivano per creare
ambienti diversi all’interno della medesima aula.

Il soffitto era decorato con stelle e le pareti del tempio con le costellazioni dello Zodiaco a
rappresentare con il Mitreo l’universo intero.

A terra, spesse volte si ritrovano pavimenti a tessere bianche e nere, qualche volta con
rappresentazioni mitologiche, altre volte con le immagini stilizzate dei diversi gradi di
iniziazione con i relativi attributi, quasi a riassumere visivamente le principali nozioni del
Mitraismo.
Fig. 15 L’interno di un tipico Mitreo con la volta a botte, l’ara centrale ed i banchi per i
fedeli.
Fig. 16 La volta stellata di un Mitreo
Fig. 17 Mitreo con colonnato all’ingresso e lungo i lati.

Fig. 18 Pavimento a tessere di un Mitreo, corpo centrale dell’aula del Tempio.


Nella nicchia in fondo all’aula principale era posta una rappresentazione della tauromachia
sia essa in forma di complesso statuario che per via di affresco o nei Mitrei più modesti in
bassorilievo, era costantemente velata alla vista degli adepti, il disvelamento della scena
finale infatti era appannaggio solamente dei gradi superiori quando gli insegnamenti ricevuti
consentivano al fedele di comprendere i significati esoterici della scena rappresentata.
La scena invariabilmente rappresenta il giovane dio nell’atto di sgozzare il Toro alla
presenza del dio Sole e della dea Luna che, tuttavia, distolgono lo sguardo come se, pur
riconoscendo la necessità dell’atto, non lo condividano davvero.
D’altronde lo stesso Mithra è sempre ritratto mentre distoglie lo sguardo dal Toro come se
fosse dispiaciuto del sacrificio dell’animale.
Ai piedi del bovino, vi sono il cane, il serpente e lo scorpione – le forze del male . che
contrastano l’opera benefica di rinnovamento del dio iraniano mentre dalla coda di esso
spunta già la prima spiga del nuovo grano.
Osservano la scena dai lati due dadofori, chiamati Cautes e Cautopates, i quali portano due
fiaccole, il primo con le fiamme volte in alto ed il secondo con la torcia girata al contrario.
Essi rappresentano l’alternanza delle stagioni, i momenti dell’equinozio di primavera e di
autunno quando il Sole dapprima prende a salire nel cielo e successivamente comincia la
lenta discesa verso l’inverno.

Fig. 19 Affresco rappresentante la tauroctonia con i due dadofori e gli dei Sole e Luna
Anche ad un esame così superficiale dell’architettura e dell’arredo dei Mitrei balza evidente
agli occhi la grande rassomiglianza tra i medesimi ed i Templi massonici di rito Scozzese
come si sono tramandati fino a noi.
Per quanto riguarda la struttura, infatti, sia il Tempio che il Mitreo sono composti da una
sala capitolare distinta dall’area sacrale, lo spazio interno è composto da uno spazio centrale
con candelabri/bracieri ed un altare sacrificale ornato da un pavimento a tessere bianche e
nere.
Sulle pareti sono dipinti i segni zodiacali e sulla volta del Tempio e del Mitreo il cielo
stellato.
Ad oriente, in posizione sopraelevata, composta da una scala di sette gradini ora è posto lo
scranno del Mastro Venerabile a sovrapporsi allo spazio dedicato alla statua del dio Mithra
con alle spalle sempre il Sole e la Luna e la Stella fiammeggiante.
I dadofori sono ora sostituiti dai due Fratelli diaconi che recano con sé la misura, l’asta di
legno a sezione quadra lunga 24 cubiti ed il cui movimento alternato richiama
evidentemente il procedere alternato delle stagioni e o degli equinozi.
D’altronde, è prescritto come il gioiello di Loggia dei diaconi debba recare sul verso del
medesimo il simbolo del Sole e della Luna a rappresentare il carattere cosmologico del loro
ruolo.
Ancora, le divinità poste a tutela degli Ufficiali di Loggia (per il Maestro Venerabile
Minerva, per il Primo Sorvegliante Venere e per il Secondo Sorvegliante Ercole)
richiamano le medesime divinità che più frequentemente vengono rappresentate accoppiate
con Mithra, come abbiamo visto all’inizio, per esempio, al tempio di Antioco I di
Commagene, le divinità connesse al potente dio iranico sono proprio Ercole, Cibele-Venere
e Giove-Minerva, esse svolgono una funzione di mera assistenza al protagonista del
racconto, garantendo il buon fine del sacrificio.

