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Capitolo 2

Seconda parte: “Cry of despair”

“Non posso crederci...”


“Purtroppo è così, Whenua.”
“Quindi ora siamo in guerra contro le forze degli Eroi e voi non sapete per
quale ragione?”
“Cerca di capire, Toa.” spiegò Tobduk. “Ci siamo disgregati completamente
dall’Ordine di Mata Nui. Quel giorno, durante l’attacco a Voya Nui, sono
successe fin troppe cose. Ancora oggi le nostre spie stanno tentando di fare
ricerche, ma i risultati scarseggiano. Vi abbiamo detto tutto quello che
sapevamo.”
“E che mi dite di questa sorta di terrorista che ha interrotto lo scontro
generando la cupola anti-Toa? E’ per caso un Eroe?” domandò Onewa.
“No, non appartiene alla Hero Factory. Ancora non mi spiego di come siamo
potuti finire in guerra con loro così facilmente. Pare che sia stato tutto
organizzato sotto ai nostri occhi e non ce ne siamo nemmeno accorti...”
“Non possiamo affrontare gli Eroi a viso aperto. Al momento le loro
tecnologie e la loro potenza di fuoco sono nettamente superiori alle nostre.”
disse il guerriero di Nynrah.
“Esatto.” continuò Mazeka. “Sono passati pochi mesi dall’attacco di...
Darkness... è così che si chiama. Io e Tobduk abbiamo ottenuto da poco il
permesso da Artakha di lasciare la sua isola per sapere se vi foste risvegliati.
Anche se... ecco, a dire il vero avevamo altro in mente: volevamo cercare gli
altri agenti dell’Ordine.”
“Vuoi dire che non sono a Metru Nui con Helryx?”
Tobduk rispose: “No, Whenua. Lei e Dume sono i soli a trovarsi sull’isola di
Mata-Metru. Non sappiamo quali siano le loro intenzioni, né tanto meno verso
quale luogo della galassia siamo tutti diretti. Sappiamo benissimo che quel
giorno ci saremmo addirittura uccisi a vicenda se si fosse presentata
l’occasione. Solo che noi non siamo ciechi come Helryx. Non ci facciamo
trasportare da delle stupidi voci e dalla sete di potere. E’ così che l’abbiamo
lasciata ed è così che è rimasta.”
I due Toa Metru si guardarono senza parole. Onewa sperava seriamente che il
proprio compagno potesse rassicurarlo, o fargli per assurdo credere che si
trattasse di una visione o qualche stupido sogno.
“E come mai non siamo rimasti sull’isola di Artakha?! Non era più sicuro per
noi sei risvegliarci lì?!” ragionò il Toa della Pietra.
“Ci fu una devastazione.” spiegò Tobduk. “E’ successo qualche minuto dopo la
vostra rinascita in guerrieri Toa. Pare che Helryx sia riuscita a scatenare
un’ondata d’energia elevata, che ha dato inizio a una serie di eventi catastrofici
in tutto il Robot. Non a caso metà dell’isola di Artakha andò distrutta, e noi
non potevamo rischiare che la nostra ultima speranza andasse persa. Così
abbandonammo i nostri fratelli per recarci nell’isola più vicina, ma una violenta
tempesta ci costrinse a cambiare rotta. Giungemmo così all’altezza di Voya
Nui, ma anche lì una creatura mostruosa ci perseguitò per diversi giorni,
obbligandoci infine a scendere fino alle Isole Meridionali, dove ci troviamo ora.”
Furono poi interrotti dal rumore di un tuono. All’esterno della caverna iniziò a
piovere. L’eco delle gocce che scendevano dalle stalattiti interrompeva
irregolarmente il dialogo fra i quattro guerrieri.
“C’è ancora un’ultima cosa che dovreste sapere...” parlò infine Mazeka.
“Che altro c’è?” disse Onewa, ormai pronto a sentirne di ogni.
La spia dell’Ordine lanciò un’occhiata a Tobduk, il quale rispose al posto suo: “I
Toa... sono in costante pericolo adesso...”
“Come?!” esclamarono in coro.
“A quanto pare è stata rilasciata una macchina col compito di sterminare
qualsiasi Toa.”
“Stai dicendo che...”
“Si, Whenua. Il Marendar è stato attivato. Non sappiamo chi lo abbia fatto.
Forse Darkness...”
Entrambi i Toa abbassarono lo sguardo. Whenua allungò la mano cercando un
posto dove sedersi per riflettere. Speravano che quella fosse solo una semplice
leggenda Agori.
Tobduk e Mazeka comprendevano alla perfezione il loro stato d’inquietudine.
Con delle “semplici” mosse, Darkness ed Helryx riuscirono a far sgretolare la
riformata Mano di Artakha piuttosto facilmente, tenendola impegnata con la
Hero Factory nel caso in cui fosse risorta dalle ceneri.
Erano passati pochi mesi dall’esito finale dello scontro sull’isola di Voya Nui,
precisamente all’esterno del Codrex. Helryx e i suoi alleati, ovvero il solo
Turaga Dume, tornarono a Mata-Metru, che venne restaurata quasi del tutto
grazie ai poteri a tratti infiniti della Ignika. Gli altri agenti invece furono
abbandonati dal loro leader, che non si degnò nemmeno di accertarsi che
fossero ancora vivi. Questo perché un nuovo periodo di forte depressione
colpì la “povera” Helryx.
Verso oriente intanto l’isola del Grande Essere Artakha accolse il ritorno
definitivo delle sue armate da Voya Nui. Purtroppo però non tutti i soldati
Avokh riuscirono a tornare sulla loro terra. Questo perché molti Rotovian
persero una gran quantità di energia fornitagli dal loro creatore, e perciò si
sgretolarono come semplici statuette. Molti affondarono in mare con centinaia
di Avokh, mentre altri fortunatamente si adagiarono sulla terraferma,
permettendo ai guerrieri lucenti di far ritorno col passare delle settimane.
Infine, un numero ristretto di Toa e guerrieri estranei abitava l’isola del Grande
Essere, il quale uscì molto indebolito dall’ultimo scontro.
Prima dell’atto finale dei Toa Tumaka e del Toa Metru Nuhrii, costui rivelò loro
una camera segreta dove custodiva il corpo degli addormentati Turaga di
Metru Nui, dichiarati scomparsi poco prima del ritorno della popolazione
Matoran e non all’interno del Robot. Per delle ragioni a loro sconosciute,
furono obbligati a donare il loro potere ad una macchina creata appositamente
per un utilizzo mirato della Vahi, e collegata contemporaneamente alle capsule
dei sei Turaga. Così facendo, i poteri Toa donati permisero alla Vahi di
rinvertire l’effetto della trasformazione, facendo tornare i Turaga nell’aspetto
che hanno sempre amato ed allo stesso tempo odiato...
La maschera leggendaria distribuì così gran parte della sua Essenza nel corpo
dei sei Toa, che vennero segnati da un marchio sulla loro spalla: una sorta di
trifoglio al contrario, ovvero il simbolo della stessa Vahi, racchiuso in un’aura
color arancio.
Come effetto di ciò, i Toa Tumaka e Nuhrii si trasformarono a loro volta in
Turaga. Purtroppo però il loro ciclo vitale durò ancora per qualche settimana,
a causa di un effetto collaterale che il Grande Essere preferì non rivelare. Per
primo li abbandonò l’ansioso Hafu, che però riuscì a combattere questo suo
dissidio interiore verso la fine dei suoi giorni.
“Ora... ora mi pare di non sentire più nulla. Ora tutto diventa più leggero.
Finalmente... ho sempre odiato questo stupido peso che mi aggravava il
cuore...”
Queste furono le sue ultime parole.
Ben presto fu seguito dai suoi confratelli, e per ultimo toccò a Nuhrii.
Il dolore per la mancanza di piccoli eroi come loro si fece sentire.
Piccoli eroi... perché è questo che erano...
Il loro tempo da Toa durò fin troppo poco. Le loro più grandi azioni furono
compiute quando erano “semplici” Cronisti, ed è così che sarebbero stati
ricordati: semplici Matoran, ma con il coraggio, la curiosità e la perseveranza di
un guerriero Toa.
Al momento solamente Tobduk e Mazeka ebbero il permesso di abbandonare
la città isolata. Nessun Avokh o Toa poteva ora allontanarsi dal Grande Essere.
Questo perché, come detto poc’anzi da Tobduk, una macchina robotica in
grado di uccidere qualsiasi Toa è stata rilasciata.
La macchina aveva già un bottino piuttosto prestigioso tra le mani, ovvero
l’uccisione del team di Toa Tagahri. Ognuno di loro era sopravvissuto alla
cupola anti-Toa che l’ex Cacciatore oscuro Darkness generò sulla cima del
maestoso Codrex, grazie all’uso combinato della Lancia di Artakha e di una
misteriosa sostanza proveniente dalla Lancia dell’Oscurità.
Per sua fortuna, inoltre, una modesta quantità di Toa dell’Ordine sgattaiolava
ancora in giro per i cinque arcipelaghi, ignari del pericolo in cui si trovavano.
La caccia era ufficialmente aperta...
Nel frattempo, negli arti terminali del Robot, la Hero Factory avviò una
conquista forzata delle isole che circondavano il nuovo Quartier generale. Per
la precisione si trattava della stessa base dalla quale il team di Furno partì per
sapere di più sui segreti che Stormer e Makuro celavano agli Eroi.
Ed è stata proprio la morte di quest’ultimo, oltre che del capo del Recon team
Merrick Fortis, che la Hero Factory dichiarò guerra all’intera specie dei
Biomeccanici. Al momento l’unico sentimento che muoveva la mente di
macchine robot come gli Eroi era proprio la vendetta.
Ogni giorno Alpha leader ricordava con rancore l’orribile immagine
dell’esplosione della Stella Rossa. Quel giorno il cielo si tinse di rosso, così
come il cuore della popolazione Matoran, ma sopratutto degli agenti
dell’Ordine. La morte improvvisa di Axonn e Brutaka, mandati per contrattare
con il fondatore degli Eroi sul satellite, scioccò chiunque si trovava sotto
l’occhio di Helryx.
Per il momento Stormer aveva le idee piuttosto chiare. A peggiorare la
situazione, però, si mostrò un problema maggiore. Diverse volte il nuovo
leader della Hero Factory tentò di rimettersi in comunicazione con Makuhero
City per ricevere supporto, ma non ci riuscì. La parete corporea del Robot
inoltre divenne impossibile da perforare con le loro tecnologie. Così gli Eroi si
trovarono bloccati da entrambi i lati: una guerra aperta ormai da mesi ed una
fuga impossibilitata dall’altra.
“Ha finito di piovere. Andiamo, ragazzi. La notte sarà dalla nostra parte.”
“Aspetta, Mazeka. E gli altri? Non vuoi proprio andare a cercarli?”

Il Ko-Matoran si voltò incredulo. “Ragiona, Tobduk! Abbiamo appena ricevuto


la conferma che gli studi di Artakha hanno funzionato. A stento ci credevo che
i sei si sarebbero risvegliati. E ora che dovremmo tornare da lui vorresti
metterti alla ricerca dei nostri compagni?! Non sappiamo nemmeno se sono
ancora vivi! Che ne sai se quella macchina robotica non li ha già ammazzati per
puro divertimento?”
Tobduk sapeva che la piccola spia aveva ragione, ma la sua tipica rabbia
interiore lo fece reagire diversamente. “Non mi importa! Ho dato tutto per
loro e so che c’è ancora una voce eroica che gli grida da dentro, me lo sento!
Helryx e quello schifoso nanetto di Ta-Metru li hanno abbandonati, e come ci
ha detto Nuhrii sapevano entrambi del Marendar.”
“Adesso calmati però, Tobduk.” lo invitò Whenua gentilmente.
“Stai scherzando, vero?! Dov’è finito il vostro coraggio?! Come può Artakha
affidarsi a voi se a stento credevate alla situazione attuale, dando l’impressione
di non sapere cosa fare? Non è questo l’atteggiamento da Toa, o da VERO
servitore del Grande Spirito!”
“Questa notizia ha turbato entrambi, è vero. Ma non dimenticare che ogni
cosa ha bisogno del suo tempo per essere risolta.”
Mazeka continuò con una provocazione al compagno. “Parli tanto di coraggio,
ma la scarsa pazienza ti ucciderà un giorno...”
“Ora basta!” gridò Onewa sbracciando su tutte le furie. “Non capite che è
sempre stata questa l’intenzione del nemico?! Vogliono dividerci! Ci vogliono
vedere indeboliti e prede delle nostre paure! Helryx sa benissimo quali sono i
punti deboli di un Toa, così come questo Darkness. Dovremmo prendere
esempio dalla loro freddezza se proprio volete saperlo!”
I due guerrieri si mutarono per un istante. D’altronde, come poteva Onewa
capire ciò che avevano passato? Per lui si trattava di un ritorno casuale tra il
mondo dei vivi dopo un lungo periodo di sonno profondo. Non poteva
comprendere quanta fatica e quante vite vennero sacrificate per questo “bene
superiore” di cui tanto parlava Artakha.
Il Toa della Terra, non convinto al massimo dalle parole del fratello, si avvicinò
al guerriero di Nynrah e disse: “Penseremo noi ai tuoi compagni, hai la mia
parola. Prima però devi capire che se vogliamo muoverci, dobbiamo farlo nella
massima sicurezza.”
Tobduk tirò un sospiro dopo aver rilassato i muscoli delle spalle. “Resterò con
voi, per il momento... Vi accompagnerò con Mazeka da Artakha. Ma una volta
arrivati me ne andrò per conto mio. Dobbiamo vincere questa guerra, non
rimandarla.”
Whenua annuì e invitò i due guerrieri a fargli strada con un leggero inchino.
Onewa lo guardò quasi sorpreso dal suo atteggiamento. Il Toa della Terra non
si degnò nemmeno di rispondergli e seguì le due guide.
La stanza era fredda e umida. Tutto era immerso nel buio più totale. Ogni
tanto sentiva il verso di qualche piccolo Rahi che era riuscito ad intrufolarsi
nelle tubature, o che addirittura le abitava prima del suo arrivo.
Più volte si girò su sé stessa alla ricerca di qualche spiraglio di luce per poter
escogitare la sua fuga. I suoi polsi erano legati a delle catene speciali che
scendevano dal soffitto, lasciandola sospesa di qualche centibio dal terreno. A
dire il vero non sapeva nemmeno se c’era qualcosa sotto i suoi piedi: un
pavimento con tanto di scossa elettrica o forse una vasca di Rahi carnivori.
Per la decima volta tentò di dimenarsi, ma nulla. Quelle manette erano più
dure del Protoacciaio.
Poi la luce in fondo alla stanza si accese nuovamente, ma questa volta non si
mostrò nessuno sull’uscio della porta. Le catene furono sganciate come per
magia, facendola cadere al suolo dolorante per le ore passate ad agitarsi.
Ora la camera era totalmente illuminata, ma sorprendentemente non c’era
nulla, almeno non quello che lei si era immaginata fino a quel momento.
Subito si voltò diverse volte mentre era ancora in ginocchio, nel vano tentativo
di trovare i suoi strumenti Toa.
“Purtroppo abbiamo dovuto confiscarteli...” disse una voce cupa sulla sua
sinistra.
Sembrava che la bocca del suo interlocutore fosse coperta da qualcosa, come
una sciarpa o una sorta di parete che impediva la trasmissione completa del
suono.
“Sono qui, mi vedi?” sentì nuovamente.
Alzando lo sguardo realizzò di chi si trattava. L’individuo si trovava in un’altra
stanza, meglio arredata e più sicura, con un muro di vetro che li separava.
“Allora? Come ti senti... Nokama, giusto?”
La Toa dell’Acqua questa volta rispose: “Eroe...”
“Almeno ti ricordi di me. Bene.” scherzò il guerriero Hero: Rocka.
Era la terza volta che i due si incontravano. Le prime due avvennero alcuni
giorni prima nella stessa stanza, con la differenza che l’Eroe dorato ebbe un
atteggiamento leggermente più aggressivo. D’altronde era normale: gli Eroi e i
Biomeccanici erano attualmente in guerra fra di loro. Non poteva permettersi
di trattarla come se fosse un ospite.
Dopo avergli raccontato la sua storia, Nokama si fece narrare il resto da
Rocka, o perlomeno tutto ciò che lui sapeva da quando Makuro ebbe come
obiettivo il pianeta 1210, ovvero Spherus Magna.
Così nei minuti a seguire, nello stesso momento in cui Tobduk e Mazeka
narravano i medesimi avvenimenti agli altri due Metru, il guerriero dorato le
parlò anche delle varie scoperte che Furno e i suoi compagni fecero. Poi
introdusse l’alleanza di Wahine nelle Isole di Meridionali, e di questi signori
della guerra con la quale Makuro stabilì un patto.
“Di chi si trattava?”
“Per quale ragione?”
“Come è successo?” domandava spesso Nokama nel corso della
conversazione.
Rocka a sua volta si sorprendeva della curiosità e dell’apparente mancanza di
sapere che la Toa aveva.
In privato, inoltre, gli studiosi dissero a Rocka di aver preso un pezzo grosso.
La storia raccontata da Nokama coincideva infatti con la stessa di una guerriera
appartenente ad un gruppo Toa, che migliaia di anni fa furono costretti a
fuggire da Metru Nui con centinaia di Matoran addormentati verso una nuova
isola.
Questa almeno era la testimonianza che gli Eroi raccolsero dalla gente di
Spherus Magna...
Più volte la Toa lo corresse su alcuni termini che l’Eroe ricordava a stento o
che non sapeva pronunciare, dando l’impressione di conoscere le isole e i
luoghi del Robot quasi alla perfezione.
E allora com’era possibile che si era dimenticata tutto? Cosa le era successo?
Ovviamente erano delle risposte che la stessa Nokama cercava più di lui.
Ad un certo punto, notò che la Toa stava guardando con insistenza gli interni,
che le sembravano piuttosto famigliari.
“Questo non è un veicolo da battaglia, dico bene?” domandò.
Rocka si accigliò. “No... come fai a saperlo?”
“E’ come pensavo. Siamo su una nave di Le-Metru, giusto?”
“Le-Metru? Intendi la regione meridionale di Metru Nui?”
“Esattamente. Anni fa, questa tipologia di navi costellava il cielo della mia
metropoli.” ricordò quasi con emozione. “Fareste meglio a cambiare l’arsenale.
Non so per quanto ancora reggerà dopo tutto questo tempo. Siete messi
davvero male se fate affidamento su dei rottami come questo.” fece un sorriso.
Il guerriero dorato non cedette alla provocazione e rispose a tono. “E’ solo un
nuovo pezzo per la nostra collezione. A malapena siamo riusciti a restaurarlo,
specie dopo aver scoperto che possono trasportare pesi rilevanti.”
“E dove l’avete preso? A Le-Metru? O a Ga-Metru?! Ci siete stati?! E’ ancora
intatta?!” andò nel panico all’improvviso.
“La città di Mata-Metru è inaccessibile. Una cupola impenetrabile la protegge
dall’esterno.”
“Che cosa? Ma allora quel bagliore giallo nel cielo...”
“Esattamente. E tutto questo è grazie al vostro beneamato leader.”
“Helryx? Ma... no! Non farebbe mai una cosa simile! Come potrebbe
abbandonare la sua gente, la sua famiglia, i suoi guerrieri... noi...”
“E’ la verità, Toa. Devi accettarla.”
“Parli proprio tu?! Ora che siamo indeboliti ne avrete approfittato per uccidere
tutti i Matoran innocenti rimasti su Voya Nui, non è così?!”
“No. Per il momento gli scontri prendono luogo principalmente a oriente, ma
non si tratta di Matoran. Ho visto e studiato fin troppe volte la statura e
l’aspetto della vostra gente, e questi erano totalmente differenti. Sembravano
malformati, bestie assetate e animali da combattimento. Inoltre la guerra che
portiamo avanti da diversi mesi non è in atto per puro caso, come ti ho già
spiegato.”
“Che senso ha la vendetta?! Abbiamo un nemico in comune! Non crederete
davvero che l’Ordine abbia deciso di uccidere Makuro per i propri scopi, vero?
E che cosa ci avremmo ottenuto noi? Terre? Ricchezze? Potere? Nulla di tutto
ciò!”
Rocka comprendeva le sue ragioni e la sua ansia. Una piccola parte di sé si
sentiva in un certo senso vicina alle sofferenze della “giovane” Toa.
Ciononostante: “I morti non parlano, ma i fatti si. Un Toa è l’unico
responsabile della morte di Akiyama e questo noi non lo dimenticheremo né
lo perdoneremo. Mai.”
Estrasse il suo lanciatore energetico e lo puntò alla tempia della Toa. “Ora
dimmi dove sono i tuoi compagni se non vuoi che la tua testa schizzi sulla
parete!”
Ovviamente non era facile rompere la determinazione di un Toa, specie di una
come Nokama, che si limitò ad osservarlo con sfida.
“Aspetta, Rocka. Non prendiamo delle decisioni affrettate.” si sentì dal
trasmettitore audio dell’Eroe.
“Si, Fox. Ricevuto...” disse abbassando l’arma.
“Esci di lì. Ci penseremo quando sapremo di più sui suoi amichetti.”
“Va bene.” e abbandonò la stanza.
Fece per aprire la porta, ma si fermò per un istante a guardare la Toa. E ancora
quella piccolissima parte dentro di lui gridava giustizia in nome di Nokama.
Non poteva tirarla fuori di fronte alle telecamere.
Chiuse l’ingresso e spense il suo canale audio.
Era solo nel corridoio. Si appoggiò alla parete per riflettere e per cercare di
vincere quella sua lotta interiore. Non ci si poteva fidare di un Toa, soprattutto
dopo quanto accaduto di recente. Ma come poteva non mettersi dalla parte
dei deboli, specie dei Matoran abbandonati da questa Helryx?
Nella mente degli Eroi era usuale fare dei confronti con una figura di grande
successo e stima come Makuro, che di certo si allontanava dal tiranno che ora
regnava sovrano all’interno del Robot.
Pochi però conoscevano la verità su chi fosse realmente. Solamente Fortis
infatti assisté alla sua rivelazione sulla Stella Rossa. Il tono col quale si rivolse ad
Axonn e Brutaka gli cambiò completamente l’umore, rompendo la sua tipica
serietà da guardia del corpo.
Non si poteva più tornare indietro ora e Rocka aveva ragione: sono i fatti a
parlare, non i morti. Il cadavere di Makuro, qualora fosse stato ritrovato, non
avrebbe mai potuto dargli le risposte che cercavano. Ognuno degli Eroi però
sapeva che egli non avrebbe mai perdonato questo gesto così facilmente. Era
colpa dei Toa se la fortuna non guardava più dalla loro parte, e se valorosi Eroi
come Evo e Nex persero la vita. E anche in quel caso la vendetta fu appoggiata
pienamente da Makuro, che però raccomandava sempre di non perdere mai di
vista la prestigiosa Ignika.
Ancora adesso l’Alpha Leader Preston Stormer si poneva la stessa domanda:
come poteva una maschera qualunque suscitare il pieno interesse del suo
creatore? Cosa ci avrebbe mai combinato?
“Rocka. E’ da mezz’ora che ti stiamo chiamando. Perchè hai spento il tuo
canale audio?” arrivò il suo compagno di squadra Gobbs.
“Oh... l’avrò disattivato per errore. Sono molto nervoso in questi giorni.”
“Capisco. Ad ogni modo, devi venire con me. Ho alcune cose da dirti.”
Matau aveva da poco incontrato il gruppo di soldati Ko-Matoran, i quali gli
avevano fatto diverse domande su di lui e sul perché fosse arrivato un nuovo
gruppo di Toa.
“Voi però non siete soldati Ruhnga, dico bene?”
“Scherzi?” rispose uno di loro. “E’ da tempo che non ne vedo uno. A malapena
siamo riusciti a trovare queste armature in un’isola di passaggio.”

“Isola di passaggio? Ma che stai dicendo, fiocco di neve?”

“Si. Quel posto era colmo di cadaveri. Sarà stata qualche milizia o roba simile.”

“Milizia quelli?” parlò un altro Matoran. “Erano dei bipedi selvaggi appartenenti
a qualche tribù come minimo. Non li ho mai visti. A giudicarli dall’altezza
saranno stati alti poco meno di un Toa.”

“Neanche io li ho mai visti. Forse saranno originari di Spherus Magna...”


continuò il compagno, facendo dimenticare per un istante a Matau della “isola
di passaggio”.

Il terzo del gruppo squadrò il Toa dall’alto verso il basso. Matau se ne accorse
e con una delle sue solite battute rispose: “Cos’è, hai visto Mata Nui per
caso?”

“Mhh... sei davvero sicuro di essere Toa Matau? Da quel che so, non credo che
un Turaga possa tornare nelle sembianze di un Toa. La tua è per caso
un’armatura Toa sotto la quale si cela un Turaga?”

“Spiritualmente si, ma fisicamente no come vedi, eheh!” se la rise.

“Ma allora come hai fatto?”

