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Tesi di Laurea
In Didattica della Matematica
Linda De Clerico
La candidata
Linda De Clerico
(Matricola: 248624)
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Indice
ABSTRACT............................................................................................................................. 7
INTRODUZIONE................................................................................................................. 10
PRIMO CAPITOLO ............................................................................................................. 17
1.1 Insegnare e apprendere la matematica .................................................................................. 17
1.2 Riferimento alle Indicazioni Nazionali .................................................................................. 17
1.3 Riferimento a studi pregressi: Cosa significa “Apprendere” .......................................... 19
1.4 Comportamentismo e Costruttivismo..................................................................................... 21
1.5 Eredità vygotskijana .............................................................................................................. 27
1.6 L' importanza del linguaggio nella costruzione dell’apprendimento ...................................................... 28
1.6.1 Il ruolo dell’insegnante ........................................................................................................................ 29
1.7 Molteplici aspetti dell'apprendimento della matematica ....................................................... 32
1.7.1 Le cinque componenti dell’apprendimento in matematica .................................................................. 32
1.8 Ulteriori riflessioni ................................................................................................................ 45
SECONDO CAPITOLO ....................................................................................................... 49
DUE PROSPETTIVE A CONFRONTO ............................................................................... 49
2.1 Il Progetto “PerContare” ...................................................................................................... 49
2.1.1 Fondazione Asphi ................................................................................................................................. 50
2.1.2 Il Progetto “PerContare” di Anna Baccaglini-Frank ......................................................................... 50
2.1.3 Il Contadita .......................................................................................................................................... 54
2.1.4 Il Progetto “PerContare” in una classe prima .................................................................................... 55
2.2 Il Metodo Analogico............................................................................................................... 57
2.2.1 La Linea del 20 .................................................................................................................................... 60
2.2.2 Le due vie per l’apprendimento della matematica ............................................................................... 62
2.2.3 Il Metodo Analogico di Camillo Bortolato in una classe prima .......................................................... 65
TERZO CAPITOLO ............................................................................................................. 68
LA SPERIMENTAZIONE .................................................................................................... 68
3.1 Organizzazione del progetto sperimentale............................................................................. 69
3.1.1 Descrizione del pre- e del post-test in ambedue le sezioni ................................................................... 70
3.1.2 Attuazione Progetto “PerContare” e del “Metodo Analogico” .......................................................... 71
3.2 Le classi coinvolte .................................................................................................................. 72
3.3 La sperimentazione con il Progetto “PerContare” ............................................................... 73
3.4 La sperimentazione con il “Metodo Analogico” ................................................................... 97
3.4.1 Pre- e post- test ................................................................................................................. 110
QUARTO CAPITOLO........................................................................................................ 113
I RISULTATI ...................................................................................................................... 113
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QUINTO CAPITOLO ......................................................................................................... 121
CONCLUSIONI ................................................................................................................. 121
5.1 Differenze e analogie ............................................................................................................ 122
5.2 L’insegnante che sono stata ................................................................................................. 125
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................. 129
SITOGRAFIA ..................................................................................................................... 134
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ABSTRACT
L'elaborato vuole esplorare le potenzialità di due strategie didattiche proposte da: il Progetto
“PerContare” e il Metodo Analogico, le quali stanno riscontrando notevole successo tra i
docenti di matematica della scuola primaria. Uno dei grandi dilemmi della matematica è
approdare a un metodo di insegnamento-apprendimento fruibile da tutti i soggetti di una
stessa classe. Sappiamo che quanto atteso è prettamente utopistico, per questo, è stato scelto
di sperimentare in due classi prime differenti, rispettivamente, alcune strategie proposte dal
Progetto “PerContare” (direttore scientifico prof.ssa Anna Baccaglini-Frank) e il Metodo
Analogico (promosso dal maestro Camillo Bortolato). In particolare, l’obiettivo è quello di
indagare sulla bontà ed efficacia di entrambi gli espedienti, in modo da verificarne il
contributo significativo nel processo di insegnamento-apprendimento della matematica e la
loro stabilità nel tempo. Le attività promosse sono state contornate da un test somministrato
prima e alla conclusione della proposta didattica. Questa scelta metodologica è stata utile per
attuare un distinguo tra le classi coinvolte e avere un quadro della loro situazione all’inizio
e alla fine delle proposte didattiche. I risultati del test somministrato prima della
sperimentazione hanno mostrato che le classi scelte avevano due livelli iniziali differenti, sia
per prerequisiti, sia per le tempistiche che hanno separato le due attività. Il divario che ha
distinto le due classi nel test iniziale è stato pressoché annullato dai risultati del post-test:
entrambe le classi hanno riportato punteggi complessivi migliori tra il primo e il secondo
test, ma la classe che partiva da un punteggio nettamente inferiore nella prova iniziale, ha
raggiunto un punteggio quasi simile all’altra classe nel test finale.
In una classe è stato proposto un progetto didattico basato su alcune strategie promosse dal
Progetto “PerContare”, il quale fonda i propri principi su: l’utilizzo di artefatti, tra cui le dita,
e la discussione tra pari e di classe. Quest’ultime, in particolare, sono utili per promuovere
un dialogo finalizzato ad una progressiva conquista di autonomia e fiducia nelle proprie
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capacità d’apprendimento da parte dell’allievo. L’organizzazione del lavoro, secondo questo
progetto, ha l’obiettivo di favorire l’imparare ad osservare i fatti e i fenomeni, a riflettere su
ciò che si osserva, ad argomentare le osservazioni e ad utilizzare il linguaggio e il
ragionamento matematico, a differenza del Metodo Analogico.
Nell’altra classe, sono state proposte alcune strategie del metodo Bortolato, che si fonda sulla
promozione di un apprendimento attivo, immediato ed esperienziale. Il Metodo Analogico
di Camillo Bortolato rovescia il dominio della disciplina didattica sui processi istintivi del
calcolo, presentandosi come un metodo di apprendimento non concettuale, che rinuncia
all’interazione linguistica per focalizzarsi principalmente sulle immagini interne della
mente, la quale riconosce significati in modo intuitivo e silenzioso.
Essendo a conoscenza di come gli obiettivi siano profondi e ampi, è stato riscontrato che il
Metodo Bortolato nasconde un progetto teso alla semplificazione dei contenuti, sgranandoli
in micro-obiettivi; invece, il Progetto “PerContare” ha un protocollo più elaborato e
complesso da gestire, a causa degli obiettivi a lungo termine che esso si pone di natura. Sia
il Metodo Analogico, sia il Progetto “PerContare” non si sono rivelati espedienti perfetti,
nell’accezione vera e propria del termine: in entrambe le esperienze c’è stato il bisogno di
far ricorso ad altro, di ricercare sostegno, di prendere determinate accortezze, di integrare,
di mettere insieme altre strategie, seppur minime. Si è pervenuti alla conoscenza dei limiti
del metodo e del progetto solo durante l’attuazione degli stessi e la volontà di provare a
superarli è stata tanta. Nel mentre, non bastava quello di cui disponevano entrambi gli
approcci: cresceva gradualmente l’esigenza di far interagire altre strategie (lavoro
individuale, lavoro di gruppo, esercitazioni alla lavagna). Non si tratta di metodiche povere
contenutisticamente, ma di metodiche povere di efficacia comunicativa. Gli errori dei
bambini sono stati una fonte di informazione per l’insegnante, non solo per determinare il
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loro livello di conoscenze, ma anche per lavorare insieme, al fine di affrontare e superare le
loro difficoltà. L’errore è stato accolto non con la sua valenza negativa, ma come strumento
concettuale volto al miglioramento. Se per il Metodo Analogico lo sforzo che si richiede
all’insegnante è solo quello di spiegare i contenuti didattici secondo l’approccio verbo-visivo
(descrivere a voce le azioni muovendo i tasti della “Linea del 20”); il Progetto “PerContare”
ha apportato grande impegno nell’aggancio di altre strategie, al fine di rendere più
maneggevoli alla classe le questioni affrontate, evitando possibili fraintendimenti. Il contesto
di lavoro dell’esperienza didattica con “PerContare” ha seguito tutt’un altro iter, in cui è
stato doveroso orchestrare e monitorare le risposte dei bambini, proprio perché il campo
d’azione proposto era sconfinato. La cura con cui è stata resa partecipe la classe ha, di
conseguenza, prodotto straordinari risultati relativi al post-test. I miglioramenti sono visibili
su entrambi i fronti, ma maggiormente evidenti per la classe a cui è stato proposto il Progetto
“PerContare”.
Il modo con cui gli alunni pervengono ad eseguire calcoli mentalmente in maniera rapida e
veloce è stato di grande motivazione per la scrittura di tale tesi di laurea, al punto da voler
approfondire le ricerche rispetto a questa tematica, in particolare, in rapporto alle modalità
con cui gli studenti vengano iniziati alle sopracitate strategie per la prima volta, quindi,
durante l’ingresso alla scuola primaria.
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INTRODUZIONE
La scelta del metodo da adottare nella progettazione di attività nel processo di insegnamento-
apprendimento è un problema che affligge docenti di ogni ordine e grado, da sempre.
Nei contesti educativi, quando si parla di metodi, il dibattito è molto acceso. È doveroso
affermare che, spesso, tale dibattito è reso difficile da difficoltà di
comunicazione, soprattutto tra docenti di una stessa scuola, in quanto uno stesso termine può
essere espresso con accezioni diverse che potrebbero causare
fraintendimenti. Quindi, sembra importante, prima di tutto, l’esplicitazione del significato di
alcuni termini e, in secondo luogo, lavorare sul rendere possibile una comunicazione
efficace, in modo che il dibattito non sia un conflitto, ma un confronto fruttuoso. Per
promuovere ciò, è necessario:
• riflettere sull'uso del termine "metodo";
• condividerne tra professionisti dell’apprendimento il suo significato al fine di potersi
poi confrontare sui contenuti.
Anche sull’uso di questo termine si possono rintracciare nella storia vari dibattiti; tra i più
noti possiamo far riferimento a Maria Montessori.
La ricercatrice, infatti, non voleva che si parlasse di metodo ed affermava piuttosto che è una
via da percorrere insieme ai bambini, al fine di offrire loro il mondo della
conoscenza (Montessori, 1914).
Infatti, del resto, non è lecito, a parer della studiosa, denominarlo "Metodo Montessori",
nonostante abbia introdotto molteplici novità nell'insegnamento della matematica apprezzate
a livello internazionale e tuttora attuali: “Io stessa non voglio essere salutata come la grande
educatrice di questo secolo: io non ho fatto altro che studiare il bambino, e ricevere ed
esprimere ciò che egli mi ha dato, e che viene chiamato il Metodo Montessori. Tutt’al più io
sono l’interprete del bambino.” (Montessori, 1970, p. 17)
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Con questa premessa, cerchiamo il significato di questa parola sul dizionario: Garzanti
definisce il termine “metodo” come <<Un insieme organico di regole ed i principi in base
al quale si svolge un'attività che ha un modo di procedere razionale per raggiungere
determinati risultati>>. Quindi, in questa accezione, si fa riferimento
a risultati, obiettivi, principi in un insieme organico. Che cosa si intende per "Organico"?
Sul dizionario De Mauro, è possibile trovare la seguente spiegazione: << Costituito da parti
distinte, ma ordinate e organizzate fra loro in modo coerente e armonico in vista di un
determinato fine>>. Dunque, in qualche modo, vi è un chiaro riferimento a una teoria da
seguire. A proposito della parola "Metodo", Vertecchi (2012), propone lo schema presentato
in figura:
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Ad avvalorare quanto esplicitato è possibile fare un esempio. Scegliamo in particolare
l’ambito matematico: la memorizzazione delle tabelline (a prescindere dal fatto che sia
significativa o meno). Sono presenti delle strategie basate sul calcolo a mente ripetuto,
oppure le tabelline ‘canterine’. Sono, queste, tutte strategie diverse, ma non
necessariamente metodi.
Per quando riguarda l’ambito del metodo, invece, è sempre opportuno specificare il fine:
<<Metodo per cosa?>>. Più l’obiettivo è generale, più è difficile o addirittura pretenzioso
parlare di un metodo1
Un metodo che abbia un obiettivo vasto e complesso come insegnare la matematica nella
scuola primaria appare molto ambizioso, esso prevederebbe principi molto generali, anche
perché deve adattarsi ad allievi e contesti diversi e sarebbe molto difficile da valutare in
termini di efficacia. In effetti, bisogna prestare attenzione a quei metodi che dichiarano
obiettivi ambiziosi, come l’insegnamento della matematica in generale.
1
Quinto incontro di formazione AIRDM-CIIM: Come insegnare matematica. Il problema del 'metodo'. Intervento di Zan.
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nella terminologia “Metodo” una struttura organizzativa composta più da regole che da
principi.
Dal momento che le regole sono da seguire scrupolosamente e i principi sono utili al fine
di individuare strategie e comportamenti, cambia anche l’intenzione con cui si legge
la seguente frase:
• COME si deve INSEGNARE MATEMATICA: IL PROBLEMA DEL
‘METODO’→ in un’accezione di metodo inteso come insieme di regole;
• COME si può INSEGNARE MATEMATICA: IL PROBLEMA DEL
‘METODO’→ in un’accezione di metodo inteso come insieme di principi.
A tali due modi diversi di concepire il metodo, corrispondono due differenti modi di
individuare la figura dell’insegnante:
• SISTEMA DI REGOLE: il docente aderisce a un metodo seguendo fedelmente le
‘regole’ previste, riveste il ruolo di esecutore di decisioni prese da altri, aderendo a un’ottica
dequalificante della figura dell’insegnante;
• SISTEMA DI PRINCIPI: il docente prende decisioni autonomamente in base ai
‘principi’ e alla ‘teoria’, riveste il ruolo di agente decisionale.
Quest’ultimo risulta essere il modello condiviso dalla ricerca in didattica della matematica e
dalle Indicazioni Nazionali. L’insegnante è un professionista, uno dei protagonisti
dell’apporto educativo. Egli è chiamato costantemente ad affrontare problemi educativi e
non esercizi, è importante che sia pronto a mettere in discussione anche strategie didattiche
consolidate che hanno fornito buone prestazioni nel tempo. Dal momento che il fine
dell’insegnamento è spingere l’alunno a risolvere situazioni di problem solving, l’insegnante
funge da risolutore di problemi e non da esecutore di esercizi che richiedono sempre
l’applicazione dello stesso approccio. Cionondimeno, l’idea di avvalersi di un prodotto,
quale l’insegnamento, creato e confezionato da altri, senza avere il giusto spirito critico (non
necessariamente negativo), è molto pericoloso e potrebbe arrecare danni non indifferenti agli
alunni.
Le Indicazioni Nazionali enunciano principi e indicano obiettivi, ma, volutamente, non
suggeriscono strategie o metodi. Ciò, effettivamente, ne rende più difficile
l’applicazione, motivo per cui l’insegnante è convinto di seguire le Indicazioni Nazionali, di
applicarle quando insegna, ma, magari, fa riferimento soprattutto agli obiettivi di
apprendimento che, in fondo, sono la parte meno innovativa delle Indicazioni Nazionali.
L’insegnante ne ignora i principi, il lavoro collaborativo, lo sviluppo dell’autonomia, la
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centralità dei problemi: il fatto che, le Indicazioni Nazionali non siano state accompagnate
da esemplificazioni, è la giustificazione dell’incompletezza della loro applicazione.
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capitolo. L’obiettivo di questa tesi è mettere a confronto due prospettive differenti: il
Metodo Analogico e il progetto PerContare.
In didattica della matematica, è rarissimo parlare di ‘metodi’, come il Metodo Analogico,
ma sono, invece, molto frequenti i progetti: con un esplicito legame con la pratica didattica,
che interessano la scuola primaria, come, per esempio, “PerContare”.
I principi estrapolati dal Metodo Bortolato sono quelli racchiusi nel suo Decalogo del
Metodo Analogico, che verrà in seguito esposto. I prodotti di questi progetti sono: nuove
conoscenze di teoria, dei ‘principi’ generali, strategie didattiche, materiali, strumenti,
prototipi di attività, a partire da sperimentazioni documentate. Danno indicazioni utili per la
pratica didattica: su alcuni nodi concettuali (come l’introduzione delle frazioni); su alcuni
processi / competenze significativi (come il problem solving, l’argomentazione…); sulle
possibili origini delle difficoltà in matematica.
Sull'attenzione dei differenti stili e bisogni degli allievi merita una doverosa citazione il
lavoro di Anna Baccaglini-Frank e di Elisabetta Robotti (2013), in particolare alcuni loro
iscritti sull’introduzione al Progetto “PerContare”. Le studiose descrivono ampiamente i
diversi canali di approccio all’apprendimento, come verrà descritto in seguito in questa tesi.
La volontà di condurre un’analisi sperimentale, che avesse come oggetto sia un contenuto
matematico che pedagogico, trova la sua spinta ad agire dall’esigenza di investigare sul
“modo di fare matematica” nel rispetto dei tempi e delle possibilità individuali.
Tale scelta è stata ben ponderata, alla luce del fatto che le ore da poter dedicare allo
svolgimento di osservazioni e, in generale, sperimentazioni ai fini della tesi di laurea non
hanno potuto superare il numero di cento, a causa della pandemia globale.
Conseguentemente, questa decisione mi ha permesso di osservare con maggior rigore,
attenzione e per un tempo maggiore il contesto, gli studenti, l’approccio del docente e la
linea educativo-didattica seguita dallo stesso. L’idea che mi ha condotta a svolgere le ore
all’interno di queste classi però, non è stata assolutamente casuale, ma è stata frutto di una
ricerca, in collaborazione con la segreteria della Direzione Didattica, la quale si è dimostrata
molto disponibile e cordiale nel rispondere ed assecondare la mia richiesta. In particolare,
ciò che mi interessava e a cui pensavo da tempo, era di effettuare una sperimentazione che
riguardasse l’osservazione e rilevazione di dati provenienti dall’utilizzo di due artefatti
appartenenti il primo al metodo “Bortolato” (2002) presentato in 1 C (del maestro omonimo,
denominato “Linea del 20”), mentre il secondo appartenente al Progetto “PerContare”
(2012) di Anna Baccaglini-Frank (denominato “Contadita”), presentato in 1 A. La scelta di
tali argomenti è nata in precedenza, in particolare durante i mesi relativi alla prima ondata
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delle restrizioni emergenziali, quando, a noi studenti è stato permesso di venire in contatto
con molti professori organizzatori di webinar legate all’applicazione di determinati metodi
di apprendimento, non solo della matematica. Il team docente operante promuoveva il
metodo Bortolato, che per me era fino a quel momento sconosciuto, e che prevedeva di non
utilizzare le dita per effettuare conteggi, di non appellarsi a libri di testo, ma di costruire
l’apprendimento insieme agli studenti tramite attività didattiche effettuate in classe e fuori
da essa. Proseguendo con i miei studi, sono approdata alla conoscenza del Progetto
“PerContare”, il quale, invece, pone come principio fondante del calcolo l’utilizzo delle dita.
Tali due proposte sperimentali hanno destato in me la volontà di sentirmi parte di queste
nuove realtà che pian piano avanzano, tentando di oscurare la didattica tradizionale, in cui
l’insegnante si limita a presentare un argomento nuovo facendo scrivere la regola sul
quaderno o spiegandola dal libro, per poi dare semplicemente esercizi e compiti da fare per
casa. Secondo questi approcci sperimentali, le verifiche sono da ridurre al minimo e da
svolgere per la maggior parte oralmente, cercando di far ragionare gli studenti sui concetti
nuovi, aiutati e sempre sostenuti all’inizio dell’anno scolastico dalla manipolazione e
dall’utilizzo di strumenti didattici creati ad hoc in base all’argomento da apprendere. Il modo
con cui gli alunni riescono ad eseguire calcoli mentalmente in maniera rapida e veloce mi ha
motivata moltissimo, al punto da voler approfondire le ricerche rispetto a questa tematica, in
particolare rapportandomi alle modalità con cui gli studenti vengano iniziati a tali metodiche
per la prima volta, quindi durante l’ingresso alla scuola primaria.
Perciò, con l’aiuto della mia relatrice, ho deciso di progettare due attività diverse di
approccio al calcolo in ambedue le classi prime, rispettivamente in 1 A è stato messo in atto
il Progetto “PerContare”, mentre in 1 C il Metodo Analogico.
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PRIMO CAPITOLO
L’obiettivo della tesi è quello di analizzare e sperimentare determinate proposte che sono
presentate per l’insegnamento-apprendimento di alcuni contenuti matematici nella scuola
primaria. Per fare ciò, come prima cosa, è stato prefissato l’obiettivo di chiarire cosa si
intenda per processo di insegnamento-apprendimento della matematica nella scuola
primaria. Il fine ultimo di questo capitolo è focalizzare l’attenzione su tale meccanismo,
rispondendo ad alcune domande che ci siamo poste:
Quale matematica viene richiesto di insegnare dalle linee guida ministeriali?
Quali sono le indicazioni fornite dal gruppo di ricerca in didattica della matematica
nazionale?
Quali sono gli obiettivi principali?
Quali i punti chiave?
Al fine di rispondere a tali domande, bisogna indagare a fondo su quanto riportato all’interno
delle Indicazioni Nazionali del 2012 (MIUR, 2012) e studiare alcuni quadri delle ricerche in
Didattica della Matematica.
Le Indicazioni Nazionali per il curricolo (MIUR, 2012) sono un testo di riferimento valido
e destinato a tutte le scuole autonome, il quale sostituisce quelli che, un tempo, si chiamavano
“programmi ministeriali”. Il testo è entrato in vigore nel 2012:
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organizzazione e valutazione coerenti con i traguardi formativi previsti dal documento
nazionale. (MIUR, 2012, p. 12).
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La costruzione del pensiero matematico è un processo lungo e procedurale nel quale concetti,
abilità, competenze e atteggiamenti vengono ritrovati, intrecciati, consolidati e sviluppati
provando e riprovando, al fine di verificare se, attraverso modalità diverse, si ottengono
altrettanti risultati diversi. Il problem solving è un punto centrale: infatti nelle Indicazioni
Nazionali è palesemente riportato che segno di riconoscimento della matematica “è la
risoluzione di problemi, che devono essere intesi come questioni autentiche e significative,
legate alla vita quotidiana, e non solo esercizi a carattere ripetitivo o quesiti ai quali si
risponde semplicemente ricordando una definizione o una regola.”
(MIUR, 2012, p.50)
La meccanicità del calcolo e l’esecuzione di algoritmi ripetitivi non viene enfatizzato, anzi
viene indicato come metodologia da evitare: si noti come l’alunno, gradualmente, agevolato
dalla guida dell’insegnante e confrontandosi con i pari, “imparerà ad affrontare con fiducia
e determinazione situazioni problematiche, rappresentandole in diversi modi, conducendo
le esplorazioni opportune, dedicando il tempo necessario alla precisa individuazione di ciò
che è noto e di ciò che s’intende trovare, congetturando soluzioni e risultati, individuando
possibili strategie risolutive.”
Questa prospettiva di insegnamento-apprendimento della matematica ha radici molto forti
legate a quelle che sono le evidenze messe in luce dalla ricerca sui processi cognitivi che
sono coinvolti e che descriveremo brevemente nei prossimi paragrafi.
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parte dell'interlocutore purché si verifichi l’insegnamento, una sorta di disponibilità a voler
imparare, assorbire, acquisire un concetto; l'educare, invece, presuppone il suo sentirsi attivo
e coinvolto nel proprio processo di crescita.
Insegnare ed educare sono interconnessi attraverso un rapporto di complementarità in ambito
formativo e la formazione di ogni individuo ha bisogno dell'uno quanto dell'altro: sono
componenti dipendenti l’una dall’altra. Dunque, sono componenti indispensabili del
processo di crescita del bambino e del cittadino, ma sono ambedue collaudate secondo
parametri ben precisi: non sarebbe corretto affermare che si permeano vicendevolmente, ma
si dà il caso che l’assenza di una, inficerebbe l’operato dell’altra.
L'etimologia dei due termini è chiara. Educare, dal lat. ex-ducĕre ad «trarre, condurre» cioè
condurre il soggetto a sviluppare facoltà e attitudini, all'affinamento della sensibilità, alla
correzione del comportamento, ad esprimere e ottenere il meglio da sé. In Treccani leggiamo
alla voce educare:
promuovere con l’insegnamento e con l’esempio lo sviluppo delle facoltà intellettuali,
estetiche, e delle qualità morali di una persona, specialmente di giovane età. Con
determinazioni più precise: educare al bene, alla virtù, al vivere civile, all’amor di patria;
educare i giovani allo studio, alla modestia, alla moderatezza ecc.
(http://www.treccani.it/vocabolario/tag/educare/)
Insegnare, da in-signare con il significato di segnare, imprimere; a sua volta rimanda alla
terminologia "signum", che simboleggia marchio, sigillo, allude a imprimere segni, regole,
norme nella mente di chi viene educato, sostegni o limiti che ciascun individuo nella vita
porterà con sé, personalizzati e, in parte, modificabili.
“L'attività dell'insegnante [...], consiste nel "segnare" la mente del discente, lasciando
impresso un metodo di approccio alla realtà, che va ben oltre lo studio.”
(http://www.etimoitaliano.it/2014/01/etimologia-della-parola-insegnare.html).
Sempre nel vocabolario “Treccani”, si evidenzia la parola “Insegnare” come risultato di:
far sì, con le parole, con spiegazioni, o anche solo con l’esempio, che qualcun altro
acquisti una o più cognizioni, un’esperienza, un’abitudine, la capacità di compiere
un’operazione, o apprenda il modo di fare un lavoro, di esercitare un’attività, di far
funzionare un meccanismo, ecc. (http://www.treccani.it/vocabolario/insegnare/).
Infatti, è doveroso affermare che l'apprendimento è libero e richiede motivazione personale,
mentre l'educazione è imposta dalla famiglia o dalla società. Scrive il sociologo Jacob L.