Inoltre, come a tutti ben noto, pugnali e spade fanno parte del comune arredo massonico per
la forza evocativa che hanno legata al sacrificio ed alla punizione del fedifrago che viene
meno alla parola data e mette a rischio le fiducia degli altri, anche in questo caso i punti di
contatto con il Mitraismo appaiono di tutta evidenza se solo si pensa al ruolo svolto da
Mithra quale garante della parola data ed all’importanza centrale assunta dal pugnale nel
mito del dio.

L’uso del cappuccio nelle Logge è ora riservato a particolari occasioni durante le quali è
opportuno procedere con un mascheramento delle proprie identità, allo stesso modo nei
Mitrei, per sottrarre alla vista degli adepti di primo grado le fattezze dei fedeli più
importanti, nelle cerimonie comuni si portavano maschere rappresentative del proprio
status.
Sempre sul tema è appena il caso di notare il cappello che veste il dio Mithra.
Si tratta del noto cappello frigio, caratterizzato dalla punta floscia e volta in avanti, tipico
dell’area anatolica ove il dio iranico conobbe una seconda giovinezza svestendo gli abiti
persiani per assumerne di ellenistici.
E’ esattamente il medesimo cappello rosso vestito con tanta frequenza durante la massonica
Rivoluzione Francese assurto a simbolo di libertà.
Fig. 20 Il cappello frigio della Rivoluzione Francese

E’ appena il caso di citare le due Feste Massoniche più importanti: la Festa di San Giovanni
Battista il 24 giugno (giorno tradizionale del Solstizio d’Estate – giorno dedicato
anticamente proprio a Mithra) e quella di San Giovanni Evangelista il 27 dicembre (giorno
del Sostizio d’Inverno) che hanno chiaramente rimandi al culto solare e cosmologico come
peraltro si evince facilmente dall’uso del fuoco sacro nel calderone quale strumento di
purificazione che richiama le Feste del Fuoco zoroastriane che hanno luogo nelle medesime
giornate.

Fig. 21 Il Fuoco sacro zoroastriano per i sacrifici rituali.


LE INFLUENZE DEL PENSIERO MITRAICO NELLA MASSONERIA

I punti di contatto tra la Massoneria ed il Mitraismo non si limitano ai meri aspetti estetici
ma hanno una conferma sul piano più strettamente ideologico e filosofico.

Come il Mitraismo, la nostra Istituzione persegue il perfezionamento spirituale della


persona lungo un percorso individuale caratterizzato da prove progressive da superare.
E’ opinione concorde che anche le prove alle quali erano sottoposte i fedeli di Mithra
fossero completamente inoffensive e che dunque assumessero dei caratteri meramente
simbolici, di prova interiore più che di prova fisica.

Da notare che l’aspirante al culto di Mithra si presentava per affrontare le prime prove quasi
completamente svestito, legato, con un cappuccio in testa ed una corda al collo a
simboleggiare le dipendenza del soggetto dalle pene e dalle fatiche umane e solamente con
il superamento delle prove poteva riacquistare la sua libertà.
Al medesimo soggetto, peraltro, al momento della formulazione del giuramento veniva fatto
bere l’haoma una sostanza leggermente inebriante, composta prevalentemente da miele a
rappresentare la dolcezza dello status di fedele del dio Mithra, proprio come all’iniziato
viene fatta bere la tazza di miele e di aceto a rappresentare gli effetti della violazione della
parola data.