“Bah! Io me ne andrei!” si intromise da lontano l’ultimo del gruppo, mentre si


accertava che nessun ostile li stesse spiando. “Anche se fosse vero, ho già
avuto dimostrazione che i Toa non sono più utili. Ormai noi Matoran siamo
stati abbandonati dalla vita stessa, e dobbiamo trovare un modo per andarcene
da qui.”

“E disobbedire agli ordini di Turaga Kopeke?”


“Come?!” si sbalordì Matau. “Kopeke è diventato Turaga prima che morissi?
Ma è... per tutti i Rahi... non so se essere felice o spaventato.” si grattò la
maschera.

“Ma dove sei stato per tutto questo tempo? Su Bota Magna?”

L’altro Matoran sorrise dicendo: “E sei anche fortunato. Turaga Kopeke è


l’ultimo dei cinque rimasti.”

“E dove si trova ora?” chiese Matau con una certa fretta.

“E’ ancora al nostro villa-”

“Sei impazzito, Piwu?!” si lamentò il suo compagno di squadra. “Kopeke ha


severamente ordinato di impedire l’arrivo di qualsiasi Toa nel nostro villaggio.
Sai bene cosa dicono i ricognitori... almeno quelli che sono tornati vivi.”

Matau non riusciva a capire. Si limitò ad ascoltare il dialogo tra i due


combattenti Matoran per estrapolare il maggior numero di informazioni
possibile.

“Aspetta, Balix. Settimane fa il Turaga mi disse come ha perso i suoi poteri.


Parlava anche lui di sei Turaga che vennero risvegliati dai compagni del suo
gruppo. Ecco perché l’aspetto di questo Toa mi sembra piuttosto strano. Non
ricordavo nulla su questi antichi guerrieri di Metru-Nui e sinceramente non ci
credevo tanto, così Kopeke me ne parlò in privato. La descrizione coincide con
quella del Toa dell’Aria, non sembrano esserci dubbi.”

“Beh, allora a voi le conseguenze! Io ne sto fuori.”

Mentre i due Matoran discutevano, Matau vide una piccola pianticella che
sbucava dal terreno innevato.

Si chinò per esaminarla meglio. Accarezzò le foglioline chiudendo gli occhi,


entrando automaticamente in comunicazione con la vita che scorreva in essa.

“Ma che fa?”

“Non saprei, Tekhtu. Forse è un Toa della Giungla.”


Dopo qualche secondo il Toa comprese. “Questa neve... non è qui da tanto
tempo, dico bene?”

“No affatto. In realtà è da tre mesi che questa terra viene logorata dalle
tempeste di neve. Noi e Turaga Kopeke siamo arrivati da non molto. A quanto
pare nei cinque arcipelaghi è avvenuta una serie di catastrofi naturali senza un
ordine preciso.”

“Ovviamente ad eccezione di Mata-Metru.” aggiunse il suo compagno. “Di


recente alcuni geologi hanno ispezionato il territorio e sono giunti alla
conclusione che un’immensa fonte d’energia sconosciuta ne è responsabile.”

“Capisco.” ribatté Matau. “Non c’è da meravigliarsi allora se la foresta di cui vi


ho parlato è andata in fiamme all’improvviso.”

“Il Turaga ha detto che a quanto pare la causa è stata la distruzione di una
lancia potente in grado di riparare l’intero Universo Matoran. Diceva che grazie
ad essa le isole rinnovavano la loro energia nella flora e nella fauna,
permettendo agli ecosistemi di rimanere intatti.”

“La Lancia di Artakha...” collegò tutto il guerriero dell’Aria, sempre più


spaventato dalle verità che stavano venendo a galla.

“Si... come hai fatto a capirlo? Hai per caso parlato con quella pianta?”

Matau fece un ghigno e si alzò in piedi. “Intuizione.”

Guardò le sfumature del cielo e realizzò. “Allora quel colore dorato... mmhh...
Matoran, portatemi subito dal vostro capo!”

Oltre la collina innevata c’era il villaggio dei Ko-Matoran. Alcune delle


abitazioni erano andate distrutte a causa degli incidenti naturali.
Improvvisamente un vento gelido si abbatté contro il gruppo. Era piuttosto
difficile riuscire a distinguere le persone in lontananza.
Matau stava gelando. Quanto avrebbe voluto che Vakama fosse lì al momento,
con tutte le volte che lo aveva preso in giro.
Guardandosi attorno, si sorprese della tranquillità con la quale i Matoran
sopportavano il freddo. Probabilmente nemmeno Nuju avrebbe resistito più di
un’ora.
La neve era alta e copriva circa la metà delle abitazioni. Le strade del villaggio
erano evidenziate da dei paletti rossi posti ai lati del percorso, apposta per non
perdere l’orientamento.
“Brrr... e-ehi! Non c’è u-un p-posto dove riscaldarsi?” domandò il Toa tutto
infreddolito.
“Fra non molto saremo arrivati. Pazientate, Toa Matau.”
“E’ facile per te... sembra che avete l’adipe di un Orso delle ceneri sotto la
pelle...” borbottò il Toa.
“Come?”
“Io? Non ho detto nulla, eheh!” e quando il Matoran fu sufficientemente
distante per non sentirlo, Matau ripeté: “Razza di ghiaccioli che non siete
altro...”
Poco più avanti oltrepassarono l’ultima capanna e Matau si sorprese. “Ehi, ma...
n-non e-entriamo?”
“E’ difficile che Turaga Kopeke si trovi nel suo alloggio. La sua guardia del
corpo non è nemmeno fuori dall’abitazione.”

“E dove diamine se ne va con questo freddo?!” iniziò a perdere la pazienza.

L’accompagnatore Matoran fece una piccola risata e rispose: “Ora vedrete.”

Dopo una decina di minuti trovarono un essere muscoloso alto circa il doppio
di Matau. Era un Rahi creato apposta da Artakha per proteggere il Turaga. Al
suo fianco, un Avokh lo fermò prima che potesse scagliarsi sul Toa dell’Aria
senza esitazione.

“Whoa! Ehi, amico, tieni a bada il tuo scudiero prima che qualcuno si faccia
male!”
L’Avokh non lo guardò nemmeno e rimproverò i Matoran: “I Toa non possono
stare qui, dovreste saperlo...”
“E’ vero, nobile Avokh. Ma costui dice di essere uno de-”

“Lui non può stare qui!” rispose sfoderando la lancia.

Matau estrasse a sua volta le aereolame tenendosi pronto.

“Ah! Ma dov’è finita la tua saggezza, Matau?”

“Ehi, sono migliaia di anni che rimpiangevo i miei anni da Toa! Ho il pieno
diritto di liberare il mio istin-”

“Fermi! Che cosa sta succedendo qui?!”

L’Avokh si chinò con la testa rivolta alla sua sinistra, mentre il Rahi prese
l’individuo e se lo caricò sulla spalla.

Il Toa dell’Aria abbassò la guardia stranito. “Kopeke?”

L’anziano saggio spalancò gli occhi a sua volta. “Matau?! Ma allora...”

“Si, ha funzionato, sono contento di vederti bla bla bla. Non c’è tempo per
queste smancerie ormai, Kopeke! Devi dirmi che sta succedendo!”

Il Turaga alzò la mano destra, invitando l’Avokh a portare via con sé i Matoran.
Poi, con dei modi di fare piuttosto strani, guardò alle spalle di Matau, come se
si aspettasse l’arrivo di qualcun altro.

“Sei solo?”

“Cosa?”

“Ti ho chiesto se sei solo. Dove sono i tuoi compagni?”

“Ci siamo divisi. Io e Nokama abbiamo preso il sentiero che si addentrava nella
foresta. Gli altri quattro invece hanno preso vie opposte.”

“E dov’è Nokama?”

Matau strinse i pugni. “Non è più qui. Qualcuno o qualcosa l’ha rapita. Ho
cercato di seguirli, e ho visto un dirigibile dall’aspetto famigliare.”
“Una nave di Le-Metru...”
“Esatto, proprio quelle! Poi ho incontrato quei quattro Matoran e mi hanno
detto che siamo ancora sul Robot e... non ci capisco più nulla!”
“Si. Mi spiace che vi siate risvegliati in queste condizioni, Turag-... Toa! Scusa
ma è l’abitudine, eheh!” ghignò con qualche colpo di tosse forte.
“Non sembri essere in forma, dico bene?”
“COUGH! COUGH! No, Matau... ma ora che so che il nostro dovere è stato
compiuto, potrò morire in pace quando arriverà il mio momento.”
Non sapendo cosa rispondere, forse per l’imbarazzo o per l’amarezza della
notizia, Matau alzò nuovamente lo sguardo verso l’oro opaco che decorava il
cielo.
Kopeke ordinò al Rahi di avvicinarsi al Toa e gli disse: “Magnifico e inquietante
allo stesso tempo, non è vero?”
“Ho visto di peggio diciamo.” e si voltò verso il Turaga con un’espressione
cupa. “Che sta succedendo?”
L’ex Tumaka del Ghiaccio guardò in basso esasperato. “Non saprei nemmeno
se la risposta che ti sto per dare ti sarà utile.”
Fece un lungo respiro e spiegò tutto. “Mata-Metru. E’ da lì che provengono
queste ondate energetiche responsabili dei cambiamenti naturali. Sappiamo
entrambi quale può essere l’unica causa.”
“Helryx?”
“No, Matau. La Ignika...”
“In che senso?”
“Il primo Toa ha ormai perso da tempo la consapevolezza in sé stessa. Gli altri
Turaga non erano convinti. Si sbagliavano. Solo Nuhrii mi ha dato ragione. Il
modo in cui ci guardava quel giorno...”
“Nuhrii? E’ ancora a servizio dell’Ordine?”
“Lo era. Devi sapere che durante la vostra assenza due nuove generazioni Toa
sono nate. La prima, quella ufficiale, era guidata da Vhisola, mentre il gruppo a
cui appartenevo io era composto da noi Cronisti e da un Onu-Matoran di Voya
Nui di nome Garan. All’inizio non era nei nostri piani di diventare Toa.
Volevamo a tutti i costi trovare i responsabili della morte di Kapura. Non
riuscivamo a sopportare l’indifferenza con cui l’Ordine trattò il caso. Ma uno di
loro, Takanuva, aveva altro da proporci, ovvero di indagare per conto
dell’Ordine sulla milizia dei Parenga. Noi ovviamente rifiutammo e si convinse a
partire con noi, abbandonando così il suo gruppo. Nel frattempo Artakha
stabilì un patto con i Toa Hagah e altri sei vennero scelti per diventare Toa,
con la scusa di cooperare con i nuovi Metru. Ma avevano fatto male i calcoli:
quel giorno al Colosseo ci fu un attentato Parenga, e tutti e sei i Matoran
morirono. Così il caso volle che fummo noi i nuovi prescelti, ma questa volta
era per contrastare Helryx e i suoi guerrieri. Un’ultima speranza contro un
male che lentamente stava sorgendo dal bene più assoluto. Helryx avrebbe
così dovuto cadere contro la stessa arma che utilizzò per la riconquista dei
cinque arcipelaghi. E infine arrivò il giorno dello scontro finale. Noi Tumaka ci
battemmo con i cinque Metru. Era uno scontro alla pari, che però non
sembrava voler determinare un vincitore in poco tempo. Poi accadde qualcosa
di insolito: uno strano individuo sulla cima del Codrex indicò la Stella Rossa e
questa come per magia esplose dinanzi agli occhi delle due armate. Sapevo chi
era... ricordo ancora adesso il suo viso... ero convinto che fosse morto quando
eravamo tutti intrappolati con lui nella Bolla della Realtà del Creato. Ero sicuro
che dopo il terremoto fosse stato sepolto dalle macerie, ma mi sbagliavo. E’
riuscito a fuggire e a tornare su Spherus Magna, e fino a quel giorno ha
pianificato con successo il suo ingresso all’interno del Robot. Ora le sue
armate si stanno scontrando contro l’Ordine e contro gli Eroi...”
“Eroi?!”
“Si, Matau.” e spiegò dell’alleanza che Axonn e Brutaka avrebbero dovuto
stipulare con il fondatore della Hero Factory.
Poi continuò il discorso e terminò con l’episodio del trasferimento del loro
potere al corpo dei sei Turaga.
“Questa è la nostra situazione, Toa.”
“Ma perché non farci risvegliare su Artakha?” insistette la curiosità di Matau.
“L’isola fu colta da un improvviso terremoto. Era il segno che il grande Robot
stesse tornando a muoversi. Così il Grande Essere ordinò a Tobduk e Mazeka
di portarvi in un luogo designato che potesse proteggervi da un eventuale
catastrofe. Anche noi Turaga nel frattempo abbandonammo l’isola. Tra tutti i
luoghi sicuri, Tamaru mi consigliò quest’isola sulla quale abitò per diverso
tempo con altre specie Matoran, prima dell’arrivo improvviso di Takanuva.”
“E dove siamo diretti?” cambiò il discorso Matau. “Helryx ha per caso detto
qualcosa e una vostra spia è venuto a saperlo o robe simili?”
“No. Helryx non è più fra noi. Ora è l’Ignika che decide e solo essa sa qual è la
prossima destinazione. Ma sarà l’ultima?” lasciò il dubbio.
“E noi in tutto questo cosa dobbiamo fare? Non crederete sul serio che
abbiamo il potere di controllare un gigante come il Robot, o peggio ancora di
stabilire un contatto con la Ignika, vero? Siamo dei semplici Toa come lo
eravate voi!”
“Ancora oggi la motivazione mi è del tutto sconosciuta. Torna su Artakha e va
dal Grande Essere. Lui saprà cosa dirti.”
“Non posso, Kopeke, non posso! Devo prima trovare Nokama!”
“Torna in te stesso, Toa dell’Aria! Non sei più un novellino, e per quel che so
sei il più esperto fra tutti noi. Al momento non puoi farci nulla per tua sorella.”
“Assegnami un gruppo di guerrieri e quel tuo Avokh, te ne prego! Dopo averla
trovata andremo dal Grande Essere, promesso!”
Kopeke tirò un sospiro di rammarico. “Purtroppo non conosci la potenza dei
nostri nemici. Anche se lo facessi rischiereste comunque! Va’ da Artakha. Per
favore...”
Passarono alcuni secondi di silenzio.
“Troverò i miei fratelli, anticipando il nostro ritrovo nel tempio, e insieme
decideremo cosa fare. Ti prego di rispettare la mia scelta, Turaga.”
La guerra non proseguì ovunque fortunatamente e ciò non era dovuto dal fatto
che era cominciata da neanche mezzo anno. Come ben si sa, gli eserciti
coinvolti nello scontro erano le forze degli Eroi, quelle di Darkness e infine, ma
non per importanza, le armate rimaste di Toa Helryx.
Ad osservare lo scontro invece c’erano per il momento i Parenga, che
uscirono molto indeboliti dalla riconquista dei cinque arcipelaghi avviata
dall’Ordine. In quei giorni la potenza di Helryx, infatti, era devastante e
superiore a chiunque. Probabilmente nemmeno coloro a servizio di Darkness
o della Hero Factory sarebbero riusciti a sconfiggerli. Eppure, con il solo volere
di un individuo (effettivamente di due...), cadde con grande facilità e
soprattutto ingenuità.
Ovviamente non poteva mancare all’appello la Mano di Artakha, che sarebbe
sicuramente tornata a muoversi ora che i Toa Metru si erano risvegliati. Gli
studi e gli esperimenti sulla Vahi diedero finalmente i loro frutti, lasciandosi alle
spalle i dubbi e le paranoie che gli alleati del Grande Essere si fecero in assenza
di risultati. Ognuno di loro di fatti gridò quasi fin da subito al fallimento,
soprattutto i Toa Hagah. A dire il vero era una scusa per ottenere il permesso
di abbandonare l’isola di Artakha. In ogni caso, conoscendo il temperamento di
Norik e Bomonga, sarebbero comunque partiti senza troppe spiegazioni.
A distanza di tempo, lo scontro su Voya Nui per il controllo del Codrex si
prolungò fino ai giorni nostri, ciascuno con la propria motivazione.
A capo dell’esercito di Darkness non poteva non esserci che Nektann,
affiancato dalla sua nuova spalla: Thorgai Drenaris. Infatti, dopo la caduta di
Tesara, lo Skrall si convinse di seguire Nektann per sapere di più sulle verità di
suo padre, Stronius, e dell’eredità che gli venne promessa. Inoltre tutti gli Skrall
rimasti (almeno la maggior parte) seguirono il signore della guerra Skakdi,
rivedendo in lui un degno erede della pazzia e tenacia di Tuma. Per Thorgai
dunque era più che giusto stare con la propria gente. Le promesse di Nektann
piovevano giorno dopo giorno, ognuna con un tono e un premio diverso.
Da sud-est invece la Hero Factory si muoveva principalmente per stabilire
l’egemonia sulle altre isole, ma anche essa era piuttosto interessata al Codrex
quando lo venne a sapere. Non a caso Makuro, come se sapesse che prima o
poi sarebbe giunta la sua morte, lasciò incustoditi alcuni appunti su ciò che da
solo riuscì a scoprire, o che già sapeva...
Fox, Valor, Puck e infine Flash erano i quattro comandanti Hero scelti.
Ovviamente la maggior parte degli ordini partivano dalla mente di Alpha
Leader Preston Stormer. Oltre a ciò gli Eroi avrebbero dovuto prestare
maggiore attenzione agli scontri e al numero di guerrieri impiegati, siccome i
rifornimenti e il personale erano limitati.
Trinuma e Krakua erano gli unici che ancora ci credevano; i soli che riuscirono
a buttarsi alle spalle la morte di Axonn e Brutaka, radunando circa novantamila
soldati Ruhnga. Poco più avanti però si dovettero separare quando si
confessarono a vicenda le loro vere intenzioni: mentre Trinuma era
concentrato a provare fedeltà a Helryx nonostante la sua attuale condizione,
Krakua si era rassegnato che ormai il primo Toa li aveva definitivamente
abbandonati. Si autoconvinse che da soli sarebbero riusciti a trovare una
soluzione, in un certo senso. Naturalmente le certezze, specie in quel periodo,
erano davvero scarse e per tale ragione si ritirò con i suoi squadroni. Trinuma
invece non attese e si lanciò alla difesa del Codrex occupando i tre quinti della
metropoli che si collegava alla Seconda Colonna, distrutta dai poteri di Toa
Tuyet.

I circa diecimila Parenga rimasti invece tentarono più che altro di difendersi.
Occupavano parte della coscia destra del Robot, affacciandosi sul nuovo
Quartier generale degli Eroi nella gamba sinistra, che dalla parte opposta aveva
l’armata di Nektann alle calcagna. La zona meridionale del Continente
Settentrionale invece era occupata da Trinuma e Krakua. Mentre Krakua avviò
la costruzione di una muraglia per proteggere gli alleati e i Matoran residenti
nell’isola, Trinuma mandò quotidianamente le prime spedizioni per
riconquistare/difendere il Codrex a tutti i costi.
I nomi importanti dei comandanti coinvolti conferirono allo scontro il nome di
“Battaglia dei Nove”.
Nessuno però sapeva quanto sarebbe stata mortale...
“Vakama, ancora quella visione?”
Il Toa del Fuoco sbracciò ancora per un po’ prima di calmarsi.
“Ah... si, Nuju. Quell’orrenda immagine mi perseguita di continuo. Non vuole
smettere!”
Il Metru di Ghiaccio fece un sorriso contenuto e guardò fuori dalla tenda. “Per
fortuna nessuno ci ha sentiti. Beh, non c’è da meravigliarsi in questo deserto
urbano.”
Vakama si toccava ancora l’addome dolorante. “Diamine... abbiamo finito le
foglie Tiaki?”
“Dovremmo uscire a fare rifornimento, fratello. Ti fa ancora male?”
“NGH! Si... e non poco direi. Quel maledetto Rahi...”
“Beh, almeno non si trattava di un Visorak.” scherzò Nuju, facendo richiamo ai
tempi passati.
Il leader dei Metru celò la sua risposta nel silenzio, rimanendo pensieroso.
‘Sarà stata la quindicesima volta che ho quella visione. Che vorrà mai dire?’ si
disse tra sé e sé.

“Dovremmo cercare qualche disco per te. Non puoi difenderti solamente con i
tuoi poteri elementali, specie ora che li stiamo riutilizzando da poco.” disse
Nuju mentre frugava tra la sua roba. “Vieni, ti aiuto io ad alzarti.”
“No, lascia. Ce la faccio.” lo fermò il fratello. “Non pensavo che gli artigli dei
Muaka facessero così male. AGH!”
“Cerca di fare piano!”
Nuju provò tanta pena nel vederlo dolorante. Spesso si chiedeva come
avrebbe fatto senza di lui.
“Che c’è da guardare?” gli disse Vakama infastidito.
“Nulla. Cerca solo di non mollare, fratello. Non ora che il Destino ci chiama
nuovamente all’appello.”
“Non lo farò. Andiamocene da qui.”
“Si. Dammi giusto il tempo di smontare la tenda.”
“Aspetta, ti do una mano.”
“No, Vakama, ci penso io.” rispose quasi irritato. “Tu nel frattempo assicurati
che non abbiamo visite indesiderate.”
“Okay... va bene.” accigliò lo sguardo.
La prima cosa che notò Vakama era la pesantezza che l’aria aveva acquisito
negli ultimi giorni. Da un paio di settimane dalla loro partenza, non
incontrarono nulla oltre al deserto. Molto spesso si incrociarono con alcune
rovine di villaggi o di città dalle modeste dimensioni, ma non ci fecero caso
siccome davano per scontato che si trattasse di alcuni centri vicini al fiume
Skrall. Non a caso erano gli unici due Toa Metru che ancora non sapevano di
trovarsi nel Robot.
“Questo cielo non mi convince per niente.” si lamentò Nuju.
“Spetta a noi scoprire perché è così.”
“Non aspettavo altre risposte, fratello!” si caricò di autostima. “Come va,
riesci a camminare?”
“Si, si. Ce la faccio.”
Poco più avanti intravidero il relitto di una macchina da guerra immersa per
metà nella sabbia. Per loro sfortuna (o fortuna) il simbolo dei suoi proprietari,
gli Eroi, era nascosto da una montagnetta sabbiosa.
“Vedi se c’è qualcosa che può tornarmi utile, Nuju. Magari hanno lasciato
qualche medicina.”
“Ci provo. Nel frattempo...” disse Nuju generando un altro cristallo di ghiaccio
attorno alla ferita di Vakama. “E’ meglio se perdi meno liquido vitale possibile.
Adesso aspetta qui, vado a vedere.”
“E chi si muove...” rispose il Toa del Fuoco con un briciolo d’ironia.
Il Toa del Ghiaccio fece una capriola dall’altra parte, guardando Vakama
compiaciuto di esserci riuscito, e si mise a cercare.
“Allora vediamo... si c’è qualcosa! Tieni!” e gli lanciò l’oggetto.
“Che cos’è?” chiese Vakama.
“Se non erro è una bomboletta spray.”
“Bombo che?”
“Ti faccio vedere.” e dopo averla agitata, cicatrizzò la ferita.
“AH! E’ più freddo del ghiaccio che hai generato!”
“Ahahah! Pazientati, Vakama. Sono sicuro che starai meglio. Se non erro
queste medicine appartenevano agli...”
Fu interrotto: era un rumore metallico che proveniva da lontano.
“Dobbiamo andare a controllare.”
“Scherzi? Devi riposare, Vakama!”
“Non è vero! Guardami. Potrei scalare un vulcano se necessario grazie a
questo aggeggio. Vediamo di non perderlo.” se lo mise nel portaoggetti sulla
schiena.
Nuju sospirò rassegnato. “Voi Toa del Fuoco... sempre con il vostro orgoglio
personale.”

Mentre correvano, Vakama si sentiva ancora un po’ giù a livello fisico. I suoi
poteri, così come la sua forma, avevano bisogno di un po’ di tempo per
recuperare. Intanto Nuju, che apriva la strada, guardava ogni tanto nella sua
direzione per assicurarsi che non stesse male o addirittura perdesse i sensi.
Non appena girarono l’angolo, videro il cadavere di quello che all’apparenza
sembrava essere un giovane Matoran.
“E’ ancora vivo?”
Nuju chinò la testa. “No, Vakama. Ma è morto da poco a quanto sembra.”
Poco più a destra il Toa del Fuoco trovò lo zaino della vittima e iniziò ad
indagare.