Moreno:
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Con il termine apprendimento si usa indicare un vasto insieme di processi dei quali
l'educazione costituisce soltanto una forma speciale. Questo insieme comprende le forme
di apprendimento vissuto, dall'infanzia alla vecchiaia, quello relativo alle forme animali
e quello relativo alle forme umane di apprendimento. Comprende l'apprendimento sociale
e culturale quale si manifesta nel quadro delle istituzioni sociali e culturali. (Moreno,
1964, p.534)
Moreno così focalizza l'elemento chiave dell'apprendimento: “Esistono metodi di
apprendimento che richiedono solo un minimo d'impegno e di autonomia da parte del
soggetto, mentre ne esistono altri che favoriscono in esso il massimo impegno e la massima
autonomia.” (Moreno, 1964, p.534)
Occorre fare a priori una distinzione fondamentale, quella tra apprendimento meccanico e
apprendimento significativo, di matrice comportamentista (Pavlov, 1927; Skinner, 1931) il
primo, mentre il secondo è connaturato alla teoria costruttivista (Vygotskij, 1934; Piaget,
1947). Il “Comportamentismo” è la risultante della prima teoria di riferimento della didattica
e nasce dalle ricerche sul condizionamento del comportamento animale (stimolo-risposta) di
Skinner (1931). Questa teoria nel tempo ha però portato alla luce alcuni aspetti critici: ci si
è, infatti, accorti che l’apprendimento cambia a seconda delle capacità e conoscenze dei
diversi individui e di altri fattori ad essi annessi. Le critiche osservarono l’inevitabile
passaggio ad un approccio della psicologia dell’apprendimento detto “cognitivista”,
radicalmente opposto a quello skinneriano. Il cambiamento preme con forza sui processi
interni e suggerisce di tener conto dei fattori cognitivi che favoriscono il raggiungimento
degli obiettivi didattici e non soltanto gli obiettivi stessi. Branca saliente del cognitivismo fu
il “Costruttivismo”, secondo il quale l’apprendimento è visto come un impegno perpetrante
da parte dei discenti nella creazione di una propria conoscenza, che segue il percorso dalla
mente del docente a quella dello studente. Il costruttivismo, la cui parte di paternità è
riconosciuta a Piaget (1947), si dimostra essere un fenomeno dominante in linea con la crisi
del modello razionalistico, un orientamento complesso che raccoglie sempre più
epistemologi, studiosi dell’area cognitiva, progettisti educativi, etc. I concetti principali che
costituiscono l’attuale costruttivismo possono essere riferiti a:
1. la conoscenza è il prodotto di una costruzione attiva del soggetto;
2. la conoscenza ha carattere “situato”, ancorato nel contesto concreto;
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3. la conoscenza si svolge attraverso particolari forme di collaborazione e negoziazione
sociale.
(Jonassen, 1994)
In primo piano troviamo la “costruzione del significato” e viene sottolineato il carattere
potenzialmente attivo di tale asserzione. Il costruttivismo nasce, dunque, da un’esigenza di
allontanamento verso una figura di insegnante che si limita a fornire informazioni, verso il
distacco della scuola dalla vita, opposta ad un'idea di inerzia della conoscenza (degli alunni);
esso, in sintesi, si oppone al modello corrente di scuola, la quale richiama l’opposizione
all’istituzione scolastica emersa all’inizio del secolo scorso, come scrive Dewey (1916) in
“scuole attive”, con la critica degli anni Sessanta al sistema scolastico. Dal costruttivismo
sono pervenute indicazioni relative alla costruzione di ambienti di apprendimento e modelli
didattici. Gli ambienti di apprendimento di taglio costruttivista sono orientati a:
I modelli didattici2 che sono giunti a noi, derivanti dai principi del costruttivismo, intendono
la conoscenza quale perlustrazione non lineare e multi-prospettica di un territorio, secondo
cui occorre occupare più volte il suolo dello stesso luogo, percorrendo però strade diverse
(pluralità di approcci). Si delinea un quadro eloquente che descrive come rivisitare più volte
i contenuti, anche in tempi differenti ed in contesti modificati, aiuti a sviluppare la
“flessibilità cognitiva”. Questi modelli didattici di impronta costruttivista pongono in luce
l’ambiente di apprendimento, inteso come luogo in cui coloro che apprendono possono
lavorare aiutandosi reciprocamente (cooperative-learning), con il supporto di una gamma di
materiali in attività di apprendimento guidato o di problem solving. L’ambiente
2
Attualmente i più noti modelli che prendono corpo dal costruttivismo, secondo l’approccio della “Cognitive Flexibility
Theory” che si ispira ad una metafora di Wittgenstein, sono, ad esempio: Community of learners; Apprendistato
cognitivo; Teorie dell’apprendimento basate su tecnologie ipertestuali.
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d’apprendimento è, peraltro, considerato un luogo d’incontro tra molteplici saperi, regolabili
attraverso appropriati giochi. Il processo didattico, inoltre, non ha un comportamento lineare,
bensì “emergente”, perché nasce dall’apporto del discente al quale è affidata
l’autodefinizione del percorso e degli obiettivi. I modelli didattici-costruttivisti pongono in
evidenza l’importanza della negoziazione interpersonale e dell’apprendimento
collaborativo, e danno forte risalto alla molteplicità delle piste percorribili ed alla varietà
prospettica con cui si può vedere la conoscenza. Essi, in ultima analisi, si servono di materiali
intesi come strumenti per ampliare la comunicazione, la condivisione delle informazioni, la
cooperazione e l’integrazione interpersonale.
Se si accetta di considerare il discente autonomo rispetto alla massima importanza nel
determinare la qualità dell'apprendimento, è lecito esprimere la differenza tra apprendimento
meccanico e apprendimento significativo, mediante le parole del pedagogista Joseph D.
Novak:
“L'apprendimento significativo si verifica quando chi apprende decide di mettere in
relazione delle nuove informazioni con le conoscenze che già possiede. [...]
L'apprendimento meccanico avviene invece quando chi apprende memorizza le nuove
informazioni senza collegarle alle conoscenze precedenti, o quando il materiale da studiare
non ha alcuna relazione con tali conoscenze.” (Novak, 2001, p. 31)
Di impatto maggiormente evidente è stato lo psicologo David Jonassen (2005) secondo il
quale:
Dobbiamo avere come scopo obiettivi di apprendimento significativo e dobbiamo
supportare sistematicamente questo sviluppo. Il risultato dell'apprendimento significativo
è la soluzione di problemi. Questo perché nella vita e nel lavoro di tutti i giorni le persone,
risolvono, costantemente, problemi, i problemi danno uno scopo all'apprendimento, senza
una intenzione per apprendere è difficile che si verifichi un apprendimento significativo,
la conoscenza costruita in un contesto è maggiormente significativa, integrata, meglio
ritenuta e più trasferibile (Jonassen, 2005, p.2).
L'apprendimento meccanico potrebbe presentare dei vantaggi in "determinate situazioni
scolastiche", in funzione dei metodi di valutazione della conoscenza acquisita. Scrive Novak
(2001, p.81):
L'apprendimento meccanico ha un importante vantaggio rispetto all'apprendimento
significativo: esso è infatti molto utile in certi casi per poter richiamare le conoscenze
apprese nell'esatta forma in cui sono state immagazzinate. I numeri di telefono, ad
esempio, non possono essere ricordati in modo approssimativo. Purtroppo, le prove
23
scolastiche richiedono troppo spesso questo tipo di apprendimento. Infatti, se il compito
è quello di ricordare parola per parola le definizioni di concetti o principi, l'apprendimento
significativo può risultare addirittura svantaggioso. (Novak, 2001, p.81)
Nella fattispecie, l’addentrarsi sempre più profondo verso il significato impattante di
apprendimento, presuppone far riferimento al pedagogista Paolo Freire (1996/ 2004, p. 23),
il quale recita nel suo libro: "Nao ha docencia sem discencia" che significa: non c'è
insegnamento senza apprendimento (Freire, 1996/ 2004, p. 23), ponendo, infatti, tale
asserzione come titolo del primo capitolo. Parole forti, che denotano subito il tema freiriano
per cui insegnare non è trasferire conoscenza, ma creare le possibilità per produrre e costruire
conoscenza.
A questo punto, si rifletta sul significato della parola "formazione". L'insegnamento è un
processo nel quale “chi forma si forma e riforma nell’atto stesso di formare, mentre chi è
formato si forma e al tempo stesso diventa formatore nell’atto di essere formato” (Freire,
1996/ 2004, p.24). Intrecci di parole che acquistano un peso significativo dando voce ai
soggetti principali della scuola. “Chi insegna, nell’atto di insegnare apprende, e chi
apprende nell’atto di farlo, insegna.” (Freire, 1996/2004, p.25)
Si parla di dialogo, secondo Freire (1970/1971), se viene favorito un pensare critico, che sia
anche in grado di generarlo:
Saremo critici e veritieri se vivremo la pienezza della prassi. Cioè, se la nostra azione è
l’involucro di una riflessione critica che, organizzando di volta in volta il pensiero, ci
porta a superare una conoscenza strettamente “naturale” della realtà. Questa deve
attingere un livello superiore, per cui gli uomini arrivino alla ragione della realtà.
(Freire, 1970/2011, p. 214).
Tali asserzioni derivano dalla combinazione del pensiero educativo di John Dewey (1916) e
di Paulo Freire (1970/2011), racchiuso in sei assunti (1970/2011, pp.59, 60, 69):
• Gli uomini si educano in comunione;
• L’educazione non è bancaria;
• L’educazione deve essere dialogica/ autentica/ problematizzante;
• Lo sviluppo del senso critico è necessario;
• L’apprendimento è esperienziale;
• L’apprendimento è un fenomeno sociale.
Nel momento in cui ci si oppone alle forme di educazione “bancaria”, all’insegnamento
“depositario”, lì vivifica una ricerca, una spinta pedagogica al fare, una pedagogia che si fa
critica, intrisa di formule didattiche atte ad accostare l’insegnamento con l’apprendimento.
24
Dunque, non si può insegnare se dall’altro lato non c’è nessuno disposto ad assorbire, a far
proprio, a rielaborare ciò che gli viene proposto.
In questo frangente, è d’obbligo far riferimento alla pedagogia dell’autonomia (Freire,
1996/2004), ad accogliere contesti e ambienti per l’apprendimento attraverso il paradosso
pedagogico esposto da Aldo Visalberghi (1988) nel capitolo “Insegnare ed apprendere: un
rapporto problematico”:
I termini insegnare e apprendere presentano fra loro un rapporto molto più complesso di
quanto possa sembrare. A prima vista, l’apprendimento è considerato un effetto
dell’insegnamento. Quel che si insegna non sempre, non da tutti viene capito, assimilato,
appreso. Ma il momento attivo è quello dell’insegnare, l’apprendere ne è una
conseguenza. L’apprendimento sarebbe insomma qualcosa di passivo. Ma oggi nessuno
può più condividere una concezione così ingenua. Da Socrate a Dewey (1916), filosofi e
pedagogisti ci hanno dimostrato che apprendere veramente è sempre scoprire qualcosa da
noi stessi. Di fatto l’insegnante si attende che ciò che insegna venga capito e recepito,
entri cioè nello spirito e nella memoria del discente, venga “imparato”, ossia
opportunamente immagazzinato per poter essere riutilizzato al momento in cui torni utile.
Di solito l’insegnamento è effettuato in forme collettive. C’è una naturale tendenza ad
apprezzare la “disciplina”, soprattutto in forma di capacità di impegno diligente in uno
studio che è essenzialmente memorizzazione. In generale credo si debba ammettere che
l’apprendimento come memorizzazione continua ad essere incoraggiato in tutta la nostra
scuola. Ma il divario tra teoria pedagogica e pratica didattica si spiega a mio giudizio
anche su altre basi: non è solo la pratica a rivelarsi parziale o difettosa ma è carente anche
la teoria.
Non sembra che la nostra cultura pedagogica tenga sufficientemente in conto i risultati,
recenti e non recenti, delle scienze umane per quanto concerne la natura delle attività di
apprendimento, il quale si radica nelle attività ludico-esplorative in cui l’essere umano è
impegnato fin quasi dalla sua nascita. Si tratta di attività spontanee, sicché si può
affermare che quasi tutto ciò che l’uomo impara lo impara spontaneamente. L’essere
umano utilizza i materiali del suo ambiente, inclusi quelli rappresentativi e verbali di
origine sociale, secondo sue leggi interne di sviluppo, secondo i suoi gusti attivi, secondo
le sue curiosità e il maturare dei suoi interessi. Il paradosso che qui si vuol sostenere è
che l’apprendimento precede sempre e necessariamente l’insegnamento efficace. Non si
vuol dire, cioè, che uno deve apprendere da sé la legge del pendolo prima che gli venga
insegnata ma si vuol dire che per capire e assimilare la legge del pendolo si devono avere
25
già chiari certi concetti operativi e che questi concetti si costruiscono prevalentemente
tramite attività spontanee piuttosto che in base a specifiche attività didattiche. Le
implicazioni sostanzialmente nuove del paradosso proposto consistono nel richiamare
l’attenzione di chiunque abbia responsabilità educative su questi due fattori basilari: il
retroterra conoscitivo spontaneo ha in realtà bisogno di cure costanti e impegnative e che
ne permettano lo sviluppo con un minimo di guida esterna; nelle stesse attività di
insegnamento programmato e finalizzato occorre non solo tener conto accuratamente del
già spontaneamente acquisito, ma occorre concedere altresì al massimo spazio possibile
a che anche le nuove acquisizioni specificamente orientate abbiano carattere di ricca e
flessibile progettualità autogratificante.
(Visalberghi, 1988, p.15)
Se questo meccanismo non dovesse funzionare, allora il motivo è da ricercare nell'assenza
di elementi essenziali al metodo di insegnamento/apprendimento di professore e allievi.
Quali sono questi elementi?
Emergeranno a poco a poco all’interno del progetto di tesi, mettendo a confronto due metodi
ampiamente utilizzati e fruiti nell’apprendimento della matematica.
Vi sono ben 5 fattori che facilitano l'apprendimento, questi sono così annoverati:
• motivazione ("Io voglio apprendere...");
• errore (tentativo per imparare per tappe successive, stimolo per strategie alternative
considerando i tempi di ognuno);
• educazione sostenibile (progressiva e intelligente);
• scoperta (sorpresa, novità, stupore: si impara dal nuovo);
• imitazione (guardando e ripetendo, spiegazione assente, neuroni a specchio).
Mediante il contribuito degli autori affrontati, è stato ottenuto un riscontro sulla modalità
attraverso cui la centralità dell’apprendimento non riduce l’importanza dell’insegnamento,
anzi, l’aumenta di molto, perché richiede agli insegnanti una didattica più impattante e
impegnativa a livello psicopedagogico, relazionale e comunicativo, oltre che
epistemologico.
26
1.5 Eredità vygotskijana
27
bisogni e interessi individuali, a loro volta plasmati dalla cultura di riferimento. L’aspetto
culturale è fondamentale nel pensiero dell’autore; egli ritiene, infatti, che sia la cultura a
modellare il pensiero attraverso gli strumenti che mette a disposizione, considerati come
amplificatori culturali del sistema sensoriale e motorio dell’individuo, che aumentano le
potenzialità d’azione del soggetto sulla realtà.
Alla luce di quanto descritto nel paragrafo precedente, il linguaggio risulta essere lo
strumento più importante fra tutti quelli del repertorio dell’essere umano. Tra questi, vi sono
strumenti di natura primaria che mettono l’uomo in relazione con il mondo esterno, sul quale
producono dei cambiamenti. Altri, di natura secondaria, sono prodotti sociali che non
fungono da semplici sussidi, non producono cambiamenti nel mondo esterno, ma
influenzano psicologicamente il comportamento, sono rivolti all’interno.
Tali discorsi sono di carattere generale e multidisciplinare, anche in filosofia si possono
trovare teorie e pensieri che rafforzano questa posizione, infatti, per esempio, la storica Ducci
(1992) affermava che il linguaggio “È l’essere in situazione”, perché le situazioni non sono
tutte uguali: tutti gli strumenti sono buoni, ma ogni situazione è irripetibile ed è proprio in
questo frangente che subentra l’educatore, l’arte, il saper educare, il sapersi muovere.
Platone (Moreschini, 1965) utilizza la comunicazione, la quale scompare se verte solo verso
l’interno, da anima ad anima (è un passaggio da persona a persona, un porre in comune gli
individui, egli lo utilizza per definire il “linguaggio educativo” nel Foedro). Kierkegaard
(Ducci, 2007) parla, invece, di comunicazione di potere, mentre Max Scheler (Pansera,
1998) affermava che l’uomo è uomo perché possiede il dono della parola.
È palese quanto il linguaggio, in quanto strumento mentale essenziale nel processo di
mediazione semiotica, ricopre un ruolo fondamentale non solo nella prospettiva educativa
vygotskijana. Il linguaggio ha sempre costellato la dimensione educativa, in quanto la
comunicazione crea sempre del nuovo. Tra due persone che comunicano si crea del nuovo,
l’educazione quindi deve sforzarsi di essere creativa. Il nuovo si produce continuamente: il
problema sta nella direzione del nuovo. Ed è qui che intervengono gli insegnanti.
La narrazione si è rivelata negli anni una sorprendente strategia necessaria alla formazione
della “competenza riflessiva” (Isidori, 2019, p. 104), la quale non deve considerarsi come il
solo pensare a un accadimento nel passato, ma come capacità di saper rivedere il proprio
sapere teorico e pratico (dunque, di considerare le esperienze pregresse con un’ottica più
28
consapevole, al fine di poterle mettere in atto nelle prestazioni future). L’efficacia di tale
strategia di apprendimento/insegnamento è indice del fatto di come l’esperienza non sia data,
ma “costruita e significata” (Bruner, 2002).
29
Gli studenti, in special modo quelli che frequentano la scuola primaria, capiscono l’effettiva
esistenza del problema e la necessità impellente nel risolverlo solo quando iniziano a porsi
domande (problem solving). Il porsi domande attiva negli studenti quel meccanismo che
consiste nel passare da una situazione iniziale incerta a una situazione più limpida e
chiareggiante, in cui le congetture, i pensieri, i dubbi emergono proprio perché vi è la
volontà, la spinta motivante, nel farle scomparire.
Secondo tale prospettiva, la scuola, come narrano D’Alessio, d’Alonzo, Isidori, Vaccarelli,
Makoelle e Van Der Merwe “si pone come istituzione accogliente (un luogo sociale che
condiziona il benessere delle persone), laddove non si richiede allo studente di adattarsi al
contesto” (citato in Isidori, 2019, p. 51), ma è il contesto che si deve flettere alle esigenze
dello stesso, dunque si tratta di un sistema amichevole al cambiamento. Una scuola orientata
sul fare, sul produrre, indirizza i propri studenti in modo coinvolgente “verso gli obiettivi da
raggiungere e competenze da sviluppare, ma soprattutto verso l’autonomia, l’indipendenza,
la consapevolezza di sé e della propria identità, nonché del proprio progetto di vita”.
(Isidori, 2019, p. 51).
Ciò va a dimostrazione del fatto che la scuola diventa preziosa nel momento in cui assume
come parametri di misurazione di validità la permanenza (regolarità), percorrenza (linearità)
ed esiti (profitto). (Benvenuto, 2011).
L’alunno analizza le situazioni per tradurle in termini matematici, riconosce schemi
ricorrenti, stabilisce analogie con modelli noti, sceglie le azioni da compiere (operazioni,
costruzioni geometriche, grafici, formalizzazioni, scrittura e risoluzione di equazioni, ...)
e le concatena in modo efficace al fine di produrre una risoluzione del problema.
Un’attenzione particolare andrà dedicata allo sviluppo della capacità di esporre e di
discutere con i compagni le soluzioni e i procedimenti seguiti.
(MIUR, 2012, p. 49)
Molti insegnanti non spingono i loro studenti ad imparare ad argomentare, a spiegare la
motivazione del perché accade un qualcosa, o del perché si svolge un esercizio con un
passaggio anziché usarne un altro. Molti docenti usano la scusa del i bambini (o i ragazzi)
non lo sanno fare, ma è proprio questa loro "mancanza", questa loro lacuna che dovrebbe
fungere da rinforzo sia per l'insegnante che per l'alunno a cercare di rimpicciolire il problema
e di maneggiare il compito con più sicurezza. Dovrebbe, questo, essere un motivo in più per
lavorarci con maggiore insistenza, piuttosto che accantonare il problema, fingendo che non
esista. È vero che se una cosa già si sapesse fare, non ci sarebbe bisogno di affrontarla: la
scuola è stata istituita per questo motivo. A tal proposito, il libro di Rosetta Zan (2007)
30
riflette sulle cause principali del non riuscire a instaurare un buon rapporto tra docente e
l'allievo che manifesta maggiori problemi di apprendimento. All'interno di questo libro vi
sono degli escamotages per annullare il più possibile la distanza tra quello che faccio e quello
che ottengo. Inoltre, più nello specifico, durante la risoluzione di un problema, in alcuni casi
manca spesso l'argomentazione: chi apprende, impara nel momento in cui pensa (nel senso
di “pesare la realtà”) a ciò che sta facendo. Pensare a ciò che si sta facendo è una conseguenza
del dare importanza (da qui il “dare peso”) all’azione che si sta compiendo. Il pensiero media
l’apprendimento, mentre l’apprendimento è il risultato del pensiero. Partendo dal
presupposto che una delle caratteristiche comuni ai molteplici significati di competenza
(competenza matematica), può essere considerata “quella di fondarsi sul pieno
riconoscimento di quello che si fa e sull’uso consapevole del sapere acquisito” (Ajello, 2002,
p. 255), il mutamento che la prospettiva delle competenze causa nel processo di
insegnamento-apprendimento riflette la promozione dell’uso autonomo e coscienzioso delle
conoscenze. Ciò si esprime nella capacità dell’insegnante di discriminare, separare,
selezionare le conoscenze più idonee a prestarsi a nuove soluzioni.
Questi punti chiave altro non sono che lo scheletro, il nucleo fondante di quello che
l’insegnante dovrebbe far proprio e, successivamente, proporre alla propria classe da un
punto di vista ministeriale (MIUR, 2012). Gli studenti hanno un’errata concezione del
problema poiché ritengono che non esista problema che non abbia una soluzione e che andare
alla ricerca della soluzione equivale a trovare un numero, non come un fatto denotativo,
bensì come elemento fondamentale per trovare la soluzione. La risoluzione di un problema
presuppone passaggi logici ed operazionali; il materiale fornito da un bambino impegnato
nella risoluzione di un problema non aiuterà di certo l’insegnante a cogliere il suo
ragionamento, ma fornirà una soluzione che può potenzialmente essere corretta\scorretta. In
seguito, chiedere ad un bambino come ha proceduto nella risoluzione del problema è un
tentativo vano. È necessario insistere affinché bambini e i ragazzi non perdano il piacere di
matematizzare e che siano aiutati dagli insegnanti e dagli stessi compagni in percorsi
alternativi di soluzione che stimolino la creatività, privilegiando il problem-solving e
comprendendo che la matematica, utile nelle applicazioni, spesso conduce ad
approssimazioni, dal momento che le esattezze sono difficili, se non, addirittura, impossibili
da trovare in problemi complessi e reali (riferimento a studi in sociologia o in politica).
31
1.7 Molteplici aspetti dell'apprendimento della matematica
Come più volte sottolineato in questa tesi, “fare matematica” ha una natura
multidimensionale, il processo matematico dipende da svariati aspetti, che possono essere di
natura concettuale, di procedura, di calcolo, ecc, insomma, presenta diversi obiettivi.
L’insegnante, servendosi delle Indicazioni Nazionali del primo ciclo (2012), riceve le
direttive per muoversi nella maniera più consona possibile. In questo capitolo bisogna
individuare cosa significa “fare matematica”, cosa significa attuare la pratica della
matematica in un contesto classe, mettendo dunque in azione le direttive ministeriali.
Se prima sono stati individuati i vari passaggi della didattica della matematica nel modo più
generale, vediamo adesso come questi prendono forma all’interno di un contesto classe.
32
L’apprendimento della matematica comprende almeno cinque tipologie di apprendimenti
distinti, ma che fanno capo a diversi ambiti cognitivi:
• apprendimento concettuale (noetica);
• apprendimento algoritmico (calcolare, operare, …);
• apprendimento di strategie (risolvere, congetturare, …);
• apprendimento comunicativo (dire, argomentare, validare, dimostrare, …);
• apprendimento e gestione delle trasformazioni semiotiche (di trattamento e di
conversione).
(Fandiño Pinilla, 2014, p. 58)
33
• Apprendimento concettuale:
I concetti della matematica sono caratterizzati da aspetti ideali e non cadono sotto la
percezione sensoriale.
Con il termine <<noetica>> facciamo riferimento all’acquisizione concettuale, mentre col
termine <<semiotica>> si allude alla rappresentazione dei concetti attraverso uno o più
sistemi di segni.
Ciò che si manipola facilmente in matematica è, dunque, non l’oggetto in sé, ma la
rappresentazione semiotica di esso, tenendo sempre presente che il fine ultimo rimane la
noetica, ovverosia l’apprendimento concettuale.
“Va anche detto che l’attività semiotica è costitutiva dell’apprendimento, è parte stessa del
funzionamento cognitivo in matematica, e non ha solo la funzione di appropriarsi e di
comunicare concetti già acquisiti per altra via.” (Fandiño Pinilla, 2008, pag. 28)
La noetica, concordando ampiamente con Duval (1993), non esiste senza semiotica: tale
asserzione vale per tutti i tipi di apprendimento.
Infatti, vediamo che è possibile rappresentare in diversi registri il concetto che esprime l’idea
di divisione di un n intero a metà, ovverosia l’oggetto matematico <<metà>>:
• Registro semiotico (impostazione con lingua comune): un mezzo, la metà, …;
• Registro semiotico (impostazione con lingua aritmetica): ½; 8/16; 20/40; … (scrittura
frazionaria); 0,5 (scrittura decimale); 5*10-1 (scrittura esponenziale); 50% scrittura
percentuale; 0,499999; …;
• Registro semiotico (impostazione con lingua algebrica: {x ∈ Q+/ 2x-1=0} (scrittura
insiemistica); y=f(x): x → x/2 (scrittura funzionale); …;
• Registro semiotico (linguaggio figurale);
0 1
34
rappresentazione semantica in numero decimale).
La costruzione cognitiva dei concetti matematici è legata alla radice con la perizia
dell’utilizzo di più registri di rappresentazione di quegli oggetti.
È possibile evidenziare un apprendimento concettuale da parte dell’alunno circa un
determinato oggetto nel momento in cui è in grado di:
• Scegliere i tratti distintivi del concetto e rappresentarli in un dato registro;
• Trattare tali rappresentazioni all’interno di uno stesso registro;
• Convertire tali rappresentazioni da un dato registro ad un altro.