E poi, la stessa regola della stretta di mano o dei toccamenti segreti propria della
Massoneria, si ritrova nel Mitraismo ove, come abbiamo visto, il dio presiedeva anche alle
strette di mano ed alla conservazione della promessa fatta, tanto che nel tempo i Mitraici
ebbero a sviluppare un proprio linguaggio del corpo per consentire loro di riconoscersi.

E’ la famosa dextrarum iunctio o syndexios ossia “unirsi tramite la stretta della mano
destra” .
E’ appena il caso di ricordare che nelle culture arcaiche la mano, ed in particolare la destra,
veniva considerata un centro di potenza, un punto di focalizzazione energetica tanto che il
saluto, nell’antica Roma era formulato aprendo la mano destra con il palmo rivolto alla
persona da salutare, mentre la preghiera, come ancora oggi, veniva formulata con le mani
giunte, un modo tecnico per aprire o chiudere un “circuito di forza”.
Il gesto di unire le mani destre, dunque, aveva un duplice significato, simbolico e tecnico.
Esso alludeva alla comunanza mistica del sodalizio mitraico ed era al tempo stesso un modo
tecnico per aprire un circuito “sottile” di energia favorendone la circolazione fra i membri
della confraternita solare.
Nella concezione esoterica mitraica, esoterica in generale ed anche massonica, è infatti
presente il tema della “catena psichica” o “catena d’unione” quale centro di coagulazione e
di circolazione di energia fra i membri del gruppo misterico, che svolga una funzione di
magnete per attirare una forza dall’alto, un’influenza divina.

Fig. 22 La moderna catena d’unione massonica.


I Misteri di Mithra erano culti “solari” ovvero riservati solamente agli uomini e
particolarmente diffusi tra i militari ed i funzionari pubblici dello Stato, esattamente come
accadde – almeno inizialmente – alla stessa Massoneria.

Julius Evola nel suo testo “La via per l’evoluzione di sé secondo i Misteri di Mithra”
sottolinea l’aspetto filosofico del culto, enfatizzando gli effetti della ricerca e miglioramento
personale che la leggenda di Mithra avrebbe dovuto compiere sugli adepti via via che essi
penetravano fino ai gradi più alti della gerarchia.
In tal senso, il mito della nascita dalla pietra o dall’uovo si spiegherebbe come la
rappresentazione visiva dello sforzo che il fedele deve compiere per abbandonare il mondo
sensibile e pieno di distrazioni e raggiungere il mondo oltre il mondo, la realtà di puro
pensiero nella quale gli sarà possibile crescere in saggezza.
Allo stesso modo, la tauroctonia non starebbe più solo a rappresentare l’eterno rinnovarsi
delle stagioni o degli universi quanto la necessità di una palingenesi, di un rinnovamento
personale e psichico del fedele che dovrà passare dalla vita quotidiana ad un diverso e più
alto livello di coscienza di sé (noi diremmo abbandonare i metalli).
L’ultimo grado d’iniziazione mitraico, il Pater, rappresenterebbe lo stato di auto-dominio
dell’Uomo che consegue al percorso intrapreso sotto la protezione del dio della luce, il
Signore invitto e solitario che, nell’atto salvifico e vivificante del sacrificio del toro, realizza
la sua natura perennemente vittoriosa.
L’iniziazione suprema avveniva con tutta probabilità in momenti astrologicamente propizi e
simbolici quando la costellazione del Toro scompariva all’alba mentre le altre costellazioni
erano ancora visibili all’orizzonte.
Il Pater peraltro, essendo sottoposto all’influenza di Saturno, veniva costituito all’alba del
sabato, giorno dedicato al dio protettore, dopo aver trascorso la notte in veglia presso il
Mitreo.
Il suo colore cromatico è il rosso, simbolo del fuoco (purificazione), del sangue (simbolo di
vita) e del sole, quale allegoria della raggiunta luce spirituale.
Colpisce in questo senso l’analogia cromatica e simbolica con le fasi dell’Opera della
tradizione alchemica: il “Nero” può trovare corrispondenza nel colore del Corax o Corvo
fino alla dimensione notturna del Perses (è infatti l’iniziato che ha finalmente trovato la
chiave per la discesa ad inferos ovvero ha finalmente trovato la via per liberarsi delle
costruzioni profane ed immergersi nella realtà misteric), il “Bianco” con la luminosità dell’
Heliodromos ed il “Rosso” con il Pater.