“E questa che cos’è?”
“Cos’hai trovato, fratello?” domandò Nuju.
“Sembra... una spilla. E’ dell’Ordine?!”
“E da quando portano queste divise? E la forma della spilla? Sei proprio
sicuro?”
“No, aspetta... forse non... non è dell’Ordine...” e tirò fuori una moneta da una
tasca del cadavere. “Vedi, c’è qualcosa. Sembra...”
“Ma quella è l’isola di Nynrah prima del Cataclisma!” affermò Nuju.
“Si, ma questo non è un Fe-Matoran. Da quando portano le spille dei Ruhnga?”
“Da quando i Parenga sono tornati!” udirono.
I due Toa non ci pensarono due volte. Valutando la distanza e la direzione di
provenienza della voce, fecero una capriola rispettivamente a destra e a
sinistra. Vakama caricò i suoi pugni di fuoco, mentre Nuju lanciò un cristallo
d’avvertimento a pochi passi dall’interlocutore.
Costui però non era solo. Era accompagnato da altri individui armati, che
iniziarono a gridare a squarciagola:
“A TERRA!”
“FERMI, O VI AMMAZZO!”
Erano Matoran. Vakama capì subito che quel cadavere era solo un’esca.
“Nuju, alza le mani.” bisbigliò.
“Cosa?! Non vorrai mica ascoltare questi pazzoidi ribelli!”
“Nuju. E’ un ordine. Non abbiamo altra scelta.”
“YAHOO! Due Toa in un colpo solo! Questa la deve sentire Zivix!” esclamò
uno dei Parenga.
Nuju osservò i nemici uno per uno, soffermandosi sul ghigno provocatorio di
alcuni. Era inammissibile per lui farsi catturare dopo neanche un mese da Toa.
L’unico che attirò la sua attenzione era un Onu-Matoran, che li osservava quasi
con timore.
“Allora? Dov’è il resto del vostro gruppo, eh?”
“Non siamo qui per invadere i vostri territori, Parenga.” rispose Vakama.
“Si certo, come no! Non ci si può fidare dei servi dell’Ordine neanche per un
istante!”
“Noi non serviamo l’Ordine!” questa volta ribatté Nuju. “Non sappiamo
nemmeno dove si trovano gli altri agenti!”
Era un chiaro tentativo per farsi spiegare la situazione dagli ostili.
“Ci credo! Siete stati tutti abbandonati in una gabbia di Muaka inferociti. E
pensa che ancora alcuni giurano fedeltà a Helryx! Ahahah!”
“Abbandonati da Helryx? Che vorresti dire?” gli si avvicinò Vakama sempre con
le mani alzate, ma uno dei Parenga gli puntò il fucile contro dicendo: “Ancora
un passo e ti ritrovi la testa sulla sabbia, Toa.”
Non sapendo allora cosa dire, Nuju guardò il cadavere che fungeva da esca e
domandò di sua iniziativa: “E quella spilla Ruhnga dove l’avete presa?”
“Un amichetto da Artidax ci ha fatto questo regalo. Grazie a lui siamo riusciti a
fare fuori già ben tre basi Ruhnga rimaste, ripulendo quasi del tutto quest’isola.
Diciamo che queste divise fanno il loro dovere, eheh!”
“Artidax?!”
“Ops! Per caso Artidax era la tua terra natale?” lo provocò ridacchiando.
“CAPO! NAVETTA NEMICA IN ARRIVO!”
“Tutti al riparo!” ordinò, e scavò una piccola fossa nella sabbia all’interno della
quale si nascose.
Nel giro di una manciata di secondi i due Metru si ritrovarono da soli.
“Dentro al carro!” suggerì Nuju.
La sentinella volante fece il giro della zona. La tipica H impressa ai lati non
poteva che ricondurre alla Hero Factory.
Nuju e Vakama si guardarono spaventati, mentre erano immersi tra gli
ingranaggi della macchina. Sfortunatamente, però, un pezzo della carrozzeria
appeso su una delle ruote distrutte fu erroneamente toccato da Vakama e
cadde su un altro pezzo arrugginito. Il rumore attirò subito l’attenzione della
sentinella, che si voltò di scatto individuando immediatamente la fonte.
Se i due Toa fossero stati scoperti, la notizia sarebbe subito giunta al Quartier
generale Hero. Qualcosa nella mente di Vakama lo obbligò indirettamente a far
sì che ciò non accadesse. Ma come poteva aggirar-

PUM!
La sentinella venne centrata in pieno.
“Che diamine stai facendo, Athuka?!” uscì fuori dalla sabbia il caposquadra
Parenga, seguito dagli altri.
“Cercavo solo di non farci beccare! Che ne sai che questi Toa non ci facevano
scoprire da quei cosi?”
Uno dei Matoran armati, lo stesso che puntò il fucile contro Vakama, lo guardò
in modo strano. “Da che parte stai, Athuka?”
“Dalla nostra, testa di Tarakava! Faresti meglio a non dimenticarlo!”
Infastidito, il Matoran prese la mira per colpirlo mentre era girato di schiena,
ma una fiamma-proiettile lo colpì sull’indice prima che potesse premere il
grilletto.
Il caposquadra non ci mise troppo a capire che si trattava di Vakama ed ordinò
ai suoi di caricare le armi.
Dall’altra parte, però, Vakama non si pentì di ciò che aveva appena fatto e
improvvisò: “E’ vero. Siamo stati mandati dagli agenti dell’Ordine per
assicurarci che quest’isola fosse stata definitivamente conquistata dai Parenga,
siccome erano settimane che non ricevevamo notizie dai nostri commilitoni.”
“Che cosa fai, Vakama?!” lo rimproverò Nuju a bassa voce.
“Shh! Lascia fare a me.” disse voltandosi verso il caposquadra, sempre con le
mani in alto. “Facciamo un patto, Parenga. Noi ce ne andremo da qui e
convinceremo i nostri che ormai questo territorio è in mano vostra.”
“Ahaha!” rise il leader ostile. “Credete seriamente che ci importi qualcosa di
voi Toa? Potete andare e fare ciò che volete, ma non so per quanto ancora
durerete...”
Vakama spalancò gli occhi stranito. Nuju invece restò immobile e silenzioso.
“Il numero della vostra specie sta diminuendo di giorno in giorno, ed è solo
questione di tempo prima che...” un muro ghiacciato lo racchiuse assieme al
resto del gruppo.

Nuju aveva accumulato abbastanza tempo e concentrazione per riuscire a farlo.


“Che stai facendo?!” si arrabbiò Vakama.
“No, cosa stai facendo tu! Se non l’hai capito c’è qualcosa di pericoloso per noi
Toa. Non possiamo stare qui a parlare con dei ribelli che non si degnano
nemmeno di aiutarci. Dobbiamo andarcene e capire che succede!”
Vakama era su tutte le furie, ma capì subito che non c’era tempo per discutere.
Ora ai due Toa non restava che correre. Non sarebbe stato per nulla facile
seminare i Parenga nel deserto, a meno che non si rifugiavano in qualche
villaggio abbandonato.
La cosa più importante però è che ora anche loro sapevano (o avevano intuito)
di trovarsi nuovamente nel Robot.
Infatti dopo mezz’ora di fuga: “Spero con tutto me stesso che scherzavano
quando parlavano di Artidax e usavano ancora il termine “isole”. In più quel
Matoran ha detto anche che il nostro numero diminuisce di giorno in giorno.
Che sia colpa di un nuovo Virus? E se noi Toa avessimo tutti perso
l’immunità?” ipotizzò il Toa del Ghiaccio.
Dentro di sé però Vakama temeva, o meglio sapeva che con ogni probabilità la
verità era un’altra...
A milioni di kios di distanza, o forse molti di più, il mantello del deserto tornò
a ricoprire gran parte di Spherus Magna.
I giorni si alternavano velocemente, l’aria diventava sempre più arida, così come
il freddo che regnava durante la notte a causa delle escursioni termiche, e, col
passare dei mesi, anche la vita stessa iniziò ad abbandonare quelle terre.

Il rapporto biochimico pressoché perfetto che si era stabilito tra flora e fauna
nelle settimane che seguirono la morte di Teridax iniziò lentamente a
decomporsi. Le poche foreste rimaste nelle varie zone del pianeta non
bastarono ad ospitare tutta la fauna presente poco prima della partenza del
Robot.

Al termine dello scontro tra i due Robot infatti, subito dopo l’atto finale del
Grande Spirito, sembrava di trovarsi sul pianeta di Bota Magna, sicuramente
quello più colmo di vita rispetto agli altri due.
Poi, col passare dei giorni, dei mesi e infine degli anni, il verde che costellava il
globo si ritirò lentamente a Tesara, vicino alla carcassa del grande Robot. La
foresta di Magarh, quella di Garal e infine l’ex laboratorio della Stella Rossa
erano gli unici appezzamenti di flora rimasti. A quanto pare tutto ciò non
sembrava avere una durata precisa.
In ogni caso, a nessuna delle potenze mondiali venne mai in mente di farci caso.
Questo perché naturalmente la propria cassaforte e la propria fame dovevano
essere le prime ad essere saziate a sufficienza. Ciò che accadeva al di fuori del
proprio interesse non meritava nessun tipo di attenzione...

La maggior parte delle specie Rahi dell’Universo Matoran si estinsero piuttosto


facilmente, dai grandi giganti meccanici che vivevano sugli alberi o sul terreno
fertile dei boschi e delle foreste, fino ai piccoli roditori che ancora infestavano i
resti dei villaggi ormai andati in frantumi: Vulcanus, Tajun, Iconox, Roxtus, il
Creep Canyon e infine Tesara. Quest’ultima, non a caso il fulcro del mondo ai
tempi, fu quella più devastata. Non bastò l’arrivo inaspettato dell’armata di
Nektann a radere al suolo la città, ma vi era anche il fuoco ardente dei
propulsori del Robot tornato in funzione.
Dall’altra parte le dighe che contornavano il lato sud-ovest di Tajun si ruppero
in un battibaleno, e l’acqua inondò le abitazioni. Vulcanus fu sommerso dalla
lava, il Creep Canyon racchiuso dai tetti rocciosi che filtravano la luce del
giorno in tempi di pace, Iconox infilzata dalla miriade di cristalli che si
staccarono come fili d’erba dai monti più alti.
Per ironia della sorte, lo stesso elemento che fungeva da casa a coloro che
abitavano nei villaggi si rivelò come loro nemico, ed allo stesso tempo come
loro tomba.
C’era bisogno di ricostruire, di ritrovare quel briciolo di vita che
probabilmente era ancora insediata in quei luoghi, oltre alla bontà e a quella
serie di valori positivi che erano stati definitivamente abbandonati. Un nuovo
mondo doveva risorgere dalle ceneri e sopratutto con una mentalità diversa.
Ma chi l’avrebbe fatto?

Una Mosca Rere stava svolazzando in giro per le dune alla ricerca di qualche
carcassa sulla quale deporre le sue uova. Purtroppo per lei la ricerca andava
avanti da ben dieci settimane senza alcun risultato. Sicuramente il deserto e la
sabbia non costituivano il suo ambiente ideale, ma per fortuna la freschezza
notturna le fu di vitale aiuto nel corso delle lunghe notti.
E alla fine, dopo quella che per lei sembrava essere un’infinità di tempo, scorse
uno stupendo esemplare di Kikanalo morto e con i muscoli ancora integri in
lontananza. Abbandonò subito la tranquillità e la pazienza che
l’accompagnarono nell’ultimo periodo, lasciandosi andare completamente ai
vari processi biologici che doveva fare a favore del proprio ciclo vitale, ma ecco
che qualcosa sotto la sabbia si iniziò a muovere.
Lentamente si aprì una botola dinanzi a lei. Ovviamente per gli interessi e per
l’intelligenza di un animale come lei, ciò non poteva significare nulla se non
“pericolo”. Azionò quindi le ali e svolazzò dall’altra parte della carcassa.
Dall’altra parte intanto un piccolo individuo uscì con grande fatica dal suo
rifugio. Prima di mettere fuori la testa, però, toccò la sabbia attorno alla botola
e ne prese una manciata in mano. Era da tempo che non sentiva l’attrito dei
piccoli sassolini che la componevano.
Fino a quel momento, le uniche cose che riusciva a toccare, oltre al cibo Agori
che iniziò stranamente ad amare ultimamente, erano le pietre lucenti ed aguzze
che costellavano la sua nuova casa, oltre ai bottoni e agli ingranaggi dei
marchingegni un tempo appartenuti ad esseri ben più grandi di lui.
Per la prima volta nella sua vita, la luce divenne un grande ostacolo da
“affrontare”, dato che erano mesi che non si faceva irradiare da nemmeno un
fotone solare. Il solo colore della luce che accarezzava i suoi occhi lo
confortava come il calore del deserto, che quasi aveva dimenticato.
In quel momento la grande palla infuocata incastonata nel cielo era talmente
grande e luminosa che quasi si era scordato dell’assenza di vita che lo
circondava.
Poi, con grande gioia, tirò un respiro profondo.
“Allora, vogliamo muoverci lassù?” disse una voce proveniente dall’oscurità
sottostante, per lui famigliare.
Il piccolo esploratore non rispose. A dire il vero neanche l’aveva sentito. Il
rumore dell’aria e delle folate di vento che si abbattevano sulle dune erano di
gran lunga più rumorosi del suo compagno.
Poi si sentì strattonare la gamba destra. “Ma mi stai ascoltando?!”
“Si, ti ho sentito! E cerca di non fare rumore. Potrebbero esserci presenze non
desiderate in zona.”
“Scherzi? Ti rendi conto di con chi stai parlando? E’ da quattro mesi che faccio
spedizioni esterne con gli altri esploratori. E’ già tanto se abbiamo trovato
qualche filo d’erba qui in giro. Ora torna indietro dal tuo sogno vivente e
dammi la corda. Non credo tu voglia farti trovare morto dopo aver fatto un
volo di duecento bios!”
“D’accordo. Eccola qua.”
L’Agori si chinò e lanciò la corda nella colonna oscura. Poi, prima di andarsene
con il novellino che gli venne assegnato, agganciò l’estremità di ferro che
teneva in mano ad un supporto circolare che stava attorno alla botola.
“Così dovrebbe tenere. Zaino in spalla, Matoran. Abbiamo una missione da
compiere.”
“Ovvero?”
“Un altro gruppo di esploratori ci attende poco più a ovest di qui.”
“Va bene.”
Una volta giunto con l’Agori al luogo dell’incontro, il Matoran fu sorpreso dalla
presenza di cantieri di ristrutturazioni e dalle prime abitazioni costruite. Certo
il materiale e la semplicità lasciavano desiderare, ma era comunque un buon
inizio per una civiltà che, secondo i loro capi, sarebbe rinata da lì a breve.
Soltanto l’impegno collettivo e la sopravvivenza come obiettivo comune
potevano velocizzare la loro impresa. Questa volta però avevano tutti imparato
non dai loro errori, ma da il passato che accomunava tutti quanti, ragione per
la quale sorprendentemente nessuno andò oltre le righe.
Nessuno aveva in mente di rubare, di uccidere o di prendere in mano il
controllo credendo di poter decidere per tutti, e né tanto meno scappare,
anche perché né gli Agori e né i Matoran avevano un organismo in grado di
digerire la sabbia. Il cibo andava procacciato e diviso equamente.
Purtroppo quel risentimento razzista che fu alla base della Guerra dell’Unità
era ancora presente, ma non abbastanza da influire sulla nascita delle prime
decine di abitazioni esterne.
Inoltre, a differenza dei leader che vennero prima, non ci fu mai un litigio, una
discussione o addirittura dei lazzaroni tra le guide rimaste. Ognuno di loro, dai
singoli Glatorian, ai Turaga, e infine Takanuva, unico Toa rimasto, aveva il
proprio compito in base alle possibilità fisiche di cui disponeva. Raanu e i
Quattro di Tesara furono dilaniati dal fuoco e dall’odio dei servi di Roxtus,
inutile dire quindi che non c’erano dubbi su chi doveva prendere il comando.
“Quanto manca per l’impianto di raccolta dell’acqua?” domandò Ackar.
“Le falde acquifere hanno da poco iniziato a disidratarsi. Non abbiamo trovato
altro se non montagnette di sale e terra. A stento le estrazioni raggiungono
venti contenitori di acqua al giorno. Con questo macchinario dovremmo
averne abbastanza prima di mezzogiorno.”
“E per quanto riguarda il cibo?”
“C’è una foresta oltre quelle colline.” disse l’informatore Agori dopo aver
preso la sua cartina. “La frutta dovrebbe essere sufficiente per le prossime
settimane...”
“Ma non abbastanza per metà anno...” continuò Ackar leggendo i numeri del
raccolto.
“Stiamo dando il massimo, Ackar. Non possiamo fare di più.”
“Va bene, puoi andare. Passerò da voi nel pomeriggio.”
Stranamente l’Agori non andò via, ma volle prima fargli una domanda:
“Quando potranno uscire tutti da quel buco, Ackar? Quando potremo tornare
a vivere come un tempo?”
“E’ la costanza la nostra arma migliore...”
La risposta non uscì dalla bocca di Ackar, ma del Toa della Luce.
Il risentimento dell’Agori voleva farsi sentire a voce alta siccome le parole
provenivano da un Toa, giudicati da lui come traditori della pace, ma per questa
volta preferì applicare il consiglio di Takanuva.
I due ormai ex guerrieri rimasero sulla cima della collina sabbiosa ad osservare
le razze di biomeccanici collaborare fra loro.
Passò ancora qualche secondo di silenzio prima che Ackar disse: “So cosa stai
per dirmi. Comprendo alla perfezione la tua impazienza.”
“Cerco solo di imparare dai miei errori.” rispose il Toa senza guardarlo.
Il Glatorian fece un ghigno. “Peccato che è da diverso tempo che giri attorno a
me, soprattutto negli ultimi giorni. E’ una strana coincidenza che il nostro
gruppo si incroci così tanto ultimamente.”
Takanuva si sentì preso da una piccola fonte di rabbia, ma per il momento
riuscì a sopprimerla rispondendo con calma: “Diciamo che sono desideroso di
ottenere risultati il prima possibile.”
“E li otterremo, hai la mia parola.”
“Vuoi ancora nascondergli la verità, Ackar?! Lasciarli morire affogandoli nella tua
saggia calma è la scelta migliore secondo te?!”
Questo era ciò che il guerriero dorato avrebbe voluto ribattere, e invece: “Hai
ragione. Credo che il mio squadrone abbia riposato abbastanza. Torno da loro.
C’è una bella dose di frutta Huai che ci aspetta per stasera!” disse con un
sorriso a tratti forzato e se ne andò.
La vita non iniziò ad assentarsi solamente su Spherus Magna, ma persino
sull’isola-metropoli di Mata-Metru.
A distanza di circa un anno, il leader dell’Ordine di Mata Nui era ancora in
piena depressione per quanto accaduto fino a quel momento. L’unico a
crederci ancora, dati i veri motivi che stavano dietro all’utilizzo del grande
Robot, era proprio Turaga Dume.
Sicuramente le condizioni di un essere potente come Helryx lo iniziarono a
intimorire, ma sapeva comunque che mancava poco alla loro riuscita. Il tempo
era per forza dalla loro parte.
Inoltre, come avrebbero potuto essere fermati se una barriera dorata e più
impenetrabile dello stesso Araidermis circondava la magnifica metropoli,
salvaguardandola da ogni pericolo?

Giorno dopo giorno, ogni mattino, Dume si affacciava dalla balconata della
torre del Colosseo, ricordando sempre ad Helryx di quanto sarebbe stata
magnifica la ricompensa una volta portato a termine il loro compito.

“La luce sarà per sempre dalla nostra parte!” diceva, ma non ebbe mai un
riscontro da parte della Toa, che come sempre preferì isolarsi nei suoi pensieri.
Le preoccupazioni di Dume per Helryx si legavano solamente ad un individuo,
che probabilmente era l’unico che entrambi non volevano più vedere per il
resto della loro esistenza: Darkness.
Come detto da Hydraxon al gruppo di Toa Tagahri infatti, lei e Dume erano i
soli a sapere del patto segreto stabilito con l’ex Cacciatore oscuro. Ancora
però non sapeva i dettagli, e nemmeno le vere ragioni che li spinsero a
commettere stragi di individui, a partire dai Matoran scelti per diventare Toa
Artakha.
L’ex Matoran di Mahri Nui aveva pensato sin dal primo momento che tra i due
(o forse tre, se contiamo Turaga Dume) ci sarebbe stata la condivisione di un
bene addirittura superiore alla stessa Ignika, ma non osava immaginare cosa.
Tra i tre, però, Helryx era l’unica ad aver compreso quanto questa “ricerca”
aveva portato.
Le bastò guardare fuori dalla finestra per una sola volta: il brusio di sottofondo
che accompagnava le strade della metropoli se n’era andato per sempre, oltre
alle molteplici luci che decoravano i grattacieli e le infrastrutture durante la
notte.
A volte provava una certa invidia quando le capitava di ricordare i Matoran
abbandonare il loro luogo di lavoro per incontrarsi poi con gli amici.
L’amicizia era un qualcosa che la abbandonò dallo stesso momento in cui
“obbligò” l’intera popolazione a far ritorno nel Robot, dando per scontato che
non ci sarebbero mai stati problemi siccome si trattava della loro vera casa.
Come si poteva parlare di amicizia se alcuni membri dell’Ordine come gli stessi
Toa Hagah, Mazeka e Tobduk sospettavano di lei?
E Trinuma? E Krakua? Brutaka ed Axonn?
Forse anche Dume stava bramando qualcosa alle sue spalle.
Forse davvero si era fatto corrompere e sconfiggere facilmente da Teridax...
Tutte queste paranoie sicuramente non portarono nulla di buono in lei, ma al
contrario la fecero cadere in un baratro oscuro dal quale non era per niente
facile uscire, anche perché non sapeva veramente cosa l’avrebbe attesa.
Era tutto un rischio... un grande rischio...
Lei però sapeva che era LA guida vera e propria. LEI era il leader dell’Ordine di
Mata Nui e LEI era a capo dei Matoran. LEI era l’ultima alla quale spettava la
scelta finale e LEI era la sola che poteva far crollare la nascita di una nuova
legge o decisione.
Gli altri agenti non dovevano osare minimamente opporsi, perché sapevano
quale fosse il suo vero, nuovo potere.
Stranamente, ogni volta che pensava alla Ignika riusciva ad acquisire un briciolo
di felicità, non sapendo però per quanto l’avrebbe accompagnata.
Molte volte Dume tentò di farsi presente invitandola a fare un giro nella città
isolata, anche perché sapeva che era uno dei suoi più grandi desideri, il quale
venne però interrotto in passato dalla minaccia dei Parenga, che avrebbero
potuto colpire da un momento all’altro.
“I Parenga non ci sono più, Helryx! Ora siamo solo io e te! Rallegrati, Toa! La
cupola dorata farà il suo dovere ora!”
“Che senso ha celebrare una vittoria che non abbiamo nemmeno conquistato
con le nostre mani?” ribatteva sempre.
E ogni volta Dume se ne usciva con una risposta differente pur di convincerla,
ma niente.
Era la Ignika la sola fonte di felicità che trasudava dagli occhi di Helryx.
Non osò abbandonare la camera all’interno della quale la Kanohi era
conservata nemmeno per un secondo. A suo malgrado, infatti, il mancato
risveglio all’interno del Codrex la obbligò a far ritorno immediato a Mata-
Metru grazie al potere della Seconda Colonna, che risucchiò dentro di sè
anche Turaga Dume.
A insaputa della gente che abitava la neo metropoli di Voya Nui, il leader
dell’Ordine aveva ordinato la costruzione di un macchinario all’interno del
Codrex che permetteva il collegamento tra il potere infinito della Ignika e il
grande Robot. Così Helryx e gli altri cinque Toa Metru avrebbero governato le
terre autonomamente, senza affidarsi interamente alla Ignika per il
funzionamento del Robot, ma anzi al loro volere.
Sfortunatamente, l’arrivo di un nemico potente come Darkness interruppe il
suo piano e...
“Helryx, basta pensare!” arrivò Dume, interrompendole il suo flusso di
pensieri notturni. “Di questo passo non sarai pronta quan-”
“LASCIAMI STARE!” e sbatté con violenza la porta dell’anticamera,
bloccandola dall’interno per non farsi più disturbare da nessuna presenza.
Dall’esterno, Dume si sentì molto a disagio, e si diede colpa per il tono con cui
si era rivolto a lei. Forse se ci fosse stato qualcuno al suo fianco per
confortarlo sarebbe stato meglio, sopratutto in quel momento così delicato.
In quell’istante si domandò se mai avrebbe rivisto i saggi Turaga della lontana
Metru Nui nuovamente al suo fianco, assieme ai pochi agenti che rimasero
fedeli alla Ignika...
La pioggia tormentava la foresta da giorni. Nelle ultime settimane, le anomalie
naturali e meteorologiche si fecero sentire maggiormente. Molti dei Rahi
dell’isola fecero fatica a trovare un luogo adatto dove potersi stabilire senza
che qualche tempesta violenta potesse spazzare via il loro nuovo habitat
facilmente.
Parte della flora andò incontro alla morte a causa dell’idratazione eccessiva, e
allo stesso tempo fu molto difficile stabilire una macchina idraulica in grado di
generare energia. Non a caso il terreno divenne talmente idratato che iniziò
immediatamente a modificarsi, assieme a parte delle piante del posto che
avviarono fin da subito un processo di cambiamento fisiologico per poter
assorbire i sali derivati dalle piogge acide. I risultati però furono molto scarsi
data la straordinaria combinazione di catastrofi e di elementi naturali.
L’unico abitante dell’isolotto era arrivato da qualche settimana. Quando arrivò,
trovò i cadaveri di una moltitudine di creature bioniche quadrupedi. Approfittò
della calma ambientale del momento ed indagò per sapere cosa fosse successo
in precedenza. A giudicare dai segni e dalla vegetazione in parte devastata,
suppose che ci fosse stato uno scontro piuttosto violento.
Per un guerriero della sua stazza era davvero difficile sbagliarsi, specie se un
tempo faceva parte dell’Ordine di Mata Nui.
Con l’uso dei suoi artigli e dei suoi coltelli, strappò e smontò parte dei
cadaveri bionici per poterli riciclare in marchingegni marini che gli sarebbero
tornati utili nella pesca e in altre faccende.
E così giorno dopo giorno iniziò a costruire il suo piccolo dominio, all’interno
di una caverna posta ai margini dell’isola.
Col passare del tempo, però, quella piccola pace che si creò venne spaccata
completamente da un antico nemico che era convinto di aver sconfitto e
seppellito nei meandri più oscuri della sua mente.
Dekar, questo era il suo nome.
Hydraxon ora più che mai era mentalmente instabile e con esso anche la sua
capacità di prendere decisioni spirituali per sé stesso e, a giudicare da quanto
successo col team di Toa Tagahri, per gli altri.
Tutto iniziò durante uno dei giorni di costruzione della sua nuova barca. Gli
capitò di vedere il suo riflesso nell’acqua, ma ciò che vide lo spaventò a morte.
Arrivò per assurdo a credere che ciò che stava facendo non era stato scelto
dalla sua persona, e ogni volta che ci pensava si chiudeva in sé stesso nel vano
tentativo di pensare ad altro.