(Fandiño Pinilla, 2008, pag. 30)
Occorre adesso fare una distinzione arguta tra teorie realiste (o figurative) e teorie
pragmatiche, in modo tale da palesare maggiormente la natura del significato degli oggetti
della matematica. È bene prima avere ben chiaro il concepimento del significato, per poter
accedere alla costruzione dello stesso.
Le teorie realiste presuppongono una messa in relazione di segni ed entità concrete o ideali
che non dipendono dai segni linguistici, dunque impongono un realismo concettuale; mentre,
le teorie pragmatiche subiscono l’influenza dei diversi contesti in cui vengono espressi
determinati concetti. “L’unica analisi possibile è personale e soggettiva, comunque
circostanziata e non generalizzabile” (Fandiño Pinilla, 2008, p. 32).
35
Direzionando la ricerca didattica verso l’apprendimento e verso l’epistemologia (la quale
focalizza la propria attenzione sull’allievo), più ci si avvicina alla costruzione della
conoscenza, più si condivide la teoria secondo cui la semantica permea la pragmatica d’uso.
L’aula, la quale riveste il ruolo di comunità di apprendimento, diventa luogo in cui si
negoziano significati, si espongono idee, si avanzano ipotesi, analizzandole e ponendole in
discussione: in questo modo le menti si ampliano, si fanno più ricche e desiderose di ospitare
sempre di più nuovi significati.
L’imposizione dei significati e degli oggetti dall’esterno ha un effetto limitante sul potere di
negoziazione degli studenti, in quanto presuppone l’adattamento da parte dello studente
stesso dei concetti che ingenuamente già possiede, costretto a seguire le direttive dei concetti
in costruzione espressi dall’insegnante.
Tali limitazioni hanno un effetto fortemente negativo sull’alunno, in quanto ne favoriranno
l’abbassamento di interesse, fino al conseguente allontanamento dalla costruzione
concettuale matematica.
Nella dimensione dell’insegnamento apprendimento della matematica, il contatto personale
primeggia sugli altri, i condizionamenti soggettivi sono quelli che regolano l’apprendimento
effettivo della matematica. Vi è un grande divario tra la matematica che si vuole far
apprendere e la persona che apprende. Tale divario dipende inesorabilmente dal processo di
istituzionalizzazione della conoscenza che conduce, in via effettiva, alla conoscenza
istituzionalizzata di quell’oggetto.
36
Si scelga l’affermazione con la quale concordi e giustificala:
“1. I numeri usati dai Romani erano:
• molto interessanti perché usavano lettere
• inappropriati perché non si potevano fare le operazioni a mano come facciamo noi
• importanti, dato che ancora oggi si usano
• interessanti perché erano in base dieci.
2.Il sistema numerico dei Maya fu:
• importante perché era un sistema a base venti con solo 3 simboli
• molto importante perché comprendeva un uso perfetto dello zero
• per nulla interessante perché rimase isolato e non arrivò in Europa
• inappropriato perché la scrittura dei numeri grandi era troppo
complicata.” (Fandiño Pinilla, 2014, p. 74)
• Apprendimento algoritmico
“È in relazione con l’abilità nel dare la risposta alle operazioni, al calcolo, all’applicare
formule o al disegno di figure usando strumenti opportuni.”
Tale componente si identifica con la capacità di trovare le strategie più adatte, di ricerca di
espediente, degli escamotages.
L’apprendimento algoritmo è caratterizzato da aspetti riguardanti la capacità di ragionare
prima di procedere ad eseguire calcoli, in modo da porre lo studente nella condizione di
decidere quali operazioni fare, che eliminino calcoli non necessari. Per sviluppare gli
apprendimenti algoritmici si può chiedere ai bambini o proporre situazioni, per esempio, di
trovare il procedimento più efficace per risolvere ciascuna di queste situazioni, giustificando
la risposta:
▪ Qual è il resto della divisione 45:2?
▪ Esegui 20+34+56;
▪ Esegui 42-23.
• Apprendimento strategico
“Si cerca di potenziare e di dare importanza a procedimenti e strategie che si usano quando
si risolve un problema. Bisogna arrivare a convincere tutti gli studenti che quel che conta
sono i processi e non i prodotti.” (Fandiño Pinilla, 2008, pag. 61)
Un metodo ottimale per la formazione dei concetti in matematica è proprio la risoluzione dei
problemi, ma soprattutto la capacità nello scegliere, selezionare la strada giusta da prendere
37
al fine di dare un problema per risolto.
L’attività di risoluzione di un problema potrebbe essere letta come un’estensione
dell’apprendimento di regole o di modi di comportarsi: dunque, giungiamo alla conclusione
secondo cui tale processo ha atto all’interno dell’allievo che è impegnato nello sviluppo del
problema. Si nota, quindi, come il processo risolutivo dia come frutto un nuovo
apprendimento.
È vero che, in prima istanza, chi risolve tenta di applicare regole (norme, esperienze, ...)
o procedimenti (meglio se vincenti) precedentemente esperiti; ma è anche vero che, se la
situazione problematica è opportuna, il soggetto potrebbe non trovare una situazione
analoga o identica ad una precedente. Egli può invece trovare una particolare
combinazione di regole (norme, esperienze, …) del tutto nuova, che andrà ad arricchire
il campo delle esperienze cui far ricorso in futuro.
(Fandiño Pinilla, 2008, pag. 63)
Infatti, l’apprendimento strategico si amalgama perfettamente con l’apprendimento
algoritmo. Permette allo studente di crescere, di essere lungimirante, di fare calcoli e
ragionamenti predittivi.
Secondo Polya (1945), la risoluzione di un problema prevede 4 fasi:
• Comprensione del problema proposto;
• Ideazione del piano per trovare la soluzione;
• Esecuzione di tale piano;
• Capacità di ritornare sui propri passi per verificare il procedimento e controllare il
risultato.
Purtroppo, suggerire a uno studente in difficoltà tali consigli, risulta essere il solito effetto
boomerang. Questo non è altro che uno dei diversi imbrogli dell’epistemologia
dell’insegnante: ciascuna di queste indicazioni costituisce un intervento a vuoto e non
permette all’alunno di avere concrete direttive su come risolvere un ipotetico problema.
Prendono la nomenclatura di <<strategia di risoluzione di un problema>> questi diversi
passaggi, i quali fungono da spunto di azione (come fosse una scaletta di dettami da seguire)
nel momento in cui non si riesce a proseguire nello sviluppo di un problema.
Questi sono così esplicitati:
• Esplorazione delle regole (norme, esperienze, …) già note e già applicate;
• Scarto di ciascuna;
• Analisi della situazione sotto molteplici punti di vista;
• Assorbimento di una regola comportamentale nuova, ottenuta quantificando in modo
38
opportuno regole (norme, esperienze, …) vincenti già utilizzate in precedenza;
• Verifica della risolubilità del problema con tale regola nuova.
(D’Amore & Fandiño Pinilla, 2006, p. 653)
Lo scioglimento stesso del problema, dal momento che produce pensiero, dà origine al
processo di problem solving produttivo (proprio come in stechiometria, da un reagente, è
possibile ottenere un prodotto, quindi una trasformazione della situazione iniziale in quella
finale). Oltre al problem solving, citiamo anche il processo di problem posing, il quale si
scinde in due modus operandi:
• La presentazione di un problema basato sulla riflessione intorno ad un argomento in
esame (per rendere meglio la questione: fare o farsi domande);
• La proposta di domande che analizzano situazioni <<limitrofe>> alla zona di presa in
considerazione di un problema (per rendere meglio la questione: porsi quesiti come <<E
se…?>>; << E se non…?>>).
39
La Fandiño Pinilla afferma che l’essere umano, in quanto tale, nasce con la capacità di
risolvere problemi: “Si tratta, secondo alcuni studiosi, dell’apprendimento più elevato e
sublime. L’azione di risolvere un problema è un apprendimento veramente significativo. Il
mutamento di apprendimento nella capacità dell’individuo che risolve problemi è del tutto
chiaro ed esplicito. L’apprendimento mediante problem solving inoltre conduce a nuove
capacità di ulteriore pensiero.” (Fandiño Pinilla, 2008, pag. 66)
Un suggerimento per accrescere l’apprendimento strategico potrebbe essere quello in cui
l’insegnante disegna una tabella che contenga i diversi aspetti del processo di risoluzione di
un problema: comprensione del problema, trasformazione o traduzione dell’enunciato in una
forma algebrica, scelta e uso delle strategie, validazione della risposta.
Il fine ultimo del disegno della tabella è proprio quello di strutturare (anzi, de-strutturare) il
problema in più procedimenti (o steps), in modo tale da rendere più semplice e meno
labirintica la risoluzione di un quesito (metodo della task analysis3).
• Apprendimento comunicativo
Tale aspetto “cerca di mettere in evidenza la capacità di esprimere idee matematiche o, più
in generale, logiche, giustificando, validando, argomentando, dimostrando (in forme adatte
allo studente, sia per orale che per iscritto) e facendo uso di figure, disegni o schemi per
comunicare”. (Fandiño Pinilla, 2008, p. 95)
Ormai è, sfortunatamente, all’ordine del giorno, avere allievi, i quali sembra abbiano
acquisito un concetto, ma non è così. Tali allievi possono aver appreso la processualità nel
calcolo, saper risolvere problemi applicando formule e/o formule inverse, ma si è riscontrato
più volte che questi non sappiano verbalizzare quanto hanno appreso: hanno difficoltà,
precisamente, nel comunicare la matematica.
“Saper comunicare la matematica è un traguardo cognitivo specifico, non banalmente
implicito negli altri apprendimenti” (Fandiño Pinilla, 2008, p. 95).
Tale aspetto qualitativo del fare matematica è stato, nel passato, tremendamente sottaciuto,
trascurato, ritenuto “non indispensabile”; ma negli ultimi venti anni, c’è stata una
rivalutazione del fare matematica proprio a partire dal livello comunicativo, per cui sono
state approntate numerose ricerche a tal proposito. Una prima accortezza necessaria da
prendere è sapere scegliere quale tipologia di linguaggio implicare nella comunicazione della
matematica, quale sia dunque il più opportuno, tenendo in considerazione le diverse
3
Strategia educativa utile per acquisire una competenza, generalizzarla e soprattutto per mantenerla viva in memoria. Tale tecnica di
apprendimento consiste nello scomporre il problema in tanti sotto-problemi al fine di diminuire il carico di impegno per ciascun
compito. Si procede per sezioni: prima il primo step, poi il secondo, ecc. Fino ad arrivare al completo svolgimento del task.
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circostanze (lingua materna, orale o scritta; linguaggio simbolico specifico, quando è
disponibile; disegni, figure; schemi; icone; linguaggi non verbali; etc.). Se non
vengono tratte considerazioni specifiche e adatte, per ciascuna situazione, potrebbe risultare
didatticamente nocivo fare pressione solo sulla scelta dei termini da utilizzare, sulla
correttezza sintattica e semantica; a molti studenti questo appare solo come un cruccio
(inutile) del docente. Bisogna evitare di confondere tale “correttezza” con l’efficacia della
comunicazione. La comunicazione in classe, di solito, prevede una procedura ormai
consolidata: l’insegnante parla, l’allievo ascolta (Freire, 1970/ 2011) cadendo così nella
trappola della non avvenuta comunicazione, questo accade perché il docente, non va a fondo
della questione: autoconvincendosi che la comunicazione ci sia stata, così come la
ricezione. Quanto detto sopra avvalora maggiormente la tesi secondi cui l’adulto adoperi un
linguaggio parallelo, diverso, da quello dell’allievo (nel nostro caso bambino).
Per concretizzare al meglio quanto spiegato, è possibile citare l’esempio di molti studenti,
che, nonostante si apprestino ad iniziare l’università, non conoscono il distinguo
tra definizione e dimostrazione, ritenendo che i due termini siano sinonimi,
cioè corrispondano.
• Una definizione serve per presentare verbalmente un concetto, dunque una definizione
termini, parole;
• Una dimostrazione serve per mostrare come un enunciato sia vero, ammessi altri
enunciati come tali, sulla base di una successione di deduzioni basate su una logica;
dunque, una dimostrazione riguarda enunciati, frasi.
(Fandiño Pinilla, 2008, p. 96-97)
41
Dal momento che le altre parole implicate nella spiegazione dell’assunto “Il quadrato è un
rombo che ha gli angoli uguali”, devono essere note a chi legge e/o a chi sta ascoltando, ne
deriva che devono essere state esse stesse definite a priori. (Per esempio: la spiegazione delle
parole <<angoli>>; <<rombo>>, <<uguali>> deve essere resa esplicita prima di affrontare
un nuovo argomento, che, in questo caso, è quello del quadrato.):
o “il rombo è un parallelogramma che ha i lati uguali;
o angolo è ciascuna delle due parti di piano comprese tra due semirette che hanno l’origine in
comune;
o due figure si dicono uguali quando si possono trasportare l’una sull’altra.”
(Fandiño Pinilla, 2008, p. 97)
È avvenuto un cambiamento di scenario: rombo, angolo e uguali sono il definiendum,
mentre i nuovi termini inseriti fungono da definiens. Ovviamente, non si potrà procedere in
maniera perpetua nel definire i vari termini: a un certo punto si approderà a vocaboli che
dovrebbero fungere da definiendem ma che non è possibile spiegare, in quanto non ci sono
le parole idonee finalizzate ad essere definiens. Tali vocaboli prendono l’attribuzione di
<<primitivi>> proprio perché sono privi di una definizione precisa, ma validi da utilizzare
nelle spiegazioni.
Inoltre, va sottolineato che non esiste un’unica definizione valida ed esauriente che stia a
descrivere un concetto o un oggetto, etc; ma ne esistono molteplici. La scelta dei sostantivi
da implementare nell’esposizione di un concetto dipende da diversi fattori, quali ad esempio
l’età, livello di scolarità, esperienze, etc.
Tornando all’esempio del quadrato, esso è definibile anche mediante altri termini:
▪ il quadrato è un rombo avente le diagonali uguali;
▪ il quadrato è un rettangolo avente le diagonali perpendicolari;
▪ il quadrato è un rombo le cui mediane sono gli assi di simmetria;
▪ il quadrato è un parallelogramma le cui diagonali sono assi di simmetria.
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Non passa inosservata la relatività della dimostrazione: i due angoli non sono uguali in
assoluto, in quanto esistono infiniti triangoli ABC, ma lo sono solo in questo caso specifico
perché è stato deciso che i segmenti sopra citati siano tali.
La tesi è sempre una questione relativa, variabile dipendente dall’ipotesi.
Notiamo la differenza tra definizione e dimostrazione: protagoniste sostanziali della
definizione sono i termini, le parole; mentre nella dimostrazione gli enunciati hanno il
primato.
Da tali asserzioni di azione un meccanismo che sale di complessità in base al livello scolare:
• nei primi livelli di scolarità, gli allievi potrebbero convincersi della veridicità della tesi
sulla base dell’ipotesi attraverso un’accorta verifica empirica;
• nei livelli successivi, si auspica di arrivare man mano a comprendere l’insostenibilità
della verifica empirica, in quanto è opportuno dimostrare la verità della tesi, a partire
dalla propria ipotesi, servendosi di una struttura logica inconfutabile e non dipendente
da singoli casi.
• Apprendimento semiotico
Il linguaggio semiotico è un’altra forma di comunicazione a cui la matematica non si potrà
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mai necessariamente sottrarre. “[…] con il termine <<semiotica>> si intende la
rappresentazione dei concetti mediante sistemi di segni”. L'apprendimento semiotico risulta
essere lo specchio di quello concettuale, tant’è che “L’unica cosa che l’essere umano è in
grado di fare, rispetto ad un concetto matematico che vuole evocare, è quello di scegliere
una rappresentazione in un registro semiotico opportuno, e lavorare su questa
rappresentazione” (Fandiño Pinilla, 2014, p. 20)
Andando avanti con l’apprendimento in matematica, lo studente scopre da sé che l’obiettivo
ultimo è sì quello della costruzione (o reificazione) dei concetti in modo tale da consolidarli
perennemente, ma è anche vero che, senza l’apprendimento semiotico, (cioè
quell’apprendimento che si fa tramite dell’apprendimento concettuale) non potrà mai
giungere all’apprendimento concettuale. Infatti: “Quel che si impara a maneggiare in
matematica, dunque, non sono tanto gli oggetti quanto le loro rappresentazioni semiotiche;
anche se l’obiettivo principale è la noetica, cioè l’apprendimento concettuale” (Fandiño
Pinilla, 2014, p. 20). Dunque, l’apprendimento semiotico risulta essere la conditio sine qua
non dell’apprendimento concettuale. Bisogna, però, porre attenzione a non confondere i due
aspetti dell’apprendimento in matematica: infatti uno dei motivi per i quali alle volte non
risultano efficaci le attività in situazione a-didattica è proprio la confusione in cui versa lo
studente, dovuta alla mole di richieste semiotiche in situazioni realiste (D’Amore,2002b, pp.
63-71; D’Amore, 2003a), quindi è bene accertarsi precedentemente delle acquisizioni dello
studente in merito alle due componenti dell’apprendimento della matematica, per poi
proseguire verso nuovi scenari. Non si escluda, inoltre, che l’apprendimento inteso nel suo
significato più generale, sarà sempre soggettivo, dunque:
Nel processo di insegnamento - apprendimento della matematica, ogni entrata in contatto
con nuovi “oggetti di conoscenza matematica”[…] è un contatto personale prima d’ogni
altra cosa; dunque tale contatto mette in moto strumenti semiotici dalle due parti (la
matematica che si vuole far apprendere e la persona che apprende); ma la relazione tra
persona e oggetto è condizionata dal processo di istituzionalizzazione della conoscenza
che porta, appunto, alla conoscenza istituzionalizzata di quell’oggetto. (Fandiño Pinilla,
2014, p. 22)
Di fronte allo stesso errore di due studenti diversi l’insegnante ricerca e analizza la sorgente
dell’errore, (ricercare quale è stato il malfunzionamento cognitivo) e, in ultimo, che cosa non
ha funzionato nel processo di insegnamento – apprendimento.
Accostare a queste categorie l’azione di ingegneria didattica può rendere l’insegnante
coordinatore del proprio lavoro, graduando l’insegnamento con gli obiettivi di
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apprendimento. Il primo interprete partecipe della costruzione di un apprendimento è colui
che costruisce, dunque una delle prime azioni didattiche consiste nell’insegnare strategie,
nello spingere a riflettere sulle strategie personali, al fine di percepirle come proprie, per
ponderarle e, in seguito, valutarle.
Tale capitolo è volto ad imprimere un sintetico panorama per mettere in evidenza cosa si
intenda per insegnare e apprendere la matematica. A questo scopo è stato affrontato un breve
excursus pedagogico per passare nello specifico della disciplina.
Le Indicazioni Nazionali offrono dei riferimenti metodologici e presentano quelli che sono
gli obiettivi e i traguardi per lo sviluppo delle competenze. Il libro di Martha Isabel Fandiño
Pinilla, “Molteplici aspetti dell’apprendimento della matematica” (2008), invece, permette
di entrare più nel dettaglio di come si possa studiare/analizzare/ costruire/ intervenire sul
processo matematico.
Attenzione però, quello che questa tesi di laurea vuole proporre non è un metodo standard
per “fare matematica”, in questo studio non si vuole avanzare una metodica ben studiata e
sperimentata che sia migliore di un’altra, infatti, come riportato da D’Amore (2014), la
ricerca didattica (quella vera, quella scientifica, quella sottoposta a prove e ad analisi critiche
incrociate da parte della comunità internazionale):
Ha dimostrato in più modi e in più riprese che illusioni del genere sono pure fantasie e
che non può esistere un metodo sicuro, anzi che dire “un metodo” è già dizione di per sé
destinata all’insuccesso, perché la scelta di una sola metodologia di insegnamento
preclude l’apprendimento in aula, se ci sono più individui destinati ad apprendere.
(D‘Amore, 2014, p. 11)
Gli studiosi D’Amore e Fandiño Pinilla (2014) seguono la linea dei “Molteplici aspetti
dell’apprendimento della matematica”, proprio in quanto non esiste un unico modo, un’unica
ricetta da stampare in maniera vivida nella mente degli studenti, ma se ne possono
annoverare molteplici metodi, strumenti, tecniche e così via.
I due ricercatori espongono che “una rassegna storica delle illusioni e delle idee distorte
della didattica può essere d’aiuto a superare i fraintendimenti” (D’Amore, 2014, p. 2)
“Fare matematica” non significa fornire agli studenti frasi asettiche e neutre per evitare che
non facciano errori, come per esempio:
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1. “Sta attento”: come se lo stare attento fosse ordinabile dall’esterno o condizione
sufficiente per l’apprendimento leggi bene il testo come se il testo non potesse essere
disegnato o comunque altrimenti rappresentato; e poi il “leggere bene” non ha un
significato preciso; il bambino potrebbe leggere bene il testo, parola per parola, e non
capirne il senso complessivo.
2. “Leggi bene la domanda”: come se la domanda fosse sempre chiara, esplicita o presente.
3. “Cerchia i dati” à come se i dati fossero sempre tutti utili, tutti presenti, tutti numerici.
4. “Sottolinea la domanda” à come se la domanda avesse bisogno di rilievo, ci sono poi
problemi impossibili nei quali sottolineare la domanda porta fatalmente a insuccesso.
5. “Cerca la parolina-chiave che ti aiuta a capire la parolina-chiave” è un messaggio che
manda facilmente in confusione lo studente, gli studi seri di didattica hanno mostrato
come questo sia fallimentare; prendiamo questo esempio: “Ho 3 palline ma per giocare
me ne servono 7; quante ne devo aggiungere a quelle che ho già?”; la famosa “parolina”
è “aggiungere”? E allora il bambino eseguirà una addizione e non l’auspicata sottrazione.
6. “Qual è l’operazione da fare (o il procedimento da seguire)” come se fosse l’operazione
da eseguire (o il procedimento da seguire) a caratterizzare un problema.
7. “Cerca di capire se il numero che devi trovare deve aumentare (e allora si tratta o di
addizione o di moltiplicazione) oppure diminuire”. Le operazioni che aumentano o che
diminuiscono sono uno dei tranelli più aberranti che l’insegnante può tendere ai propri
allievi; ecco un esempio di una moltiplicazione che non aumenta: [12×0,5].
(Brousseau & D’Amore, 2008).
In questo modo non si fa altro che minimizzare la pratica matematica, togliendo del tutto le
procedure analitiche e sperimentali che fanno parte delle odierne proposte didattiche.
Anche il laboratorio, esaltato all’interno delle Indicazioni Nazionali, se messo in atto in
maniera sbagliata, potrebbe rivelarsi nocivo:
C’è chi non ritiene necessario (come invece è per noi) un luogo diverso dall’aula, ma solo
un tempo diverso; c’è chi non ritiene necessario (come invece è per noi) un tecnico che
non coincida con l’insegnante (ma allora il contratto didattico a volte prende il
sopravvento). Il laboratorio esiste, tanto è vero che si tratta di una eccellente modalità alla
quale si fa ancora riferimento. Ma pochi sanno degli studi critici al riguardo e ancora
qualcuno pensa al laboratorio come a una panacea, una metodologia del tutto positiva.
(D’Amore, 2014, p. 6)
È bene fare riferimento, inoltre, ai diversi strumenti implicati nel campo della matematica
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nel corso della storia, colpevoli della creazione delle più radicate panacee.
o Le reglettes o numeri in colore: vi sono tre ragioni per cadere facilmente in inganno
grazie a questo strumento. È importante manipolare lo strumento, non essere dominati da
esso. In questo modo è possibile “fare matematica.
La prima è che non c’è alcuna logica cromatica nei modelli delle operazioni elementari;
i colori sono del tutto casuali, né potrebbe essere altrimenti. La seconda è che i numeri
che si citano rappresentano misure lineari, altezze di parallelepipedi che hanno tutti la
stessa base, ma differenti altezze; ma non c’è né un’interpretazione cardinale né una
ordinale dei numeri (a meno di forzature innaturali); dunque si perdono o si dimenticano
significati importanti che formano parte della costruzione cognitiva dell’insieme dei
numeri naturali. La terza è che non c’è alcuna rappresentazione del numero zero, se non
l’assenza dell’oggetto; dunque, non si può rappresentare 7+0; il numero 0 è bandito da
questo strumento. (D’Amore & Fandiño Pinilla, 2014, pp. 94-95)
o L’abaco: l’abaco è un buon strumento per insegnare agli studenti delle prime classi
di scuola primaria che non esiste solo la base dieci. Grazie a tale strumento, è possibile
rendere noto che esistono sistemi numerici posizionali e non posizionali in quanto ciò
dimostra “quanto importante e geniale sia l’idea del sistema posizionale che genera, per
esempio, algoritmi di calcolo semplici e rapidi, per eseguire i quali non servono abaci,
sassolini […], ma solo un foglio di carta o una penna.” (D’Amore & Fandiño Pinilla, 2014,
p. 95).
o I blocchi logici
I blocchi logici hanno avuto una risonanza impattante a livello scolastico e sono stati usati
ampiamente dalla collettività studentesca; infatti, tale strumento sicuramente condurrà a
consolidare apprendimenti, ma come detto in precedenza, sarà un “apprendimento locale e
circostanziato” (D’Amore & Fandiño Pinilla, 2014, p. 9) per cui non potrà considerarsi una
panacea ma dovrà essere utilizzato come un mezzo da cui trarre benefici e potenzialità.
Infatti, se è vero che ad esempio uno studente potrà, tramite lo strumento o tramite altre
strategie arrivare a capire che l’insieme dei quadrati rossi è un sottoinsieme dei quadrati, ciò
non implica di conseguenza che lo stesso studente arriverà a capire in contemporanea che
l’insieme dei triangoli blu appartiene al sottoinsieme dei triangoli. È a tal proposito
necessario focalizzare l’attenzione sul transfer cognitivo, il quale non avviene in automatico
poiché mediato dalla didattica. Tale didattica, in quanto dipendente da una miriade di fattori
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personali, tra cui l’individualità di chi la esercita, non è spontanea. Oltretutto, quello che si
può fare con i blocchi logici, si può anche fare tranquillamente con altri materiali, come
bottoni, gettoni, tappi di bottiglia ecc., tutti proposti in egual o diversa dimensione. Per
concludere, è evidente che non si voglia eliminare tale strumento dalle classi scolastiche, ma
l’intenzione è da intendersi come sprone a far riflettere sulla necessità che ha il docente di
valutare bene cosa utilizzare ma soprattutto come e in che momento farlo.