LA TRADIZIONE MITRAICA NELLA STORIA MASSONICA

La tradizione associa la nascita della Massoneria al giorno 24 giugno 1717 (ancora una
volta il giorno della Festa di Mithra!) quando tre logge londinesi ed una di Westminster si
riunirono alla taverna dell’Oca e della Graticola per costituire la prima Gran Loggia
d’Inghilterra.
Quest’atto di fondazione non fu tuttavia indolore né incontestato.
Già nel 1752, ben nove logge si distaccarono dall’Istituzione contestando l’introduzione di
diverse innovazioni nel sistema consolidato di lavoro delle logge preesistenti e
denominandosi gli “Antichi” in contrapposizione ai “Moderni” per sottolineare la volontà
di preservare i caratteri originali della Massoneria tradizionale rispetto alle modifiche
introdotte da Anderson ed il Gran Maestro Duca di Wharton.
Ma a quali tradizioni “antiche” si rifacevano gli scissionisti?
Abbiamo nozione dell’esistenza di logge di muratori e di scalpellini già nei primi anni del
secolo XVII, ma è pensabile che questa Tradizione sia sorta dal nulla?
Le ipotesi sull’origine della Massoneria sono molteplici, tuttavia, poiché la Storia come la
Natura non opera per salti, sarebbe opportuno, piuttosto che avventurarsi in teorie più o
meno esotiche, applicare il metodo del Rasoio di Occam il quale sosteneva che “A parità di
elementi, la soluzione più semplice è da preferire”.
Se dunque dobbiamo seguire quest’impostazione, la questione che dovremmo
preliminarmente risolvere è la seguente: come mai la Massoneria si diffonde così
ampiamente e precocemente in Inghilterra rispetto agli altri Paesi?

Per dare una risposta dobbiamo risalire all’epoca dell’occupazione romana della Britannia.
A partire dal II secolo dopo Cristo, la continua pressione esercitata dalle popolazioni
bellicose che occupavano le terre alte scozzesi, avide di bottino e di sangue, costringono i
Romani a dedicarsi a grandiose opere di fortificazione a tutela dei confini.
Il Vallo Adriano che taglia in due l’intera isola viene costruito nel 122-125 d.C. e
costantemente mantenuto e rinforzato per fare fronte alle continue scorrerie dei nemici.
Successivamente allo stesso si sostituisce – anche se per un breve periodo – il Vallo
Antonino (150-164 d.C.) quando l’espansione romana raggiunse il culmine prima di
cominciare a declinare.
Ma tutta l’isola è caratterizzata da fortilizi ed altre roccaforti per difendere la scarsa
popolazione romanizzata dalle incursioni degli Irlandesi e dei Gallesi e dei primi popoli
germani che giungono dal Mare del Nord.
Per tre secoli, fino al definitivo abbandono dell’isola da parte dei Romani nel 410 d.C.,
l’isola è attraversata da numerose legioni che garantiscono – con sempre maggiore difficoltà
– la tenuta dei confini, tanto da essere la provincia con più truppe stanziali dopo la
Germania.
E le testimonianze archeologiche ci riportano che la maggior parte delle truppe acquartierate
in Britannia, ai piedi dei Valli, erano di origine mediorientale, siriani o anatolici, tanto che
le tracce dei culti delle divinità orientali, portati evidentemente dai legionari con sé nelle
terre del Nord, sono diffusissime.
E tra tutti Mithra spicca.
I Mitrei superstiti ritrovati sono presenti su tutto il territorio dell’odierna Inghilterra ma con
una particolare concentrazione a ridosso dei Valli dove le legioni erano più numerose e le
truppe restavano acquartierate più a lungo.
Ancora oggi, il numero dei Mitrei in Inghilterra è superiore a qualsiasi altra provincia
imperiale, ad eccezione dell’Italia.