All’alba del ventiquattresimo giorno, la costruzione della barca era terminata.
All’inizio Hydraxon voleva creare un mezzo grazie al quale sarebbe riuscito a
ritrovare degli alleati, ma ora la questione era differente: la mente dell’ex
cacciatore marino, così come il suo sguardo e i suoi obiettivi, erano
completamente cambiati.
L’apatia in sé fungeva ora come una maschera invisibile impressa sul suo volto.
Non era più in grado di distinguere il bene dal male. Probabilmente non
rientrava più nelle sue intenzioni.
Mentre azionava gli ultimi meccanismi per il funzionamento della barca, sentì
un rumore in lontananza. Immerse la sua mano nell’acqua, e captò le vibrazioni
provenienti dalle onde riuscendo a rilevare la fonte. A quanto pare una forte
esplosione era avvenuta circa tre isole più in là dalla sua posizione,
precisamente in vicinanza della spiaggia. Non era la prima che sentiva, ma date
le sue condizioni gli era impossibile raggiungere quei luoghi, anche perché il
mare si rivelò piuttosto ostile ultimamente.
Così avviò le eliche automatiche e partì. La prima isola distava venti kios. Non
avendo ancora riconosciuto l’intervallo di tempo col quale si manifestavano le
catastrofi naturali, decise di raggiungere il punto designato fermandosi di isola
in isola.
Una volta raggiunta la seconda, si mosse verso la zona che più si avvicinava
verso la fonte del boato. In corrispondenza di essa, trovò un’enorme statua di
Toa Helryx poggiata a terra, e con una serie di lunghe corde legate alla sua
cima. Era chiaro che quell’opera doveva essere eretta nel momento in cui
l’isolotto sarebbe finito definitivamente in mano ai soldati dell’Ordine, quando i
territori nelle gambe del Robot sarebbero state conquistate del tutto.
Facendo il giro, però, Hydraxon capì tutto: la schiena della statua era scavata
all’interno, segno evidente che qualche raggio energetico l’avesse colpita, e
senza alzare lo sguardo avvistò con la coda dell’occhio un proiettile volante
verso sud.
Corse subito alla barca e partì facendo il giro dell’isola dalla quale arrivò il
colpo, che secondo Hydraxon era troppo alto per supporre che fosse diretto a
lui. Non a caso sentì una serie di spari che confermarono la sua supposizione.

Si fermò circa mezzo kio prima in mezzo al mare, vicino alla riva, ed attivò i
sistemi di agganciamento al fondale che fecero sprofondare la barca per far sì
che non fosse visibile a nessuno.
Velocemente sorpassò la vegetazione, dove notò i primi indizi di
combattimento. I colpi di arma da fuoco provenivano sicuramente dalla città
più vicina. Studiando infatti la zona, formulò una possibile direzione dalla quale
provenivano i raggi energetici e si mosse verso di essa.
Poco più avanti, oltre una collinetta, vide quella che all’apparenza era una torre
di difesa in parte distrutta. Era chiaro che si trovava in una base militare.
Dopo aver sorpassato l’ultimo albero, notò una bandiera sventolare dalla
facciata posteriore della torre: si trattava della Ignika. Il rosso opaco che
contornava la maschera avrebbe traumatizzato qualsiasi ribelle Parenga, specie
dopo quanto successo fino ad alcuni mesi prima.
A quanto pare, però, non si poteva dire lo stesso dei gruppi ribelli che
Hydraxon avvistò all’interno della cittadella, subito dopo essersi nascosto
furtivamente tra le macerie. Ognuno di loro apriva il fuoco con la disperazione
rabbiosa che fuoriusciva dai loro occhi.
Durante lo scontro a distanza, uno di loro fu colpito al petto. Alcuni dei suoi
compagni se ne erano accorti, ma solamente uno si fermò a soccorrerlo. Gli
altri erano talmente trasportati dall’odio per il nemico che se n’erano
completamente dimenticati. Vedendo che ora il lato destro era completamente
scoperto, cambiarono posizione dandosi copertura a vicenda, e talvolta
lanciando qualche scudo a proiezione sul terreno.
Hydraxon voleva intervenire, o comunque studiare un piano d’azione, ma non
riusciva a non soffermarsi sulle espressioni facciali dei Parenga. Ognuno di loro
era corroso dalla disperazione, a quei tempi l’unico mezzo al quale quasi
chiunque poteva aggrapparsi.
Di chi ci si poteva fidare sennò?
Di Helryx, e quindi di un ipotetico giorno in cui la destinazione raggiunta dal
Robot gli avrebbe donato la pace stessa? Oppure con Artakha, che da mesi
aveva bisogno di recuperare i suoi ormai limitati poteri? Anche i Toa Hagah e
Toa Varian, che non potevano ancora mettere piede fuori dall’isola del Grande
Essere finché il Marendar era ancora in circolazione. Certo erano ancora
scoperti, ma Artakha sapeva che la macchina anti-Toa difficilmente si sarebbe
fatta come suo nemico (o forse no?).
In quel periodo, l’abbandono del concetto di bene e di male accomunava ora la
maggior parte degli individui presenti all’interno del Robot, chi con l’obiettivo
di sopravvivere, e chi invece con addirittura un vano tentativo di fuga.
Ma ora Hydraxon doveva smettere di pensare. Purtroppo c’era ancora una
parte di lui che non si era completamente abbandonata nell’apatia che lo
accompagnava da giorni. Dopo aver scrollato la testa, contò il numero di
individui presenti sul campo da battaglia. Chiaramente prese in considerazione
il fatto che quel numero sarebbe potenzialmente diminuito da un momento
all’altro.
Si spostò allora da un edificio crollato verso un veicolo distrutto in mezzo alla
strada. Per un momento rimase sorpreso quando, una volta vista la facciata
posteriore del mezzo, realizzò che si trattava di un carro armato. Non aveva
mai visto qualcosa di simile e all’apparenza così potente nella milizia
dell’Ordine. A quanto pare la mancanza di esseri potenti come gli agenti stessi
si stava facendo sentire già prima dell’attacco di Darkness.
“Nemico avvista- AAAAAHHH!” sentì poco più a sinistra.
L’esplosione travolse un terzo dello squadrone ribelle, che fino a quel
momento era riuscito a far fuori circa l’intera base nemica.
Ad un certo punto, però, Hydraxon vide uno dei Parenga fare il giro della
trincea per recuperare l’ultima scatola di munizioni al plasma, ma quando si
voltò incrociò lo sguardo del cacciatore marino.
Per un attimo i due si gelarono. Hydraxon si sorprese dell’armatura
semidistrutta e delle modeste ferite che il Matoran ribelle riportava. Il Parenga
l’aveva riconosciuto all’istante, credendo subito che il compito dell’agente fosse
quello di prenderli da dietro di soppiatto. E proprio mentre stava per gridarlo
ai suoi compagni, fu colpito in pieno petto da un coltello volante. Il punto era
stato accuratamente studiato dall’ex cacciatore marino per far sì che costui
cadesse col corpo apposta all’indietro, nascosto da un muro, cosicché i suoi
compagni non potessero vederlo.
Per Hydraxon era arrivato il momento giusto. Fece un respiro profondo,
cercando di sommergere la personalità di Dekar per qualche secondo, giusto il
tempo necessario per fare fuori quattordici Parenga.
Prese la corsa con le sue lame alla mano. I rilevatori che i Parenga erano
riusciti a rubare nella base Ruhnga non funzionarono (anche perché Hydraxon
disponeva ancora delle tecnologie degli agenti per risultarne invisibile), e per
l’ex guerriero dell’Ordine fu tutto più facile. Nessuno dei ribelli se ne accorse.
Non avevano sentito nemmeno le urla di dolore dei commilitoni.
Dall’altra parte, come per reazione, i Ruhnga si sorpresero del fuoco nemico
improvvisamente interrotto.
“Hitukha, avvio scansione.”
“Ricevuto... Ma... non è possibile!”
“Cosa succede?”
“I nemici... sono tutti morti?!”
Il caposquadra ordinò una scansione a rete dell’area per assicurarsi l’arrivo di
nuovi nemici dalle spiagge dell’isola, ma non arrivò nessuna risposta.
“Allora? Quanto ci vuo-” si gelò.
Hydraxon era lì, con una macchia di cadaveri dell’Ordine alle sue spalle.
Stranamente l’ex agente non gli puntò la lama al collo o lo minacciò con le
parole. Bastò solamente il suo sguardo, che alla vista del Ruhnga era a dir poco
spaventoso a giudicare dal colore degli occhi, adesso di un rosso spento
penetrante.
Si avvicinò al Ta-Matoran e lo guardò per qualche secondo dalla Kanohi ai piedi
prima di dire: “La riconosco, sai? Quella che provi... Paura... Anche io sono
stato una sua vittima quando ero Matoran. Siamo piccoli a confronto con il
nemico, o peggio ancora con chi ci difende... ma io non sono qui per perdere
tempo con qualche stupida morale. Ho smesso di nascondermi...”
Il Ruhnga non oppose la minima resistenza. In realtà una parte di sé voleva
aprirsi e cercare di capire chi fosse veramente, ma la presa possente dell’ex
cacciatore marino gli fece sbattere la testa ripetutamente contro lo scudo di
uno dei defunti. Il suo liquido vitale iniziò a fuoriuscire sporcando le mani di
Hydraxon.
“PERCHÉ LE ARMATE DELL’ORDINE SI STANNO ANCORA MUOVENDO
NELLE ISOLE MERIDIONALI?! CHE FINE HANNO FATTO GLI ALTRI
AGENTI?!” parlò per qualche secondo la coscienza di Hydraxon, che sperava
di riunirsi con gli ex compagni in futuro.
Il Ta-Matoran, appeso ad un muro, rispose dolorante: “Osi p-picchiare...
un t-tuo s-simile...”
Dekar, anzi, Hydraxon si sentì preso in giro. Gli occhi tornarono gialli e tirò
subito uno schiaffo potente al Matoran. “RISPONDI!”
Il caposquadra dell’Ordine aveva lo sguardo fisso nel vuoto, ormai privo di ogni
speranza.
“Gli Eroi... d-dovevamo... a-aiutare gli Eroi a r-ripulire l-le Isole Meridionali
subito dopo l’alleanza c-con loro... m-ma il nostro g-gruppo è a-andato in
avanscoperta. Noi s-siamo qui da d-due...”
“DA DOVE VENIVANO?! DOVE SONO LORO?!” ma non ebbe risposta, e
allora lo agitò nuovamente. “DOVE SONO, LURIDO SERVO DI HELRYX?!”
Questa volta era la morte che gli rispose.
Dekar riprese il controllo e capì di aver esagerato, ma ciò non lo fermò
comunque da una serie di calci ripetuti dietro alla testa del Ta-Matoran, che fu
schiacciata come sfogo.
Alla sua sinistra vide una pozzanghera. Voleva avvicinarsi per vedere di che
colore fossero gli occhi siccome non aveva ancora capito in che momenti le
due entità spirituali prendevano sopravvento.
Non ci riuscì. La testa gli stava scoppiando.
In quel momento si rese conto che non c’era tempo da perdere, e che doveva
continuare il suo cammino. Così, approfittando dell’assenza prolungata delle
catastrofi naturali, tornò alla barca, e impostò come prossima meta l’isola più a
nord.
Le risposte che cercava sarebbero dovute arrivare assolutamente, meglio
ancora se da un Eroe in persona...
Un gruppo di guerrieri stava correndo più in fretta che poteva. Da poco erano
usciti dalla Foresta degli Arbusti in rubino, a nord di Artidax. Di fronte si apriva
una terra rocciosa caratterizzata da larghi appezzamenti in pietra che
galleggiavano su un manto di nubi azzurre. Secondo le voci di alcuni
esploratori, non si sapeva ancora quale mondo si nascondeva al di sotto di
quella nebbia...
“Forza, sorelle!”
“Dobbiamo fermarci, Vokhai! Duaris non ce la fa più!”
“Ganakh ha ragione, troviamo un riparo!”
Erano quattro Toa. Due di loro, Ganakh e Atu, stavano trasportando il Toa
della Gravità Duaris mentre venivano guidati dal Toa del Fulmine Vokhai.
Quest’ultimo proveniva da una dimensione parallela, dalla quale fu prelevato
grazie al potere dell’Essere dorato, che lo mise a suo servizio all’interno della
Realtà del Creato. E fu proprio in quel mondo padre che il Toa incontrò i
restanti membri del suo team. Tutti e tre erano dei Matoran provenienti dallo
stesso universo, e resi Toa da una misteriosa fonte di energia che li colpì
durante l’attraversamento del portale dimensionale.
Quando poi scoppiò l’anomalia dimensionale durante la battaglia finale tra le
armate di Helryx, Tuma e l’Oscuro, vennero tutti catapultati su Spherus
Magna.
I quattro guerrieri furono assunti con la piena approvazione della Toa a capo
dell’Ordine, che non scelse neanche di metterli alla prova. Qualcosa in lei la
convinse a fidarsi quasi ciecamente.
Col passare dei decenni, una volta fatto ritorno nel Robot, i quattro
ricevettero il compito di assistere gli Eroi subito dopo l’alleanza con Makuro.
L’improvvisa esplosione della Stella Rossa, però, gli fece cambiare i piani,
soprattutto quando scoprirono l’effetto della barriera anti-Toa.
Senza che le forze della Mano di Artakha se ne accorgessero, i Toa si
rifugiarono vicino Artidax, dove rimasero bloccati a causa delle devastazioni
naturali.
Un giorno, però, mentre si stavano accordando su come poter tornare su
Mata-Metru senza farsi avvistare dal nemico, capitò che Toa Duaris fu
improvvisamente centrato al petto. Un raggio invisibile (talmente era elevata la
velocità del colpo) gli sfiorò il cuore bionico, impedendogli di poter reggersi in
piedi da solo. Probabilmente il nemico aveva scelto quel punto apposta per
impedirgli di scappare. Credendo che si trattava di un cecchino in
avanscoperta, decisero di arginare gli ostili per raggiungere l’isola più vicina,
con la speranza di incontrare qualche alleato.
Vokhai si girò in continuazione nella direzione opposta. Mancava poco alla loro
barca. Un leader come lui non poteva assolutamente abbandonare la squadra,
soprattutto in quel momento critico.
Così corse verso Duaris e se lo caricò da solo in spalla. “Vieni, Duaris, ci penso
io a...” non finì di parlare: la testa del Toa della Gravità esplose all’istante.
Toa Ganakh andò nel panico. Vokhai, inorridito, lasciò cadere il corpo del
compagno come se fosse la carcassa di qualche Rahi.
Atu aveva l’espressione più inquietante. Fu l’unica ad accorgersi di un individuo
fuori-emergere dalla nebbia azzurra, che come una forza invisibile tentava
inutilmente di trascinarlo dentro di sé.
Continuò a muoversi per qualche secondo, finché non si arrestò senza dire
nulla. I dati raccolti dal suo radar segnalavano la presenza di altri tre Toa, e
questo poteva dire una sola cosa: bersagli.
“Oh no... ci ha trovati.” si rassegnò Ganakh.
Vokhai non aggiunse altro e le lanciò un oggetto dalla forma irregolare. Le due
Toa dell’Acqua compresero che si trattava della chiave per accendere la barca
dell’Ordine, la barca Kaipuke, progettata apposta per i guerrieri di Helryx.
“Andate! Sapete cosa dovete fare!”
Ganakh si oppose: “Non se ne parla!”
“E’ un ordine, sorella!”
Atu, testarda addirittura più di un certo Toa Tehutti, si infischiò del litigio
momentaneo tra i due, e si lanciò all’attacco.
La macchina bionica agganciò il bersaglio con lo sguardo, e preparò la sua
cartuccia. Sfortunatamente non fece in tempo e Atu lo scaraventò nuovamente
nella nebbia con una potente onda.
I tre Toa erano circondati, così si misero schiena contro schiena.
“Ganakh?”
“Procedo, Atu.” e attivò la sua Akaku.
Si guardò attorno diverse volte, quando all’improvviso furono scossi da un
terremoto. Abbassando lo sguardo, notò che il Marendar si stava muovendo
scavando sotto terra. Non fece in tempo a dirlo che questo sbucò dal terreno
spaccando la guardia dei tre guerrieri ed afferrando la maschera di Ganakh,
distruggendola poi in frantumi.
Infine, per non dare il minimo tempo di reazione agli altri due, afferrò uno dei
coltelli in Araidermis che portava sulla schiena, e lo infilzò nella gola della
preda. A quel punto non era necessario proseguire il combattimento con la
Toa dell’Acqua.
Il contrattacco arrivò immediatamente da Atu, ma questa volta il Marendar
materializzò non un muro, bensì una gigantesca torre di lava che schiantò poi
sui due Toa, i quali non furono schiacciati per poco.
Atu più dei due era quella che aveva rischiato maggiormente. Ed era proprio lei
il prossimo obiettivo del Marendar, che non perse tempo e le sparò col suo
fucile personalizzato una serie di cartucce antagoniste al suo elemento.
Per la Toa fu molto difficile schivare i raggi energetici, soprattutto l’ultimo che
le arrivò di soppiatto, e che fu prontamente neutralizzato dal Toa del Fulmine
Vokhai.
Il leader voleva a tutti i costi dirle di scappare, ma ecco che la macchina anti-
Toa li attaccò di nuovo.
Le abilità di Vokhai gli permisero di tener testa contro gli attacchi ripetuti della
spada in Araidermis.
‘Non ce la faremo mai, maledizione!’ esclamò dentro di sé Atu.
Inutile dire che persino gli attacchi psichici che Vokhai imparò in passato dagli
agenti dell’Ordine non diedero frutti. Forse dietro a quella macchina c’era una
mente come in tutti i Biomeccanici. Evidentemente si stava sbagliando. Ne
avevano provate di ogni.
“Adesso basta...” gettò la sua arma a terra Atu. “Avvio un’esplosione Nova!”
“Cosa?!”
“E’ l’unica scelta, Vokhai. Presto, concentra tutta l’energia nella tua Hau!” e
sapendo che il Marendar non le avrebbe lasciato altro tempo, concentrò le sue
forze il più velocemente possibile.
E proprio mente stava rilasciando il botto, sua unica speranza rimasta, uno
strano aggeggio si appiccicò al petto, creando una bolla esterna.
Il Toa del Fulmine vide gli ultimi istanti di vita di Atu che provò a liberarsi dalla
trappola, per poi esplodere in una pozza di liquido vitale all’interno della sfera,
progettata apposta per invertire l’effetto delle Esplosioni Nova.
Restava solamente un bersaglio adesso...
Tutta l’audacia che aveva guidato Vokhai e il suo team fino a quel momento si
spense completamente. Non avrebbe mai pensato che il Marendar fosse così
forte. Già le dicerie che giravano su Spherus Magna poco prima del Risveglio
erano modeste. Inoltre la macchina era sorprendentemente silenziosa, quasi
più del suo nuovo “padrone”...
“Va bene.” parlò il Toa del Fulmine facendo oscurare il cielo istantaneamente.
Il Marendar comprese subito che il nemico stava avviando un contrattacco, così
si lanciò su di lui. Un fulmine possente generò un’ampia crepa tra lui e Vokhai.
L’appezzamento in pietra sul quale avvenne lo sterminio delle due Toa
dell’Acqua fu così scisso a metà. Dall’altra parte, un quieto Vokhai alzò la mano
e fu colpito da due lampi, che si tramutarono in due spade elettriche.
Secondo i radar Mana del Marendar, utilizzati anche dal Teridax lucente e dai
legionari all’interno della Realtà del Creato, la potenza del Toa era salita alle
stelle. Questo di certo non era una buona notizia, anche perché tra tutti i Toa
che aveva ucciso fino a quel momento, nessuno di loro era portavoce del
Fulmine.
Iniziò dunque uno scontro all’inizio piuttosto placato. Entrambi stavano
studiando le contromosse avversarie, in particolare Vokhai.
Per il Marendar si trattava della solita pre analisi per quando incontrava un
nuovo elemento. Quelli a sua disposizione fino a quel momento erano Fuoco,
Plasma, Ghiaccio, Acqua, Aria, Terra e Psichico. L’utilizzo dell’ultimo fu scartato
a prescindere nel momento in cui Vokhai rilasciò qualche offensiva mentale.
La lotta tra i due iniziò solamente con un continuo rumore di spade che
sbattevano l’una sull’altra: le due spade-fulmine di Vokhai contro quella in
Araidermis del Marendar.
In più, diverse volte il Toa riuscì a sganciare qualche pugno ben assestato sul
volto della macchina, che ovviamente non reagì dolorante. Per il momento la
velocità conferita dal Fulmine risultava di gran lunga maggiore a quella del
Marendar.
Vokhai però non sapeva che il robot si stava solamente scaldando.
Quando poi la macchina raggiunse il limite di sopportazione, si allontanò,
digitando una serie di tasti sull’avambraccio ed azionando il meccanismo
Kakama.
Ed ecco che la lotta si evolse in uno scontro perpetuo di saette da una parte
all’altra. Forse con l’utilizzo della Vahi sarebbe stato possibile vedere i due
abbattersi sull’altro giusto per qualche millisecondo.
Più di una volta il Toa si allontanò per tramutare le saette celesti in nuove armi
subito dopo che il Marendar gliele distruggeva. Prima provò con le spade, poi
con una lancia, successivamente con dei coltelli, e infine con delle asce. Per
ultimo creò una sorta di lanciatore potenziato, col quale avrebbe perso un po’
di tempo per mirare il Marendar nel tentativo di prendergli qualche punto
vitale. Anche questo tentativo si rivelò inutile.
Privo di idee, Vokhai restò a fissarlo per un attimo, sorpreso del fatto che il
Marendar non lo attaccò. Stava semplicemente attendendo la sua prossima
mossa, forse questa volta con qualcosa di più grande.
“Ti accontento subito...” gli disse.
Basta con le armi. Basta con i poteri della Kanohi. Ora rimase a mani nude,
con una moltitudine di fulmini che lo circondavano.
Il Marendar accettò la sfida. Impugnò la sua spada e rimase immobi-

CLANG!
Il Toa partì subito abbattendosi con l’intero corpo, trasformato ora in lampi
elettrici, sulla lama nemica. La macchina anti-Toa parò senza problemi.

Proseguirono addirittura per mezz’ora. Tutto rientrava nella strategia del
Marendar. Il valoroso Vokhai iniziò a prendere i primi colpi molto pesanti in
alcuni punti. Così facendo, il Marendar si assicurò che la muscolatura fosse la
prossima componente ad abbandonarlo dopo i suoi poteri. Per la prima volta,
però, la macchina robotica si trovò dinanzi ad un avversario sicuramente
interessante, ma nulla di più...
Ad un certo punto, il Marendar era palesemente scoperto sul lato destro.
Vokhai alzò il braccio, carico di elettricità come non mai, e fece per infilzarlo,
ma un tremolio irregolare lo fece arrestare a qualche millibio dal costato
avversario. Subito fece un balzo all’indietro per anticipare un’eventuale
contromossa. Anche le gambe però iniziarono a cedere.
Cadde a terra, il respiro irregolare ed affannato. Non gli era mai capitato.
Lentamente il Marendar si avvicinò alle sue prede.
Partì dalle due Toa dell’Acqua: con un coltello speciale incise la classica X sulla
schiena delle guerriere, riuscendo così ad assorbire la loro Essenza elementale.
Poi toccò a Vokhai. Prima di morire, sapendo anche che al Marendar
interessava poco di ciò che stava per dire, cantò in rima e con orgoglio:
“Corri, corri, nemico dei Toa, corri! Certo nessuno avrà dei limiti da porti! Ma
un giorno, quando i nostri esseri fluiranno nell’Unico, sarà tutto più facile e di
noi non avrai più l’immagine! Non avrai nemmeno nemici in file, poiché sarà
costui la tua fine!”
La macchina lo afferrò per il collo molle. Fece un’incisione sulla gola per
ucciderlo definitivamente, e lo girò poi di schiena assorbendo il poter del
Fulmine dentro di sé...
Hydraxon aveva appena finito di rovistare nei magazzini della base Ruhnga.
Oltre a qualche provvista e delle casse di munizioni, trovò una serie di mappe e
di tavolette in cui venivano mostrate quelle che sarebbero dovute essere le
prossime mosse dell’Ordine dopo la rinascita del Robot su Voya Nui.
Leggendo attentamente, capì che ciò che aveva detto il caposquadra Ruhnga
era vero: l’Ordine avrebbe supportato gli Eroi nella riconquista delle Isole
Meridionali, e viceversa. Successivamente gli Eroi ne avrebbero preso il
controllo, lasciando però spazio ai due Toa Metru Ehrye ed Orkahm per i
domini biomeccanici.
Tuttavia, non era questo il vero obiettivo del cacciatore, cangiante da un
momento all’altro.
Dekar e Hydraxon, due coscienze contrastanti, volevano intraprendere due
percorsi diversi, ma sembrava esserci un punto in comune, che andava oltre la
corporatura possente e che iniziava a risentire dei disturbi mentali.
Molto spesso, durante la ricerca, sfogò la sua ira tirando dei pugni al muro
oppure calciando la prima cosa che gli capitava sotto occhio, segno che le due
personalità stavano cercando di sovrapporsi l’una sull’altra. Quando Dekar
prendeva coscienza degli atti commessi fino a quel momento da Hydraxon,
doveva assolutamente sfogarsi per non essere riuscito a controllarlo.
Probabilmente la sua rabbia repressa poteva competere solamente con quelle
dei defunti Toa Metru messe assieme.