Questi sono solo una parte esigua di ciò che si discosta dal “fare matematica” e che hanno
fatto parte dello scenario scolastico per troppo tempo.
L’analisi di ricerca di questa tesi verte su un unico punto: quello di dimostrare che esistono
tanti metodi, aspetti, espedienti, tutti altrettanto applicabili e funzionali.
Tale tesi di laurea, però, si propone di rendere chiaro che tali metodi sono tutti prestanti, sì,
ma dipende dagli obiettivi che si vogliono raggiungere. “Il compito della ricerca in didattica
della matematica è di mostrare e proporre strumenti concreti per interpretare le situazioni
d’aula il cui schema, assai più complesso di quel che potrebbe apparire, è formato da:
insegnante, allievo, Sapere” (D’Amore, 1999; D’Amore & Fandiño Pinilla, 2002).
Nei seguenti capitoli verranno presentati due metodi applicabili positivamente nel campo
dell’insegnamento-apprendimento della matematica nella scuola primaria. La questione
rimane la stessa, cerchiamo di indagare su:
• come sono strutturati i due metodi;
• quali sono le prospettive su cui si fondano.
Alla luce di quanto detto in questo capitolo; quindi, la nostra attenzione verterà su:
1. attinenza con le Indicazioni Nazionali (MIUR, 2012)
2. attinenza alle Indicazioni della Ricerca in Didattica della Matematica in particolare
rispetto alle componenti dell’apprendimento della matematica.
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SECONDO CAPITOLO
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2.1.1 Fondazione Asphi
La fondazione ASPHI (percontare.asphi.it) si occupa di favorire l’inclusione delle persone
con disabilità nella scuola, nel lavoro e nella società attraverso l’uso delle tecnologie
informatiche. Nel 2020, ASPHI compie 40 anni di attività, anni in cui sono stati realizzati
numerosi progetti, sviluppati software, progetti di ricerca di azione con le scuole,
dall’infanzia all’università. ASPHI è partita con un’attività pionieristica, occupandosi di tutti
i tipi di disabilità (ultimamente si sta lavorando su temi nuovi, come la didattica collaborativa
e inclusiva attraverso l’uso della robotica, dell’intelligenza artificiale, ecc.)
Parlando di Disturbi Specifici dell’Apprendimento, per quanto riguarda le varie difficoltà
nella letto-scrittura, ASPHI si è cimentata in questo tema ancor prima che la parola
“Dislessia” fosse così conosciuta. “In Italia, gli studenti con disturbi specifici
dell’apprendimento (DSA), fra cui la discalculia, sono stimati fra il 3% e il 5% della
popolazione scolastica (MIUR, 2011a), negli ultimi anni, sembra esserci una tendenza
all’aumento di certificazioni (MIUR, 2011b).” (Citato in Baccaglini-Frank & Bartolini
Bussi, 2015).
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Questo secondo filone è stato fondamentale in quanto ha fornito indicazioni, feedback e
suggerimenti proprio sull’andamento della didattica.
Il gruppo di lavoro del progetto, dunque, vantava la presenza di più associazioni: Asphi,
Università di Modena e Reggio Emilia, la Compagnia di San Paolo, con il supporto
operativo de La Fondazione per la Scuola.
Dal 2014 ad oggi, la ricerca scientifica ha mostrato che l’impostazione didattica del progetto
nelle scuole porta a una significativa riduzione del numero di bambini e delle relative
segnalazioni. In più, c’è da dire che le scuole che hanno realizzato come impostazione
multimodale la didattica del Progetto “PerContare” hanno continuamente sollecitato ad
andare avanti, coinvolgendo e realizzando materiali di supporto alla didattica per le classi
della scuola primaria successive alla seconda.
Dunque, tenendo conto di tutto ciò, nel 2019, il Progetto “PerContare” ha visto una seconda
fase della sua esistenza, è stato riscoperto. Questa seconda fase ha proprio come obiettivo
specifico quello di cogliere quelle che sono state le sollecitazioni che emergono dal mondo
della scuola, in particolar modo di costruire guide didattiche multimediali fruibili online e
gratuite indirizzate a tutte le classi di scuola primaria. Anche qui, per quanto riguarda il
gruppo di lavoro, il progetto è stato scritto e coordinato dalla Fondazione Asphi Onlus e ha
avuto come referente scientifico l’Università degli studi di Pisa, con il finanziamento della
Fondazione per la Scuola (Compagnia di San Paolo). Tutte le proposte didattiche sono state
e vengono sperimentate da alcune scuole delle regioni Emilia-Romagna, Toscana e
Piemonte.
Il Progetto “PerContare” nasce al fine di far fronte al problema legato alle difficoltà di
apprendimento dal punto di vista cognitivo. Con “difficoltà di apprendimento” Lewis e
Fischer (2016) si riferiscono ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e al costrutto
internazionale della Mathematical Learning Difficulty/ Disorder (MLD). Quest’ultimo
acronimo è stato studiato dopo quello della dislessia e c’è ancora molto da scoprire a
riguardo. I dati riportati all’inizio della prima fase del progetto, dunque nel 2011,
testimoniavano che solo il 2,5% circa della popolazione mondiale dovrebbe presentare
discalculia, con eventuale comorbilità con altri disturbi specifici dell’apprendimento; mentre
soltanto l’1% della popolazione presenta una diagnosi di discalculia evolutiva pura, dunque
senza comorbilità. (Dati rilevati dall’Academy for Research on Learning Disabilities-
IARLD).
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Per quanto riguarda la situazione in Italia, i dati (raccolti dal 2010-2011 fino al 2016-2017)
indicano che il 3% della popolazione scolastica è stato diagnostico con DSA nell’anno 2016-
2017, in particolare nella scuola primaria è stata rilevata una percentuale inferiore al 2%.
Tuttavia, “Oltre del 20% dei bambini, alla fine della classe quinta di scuola primaria, risulta
essere positiva ai test usati a livello nazionale per diagnosticare la discalculia.” (Lucangeli,
2005).
Bisogna analizzare questa discrepanza: partiamo da uno studio che prende in considerazione
gli ultimi 40 anni di ricerca sulle MLD e che cosa ha messo fuoco. Esso ha studiato i criteri
metodologici utilizzati negli studi internazionali per identificare studenti con MLD. I
ricercatori hanno scoperto che:
·Vi è un’enorme variabilità nei criteri utilizzati (i cut-off variano dal 2^ al 46^ percentile e
le misure utilizzate sono diverse).
·Non c’è in generale un controllo di fattori non cognitivi. I ricercatori si sono anche
focalizzati su quali siano i contenuti matematica utilizzati nell’individuare casi di MLD.
Dalla fascia di età che comprende bambini dai 5 agli 8 anni risultano:
• processamento numerico (simbolico e non simbolico);
• conteggio e cardinalità (quanti…?);
• fatti aritmetici (2+3=5; 2*7=14);
• numeri e operazioni in base 10 (algoritmi di calcolo);
• geometria (ricordare nomi di figure). (Baccaglini-Frank, 2019)
Mentre, per quanto riguarda la fascia di età oltre gli 8 anni, solo il 6% dei test diagnostici
concerne frazioni e contenuti algebrici (solo espressioni ed alcune equazioni).
Alcune conseguenze di queste MLD sono che la matematica, in troppe scuole, è ancora vista
come un asettico “saper far di conto” e come una procedura mnemonica (visione assai
distorta della matematica). È lampante come l’insegnamento in modo procedurale e per
imitazione di algoritmi (senza occuparsi della costruzione di significato) si riveli essere il
“modo giusto” per ottenere risultati migliori. Questa visione distorta deriva anche da un
metodiche ormai vetuste, ma tuttora resistenti e dilaganti nelle istituzioni scolastiche, del
paradigma del comportamentismo. Tuttavia, è noto che gli studenti sottoposti a un
insegnamento procedurale per imitazione di algoritmi, senza tener conto dei significati
matematici e senza lavorare esplicitamente sulla costruzione di questi, generalmente, hanno
bisogno di usare in quantità maggiore la memoria verbale, soprattutto per il recupero dei fatti
della memoria a lungo termine (questo è un ingente problema per la didattica inclusiva: uno
studente con dislessia, per esempio, avrà serie difficoltà, proprio perché non ha ben
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funzionante la memoria di lavoro- working memory). Gli studenti con minori risorse
cognitive (memoria di lavoro e intelligenza <<fluida>> o ragionamento non verbale)
falliscono molto più degli altri nel lungo termine; mentre gli studenti sottoposti
all’apprendimento creativo e per scoperta che presuppone <<productive struggles>>, cioè
uno sforzo produttivo, il quale deve esserci perché “per imparare bisogna far fatica”, hanno
prestazioni superiori nel lungo termine.
Questa è una fatica costruttiva che porta, tra i vari benefici, a un immagazzinamento dei fatti
nella memoria a lungo termine in modo diverso. Inoltre, tale recupero avviene con una
riduzione del carico cognitivo nei test successivi e nelle osservazioni con risonanze
magnetiche funzionali. (Jonsson et al.,2014; Norqvist et al., 2019)
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• Elaborare e testare strategie didattiche e guide didattiche per insegnanti di matematica
delle classi prime e seconde che aiutino tutti gli studenti a sviluppare adeguate
competenze numeriche;
• Dare supporto agli insegnanti nell’imparare ad utilizzare i materiali e le strategie
proposte in modo efficace;
• Sviluppare strumenti per un’identificazione precoce delle difficoltà in aritmetica, da
utilizzare nelle classi prime e seconde;
• Sviluppare strumenti di potenziamento per bambini che continuano a manifestare
difficoltà nello sviluppo di competenze numeriche di base.
(Baccaglini-Frank & Bartolini Bussi, 2015, p. 173)
In questo contributo protagoniste saranno le basi teoriche su cui sono costruite le pratiche
didattiche proposte nelle guide per insegnanti, arricchite da alcuni esempi, e si delineeranno
i risultati di uno studio longitudinale svolto nell’ambito del progetto, per mostrare l’efficacia
dei materiali rispetto agli obiettivi posti. (Baccaglini-Frank & Bartolini Bussi, 2015)
Il Progetto “PerContare” (https://www.percontare.it/) prende in considerazione i principali
contenuti dell’ambito aritmetico proposti nelle “Indicazioni per il curricolo della scuola
dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” (MIUR, 2012) per le classi prima e seconda. In
tale contesto, i materiali fanno particolare attenzione a favorire lo sviluppo di
consapevolezza di relazioni strutturali, in particolare la relazione parte-tutto (Baccaglini-
Frank & Bartolini Bussi 2015).
Infatti, la consapevolezza di questo tipo di relazione è stata studiata da Resnick et al. (1991)
in termini di schemi proto-quantitativi che “organizzano le conoscenze dei bambini sui modi
in cui il materiale che li circonda si ripartisce e si ricombina” (p. 32).
2.1.3 Il Contadita
Il Contadita è un artefatto promosso dalla ricerca scientifica del Progetto “PerContare”,
destinato ad una classe prima di scuola primaria (e non solo). Contare mediante l’utilizzo
delle dita conferisce un impattante vantaggio rispetto all’uso della scrittura o della voce: è
un’esperienza senso-motoria, che collega il movimento all’attività cerebrale, un’operazione
concreta ad una astratta. Un lungimirante tentativo per non creare l’abitudine ad usare le dita
PerContare, ma allo stesso tempo sfruttarne i vantaggi è quello di usare mani artificiali. In
questo modo il bambino conta sulle dita, senza memorizzare la prassi dell’uso delle proprie:
egli assimila la quantità e l’ordine dei numeri, senza adottare la consuetudine ad usare le
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proprie dita per risolvere i calcoli. Le dita sono sempre state uno strumento a “portata di
mano” e, per l’appunto, il nostro sistema di numerazione è definito “sistema di numerazione
decimale”. L’aspetto su cui il Progetto “PerContare” si è soffermato nell’apprendimento dei
numeri mediante il Contadita è, soprattutto, legato alla suddivisione dei numeri in cinquine,
infatti, tale artefatto riproduce fedelmente quelle che sono le mani umane, formate da un
palmo e cinque falangi ognuna. La caratteristica della riproduzione cartacea della manina è
quella di poter alzare e abbassare le dita ad ogni richiesta. Il ragionamento che occorre fare
non deve partire da cosa afferma la matematica, ma da come ragiona la nostra mente.
Rispetto all’attività di astrazione, però, sarebbe necessario nel calcolo mentale andare a
definire i vari particolari di un’immagine focalizzandola in maniera selettiva. La proposta
didattica si radica quindi sulla capacità di determinati artefatti di immortalare nella mente di
chi apprende i procedimenti mentali del calcolo.
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alla conclusione secondo cui nel comando delle dita e nell’analisi dei fatti numerici sia
implicata la stessa sede cerebrale, ovvero il lobo parietale inferiore sinistro (per una rassegna
sulle basi neurali della cognizione numerica, Butterworth, 1999; Dehaene, Piazza, Pinel, et
al., 2003).
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2.2 Il Metodo Analogico
Premessa
L’insegnante che abbraccia il Metodo Analogico diventa un compagno di volo del bambino.
Sarà l’insegnante stesso a staccarsi “dalla realtà” e salire all’altezza del bambino, affrontando
insieme un percorso familiare all’alunno. L’insegnante eviterà tortuosi e complicati percorsi
didattici, scegliendo una via di semplicità e umanità.
Se per la matematica è indifferente come sei mele siano disposte sul tavolo per continuare
a essere sei, per la nostra mente è diverso. Abbiamo bisogno di disporre i nostri oggetti
mentali con un ordine prestabilito e stabile se vogliamo conservarli nella mente.
(Bortolato, 2002, p.12)
Attraverso il Metodo Analogico si approderà facilmente alla conclusione del fatto che il
calcolo mentale è il superamento del conteggio.
Che cos’è la matematica con il Metodo Analogico?
Cos’è che cambia in particolare nell’insegnamento della stessa rispetto agli altri metodi?
[La via del Metodo Analogico, Camillo Bortolato, togliendo quel “freno” che solitamente viene
2002.]
inserito dai programmi ministeriali.
Camillo Bortolato (2002), un insegnante
laureato in pedagogia, vanta attualmente il
[Citare la fonte qui.] merito di aver progettato uno dei metodi per
l’insegnamento della matematica a cui si
attribuiscono numerosi apprezzamenti. Dal
momento che l’autore non è un ricercatore in
didattica disciplinare, ma è un docente che
57
ha collaborato con una casa editrice, non sono reperibili articoli o testi di ricerca scientifica,
ma solo materiali online e seminari registrati.
L’aggettivo “Analogico” sta a indicare la modalità di funzionamento della mente umana, che
produce pensieri in modo istintivo, i quali possono essere analizzati a posteriori in termini
logici (Bortolato, 2000). L’esigenza di adeguare la didattica alle ultime scoperte della ricerca
era tale da aver portato al concepimento di tale Metodo, facendo riferimento in particolare
alle nuove teorie dello sviluppo di Butterworth (1999) e Dehaene (2000), secondo le quali i
bambini fin dalla nascita sono dotati di grande sensibilità quantitativa. La proposta che si
vuole portare avanti è quella di una didattica che faccia tesoro delle capacità intuitive di ogni
bambino, che parta proprio da esse, e che favorisca lo sviluppo delle sue potenzialità, non
privandosi di strumenti didattici approntati al fine di poter simulare i procedimenti mentali
del calcolo. Una delle prime differenze che si palesano sin da subito in questo Metodo,
rispetto a quello tradizionale, è il fatto di avere una connotazione “non concettuale”. Il
Metodo Bortolato si fa portavoce di un apprendimento attivo ed esperienziale, conferendo al
bambino tutte le possibilità di imparare a conoscere i numeri e ad eseguire i primi calcoli,
senza ricevere preventivamente delle spiegazioni in merito. Il ruolo dell’insegnante è
primordiale, ma non fondamentale agli scopi individuali: egli si rivolge alla classe in quanto,
quest’ultima è considerata espressione di collettività. Infatti, egli ha il compito di eseguire
delle dimostrazioni collettive che, a differenza delle tradizionali spiegazioni,
consentirebbero di valorizzare la pratica prima della teoria e di fare luce sui processi mentali
che si possono solo rappresentare e non descrivere. Inoltre, si ritiene che il bambino possa
cominciare ad operare coi numeri senza doversi preoccupare di sapere cosa siano i numeri e
di conoscere il significato delle operazioni aritmetiche, in quanto è all’altezza di compiere
veri e propri calcoli mentali prima di apprendere le cifre scritte. È noto, infatti, che i bambini
detentori di una certa abilità nel calcolo mentale non fanno fatica poiché tutto avviene in
modo naturale, svuotato di ogni artificio, senza ricavare la comprensione da un processo di
ragionamento, e senza pensare ai numeri scritti (Bortolato, 2000). Dunque, il Metodo
Analogico si focalizza sull’insegnamento di direttive matematiche, ma alle immagini interne
della mente che si mette in azione in maniera intuitiva, ed ha come prioritario campo di
applicazione il “calcolo mentale senza cifre” in cui le quantità sono immagini che non è
necessario astrarre ma vedere nel loro dettaglio analogico (Bortolato, 2002).
Quindi, per il maestro Bortolato, il Metodo Analogico è “il modo più naturale di apprendere
mediante metafore e analogie, come fanno i bambini che nella loro genialità imparano a
giocare, a parlare o usare il computer ancor prima degli adulti” (si rimanda al sito
58
www.camillobortolato.it). Dalle indicazioni fornite dall’autore, una delle idee che stanno
alla base del metodo è quella di assecondare l’istintività e la volontà del bambino: ottenere
un numero indeterminato di oggetti nell’immediato, senza mezze misure. Secondo Bortolato,
questo aspetto viene ostacolato dalla didattica “tradizionale” che tende a presentare prima i
concetti più complessi lontani dalla quotidianità del bambino per poi andare ad affrontare
quelli più immediati. Sempre secondo l’autore, gli insegnanti italiani continuerebbero a
seguire la stessa linea educativa sia per quanto riguarda i contenuti, che per quanto riguarda
l’ordine in cui tali contenuti vengono presentati agli alunni. In particolare, vengono effettuate
le prove di ingresso per testare la preparazione degli studenti, gli esercizi di topologia, di
insiemistica, in cui ci si sofferma sul concetto di insieme vuoto, i regoli, la linea dei numeri
compreso lo zero, per poi arrivare ad utilizzare l’abaco per spiegare ed imparare il valore
posizionale delle cifre e solo alla fine raggiungono la consapevolezza di cosa sia e di come
funzioni il calcolo mentale (tale intervento è reperibile dal link:
https://www.youtube.com/watch?v=t1VKsopxTa0&t=156s).Si propone qui la visione
del Decalogo del Metodo Bortolato (Bortolato, 2004), con annessa smentita dei punti
riportati al suo interno:
1. Limitare il linguaggio verbale (per poter realizzare un percorso di questo tipo, il
Metodo Analogico propone degli strumenti, i quali sono adatti ad attività di
apprendimento quasi autonomo del bambino, evitando sin dall’inizio un’eccessiva
verbalizzazione per spiegare come si debba procedere. Tali spiegazioni, è stato
riscontrato, non sono state richieste dal bambino perché tutte le argomentazioni sono
insite nella struttura dello strumento stesso, il quale farà capire ai bambini come
procedere. Il primo strumento che incontreranno a scuola i bambini è la Linea del 20,
strutturata secondo la disposizione delle dita delle mani.)
2. Credere al silenzio come strumento per sviluppare l’intuizione.
3. Presentare solo i fatti e aspettare le connessioni.
4. Privilegiare le simulazioni alle spiegazioni.
5. Indicare le cose piuttosto che spiegarle.
6. Avere fiducia nella mente che lavoro da sola.
7. Rinunciare al controllo sul processo di conoscenza.
8. Preferire le immagini interne alle immagini esterne.
9. Concepire la conoscenza come un allargamento della percezione interiore.
10. Pensare all’astrazione come a un allontanamento dal significato. (Bortolato, 2005, p.
102)
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2.2.1 La Linea del 20
Per differenziarsi da questa didattica tradizionale, il metodo Bortolato prevede che
l’insegnante utilizzi, durante la classe prima della scuola primaria, unicamente la linea del
20, che permette di “arrivare a destinazione in giornata” e che dà la possibilità all’insegnante
di giocare ad esempio a dama o a fare delle cornicette tutto l’anno. La capacità
dell’insegnante di credere nelle potenzialità del bambino, sul fatto che sia in grado di
imparare tramite un metodo di tipo intuitivo, e, come appunto, detto in precedenza, la facilità
con cui apprende ad utilizzare il computer, sono parte integrante delle proposte didattiche.
Questo strumento permetterebbe agli studenti di imparare in maniera semplice, immediata
ed intuitiva i primi numeri e tutte le operazioni ad essi correlate nell’ ambito dei numeri
naturali. L’autore non ne dà una spiegazione precisa e finisce per sottintendere un aspetto
che richiede, invece una specificazione.
Sulla base di tali considerazioni, viene proposta una Linea dei numeri diversa da quella
tradizionale, in quanto costituita unicamente da una serie di pallini dislocati su un unico asse,
suddivisi in modo analogo alle mani, il quale consente di svolgere facilmente un’operazione
senza conteggio, attraverso una composizione istantanea di immagini. Secondo l’autore, la
rappresentazione tradizionale dei numeri potrebbe invece causare delle difficoltà di
comprensione, dovuta al fatto che le tacche che rappresentano i numeri cominciano dallo 0,
il quale, in verità, esiste solo come concetto logico. Inoltre, l’assenza di interspazi tra le
cinquine e le decine non facilita la comprensione istantanea delle immagini e quindi lo
svolgimento dei calcoli aritmetici.
L’importanza della rappresentazione numerica è sostenuta da diverse ricerche, le quali
evidenziano che un’errata rappresentazione mentale della linea dei numeri è una delle
possibili cause di disabilità acquisita nel calcolo (Butterworth, 1999). La Linea del 20
rappresenta un simulatore delle dita (due paia di mani), ed è costituita da 20 tasti mobili
suddivisi in cinquine di colore diverso. Tale strumento consente di svolgere immediatamente
conteggi, addizioni e sottrazioni, attraverso varie combinazioni visive (ad esempio il numero
7 può essere rappresentato con 5 e 2, o 3 e 4, …). Inoltre, i bambini possono ripetere con il
proprio strumento quanto eseguito dall’insegnante nel corso della dimostrazione collettiva,
e, successivamente, riflettere su quanto è stato fatto. Gradualmente gli alunni impareranno a
svolgere le operazioni aritmetiche senza lo strumento (Bortolato, 2007).
Nella didattica tradizionale solo dopo aver introdotto il concetto di decina e conteggio a basi
differenti, si individuano i numeri dal 10 al 20 tramite l’abaco. La tirocinante, utilizzando la
linea del 20, ha presentato sin da subito le quantità da 1 a 20 conducendo la classe
inizialmente solo a livello semantico e lessicale, mediante l’utilizzo di giochi che sviluppano
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il riconoscimento istantaneo della quantità (subitizing). Vi sono tutta una serie di attività che
si possono fare con lo strumento: dalla semplice lettura delle quantità da zero a venti e da
venti a zero, all’intuizione dei numeri cugini (1-11, 2-12, 3-13.), alla scomposizione del
numero venti (quanti bambini svegli? Quanti dormono?).
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alunni una condizione di confusione, ma passata la difficoltà iniziale, la presenza dei numeri
si è rivelata utile per far capire ai bambini che, oltre alla rappresentazione da sinistra a destra,
le quantità si possono rappresentare in molti modi. Nella figura sottostante viene
rappresentata la quantità 8, composta da 5 tasti magenta (da 6 a 10) e 3 verdi (da 11 a 13).
62
numero riprodotto sottoforma di parola: ad esempio, se si sono rappresentate sette palline, si
dovrebbe passare a scrivere direttamente “sette”. Da tale nuova conoscenza è possibile il
passaggio ad un nuovo livello, denominato “livello lessicale” corrispondente alla capacità di
leggere, dire e scrivere i numeri. Tramite queste due rappresentazioni, si auspica che lo
studente possieda le caratteristiche del calcolo mentale; ad esempio, potrebbe essere
chiamato a discutere e risolvere la sottrazione tra due numeri appartenenti ai diversi livelli
di cui sopra (semantico e lessicale), quindi tra rappresentazioni differenti, come le palline e
i numeri espressi in parola. Lasciati alle spalle i primi due livelli, occorre analizzare il terzo,
denominato “livello sintattico”, corrispondente alla capacità di disporre le quantità secondo
i diversi ordini dimensionali, come il valore posizionale delle cifre, che collimerebbe con
quello dei simboli. In particolare, si avrebbe da una parte il numero in cifra romana, mentre,
dall’altra, il numero in cifra, impiegato per compiere dei calcoli matematici. Cionondimeno,
al fine di svolgere queste ultime, sarebbe necessario solcare il terreno del “tempio dei numeri
scritti”, collocato idealmente sulla cima della montagna e rappresentato dall’utilizzo di
quattro algoritmi. In dettaglio è possibile osservare il simbolo “+” per l’addizione, il simbolo
“-” per la sottrazione, il simbolo “x” per la moltiplicazione e infine il simbolo “:” per la
divisione. Toccare la cima favorirebbe l’acquisizione di tali competenze e, quindi, di
svolgere in tempo minimo dei calcoli che con la scrittura araba, tra l’altro, non si sarebbero
riusciti a fare, o che, comunque, avrebbero richiesto una dose di tempo ed una difficoltà
maggiore. Tale percorso viene definito “agevole, semplice e naturale”. Il raggiungimento
del tempio, definito “tempio dei numeri scritti”, comporterebbe, però, il fatto che verrebbe
“sacrificata la visione cioè il controllo consapevole di quello che facciamo” (Bortolato,
2002, p.12). I motivi sarebbero molteplici. Innanzitutto, perché il calcolo scritto sarebbe un
calcolo cieco; di fatti, i numeri verrebbero processati in maniera tale da incolonnare le cifre
in maniera schematica e andrebbero a suddividere il calcolo in tanti più piccoli. La nuova
produzione dei numeri in forma scritta rappresenterebbe, quindi, una rinuncia alla visione
strategica delle quantità. Un altro motivo è legato al fatto che la scrittura che viene definita
come decimale, in realtà sarebbe un’alterazione della “decimalità” poiché quando si cancella
la cifra romana “X” e vengono utilizzate unicamente 9 cifre, si creerebbe una situazione di
disorientamento nel bambino, e se si pensa alle mani, sembrerebbe che venga eliminato il
decimo dito per calcolare. Alla stessa stregua, scomparirebbe anche la decima pallina posta
in cima all’asta dell’abaco. In realtà, si scopre da subito come tale pallina sia stata cambiata
di posto e di funzione e sia stata denominata “decina”, ottenendo, così, il passaggio da
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“decima” a decina. Ciò confermerebbe come durante il passaggio appena citato fosse
mancata la capacità intuitiva dell’alunno, a proposito della quale l’autore si domanda:
Cos’è il cambio, per un bambino, se non l’inseguimento di una “decimalità” che non viene
mai raggiunta, e lo zero se non l’abrogazione stessa della visione? Ogni volta che si
nomina il termine <<decina>> si richiama in vita qualcosa che ha già cessato di esistere.