Ma le truppe non erano sole.


Erano accompagnate da Collegia artificum et fabrorum.
Essi erano delle vere e proprie corporazioni professionali ed artigianali caratterizzate dalla
segretezza, dalla comune venerazione di una divinità protettrice e dalla permanenza
obbligatoria degli appartenenti al sodalizio.
Presenti sin dalle origini di Roma, con l’espandersi dell’Impero e con l’ampliamento della
forza militare e delle sue esigenze logistiche, sempre più spesso questi collegia vennero
aggregati alle truppe per fornire loro supporto tecnico.
Questo era naturalmente tanto più vero per quei collegia la cui erudizione o pratica
apparivano fondamentali per la buona riuscita delle operazioni di assedio o di difesa.
In particolare, con il declinare della forza dell’Impero, divenne necessario aggregare agli
originari appartenenti alle singole corporazioni dei collegia publica composti di prigionieri,
schiavi liberati e stranieri il cui scopo fosse quello di rimpinguare le fila delle corporazioni
romane.
Naturalmente, la vicinanza con le truppe stanziate presso le fortezze alle quali i collegia
dovevano dedicarsi e, spesso, la comune origine antropologica rendevano estremamente
facile lo scambio culturale tra le due diverse realtà e l’assimilazione delle tradizioni e/o dei
culti degli uni da parte degli altri.
In quest’ottica è presumibile che il culto mitraico così diffuso tra i militari sia passato
abbastanza facilmente anche alle corporazioni di mestieri composta da connazionali.
Tracce di questo sincretismo religioso sono ancora presenti in numerose dediche relitte in
Inghilterra ma non solo a divinità straniere tra le quali è presente Mithra stesso.
Il carattere segreto delle corporazioni, il culto comune, la solidarietà spontanea tra gli
appartenenti ad un determinato gruppo sociale resero presumibilmente più facile
l’assimilazione dei misteri mitraici, cosa della quale, peraltro, si lamentava il medesimo
Sant’Albano primo evangelizzatore della Britannia.
Il centro politico della Britannia dell’epoca era la città di Eboracum, capitale della provincia
ove morì peraltro l’imperatore Settimio Severo, manifesto seguace di Mithra e Costanzo
Cloro, generale romano padre dell’imperatore Costantino, il quale, prima di
improvvisamente convertirsi al Cristianesimo si faceva raffigurare cinto dei raggi solari del
dio persiano.
Eboracum, infine, divenne la città di York la quale ha svolto e svolge tuttora un ruolo molto
significativo nella Massoneria moderna.

Con la caduta dell’Impero i collegia, come molte altre istituzioni romane vennero travolte
un po’ dovunque ad eccezione della Britannia ove vi sono tracce della persistenza di tali
tradizioni nella setta dei Culdei, una congregazione cristiana presente nell’area
settentrionale dell’Inghilterra, la quale sarebbe stata l’unica in grado di tramandare le
tradizioni romane, fondando delle schole ed edificando le prime chiese (tra le quali spicca la
prima cattedrale di Inghilterra proprio a York).
I promotori del Cristianesimo fecero appello dunque proprio a quanto resisteva dei collegia
romani in quanto essi ancora possedevano i migliori artigiani, utili per la propagazione della
fede attraverso la costruzione di chiese e quando la loro esistenza divenne incompatibile con
la nuova società che andava emergendo è proprio intorno alla Chiesa che si costituirono i
nuovi gruppi di costruttori.
I costruttori venuti dai collegia si trovarono infatti ben presto legati ai vescovi ai quali
chiedevano protezione ed in cambio le loro istituzioni vennero assorbite tanto che, in diversi
casi vi sono evidenze archeologiche di resti di collegia integrati nei conventi medioevali.
Essi poterono conservare le loro pratiche, i loro rituali, perfino i loro segreti, purché
trasmettessero il sapere tecnico ai monaci.
In questo modo, poco per volta essi vennero assorbiti e scomparvero dalla Storia intorno
all’VIII secolo d.C.
Ma sono davvero scomparsi?