Non trovò nient’altro di utile, nemmeno qualche informazione sugli agenti.
Suppose quindi che quello squadrone era stato mandato sull’isola prima della
rinascita del Robot, con l’ordine di costruire una cittadella militare per i
prossimi sbarchi. Così uscì dall’ultimo magazzino e tornò alla barca.
Una volta salito a bordo, diede un’occhiata alle coste d’istinto. L’unica cosa che
vide gli fece scattare qualcosa in lui: alzò il braccio e col suo Blaster fece fuoco
sulla bandiera dell’Ordine che sventolava dalla torre in parte distrutta,
centrando alla perfezione il disegno della Ignika.

Proseguì per le acque del Mare d’Argento, avvistando lo stesso isolotto che fu
protagonista della morte del team di Toa Tagahri per mano del Marendar.
La paura iniziò a farsi sentire, nonostante la grande quantità di rabbia con la
quale poteva affrontare pressoché chiunque.
Azionò la leva alla sua destra per cambiare direzione, ma la vista di un
individuo col mantello sull’isolotto lo fece fermare. Aveva già visto qualcuno
con l’aspetto simile in passato e non poteva lasciarselo sfuggire.
Avvicinandosi si accorse che il sospetto stava ispezionando i cadaveri dei Toa.
“Chi sei?!” gli disse da dietro mentre prendeva la mira.
“Ho già visto quell’arma.” disse l’individuo senza nemmeno voltarsi. “E anche
quelle lame.”
Hydraxon si immobilizzò.
“Sembrava ieri che ti vedevo gironzolare per le stanze dell’Ordine adempiendo
ai tuoi doveri quotidiani.”
Il cacciatore marino ebbe la conferma che non poteva che trattarsi di un solo
individuo: “Darkness... che cosa avete combinato tu ed Helryx?! Parla, o giuro
che ti frantumo quella finta Kraahkan che porti!”
“Chi è Darkness?” rispose lo straniero.
“NON MENTIRE! Sei l’unico che attraverso l’ombra ha spiato per anni noi
agen-” si arrestò quando vide il suo interlocutore girarsi mostrando il viso.
“Johmak?! Ma che fine... h-hai f-fatto?”
La guerriera lasciò parlare il suo silenzio. C’era qualcosa che la disturbava. Si
approssimò e fece passare la mano sull’elmo di Hydraxon, notando le nuove
tonalità dell’armatura, soprattutto gli occhi vermigli alternarsi in continuazione
con un giallo acceso.
“Che cosa ti è successo?” gli domandò.
“Nulla, perché? Cosa c’è che non va?! Tu piuttosto dove sei stata fino adesso?”
ribatté un po’ infastidito.
Johmak abbassò lo sguardo. “E’ passato tanto tempo. Son cambiate troppe
cose. Tutti voi siete cambiati. La tentazione della conoscenza vi ha corrotti.”
“Cosa?! No, Johmak! Io non sto dalla parte di Helryx!”
L’ex agente lo guardò inorridita. Hydraxon non sapeva cosa dirle. Fece per
avvicinarsi, ma la guerriera rispose materializzando il suo scudo e mettendosi in
guardia. “Tu non sei Hydraxon... e quella che ha causato tutto ciò non è
Helryx... VOI NON SIETE L’ORDINE DI MATA NUI!”
“No, non è così, Johmak! Cerca di capire!”
“Sono tornata sul Robot il giorno del Risveglio per capire cosa avreste
combinato, ma non ho ricevuto altro che delusioni...”
“Lo so, Johmak, lo so! Ma devi... AAAHHH!” la testa iniziò a fargli male.
Dekar aveva lasciato troppo spazio ad Hydraxon fino a quel momento. Era
giunto il momento di farsi sentire. Con voce autoritaria parlò convinto: “Io
non servo Helryx. Non l’ho mai fatto. E’ stata quella maschera la mia rovina. Se
potessi, la distruggerei con le mie mani!”
Johmak accigliò lo sguardo.
“Pensi che mi faccia piacere vedere quello spettacolo alle tue spalle?” le indicò i
cadaveri Toa. “Li conoscevo. Uno per uno si erano ribellati ad Helryx, e come
me furono cacciati da Mata-Metru, con l’obiettivo in comune di ribaltare un
giorno questa maledetta tirannia.” disse, e gli occhi tornarono quelli di prima.
Johmak capì che qualcosa o qualcuno stava tormentando la mente di
Hydraxon. Forse portandolo con sé avrebbe potuto scoprire qualcosa di più, e
magari come curarlo. Non era la prima volta che incontrava individui con
problemi psico-fisici.
Dopo qualche secondo, parlò facendo finta di fidarsi: “Non è la prima X che
vedo sulla schiena di un Toa.”
Hydraxon spalancò gli occhi senza dire una parola.
Johmak, in cerca di conferme, insistette. “Non credevo che Helryx potesse mai
essere capace di questo...”
“Non è stata colpa sua.”
La guerriera lo guardò stranita. “E chi è stato allora? Che diamine sta
succedendo a questo mondo, Hydraxon?!”
Lui si sedette su una roccia vicino al cadavere di Toa Ikani e spiegò rassegnato:
“Le dicerie degli Agori erano vere, Johmak. Il Marendar esiste per davvero.”
“Mata Nui...” si spaventò. “E come facciamo a fermarlo?”
“Non si può fermare, credimi. L’ho visto coi miei occhi. La sua potenza è
ineguagliabile. Anche con tutti gli agenti dell’Ordine schierati contro, sarebbe
in grado di sconfiggerci in un battibaleno.”
“Forse col potere della Ignika però...”
“Forse col potere della Ignika nulla, Johmak! Qualcosa di insidioso risiede
nuovamente in quella maschera. E’ maledetta! Noi non possiamo fare nulla
contro di essa. Va distrutta... in un modo o nell’altro.”
“Come pensi di farlo? E i Toa? Li abbandoni così?”
“E chi ti ha detto che i Toa vanno aiutati?! Aiuteresti chi si è macchiato del
genocidio di migliaia di Matoran?! Aiuteresti chi si è lasciato andare di fronte
all’alleanza di due mostri che non desiderano altro che potere?!”
“Non capisco a cosa ti riferisci...”
Dekar rispose altro: “Tu, piuttosto, come osi ribattere?! Ci hai abbandonati
assieme ad altri! Credevate seriamente che una minaccia al pari di Teridax non
potesse mai tornare? Bene! Guardati attorno! Guardali, Johmak! Guarda a cosa
hanno condotto le vostre scelte!”
Con una velocità incalcolabile, fu ribaltato e minacciato dalla guerriera con lo
scudo. “Io non vi ho abbandonati. Voi avete abbandonato voi stessi. L’Ordine
può conquistare anche un mondo intero senza Johmak o con qualche membro
in meno.”
Lo fece poi alzare in piedi e tornò ad esaminare i cadaveri.
Infine disse: “Se non altro con loro ci è andato meno pesante.”
“Cosa intendi dire?”
“Qualche giorno fa assistetti allo scontro tra un gruppo di Toa e il Marendar.
Credevo fosse una sorta di creatura proveniente dalla Realtà del Creato, per
questo non lo riconobbi. Uno di loro lo tenne impegnato per parecchio
tempo, ma gli altri... gli altri caddero subito. Neanche i Makuta erano così
spietati...”
“Sicura che fosse un Toa l’avversario più duraturo?”
“Era un Toa del Fulmine. Non capisco però per quale ragione la macchina non
abbia utilizzato il suo stesso potere per assorbirlo come ha fatto con altri…”
Rifletterono per qualche minuto, finché: “Almeno l’ultima volta non era solo a
festeggiare.” ironizzò Johmak.
“Hai visto qualcuno con lui?”
“Si, Hydraxon. Veramente lo stava seguendo.”
“Chi era?” domandò con ansia.
“Non saprei. Portava un mantello nero e un elmo piuttosto strano. Sembrava
una sorta di... Kraahkan.”
Hydraxon/Dekar si alzò immediatamente in piedi. “Dove sono diretti?!”
“Vorrei proprio saperlo. Ero in procinto di seguirli, ma una devastazione
naturale mi ha obbligato la ritirata.”
“Diamine, Johmak! Da quando una come te si fa spaventare da una tempesta di
passaggio?!”
Johmak fece per rispondergli a dovere, ma sentì un pizzico sull’avambraccio:
era una goccia acida.
“Siamo scoperti. Presto, prendi!” gli lanciò una cintura dalla forma circolare.
“Che cos’è?”
“Mettila e basta!” e dopo averne indossata una tutta sua, uno scudo bluastro
trasparente si materializzò sulla testa. Le sostanze acide colarono subito ai
margini senza mai toccare il corpo della guerriera.
In assenza di alternative, Hydraxon/Dekar fece lo stesso.
“Vieni con me. Ho lasciato la mia imbarcazione Kaipuke dietro quella scogliera.
Torniamo alla mia abitazione, prima che finiscono le batterie.”
“Non se ne parla!” si oppose il cacciatore marino. “Posso venire anche con
la...” si girò per indicarle la sua barca, ma non restò altro che un ammasso
metallico sciolto a metà.
“Comandante Gobbs.”
“Si, soldato?”
“E’ appena stato convocato ad un incontro militare con i generali. L’attendono
al sesto piano.”
“Va bene, digli che arriverò tra non molto.”
“Subito, signore.”
L’Eroe del Recon Team stava avendo un dialogo con Rocka, che si sorprese di
non essere stato convocato, dato che anche lui faceva parte della squadra.
“Vedrai che non sarà nulla di che, Rocka.” lo rassicurò Gobbs, conosciuto per
essere un gigante buono, ma micidiale in battaglia. “Si tratterà delle ultime
razioni di materiale proveniente dal tallone sinistro del Robot, o come lo
chiamano da queste parti insomma...”
“Come? Le ultime razioni?”
“Si, sono già terminate.”
Rocka, incredulo, tentò di darsi una spiegazione e Gobbs lo comprese. “Non
siamo noi che siamo stati veloci, ragazzo. Sono anche i materiali che ci sono
rimasti. Di giorno in giorno scarseggiano. In più, se vogliamo mantenere questo
Quartier generale il più intatto possibile, dobbiamo assicurarci che le altre basi
militari siano abbastanza protette e ben difese.”
“Quindi non occupiamo più i luoghi nel piede del Robot?”
“E’ meglio avere tutto sotto controllo qui alla base e nelle zone circostanti. In
questo modo saremo più pronti a rispondere al nemico nel caso in cui... beh,
hai capito...”
“Non dirai sul serio, vero? Credi davvero che un giorno potremmo ritrovarci
assaliti dalle forze nemiche?” si stupì Rocka, che nutriva grande fiducia nella
potenza bellica Hero rimasta.
“Purtroppo è un rischio considerabile. Anche se stiamo riuscendo a strappare
alcuni territori sia da una parte che dall’altra, il numero di Eroi che perdiamo al
giorno è fin troppo alto. Stormer dovrebbe mettersi in testa che non ha più
senso proseguire questo conflitto, e annullare immediatamente la Battaglia dei
Nove. Credono che una straordinaria fonte di energia sia presente all’interno
di quella cupola gigante che i Matoran chiamano Codrex. Secondo i nostri
esperti ci permetterebbe di rinnovare gli Hero core e fabbricare tanta bella
roba a nostro favore. Senza volerlo, però, siamo capitati in mezzo a una guerra
a più fronti. E’ comprensibilissimo il senso di vendetta nei confronti di Makuro,
ma dobbiamo anche capire che le cose potevano e dovrebbero andare
diversamente.”
Rocka capì che il compagno aveva ragione. Fece per rispondergli, ma dalla radio
di Gobbs si sentì: “Allora, Gobbs, ti muovi? Stiamo aspettando solamente te!”
“Si, Puck, arrivo.” e guardò l’Eroe dorato. “Non una parola con gli altri su
quello che ti ho detto. A volte è meglio nascondere la dura verità. Speriamo
solamente che chi è al comando possa cambiare idea...”
Così Rocka rimase solo nel corridoio. L’unico rumore che sentiva erano le voci
in lontananza dei funzionari al Centro missioni. Cominciò allora a passeggiare,
per riflettere meglio su ciò che l’Eroe gli disse.

Gli capitò di giungere nella stanza in cui venivano organizzate le missioni del
Recon Team, con tanto di cartine digitali. Ricordò fin da subito con grande
gioia la diligenza con la quale Fortis spiegava i vari obiettivi o le mosse da
attuare nel corso delle spedizioni.