Ogni bambino nella sua visione cristallina e onesta rimane giustamente perplesso.
(Bortolato, 2002, p.13).
Collegandosi a questo, l’autore aggiunge che la riscrittura proposta rappresenterebbe uno
stravolgimento dell’attuale evidenza dei fatti verso un ragionamento di difficile acquisizione.
Secondo tale approccio, cominciare dai numeri scritti significherebbe procedere nel senso
inverso rispetto a quello naturale rendendo il percorso più difficile e dispendioso (Bortolato,
2002).
La didattica “tradizionale” è oggetto di studio della seconda montagna, la quale, viceversa,
viene rappresentata al rovescio. Tale scelta è dovuta al fatto che, secondo l’autore, il percorso
che l’ampia mole di docenti si accinge a compiere a scuola andrebbe esattamente
controcorrente rispetto a come dovrebbe essere. In particolare, alla base si trova il “tempio
dei numeri scritti”, luogo adibito alla formulazione di domande poste dall’insegnante allo
studente cosa sono determinati numeri, cosa sono le decine, cosa sono le unità ecc. e da
queste domande avrebbe inizio il percorso di apprendimento della matematica, ritenuto
necessario poiché si riterrebbe che il bambino non abbia chiaro il concetto di quantità. Tale
percorso, definito come didattica, non sarebbe lineare come il precedente, bensì prevede il
proprio sviluppo in maniera lenta e faticosa, portando lo studente ad affrontare molti ostacoli
e a trovare una serie di deviazioni che rallenterebbero il raggiungimento dell’obiettivo
ultimo. Questa via è, inoltre, l’unica responsabile che spinge l’alunno a raggiungere quelle
competenze idonee al possesso del concetto di quantità; tale concetto, in realtà, sarebbe già
presente dalla nascita sottoforma di rappresentazioni.
La valutazione che l’autore fa di questo percorso è interamente negativa; il Metodo
Analogico, infatti, sarebbe rappresentato proprio dal rovesciamento della montagna e
risulterebbe fondamentale in quanto simboleggerebbe “il ripristino della normalità e della
naturalezza nel modo di apprendere di ognuno” (si rimanda al video tramite il seguente link:
https://www.youtube.com/watch?v=PzaDHIGx0Dg). Infatti, se venisse rispettato questo
percorso, l’apprendimento si rivelerebbe facile: la prassi prevede di presentare prima le cose,
poi il nome delle cose e solo alla fine i numeri scritti. Nel contesto dell’aula scolastica invece,
generalmente, si lavorerebbe con una didattica profondamente basata su concetti, che
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partirebbe dal significante per riapprodare poi al significato, ovvero partire dalle cose finite,
per poi spiegarne i fatti pregressi.
In conclusione, è palese come il suo metodo tenterebbe di porre in evidenza le capacità di
intuizione e di apprendimento immediato di taluni aspetti del bambino, che dovrebbero
essere presentati senza troppe terminologie verbali, basando tale lavoro costantemente sulla
concretizzazione e manipolazione di oggetti e di strumenti. Gli studenti, sempre secondo
l’opinione di Bortolato, sarebbero in grado di utilizzare il calcolo mentale in maniera molto
spontanea, osservando le quantità dal punto di vista ludico. Una volta impostato questo tipo
di forma mentis, si prospetta, poi, l’utilizzo di strategie di tipo manipolativo-mentale, che si
avvicinino il più possibile agli aspetti personali, che siano legate al proprio vissuto, al fine
di fare calcoli precisi e concreti. Inoltre, di importanza non trascurabile sono le capacità
innate del bambino, in particolare il “subitizing”, processo che determina il numero di
elementi all’interno di un insieme avente una quantità ridotta di oggetti. Tenendo presente
questo fenomeno, l’autore crea i dots, i pallini, disponendoli in maniera ordinata e
raggruppata in cinquine, decisione che agevolerebbe i bambini ad un calcolo più semplice,
rapido, ma soprattutto intuitivo. Sarebbe necessario quindi portare l’alunno verso
l’intuizione, facendo in modo che il docente parli il meno possibile, dicendo unicamente
l’essenziale e credendo fermamente che ogni studente abbia le capacità di capire un
determinato concetto.
Nel lavoro didattico, la rappresentazione delle dita delle mani viene sostituita da una serie di
palline divise in cinquine, enfatizzando in questo modo l’importanza dell’ordine e degli spazi
tra ogni cinquina, per rendere immediatamente riconoscibili le quantità e quindi agevolare
lo svolgimento di compiti aritmetici.
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valutativo se avrai fatto quello che dico io, non se sei autonomo nel fare, anche sbagliando
(2013, pp. 14-15).
Scegliere il Metodo Analogico vuol dire superare i curricoli e aprire una strada di
cambiamento della scuola all'insegna dell'umanità. Bortolato afferma che i bambini in
difficoltà vanno aiutati in segreto e non insieme al gruppo classe, anche e soprattutto per non
rallentare il lavoro altrui. Nella classe prima, vi è molta attenzione alle parole per esplicitare
i concetti di cardinalità e di quantità. Lucilla Cannizzaro opera diverse riflessioni
sull’approccio al concetto di numero, lo fa basandosi sulle tre componenti essenziali del
numero naturale: l’esperienza, la matematica e la psicologia. (tratto da: “Aritmetica:
seminario di formazione per docenti, Istruzione Elementare”)
Il metodo Bortolato, di natura prettamente intuitiva, scardina completamente i principi della
matematica procedurale, impostando l’apprendimento attraverso la lettura di immagini e/o
rappresentazioni, senza la contaminazione di parole chiave e/o diagrammi di flusso
(Bortolato, 2002).
• Matematica procedurale: addestra l’alunno a eseguire procedure e direttive senza dargli
gli strumenti per ragionare di testa propria; Diagrammi; Parole chiave;
• Matematica intuitiva: l’alunno comprende il problema sfruttando le proprie capacità
intuitive; Problemi con immagini (Metodo Analogico).
Il verbo “contare” viene impiegato nella lingua italiana sia in modo transitivo, che in modo
intransitivo. Se esplicitiamo l’azione di contare oggetti, il numero finale indica la quantità
degli oggetti in gioco. Gli esseri umani hanno la capacità, inoltre, di contare PerContare, cioè
di recitare la filastrocca dei numeri. Nel contare in senso intransitivo è radicata l’idea
secondo la quale ogni numero ha un successivo e, probabilmente, l’idea di infinito si innesta
in questo contesto.
Questo secondo modo di contare è più vicino al significato ordinale dei numeri: non si
contano gli oggetti per stabilire quanti sono (esempio: il modo in cui vengono disposti i
numeri civici delle case lungo una strada: questo non significa che vi siano 1000 case in
quella via, ma sono numeri utilizzate per dare un ordine, per esprimere una valenza ordinale).
D’altro canto, quando si contano oggetti in modo transitivo (si contano gli oggetti per
stabilire il numero effettivo), l’ordinale nel quale si identificano gli elementi con una
sequenza ordinata di numeri è irrilevante, ovvero, vi è un’identità nel risultato qualunque
siano le etichette che si assegnano ai singoli elementi. In quest’ottica, da un punto di vista
cognitivo, l’aspetto ordinale del numero precede l’aspetto cardinale, il quale viene
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identificato con l’etichetta utilizzata nel contrassegnare l’ultimo degli elementi (esempio:
cassiere di una banca che, nel conteggio dei soldi, opera sia in modo transitivo, che in modo
intransitivo).
In riferimento a come si sviluppa il concetto del numero, possiamo affermare che molti
bambini contando, per esempio, un insieme di sei elementi, ripetono la parola “sei” due volte
e anche con intonazione diversa. La prima volta serve per dare loro un nome all’ultimo
elemento conteggiato, ha un’accezione ordinale, è l’etichetta dell’ultimo elemento. Il
secondo “sei”, invece, si riferisce al numero totale di elementi presenti ed ha un’accezione
cardinale, e si riferisce a un insieme di elementi.
Gelman e Gallistel propongono cinque principi fondamentali per leggere il modo nel quale
evolve nei bambini la concezione di numero.
I primi tre principi descrivono il procedimento con il quale avviene il conteggio (il come):
• contare intransitivo, contare PerContare, recitare la filastrocca dei numeri sono
abilità connesse ad esperienze di azioni ripetute. Nell’espletare correttamente tali
attività, vale un “principio di iniettività”: i nomi dei numeri nella loro successione
vengono usati come indicatori; lettere dell’alfabeto del loro ordine o le dita di mani
e piedi in un certo ordine (fungono in egual modo). Due sono i requisiti richiesti:
ripartire (e dunque saper distinguere) gli elementi già contati e quelli ancora da
conteggiare, saper coordinare tale operazione con l’insieme fonte delle etichette.
• Il principio dell’ordine stabile (*)
• Il principio di cardinalità consente di assegnare come proprietà di un insieme l’ultima
etichetta usata per identificare i suoi elementi. E quando le etichette saranno i
numerali o le parole-numero nella corretta successione, partendo dalla prima si
otterrà l’atto di contare come viene eseguito dagli adulti.
• Il principio di astrazione fissa cosa contare: le tre attività soggiacenti ai principi
precedenti possono essere applicate a una qualunque collezione di entità, anche
insiemi di oggetti eterogenei, anche oggi solo pensati.
• Il principio di irrilevanza dell’ordine: non interessa quale elemento riceva un
determinato ordine di disposizione.
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TERZO CAPITOLO
LA SPERIMENTAZIONE
Premessa
Al fine di avvalorare le scelte metodologiche discusse in precedenza (cap. II), in questo
capitolo si espone il lavoro sperimentale progettato per verificare l’effettiva possibilità di
costruire situazioni didattiche capaci di promuovere risonanza tra i modelli interpretativi dei
bambini e la rappresentazione dei numeri. Inoltre, si è interessati a mostrare se una
progettazione didattica di questo tipo riesca a guidare i bambini verso un uso consapevole
della rappresentazione dei numeri in maniera da sviluppare una capacità autonoma di
orientamento di fronte a situazioni problematiche lontane dagli standardizzati problemi di
rappresentazione, composizione e scomposizione di numeri. Si tratta quindi di un lavoro
sperimentale interessato a osservare da vicino il processo di insegnamento-
apprendimento sviluppato secondo due approcci differenti: il metodo Bortolato e il Progetto
“PerContare”.
I numeri naturali non solo sono di difficile definizione, ma hanno anche tantissime modalità
di scrittura. In particolare, è possibile scriverli utilizzando delle parole, che saranno diverse
per ogni lingua, ma anche in cifra. Vi è poi da prendere in considerazione l’esistenza di
diversi sistemi aventi diverse caratteristiche. La scrittura di origine romana, ad esempio, non
è di tipo posizionale e quindi è necessario aggiungere, man mano che il numero diventa più
grande, sempre più simboli. Al contrario, il sistema arabo-indiano lo è, quindi grazie ad
infinite combinazioni di poche cifre, è possibile scrivere molti numeri. In base alla scrittura
che si utilizza, bisogna poi fare attenzione alla possibilità o meno di eseguire dei calcoli. Per
cui da ciò emerge come non ci sia un sistema giusto o sbagliato ma semplicemente esistono
modalità più o meno convenienti.
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Inoltre, l’obiettivo di questo studio è anche quello di seguire da vicino i discorsi e le
conquiste dei bambini e quindi, per entrare nel merito dell’analisi, si è scelto di documentare
le singole attività in modalità narrativa, con il racconto dell’esperienza fatta attraverso le
sbobinature, ma anche attraverso il racconto di aneddoti significativi, di incidenti sul
percorso, di illuminazioni ed epifanie che hanno riattivato situazioni bloccate.
Il percorso sperimentale ha preso avvio nel proporre agli alunni svariati contesti e attività
di problem-solving accomunati da analoghe strutture formali. Attraverso le diverse
esperienze su cui si è lavorato insieme, i bambini hanno avuto modo di verificare come la
struttura del contare e la struttura additiva si costituiscono attorno ad alcune questioni
fondamentali. Esse modificano aspetti a seconda dei contesti, dei linguaggi e dei materiali
usati, ma si basano su un contenuto matematico comune: così, per esempio, la lunghezza di
saltelli da fare per attraversare un ruscello e la quantità di cucchiai di plastica/cannucce
contenuti in un “fascetto”, “incarnazioni”, queste, del conteggio in due contesti molto
diversi (Metodo “Analogico” e Progetto “PerContare”). Riguardo al problema
dell’astrazione va menzionato un altro aspetto fondamentale per questo lavoro: si tratta della
necessità di concepire il passaggio dal concreto all’astratto non come un distacco definitivo,
ma come un continuo percorso di andata e ritorno, che può essere messo in atto da ognuno
quando ne senta l’esigenza. Mantenendo vividi in mente i propri percorsi e alimentando la
capacità di tornare al punto da cui si è partiti, è possibile muoversi con più sicurezza
e disinvoltura nei campi più astratti, rendendo più agevole la comprensione ed
eventualmente risolvendo dubbi anche nell’ambito di strutture più complesse.
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C. Sia per il Metodo Analogico, sia per il Progetto “PerContare”, il fulcro della
sperimentazione, il quale permetterà realmente alla classe di mettersi alla prova e verificare
le proprie supposizioni, si palesa nella terza attività: rispettivamente nella
realizzazione della “Linea del 20” (Metodo Analogico di Camillo Bortolato) e del
“Contadita” (Progettto “PerContare”). Far toccare loro con mano i due diversi strumenti di
apprendimento, ha permesso di seguire e monitorare meglio gli allievi e di riflettere su come
le dinamiche di gruppo influenzino l’apprendimento. Tuttavia, nell’ultima parte di ogni
attività, ho ritenuto opportuno riunire la classe per una riflessione conclusiva sul lavoro
svolto sviluppando un processo di valutazione formativa (“che cosa abbiamo imparato?).
Questa sperimentazione vuole procedere attraverso l’approccio per artefatti, in quanto tale
metodica attiva diversi canali sensoriali in base alle diverse esigenze
dell’individuo, utilizzando soprattutto i canali visivo e cinestetico, e facendo riferimento al
dominio specifico appropriato (spesso non è quello visivo-verbale come si potrebbe
credere). Tale metodologia, inoltre, consente di leggere gli schemi cognitivi degli alunni, i
loro modi di pensare e di sviluppare il sapere, di introdurre diverse rappresentazioni e di
cogliere i legami tra questi in base alle esigenze della classe riscontrate dall’insegnante.
Il progetto sperimentale non è rigido e vincolante, non è fatto di schemi da cui si è
impossibilitati ad uscire, ma permette allo sperimentatore di avere ampi margini di libertà su
cui poter spaziare, andare avanti e tornare indietro, ma alcuni passaggi cruciali devono essere
garantiti.
70
L’ITEM A presenta quattro colonne contenenti
diversi oggetti disposti verticalmente. Si chiede
allo studente di colorare n oggetti richiesti. La
consegna è formulata in modo sintetico e chiaro
per studenti di quel livello scolastico
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-gli obiettivi che ho elaborato in fase di progettazione e che mi hanno guidato nell’azione
didattica;
-il materiale, ben organizzato e non, buona parte del quale è stato costruito da me;
-il resoconto dell’attività, suddiviso in parti, arricchito con fotografie e parti rilevanti delle
discussioni in classe;
-la verifica del raggiungimento degli obiettivi, in cui ho riflettuto sugli apprendimenti dei
bambini, (questa parte è servita anche per rielaborare pensieri sul mio operato, sugli
eventuali errori/difficoltà incontrate e sulle modifiche che potrei apportare se dovessi
riproporre il progetto).
La scuola primaria in cui ho svolto il mio lavoro di tesi è collocata a Francavilla al Mare,
una città di circa 25.000 abitanti, situata lungo il litorale costiero della provincia di Chieti.
Tale contesto è rappresentato a livello scolastico dalla presenza della Direzione Didattica,
istituto a cui fanno capo tre scuole dell’infanzia, tre scuole primarie e una scuola secondaria
di primo grado per un totale di sette plessi. Il luogo in cui ho effettuato la sperimentazione è
stata la scuola primaria “Alento”. Tale scuola è inserita all’interno di un contesto abitativo
nel quale vi è un’utenza costituita da una florida varietà etnico-linguistica che, di
conseguenza, si riflette all’interno delle classi. Questo aspetto, superate le difficoltà legate
alla lingua italiana da apprendere, è di notevole rilievo in quanto permette di conoscere
curiosità, abitudini e culture diverse dalla nostra e quindi rappresenta un arricchimento
reciproco tra insegnante e alunno, ma anche tra gli alunni stessi. Le classi in cui ho svolto le
ore per il lavoro di tesi sono due prime costituite rispettivamente da 18 (1 A) e 15 (1 C)
studenti, di cui 6 di origine straniera (con madre lingua non italiana) ed uno con disabilità in
1 A, mentre 3 alunni di origine straniera frequentano la 1 C. Per quanto riguarda il team dei
docenti, esso è composto, in entrambe le sezioni, da quattro insegnanti di classe, due su
posto comune, una che insegna religione cattolica, una su posto di sostegno e un’ assistente
educativo, quest’ultime solo in 1 A.
Dal punto di vista spaziale e dei materiali, l’aula della 1 A è composta da banchi degli
studenti, i quali sono disposti in maniera regolare e distanziati di 1 metro, due lavagne, una
d’ardesia ed una LIM (lavagna interattiva multimediale con proiettore), senza cattedra e con
una serie di armadi su cui sono contenuti libri, quaderni ed altri oggetti scolastici utili per la
72
didattica. In 1 C la situazione è all’apparenza la medesima, con la differenza della presenza
di una cattedra, possibile, questa, per questioni di spazi.
Per quanto concerne la programmazione scolastica, quella a cui faccio riferimento è relativa
alla matematica, seguita dal maestro Di Giandomenico Berardo Tommaso e dalla maestra
Simona Di Bari, con i quali ho avuto modo di confrontarmi e di collaborare a partire dal
mese di dicembre 2020 fino al mese di febbraio 2021, periodo in cui ho effettuato il percorso
di tirocinio del quinto anno accademico. La maggior parte delle mie 100 ore di tirocinio sono
state impiegate per la sperimentazione del Progetto “PerContare”, quindi in 1 A, classe che
mi ha vista comprendere alcune vicissitudini a cui prima non davo peso, mi ha vista
sbagliare, imparare e giocare con gli alunni. Durante la sperimentazione in 1 A, ho potuto
cogliere diversi aspetti della classe, cosa che, per mancanza di tempo, non è successa in 1C.
Per quanto riguarda la routine, essa prevedeva appunto, da parte del maestro, un iniziale
momento di dialogo con i bambini, chiedendo se vi fossero comunicazioni importanti da
fare, dopo di che si passava all’appello per la mensa. Solo dopo aver sistemato tali questioni
burocratiche, si procedeva con le varie attività.
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canale. Al di là della didattica tradizionale, l’idea che alcuni metodi apportano nella didattica
della matematica è il riscontro di sviluppo prevalente di un unico canale e non di una pluralità
di essi, come la ricerca scientifica auspica. Focalizzarsi su un unico canale sensoriale
potrebbe ostacolare l’attenzione agli stimoli e bisogni degli allievi, costringendo questi
ultimi a adattarsi a un canale sensoriale imposto dal metodo applicato.
Dopo essermi sincerata rispetto all’acquisizione dei prerequisiti, ovvero siano i cinque
principi del conteggio (Gelman & Gallistel, 1978), procedo per l’avvio della
sperimentazione in classe 1 A. “I bambini sanno contare ben oltre il dieci, ma probabilmente
pochi hanno sviluppato solidamente aspetti semantici dei numeri oltre il dieci”
(https://www.percontare.it/). Si precisa che qui l’obiettivo non è contare le cannucce, oppure
“scoprire” i numeri oltre al 10, ma lavorare sulla loro rappresentazione con il sistema
decimale.
La prima attività, durata circa 4 ore, prevede di portare in classe x cannucce (volendo se ne
possono usare anche di più o di meno per variare la durata dell’attività) in un sacchetto e
spargerle su una superficie accessibile a tutti i bambini (anche il pavimento, nel caso in
questione l’ambiente scelto è stato l’aula 1 A). La prassi della sperimentazione determina un
confronto aperto con gli alunni sin dall’inizio dell’attività. È necessario rendere partecipi il
più possibile gli studenti, altrimenti non se ne ricaverà un apprendimento
permanente. Perciò, l’esercizio ha inizio da una domanda che pone la tirocinante:
“Secondo voi quante cannucce sono queste? Basteranno per tutti?”. Da qui si apre, in
maniera ridotta, un brain-storming in cui emergono differenti opinioni da parte dei bambini;
non manca occasione di chiedere sempre loro di motivare il perché della risposta.
A questo punto, dopo essersi assicurata della conoscenza della classe dei numeri sin oltre il
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60 (i bambini, se guidati, sanno contare anche oltre il 100) la tirocinante distribuisce una
cannuccia per ciascun bambino, esortando la classe a contare insieme a lei ad alta
voce, perché da sola non ce la fa. In questo modo si ottiene l’attenzione della classe e il
raggiungimento del risultato desiderato (sapere quante cannucce la tirocinante ha in tutto:
sono di più dei bambini presenti in classe? Sono di meno? Corrispondono al numero di
bambini della 1 A?). I risvolti situazionali possono essere 3:
▪ a ogni bambino corrisponde una cannuccia e quindi si determina una situazione
d’uguaglianza. Si ripete la domanda: “C’è 1 cannuccia per tutti?” e alla risposta “sì!” si
formalizza che: “Ci sono x bambini e x cannucce, quindi il numero è uguale, c’è uguaglianza
tra la quantità di bambini e la quantità di cannucce” (https://www.percontare.it/);
▪ le cannucce sono in numero superiore e quindi ne rimangono in mano al distributore.
Si ripete la domanda:” C’è 1 cannuccia per tutti?” e alla risposta “Sì, ma ne avanzano” si
formalizza che le cannucce sono di più dei bambini e quindi in numero maggiore. Si farà
notare loro che i bambini sono di meno e quindi in numero minore;
▪ il numero delle cannucce è inferiore a quello dei bambini, quindi ne mancano per
poterne destinare una ciascuno. Si ripete la domanda: "C'è 1 cannuccia per tutti?” e alla
risposta “No!” si formalizza che le cannucce sono di meno dei bambini e quindi la loro
quantità è minore. (https://www.percontare.it/)
Come prima cosa, si chiede ai bambini di osservare che il numero degli alunni è minore e le
cannucce sono di più. La tirocinante pone subito un’altra situazione problema, in modo da
porre le basi del processo composizione/scomposizione dei numeri: prende in
mano 30 cannucce e invita gli alunni a contare quante cannucce effettivamente ci siano nel
palmo della maestra.
Subito dopo segue la fase di raccolta, la quale si compone di:
• scrivere alla lavagna le diverse risposte dei bambini;
• sottolineare le osservazioni in cui si è stimata la quantità di cannucce, per poi affermare:
“Bene, ora dobbiamo vedere chi si è avvicinato di più e contare le cannucce per scoprire
davvero quante sono. Come possiamo fare?”
Alcuni bambini potranno rispondere dicendo “moltissime”, “tantissime” o dicendo i numeri
“più grandi che conoscono”. Potrebbero usare numeri come “cento”, “mille” o simili senza
attribuire un ragguardevole significato di quantità, ma come sinonimi di “tantissime”.
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Preparazione e Consegna
L’insegnante distribuirà 22 cannucce e 2 elastici per bambino e chiederà di rappresentare
diversi numeri (fino al 22) con le cannucce. L’approdo finale è la rappresentazione dei
numeri con fascetti da dieci più altre cannucce sparse.
PRIMA FASE
Proporre ai bambini: “Che giorno del mese è oggi? [incitare la classe a dire il numero, per
esempio 17, e riprodurlo in cifre arabe alla lavagna]. Provate a rappresentarlo con le
cannucce. Come si potrebbe fare?”
Successivamente chiedere: <<E se oggi fosse il 30 come potrei fare, anche senza saper
contare fino a 30?>>
SECONDA FASE
1) Dire un numero, soltanto a voce, e chiedere ai bambini di rappresentarlo con le cannucce.
2) Scrivere un numero alla lavagna in caratteri arabi a chiedere ai bambini di rappresentarlo
con le cannucce.
3) Scrivere un numero in lettere alla lavagna e chiedere ai bambini di rappresentarlo con le
cannucce.
4) Disegnare alla lavagna numeri rappresentati con le cannucce e chiedere ai bambini di
scrivere i numeri in cifre sul quaderno. (https://www.percontare.it/)
Che cosa aspettarsi
Durante la prima fase, è probabile che i bambini arrivino subito a disporre sui banchi il
numero di cannucce in questione, in questo caso, per esempio, 17. In modo più difficile e
dispendioso saranno portati a legarne, all’occorrenza, 10.
Significati matematici in costruzione
Si vuole favorire l’apprendimento della notazione decimale e l’interpretazione dei numeri in
formato simbolico (detti a voce o scritti con caratteri arabi) attraverso una semantica mediata
dall’oggetto concreto fascetto-decina. In particolare, qui l’obiettivo è quello di rafforzare la
rappresentazione dei numeri come insiemi di fascetti-decina (decine) e cannucce sparse
(unità), e cioè la semantica del nostro sistema decimale. Con le consegne della seconda fase,
si intende potenziare le abilità di traduzione da un registro rappresentazionale all’altro,
rafforzando i collegamenti tra codice arabico, verbale e semantico.
