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CHRISTIAN JACQ
COPYRIGHT
L’ARCHITETTO
OSCAR MONDADORI
Traduzione di Giuseppe Settanni
© Éditions Robert Laffont, S.A., Paris, 1985, 1997
Titolo originale dell’opera: Le Moine et le Vénérable
© 2000 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
I edizione Segretissimo giugno 2000
I edizione Bestsellers Oscar Mondadori luglio 2001
ISBN 88-04-49535-9
NOTE DI COPERTINA
C.J.
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arigi, una viuzza del XVIII ème arrondissement,
una notte di marzo del 1944. Piovigginava. La
luna era coperta a tratti dalle nuvole.
François Branier, dopo essersi accertato che
nessuno lo stesse seguendo, avanzò nell’androne di un
palazzo fatiscente. Il medico cinquantacinquenne,
dalla chioma argentea, aveva conservato il fisico
massiccio e solenne che gli dava un aspetto rassicu-
rante, severo ma al tempo stesso affabile.
Quando il portone si richiuse alle sue spalle attese
qualche istante nell’oscurità. Cautela indispensabile.
Branier si trovava a vivere l’avventura più pericolosa
della sua vita. Per la prima volta dopo molte settimane
aveva convocato i fratelli per un’importante riunione di
lavoro massonico, in gergo iniziatico una tenuta.
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rançois Branier amava Compiègne. Quando
era bambino, vi aveva trascorso spesso le
vacanze, ospite dello zio. Insieme a lui aveva
esplorato la foresta, pescato nei ruscelli, percorso
decine di chilometri in bicicletta per il piacere di
scoprire valli appartate, paesaggi della vecchia Francia
dimenticata dagli abitanti delle grandi città. Ma oggi il
nome di Compiègne evocava cupi scenari. Era da lì che
i convogli pieni di prigionieri, trattati come bestie,
partivano per i campi di sterminio nazisti. Il Venerabile
non dubitava nemmeno per un istante che avrebbe
conosciuto la sorte abominevole riservata a chiunque
osasse sfidare la Germania di Hitler.
Fu pertanto ancora più sorpreso quando la
Mercedes della Gestapo si fermò davanti a un sontuoso
palazzo nel centro della città. Gli agenti fecero scendere
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’era un freddo glaciale, quella notte. Alla
stazione di Compiègne, l’uomo della
Gestapo, insieme a due SS, scortò François
Branier verso il convoglio dei deportati, composto da
cinque carri merce. Al Venerabile era stata risparmiata
l’onta delle manette.
Nella stazione silenziosa il treno sembrava un
minaccioso mostro d’acciaio. Quando giunsero all’al-
tezza del primo vagone, la porta scorrevole si aprì di
botto. Apparve un giovanotto, completamente nudo,
che saltò giù sul marciapiede urlando: — Non voglio
partire! —. L’ispettore della Gestapo spinse da parte il
Venerabile e le SS fecero fuoco sul fuggitivo, che si
contorse sul marciapiede della stazione per lunghi
istanti prima di restare immobile. Uno dei due soldati
sparò una raffica di mitra anche all’interno del vagone.
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a sorpresa di François Branier fu completa.
Aveva immaginato di finire in un campo di
concentramento con le solite baracche grigie
di disperazione, in mezzo al fango, insieme a prigio-
nieri con le catene ai piedi, circondati da torrette di
sorveglianza. Quando riaprì gli occhi, vide invece, al
centro della fortezza, una torre massiccia di pietra
bianca, con un unico ingresso accessibile attraverso
una scala, strette finestre e un tetto piano che ricopriva
un cammino di ronda irto di riflettori e mitragliatrici.
La torre dall’aspetto suggestivo bastava a sorvegliare
tutta la fortezza. All’interno del vasto quadrilatero deli-
mitato dalle mura fortificate erano disposte con simme-
tria rigorosa delle baracche di legno, dipinte di verde,
rosso e giallo. Non fosse stato per le armi puntate sui
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ean Serval gridò. Un violento dolore alle reni.