I suoi pensieri lo fecero proseguire fino al piano inferiore, e si fermò davanti ad
una porta che conosceva abbastanza bene. Prese la chiave magnetica e aprì
l’ingresso, trovandosi di fronte al buio più totale. Premette poi l’interruttore,
per illuminare il prigioniero della stanza.
“Che sorpresa...” disse Nokama con ironia.
Il guerriero Hero non fiatò. Dentro di sé si stava quasi pentendo, anche perché
non era concesso interrogare i prigionieri senza averlo comunicato al comando
centrale.
“Allora? Non hai nulla da dire? Sei passato da essere grezzo e irascibile alla
tenerezza di un piccolo Gukko.” continuò la Toa.
L’Eroe dorato rispose con una domanda: “Qual è lo scopo di Helryx da quel
che ricordi quando eri Turaga?”
Era palesemente confuso. Troppi pensieri per la testa.
“Oh, allora mi credi... A dire il vero non avevamo un vero obiettivo, se non
convivere in pace con gli Agori nella Nuova Atero. All’inizio stava andando...
bene. Poi arrivarono le novità sulla Realtà del Creato e sul nuovo compito dei
Toa Nuva.”
“Realtà del Creato? Intendi quel luogo in cui i Toa Nuva dovevano recarsi per
consegnare la... Ignika, corretto?” disse mentre riprendeva i suoi appunti digitali
sulla storia biomeccanica.
“Si. Non avremmo mai pensato che la loro assenza potesse risultare così fatale
al punto di finire in guerra. Abbiamo perso troppa gente.”
Rocka si fermò. Voleva dirle che gli dispiaceva, ma non poteva dimenticare le
circostanze in cui si trovavano. Si limitò a dire: “Questa è la guerra.”
“Già...” rispose Nokama. “Dovrebbe nascere unicamente a difesa dei deboli e
soprattutto del bene. Ma non sempre è per tale ragione. Non lo è mai. Siamo
tutti responsabili del male che regna, in un certo senso. Tu però... mi sembri
diverso.”
Il guerriero Hero si zittì stupendosi.
Nokama continuò. “Ci sono poche persone in questo mondo che anche se
all’apparenza sono cattive, nascondono in realtà delle virtù forti e degli ideali
da seguire. Sai, ho visto per troppo tempo individui buoni che senza neanche
volerlo servivano i sentimenti più maligni che siano mai stati manifestati.
Matoran resi schiavi dal potere dell’ombra. Fratelli Toa che tradivano la loro
gente. Tu sei uno di quelli che può cambiare tutto questo! Aiuta me e i miei
fratelli, ti prego! Non puoi essere venuto da me senza un valido motivo!”
Rocka levò la sua mano di dosso. “Per chi mi hai preso?!”
“Per un persona afflitta, Eroe. Quella che hai in faccia è l’espressione che
solamente gli orrori della guerra possono suscitare. Voi Eroi siete finiti in un
conflitto che non potete gestire da soli. Non riuscirete mai a sconfiggere una
come Helryx. Se è vero ciò che mi hai detto, l’oggetto che possiede è in grado
di mettere in ginocchio chiunque!”
L’Eroe si alzò allora disperato. “E cosa dovrei fare allora?! Fidarmi di voi come
abbiamo fatto fino adesso con l’Ordine?!”
“Allora perché sei qui?” ribatté zittendolo. “Lasciate fare a noi. Siamo gli unici
che possono e devono rimediare. E’ il nostro dovere, e per compierlo
dobbiamo lavorare in unità, per adempiere poi al nostro destino.”
“Mi hai già fatto la morale su tutte queste fandonie!” urlò Daniel ad alta voce.
Nokama lo guardò rassegnata. Pensandoci bene, però, Rocka si rese conto che
non aveva altre opzioni. Forse per una volta il ribelle che era in lui poteva
portare risultati, e magari convincere Alpha Leader a prendere la strada più
giusta per tutti.
“E come... come potrei aiutarvi?” le chiese per pura curiosità.
La Toa lo comprese e disse un po’ titubante: “Ecco, c’è... un incontro.”
“Un incontro?”
“Si. I tre gruppi in cui ci siamo divisi dovranno rincontrarsi nello stesso tempio
in cui ci eravamo risvegliati tra non meno di due mesi.”
“Dove si trova?”
Nokama fece un respiro profondo, sapendo che molto probabilmente quello
che stava per fare non avrebbe portato nulla di buono. Ma d’altronde anche lei,
come Rocka, era priva di alternative. Non sapeva dove erano Matau e i suoi
fratelli. Forse erano morti, forse vivi, ma non poteva comunque aspettare in
prigionia.
E alla fine parlò...
Era sera.
Le spedizioni diurne si arrestarono. Il freddo tipico delle escursioni termiche
era uno dei segnali di stop. Sulla superficie desertica furono edificate le prime
file di capanne, riservate unicamente, almeno per il momento, a Glatorian e
responsabili ai lavori. Altri gruppi invece si occupavano della raccolta di frutta
Huai dalla foresta di Garal, quella più vicina. Alcuni di loro si avventurarono
addirittura più in là, giungendo ai piedi dell’abbandonata Wha-Nui (o ciò che
rimaneva).
La città, un tempo al centro del cosiddetto “Circolo”, si mostrò chiaramente
più in rovina rispetto alle ultime visite. Per tutto il tempo che comprendeva il
suo abbandono dopo la Seconda Guerra del Nucleo fino ad oggi, nessun
individuo si era avventurato al suo interno, nemmeno le forze di Darkness.
Quella nube tossica, protagonista della sua caduta a opera dei Parenga, impedì
all’Ordine e ai suoi nemici di farci ritorno. A dire il vero, la posizione in campo
aperto in cui si trovava era davvero difficile da mantenere. Per Helryx invece
non meritava ulteriori considerazioni. Preferì piuttosto una nuova Daxia, come
se fosse per tornare indietro nel tempo.
“921... 922... e 923. Bene, ci sono tutti.” affermò l’Agori responsabile della
conta dei lavoratori al termine della giornata.
“Ottimo, Juix.” rispose il suo aiutante, un Le-Matoran. “Avrei scommesso
qualche morte o scomparsa improvvisa fin dal primo giorno!”
“Voi Matoran dell’Aria avete contagiato gli abitanti di Tesara con la vostra
ironia!”
“E’ la nostra filosofia di vita! Dovresti fare anche tu così. Sai, a volte un po’ di
ironia permette di sdrammatizzare e mantenere gli obiettivi in prospettiva,
senza lasciarsi andare in inutili piagnistei come una Ga-Matoran.”
“Si, si, me lo dici ogni volta che te lo faccio notare.”
“Beh, è semplice: perché continui a fare diversamente, eheh!”
“Va bene, ho capito!” si infastidì. “Prendi quella cassa e portala alla carrucola.”
“Hanno già bisogno di materiale?”
“Si, sembra che si sono velocizzati ultimamente.”
“Agli ordini, Toa Tahu...” borbottò il Le-Matoran.
“Che cosa hai detto?!”
“Come? Cosa? Non ti sento, sto entrando nella cavernaaa. Qui si sente solo il
mio ecooo!” riuscì a strappare un sorrisetto a Juix.
Era da tempo che non ne faceva uno. Spesso era troppo preso dal suo lavoro,
per aiutare gli Agori o Matoran che facevano difficoltà, oppure per dare il suo
contributo nelle catene di montaggio.
Si affacciò dalla sua postazione, come faceva ogni volta che finiva il turno a fine
giornata. Nel laboratorio sotterraneo scoperto da Takanuva, le due
popolazioni si distribuivano a livelli concentrici, all’interno di piccole strutture
scavate nella roccia.
Per fortuna pietre artificiali come le Avohkii non servivano più di tanto, dato
che un’estensione a sprazzi di rocce minerarie illuminava in più punti la
voragine. Al centro di essa, in un punto discretamente illuminato da una luce
azzurra, avvenivano le varie discussioni tra i Glatorian e Takanuva. Un giorno
quest’ultimo, quasi per puro caso, scoprì un meccanismo che, quando attivato,
permetteva un isolamento acustico dal resto della voragine. Pensando ancora ai
Grandi Creatori, ipotizzò che si trattava di un luogo in cui costoro
effettuavano degli incontri pubblici, con tanto di opinioni da parte dei loro
collaboratori, ma non riusciva a immaginarsi per quale motivo costruire un
congegno simile.
Prima di andare a riposarsi, fece il solito giro per i vari livelli, assicurandosi che
chiunque stesse bene fisicamente, soprattutto mentalmente. Questo per lui
era un dovere scontato, essendo anche l’unico Toa.
Per primo andò da Giriah ed Uxis, gli unici due rimasti dei protettori delle
Città-Stato. La vita sottoterra non fu per niente facile, soprattutto per Uxis.
Aveva ancora i fantasmi della sua cieca fiducia nei confronti di Pretorius, che lo
portò a nascondere la verità ai Glatorian.
Nei mesi che seguirono la fuga del Robot da Spherus Magna, i sopravvissuti
Glatorian, gli unici a conoscere la verità il giorno in cui Pretorius la tirò fuori
volontariamente, arrivarono difficilmente a perdonare Uxis. Non avrebbero
mai potuto isolarlo, anche perché tutti loro erano i primi ad esserlo. Lui però
andò avanti a darsi contro. Ciononostante fece il massimo per aiutare gli altri,
sentendosi parte di quel misterioso senso di dolore comune che legava tutti i
superstiti.
Giriah al contrario era ormai abituata a perdere cose e persone a lei care. Uxis
di certo non poteva non prenderlo in considerazione come motivazione. Tra le
varie armi di Giriah, forse era proprio il sorriso l’arma migliore. Non c’era
dubbio sul tipo di guerriera che era e che stava diventando, ma sicuramente la
sua indifferenza di fronte al dolore la distingueva più di chiunque altro.
Takanuva poi andò da Kerix e Dinia, amici inseparabili persino nelle liti
giornaliere. Ultimamente i due Matoran allacciarono maggiormente i rapporti
con i Turaga Mahri, che avevano ormai abbracciato gli insegnamenti tipici da
anziano saggio. Ogni sera infatti, come con i Toa Tumaka, si incontravano con
alcuni Matoran per raccontargli delle loro gesta e della morale che traspariva
da esse.
Ciò che più attirava l’attenzione di Takanuva però era Cedaka: non si staccava
per un momento da Turaga Hahli. Gli ultimi anni per lei furono fin troppo
difficili per fidarsi degli altri. Anche il semplice contatto visivo la spaventava.
L’apparente cinismo di Takanuva però si legava maggiormente ai motivi per i
quali lei sapeva che il Robot sarebbe tornato in funzione, e prima o poi li
avrebbe scoperti ad ogni costo.
Per ultimi vide Tarix e Kiina dialogare fra loro.
“...lo so lo so, Kiina, ma dobbiamo darci una sbrigata!”
“Ogni cosa ha il suo tempo, Tarix. Torneremo a vivere in superficie, questo lo
sai meglio di me.”
Il veterano di Tajun prese una pila di fogli e li caricò sul tavolo. “Guarda, il
numero delle risorse di questa zona diminuisce di continuo. Quando finiranno
cosa gli diremo? Che siamo stati sfortunati come dicono quegli anziani canta-
storie? Che tutte le promesse che ci hanno mantenuto i Toa erano al pari degli
escrementi di Skopio?!”
“Se solo tu tornassi con me a Tajun...”
“TAJUN E’ DISTRUTTA, KIINA!” urlò. “Il laboratorio che avevi scoperto sarà
bello che sepolto. Scommetto che i Grandi Creatori sarebbero contenti se lo
sapessero...”
“Ma i livelli di Protodermis energizzato che erano sottoterra...”
“Sono andati anche quelli, non lo capisci?!”
“Interrompo qualcosa?” giunse Takanuva cercando di sdrammatizzare.
Tarix si appoggiò al muro per quietarsi.
Kiina rispose al Toa: “Va tutto bene, Takanuva. Abbiamo solo bisogno di
riflettere su come andare avanti.”
“Si, capisco. Credo abbiate bisogno di un po’ di riposo. Sapete, anche io ero
stacanovista come voi in passato. Non mi ha fatto per niente bene. E’ giusto
che anche gli altri facciano così. Ultimamente li vedo troppo preoccupati. Pare
che la voce sulla mancanza di materiali abbia fatto il giro...”
“E’ un imprevisto che sapremo risolvere, vedrai.” rispose Tarix sforzandosi di
mantenere la calma. Già il fatto che Takanuva glielo stava ricordando non era di
suo gradimento.
“Lo spero, Tarix. Non posso vederli soffrire di continuo.”
Con un filo di rabbia addosso, Tarix si staccò velocemente dal muro e gli andò
vicino. “Cosa proponi di fare allora? Eh?! Sentiamo!”
“Tarix!”
“Tranquilla, Kiina. Sto c-cercando di capire meglio.” balbettò per non
esplodere.
“Non mi stare troppo vicino...” lo minacciò Takanuva guardando alla sua
sinistra.
“No, avanti! Sentiamo, Toa della Luce! Perchè non crei un po’ di luce nei nostri
cuori e ci rendi un po’ felici?!” si prese gioco del Toa, che rispose con un
sorriso.
“Lo trovi divertente?! EH?! QUESTA SITUAZIONE TI FA RIDERE,
TAKANUVA?!”
Kiina si pose tra i due, cercando di allontanare Tarix spingendolo. “TARIX,
FERMO!”
Le urla furono udite quasi da chiunque. Takanuva fece per andarsene, ma fu
fermato dall’improvviso arrivo di Ackar.
Il veterano guardò in faccia a Tarix e Kiina. Poi domandò severamente: “Che
sta succedendo qui?”
“Ah!” esclamò il Toa. “Non è niente di che. Stavamo solamente...” cercò di
dare una spiegazione. Lo sguardo serio del Glatorian lo zittì.
“Kiina, Tarix, fuori.” ordinò l’ex capo dei Villaggi Uniti.
“Ma Ackar...”
“Ho detto fuori.” ripete con tranquillità, dimostrando la sua pacatezza in una
situazione difficile come quella.
Lui e Takanuva rimasero soli. Il veterano si incamminò lentamente verso il
tavolo sul quale Tarix aveva lasciato i dati sulle scorte di Protodermis, senza
dire nulla. Controllò veloce se per caso ci fossero novità.
“Quindi?” domandò impaziente il guerriero lucente. “Cosa c’è?”
“Dimmi, Takanuva... quante volte sei venuto da me a chiedermi notizie, o lo hai
fatto per obbligarmi indirettamente a fare come vuoi?” chiese dopo essersi
seduto.
“Che intendi dire?”
“Credi che sia stupido?”
“Cosa?! Io non credo che tu... senti, abbiamo un obiettivo comune io e te.
Tutti noi lo abbiamo, e cioè ridare la vita alla nostra gente.”
“Ecco! E’ qui che ti sbagli!” alzò il dito Ackar. “Questa non mi sembra proprio
la nostra gente. A me sembra che tu voglia prendere le redini dell’intero carro,
cercando di guidare la TUA di gente.”
“Noi Toa facciamo così. Non c’è bisogno di spiegazioni.”
“Allora prego! Illustrami la tua idea.” disse con una leggera provocazione.
“Così forse riesco a capire per quali ragioni ti allontani dagli impianti di
montaggio ultimamente, girovagando per il pianeta.”
La parte oscura del Toa voleva farsi sentire, ma preferì dire la verità. “Ho
ritrovato... delle tecnologie.”
“Ah, tecnologie! E poi?” ironizzò Ackar.
“Con questo rilevatore potrei rintracciare alcuni agenti dell’Ordine. Ognuno di
noi ne aveva uno. Inizialmente furono progettati per un ipotetico ritorno nella
Realtà del Creato per riportare qui i Toa Nuva, così non ci saremmo persi.
Potremmo trovare i pezzi necessari in ciò che rimane dei laboratori
sotterranei per costruire un mezzo che ci possa permettere di raggiungere i
nostri compagni nel Robot. Hanno bisogno del nostro aiuto, Ackar, non lo
capisci?”
Il Glatorian non ribatté. Prese in mano il rilevatore di Takanuva e lo esaminò
con una certa attenzione.
Poi inaspettatamente lo tirò più forte che poteva contro il muro,
distruggendolo.
Il Toa della Luce era talmente infuriato che non cacciò una singola parola dalla
bocca. Continuò ad osservare minacciosamente Ackar, che dopo essergli
arrivato a pochi centimetri dalla Kanohi gli disse: “Se ne sono andati, Takanuva.
Non torneranno più. Forse è meglio così. Anche se il Robot ha assorbito la
maggior parte del Protodermis rimasto... è meglio così.”
Takanuva continuò a fissarlo.
“Non osare guardarmi così. Sai benissimo che ho fatto la cosa giusta. Lo sai
meglio di me che quella che hai detto è una pazzia, così come quelle che
raccontano i tuoi amichetti invecchiati ogni sera. Se vuoi tornare a combattere
per quei pazzi fai pure, ma non pensare che rischierò nuovamente la vita della
MIA gente. Ne ho persa fin troppa per i comodi di Helryx. Ora noi ci
rialzeremo, che tu lo voglia o no. Non butterò via questa nuova vita che ci
aspetta alle porte, qui, sul nostro pianeta.”
Si voltò di scatto e tornò al tavolo. Aveva già perso fin troppo tempo per
quell’inutile discussione.
Il Toa invece raccolse uno per uno gli ingranaggi del rilevatore sparsi sul
terreno, e prima di uscire giurò su sé stesso. “Troverò i pezzi che i miei padri e
le mie madri ci hanno lasciato, e costruirò un veicolo che potrà portare in
salvo chiunque da questo pianeta morente. Quando avrò terminato tornerò, e
lì vedremo da che parte starà la NOSTRA gente...” e senza aggiungere altro se
ne andò.
Passarono alcune settimane da quell’incontro.
Il Toa della Luce aveva quindi deciso di far vincere il suo orgoglio, il che era
talmente grande che non si degnò nemmeno di portare il rilevatore distrutto
da qualche riparatore per farlo aggiustare.
A dire il vero, prima di andarsene del tutto, si recò di soppiatto nelle capanne
in cui c’erano gli attrezzi e ne rubò alcuni senza farsi problemi. Migliaia di anni
fa aveva già fatto qualche corso da costruttore con Huki, ma l’esperienza non
si rivelò un granché. Ciononostante si ricordava ancora qualche dritta per
aggiustare vecchi rottami. Forse ci sarebbe riuscito con un mezzo super raro e
complicato come quello.
Molti si preoccuparono della sua assenza, in particolare Jaller e compagni. Ogni
volta che chiesero il motivo ad Ackar, egli rispose con una scusa diversa da
quella precedente. A quel punto in alcuni sorse l’idea di cercarlo per
convincerlo a tornare, ma ultimamente l’ambiente si rivelò piuttosto ostile:
tempeste di sabbia, terremoti e infine mulinelli nel terreno obbligarono i
sopravvissuti a prestare maggiore attenzione. Come conseguenza di ciò, le
spedizioni diminuirono notevolmente, lasciando il compito di
approvvigionamento ai Glatorian e agli esperti.
Il buio della voragine e della disperazione tornò così nei cuori delle due
popolazioni in un attimo...
Dopo un mese circa, Takanuva era riuscito a recuperare i primi pezzi per il
veicolo, ma erano davvero pochi. Molte volte (quasi sempre) i passaggi
sotterranei in cui vennero immagazzinate le diverse parti di ricambio per il
prototipo Robot furono completamente sommersi dalla sabbia, e tirarle fuori
era davvero difficile data la loro grandezza e pesantezza. Pare che i Grandi
Creatori fossero riusciti a creare praticamente un mondo sotterra, le cui
entrate però sembravano molto difficili da aprire, o comunque vennero
bloccate dall’interno, quando i padri e le madri fondatrici regnavano ancora
sotto Bara Magna prima di partire.
Il Toa della Luce però non voleva arrendersi. Con quel poco che riuscì a
racimolare, tentò di ricostruire alcuni impianti per sollevare le poche parti
metalliche dal deserto, seguendo le istruzioni rubate. E più ne sollevava, più
grande era il peso che riusciva a caricare con le nuove componenti che
venivano continuamente aggiunte.
Col passare dei giorni e successivamente dei viaggi planetari, dopo essere
scampato ai pericoli che infestavano il globo, iniziò ad avere maggiori difficoltà
nell’accesso ai passaggi segreti, la cui maggior parte era serrata con
l’Araidermis. Non c’era modo di oltrepassarli. L’Ordine non riuscì mai a
scoprirli, avendo anche dei motivi più importanti a cui pensare.
In lui iniziò a fiorire l’idea di abbandonare tutto e di chiedere aiuto a coloro
che erano intenzionati a seguirlo per la costruzione della navicella con quel
poco di cui disponeva.
Ma come poteva? Da quando un Toa aveva bisogno degli altri? Tahu, Lhikan,
Matoro o lo stesso Jaller avrebbero mai fatto lo stesso?
Non si trattava dei suoi fratelli Toa, ma di Matoran! E per lui sarebbe stata una
vera e propria forma di debolezza.
Una notte si accampò in una foresta vicino quella di Garal. La prima cosa che
notò erano centinaia di luci accese al suo interno. Evidentemente i
sopravvissuti trovarono il modo di abitare quella zona, che però era fin troppo
ristretta per ospitare l’intera popolazione. Non si sorprese del fatto che le
foreste che stavano al di sopra dei grandi laboratori fossero rimaste intatte dai
disastri che si stavano verificando.
Gli capitò inoltre di sentire le tipiche canzoni che Kongu, Tamaru e altri Le-
Matoran cantavano nella graziosa Le-Wahi.
Voleva tornare, non c’era dubbio, ma il suo senso del dovere era più
importante. Era convinto che solamente facendo tutto da solo sarebbe riuscito
a convincere chiunque ad andare con lui, persino lo stesso Ackar. Questo era
ciò che la sua parte repressa gli stava facendo credere fino a quel momento, o
forse era davvero lui che la pensava così...
Al momento era occupato col rilevatore che Ackar gli aveva distrutto di
proposito. Era riuscito a sistemare qualcosa, ma nulla di che. Da tempo infatti
si era reso ormai conto che nessuno dei circuiti corrispondevano a quelli coi
quali aveva avuto a che fare in passato. Persino gli attrezzi che utilizzò erano
inadatti. Ogni volta che credeva di aver sbagliato un passaggio, si arrabbiò con
sé stesso, alimentando allo stesso tempo il fatto che la sua idea era veramente
una pazzia.
‘No, non può essere... è tutta colpa della mia ombra... è tutta colpa della mia
ombra...’ si ripeteva all’infinito per calmarsi, ma quella sera accadde qualcosa di
insolito.
Si concentrò più forte che poteva, ascoltando una strana sensazione interiore
che richiamava la sua attenzione di continuo, ed ecco che sentì qualcosa
all’interno della vegetazione. Sembravano dei rumori animaleschi, riconducibili
a qualche Rahi dalla modeste dimensioni.
Dopo essersi avvicinato, a giudicare dal rumore irregolare, sembrò che
l’animale si stesse sfrusciando in continuazione contro le piante. Velocemente
tagliò i cespugli dinanzi a lui con l’utilizzo della sua falce, e si prese un colpo nel
vedere il Toa dell’Aria Lesovikk girarsi a terra su sé stesso come se qualcosa lo
stesse strozzando.
Quando vide Takanuva, infatti, gli allungò la mano in richiesta di soccorso. Il
Toa lucente non sapeva cosa fare. Solamente abbassando lo sguardo capì che il
responsabile era proprio lui: un’ombra oscura serpeggiante sembrava unire
quelle dei due guerrieri elementali.
Fece il massimo per smaterializzarla, ma non ci riuscì. Il disordine mentale era
troppo potente in lui. Ora poteva anche controllare il potere dell’Ombra?
In assenza di alternative, utilizzò la sua Falce dorata, caricandola di un’elevata
quantità di luce e facendo un taglio netto.
“COUGH! COUGH!” tossì Lesovikk. “G-grazie...”
Takua rispose recuperando fiato: “Che cosa ci fai qui?! Sono decenni che non ti
vedo! Credevo che fossi morto! Come hai fatto a sopravvivere alla
devastazione causata dal Robot?!”
“E’ una lunga storia...”
Subito dopo il ritorno su Spherus Magna dalla Realtà del Creato, Lesovikk si
isolò volontariamente dalla società, ma prima di andarsene disse a tutti gli
agenti e Toa che la morte di Karzahni non avvenne per mano sua. Nessuno dei
presenti obiettò. Forse i Nuva lo avrebbero fatto, ma purtroppo non era
possibile. Takanuva invece, rinchiuso nell’Osservatorio di Tesara per
combattere la sua battaglia spirituale dopo la guerra, non vide Lesovikk
neanche una volta. Quando la situazione migliorò, si fece raccontare tutto dai
Toa Mahri, che lo informarono alla fine della sua decisione.
“Ci ho provato, Takanuva...” si disperò durante la sua spiegazione. “Ho cercato
di convincerli a cercare Velika a tutti i costi, ma il ritorno di Helryx dal coma si
è messo di mezzo. Per lei erano più importanti le ristrutturazioni dei villaggi e
la serenità delle persone, ma sapevo fin da subito che c’era qualcos’altro di
losco dietro. Lei e Dume lo sapevano.”
“Dume?”
“Si. Ogni sera si incontravano di nascosto per farfugliare qualcosa. Tutti gli
andarono dietro come un branco di Lupi di ferro. Erano fissati con la ricerca
dei Grandi Creatori, e chi invece voleva far di tutto per tornare dai Nuva nella
Realtà del Creato. Ciascuno di loro si stava facendo trascinare in un qualcosa di
super egoistico. Così provai a cercarti, ma mi dissero che le tue condizioni
erano gravi... almeno così si diceva. Perciò presi una decisione. Non potevo più
aspettare. Quel mondo non faceva più parte di me. Sapevo che qualcosa di
grave sarebbe successo e infatti fu così. Il Robot tornò a essere abitato, e per
cosa? Io e Johmak non smettemmo di porci questa domanda.”
“Johmak era con te?”
“Proprio così. La trovai ai confini dimenticati del pianeta, e anche lei come me
cercava distacco da quella società. Poi un giorno incontrammo un
commerciante di nome Magis, con il quale spesso effettuavamo diversi scambi.
Ci disse che un terremoto si scatenò vicino Tesara. Io e Johmak non lo
percepimmo. Infine si collegò al giorno del Risveglio. Lei non ci pensò due volte
e fece ritorno senza che Helryx lo sapesse. Non l’ho più rivista da quel
giorno...”
“E perché non sei andato con lei?”
“Avevo trovato il mio equilibrio, Toa della Luce. Ognuno di noi dovrebbe farlo.
Johmak invece si è fatta sopraffare dal suo passato in un batter d’occhio.”
Lanciò un sasso per sfogo. “E ora se ne sono andati tutti. Mi chiedo cosa
sperano di ottenere.”
Il raggi dell’alba iniziarono ad infilarsi tra le foglie della foresta, e Takanuva notò
qualcosa di luccicante dietro al mantello di Lesovikk. “Che cos’è?”
Il Toa dell’Aria glielo mostrò. Era una piccola pietra color azzurro, dalla forma
allungata sull’apice. “E’ una chiave. Ce l’ho da quando ero nella Realtà del
Creato. Serve ad aprire serrature in Araidermis. Alcuni servi dell’Essere dorato
che erano con me mi dissero che l’avevano rubata a un Grande Creatore.
Ognuno di loro ne ha almeno una.”
Takanuva pensò immediatamente ai sigilli in Araidermis nei passaggi sotterranei
che trovò. “Dobbiamo andare subito, Lesovikk! Ti spiegherò tutto strada
facendo!”
“Non serve.” rispose inaspettatamente. “So benissimo a cosa ti riferisci.”
Il Toa della Luce si voltò. Il suo entusiasmo si spense subito. “Cioè?”
“Sono giorni che ti seguo. Dovevo accertarmi che tu fossi il Toa della Luce che
conosco e non qualche versione che era a servizio dell’Essere dorato. Il fatto
che tu non fossi in possesso di una chiave come questa mi ha fatto pensare
diversamente. Quasi ognuno dei servitori ne aveva una. Al tempo l’Essere
dorato assegnò molti di noi a sorvegliare le prigioni che furono interamente
fabbricate in Araidermis.”
“Quindi sai che c’è un mondo nascosto sotto la superficie!”
“C’è molto di più. Ma ti dico subito che non posso aiutarti.”
“Come?! Perchè mai?!” gli andò vicino quasi con fare minaccioso.
“So che stai cercando delle parti metalliche, e che stai costruendo qualcosa.
Purtroppo però molti dei luoghi che non sei ancora riuscito ad aprire sono già
stati svuotati...”
“COSA?! E da chi?!”
“Non saprei dirtelo con esattezza. Erano degli individui totalmente differenti
l’uno dall’altro, ma non sono riuscito a distinguerli bene. Li avvistai per puro
caso non molto tempo fa. Decisi di seguirli, e venni a sapere anch’io dei
passaggi sotto al deserto. Poi li persi di vista, e giusto qualche settimana dopo
ho trovato te. Forse tu puoi aiutarmi a capire chi sono... Non siamo soli su
questo pianeta, fratello.”
Johmak e Hydraxon/Dekar erano in viaggio sulla montagna dove si trovava il
rifugio dell’ex guerriera dell’Ordine. Il cammino era lungo e insidioso, ricco di
strettoie e sentieri ripidi.
“Non potevi sceglierti un posto migliore?” domandò Hydraxon.
Johmak fece una piccola risata. “Tra non molto saremo arrivati.”

Giunsero su un promontorio. Oltre alla vista di buona parte dell’isola non c’era
nulla però.
Il cacciatore allargò le braccia. “Immagino che ora materializzerai la tua casa dal
nulla, giusto? ... Johmak?”
“Ti ho sentito.”
Voltandosi però non vide nessuno. La voce era la stessa della guerriera.
Improvvisamente i suoi riflessi gli fecero afferrare qualcosa di invisibile che
iniziò ad agitarsi.
“Che diamine è?!” esclamò.
Johmak, che si era nascosta poco prima, premette un pulsante che mostrò
l’aspetto della creatura che aveva assalito Hydraxon: un Vahki.
“Ma che cosa...”
“Allora funziona... bene.” si complimentò con sé stessa la guerriera. “L’ultima
volta stava per esplodere.”
Dekar prese la macchina quadrupede e la scansò violentemente. Per poco non
la gettò dal dirupo.
“Non ti azzardare a farlo di nuovo...” le puntò il dito contro.
“Rilassati, era un test.”
Si pulì l’armatura dalla polvere del Vahki. “Sei fortunata che in questo
momento sia sorprendentemente più calmo del solito.”
Johmak sorvolò la questione. Con un altro comando intanto rese visibile il
rifugio.
“Ti piace? E’ tecnologia Hero. Mi basta prendere quel piccolo dispositivo che
vedi a terra e in pochi secondi ho un arsenale tutto mio.”
“Mi stavo giusto chiedendo come avessi fatto a portare tutto quel materiale
passando per i sentieri di prima... Quindi l’hai rubato agli Eroi? Ti sei infiltrata
in una loro base?”
“No. Questa mi è stata venduta a caro prezzo da un Agori del Villaggio del
Ferro, Magis. Non so come se la sia procurata. Perlomeno ho questo tesorino
fra le mani. Vieni, hai bisogno di riparazioni all’armatura. Mettiti pure lì,
preparo gli attrezzi.”

“E il Vahki?” domandò Hydraxon mentre Johmak faceva il suo lavoro.
“L’ho trovato qui vicino. Pare che tempo fa l’Ordine abbia deciso di costruirne
qualche decina per supportare le prime esplorazioni del sostituto di Botar
nelle Isole Meridionali.”
“Strano, non ne sapevo nulla...”
“Ci credo, era una missione segreta. Trovai infatti una nota nel cadavere del
Sostituto. Helryx stava architettando qualcosa da tempo. A giudicare dagli
indizi che ho raccolto, sembra che ci sia stato uno scontro con un gran
numero di individui qui attorno. Prima di attaccare però hanno agganciato uno
strano meccanismo al Sostituto, per impedirgli di teletrasportarsi su Mata-
Metru o da qualche altra parte. Si vedevano i segni sul suo collo. Non so come
sia possibile.”
“Erano Parenga?”
“No, non avevano il loro tipico equipaggiamento. C’erano troppi lanciatori
Thornax e resti di armatura fin troppo grandi per un Agori o un Matoran.
Quando trovai i resti dei Vahki, decisi di fabbricarmene uno tutto per me,
come guardia personale.”
“E prima invece? Come hai fatto ad entrare nel Robot?” pose la domanda il
cacciatore per capire quale fosse stato il ruolo di Johmak fino a quel momento.
“Conoscevo un’entrata che utilizzai durante lo scontro tra i due Robot. Si
collegava direttamente alla tibia sinistra. Noi ora ci troviamo nel ginocchio
destro. Raggiungere il Continente meridionale per poi voltare a sud senza farsi
scoprire è stato davvero duro. L’ambiente nelle isole opposte a noi era
completamente inabitabile. Per fortuna sono arrivata qui prima dell’attacco al
Codrex.”
“Sai dell’attentato su Voya Nui?” si stupì Hydraxon mentre si girava dall’altro
lato per farsi riparare l’anca.
“Ho avuto qualche contatto diciamo. Ora sta fermo... fatto! Come va
l’impianto muscolare?”
“Per ora nessun dolore.” rispose facendo roteare le spalle. “Grazie.”
“Beh... sono sicura che avresti fatto lo stesso.” gli disse senza guardarlo.
Ma ecco che Dekar prese il sopravvento, alzandosi come un forsennato
nonostante i circuiti aperti. “Devo andarmene.”
“Aspetta, devo ancora finire!”
“Non c’è tempo, ho un compito da svolgere. Tu che fai, vieni?”
“Devo venire! Non ti lascerò rovinare un’ora del mio tempo per nulla! Basta
che mi spiegherai cos’hai in mente di fare...”
“Che non accada mai più, Athuka!”
“Se non l’avessi fatto, a quest’ora ci ritroveremmo circondati dagli Eroi! Il
nostro piano sarebbe salta-”
“Non mi importa! Non devi più azzardarti a prendere idee di tua iniziativa!”
Il gruppo Parenga che incrociò Vakama e Nuju riuscì quindi a fuggire dalla
trappola di ghiaccio, grazie all’afa del deserto che sciolse metà del muro nel
giro di un’ora.
Ora però per colpa di Athuka rischiavano guai seri. Per far sì che gli Eroi non
potessero avere indizi, raccolsero i resti della sentinella Hero che per poco
non scopriva i due Metru, dopodiché ripiegarono.
Il loro piano di conquista dell’ultimo avamposto Hero in piena segretezza
rischiava di andare in frantumi. Purtroppo per loro infatti non c’erano i mezzi
necessari per affrontare gli Eroi a viso aperto.
Secondo il loro piano, avrebbero atteso che buona parte dei nemici se ne
andasse dall’isola per fornire supporto militare e materiale altrove, siccome
vennero a sapere dell’abbandono improvviso di molte basi Hero per il ritorno
al Quartier generale. Le altre procedure però erano ancora da pianificare.
Inutile quindi dire che tra tutte le armate quella Parenga era la più
disorganizzata e malridotta, in particolare gli squadroni a cui appartenevano
Athuka e i suoi compagni.