Significati matematici: modalità di costruzione
Durante la prima fase, è necessario confrontare le diverse produzioni, riportando sulla
lavagna le risposte date dai bambini. Successivamente, la tirocinante chiederà ulteriori
spiegazioni ai bambini che hanno proposto le strategie in cui si raggruppano o legano alcune
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cannucce (meglio se 10). In un secondo momento si condurranno i bambini alla totale
condivisione dell’idea di rappresentazione dei numeri come gruppetti di fascetti-decina più
cannucce sparse. La formalizzazione di quanto emerso in questa attività può essere fatta
durante un’ora successiva, oppure alla fine di questa attività.
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con relative composizioni/ scomposizioni di esso (riferimenti IV attività). Per esempio, si
può proporre:
“Sapete come si scrive 10?”
A questo punto, dal momento che la 1 A è una classe in cui i bambini sono tutti pronti (fatta
eccezione di un singolo caso), si è considerato idonea l’occasione per far riflettere i bambini
sulla scrittura dei numeri oltre il 9. Intraprendere questa strada è cruciale per il bambino,
soprattutto se dopo questa attività si prevede di lavorare subito con numeri oltre il 10.
Dunque, è stata premura della tirocinante suggerire alla classe: “È un numero diverso dagli
altri che abbiamo scritto finora…si scrive con due cifre: 1 e 0.”
Qui è possibile proporre un approfondimento per mostrare ai bambini i diversi sistemi
numerici, per far comprendere che il sistema numerico è un modo per esprimere,
rappresentare numeri attraverso simboli.
In ultimo, la tirocinante invita, uno alla volta, ciascun bambino alla lavagna a disegnare un
numero sottoforma di cannucce e fascetti, alimentando l’attenzione degli altri compagni, i
quali sono stati promossi al ruolo di “Sorvegliatori” dell’esercizio, infatti hanno il compito
di controllare l’operato del compagno, esercitandosi anche loro sul quaderno: il medesimo
procedimento verrà effettuato con l’inserimento delle scatolette (quindi verificare se
l’alunno posiziona i fascetti nelle DA e le cannucce singole nelle U).
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bambini hanno subito dato spazio alla loro "mente da matematici", cercando di capire come
risolvere al meglio il problema che era stato assegnato loro. Inizialmente hanno provato a
contarle in sequenza, ma in questo modo non riuscivano a dare loro un rigore logico. Ognuno
di loro ha esposto il proprio metodo, tutta la classe, incuriosita, ha iniziato a contare, finché
il più coraggioso si fa forza, ammettendo che non sarebbero mai riusciti a contare tutte le
cannucce, perché <<Dopo il numero 10, la maggior parte della classe si ferma.>> (per
mancanza di sicurezza): erano davvero tante, i numeri si confondevano e l’esercizio stava
impiegando davvero troppo tempo e fatica.
La tirocinante è stata pronta ad aiutare i propri allievi, suggerendo di raggruppare le 22
cannucce, sollecitando il ragionamento dei bambini: “Secondo voi, come potremmo
raggruppare tutte queste cannucce?”
Qualcuno ha poi consigliato di contarle, tenendole in mano: ma cosa si sarebbe dovuto fare
quando in mano non ci stavano più? Come distinguerle da quelle non ancora contate?
I bambini hanno iniziato a formare 𝘧𝘢𝘴𝘤𝘦𝘵𝘵𝘪 𝘥𝘪 𝘤𝘢𝘯𝘯𝘶𝘤𝘤𝘦, ma ecco che, quando pensavano
di avere risolto tutto, è arrivato un altro problema: come
facevano a sapere quante cannucce avevano contato se
ognuno creava fascetto di 𝘯𝘶𝘮𝘦𝘳𝘰 𝘥𝘪𝘷𝘦𝘳𝘴𝘰 di
cannucce? Dovevano riuscire a trovare un numero che
fosse:
• uguale per tutti;
• abbastanza piccolo da riuscire a contare le cannucce
singolarmente;
• comodo per permetterci di contare velocemente.
Alcuni hanno proposto gruppetti da 3, altri da 8, finché
non si è arrivati al raggruppamento delle cannucce per 5. I bambini hanno riflettuto ed
ognuno ha apportato il proprio contributo, spiegando il perché della propria scelta. Gli alunni
hanno, poi, scritto tutti i numeri che erano emersi dai bambini e hanno riflettuto
ulteriormente tutti insieme alla tirocinante.
Non c'è voluto molto per capire che il Nostro Numero fosse il 10, perché “contare fino a
dieci è facilissimo e contare dieci, dieci, dieci è veloce per sapere quante cose hai alla fine.”
Per consolidare meglio i concetti affrontati, la tirocinante chiama uno alla volta gli alunni
alla lavagna, chiedendo loro di raggruppare le cannucce raffigurate per
sestine/cinquine/quartine, fino ad arrivare alla decina, con annessa tabellina.
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Da qui è stato ricavato un costruttivo dibattito sulla distinzione tra decine e unità. La
tirocinante ha chiesto espressamente se qualcuno abbia già compreso cosa cambia tra una
decina e un’unità.
Le risposte sono state tante e variegate, si riportano le più significative e comuni per tutti:
Matteo P.: “L’unità è una caramella sola, mentre la decina può essere un pacco intero di
caramelle”;
Sara: “L’unità non ha amici, mentre la decina sì!”
Maria F.: “La decina è una famiglia intera di 10 unità, mentre l’unità è una famiglia di uno”;
Walter: “L’unità è una goccia mentre la decina può essere il mare!”.
Ad un certo punto, la tirocinante ha distribuito a
ciascun bambino una cannuccia (corrispondenza
biunivoca) e ha chiesto ai bambini della classe 1 A
di contare quanti bambino uccellini (Cip, Ciop e
Cicip) ci fossero: anche loro volevano la loro
cannuccia, spettava loro di diritto!
In figura, Matteo disegna 22 cannucce alla
lavagna, con annessa tabellina delle decine e delle
unità. La tirocinante ha chiesto a Matteo di:
• Contare quante cannucce sono state distribuite
alla classe (compreso sé stesso e i tre uccellini);
• Denominare le cannucce mediante le iniziali dei
nomi degli altri compagni;
• Discriminare le decine dalle unità;
• Riportare i dati nella tabellina.
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D. post-it per le etichette “da” e “u”;
E. Colori a spirito e/o a pastello;
F. Gessetti colorati;
G. Quaderno di matematica.
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In seguito, si passa alla breve discussione sulle risposte dei bambini interpellati, per poi
procedere con domande del tipo:
“Ora mettiamo nelle scatole il numero 20”
“Ora mettiamo nelle scatole il numero 18”
“Ora mettiamo nelle scatole il numero 12”
“Proponete voi un numero e vediamo se si può fare”
“Ora mettiamo nelle scatole il numero con 1 da e 5 u. Che numero è?
“Ora mettiamo nelle scatole il numero con 1 da e 1 u. Che numero è?
“Se metto insieme gli anni di Maria Francesca (6 anni) e Diego (7 anni), quante cannucce
otteniamo?”
“Ora mettiamo nelle scatole il numero con 1 da e 6 u. Che numero è?
“Ora mettiamo nelle scatole il numero con 14 u. Che numero è?
Oppure: “Un fascetto e una cannuccia singola come potremmo scriverli sottoforma di
numeri?”
L’attività volge al suo termine qui (anche se è possibile affermare che è stato raggiunto un
buon risultato!), in quanto i bambini non sono a loro agio con i numeri oltre al 20 in codice
verbale.
Fosse stato il contrario, dunque avere una classe di bambini che ben si orientano con la
decina, la tirocinante avrebbe potuto avanzare proposte quali:
“Ora mettiamo nelle scatole il numero con 1 da e 11 u. Che numero è?”
È molto importante apprendere che ogni volta che ci sono 10 cannucce nella scatola delle
“u” bisogna prenderle, legarle in fascetti da 10 e posizionarli nella scatola delle “da”.
(https://www.percontare.it/)
Si riporta ora un esempio d’uso delle cannucce e delle scatole:
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Che cosa aspettarsi
Durante la prima fase, si auspica che i bambini imparino velocemente il “meccanismo” delle
scatole; mentre è stato leggermente difficoltoso aiutarli ad acquisire consapevolezza rispetto
alle analogie evidenziate tra il modello delle scatole trasparenti.
Significati matematici: in costruzione
Il modello delle scatole trasparenti, se fatto proprio dai bambini, dovrebbe aiutarli a
visualizzare scomposizioni di numeri in unità e decine, eventualmente ricomponendo unità
in decine e sommandole tra loro. Con questo modello, oltre che l’attenzione alle unità e alle
decine che formano i numeri, si introduce il sistema posizionale insieme alle etichette
convenzionali “da” e “u”. Questa forma mentis dovrebbe essere efficace per sviluppare una
buona manipolazione nelle composizioni e scomposizioni da parte del bambino utilizzando
decine ed unità, in quanto àncora l’aspetto semantico della “decina”, intesa tuttora come “10
cannucce”, evitando di passare ad una rappresentazione astratta della decina come oggetto
analogo all’unità solo cambiato di posizione, come succederà con l’abaco.
Significati matematici: modalità di costruzione
È bene prestare attenzione a come i bambini usano le scatole trasparenti. La tirocinante deve
sincerarsi che venga fatto proprio il meccanismo di riconoscimento di 10 cannucce nella
scatola delle “u” ogni volta che ce ne sono 10 o di più e, successivamente, raccoglierle e
avvolgerle in un elastico, per poi passare il fascetto legato alla scatola dei fascetti (o delle
“da”). Passare progressivamente (e quando i bambini sono pronti, lo faranno da soli) alle
parole “decina” e “unità” al posto di “fascetto” e “cannucce sparse”, e alla terminologia
“inseriamo il numero…nelle scatole” lasciando sempre più implicito il nesso con le
cannucce, anche se, concretamente, si starà lavorando con queste.
È possibile rendere partecipi i bambini anche del fatto che, sia le cannucce che le scatole,
“accettano” azioni sulle decine anche prima che sulle unità o comunque non importa l’ordine
delle azioni su decine e unità.
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La tirocinante sprona la classe a fare sempre meglio, proponendo e invitando i bambini a
raffigurare sul quaderno di matematica l’attività che li ha impegnati nel “riordino di n
cannucce e di n fascetti nella scatoletta giusta”, in modo di conservare memoria
dell’esercizio. La tirocinante procede con altri esperimenti:
“Se ho due fascette e nove cannucce singole, che numero viene fuori? E se tolgo una fascetta,
cosa succede? E se poi aggiungo
altre tre cannucce?”
Dopo questo intenso brain-
storming, la tirocinante invita i
bambini nominare numericamente
(aspetto lessicale) gli oggetti
disegnati (esempio: una fascetta e
sette cannucce danno il numero
17).
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Tutta la classe si è cimentata nel conteggio, realizzando che quella mattina avevano contato
ben 19 fascetti da 10 cannucce ognuna!
Quindi tutti i bambini della classe, come ha detto Diletta, hanno avuto ben 20 fascette di
cannucce meno una, quindi 19! (La bambina aveva compreso che, dal momento che tutta la
classe -formata da 19 bambini- possedeva 19 fascetti di cannucce e ne sono avanzate 10,
quindi un altro fascetto, in tutto i fascetti di cannucce erano 19+1, quindi 20!)
SECONDA FASE: LE SCATOLINE TRASPARENTI
La seconda attività ha previsto, inoltre, l’utilizzo delle “scatoline trasparenti”, ma la
tirocinante ha optato per delle scatoline diverse dal consueto: sono state utilizzate una scatola
rossa (indice della decina) e una scatola blu (indice delle unità). La tirocinante ha spiegato
ai bambini che una scatolina rossa racchiude tutte le fascette e serve per i numeri “grandi”,
mentre la scatola blu contiene le cannucce singole, ma da sole non riescono a formare una
fascetta intera da dieci (specificando, ovviamente, che nella scatola blu possono esserci
anche più di 10 cannucce, basta che non siano raggruppate in fascette: in quel caso andranno
trasferite nella scatolina rossa).
Riferendosi sempre alle 19 fascette più una, la tirocinante ha domandato alla classe come
verranno posizionate le fascette all’interno dei due contenitori: si è proceduto per tentativi.
La tirocinante è andata incontro agli studenti, chiedendo: <<Vi ricordate da quante cannucce
sono formate le fascette che abbiamo realizzato la scorsa lezione?>>.
Molti bambini non ricordavano, perciò, le contarono tutte, altri fremevano per urlare la
risposta: <<Da dieci cannucce!>>.
Tirocinante: <<Benissimo, allora bambini, vi ricordate come si chiama un raggruppamento
da dieci unità?>>
Bambini, in coro: “La decina!”
Tirocinante: <<Allora, a questo punto, vi ricordate quante fascette avevamo collezionato in
tutto?>>
Bambini: <<Tutti noi abbiamo avuto un fascetto, eravamo tutti presenti, quindi eravamo in
19!!>>.
Tirocinante: <<Ottimo, allora quante decine di cannucce avevamo in tutto?>>
Bambini: <<Diciannove!!>>
Tirocinante: <<Allora, secondo voi (mostrando i diciannove fascetti di cannucce), dove
andranno collocati? Nella scatola delle decine o in quella delle unità?>>
Bambini: <<Nella scatola delle decine!>>
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I bambini hanno posizionato le 19 fascette all’interno della scatola rossa, ma si sono poi resi
conto di non aver inserito alcune cannucce singole. La tirocinante ha esortato la classe a dare
anche alle povere cannucce solitarie una casa: dove andranno messe?
Si sono aperte due strade:
• Bambini che hanno contato e, successivamente, proposto di raggruppare le dieci
cannucce rimaste sole in un fascetto;
• Bambini che non hanno contato e hanno proposto di inserire le cannucce solitarie nella
scatola delle unità.
Entrambe le strade hanno raggiunto risultati corretti: si evidenzia la capacità di problem
solving di due diversi processi cognitivi. I bambini sono ancora in fase di costruzione ed
esplorazione della rappresentazione posizionale decimale dei numeri; per questo motivo si
cerca di incentivare diverse strade e percorsi risolutivi senza anticipare o forzare troppo le
scoperte.
TERZA FASE: ESERCIZIO VARIANTE CON I CUCCHIAI
La tirocinante distribuisce alla classe una grande quantità di cucchiai di plastica e invita gli
studenti a prendere 14 cucchiai e due bicchieri (rispettivamente uno per le decine e l’altro
per le unità) per ognuno e interroga la classe su come raggrupperebbero i 14 elementi. Si
riportano alcune considerazioni:
• Diletta: “Possiamo mettere direttamente i 14 cucchiai nel bicchiere delle unità!”;
• Matteo D.N.: “Possiamo inserire 4 elementi nelle decine e 10 nelle unità!”
• Sasha: “Io raggruppo 10 cucchiai da soli nel bicchiere delle decine e i cucchiai sciolti
nell’altro bicchiere.”
• Diego: “Ho contato 10 cucchiai e li ho legati come abbiamo fatto con le cannucce, li ho
messi nel bicchiere delle decine e poi ho messo 4 cucchiai nel bicchiere delle unità per
formare il 14.”
• Alisa: “Il quattordici è formato da 10 unità e altre 4 unità, quindi una decina e quattro
unità.”
Dopo queste supposizioni, la maggior parte di esse corrette, la tirocinante rende l’esercizio
ancora più interessante:
“Bambini, ai 14 cucchiai ne aggiungo 6. Come possiamo raggrupparli?”
Si riportano alcune considerazioni generali, sono state trovate tre modalità:
1. “Se metto un fascetto decina in un bicchiere e un fascetto decina nell’altro bicchiere, non
si capisce.” (Michele e Diletta);
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2. “Mettiamo i fascetti decina in un bicchiere e nell’altro i cucchiai sciolti, così c’è
differenza tra i due bicchieri.” (Rayan)/ “Se nel bicchiere dei cucchiai sciolti ce ne sono
10, le lego e faccio un fascetto.” (Sara);
3. “Per non sbagliare a un bicchiere scriviamo decina e, nell’altro, unità, così nel bicchiere
delle decine possiamo mettere due decine, visto che abbiamo legato due fascetti di
cucchiaini, mentre nel bicchiere delle unità non mettiamo niente perché le unità sono
servite per formare l’altro fascetto di cucchiai.” (Melisa, Matteo P., Angelo)
QUARTA FASE: DINAMICHE DI CLASSE
Una volta appresa la distinzione tra fascetti e cannucce singole, è opportuno procedere verso
tematiche più profonde.
La sperimentazione prosegue, stavolta, prendendo spunto dalla dinamica situazionale che si
è verificata in classe: bambini che disturbano il resto dei compagni.
La tirocinante, guidata dall’insegnante curricolare, scrive alla lavagna i nomi dei bambini
“monelli”, distinguendoli dai bambini “bravi”. L'insegnante allora disegna per ciascuna
sezione delle figure, confrontandosi con tutta la classe circa la quantità di bambini che non
sono interessati alla lezione e i bambini che vogliono ascoltare.
Si è generata una lunga conversazione, allora la tirocinante spinge la classe verso il
ragionamento: “Sapete dirmi quanti sono i bambini monelli?” La classe risponde
“Tantissimi, ci vuole parecchio per contarli”.
La tirocinante sprona la classe, affermando che ci sono diverse tecniche che permettono di
velocizzare i calcoli, come, per esempio, i raggruppamenti!
I bambini si riscoprono dei piccoli matematici: Walter esclama che potrebbero raggruppare
tutte le figure per duine. La tirocinante, soddisfatta, asseconda le disposizioni del bambino.
A questo punto, la tirocinante avanza un’altra proposta: “I calcoli potrebbero essere ancora
più facili se tutte queste figure fossero raggruppate per...”
I bambini, non se lo fanno ripetere due volte: “Dieci!!”.
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▪ Contadita di classe;
▪ Contadita personale per ogni bambino;
▪ Software “indovinelli con le dita”;
▪ LIM.
Attività
Utilizzando il Contadita di classe e
individuale costruito sulla base
delle istruzioni indicate, la
tirocinante esclama un numero e i
bambini sono invitati a posizionare
correttamente il Contadita per
rappresentarlo (da 0 a 10). Inoltre,
nascondendo le mani dietro la
schiena, la tirocinante chiede: “Ho tutte le dita di una mano alzate, dell’altra mano ne ho
alzate 4, che numero ho formato?” (e così via). È stato utilizzato anche il software
“Indovinelli con le dita”, dotato di quesiti analoghi a quelli presentati in precedenza.
Proiettando alla LIM il videogioco, è stato possibile muovere il Contadita a seconda delle
indicazioni disposte dalla nuova amica.
Che cosa aspettarsi
I bambini dovrebbero essere a loro agio a rappresentare numeri con le mani e con il
Contadita. La prassi prevederebbe che i bambini non avranno ancora interiorizzato
particolari configurazioni preferenziali per alcuni numeri (per esempio 8 come 5 e 3 o 5
come 4 e 1), che con il tempo svilupperanno.
Significati matematici: in costruzione
88
numero. Inoltre, è utile cominciare a prestare attenzione anche alle dita abbassate, per ogni
configurazione, in modo da aiutare il consolidamento della conoscenza di numeri
complementari rispetto al 10, e favorirà lo sviluppo di consapevolezza delle dita4.
Durante questa attività si andrà verso un modo privilegiato di rappresentare i numeri con le
mani e il Contadita. Questo approccio sarà utile per strategie di calcolo a mente come la
composizione e scomposizione del 5 e del 10. Il lavoro è stato ripartito in tre fasi:
FASE 1
1) Chiedere ai bambini di rappresentare vari numeri compresi tra 5 e 10, usando le seguenti
modalità:
a) Dicendo un numero a voce (per esempio “sette”);
b) Mostrando un numero sul proprio Contadita.
Ciascun bambino da posto deve posizionare il proprio Contadita in modo da rappresentare
il numero scelto dall’insegnante (a turno si possono anche chiamare dei bambini che “diano
i numeri”.
Esortare poi ai bambini di simboleggiare il numero con il Contadita più velocemente
possibile.
FASE 2
Usare quest’attività per riflettere su: “Qual è il modo più veloce di rappresentare questi
numeri con i Contadita?” Abituare gli alunni a riflettere sulle strategie applicate.
Arrivare all’istituzionalizzazione seguente:
4 Il potenziamento della gnosia digitale ha portato un gruppo sperimentale di bambini con scarsa abilità a superare un gruppo “forte”
non sottoposto a potenziamento. (Gracia-Bafalluy & Noël, 2008)
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La tirocinante consiglia prontamente i bambini di fare attenzione alla quantità di dita alzate
e di dita abbassate per ciascun numero.
FASE 3
Anche qui si esercitano gli aspetti semantici dei numeri, in particolare rappresentazioni
analogiche. Inoltre, con queste attività si intende dare maggiore risonanza, in maniera
istituzionale, alla preferenza di particolari modalità di rappresentazione analogica dei
numeri, che risultano essere particolarmente accomodanti per efficaci strategie di calcolo a
mente (passaggio e ritorno al 5 e al 10). Facendo attenzione anche alle dita abbassate, si
potenzia la conoscenza dei numeri complementari rispetto al 10 (si rimanda a IV
ATTIVITÀ: gli amici del 10). Infine, si affinano abilità metacognitive di riflessione sulle
strategie usate.
Durante la seconda fase, è necessario discutere insieme per arrivare alla conclusione che è
utile lasciare alzate tutte le dita di una mano, cioè 5, per poi aggiustare soltanto le dita
dell’altra mano. In questo modo i numeri vengono scomposti, per esempio, così: l’8 in 5 e
3, il 7 in 2 e 5, il 9 in 5 e 4, e così via. Se si riconosce il dieci come configurazione “base”
con le dita tutte su, potrebbero palesarsi anche strategie quali: 8 è 5 e 5 abbasso 2, il 7 è 5 e
5 abbasso 3.
Per la discussione delle strategie usate si può chiamare un bambino per mostrare quello che
ha fatto sul Contadita grande di classe.
90
La tirocinante esorta gli alunni a scrivere le considerazioni riassuntive e conclusive sul
quaderno. Per esempio, si potrebbe arrivare ad un riassunto conclusivo di questo tipo:
Eventualmente, i bambini
potranno stupirsi della
corrispondenza tra la
congiunzione semplice “e” e
il “+” dell’addizione.
Dopo aver trascorso determinate ore con esercizi di “l’abbassamento” delle dita, il riassunto
potrebbe assomigliare a questo:
Eventualmente i bambini potranno essere guidati a notare che abbasso sta per “-“,
sottrazione.
Attenzione: Qui si sta proponendo una modifica impattante rispetto a quanto evidenziato in
precedenza, che dovrebbe andare di pari passo ad un’evoluzione cognitiva. Per esempio, con
la prima attività delle mani l’attenzione era sull’indifferenza delle dita scelte purché il
numero totale sollevato corrispondesse al numero da rappresentare (esempio: alza il numero
5 e il bambino solleva il dito della mano corrispondente al numero indicato, il quale in questo
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caso, è simboleggiato dal mignolo). Ora, invece, si sta facendo esplicitare ai bambini quella
che loro dovrebbero aver costruito e conquistato come forma mentis più evoluta: ora quali
dita si alzano è importante per economia di pensiero (Esempio: Se si hanno 10 dita alzate e
si vuole arrivare ad averne 7 alzate, non devo abbassare il numero 3 o il numero 7, ma devono
andare giù tante dita quante ne indica la consegna).
Bisogna far presente alla classe che non è sbagliato quello che i bambini eseguivano prima
e, può darsi che alcuni vorranno usare modi di pensare meno evoluti. Infatti, offrire aiuto ad
esplicitare nuovi modi di pensare più economici a chi li ha prodotti, può essere utile per tutta
la classe.
È cruciale fare chiarezza su questo particolare punto: la classe, a seconda della consegna
riportata, agirà di conseguenza per uscire dalla situazione problema. Perciò, il bambino sarà
spinto ad agire in maniera differente in base al fine da raggiungere: “Alza il numero 3” (un
solo dito della mano alzato) è diverso da “Alza 3 dita” (tre dita della mano alzate). Si precisa
che l’aspetto metacognitivo di questa tipologia di attività è fondamentale e importante da
curare durante tutto l’arco dell’anno scolastico.
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Tirocinante: “Esattamente: ma non notate niente in questi guanti? Cosa sto facendo io in
questo momento?”
Diego: “Stai muovendo le dita dei guanti del Grinch.”
Tirocinante: “E come? Le sto semplicemente spostando?”
Leonardo: “No! Le alzi e le abbassi quando vuoi tu. Prima tutte le dita stavano giù, ora sono
su!”
Tirocinante: “Bravissimo Leonardo! Allora non resta che esercitarci e vedere se la magia del
Grinch funziona!”
La tirocinante spiega alla classe, mostrando più volte alla classe le dinamiche dell’artefatto,
che si vogliono avere le dita alzate, per esempio, le restanti sette devono dormire. Inoltre.
Avverte i bambini di porre attenzione alle parole che utilizza: “Bambini, attenti: dire “tre
dita sono sveglie” è diverso da “Il terzo dito è in piedi!”.
Dopo aver eseguito diverse computazioni e diversi calcoli, la tirocinante verifica di non far
cadere i bambini in determinate misconcezioni, come ritenere che per alzare tre dita si
debbano necessariamente delle dita contigue, e non un dito nella posizione 10, un altro nella
posizione 6, un altro ancora nella posizione 4. Analizziamo.
La tirocinante alza tre dita contigue della stessa mano e chiede alla classe: “Secondo voi
queste dita quante sono?” La classe, senza nemmeno contare (subitizing) risponde
correttamente. La tirocinante incalza mostrando alla classe sempre tre dita sollevate, ma
stavolta in maniera disordinata, non lineare e pone alla classe il quesito: “Adesso invece
quante sono?”
La classe tace. La tirocinante nota qualche sguardo perplesso, qualche altro che sa che le dita
alzate sono tre, ma non lo vuole esporre ai compagni per paura di sbagliare, magari perché
pensa “Se all’altra domanda della maestra le dita sveglie erano tre, ora non possono di nuovo
essere tre!”
La tirocinante esorta la classe a contare insieme a lei per risolvere la questione: le dita sveglie
sono sempre tre!