Un colpo con il calcio del fucile, secco, ener-
gico. La prima manifestazione di brutalità. E
un ordine, in tedesco, che il Venerabile non
riuscì a comprendere. I fratelli avevano sperato che il
Venerabile potesse unirsi a loro, ricostituendo così la
Loggia nella sua integrità. Speranza vana. Le SS li
fecero uscire dalla stanza dove erano diventati dei
numeri di matricola. François Branier era rimasto
immobile davanti al segretario e al maggiore.
— I suoi fratelli saranno condotti nel loro blocco,
dottor Branier. Spero che lei riesca a inculcare in loro
un migliore senso della disciplina. Li ho trovati un po’
troppo arroganti. Il comandante del campo non è tipo
da tollerare un atteggiamento del genere.
Il maggiore delle SS, le mani intrecciate dietro la
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estarono più di un’ora senza parlare. Il
Venerabile lasciò che i suoi compagni si
riavessero dal colpo. Seduti per terra con la
schiena contro le pareti della baracca, speravano che
uno di loro potesse suggerire agli altri ancora una
ragione di speranza. Branier li osservò. Pierre Laniel…
un uomo esperto, un vero capo, in grado di resistere a
tutto, ma disarmato a volte di fronte alle manifestazioni
del Male. Un maestro capace, degno di ricevere il
segreto del Numero. Dieter Eckart… dotato di una
profonda sensibilità sotto la maschera aristocratica,
oltre che di un’intelligenza prodigiosa. Un futuro Vene-
rabile. Guy Forgeaud… il più abile di tutti. Capace di
cavarsela in qualsiasi situazione. Un temperamento
geniale, insofferente di qualsiasi disciplina, ma profon-
damente attaccato alla comunità. André Spinot… il più
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imasero in attesa che facesse sera. Tutti i
fratelli avevano bisogno di recuperare le
forze. Dormirono. Uno di loro restò sveglio,
di guardia. A turno, andarono ai gabinetti, seguendo
una procedura sempre identica. Aprire la porta della
baracca. Restare immobili sulla soglia, senza muoversi.
Attendere l’arrivo di due soldati delle SS. Lasciarsi
scortare sia all’andata che al ritorno. Niente brutalità.
Bisognava solo sbrigarsi, evitare perdite di tempo lungo
la strada, non voltarsi in giro. Nessun fratello vide la
minima traccia di altri prigionieri. Un pesante silenzio
gravava sulla fortezza, così come sul paesaggio
montano circostante.
— Non stai dormendo, vero? — chiese a voce bassa
Laniel, steso accanto al Venerabile.
— Non ci riesco.
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n piedi!
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uongiorno, padre. Mi sembra in
— splendida forma.
— Splendida, sì — rispose il
monaco.
Il comandante della prigione spinse da parte una
pila di documenti che il suo aiutante di campo si
affrettò a rimettere in ordine.
— Come va la sua collaborazione con il dottor
Branier?
— Ci mancano alcuni strumenti terapeutici.
— Ahimè, padre! Questi sono i rigori della guerra.
Li subiamo tutti. Helmut, portami il materiale.
L’aiutante di campo depose sul piano della scri-
vania cinque carte da gioco coperte. Poi porse al
comandante una bacchetta da rabdomante di nocciolo.
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come lei. Tutto ciò che posso fare per lei, è cercare di
convertirla.
— Accetto la scommessa.
Il rantolo di un malato interruppe il loro dialogo. Si
alzarono insieme per occuparsi di quel poveretto. Gesti
semplici, precisi. Una tisana. Parole di conforto. Un
meccanismo ormai rodato in cui i due uomini si
completavano a vicenda. Il monaco aveva elaborato dei
decotti che alleviavano le sofferenze facendo sprofon-
dare i malati in uno stato di torpore.
Tornarono infine nel bugigattolo del monaco e si
sedettero.
— Molti dei nostri malati non resisteranno ancora a
lungo — osservò il Venerabile.
— Uno è già morto. Nella prima fila, in basso a
destra. Lo porteremo fuori stanotte, quando gli altri
dormiranno profondamente.
— Le SS ce lo lasceranno fare?
— Bisogna rispettare la procedura. Spingeremo il
cadavere per le spalle, in modo che resti con i piedi
fuori dalla porta. Senza bisogno di affacciarci all’e-
sterno. Altrimenti ci sparerebbero addosso. C’è una
mitragliatrice pesante puntata contro di noi in
permanenza.