Qualche ora più tardi fecero ritorno all’accampamento. Prima di fare ingresso,
videro passare velocemente un gruppo della Terza squadra. Stavano
trasportando un ferito in condizioni gravissime: parte delle sue interiora
metalliche fuoriusciva da un taglio al petto.
Il gruppo di Athuka rimase scioccato come il resto dell’accampamento, situato
vicino ad una torre abbandonata nell’unico passo innevato dal quale si vedeva
Artidax. La Terza squadra, composta dai migliori combattenti dello squadrone,
doveva inizialmente tenere impegnati gli Eroi alcune isole più a ovest.
Qui si fermava il piano. A causa di una grande perdita, infatti, il loro generale si
rinchiuse con la continua scusa di escogitare nuovi piani.
Era un Agori del Villaggio del Ghiaccio di nome Sakovius. Come tutti i Parenga,
entrò volontario poco prima della guerra sulla riformata Spherus Magna. Il suo
Tama, Zoik, si unì a lui poco dopo, disobbedendo agli ordini iniziali del
genitore. Durante una spedizione in avanscoperta dopo l’attentato al Codrex,
lui e il suo team furono assaliti dagli Hagahkuta, in perlustrazione per capire
che fine avessero fatto i Toa Tumaka (anche se il vero obiettivo era un altro...)
La morte di Zoik fu istantanea. Sakovius fu l’unico che sopravvisse, e quando
tornò fu nominato generale dell’accampamento come riconoscimento.
Nessuno dei Parenga però sapeva la verità: Zoik fu travolto dall’esplosione
generata da un raggio dell’Hagahkuta Iruini. Anche Sakovius fu coinvolto, ma
sopravvisse. La morte del suo Tama di fronte a sé scatenò un qualcosa di
violento in cui, ma quel giorno vinse la paura.
Gli Hagahkuta erano mostruosi contro i ribelli. Sakovius, rimasto ad osservare
la scena all’interno di un cunicolo, non ebbe la forza di reagire, specie quando
vide gli occhi rossi del Kualus mutato. Da quel giorno la paura ebbe sempre la
meglio.
All’interno della torre dell’accampamento si creò quindi una zona di comfort,
dalla quale non uscì per nessuna ragione. Solo col cadavere rianimato di Zoik
avrebbe fatto diversamente, ma questo era del tutto impossibile.
Come effetto di ciò, buona parte delle sue truppe Parenga cadde come niente
di fronte alla potenza nemica.
I ribelli avevano attualmente il controllo di un numero ristretto di territori. Col
passare dei mesi, molti dei generali furono costretti a scappare il più lontano
possibile, lasciando il loro dominio in mano agli ostili. Sakovius, al contrario,
era l’unico in possesso dell’arsenale più forte. Ovviamente ciò era dovuto al
fatto che non lo impiegò mai, ma anzi preferì sacrificare solamente qualche
pedina...
Nella coscia sinistra del Robot intanto si tenne la fatidica assemblea alla quale
partecipò Gobbs.
Anche Alpha Leader era presente all’incontro, più inquieto che mai. Ciò non
era dovuto al peso di dover dirigere un’intera milizia da solo, ma per la rabbia
che ancora provava dopo la morte di Makuro.
Sicuramente avrebbe potuto insegnare ancora molto, soprattutto alle nuove
generazioni di Eroi. A differenza di questi ultimi, però, Stormer era l’unico ad
avere delle informazioni in più sul suo creatore. Oltre alla Battaglia dei Nove,
l’interesse dell’Alpha Leader si focalizzò infatti su una ricerca privata riguardo
Makuro. Voleva a tutti i costi approfondire le poche conoscenze che aveva su di
lui, e soprattutto capire cosa c’entrava la Ignika.
“Stormer, sei con noi?” domandò Valor.
“Si, si... dove eravamo rimasti?” rispose scrollando la testa.
Davanti a lui c’erano una serie di mappe geografiche. Si avvicinò e le sfogliò una
per una. “Allora, vediamo un po’...”
Gli altri Eroi erano molto straniti. Si vedeva infatti che era palesemente in
sovrappensiero.
“Preston...” intervenne Puck. “Abbiamo già visto la cartina.”
“Si, lo so lo so!” si infastidì. “Stavo solo pensando a qualcosa di nuovo.”
Dopo un paio di minuti, la porta si aprì di colpo. Furno, Breeze e Surge si
intromisero dal nulla. Dietro di loro apparve un soldato semplice, che si scusò
imbarazzato per non essere riuscito a fermarli.
“Vi ho già detto che non c’entrate niente voi tre!” si arrabbiò Fox. “Ora fuori!”
Gobbs si incuriosì e gli ordinò di non andarsene. Il nuovo leader del Recon
Team si irritò col compagno, ma Gobbs rispose: “Sono un membro della
squadra, Fox. Pertanto è giusto che sappia cosa ti hanno detto.”
Anche Stormer non voleva intromissioni, ma preferì ascoltare le parole di
Furno per curiosità. L’Eroe dall’armatura rossa spiegò la sua opinione in base a
ciò che vide durante le spedizioni nel punto d’ingresso della Hero Factory
qualche settimana prima, per fornire aiuto col trasporto del Quaza.
“Dovete fermare questa guerra, ecco cosa c’è! Non capite che stiamo
rischiando di farci accerchiare facilmente dall’Ordine?! I dati sulle perdite e sui
materiali non corrispondono a quelli veri, e andando avanti così andremo
solamente incontro alla morte!”
“Tutte queste sono falsità!” si oppose Fox, che già aveva discusso con i tre Eroi
nei giorni precedenti. “Stormer, siamo vicini a qualcosa di grosso. Se
riuscissimo a concentrare le nostre forze nel Continente meridionale,
potremmo prendere il controllo del Codrex in un battibaleno. Manca poco al
rinforzamento delle basi circostanti, e quando lo sarà, potremo pensare
unicamente a Voya Nui.”
“E quando conquisterete il Codrex cosa farete?” ribatté Breeze.
Fox si voltò lentamente minaccioso verso di lei. Poi si avvicinò a Stormer per
convincerlo. “Tu lo vuoi vendicare Makuro, vero, Preston? O vuoi farla passare
liscia all’Ordine e dimenticare Evo e Nex come questi tre? C’è qualcosa di
potente all’interno di quella cupola che può tornarci utile contro Helryx.
Faremo confessare a quella Toa dell’Acqua che abbiamo catturato tutto quello
che sa con ogni mezzo necessario. Vale la pena rischiare.”
“Questo se vuoi morire.” rispose a dovere Surge.
“Davvero, Surge?” ribatté Valor. “E se Helryx si fosse messa in testa di
attaccare Makuhero City o peggio ancora i nostri pianeti alleati con il controllo
del Robot? Volete andarvene e aspettare che questo gigante meccanico arrivi
da noi?! Bisogna distruggerlo dall’interno, non c’è altra soluzione!”
Entrambi i fronti avevano fornito motivazioni logiche. Alpha leader però era
confuso.
“Dobbiamo andarcene, Stormer.” parlò Furno con calma. “Questa non è più
una guerra, ma una carneficina.”
La decisione sul proseguimento della Battaglia dei Nove cadde così fra le sue
mani. Le sue insicurezze spodestarono la sua diplomazia all’istante.
E proprio quando stava per decidere: “Stormer! Ce l’abbiamo fatta!”
Era Zib. Nessuno degli Eroi capì a cosa si stesse riferendo.
“Spiegati meglio.” lo invitò Puck.
“Il video di Fortis... siamo riusciti a recuperarlo! Ora non ci resta che
decriptare la parte mancante. Forse questo potrà aiutarci a capire su come
muoverci.” strizzò l’occhio a Furno, facendogli capire che era dalla sua parte.
Il contenuto restante era ancora un mistero unico. Era assurdo pensare che
alcuni secondi di video avrebbero potuto cambiare con molta probabilità le
sorti della loro guerra, annullandola o addirittura incrementandola. Forse
Stormer sarebbe venuto per assurdo a sapere qualcosa di più sulla vera identità
di Makuro, ed era proprio questa la ragione che lo spinse ad accettare
sospendendo la sua decisione finale...
Hydraxon e Johmak si mossero a nord, sorpassando Artidax e avvicinandosi di
più al Continente meridionale. In quelle zone la guerra raggiungeva il suo apice,
e l’Ordine deteneva il controllo momentaneo.
Fecero un percorso largo per non farsi avvistare dalle imbarcazioni Ruhnga,
muovendosi lungo il fianco destro delle isole.
Da lontano si sentivano spari e rimbombi in continuazione, a causa delle
battaglie navali che occupavano i mari della costa del Continente meridionale.
Sotto quel punto di vista, invece, gli Eroi stavano avendo la meglio. Questo
perché l’Ordine preferì concentrare la maggior parte della flotta altrove...
L’obiettivo degli Eroi, a giudicare dalla posizione e dalle risorse presenti, era
proprio Artidax, dove il dominio di Helryx si arrestava. Analizzando la
situazione in cui si trovavano, sarebbe stato infatti un grande aiuto per poter
infine invadere i territori a settentrione. Le restanti isole erano tappezzate di
popolazioni Parenga e non.
Johmak mise il pilota automatico e raggiunse Hydraxon sulla stiva. Era da ore
che se ne stava fisso a osservare l’ovest, dove stavano avvenendo i vari scontri.
La guerriera si affacciò un po’ sbilanciandosi, e vide che gli occhi dell’ex agente
erano ancora rossi.
Stando quindi al gioco, gli disse preoccupata: “Dekar... va tutto bene?”
Il cacciatore la guardò. Il suo occhio sinistro era di colore giallo, mentre quello
destro era rosso, senza motivo.
Johmak pensò subito che le due personalità sembravano aver trovato un
equilibrio momentaneo, allorché domandò: “A cosa stai pensando?”
“Al passato. Vorrei poter tornare indietro nel tempo, quando vincemmo
contro Teridax. Sia io che lui eravamo spensierati.”
Johmak abbassò lo sguardo. “Si, hai ragione... a volte hai l’impressione che i bei
momenti durino poco. Poi devi riprendere a combattere... e a soffrire... e poi ti
chiedi sempre il perché, magari avendo dei rimpianti su ciò che avresti potuto
fare, o sulle scelte che hai preso. Ciò che però mi domando è... è giusto,
Hydraxon? E’ giusto che i buoni debbano sempre patire maggiormente rispetto
a chi invece fa del male?”
“E tu sei veramente sicura che chi fa del male non soffra? Per quel che mi
riguarda, al giorno d’oggi non si può più distinguere il bene dal male. Creare e
distruggere fanno parte della vita, e non esiste nessun giudice che regola tutto
ciò. La giustizia ce la creiamo noi, da soli. Io ho smesso di credere nell'auto
redenzione... ho smesso di credere nell’amicizia... ho smesso di credere
nell’odio. Sai, da quando entrai a contatto con quella maschera, ho sempre
pensato che è stata questa vita a scegliere me, non il contrario.”
Johmak annuì. “Suppongo quindi che sia la vendetta contro di essa il tuo
obiettivo finale.”
“A dire il vero no. Seguo solamente il mio istinto, senza curarmi del bene
altrui.”
“Ti capisco. Nemmeno io riesco a dimenticare i casini che quella Kanohi ha
causato. Vorrei ci fosse un modo per far sì che tutto questo non fosse mai
successo. Però, sai... a volte credo che senza il dolore non avrei mai raggiunto
questa consapevolezza.” e afferrò l’avambraccio del guerriero. “Non sono per
forza le nostre esperienze a plasmarci, ma come reagiamo ad esse, Dekar!
Sono convinta che un giorno, quando sarà tutto finito, troverai il tuo
equilibrio.”
Lo stesso entusiasmo però non si leggeva nello sguardo di Hydraxon, che
rispose sorvolando l’argomento: “Fermati su quell’isolotto. Vedi se c’è qualche
punto d’attracco.”
Non era sicuro proseguire oltre infatti. Rischiavano di farsi avvistare...
Più tardi videro una serie di imbarcazioni Hero vicino alla spiaggia.
“Li senti anche tu?” domandò Johmak mentre attraccava l’imbarcazione
Kaipuke.
“Spari...” capì Hydraxon. “Sono vicini. Seguimi!”

Trovarono alcuni veicoli Ruhnga parcheggiati al termine di una foresta. Oltre
c’erano dei gruppetti di villaggi distribuiti all’interno del verde insulare, e non
ancora completi siccome il Protodermis che fu impiegato all’inizio non venne
rimodellato completamente a causa dello scoppio della guerra. Diverse parti
della zona erano infuocate e fumanti. Si vedevano anche dei raggi energetici
volare in cielo e verso l’interno dei boschi.
“Gli Eroi hanno voluto prenderli da dietro.” suppose Johmak dopo aver tirato
fuori il binocolo. “Allora... si, eccoli! Ci sono degli Eroi impegnati in quel
punto.”
“Quanti sono?”
“Non saprei, è molto difficile vederli da qui. La vegetazione è molto fitta.
Saranno qualche decina.”
In realtà Hydraxon/Dekar stava facendo il calcolo del tempo necessario per
farli fuori tutti, tranne uno...
“D’accordo.” disse. “Muoviamoci scendendo da quella collina. Li coglieremo di
soppia-”
“Aspetta, c’è... un carro armato?!”
Hydraxon sospirò. “Si. Credevo che ci sarebbe voluto ancora del tempo per
testarli. Conviene stare attenti.”
“A terra!” si spinse Johmak su di lui.
Sopra le loro teste volò una coppia di jet Rangai. Stavano per bombardare il
punto in cui si trovavano gli Eroi, ma l’arrivo degli aerei Hero glielo impedì. Nei
cieli scoppiò uno scontro quasi alla pari di quello tra i Falconi dorati e la
squadra di Trinuma.
“Andiamo, Dekar, prima che ci vedano.”

Sfruttarono i fusti degli alberi per non farsi avvistare, mentre si davano
copertura a vicenda. Avevano quasi raggiunto il gruppo di Eroi.
Johmak si fermò in un punto specifico. Da lì l’unica cosa che riusciva a vedere
era la squadra Hero, che però aveva caratteristiche particolari, e la guerriera lo
notò subito.
“Cosa stiamo aspettando?” si infastidì il compagno.
“Non possiamo attaccarli...”
“Cosa?!”
“Sono Bersaglieri, macchine che sono state assegnate alla Recon Team. Uno di
loro potrebbe far fuori una coppia di Toa facilmente. Ora capisco perché i
Ruhnga abbiano deciso di schierare l’artiglieria pesante. Quel Parenga che
incontrai aveva ragione, maledizione... Questo può voler dire una sola cosa...”
“Ovvero?”
“Significa che la penultima base Parenga a sud è stata conquistata dagli Eroi. Da
quel che ho scoperto, fino a quel momento i Bersaglieri erano stati tutti
schierati e sterminati consecutivamente dall’Ordine, anche se non riuscivo ad
immaginarmi con che cosa... In ogni caso, sembra che le risorse siano state
interamente sfruttate per fabbricare quei nuovi androidi. Dobbiamo muoverci
con cautela.”

BOOM!
Un’esplosione scoppiò al fronte dell’Ordine, rifugiato nel villaggio. Rimanevano
poche forze all’interno e lo schieramento dei mezzi da combattimento fu
praticamente obbligatorio.
“Kavers, sincronizzati con quel Bersagliere. Voglio un blitz in quell’edificio
prima di avanzare.” ordinò un team leader al soldato Hero.
La macchina fu attivata e si mosse in fretta. In meno di venti secondi furono
scovati cinque Matoran, con un equipaggiamento designato come anti-
Bersagliere. Cosa più assurda era che i Matoran non erano Ruhnga, ma semplici
abitanti innocui, probabilmente ingaggiati dall’Ordine.
La scarsità di personale stava iniziando ad aver maggior peso anche fra loro...
“Nemici in arrivo dal settore est!” sentirono Hydraxon e Johmak.
Gli spari aumentarono senza interruzione. Gli altri team Hero fecero irruzione,
supportati da due dei sette Bersaglieri.
“Kavers, ordina agli altri di fornire fuoco di supporto!”
“Ricevuto.”
Hydraxon/Dekar e Johmak avevano il via libera. Raggiunsero così il punto
precedentemente occupato dagli Eroi. L’ex guardiano del Pozzo stava
preparandosi ad un attacco furtivo contro i Ruhnga, calcolando che gli Eroi
sarebbero stati impegnati col carro armato.
Prima di partire all’attacco però: “Fermo!” disse Johmak. “Guarda le armi di
quei Matoran. Hanno degli strani proiettili azzurri nel caricatore.”
Inizialmente Hydraxon non la stava ascoltando, ma quando sentì la descrizione
dei colpi cambiò espressione, allargando gli occhi. “Fa vedere!”
Dopo averli esaminati, collegò tutto: “Araidermis?!”
“Ara... che?” domandò Johmak.
“Non importa. Prendi!” le lanciò il fucile anti-Bersagliere. “E fai la scorta di
colpi!”
“Uh... va bene...” non riusciva a capire.
Dopo essersi armati, cercarono di studiare la situazione.
Mentre i due aerei, uno dell’Ordine e uno Hero, erano rimasti a darsi la caccia
nei cieli, gli altri squadroni ostili si fronteggiarono a viso aperto,
abbandonandosi allo scontro corpo a corpo per alcuni.
Una nuova serie di rimbombi scoppiò dall’altra parte dell’isola.
“Stanno combattendo ovunque...” affermò la guerriera. “Non so che cosa hai
intenzione di fare quando avrai catturato un Eroe, ma fallo presto, Dekar!”
Il silenzio del cacciatore lo accompagnò mentre si gettava a capofitto dal
secondo piano, e Johmak lo seguì.
Improvvisamente alzò la mano fermandola. Dopo qualche secondo, una
gigantesca corazza volante si mosse lentamente dinanzi a loro. Il carro armato
prese la mira e fece fuoco negli edifici in cui si stavano verificando gli scontri.
Il rumore dello sparo era talmente assordante che i due urlarono per
l’intensità, facendosi sentire erroneamente.
Il carro rimase immobile per qualche attimo, dopodiché si voltò verso di loro
prendendo la mira.
Hydraxon non ci pensò due volte e prese dalla sua cintura uno speciale scudo
a proiezione anti-Araidermis. Sfortunatamente, però, la barriera si attivò per
metà, all’altezza del bacino. Lui e Johmak furono travolti dall’esplosione.
Per fortuna sopravvissero, ma l’impatto contro le macerie fece perdere i sensi
ad entrambi.

“Kavers, qui Dragon 4-1-6. Bersaglio nemico neutralizzato... Kavers, mi ricevi? ...
Kavers? Comando centrale, qui Dragon 4-1-6. Ho perso il contatto col Bolt Team.
Richiedo nuovi ordin-”
CRASH!
La radio fu schiacciata da un soldato Ruhnga.
Ventiquattro dei sessanta Ruhnga rimasti ebbero la meglio sul nemico. Il carro
armato dell’Ordine, caricato con proiettili in Araidermis, l’unica sostanza in
grado di recare danno ai Bersaglieri Hero, fece fuori i restanti nemici con un
solo colpo. Tuttavia alcuni sopravvissero, e furono fatti prigionieri dai soldati
dell’Ordine per un interrogatorio.
“Solo quattro?” si meravigliò un Ruhnga. “Speravo che il numero fosse
maggiore oggi. Ancora questi non si rendono conto di con chi hanno a che
fare.”
L’Eroe Kavers, ancora in vita ma senza un braccio, lo guardò minaccioso.
“Cos’hai da guardare?” gli rispose il Ruhnga.
“Soldato!” udì dietro di sé. “Dov’è il tuo comandante?”
Era un Toa dell’Aria.
“Toa Xhana... si, è q-qui d-da qualche parte.” balbettò. “P-per caso devo
informarlo di qualcosa?”
“Abbiamo nuovi prigionieri.”
“Eroi?”
“No. Traditori...” intervenne un altro Toa: Kadani, della Pietra.
Scaricò i corpi ancora incoscienti di Hydraxon e Johmak dopo aver fatto
utilizzo della sua Pakari.
“Sapevo che questo Roodaka aveva ancora il nostro equipaggiamento.” si riferì
ad Hydraxon mentre si spolverava l’armatura. “Stava per immunizzarsi dal
colpo del carro con uno dei nostri scudi a proiezione. Lurido schifoso...”
I due Toa, piloti del carro armato, li portarono dagli altri prigionieri. Arrivò poi
il comandante dello squadrone, iniziando a interrogare quelli che gli
sembravano più consci.
Nel frattempo Johmak si riprese. Si guardò attorno quando tutti erano girati
dall’altra parte. Doveva trovare un modo per liberarsi delle manette in
Protoacciaio a tutti i costi. “NGH! Ehi, Toa!”
“Oh, vedo che ci siamo ripresi subito, traditrice...” parlò Kadani mentre si
avvicinava a lei.
“Risparmia il fiato! Non ho nulla da rimproverarmi!”
“Voglio proprio vedere.” si voltò afferrando la sua arma da fuoco, e puntandola
sulla testa di Hydraxon. “Che questo sia da esempio a tutti i nemici
dell’Ordine!”
“Fermo!” gridò l’ex agente guerriera. “Come puoi ostinarti a servire Helryx
dopo ciò che vi ha fatto?! Non credete voi due che sia giusto opporsi e
ribaltare questa situazione? E dimmi, da quant’è che non vedi Helryx? Mesi?
Anni? Vi ha sguinzagliato come se foste Lupi del ferro, facendo sì che la sua
barriera protettiva si estendesse sempre di p-”
“STA’ ZITTA!”
Johmak abbassò lo sguardo addolorata. Fece di no con la tesa, dicendo: “Tu
non sai cosa sta per arrivare... no, non puoi saperlo... Ogni Toa è in pericolo
ora, nessuno escluso. Nemmeno Helryx...”
Poi si soffermò sugli occhi spalancati e inquietanti di Hydraxon, che dopo aver
atteso il momento giusto si liberò della presa e colpì Kadani alle spalle.
La Calix di Xhana gli fece schivare l’attacco con semplicità, e infilzò il
cacciatore con una daga sul ginocchio sinistro.
Ma lui non poteva cedere così: con una velocità fulminea, estrasse uno dei suoi
coltelli ed afferrò alle spalle Xhana, spaccandogli il braccio destro e
bloccandolo.
Gli altri soldati si misero in guardia già da quando sentirono il gemito di dolore
di Hydraxon. Johmak intanto si girò nel terreno, alzandosi infine in piedi ancora
ammanettata.
In quella situazione di stallo, i Ruhnga stavano puntando le loro armi contro
l’aggressore di Xhana, dolorante a causa dell’arto rotto.
“NGH! Adesso ascoltami bene, traditore... AHHH!”
“Non ti lascerò una sola parola, Xhana. Non mi sei mai stato simpatico se
proprio vuoi saperlo...”
“Ti conviene abbassare le armi, Dekar. Se lo fai ti prometto che le torture da
parte di Helryx saranno meno doloro-”
“TU NON SAI NIENTE DI HELRYX! VOI TUTTI NON SAPETE NULLA SU
DI LEI!”
“Hydraxon, cerca di controllarti!” suggerì la compagna di viaggio.
“NO! PORTAMI PURE SU MATA-METRU, XHANA! MA QUANDO AVRÒ
FINITO CON LEI, SARAI IL PROSSIMO!”
Sentì poi una leggera pressione sulla nuca: Kadani gli stava puntando il
lanciatore. “E dimmi allora, riusciresti a uccidere Helryx da morto?”
Il cacciatore si voltò di qualche millimetro a sinistra. Poi, andando praticamente
a sensazione, lo prese col gomito sul mento, e si girò picchiandolo senza
fermarsi. Xhana però glielo impedì, e lo colpì ripetutamente in diversi punti
dell’impianto muscolare, indebolendolo.
I soldati Ruhnga non sapevano cosa fare.
“Sparate...” ordinò il caposquadra inaspettatamente.
“Signore?!” si stupì uno degli ufficiali.
“HO DETTO SPARATE! COSI’ QUEI LURIDI TOA CI PENSERANNO DUE
VOLTE PRIMA DI CACCIARCI IN NUOVI CASINI! NOI MATORAN
ABBIAMO GIA’ SOFFERTO ABBASTANZA! ORA OBBEDITE!”
Alcuni tremarono. Il caposquadra, su tutte le furie, andò da uno di loro e si
mise dietro per aiutarlo a premere il grilletto. Con voce pacata gli disse: “Ecco,
così... Spara, soldato... Spara...”
“NO, NON FARLO!” gridò Johmak con i polsi lacerati a causa delle manette
laser.
Guardò subito terrorizzata i tre combattenti élite, ma si prese un colpo
quando vide solamente Dekar in piedi e con una luce dorata che fuoriusciva
dal suo sguardo. I due Toa si guardarono l’un l’altro perplessi. Lo stesso effetto
accadde ai Ruhnga, rimasti anch’essi paralizzati.
Tutti guardavano verso nord-est, in direzione di Mata-Metru.
Infine si incamminarono in sincronia seguendo quella misteriosa scia. La
guerriera provò diverse volte a chiamare Dekar e gli altri soldati, ma nessuno le
rispose...
L’isola che si affacciava su Artidax stava affrontando le medesime battaglie. Gli
Eroi erano più che mai determinati a dare il massimo per prenderne il
controllo.
Giusto qualche giorno prima rilasciarono degli enormi impianti per la raccolta
del Protodermis, modificati apposta per sostenere i guerrieri Hero in mare
aperto. Queste strutture, non potendo più prelevare nessuna quantità di
Protodermis dal fondale marino, vennero mutate in gigantesche macchine a
quattro zampe, grandi quanto un’intera regione, e all’interno delle quali
risiedevano migliaia di Eroi assegnati in settori diversi. In più punti furono
posizionate delle torrette che si rivelarono molto utili contro le navi Ruhnga,
che proprio per rinforzare i propri confini avviarono un piano di conquista
forzato dell’isola in mano al generale Sakovius (tecnicamente), in cui si
trovavano tutti i Toa Metru risvegliati.
Ora i sei dovevano prestare maggiore attenzione. Ma chi li avrebbe avvisati?
Solo Vakama e Nuju ricevettero degli avvertimenti tramite le infinite visioni del
Toa del Fuoco.
Attualmente, i due guerrieri elementali se ne stavano appostati dalla cima di un
grattacielo ad osservare uno scontro tra Parenga e i fedeli dell’Ordine.
Passò giusto qualche settimana dall’incontro con il gruppo di Athuka, e loro
credevano di essere gli unici a non aver trovato ancora delle rispose. A dire il
vero, come gli altri quattro fratelli, scoprirono, o meglio intuirono che il
deserto in cui riaprirono gli occhi non era lo stesso di Roxtus. Ciononostante
rimasero obbligati a fare supposizioni in base a ciò che gli capitava di fronte.
“Che facciamo, Vakama?”
Per l’ennesima volta, il Toa del Fuoco non rispose a Nuju. Era sull’orlo di
intervenire, ma così facendo avrebbe mandato all’aria tutte le visioni che lo
tormentavano ormai da tempo. Negli ultimi giorni continuò a chiedersi la
stessa cosa: e se i tre individui della visione fossero il vero motivo per cui la
voce gli suggerì inizialmente di “agire nelle tenebre”?
Chi erano veramente? Ogni volta si sforzò di intravedere il loro volto, ma non
riusciva a riconoscerli.
“Vakama! Allora?!”
Il Toa del Fuoco scrollò la testa. “C-ci s-sono, fratello. Allora...”
Una serie di esplosioni a raffica interrompevano i suoi pensieri di continuo.
Non riusciva a ragionare...
Dopo aver ingrandito con la sua lente, Nuju avvistò qualcosa: “Guarda! Quelli
sono i Parenga che abbiamo incontrato, ricordi? E c’è anche il Matoran che ha
distrutto la sentinella Hero.”
“Si, li vedo... però... Non possiamo rischiare, Nuju! Dobbiamo dare ascolto alle
visioni!”
“Non ti biasimo, fratello, ma come vedi ci stanno rendendo ciechi. Dobbiamo
cercare delle risposte!”
Il Toa del Ghiacciò continuò a parlare per diverso tempo, ma Vakama non lo
stava ascoltando. Avvertì qualcosa di strano avvicinarsi.
“...quindi se non facciamo nulla, rischiam-”
“Lo senti anche tu?!”
“No... Di che stai parlando?” si accigliò Nuju.
“Sento qualcosa... qualcosa di potente vicino a noi.”
“Si... ora lo sento anch’io...”
La causa di tutto ciò si presentò dinanzi ai loro occhi, come accadde con
Johmak. Lo stesso fenomeno che intrappolò al suo interno Hydraxon e gli altri
Ruhnga si manifestò nuovamente nel mezzo della battaglia. I due Toa sentirono
solamente la magnifica energia di quella misteriosa scia dorata che si diramava
nella mente dei Ruhnga rimasti.
Non tutti però: solamente coloro che furono vittime della rottura della loro
Kanohi infatti vennero richiamati. Nelle loro menti udirono una graziosa voce
femminile richiamarli di continuo, mentre pronunciava il loro nome.
“Che sta succedendo?!” si stupì il caposquadra dello squadrone di Athuka,
abbassando l’arma.
Il suo secondo in comando ebbe la risposta pronta: “Qualcosa li sta
trascinando verso di sé... che sia l’Essere dorato?!”
“Ne dubito.” rispose un altro. “Forse è qualcosa più potente...”
“Sono solo stupidaggini!” intervenne il Parenga più determinato di tutti. “Vi
faccio vedere io come ammazzarli in poco tempo!” ma come premette il
grilletto, ci fu un’esplosione dell’intero blaster tra le sue mani.
Una chiazza di liquido vitale e parti organiche si cosparse addosso ai ribelli più
vicini. Nemmeno il tempo di gridare che subito un altro Matoran disse al
proprio commilitone: “Ikanu, dove vai? Mi stai ascoltando, Ikanu?! IKANU?!
IKANU, FERMATI!” ma non c’era verso.
“AIUTATEMI!” urlò senza ricevere aiuto da nessuno, siccome temevano di
esplodere anche loro dal nulla. Si limitarono a portarlo via per evitare che gli
accadesse la stessa fine tragica.
“LASCIATEMI ANDARE! DEVO AIUTARLO!”
Decine di Parenga subirono lo stesso destino. I loro visi erano cosparsi di gioia,
come se fossero improvvisamente stati catapultati in un mondo perfetto e
felice. E anche loro si misero in cammino, trasportati da quelle sensazioni
metafisiche...
“Cosa facciamo, signore?”
“Non saprei cosa risponderti, Athuka. Per ora torniamo alla base e riferiamo
tutto a Sakovius.”
“Si, signore. Lo avete sentito, ragazzi? Ritirata! Ritirata!”