La classe si stupisce mentre la tirocinante spiega: “Bambini, non è importante l’ordine in
questo esercizio, perché la consegna diceva solamente di alzare tre dita; sarebbe stato diverso
se vi avessi detto di alzare il dito numero 3 o il numero 4, perché hanno un ordine prestabilito
nella linea dei numeri che abbiamo fatto insieme. Ecco perché si chiamano numeri ordinali,
perché seguono un ordine preciso, diversamente dai cardinali.”
È giunto il momento di prendere cartoncini colorati, ovatta, forbici e una semplice matita:
che abbia inizio la realizzazione del Contadita grinchoso per ciascun bambino!
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Inizialmente, i bambini hanno seguito le spiegazioni da me impartite, poi hanno proseguito
autonomamente: la tirocinante ha dovuto semplicemente prestare attenzione a come i
bambini incollassero le proprie mani di cartoncino, specificando “Solo il dorso, altrimenti
non possiamo giocarci!”
Una volta ultimato il lavoro la tirocinante procede per domande rapide, nascondendo le
proprie mani dietro la schiena, dicendo:
• “Ho un pugno chiuso e due dita alzate. Quante dita dormono?”
I bambini inizialmente non sembrano capire il significato di “pugno chiuso”, allora il
maestro subentra chiedendo in maniera affettuosa alla classe: “Voi come mimereste il guanto
di un pugile?”, i bambini adesso riproducono tutti le gestualità del maestro, divertiti. Ora i
bambini sanno che strategie applicare per risolvere il problema posto dalla tirocinante.
L’attività prosegue in maniera lineare, perciò, al fine di non far annoiare i bambini più vivaci,
la tirocinante verrà sostituita da Betta la Coniglietta, la quale chiederà esplicitamente ai
bambini di eseguire i conti sui propri Contadita per rispondere correttamente alle domande.
Gli esercizi proposti:
• “5 alzate in una mano e n alzate nell’altra”
Gli esercizi di questo tipo propongono 5 dita in una mano ed altre in numero variabile (n) in
modalità alzate nell’altra;
• “n alzate in una mano ed n alzate nell’altra”
Gli esercizi propongono numeri variabili di dita alzate in una mano o nell’altra;
• “5 alzate in una mano ed n abbassate nell’altra”
Gli esercizi propongono il compito con 5 dita alzate e un numero variabile di dita abbassate
nell’altra mano;
• “n dita alzate in una mano ed n dita … abbassate nell’altra”
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Gli esercizi propongono il compito con dita alzate in una mano e abbassate nell’altra con
numero variabile;
• “Di tutto un po’”
Gli esercizi propongono compiti misti che comprendono tutte le attività presentate negli
esercizi precedenti.
Una volta ultimata anche l’esercitazione con il software, è stato chiesto alla classe di scrivere
un’autobiografia di cosa avessero imparato quella mattina in classe, unendo disparati
contributi.
Si è pervenuti alla scrittura del seguente testo:
“Il Contadita è uno strumento di matematica. È un rettangolo rosso con due mani e 10 dita
verdi che si possono alzare e abbassare. Serve PerContare, per rappresentare i numeri e per
fare addizioni e sottrazioni. Le dita vengono spostate su e giù per formare il numero.
Possiamo formare i numeri partendo con le dita tutte abbassate o con le dita tutte alzate. Ci
consente di fare questo perché le dita sono mobili.”
Materiale
• Cartellone realizzato dalla tirocinante,
contenente consigli utili per formare il
numero 10;
• Scheda didattica scaricata dal sito
“Progetto ‘PerContare’” nella sezione
“Introduzione 10”;
• Quaderno di matematica;
• Colori a spirito e/o a pastello.
Attività
La tirocinante distribuisce la scheda a ciascun alunno, rassicurandolo di non spaventarsi di
trovare tutte quelle caselline vuote. La scheda di cui si sta trattando è rappresentata nella
figura a fianco.
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Al fine di ultimare la scheda, la tirocinante affianca gli studenti, invitandoli a utilizzare il
cartellone dove sono affissi tutti i vari algoritmi che danno come risultato il numero 10.
Per rendere l’esercizio di conteggio maggiormente piacevole, è possibile utilizzare anche il
Contadita affisso sul cartellone.
La tirocinante chiama a turno i bambini alla lavagna, ai quali saranno sottoposte diverse
domande, tutte aventi come fine il risultato 10.
La tirocinante ripropone alla lavagna lo stesso contesto presente nella scheda, in modo che
chi rimane a posto, possa seguire e riempire le
caselline vuote utilizzando numeri “amici del
10”. Ai bambini verrà posto il quesito: “Se mi
trovo nella posizione numero 8, quanti passi mi
mancano per raggiungere il numero 10?”. Si
agisce in base a come il bambino sembra
rispondere alla domanda-stimolo: se lo si vede
sicuro e a proprio agio con l’argomento, non
verrà interrotto nei suoi ragionamenti; mentre se
dimostra maldestrezza, o peggio, risponde come
se tirasse a indovinare, subentra la tirocinante.
Ella conterà insieme al bambino ad alta voce le dita della mano per poi fermarsi al dito
numero 8, in seguito chiederà nuovamente al bambino quante dita devo sollevare per arrivare
10, per poi giungere alla fatidica domanda: “Dunque se per ottenere 10 dita alzate, dovrei
sollevare tutte quelle delle due mani, e ne ho già 8 su, quante mancano ancora per
raggiungere il traguardo?”. Si procede finché la classe non acquista sicurezza nei vari
processi mentali, importantissimi per l’instaurazione dei calcoli per “sottrazione”. La
tirocinante esordisce, quindi, mostrando alla classe tale cartellone e pone delle domande-
stimolo a riguardo.
Tirocinante: <<Bambini, sapete chi sono gli amici del 10?>>. I bambini sembrano attoniti:
non hanno mai sentito parlare di questi misteriosi numeri, perciò, è l’occasione buona per
avvolgerli in questo groviglio matematico. L’attività di brainstorming, dopo diverse domane
di preparazione, volge al termine nel momento in cui la tirocinante invita singolarmente alla
lavagna ogni allievo, chiedendo ripetutamente di individuare un numero da 0 a 10 per il
compagno che si appresta ad eseguire l’esercizio, in modo da domandare a quest’ultimo
quanto manca per raggiungere come somma totale 10. La tirocinante disegna lo stesso
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schema che i bambini hanno sulla scheda e sollecita il bambino a fare uso del Contadita, i
risultati si sono rivelati promettenti, ma poco dopo, causa la stanchezza dei bambini, è stato
ritenuto lecito affiancare a questa un’altra metodologia
didattica: il portauova.
Insieme all’insegnante, è stato riportato alla lavagna il contesto di un pollaio, in cui vi sono
galline che producono sempre 10 uova, ma una-tantum se ne rompe qualcuna, il bambino ha
il compito di individuare quante sono le uova rimanenti, le quali rappresentano uno dei
numeri che potenzialmente forma il dieci, se sommato col proprio amico.
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I ATTIVITÀ: CONTIAMO, MA SENZA SCRIVERE!
In classe è stata sviluppata da subito la lettura intuitiva delle quantità (così come tutti gli
argomenti a seguire) con il testo di Bortolato “La linea del 20”. Qui sotto un esercizio tratto
dal testo.
Materiale
• Scheda didattica p. 14- p. 15- p.16 tratte dal libro di testo di Bortolato “La linea del 20”;
• Gessetti;
• Quaderno di matematica;
• Colori a spirito e/o a pastello.
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Dopo diversi tentativi di verifica con tutti i
numeri da 0 a 10, la tirocinante ha cambiato
domanda-stimolo: ha deciso di chiamare un
bambino per volta alla lavagna, chiedendogli di
pensare a un numero a mente e di colorare tante
palline quante sono quelle che rappresentano il
numero immaginato. La classe è stata esortata a
contare le palline colorate dal compagno; si è
continuato così fino all’acquisizione completa
dell’esercizio.
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Dopo aver spiegato che, se abbiamo tutti gli elementi di una sezione colorati, il totale di
pallini colorati è cinque, si è approdati,
gradualmente, alla seguente conclusione: se un
pallino di una sezione non è colorato, in tutto ci
sono solo 4 pallini colorati, perché il quattro è il
primo numero che precede il cinque; se ce ne
sono tre senza colore, allora quelli colorati sono
solo due.
A questo punto, si sono profilate tutta una serie di domande. La tirocinante invita alla lavagna
ciascuno studente, chiedendo ripetutamente di colorare le palline seguendo determinati
schemi mentali.
Tirocinante: << Ho tutte 3 sezioni colorate, quante sono le palline senza colore?>>
I bambini hanno risposto correttamente, ma hanno contato ancora per singolo pallino.
La tirocinante ha capito quale fosse il problema, quindi ha modificato la domanda: <<Per
arrivare ad avere 14 palline colorate, bisogna colorare TUTTE le palline?>>
La domanda ha acceso l’attenzione della classe. Nei loro occhi si leggevano molte
congetture.
La tirocinante ha incalzato: << Se io coloro 14 palline e dico che ho colorato tutte quelle
delle tre sezioni, ho detto la verità?>>
Bambini: << No… Non le hai colorate tutte. Sono 14!>>
Tirocinante: << Esattamente, quindi per colorarle tutte che cosa avrei dovuto fare?>>
Bambini: <<Ne colori una in più: quindi quindici!>>
Tirocinante: << Benissimo. Se invece volessimo colorare diciassette pallini, secondo voi,
entro in tutte le sezioni? Quante sezioni bisogna colorare almeno?>>
Bambini: << Sì! >>
Tirocinante: << E come facciamo? Vi aiuto: la prima sezione va colorata tutta?
B: <<Sì!>>
Tirocinante: << La seconda?>>
B: << Sì!>>
T: << La terza!>>
B: << Sì!>>
T: << Okay, allora dove ci troviamo ora?>>
B: << A quindici!!>>
T: << Quanto manca per arrivare a diciassette?>>
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B: << Dobbiamo colorare altre due palline!! Perché prima dobbiamo colorare tre sezioni con
sole quindici palline, ora ne sono di più, quindi entriamo anche nella sezione dopo!!>>
La tirocinante ha chiamato un altro bambino alla lavagna, chiedendo, stavolta, a lui di
colorare diciassette pallini. Il bambino ha svolto bene il compito, non seguendo
necessariamente l’ordine di riempirli tutti uno dopo l’altro.
Il risultato inaspettato è stato quello di vedere solo le prime due sezioni interamente colorate,
mentre nella terza c’erano solo quattro pallini colorati e, nella quarta, tre. La tirocinante ha
mostrato alla classe come il compagno non avesse affatto sbagliato, anzi: ha semplicemente
colorato i diciassette pallini, non seguendo un ordine stabilito, facendo rimanere invariata la
somma.
In questa occasione, i bambini hanno scoperto, passo dopo passo, che la prima sezione
presenta i numeri da 1 a 5, la seconda da 6 a 10, la terza da 11 a 15 e la quarta da 16 a 20.
La classe non ha ancora affrontato terminologie matematiche quali quantificatori (almeno;
qualche; alcuni; ogni; ciascuno; etc.), ciò giustifica la poca destrezza nel rispondere ad
alcune domande; nonostante ciò, l’impressione non poteva che risultare positiva.
Da questo momento in poi, si è proceduto per la lettura ad alta voce delle palline colorate: i
bambini si sono serviti dei consigli dispensati da Camillo Bortolato (“A volte basta guardare
le ultime palline”, “Qui è meglio leggere cominciando da destra”) per velocizzare le
operazioni.
Materiale
• Schede didattiche p. 20, p.21, p.22, p.23;
• Matita;
• Gessetti colorati;
• Applicazione per Android “In volo con la matematica”.
Sulla scia della I attività, i bambini vengono chiamati uno per volta alla lavagna a contare i
pallini colorati, scriverli in cifre arabe e nominare i numeri.
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Al fine di rendere più interattivo l’esercizio, la tirocinante ha proiettato sulla LIM
l’applicazione didattica “In volo con la matematica” edita anch’essa da Erickson.
La versione riservata all'insegnante ha uno svolgimento simmetrico a quella rivolta al
bambino, pur distinguendosi per le seguenti caratteristiche pensate appositamente per
l'utilizzo in classe:
• il numero degli esercizi di alcune attività è maggiore;
• compare un'attività specifica sul calcolo con gli euro;
• l'area sui problemi ha maggiore spazio;
• compaiono gli strumenti a uso libero cioè svincolati dalla programmazione domanda-
risposta.
Viene data la possibilità di passare da un'attività all'altra a discrezione dell'insegnante
superando la progressione imposta dalla versione per l'alunno.
Proponendo sulla LIM l'intero percorso, l'insegnante può rendere la propria classe
un’orchestra con cui poter avviare un'attività corale di apprendimento completa e,
eventualmente, integrabile con la versione individuale che ogni alunno può utilizzare a casa.
Mediante gli strumenti liberi, l'insegnante potrà alzare il livello di spessore e della
complessità delle richieste, in quanto il carattere di sfida cognitiva alimenta e moltiplica le
motivazioni dei bambini. In particolare, potrà essere utilizzata con la classe la linea del 20,
(sviluppata sul modello in plastica a uso individuale) con la possibilità di mettere in evidenza
le strategie di calcolo per ogni operazione, procedimenti che prevedono un lungo periodo di
esercitazione per raggiungere l'automatizzazione del calcolo. Tornando alla
sperimentazione, i bambini si sono allenati maggiormente sulla sezione "in classe", la quale
prevede 8 attività, ma solo 4 di esse si sono dimostrate idonee alle capacità degli alunni, in
quanto le rimanenti 4 sono destinate a classi superiori (si affrontano argomenti quali il 100,
1000, etc).
I bambini, come un'orchestra, si sono esercitati tutti insieme e, a turno, hanno risposto alle
diverse domande-stimolo che ha posto loro Pitti, l'uccellino guida all'apprendimento.
L'esercizio ha avuto inizio con l'attività "Conta per 1", in cui Pitti esclama alla classe "Conta
con me fino a 20" (per i bambini affetti da disturbi uditivi sono disponibili anche i sottotitoli,
ciò va a favore di una didattica inclusiva, ma allo stesso tempo divertente). Il secondo
esercizio è consistito nell'attività "Conta per 10", in cui Pitti ha esortato la classe a contare
per gruppi da 10. In realtà, Pitti voleva arrivare fino a 100, ma questo era ancora un obiettivo
lontano per la classe, perciò si è segnato il capolinea al numero 30: i bambini hanno
compreso che 30 pallini si possono scrivere anche come 3 sezioni da 10 pallini!
102
La terza attività (Figura) è denominata
"Indovina le quantità" ed è così
strutturata: Pitti ha chiesto alla classe
“Tocca la quantità giusta”. Questo è un
quesito altamente intrigante per i
bambini, in quanto, per la prima volta,
è stata presentata la domanda a risposta
multipla, perciò lo studente sarà portato a leggere e decodificare i messaggi delle due opzioni
al fine di rispondere in maniera corretta. Il bambino può rispondere correttamente seguendo
due procedimenti: o per esclusione mediante il processo di subitizing e di stima (esempio:
Pitti potrebbe chiedere agli alunni di individuare 7 palline, se tra le opzioni troveranno 7
palline colorate, oppure 13 palline colorate, gli alunni attraverso il subitizing, senza
nemmeno provare a contare, escludono a priori l'opzione di tredici palline) , o per conteggio
(esempio: Pitti chiede alla classe di selezionare 16 palline colorate; sono presenti come
opzioni 12 e 16 palline colorate).
L’attività proposta, dunque, ha avuto inizio con l’utilizzo del software “In volo con la
matematica” proiettato alla LIM. La tirocinante ha ricordato alla classe quanto appreso nella
scorsa lezione:<< Se abbiamo due sezioni da cinque pallini e li coloriamo tutti, quanti
saranno i pallini colorati in tutto?>>
I bambini, aiutati dalle immagini dei pallini colorati non hanno tardato a rispondere
correttamente: << 5 più 5 fa 10!!>>
T: << Pitti è un uccellino e sarà la nostra guida per imparare a contare coma sa fare lui. Siete
pronti?>>
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La quarta attività ha richiesto ai bambini di disporre in ordine decrescente (come le foglie
nell’immagine) i numeri proposti. Ho voluto cogliere l’occasione per introdurre ai bambini
il concetto di “numeri cugini”, argomento che poi sarà affrontato in larga misura con la
“Linea del 20”, spiegando esattamente perché si chiamino cugini e che correlazione ci sia
tra loro.
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Grazie alla suddivisione per cinquine, creata a partire dagli studi sul fenomeno del subitizing
e sull’utilizzo delle mani, è stato possibile realizzare lo strumento in questione, i cui primi
dieci tasti corrispondono graficamente a 10 pallini, come in figura:
L’elaborato di strisce [AL1]colorate verrà incollato sul quaderno di ogni studente, facendo
attenzione ad incollare soltanto metà striscia, in modo da permettere al bambino di alzarla e
abbassarla (su cui verrà scritto un numero da 1 a 20) ogni volta che lo si richiede.
La classe comincia a esplorare la funzionalità dello strumento e la tirocinante esorta gli
studenti a riprodurre le dimostrazioni sulle modalità di utilizzo dello stesso: gli alunni
inizieranno a comprendere le dinamiche dell’artefatto, di conseguenza agiranno non più in
maniera casuale, ma con coscienziosità.
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− Altre numerazioni: l’insegnante inizia a sollevare i tasti in qualunque punto della linea e i
bambini devono contare intuendo che esiste una diversa ordinalità a seconda di dove iniziano
a contare.
− Ordinalità e cardinalità: l’insegnante chiede ad un alunno di alzare il tasto numero 7
(ordinalità) e successivamente di alzare sette tasti (cardinalità).
− Lettura intuitiva della quantità 5: per esercitare la lettura senza conteggio delle quantità
l’insegnante chiede agli alunni, dopo aver alzato cinque tasti, quanti sono.
− Lettura intuitiva della quantità 6: l’insegnante alza i primi sei tasti, poi gli ultimi a partire da
sinistra fino a mostrare più combinazioni possibili.
− Lettura intuitiva delle quantità 7,8,9: l’insegnante chiede quanti sono i tasti, dopo averne
alzati 7, 8 o 9 e componendoli in vari modi sulla linea dei numeri. I bambini devono cercare
di rispondere nel tempo più breve possibile senza contare.
− Lettura intuitiva di quantità superiori al 10: l’insegnante alza le quantità superiori al numero
10 utilizzando le stesse modalità precedenti.
− Scomposizione intuitiva del 10: viene effettuata per cercare di incrementare le velocità di
riconoscimento dei numeri complementari entro il 10; si parte con i tasti abbassati e si alzano
un certo numero di tasti, chiedendo quanti ne mancano (ovviamente i tasti da alzare dovranno
essere nell’ordine di numeri inferiori alla decina).
− Addizioni orali: l’insegnante effettua l’addizione muovendo lo strumento ed utilizzando il
termine “più” invece che “aggiungi”. Si parte con i tasti abbassati e si compie l’operazione
cinque più cinque più cinque fino ad arrivare a venti.
− Addizioni orali con lo strumento: dopo che hanno osservato l’addizione con le cinquine
appena citata, gli studenti possono ripetere l’operazione attraverso l’utilizzo dello strumento.
− Sottrazioni orali: si effettua alla cattedra la prima sottrazione orale, così come fatto con le
addizioni in precedenza utilizzando il termine “meno”, ovvero venti meno cinque uguale
quindici.
− Sottrazioni orali con lo strumento: gli alunni effettuano l’operazione medesima sulla lavagna
utilizzando per la prima volta i simboli scritti, ovvero “20-5=15”.
Le attività elencate rappresentano le principali modalità di utilizzo dello strumento, a cui se
ne possono accompagnare tante altre come un lavoro sulle successioni, sul concetto di
precedente e successivo o di conteggio in lingua inglese.
L’uso più immediato e intuitivo dello strumento è quello di eseguire dei conteggi abbassando
o alzando i tasti a uno a uno. Quando ci si accorgerà che l’alunno comincia a prendere cinque
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o sette o dieci tasti in un sol colpo, se ne ricaverà che sta sviluppando le strutture del calcolo
intuitivo, perché la mente è diventata più rapida dell’atto del conteggio. La reale funzione
dello strumento è quella di favorire il superamento del processo di conteggio, non
riproducibile a livello mentale, a causa della sua lentezza. Quanto espresso, per la
maggioranza degli alunni, avviene quasi nell’immediato. È doveroso aver chiaro, come
insegnanti, che gli alunni che contano rimangono sterilmente nella fase iniziale che permette
loro a livello mentale di fare solo + 1. Quando hanno tra le mani la linea del 20, la prima
azione istintiva è di giocare con i tasti. Perché? Si divertono nella creazione e
sperimentazione di alcune delle migliaia di soluzioni combinatorie che si possono costruire
utilizzando venti tasti. Per fare questo gioco, sono necessari i rapporti topologici, destra e
sinistra, alto e basso, avanti e indietro che i bambini ben conoscono dalla nascita. Nel
contesto scolastico, tali competenze vengono considerate come prerequisiti della matematica
e sono oggetto di specifiche esercitazioni. Infatti, tali rapporti topologici sono parte
integrante del patrimonio istintivo della visione. Nel calcolo mentale i rapporti topologici
coinvolti sono più sofisticati e riguardano i movimenti di traslazione e ribaltamento della
numerazione mobile sulla linea dei numeri fissa. La linea dei numeri diventa l’ambiente
artificiale in cui bisogna muoverci, ogni quantità intesa come immagine viene letta da destra,
da sinistra o dal centro in base a un criterio prestabilito in partenza. Tutta l’attività di
computazione ha il significato di un orientamento sulla linea dei numeri, come se si
immaginasse di muoversi fisicamente avanti e indietro. Grande importanza riveste il
linguaggio matematico, ogni parola può infatti determinare il significato di una frase: è
possibile dire “colora cinque palline” oppure “colora la quinta pallina” e tutto cambia.
La figura mostra un elenco di frasi e parole utilizzate in alcuni esercizi per introdurre il
linguaggio matematico.
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Addizioni e sottrazioni
Utilizzando lo strumento, in breve tempo è possibile passare al calcolo vero e proprio: non
c’è bisogno di grandi spiegazioni, è essenziale mostrare alcuni esempi e i bambini intuiscono
con facilità che addizionare significa aggiungere e sottrarre significa togliere. Ecco un
esempio di addizione:
L’unica indicazione che è stata data agli alunni è quella di muovere i tasti con un colpo solo
senza alzare o abbassare un tasto alla volta, questo perché occorre “vedere” la quantità da
aggiungere o togliere senza contare. I bambini hanno potuto usare varie strategie di calcolo,
per esempio 10 meno 6 può essere eseguito abbassando gli ultimi sei tasti:
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IV ATTIVITÀ: GLI AMICI DEL 10
Materiale
• ‘Scheda p.14 estrapolata dal sito “Progetto “PerContare’ ”;
• Scheda p6xx_01 p.188 estrapolata dal sito “Progetto ‘PerContare’ ”;
• Matite;
• Colori a spirito e/o a pastello.
La prima scheda somministrata prevedeva che si lavorasse in maniera differente rispetto alle
volte precedenti: è stato richiesto al bambino di ragionare non solo per “aggiunta”, ma per
addizione, con un addendo mancante: “Ho x quantità, quanto mi manca per arrivare a 10?”
Il bambino ha trovato davanti a sé 6 riquadri, rispettivamente due colonne da tre righe, in cui
sono presenti fiorellini, stelline, emoticons sorridenti, triangoli, cuoricini, crocette: ogni
riquadro constava di un numero di figure inferiore a 10 e, gli alunni, contando gli elementi
in ogni sezione, dovevano aggiungere tanti oggetti quanti ne mancano per arrivare alla
quantità 10.[AL2]
Nella seconda scheda, la consegna invita l’individuo a inserire le coppie di numeri (da 0 a
10) i quali, se sommati, danno come risultato il numero 10. La scheda mostra 16 riquadri in
cui è presente il numero 10; per ciascun riquadro se ne uniscono altri 2 in modo da inserire
nelle caselle vuote i numeri “amici del 10”, quindi, per esempio (1+9=10; ma anche
9+1=10).
Obiettivi
Scheda n°1: Mediante tale esercizio si vuole potenziare non solo la capacità strategica
(dunque, il bambino sarà guidato alla formula: “Cosa devo sommare a x perché sia 10 la
somma?”, quindi otterrà la seguente rappresentazione mentale: n+x=10), ma anche alla
memorizzazione e acquisizione che sempre le stesse coppie di numeri, se unite, danno come
risultato 10.
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Scheda n°2: l’esercizio potrebbe apparire fine a sé stesso, ma non è così: si richiedono al
bambino grandi capacità di orientamento riguardo alla linea dei numeri 0-10. Infatti,
ricordando le attività affrontate con la “Linea del 20”, i bambini dovrebbero essere in grado
di riportare sulla scheda non solo somme quali “2+8=10”, ma anche “8+2=10”; oppure
ancora dovrebbero aver acquisito l’esistenza dello zero, quindi sarebbe ottimale se gli alunni
registrassero anche somme quali “0+10=10” e “10+0=10”. Il fine della scheda didattica
osserva che i bambini acquisiscano quella forma mentis che li rende abili nel comprendere
la molteplicità di procedimenti utili per ottenere il medesimo risultato.
110
a turno per colorarle secondo il criterio indicato per ciascun esercizio, solo in questo modo
hanno ascoltato e capito senza problemi. In entrambe le classi in cui ha avuto luogo la
sperimentazione, tutti gli alunni hanno chiesto alla tirocinante come dovessero colorare
(Colori a spirito o a pastello? Possiamo usare la matita?), cosa dovessero colorare.
Per quanto riguarda l’ITEM C, sia in 1 A, sia in 1 C, sono emerse problematiche non
trascurabili che hanno richiesto l’intervento della tirocinante.
Ella ha descritto in entrambe le classi l’attività richiesta
dalla consegna, i bambini si sono trovati in difficoltà non
tanto dai saltelli da effettuare, quanto dalla presenza dello
zero e dei segni che compaiono alla rinfusa di ogni linea.
Nel pre-test i risultati ottenuti hanno necessitato di un
graduale potenziamento (quello proposto in entrambe le
classi), il quale, poi, ha dato i suoi frutti nel post-test. I
bambini si sono sentiti spaesati dal momento in cui la
tirocinante ha somministrato loro la scheda in questione.