Due pentoloni pieni di zuppa di cavoli furono
portati dalle SS nell’infermeria. La dieta non era certo
un granché. Ma bisognava pur mangiare, se si voleva
sperare di resistere. Grazie alle piante, il monaco teneva
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ra già notte inoltrata quando le SS spinsero
il Venerabile dentro l’infermeria. Il monaco,
seduto nel suo stanzino, pregava, sgranando
il rosario che gli serviva anche da cintura.
Il Venerabile, immobile in piedi, lo fissò crucciato.
— Si alzi — gli intimò François Branier.
— Perché?
— Non posso colpire un monaco seduto. Nemmeno
se è una spia.
Frate Benoît smise di sgranare il rosario.
— Che vuol dire?
— Si alzi.
— Obbedisco solo a Dio. Se mi vuole colpire, si
accomodi. Ma prima vorrei capire.
— Il comandante della fortezza mi ha spiegato
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’aiutante di campo aprì la porta dell’ufficio.
Era accompagnato da due SS.
— Mi segua — ordinò al Venerabile.
François Branier lasciò a malincuore quel locale
chiuso, fuori dallo spazio e dal tempo.
— Che succede?
L’aiutante di campo sorrise. Il Venerabile non
avrebbe dovuto fare quella domanda. Non aveva niente
da chiedere. Aveva lasciato capire al tedesco che non si
dava ancora per vinto, che la sua voglia di resistere
rimaneva quasi intatta, che non si considerava finito.
Era una colpa grave, François Branier si era messo in
trappola da solo.
— Stia tranquillo, dottor Branier. Si tratta solo di
un’esercitazione. La riporto nell’infermeria, per questa
notte.
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a baracca dei gabinetti, Venerabile.
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l comandante del lager stava mangiando.
Insalata verde, agnello ai ferri, formaggio di
capra. Cibo speciale che si faceva recapitare ogni
giorno. Una necessità per sostenere il morale di un
uomo a cui il Reich aveva affidato un compito decisivo.
Tutte le notti, nel silenzio quasi assoluto, il comandante
stilava un lungo rapporto, analizzando minuziosa-
mente il comportamento del Venerabile, dei fratelli
della sua Loggia, e del monaco. Era indispensabile
giocare su quei tre registri contemporaneamente.
I primi risultati ottenuti erano stati giudicati inte-
ressanti. Era ancora lontano dall’obiettivo, ma i
progressi erano stati costanti. Le difese del Venerabile
si stavano sgretolando. Sapeva di essere in trappola e
non vedeva alcuna via d’uscita. La sua debolezza era la
Loggia. Non poteva abbandonare i suoi fratelli, e non
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l Venerabile attese. Klaus, il maggiore delle SS,
era venuto a prelevarlo di prima mattina per
portarlo nell’ufficio che gli era stato assegnato
nella torre, perché mettesse per iscritto i segreti della
Loggia Conoscenza. Ma quella mattina sul tavolo non
c’erano né la carta né la penna. Assolutamente niente
con cui scrivere.
Uno scherzo vagamente sadico? Semplice dimenti-
canza? Una nuova prova escogitata da un cervello
malato? Tutte domande a cui non era in grado di
rispondere. Il Venerabile le accantonò e si rassegnò ad
aspettare ancora. Non c’era altro da fare. Sopportare
l’isolamento, accettare la presenza del male, continuare
a sperare che prima o poi si sarebbe riunito con i suoi
fratelli per celebrare una tenuta a maggior gloria del
Grande Architetto dell’Universo.
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enerabile, non sono per nulla
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on tutto il rispetto, Venerabile, lei mi
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omplimenti, dottor Branier — disse il
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aoul Brissac, lo scalpellino, stava con
l’occhio incollato alla fessura praticata
nella parete della baracca rossa verso il
cortile. Aspettava, instancabile. Avrebbe atteso lì anche
un secolo. La ferita all’orecchio gli causava ancora delle
fitte acute, ma non se ne curava. Quel porco che gli
aveva rubato l’orecchino, segno distintivo di chi aveva
appreso tutti i segreti dell’arte di tagliare la pietra, e che
aveva ucciso Pierre Laniel, doveva pagare con la vita.
Per il momento, l’intendente sembrava irraggiungibile.
