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Mario Pezzella – Dal peggio non nasce il meglio

Sul populismo, e sulle sue articolazioni e motivazioni politiche, ho scritto un saggio che uscirà
nel prossimo numero speciale del Ponte e dunque non voglio ripetere qui le considerazioni
che si potranno leggere tra poco in quella sede. Mi limito ad un commento di cronaca politica e
ad alcune osservazioni, dopo la lettura dell’editoriale del numero di luglio e la polemica che ne
è seguita: più enunciazioni di stati d’animo che ragionamento.
L’Europa attuale, dominata dal capitale finanziario e dalla burocrazia di Bruxelles, non
piace neanche a me; tuttavia starei attento a concentrare la critica sulle grandi banche,
distinguendo da esse una “oligarchia” capitalista produttiva, nazionalista e alleata potenziale
della protesta popolare (come esisterebbe in Inghilterra e in occasione della Brexit). E’ questo
appunto che distingue una critica socialista –o se volete marxista- dell’economia da quella
populista. Per il socialismo il capitale finanziario è un’articolazione necessaria nata in seno al
capitale produttivo: può esserne una degenerazione, ma il potenziamento abnorme degli
strumenti creditizi nasce per sopperire alla crisi di sovrapproduzione e consumo, che è
caratteristica del movimento del capitale in generale. Pound –per esempio- poteva criticare
duramente ed efficacemente le banche, ma allo stesso tempo era assolutamente incapace di
vedere il nesso tra l’ “usura”, l’ “interesse” -e la necessità di stimolare l’inerzia della
produzione, in una fase di crisi. In una fase di crisi noi stiamo vivendo, senza che neppure si
intravvveda la ripresa di un ciclo espansivo: questa crisi deriva però da quella di
sovraproduzione e sovraconsumo degli anni Ottanta e Novanta del Novecento, per
compensare e occultare la quale si è potenziato in modo distorto la leva del credito (ricordo
che fu Clinton a togliere ogni freno di controllo alle banche e a liberalizzare interamente la
circolazione dei capitali). Questo è dunque il momento adatto –anche se intempestivo- per
una critica della produzione astratta e della contraddittorietà strutturale del capitale (critica
marxista) più che per una rivolta contro il suo solo aspetto finanziario (critica populista).
In secondo luogo: con movimenti politici che criticano la burocrazia di Bruxelles e
contemporaneamente erigono muri contro i migranti non vorrei avere nulla a che fare,
neppure tatticamente, perché restano un nemico contro cui combattere. L’ignoranza di chi
non riconosce o fa finta di non riconoscere che il problema dell’immigrazione nasce dalle folli
guerre neocoloniali europee in Iraq, in Libia e in Siria, per non andare più lontani nel tempo,
rende impossibile qualsiasi dialogo e qualsiasi soluzione del problema. Addirittura
inquietante è il meccanismo del capro espiatorio, psicologico e politico, che accomuna Le Pen,
Farage, Salvini e compagnia: la crisi finanziaria è colpa delle banche, la crisi sociale è colpa
dell’altro e del diverso, eliminiamo questi due ostacoli e riavremo un ottimo stato sociale per i
“nativi”.
In terzo luogo: il ritorno allo stato nazione è proposto da tutti i movimenti nazional-
populisti, ma: se anche fosse auspicabile non è possibile negli attuali rapporti di forza e non è
auspicabile se il concetto di nazione è quello esclusivo e guerrafondaio delle destre radicali
italiane, francesi e austriache.
Riassumo: condanna delle banche e non del capitale come modo di produzione; odio
sciovinista per il diverso; stato sociale e nazionale per i nativi; la guerra come possibilità
contemplata in stato d’emergenza (se le cose dovesssero mettersi proprio male potrebbe
venir fuori la trovata che i banchieri cattivi sono ebrei e massoni, come diceva il babbo della
figlia Le Pen?).
Tutto ciò non è una banalità , è una proposta politica che accomuna i populismi di destra
europei, può articolarsi in modo raffinato (Le Pen) o rozzo (Salvini) ma ha comunque una
robusta tradizione alle spalle: quella fascista, se prendiamo l’aggettivo in modo serio e non
come un insulto da bar. Che questa proposta abbia possibilità di successo è indubbio. Che una
disgregazione dell’Europa governata da questi signori sia auspicabile è più che dubbio:
sarebbe una catastrofe storica. L’uscita dall’Europa liberista dev’essere preceduta da lotte
sociali politiche e sindacali, come è stato indicato da Podemos in Spagna, da Corbyn, da Syriza
in Grecia e perfino da Sanders negli Stati Uniti. Dev’essere associata alla proposta immediata
di un nuovo patto federativo europeo, di una economia sociale transnazionale, dalla creazione
di un sindacato che agisca le sue lotte a livello europeo (Landini aveva in mente una cosa del
genere, ma è purtroppo sparito): infine, un’alleanza tra i paesi dell’Europa mediterranea -
ipotesi meno utopica di quanto sembri al momento-, magari con una differenziazione delle
monete, potrebbe bilanciare il potere finora indiscusso della Banca Centrale Europea.
Voglio chiudere con una considerazione, che spero non venga giudicata “complottista”:
alcuni degli ultimi attentati in Francia mi hanno lasciato perplesso. Può un islamista radicale,
già segnalato e incarcerato, con un un braccialetto elettronico che ne segnala i movimenti,
andare in giro ad ammazzare preti nelle due-tre ore di libertà vigilata? La polizia francese è
davvero a questo livello di sfascio? O queste disattenzioni sono in parte volute, in attesa che si
inneschi una reazione violenta di segno contrario? In Italia si sarebbe parlato una volta di
sevizi segreti deviati, che lasciano accadere le cose. La Le Pen fa un grande sforzo per tenere la
mano destra in tasca, e non farla scattare distesa in avanti, come il generale del Dottor
Stranamore di Kubrik: con gente così, niente in comune, neanche per caso e per poco tempo;
perché poi loro il tempo se lo prendono tutto.

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