Conoscevano la linea dei numeri, ma non riuscivano a
familiarizzare con l’argomento, non avendo ancora
approcciato allo zero: il risultato è stato quello di avere due
classi di alunni molto disorientati. La tirocinante ha preso
in mano la situazione e, prima cosa, ha riproposto sulla lavagna lo stesso contesto che i
bambini avevano sulla scheda, in modo da svolgere insieme gli esercizi e da guidarli nei loro
ragionamenti. Alcuni hanno avuto difficoltà nel distinguo dei numeri ordinali (“Cosa vuol
dire primo, secondo, quinto esercizio? Non associavano il numero ordinale al corrispettivo
cardinale), perciò, quando la classe si trovava in un determinato punto (per esempio il
secondo esercizio), oltre a enunciare espressamente il numero dell’esercizio che si stava
affrontando, la tirocinante lo indicava e dava come riferimento l’animaletto corrispondente
che si apprestava a raggiungere un determinato numero (Per esempio, il topolino da due deve
raggiungere il numero otto.)
I bambini in 1 A sembravano non seguire molto ciò che la tirocinante aveva da dire, quindi
lei stessa si è lasciata guidare dall’insegnante di matematica che, agilmente, propose ai
bambini l’immagine di un ruscello difficile da attraversare. Fortunatamente, il ruscello aveva
al proprio interno dei sassolini in cui è possibile poggiare i piedi per non bagnarsi. La
111
tirocinante allora ebbe in mano la classe: un esempio di quesito è stato: <<Se io parto da tre,
quanti saltelli dovrò fare per arrivare a sette?>>.
I bambini si sono divertiti, uno alla volta, a saltare e, tra un saltello e l’altro, hanno imparato.
La stessa proposta didattica non ha avuto luogo in 1 C, per mancanza di tempo, ma è lecito
asserire che i bambini sono stati condotti più facilmente a ragionare. In 1 C, si è seguito il
medesimo iter degli altri incontri (domanda-ragionamento) con l’aggiunta, stavolta, di
partecipazione attiva alla lavagna. Effettivamente, questo è stato l’ITEM che ha occupato
maggiori quantità di tempo e di energie, soprattutto perché nessuna delle due sezioni aveva
dimestichezza con l’operazione dell’addizione e tutto ciò che essa concerne (cos’è il segno
”+”? A cosa serve? Cosa sono quelle due linee (riferimento a: =)?).
112
QUARTO CAPITOLO
I RISULTATI
Pre-test:
1A
B1 17 1 /
B2 17 1 /
B3 18 / /
B4 9 2 7
B5 9 / 9
113
SALTA IN AVANTI SULLA LINEA C 1 17 1 /
DEI NUMERI ED ESEGUI LE
ADDIZIONI
In 1 A, sin dal pre-test, tutti i bambini sono riusciti a colorare correttamente gli oggetti
secondo il numero indicato dalle colonne della tabella dell’ITEM A.
Per quanto concerne l’ITEM B sono emerse molteplici criticità. Molti errori sono dovuti alla
scrittura a specchio di alcuni numeri (il SEI, il SETTE, il NOVE), altri, più frequenti, sono
caratterizzati dalla scrittura a rovescio del numero (SEI scambiato per un NOVE e
viceversa), con l’aggiunta di refusi comuni alla maggior parte della classe, come confondere
la riproduzione del SETTE con l’UNO. Dalla tabella sovrastante si evince che ci sono state
omissioni, tutte relative alla scrittura dei numeri NOVE e DIECI, ciò è spiegato dal fatto che
il pre-test è stato somministrato durante la prima decade di dicembre, giorni in cui la classe
stava affrontando, per la prima volta, il numero OTTO.
114
Passando all’ITEM C, risulta interessante notare come determinati errori e refusi abbiano
accomunato molti alunni. Alcuni probabilmente non sanno ancora gestire spostamenti sulla
linea dei numeri (hanno visto che ci sono un TRE e un SEI, ma non hanno colto che era
necessario fare 6 salti partendo dal 3, credendo che SEI invece fosse il risultato). Molti
studenti hanno invertito i risultati tra i diversi esercizi, dimostrando di non sapersi ancora
orientare bene nel contesto situazionale del foglio. È prettamente visibile come gli alunni
abbiano eseguito bene i saltelli richiesti, ma poi abbiano scritto un numero che non
corrisponde a quello evocato dall’esercizio. Due bambini hanno eseguito i saltelli di un
esercizio in maniera errata, perché hanno ritenuto che, nonostante l’animaletto sia
posizionato nella posizione numero 4 e che nella consegna sia riportata l’operazione:
“4+4=”, questi (riprendendo l’esercizio precedente) sono partiti dal numero 3 e sono arrivati
a nove, (i bambini hanno dimostrato come la consegna della tirocinante non sia stata chiara,
perché non hanno affatto tenuto conto dell’operazione alla rinfusa della linea dei numeri).
1C
DESCRIZIONE ITEM CORRETTE ERRATE MANCANTI
A 15 / /
B1 15 / /
B2 15 / /
B3 15 / /
B4 14 1 /
115
B5 15 / /
116
L’enorme divario che emerge confrontando le due classi esaminate è solo apparente, in
quanto c’è bisogno di fare alcune precisazioni. La tirocinante ha somministrato i due pre-
test in momenti storici diversi tra le due sezioni: infatti, in 1 A il tutto ha avuto inizio nel
mese di dicembre, mentre in 1 C è stato possibile solo a gennaio inoltrato. La classe 1 C non
ha avuto bisogno dell’aiuto della tirocinante per l’ITEM A e l’ITEM B; ma è opportuno
constatare il fatto che i bambini abbiano trovato ostacoli nell’ITEM C fa riflettere molto, in
quanto si potrebbe supporre che anche la 1 C avrebbe avuto difficoltà con gli altri ITEM, se
il pre-test fosse stato somministrato in precedenza.
Post-test:
1A
DESCRIZIONE ITEM CORRETTE ERRATE MANCANTI
A 18 / /
B1 18 / /
B2 17 1 /
B3 18 / /
B4 18 / /
117
B5 18 / /
Come nel pre-, anche nel post-test l’ITEM A non ha prodotto inconvenienti. A distanza di un
mese e mezzo, si possono rilevare soddisfacenti risultati per gli altri due ITEM. L’ITEM B è
stato serenamente risolto dalla classe, solo un bambino ha avuto difficoltà (ha scritto il numero
sette a specchio), ma ciò è correlato alle troppe assenze. L’ITEM C continua ad essere un grande
ostacolo per gli alunni di 1 A, anche se in maniera meno evidente. È lecito fare riferimento a
errori come quelli elencati in precedenza, fatta eccezione per un bambino: lo studente ha scritto
i risultati in ordine numerico con partenza da tre, senza tener conto del significato delle
addizioni (3+4=3; 5+2= 4; 6+3=5; 4+4=6; 2+8=7). Permangono errori come la riproduzione
dei numeri a specchio.
118
1C
DESCRIZIONE ITEM CORRETTE ERRATE MANCANTI
A 15 / /
B1 15 / /
B2 15 / /
B3 15 / /
B4 14 1 /
B5 15 / /
119
SALTA IN AVANTI SULLA C 4 13 1 1
LINEA DEI NUMERI ED ESEGUI
LE ADDIZIONI
120
QUINTO CAPITOLO
CONCLUSIONI
121
per l’apprendimento collaborativo e, contemporaneamente, assicurare che tutti gli alunni
raggiungano attivamente e consapevolmente gli stessi obiettivi.
Visti dunque tutti i limiti e le problematiche entro cui abbiamo svolto la nostra
sperimentazione, risulta difficile dare una risposta definitiva alla questione. Non possiamo,
ma soprattutto, non vogliamo affermare per certo che una delle due strategie didattiche sia
più efficace rispetto all’altra, ma possiamo limitarci a commentare i risultati che abbiamo
ottenuto e trarne delle indicazioni per un ulteriore tentativo proponendone alcuni sviluppi.
Ricordiamo che il nostro lavoro si è svolto in tre fasi diverse: la prima (pre-test) in cui sono
state misurate le abilità degli studenti prima dell’intervento didattico attraverso un test, il
secondo in cui è stato scelto un argomento da trattare in ambedue le classi, ma con approcci
metodologici diversi e la terza (post-test) in cui sono state misurate le abilità degli studenti
alla conclusione dell’intervento didattico attraverso il medesimo strumento della prima fase.
Al centro dello studio di questa tesi ci sono due metodologie didattiche costruite per
raggiungere obiettivi analoghi nel processo di insegnamento-apprendimento della
matematica. Nella tesi, tali approcci sono prima descritti, analizzati e successivamente
sperimentati in classe. In ogni fase dell’elaborato, è possibile notare differenze e analogie
che di seguito si discuteranno.
ANALOGIE tra i due approcci, entrambi prevedono:
• l’uso di artefatti: la linea del 20 da una parte e il Contadita dall’altra; entrambi si
ispirano all’uso delle dita come prima approccio al conteggio;
• l’uso di un’applicazione interattiva che presenta però attività differenti;
• l’attenzione sulla composizione e la scomposizione del 10 attraverso quelli che
comunemente vengono chiamati: “gli amici del 10”: in altre parole, il 10 visto come
somma tra due numeri.
DIFFERENZE tra i due approcci:
• Uno dei due approcci, pone come centrale la rappresentazione in base 10 dei numeri,
mentre l’altro non pone il problema della rappresentazione: i bambini imparano e basta
a scrivere i numeri, senza porsi il problema del perché 10 si scriva come 1 e 0 e non
attraverso un altro simbolo unico.
• Da un canto ho lavorato sui numeri detti “cugini”, favorendo l’avvicinamento alla
scrittura posizionale (1 e 11 sono 1 e 1+10, e così via) quindi i numeri cugini hanno unità
122
in comune e decine diverse, dall’altra non era necessario sottolineare tale accorgimento
avendo approfondito la rappresentazione in base 10.
• Uno dei due approcci (Progetto “PerContare”) presentava spesso problemi che
richiedevano tempo da dedicare, strategie diverse da attivare e discussioni da orchestrare
(ad esempio il problema delle cannucce) mentre l’altro prevedeva prevalentemente
esercizi rapidi con la richiesta di silenzio (che purtroppo non sono riuscita a seguire).
• Il Progetto “PerContare” segue un protocollo con svariati artefatti, il Metodo Analogico
ne ha uno solo.
Seguendo la via indicata dagli studi di Butterworth (2007), possiamo verificare come un
insegnamento didattico che azioni prevalentemente i processi semantici, possa avvalorare in
maniera naturale il passaggio verso gli altri processi, che sono successivi nella maturazione
della cognizione numerica. Sebbene sembri garantito partire dal basso (processi semantici),
le radicate consuetudini scolastiche fanno sì che, spesso, si cominci da quelli sintattici e,
cioè, dalla presentazione delle cifre scritte, privilegiando esercizi di scrittura di numeri,
calcolo scritto, riconoscimento del valore posizionale delle cifre, chiedendo al bambino di
impiegare, così, le sue energie non a “salire” ma a “scendere” per recuperare “il significato
e i processi istintivi di accesso alla conoscenza numerica” (Mehrnoosh & Fusi, 2016, p. 262).
Viene spontaneo all’insegnante porsi il problema di “come dare rappresentazione al
numero” (Bortolato, 2002, p. 20), invece di considerare la prospettiva, naturale per il
bambino, di “come dare simbolo a delle rappresentazioni” già costituite (Bortolato, 2002,
p. 20). Invece, i bambini hanno bisogno di esperire il loro percorso per intero, simile a quello
dell’umanità in migliaia d’anni (Bortolato, 2014). Il Metodo Analogico di Camillo Bortolato
percorre in maniera naturale e spontanea la via indicata da Butterworth (2007): valorizzando
le potenzialità del bambino, promuove un apprendimento attivo, immediato ed esperienziale
che rovescia il dominio della disciplina didattica sui processi istintivi del calcolo,
presentandosi come un metodo di apprendimento non concettuale, che rinuncia
all’interazione linguistica per destinare l’attenzione direttamente alle immagini interne della
mente che professa in modo intuitivo e silenzioso. Conduce i bambini a conoscere i numeri
ed eseguire i primi calcoli senza la preoccupazione di sapere che cosa siano i numeri, il
significato delle operazioni aritmetiche e il valore posizionale delle cifre, bensì raffinando
l’aspetto semantico attraverso i processi di subitizing. Potenzia il calcolo a mente e
l’automatizzazione dei fatti numerici operando sulla Linea del 20, fin dall’inizio, senza
paura, per fornire ai bambini una sintesi completa e d’insieme del percorso che svolgeranno
123
(Bortolato, 2002). I bambini riconoscono lo strumento come rappresentazione delle proprie
mani, senza nutrire il bisogno di spiegazioni, perché esse sono lo strumento naturale che ha
permesso l’evoluzione del calcolo mentale e ad esse volentieri l’essere umano si affida
quando si trova in difficoltà. Utilizzate come basi del conteggio in tantissime culture, sono
un dono straordinario della natura, equiparabile a un computer, poiché grazie alla doppia
posizione di ciascun dito (aperto/chiuso, on/off) consentono innumerevoli combinazioni e
sono una risorsa sempre accessibile per rappresentare i numeri e per contare. La Linea del
20 viene proposta immediatamente, con gioia e stupore e grazie ad essa i bambini sfruttano
e rafforzano il riconoscimento analogico della quantità cinque e da lì, per associazione,
hanno un primo approccio alla scomposizione e composizione dei numeri entro il 20.
Manipolare in particolare le quantità “5 + 2” e “2 + 5” permette di operare anche su tutte le
altre quantità, sostenendosi grazie ad una scomposizione acquisita ed immediata (7 + 3= 7 +
1 + 2 = 8 + 2 = 10). Il primo impulso davanti alla Linea del 20 è quello di muovere i tasti
uno ad uno al fine di contare, ma, trascorsi alcuni minuti, “Vediamo che il bambino comincia
a prendere tre, cinque, dieci tasti in un colpo solo: significa che sta sviluppando le strategie
del calcolo intuitivo, in cui la mente diventa più veloce del conteggio e manipola al volo
quantità sempre maggiori” (Mehrnoosh & Fusi, 2016, p. 263). Molti bambini, in un periodo
di tempo relativamente breve, useranno lo strumento chiuso per abbandonarlo gradualmente,
altri continueranno a usarlo anche come strumento compensativo. Si impara, dunque, senza
aprioristica istruzione verbale e le uniche parole usate servono per chiarire come muovere i
tasti dello strumento. Si otterrà come risultato un apprendimento come per risonanza, per
analogia ed esperienza.
124
In definitiva, ritengo che, attraverso questo modo di lavorare in classe, i bambini si siano
impossessati sia di conoscenze (a seconda dei casi più o meno approfondite), messe in
comunicazione in modo consapevole col mondo e con le loro esperienze quotidiane, sia di
atteggiamenti, abilità operative e consapevolezze, che non sarebbero state prese in
considerazione nell’insegnamento tradizionale. Tali acquisizioni connotano di spessore
culturale le conoscenze stesse, naturalmente, ad un livello adeguato all’età dei bambini della
scuola primaria. Questo tipo di didattica non propone ai bambini di capire tante piccole cose,
ma affronta ampi insiemi di fenomeni che hanno bisogno di tempi lunghi e di percorsi lenti,
continui, e soprattutto personali. La didattica proposta non semplifica artificialmente, ma
rende invece visibile la complessità della realtà e le sue rappresentazioni multiprospettiche,
promuovendo contesti di apprendimento che poggiano su fatti reali, che inducono l’interesse
verso ulteriori visioni del mondo e la spontaneità nel porsi domande.
125
In 1C, l’uso della parola era vietato: il metodo predica l’apprendimento non comunicativo,
ma i bambini erano in costante ricerca dell’aiuto e della presenza dell’insegnante, in modo
da essere seguiti nell’acquisizione di tali concetti.
In 1 A, l’utilizzo dei fascetti di cannucce ha avuto bisogno dello story-telling, e delle figurine
da inserire nell’album.
Sono pervenuta alla conoscenza dei limiti del metodo e del progetto solo durante l’attuazione
degli stessi e la volontà di provare a superarli è stata tanta. Nel mentre, ho capito che non
bastava quello di cui disponevo in entrambi gli approcci, ho sentito l’esigenza di avvalermi
di altri espedienti (lavoro individuale, lavoro di gruppo, esercitazioni alla lavagna), di far
interagire più strategie educative. Lo sforzo è stato questo.
Pur essendo ricchi di ideali didatticamente riconosciuti e professati, di strade di
apprendimento calibrate e funzionanti, le due esperienze sono risultate povere. Diversi sono
i bambini, diversi sono gli insegnanti, diversi sono i contesti educativi. Non si tratta di
metodiche povere contenutisticamente, ma di metodiche povere di efficacia comunicativa.
Gli errori dei bambini sono stati una fonte di informazione per l’insegnante non solo per
determinare il loro livello di conoscenze, ma anche per lavorare con loro al fine di affrontare
e superare le loro difficoltà. Mi sono servita dell’errore non con la sua valenza negativa, ma
come strumento concettuale atto al miglioramento. Ho cercato di indirizzare ogni allievo alla
costruzione della percezione di sé stesso e della classe come di una comunità impegnata in
un processo di realizzazione della conoscenza, finalizzato ad affrontare le attività emergenti
e risolvere insieme i problemi. A questo scopo, sono risultate utili tutte le strategie didattiche
utilizzate: il lavoro individuale, il lavoro di gruppo e le discussioni di classe. L’interazione
sociale, che è stata una delle caratteristiche fondamentali fin dall’inizio del progetto messo
in atto, ha permesso la confutazione delle proprie idee per la comprensione del punto di vista
altrui, promuovendo nei bambini la velleità nell’essere più rispettosi e tolleranti l’uno nei
confronti dell’altro.
Se per il Metodo Analogico lo sforzo che si richiede all’insegnante è solo quello di spiegare
i contenuti didattici secondo l’approccio verbo-visivo (descrivere a voce le azioni muovendo
i tasti della “Linea del 20”); il Progetto “PerContare” ha apportato grande impegno
nell’aggancio di altre strategie al fine di rendere più maneggevoli alla classe le questioni
affrontate, evitando possibili fraintendimenti.
Il contesto di lavoro della sperimentazione con “PerContare” ha seguito tutt’un altro iter, in
cui sono stata chiamata a orchestrare e a monitorare le risposte dei bambini, proprio perché
126
il campo d’azione proposto era sconfinato. La cura con cui ho reso partecipe la classe ha, di
conseguenza, prodotto straordinari risultati relativi al post-test. I miglioramenti sono visibili
su entrambi i fronti, ma maggiormente evidenti per la 1 A.
Quello che viene espresso nelle Indicazioni Nazionali, ha avuto un’alta risonanza per il mio
percorso da aspirante docente:
Lo stile educativo dei docenti, il quale si ispira a criteri di ascolto, accompagnamento,
interazione partecipata, mediazione comunicativa, con una continua capacità di
osservazione del bambino, di presa in carico del suo “mondo”, di lettura delle sue
scoperte, di sostegno e incoraggiamento all’evoluzione dei suoi apprendimenti verso
forme di conoscenza sempre più autonome e consapevoli. (MIUR, 2012, p. 17)
Allora è palese dedurre che, con il Progetto “PerContare”, il lavoro eseguito ha rispettato
pienamente quanto riportato nelle Indicazioni Nazionali. Nelle linee guida del Metodo
Analogico, ciò non viene richiesto, ma la situazione della classe era tale da spingermi a
seguire le Indicazioni Nazionali, altrimenti non si sarebbe consolidato il processo
d’apprendimento progettato. È importante dare e darsi tempi lunghi per conseguire e valutare
obiettivi significativi: un obiettivo significativo è valutabile se verrà sedimentato
nell’alunno. Difatti, se l’insegnante non riflette sul significato degli obiettivi nell’educazione
matematica, l’educazione matematica è già volta al termine.
La professionalità docente si arricchisce attraverso il lavoro collaborativo, la formazione
continua in servizio, la riflessione sulla pratica didattica, il rapporto adulto con i saperi e
la cultura. La costruzione di una comunità professionale ricca di relazioni, orientata
all’innovazione e alla condivisione di conoscenze, è stimolata dalla funzione di leadership
educativa della dirigenza e dalla presenza di forme di coordinamento pedagogico. (MIUR,
2012, p.17)
D’Amore e Fandiño Pinilla (2016, p. 3), in ultima istanza, affermano che: <<Sarebbe
opportuno scientificamente ed eticamente che tutti coloro che hanno ideato un metodo o uno
strumento o una metodologia didattica la proponessero al severo giudizio scientifico, o la
proponessero su riviste scientifiche con referee, o partecipassero a convegni di ricerca o
anche solo convegni cui partecipano colleghi critici>>. Allo stesso tempo, asserisce anche
che occorre diffidare di chi propone "un metodo" o "uno strumento" come infallibile garanzia
di successo acquisitivo degli alunni. In seguito, spiega che: <<Quello a cui ci si deve opporre
non è uno strumento o un metodo, l’errore è la scelta univoca o l’affidare allo strumento (al
singolare) o al metodo (al singolare) un potere didattico che esso non può avere, perché
questo spetta solo al docente, al maestro, all’essere umano che insegna e non a uno
127
strumento o a un metodo>> (D’Amore & Fandiño Pinilla, 2016, p. 4). Si celebra, qui, l’idea
dell’insegnante competente, non in qualità di risolutore di problemi, ma di costruttore di un
suo “metodo”, il quale combacia col repertorio di comportamenti e strategie progettate
esattamente per quello specifico fine.
128
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Ringraziamenti
Per tutte le volte che c’era da rischiare, avete rischiato, semplicemente per vedermi
realizzata. Per tutte le volte che mi avete fatto sentire importante, per tutte le volte che avete
creduto in me, gran parte dei ringraziamenti vanno a voi, mamma Rossella e papà Peppino.
Nessuno aveva idea di quanto tempo ci sarebbe voluto, di quanti sforzi occorrevano, voi
invece sì. Grazie per questa magnifica opportunità fatta non solo di studi, ma di persone,
luoghi, relazioni e contesti nuovi, intrecciati e collezionati in questi cinque anni. Avete
permesso che il 17 luglio ora non abbia più quel significato triste per la nostra famiglia.
Ma un grazie va ad Alessia, la prima vera amica, e poi collega, che ho conosciuto nel primo
mese di università; un grazie va a Chiara, l’unica che sa essere sognatrice, ma con i piedi per
terra, compagna di corse l’Aquila-Chieti, dispensatrice dei migliori consigli, ma anche delle
peggiori risate; un grazie va a Martina, la persona che è riuscita a insegnarmi che bisogna
accettarsi un po’ di più per vivere bene con sé stessi!
Alessia, Martina e Chiara, insieme a me hanno dato vita a Casalory_. Casalory_ non è una
casa, ma una realtà che rimarrà sempre nei miei ricordi. Grazie per le pulizie canterine post
sessione; grazie per quei preparativi che avevano già da giorni prima il sapore di felicità,
perché significavano fare nuove amicizie, significavano stare insieme; grazie per essere stata
la miglior organizzatrice di festini, pranzi e cene da fare invidia a tutto il Torrione, grazie
per le gite a Roma semi-improvvisate; per “Q piccolo”; per i discorsi preparati prima di ogni
interminabile pagamento di bolletta; per essere stata fantastica nella tua semplicità. Mia cara
Casalory, ne hai viste di persone negli anni, ne hai sentite di lamentele dei vicini, ne hai
preparati di dolci, ne hai ascoltata di musica, ne hai fatte di nottate insonni, ne hai fatti di
balletti (involontariamente!), ma sei stata anche studiosa, coscienziosa, felice di poter
condividere il condivisibile. Ti sono grata per essere stata così. Grazie perché, nella casualità,
non potevi presentarmi persone migliori! Chissà, magari un giorno ci rincontreremo, no?
Grazie Laura, mia dolce confidente, con te ho condiviso tantissime passioni, più che
momenti di studio. Io, te ed Alessia abbiamo formato un trio imbattibile. Ci siamo scelte sin
dall’inizio per poi riconfermarci subito dopo una colazione da “Donna Zelinda”. Ricordati:
“Ti aspettiamo all’Acqua&Sapone!”
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che coltivassimo più a fondo la nostra amicizia, ma è pur vero che la quarantena, senza le
nostre videochiamate, fatte per la maggior parte di risate e momenti di leggerezza, sarebbe
stata sicuramente meno gestibile.
Claudia, Nunzia e Sara sono state fondamentali durante la mia esperienza universitaria e
non. I laboratori e le plenarie all’università sarebbero stati difficili da digerire senza voi.
Nonostante i tanti impegni lavorativi, abbiamo trovato sempre il modo di non perderci di
vista. Ricordo ancora il primo giorno in cui conobbi te, Nunzia, che risate per quell’esame!
La mia avventura aquilana non sarebbe stata la stessa senza Martina, Daniele, Claudia,
Tinga, Iginio, Gianmarco, Frenky, Paolo e Simone. Avete permesso l’unione del triangolo
Pianola, Coppito e Viale Nizza. Siete riusciti ad annullare le fredde serate aquilane con la
vostra simpatia e autoironia.
Ai miei amici di una vita devo molto. L’università ha separato i nostri corpi ma ha
consolidato la nostra amicizia, facendoci apprezzare maggiormente i finesettimana passati
insieme dopo mesi di lontananza. Parlo proprio di voi, Giuseppe, Silvio, Francesca e, in
particolare, Giulia, presenza costante della mia vita da tempi immemori.
Grazie alla persona che mi ha da subito letta dentro e ha visto in me tanta voglia di mettersi
in gioco, alla persona che mi stima più di tutti, anche se cerca di nasconderlo. Nonostante
conosca i miei alti e bassi, nonostante sappia che i chilometri possano pesare, questa persona
è rimasta. Grazie amore mio, Federico, questo traguardo è anche il tuo.
Ho voluto riservare l’ultimo posto a te, Luca, che hai sempre protetto la tua sorellina. Sei
stato il primo a supportare e, purtroppo per te, sopportare il mio avvenente interesse per
l’insegnamento. La nostra diversità è l’elemento indispensabile che ci tiene uniti, anche se,
col tempo, abbiamo imparato a far funzionare le nostre differenze in un modo che non
sembra essere poi così male. Ti voglio bene e non smetterò mai di volertene.
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