Il viso inespressivo di quel macellaio era diventato
un’ossessione per Raoul Brissac. Non poteva più vivere
finché quella carogna continuava a esistere. La morte di
un fratello non poteva restare impunita.
Impossibile agire da solo. E d’altro canto non
poteva mettere in pericolo la vita di altri fratelli. Raoul
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er tre giorni di seguito ricevettero solo da
bere, un semplice bicchiere d’acqua. Niente
da mangiare. Tre malati morirono. Il monaco
e il Venerabile ebbero meno lavoro, ma la scorta di
medicine era esaurita. Tra le affezioni più gravi, una
crisi uricemica, un’emiplegia, un tumore.
Il vecchio astrologo respirava ancora. I tedeschi
l’avevano dimenticato nel suo letto. Più volte al giorno
faceva degli sproloqui incomprensibili, poi ripiombava
nel torpore. Perché le SS l’avevano risparmiato? Per
conservarlo in vita a causa delle doti particolari che gli
venivano attribuite? Una semplice negligenza?
Il monaco e il Venerabile avevano pulito l’infer-
meria con il poco che avevano a disposizione; quella
sensazione di pulizia li riconfortò. Si erano abituati a
quello stanzino angusto, a quell’orizzonte chiuso.
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l Venerabile è vivo — annunciò Guy
— Forgeaud ai fratelli.
Gli occhi del maestro massone brilla-
vano, febbricitanti. Il dito gli bruciava come un
vulcano. Se non si fosse sentito in obbligo di essere
all’altezza del ruolo di maestro di fronte ai fratelli della
sua Loggia, avrebbe dato una testata contro il muro;
forse così avrebbe perso i sensi e avrebbe dimenticato
per un po’ quel dolore atroce.
— Come fai a dirlo? — chiese André Spinot,
tentando di dissimulare la sua speranza dietro un tono
acido.
— Il monaco… Mentre mi curava la ferita, mi ha
guardato negli occhi e mi ha detto: “Stia tranquillo.
Non è ancora morto”.
La delusione apparve sul viso di Dieter Eckart, di
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l Venerabile si aspettava di essere sottoposto
ancora una volta a un interrogatorio. Un sole
splendido brillava alto nel cielo, riscaldando l’at-
mosfera. Seguendo Klaus, si diresse verso la torre
centrale. François Branier alzò gli occhi verso la sua
sommità, da cui spuntavano le canne delle mitraglia-
trici. Il maggiore sembrava nervoso. Spinse da parte
uno dei soldati che montavano la guardia davanti
all’ingresso della torre e salì al secondo piano, seguito
dal prigioniero. Si arrestò davanti a una porta, che non
era quella dell’ufficio e del comandante, e bussò.
Helmut, l’aiutante di campo, gli aprì. Fece entrare
François Branier e richiuse la porta alle sue spalle,
lasciando fuori il maggiore.
Il Venerabile vide una stanza tutta tappezzata di
velluto rosso e debolmente illuminata da candele. In
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l comandante è morto.
L
a morte aveva il gusto come di un sonno
pesante nel cuore della notte. François
Branier l’assaporò tra i denti, lasciandosi
attrarre dal rumore delle voci che avevano infranto il
silenzio in cui era sprofondato. I contorni di alcuni visi
emersero dalla bruma indistinta. Erano i visi di Raoul
Brissac, Dieter Eckart, Jean Serval. Il Venerabile tese la
mano verso i fratelli, immaginando di incontrare solo il
vuoto. Invece avvenne un miracolo. Brissac sorrise,
Eckart gli prese la mano. Serval si sciolse in lacrime.
— La Loggia… voi, la Loggia?
Il velo davanti agli occhi si squarciò. I suoi fratelli
erano ancora incapaci di parlare. Lasciarono al Venera-
bile il tempo di riprendere contatto con la realtà.
— Dove siamo?
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-È…
— No — rispose Dieter Eckart. — Respira. È stato
travolto e calpestato dagli altri prigionieri in mezzo alla
confusione.
— Perché lo hanno portato qui?
— Non ne ho la minima idea.