Non è forse più semplice pensare che essi si siano semplicemente mescolati con la koiné
culturale del primo Medioevo, facendosene in parte contaminare, preservando tuttavia una
propria specificità?
Che siano semplicemente annegati nel mare magnum della nuova società?

E che siano poi riaffiorati, modificati ma essenzialmente ancora loro, con la nascita delle
nuove corporazione laiche di mestieri dopo il Mille?

Se così fosse, e pure in assenza di prove archeologiche o documentali a conferma di ciò,


appare ragionevole pensare che alcune tradizioni antiche, presenti nei collegia romani si
siano preservate – anche se in forme corrotte, imbastardite e cristianizzate – nelle successive
realtà associative di mestiere e che, dunque, assieme al sapere tecnico, si siano trasmesse le
tradizioni ed i riti –mitraici – già diffusi prima della caduta dell’Impero.

D’altronde, gli “Antichi” dalla cui secessione siamo partiti, lamentavano l’abbandono da
parte di Anderson e dei “Moderni” delle tradizioni secolari e giunsero ad un
accomodamento solamente quando – nel 1813 – venne sancita la non cristianità della
Massoneria.

Che fosse questo un residuo dell’antico confronto tra il dio persiano ed i seguaci del Cristo?

Mithra, ora, è direttamente presente nel sistema della Massoneria quale mito applicato al
28° grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato sotto la locuzione “Cavaliere del Sole,
secondo una tradizione nata probabilmente in Francia intorno alla metà del XVIII secolo d.
C. nella quale, peraltro, esso era anche il grado più alto, costituendo così l’essenza finale del
segreto iniziatico-
Ad esso Albert Pike, nel suo Ritual and Dogma dedica più di duecento pagine mentre
Mackey nella Enciclopedia Massonica del 1919 dichiara che “ Di tutti gli alti gradi, questi
è forse il più importante ed il più interessante per l’erudito che vuol ricercare il vero
segreto dell’Ordine”

Ce ne è a sufficienza per pensare che dietro alla formula V.I.T.R.I.O.L. si possa nascondere
la chiave del mistero.
E se “visitando interiorae terrae rectificando invenies occultam lapidem”non fosse altro
che un gioco di parole per rappresentare le attività dei Misteri mitraici?
Scendendo nelle viscere della Terra proprio come si faceva all’epoca trovandosi la maggior
parte dei Mitrei in strutture ipogee, rectificando correggendo il tuo comportamento invenies
occultam lapidem troverai una pietra velata (la statua di Mithra??)

Concludo riprendendo le parole del Fratello Kipling il quale volle dedicare a suo tempo una
poesia proprio al dio visto come guida verso la Luce:

Mitra, Dio del Mattino, la nostra tromba risveglia le Mura!


Ora che siamo stati chiamati e le guardie sono partite
Mitra, anche tu soldato, dacci la forza in questo giorno!
Mitra, Re della Notte, qui dove muore il grande Toro,
Guarda ai tuoi figli nell'oscurità. E accogli i nostri sacrifici!
Molte strade ci hai indicato e tutte portano alla Luce!
Mitra, anche tu soldato, insegnaci a morire!
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

- Reinhold Merkelbach “Mitra. Il signore delle grotte” ed. ECIG


- David Ulansey “I misteri di Mithra. Cosmologia e salvezza nel mondo antico” Ed
Mediterranee
- Stefano Arcella “I misteri del Sole” Ed Controcorrente
- Franz Altheim “Deus Invictus” Ed Mediterranee
- Paul Naudon “Le origini della Massoneria” Ed Atànor
- Charles Leadbeather “La Massoneria e gli antichi misteri” Ed. Atànor
- Charles Imbert “Les sources souterraines de la franc.maconerie” Ed Vegas
- Julius Evola “La via della realizzazione di sé secondo I misteri di Mitra” Ed.
Controcorrente
- Tullio Ossanna “La stretta di mano. Il contenuto etico della religione di Mitra” Ed
Borla
- Jorg Sabellicus “Rituale Mitraico” Ed Hermes
-

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