Il Venerabile credette di comprendere. Il monaco
era stato dato per morto. Ormai il maggiore lo conside-
rava un collaboratore dei massoni. Avrebbe dovuto
condividere il loro destino, a meno che non si fosse
deciso a tradirli. Il benedettino un traditore? François
Branier si ritrovò di nuovo in preda al dubbio. Se il
monaco era una spia, l’aveva fatto per conto del coman-
dante morto. Ora che quest’ultimo non c’era più, Klaus
poteva anche avere deciso di toglierlo di mezzo. Impa-
ziente, violento, privo della finezza del suo coman-
dante, non puntava più a mettere uno contro l’altro il
monaco e il Venerabile. Non si attendeva più nulla da
un conflitto che doveva distruggere la loro capacità di
resistenza, e così li aveva messi tutti e due nello stesso
recinto.
Quell’atteggiamento non lasciava presagire niente
di buono. Il comandante era un mostro di tutt’altro
genere, freddo, calcolatore. Klaus era solo un bruto,
inebriato dal suo nuovo potere.
— Davvero è stato il monaco a conciarmi così? —
chiese il Venerabile.
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a mano possente del monaco trattenne Guy
Forgeaud.
— Il mio rosario vi è proprio indispensa-
bile? — chiese il benedettino al Venerabile.
L’interpellato fece un cenno affermativo con il capo.
— Che cosa ne dovete fare?
— Disporlo sul pavimento della baracca e utiliz-
zarlo come simbolo.
Con grande cautela, come se maneggiasse un mate-
riale fragilissimo, il monaco si tolse il rosario che gli
serviva da cintura. Al momento di porgerlo al Venera-
bile, esitò. Separarsene era come separarsi da se stesso,
come rinnegare la propria fede.
Ma poi si pentì per l’attaccamento quasi feticistico
che lo legava a qualcosa che, in fin dei conti, era sola-
mente un oggetto, e il cui valore era legato esclusiva-
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l monaco li aveva traditi. Non li aveva avvertiti
quando aveva visto il soldato venire verso la
baracca. Forse aveva addirittura segnalato al
tedesco l’inizio della tenuta per permettergli di sorpren-
dere i massoni sul fatto.
— Abbandoniamo la catena, fratelli — ordinò il
Venerabile.
Le mani si lasciarono, non gli spiriti. La Tavola della
Loggia era ancora visibile. Il monaco tornò verso di
loro, lasciando il suo posto d’osservazione. Era terreo in
viso. Nei suoi occhi, il Venerabile lesse sofferenza e
rammarico.
Helmut entrò, chiudendo la porta della baracca
dietro di sé. François Branier si sentì umiliato. Per lui, il
monaco era quasi un fratello, ormai. Gli aveva accor-
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na bomba. Il fuoco dal cielo che il vecchio
astrologo aveva preannunciato con tanta
insistenza.
Stavano attaccando la fortezza nazista.
Mille pensieri si erano affollati nella mente del
Venerabile durante i brevi istanti tra il fischio minac-
cioso e l’esplosione della bomba. Era caduta giusto
davanti alla porta della baracca rossa. Poi un altro
fischio, altri due, altri dieci…
La baracca rossa era volata in pezzi. François
Branier era stato scaraventato all’indietro. Il suo unico
riflesso era stato di coprirsi gli occhi con gli avambracci.
Delle assi di legno lo colpirono con violenza alla
schiena, ferendolo. Accecato dal polverone, si rialzò a
fatica.
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n quella fine estate dell’anno 1947 il sole era
dolce come una carezza. Il tempo nella zona
dell’ìle-de-France era stato insolitamente soleg-
giato, fin dalla metà della primavera. Meli e peri erano
carichi di frutti pesanti che stavano maturando in anti-
cipo in quei giorni luminosi.
Il villaggio viveva al ritmo lento delle tradizioni,
lontano dall’agitazione della città; alle sette di sera
campi e frutteti erano deserti. Si prendeva l’aperitivo, si
parlava dei raccolti, ci si preparava all’autunno. Nessun
rumore disturbava l’aria leggera di settembre; risuo-
nava solo, come un canto, il ritmico battere dello scal-
pello di un tagliapietre, appollaiato in cima a
un’impalcatura.
Il monaco si interruppe, posò i suoi utensili e si
terse la fronte dal sudore. Cominciava a rinfrescare.
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