“Ecco, Nuju.” rispose d’istinto Vakama. “Ora abbiamo una nuova pista.”
“Vuoi seriamente pedinarli?! Ricordi che ce l’hanno a morte con noi Toa, vero?
Se mettessimo piede nel loro fortino, finiremmo in pasto a qualche Rahi!”
“Abbiamo qualche altra scelta? Non sappiamo da dove proviene quella scia
dorata, anche se potrei supporlo...”
Nuju allargò subito lo sguardo. “Allora anche tu credi che...”
“Si, fratello. Credo sia tutta opera della Ignika. Nessun altro oggetto può
rilasciare un potere simile.”
“O forse è stata Helryx...” lo corresse il Toa del Ghiaccio. “Va bene allora.
Faremo come hai detto. Spero solo che gli altri stiano bene...”
3150 giorni prima del Risveglio…

Buona parte del Circolo di Wha-Nui tornò in funzione. La guerra stava


diventando lentamente un ricordo, rimasto impresso come una cicatrice nel
pensiero degli abitanti del pianeta. I Toa e gli agenti dell’Ordine rimasti fecero
di tutto per risollevare il morale della loro gente, sebbene alcuni si
preoccuparono maggiormente delle condizioni di Helryx, ancora in coma. Per
il momento a Turaga Dume spettava la maggior parte delle decisioni, secondo
quanto ordinato in passato dal primo Toa.
Tuttavia, il rapporto con gli altri guerrieri, in particolare con i Toa Mahri, non
era dei migliori. Volevano infatti stare più tempo possibile con i cittadini del
Circolo, quasi fregandosi delle riunioni che si tenevano ogni sei giorni. Loro
avevano visto da vicino gli orrori che l’Essere dorato poteva creare, così come
le meraviglie che adescava per attirare individui. Inoltre una piccola parte di
loro si sentiva ancora Matoran, motivo per cui non riuscivano ad abbandonarli.
Il nemico intanto tornò nella sua tana, attendendo il giorno in cui l’Ordine
l’avrebbe pagata definitivamente. Tuma avviò la ricostruzione e riunificazione di
Roxtus, ma non poteva ancora colpire Helryx. La notizia del coma fu però
l’unica cosa che gli fece passare per la testa l’idea di agire immediatamente, ma
la diplomazia dei suoi sotto comandanti, Stronius e Branar, lo convinse a non
farlo.
I Cacciatori dell’oscurità rimasti fedeli all’Oscuro tornarono con lui nella sua
cittadella e lo tradirono, seguendo il discorso che gli fece Darkness. Il fuoco
inghiottì qualsiasi oggetto e servo rimasto fedele all’Oscuro.
Per volere di Darkness, inoltre, ognuno dei ribelli (inclusi i quattro Barraki,
abbandonati dalle loro armate) dovette restare a osservare l’intero incendio
fino alle luci dell’alba.
“Una luce si spegne e un’altra alle vostre spalle si accende. Alzatevi ora.
Abbandonate la vostra vita, le vostre guerre, il vostro passato, il vostro nome, e
combattete al mio fianco.”
Queste furono le sue parole. Giusto qualche settimana dopo, trovò Ahkmou,
che con la persuasione di Okoth accettò di seguirlo nel mondo che verrà, come
spesso gli diceva.
Solamente due anni dopo si sentirono le trombe dell’Ordine echeggiare
ovunque: Helryx si era risvegliata.
I Ruhnga che scesero in battaglia al suo fianco non poterono dimenticare il
miracolo della Ignika, grazie alla quale il Virus di Kojol fu vaporizzato all’istante,
e furono perciò i primi a festeggiare il suo ritorno, addirittura più degli stessi
abitanti.
In quel momento, i Toa Mahri erano con gli Hagah nella periferia di Tesara.
Spinti dalla curiosità, giunsero sulla strada principale. Molti Matoran li
scansarono quasi dimenticandosi di chi fossero.
La Toa dell’Acqua si incamminò fino al tempio in cui celebrò la vittoria su
Teridax assieme ai Nuva, mentre si faceva aiutare da alcuni Korero.
“Era da tanto che non li vedevo così entusiasti.” arrivò Brutaka.
Hewkii rispose: “Speriamo che questa felicità duri il più a lungo possibile.”
“Spetta a noi mantenerla.” ribatté Norik prontamente, guardando Jaller.
“Ma ce lo permetterà lei?” disse Brutaka riferendosi a Helryx.
Alla parata si unirono Trinuma e Krakua, che si sorpresero di vedere i due
gruppi Toa in mezzo alla folla e non al loro fianco.
“Perchè pensi così, Brutaka?” domandò Nuparu.
“Voi Mahri non avete visto da vicino il comportamento di Helryx. Donare la
Ignika ai Nuva sarebbe stato semplice. Così facendo forse avremmo finalmente
incontrato i Grandi Creatori, scoprendo il futuro che ci attendeva al loro
fianco. Ma la sua sete imperialistica ha parlato diversamente a quanto pare.”
Infatti fu così: l’assassinio di Miserix fece catapultare l’attenzione sulla sua
persona, che si sentì subito minacciata. Il tempo a sua disposizione, prima della
chiusura definitiva della Realtà del Creato, durò fin troppo poco per farla agire
diversamente. A quel punto preferì costruirsi il ritorno dai Grandi Creatori
tutta da sola, senza curarsi dell’opinione degli altri agenti.
Quel giorno era finalmente arrivato...
Con la Maschera della Vita tra le mani, tenne quello che sarebbe stato il suo
ultimo discorso sul pianeta di Spherus Magna prima del ritorno nel Robot.
Le parole della Toa erano le solite: ringraziamenti su ringraziamenti,
accompagnati da inutili sprazzi di felicità per la rinascita sociale che era in atto.
Inutili, poiché in realtà ella stava celando altre verità, che come al solito furono
rivelate unicamente a Dume.
Il piano ora era chiaro, ma quanto ci sarebbe voluto? E soprattutto che cosa le
mostrò in sonno il Grande Spirito dormiente per spingerla a effettuare studi e
ricerche sul Robot segretamente?
I Mahri, Brutaka e i gli Hagah erano perplessi. Il fatto che Helryx non citò
nemmeno per un secondo i Nuva e della loro ricerca li stranì particolarmente.

Al termine del discorso, la piazza del tempio si svuotò. Helryx era l’unica con il
sorriso sul viso. Gli abitanti del villaggio al contrario erano molto dubitanti.
Gli altri agenti dell’Ordine fecero ritorno nei loro alloggi.
“Norik, signore, porto novità da Iconox.”
Il Ruhnga fu subito afferrato per le spalle da Pouks: “Hai notizie di Gaaki, Iruini
e Kualus?! Si o no?!”
Il Toa del Fuoco gli staccò la presa con forza. “Maledizione, Pouks! Perdonalo,
Ruhnga. Dicci pure...”
Il soldato parlò un po’ spaventato, mentre si massaggiava il deltoide sinistro: “Il
Villaggio d-del Ghiaccio è p-pronto per il r-rifornimento di Protodermis, s-
signore.”
Nulla di nuovo. Le speranze di Norik e Pouks si spensero all’istante. Bomonga,
al contrario, non guardò in faccia al Ruhnga nemmeno per un attimo. Ogni
volta che arrivava un messaggero, si chiudeva in sé stesso sapendo fin da subito
quale sarebbe stata la risposta.
“Va bene.” ribatté Norik rattristato. “Puoi andare...”
Dopo che il Ruhnga se ne andò, Pouks si imbestialì contro il suo leader:
“Quando la capirai che dei semplici soldati non potranno mai riportarci
indietro i nostri fratelli, Norik?! Perchè ti ostini a voler rimanere qui come un
codardo?!”
Il Toa del Fuoco lasciò cadere la pazienza. “COSA DOVREI FARE ALLORA,
EH?! Non capisci che abbiamo delle priorità, Pouks?!”
“Allora vuoi abbandonarli, non è così?” si rassegnò l’Hagah della Pietra.
“NO, POUKS! Troveremo il tempo per metterci sulle loro tracce... ma fino a
prova contraria oggi è successo un qualcosa che ha scombinato i nostri piani.
Ora siamo obbligati a rispondere unicamente a Helryx. Non possiamo fare
diversamente!”
Pouks fece continuamente di no con la testa. “Non posso crederci... Avevi
ragione tu, Bomonga. Dovevamo andarcene senza che gli altri lo sapessero...”
Norik si voltò di scatto verso il Toa della Terra. Aveva già avuto un litigio con
lui, motivo per il quale questo si isolò più volte dagli altri due. “Ancora con
questa storia, Bomonga?! E se ci facessimo catturare?! Siete davvero convinti
che in tre riusciremo a far fronte a ciò che sta là fuori?!”
“Ma se l’Ordine ci aiutas-”
“L’ORDINE NON CI AIUTERÀ, POUKS! NESSUNO CI AIUTERÀ! SE SONO
ANDATI VIA TUTTI! JOHMAK, LESOVIKK, I NUVA... TUTTI QUANTI! O
SEGUIAMO HELRYX, O AFFONDIAMO!”
Poi si calmò.
Bomonga perse la pazienza e uscì sbattendo la porta. Pouks fece lo stesso.
Norik si sedette a rimuginare mentre fissava il muro. Stava perdendo il
controllo dei suoi poteri e della sua calma.
“Bomonga, Pouks, va tutto ben- EHI! Ma che bisogno c’è di scansarmi così
violentemente?!” sentì dal corridoio fuori dalla stanza.
“Norik, che è successo?” si affacciò poi Mazeka.
“Nulla, Matoran. Ora lasciami solo...”
Dopo vari mesi, l’Ordine era nel pieno delle ricerche sul Robot. Decine di
spedizioni super segrete vennero mandate quotidianamente all’insaputa dei
Matoran e Glatorian per ispezionare la Barriera esterna.
L’Esercito di Certavus ottenne da parte di Helryx il giusto premio per l’aiuto
ricevuto in guerra contro Tuma e l’Oscuro, a partire dalle ingenti quantità di
Protodermis sfruttate per le ristrutturazioni, che furono l’unica cosa in grado
di mascherare gli studi sull’ex Universo Matoran.
Ogni giorno giungevano nuove scoperte e rivelazioni sulla grande macchina,
parte delle quali vennero rivelate dal primo Toa ai suoi agenti. Tuttavia, la mole
di informazioni potenziali da scoprire era davvero imponente.
Nel frattempo il trasferimento a Nuova Daxia (a sud del piede sinistro del
Robot) finì il suo corso, così come la sua costruzione. In questo modo l’Ordine
garantì un distacco parziale dalla gente di Tesara, che divenne la base principale
dell’Esercito di Certavus. Non a caso, data la vicinanza al Robot nei pressi della
Foresta di Garal, fu avviato un rinforzamento militare di quelle zone.
Ciononostante, buona parte dei Ruhnga rimase all’interno del Villaggio della
Giungla con lo scopo di fornire supporto militare in caso di guerra, anche se in
realtà Helryx voleva mantenere il proprio occhio pressoché ovunque.
Solamente un decimo dei ricercatori guerrieri fu inviato altrove, precisamente
centinaia di kios a sud-est nel laboratorio abbandonato della Stella Rossa. Per
fortuna le catastrofi spazio-temporali recarono pochi danni.
Gaardus era presente come al solito. Quando il Sostituto si recò sul luogo, fu
tempestato di domande, a partire da che fine avesse fatto Helryx al termine
della battaglia contro Tuma e l’Oscuro.
Le risposte del primo messaggero dell’Ordine di Mata Nui furono piuttosto
esaustive, risollevando l’entusiasmo del guardiano quando gli parlò del risveglio
di Helryx. La creatura alata vide anche molteplici Ruhnga portare i materiali
adatti per la ristrutturazione del laboratorio.
Ovviamente, però, il Sostituto ebbe un patto da proporre. Un favore per un
altro: oltre al Protodermis, l’Ordine avrebbe fornito abbastanza personale
militare per aiutare Gaardus a proteggere il laboratorio, ottenendo in cambio
una buona quantità di cristalli in Araidermis, provenienti dalla cupola che
permetteva il teletrasporto sul satellite. Questi sarebbero stati i punti di
partenza per la costruzione del marchingegno in grado di rendere Toa
qualunque Matoran.
“Per quale ragione ne avete bisogno?” domandò infatti il guardiano alato.
“Non farai in tempo a scoprirlo. Il Grande Spirito dormiente è a nostro favore
e così ha parlato. La sua luce riempirà il tuo cuore prima che tu possa
saperlo...”
Il Matoran era seduto di fronte a un muro. La luce dell’uscio alle sue spalle
proiettò un’ombra allungata sulla parete.
Rimase immobile a osservarla con attenzione, tutto pensieroso. Poi ad un
tratto questa assunse un aspetto inconsueto.
Si alzò subito in piedi spaventato, credendo che i consigli meditativi della sua
amica non stavano dando alcun progresso. La sagoma sembrò voltarsi verso di
lui per un istante, mentre una gobba prosperosa gli stava crescendo sulla sua
schiena. Dei lunghi artigli fuoriuscirono dalle dita delle mani, ed un mantello
lungo e stropicciato si estese dal collo fino alle caviglie.
Infine rimase ferma a fissarlo...
Il piccolo si strofinò gli occhi più volte, credendo che potesse essere una
stupida proiezione della sua mente o forse un incubo.
“Ahkmou, stai bene?” sentì alle sue spalle.
“Si... Credo di si, Okoth...”
Non fece in tempo a voltarsi del tutto che una mano oscura lo afferrò da
dietro, facendolo girare verso il muro nuovamente. Stavolta però era Darkness
a trovarsi di fronte a lui.
“Hai ancora le visioni...” disse irritato al Matoran.
“Come, visioni? Ma io ho sentito la voce di...” non finì di parlare. La figura di
Okoth fu davvero una semplice proiezione del suo pensiero.
La figura corvina, un tempo braccio sinistro dell’Oscuro, si accovacciò a
osservarlo infastidito. La prima cosa a cui pensò era la visione che l’attuale
Hagahkuta Gaaki gli fece erroneamente vedere quando venne catturata
assieme agli altri due Toa.
All’inizio credette che egli potesse essere il vero Erede dell’Antidermis, che
avrebbe un giorno ripreso in mano i domini di Rewerax, ma fu successivamente
smentito dalla proiezione conferitagli. Non riusciva però a smettere di
domandarsi di come un semplice individuo come lui, con le varie potenzialità di
cui disponeva, fosse in grado di ribaltare un giorno il mondo in cui vivevano.
“Scusami.” interruppe il silenzio Ahkmou. “E’ solo che... non riesco a
controllarle diciamo...”
“Non c’è da scusarsi.” rispose Darkness. “Chiunque ha dentro di sé un nemico
da sconfiggere, ed esso è più potente di ogni altra cosa che esista. Questa è la
prima nozione che devi avere se vuoi sapere non come sconfiggerlo, ma come
abbracciarlo...”
Mentre si rialzava da terra, il Po-Matoran, con sguardo sfuggente, domandò:
“Quando sarò pronto allora, Maestro?”
L’ex Cacciatore oscuro per un attimo si meravigliò. Non era mai stato
chiamato con un titolo simile prima d’ora. “Non lo saprai. Sarà la tua voglia di
cambiare a dirlo. Non devi lasciare che sia l’unica versione di te che conosci e
che ti sta comandando in questo momento ad agire, ma un’altra. Quando
arriverà il tuo momento, ce ne andremo via insieme.”
“Andare dove? Non capisco.”
“Frena la curiosità, e pensa a crescere.”
“Maestro...” giunse l’Hagahkuta Iruini tramite teletrasporto. “La costruzione
del mega recinto per i vostri Rahi è stato terminato. Nessuno di loro uscirà da
quella grotta di ghiaccio se non con il vostro volere, avete la nostra parola.”
“Molto bene.” rispose, ma prima di dare un altro ordine disse: “Esci fuori di lì,
Okoth. Non è saggio spiare nell’ombra in mia presenza.”
La Ga-Matoran fece come gli era appena stato ordinato.
L’Iruini mutato fece una smorfia. Era molto infastidito del fatto che il suo
attuale condottiero desse più importanza a due piccoli Matoran e non ad
esseri potenti come lui e i suoi fratelli. Volendo i tre avrebbero potuto mettere
fuori gioco Darkness e uccidere i Matoran senza problemi, ma era davvero
difficile con un oggetto come la Lancia dell’Oscurità fra le mani dell’ex
Cacciatore oscuro. L’Antidermis, che era ora l’unica soluzione che scorreva in
loro, veniva costantemente controllato dalla mente del Maestro, anche se ciò
non gli bastava a renderlo invulnerabile: oltre ai Matoran e agli Hagahkuta,
infatti, Darkness era in costante ricerca di nuovi alleati. I Cacciatori
dell’oscurità rimasti non erano più di cento, e le creature provenienti dalla
Realtà del Creato non potevano ancora essere schierate al suo servizio,
siccome aveva ancora molto da sapere sull’utilizzo della Lancia. Non a caso se
ne stava tutte le notti a leggere il diario di Teridax, cercando di estrapolare
qualche informazione in più sull’arma. In poche parole, la sua impresa dovette
ripartire da zero, con la speranza che un giorno tutto sarebbe cambiato. Egli
infatti se lo ripeteva ogni maledetto giorno, con la costanza a tratti di un folle...
“Scusatemi, Maestro. Ero solo preoccupata per Ahkmou.”
Il Po-Matoran però non sembrava ricambiare lo stesso per Okoth. Da quando
si unì a Darkness, di fatti, era unicamente concentrato su questo splendido
futuro di cui la figura corvina gli parlava spesso.
“E’ comprensibile, Okoth. Hai notizie per me?”
“Si... Di recente mi sono recata nei villaggi che si collegano alle Montagne di
Quarzo bianco ad Iconox. Ho sentito che si sono iniziati a smuovere individui e
idee strane ultimamente.”
“Helryx non imparerà mai la lezione, non è vero, Maestro?” arrivarono anche
Kualus e Gaaki.
“Quel giorno arriverà, fidatevi. La cosa più importante ora è agire nell’ombra.
Dobbiamo indagare il più a lungo possibile in luoghi come questi. Abbiamo
bisogno di alleati... tanti alleati. Okoth, voglio che tu torna da me il prima
possibile con nuove informazioni.”
“Aspetta, Darkness! Manda me, ti prego!” lo implorò Ahkmou che si mise in
ginocchio.
Gli Hagahkuta scoppiarono a ridere, esaltando il lato più negativo del carattere
degli ex Toa. Non furono calcolati da Darkness, il quale, sorprendentemente
per Okoth, accettò.
Il Po-Matoran fu lasciato da Iruini all’interno delle mura. Occorreva congedarlo
il prima possibile, prima che qualche Ruhnga o soldato Agori lo vedesse.
“Okoth ha detto che ha sentito alcuni protestanti nella piazza principale a
qualche isolato da qui, verso quella direzione. Ora va’, e cerca di non farti
catturare. Sarò felice di mozzarti la testa se ci tradirai.”
“V-va b-bene.” balbettò Ahkmou, e fu lasciato solo.
Gli Hagahkuta intanto avevano un compito ben preciso da svolgere, ovvero
assicurarsi l’arrivo dei guerrieri ingaggiati da Proton su Spherus Magna.
Probabilmente uno di loro avrebbe portato con sé la fatidica Lancia di
Rewerax, grazie alla quale, secondo il Makuta dei due mondi, sarebbe stato
possibile tornare nella Realtà del Creato indipendentemente dal blocco
spaziotemporale. Per Darkness sarebbe stata una vera e propria notizia
positiva per la sua impresa, anche se il suo vero obiettivo era un altro, ed era
dimensionalmente molto più grande.

Seguendo le indicazioni del Toa mutato, Ahkmou si diresse nel punto giusto.
Inizialmente credette di aver sbagliato strada, ma un inaspettato raduno di
guerrieri glatoriani gli fece ricredere.
Erano nove, e facevano da guardia ad un Agori del Villaggio del Ferro, a
giudicare dal suo aspetto.
‘Meglio che me ne vada. Saranno dell’Esercito di Certavus.’ pensò rapidamente
il Po-Matoran, e mentre si voltò per uscire dall’angolo buio in cui si stava
celando, si imbatté in un convoglio di Ruhnga d’élite che stava ispezionando il
quartiere.
Come per reazione, l’Agori del Ferro ordinò ai suoi guerrieri di nascondersi.
‘Perchè si stanno nascondendo?’ si chiese il Po-Matoran. ‘Forse sono... ribelli
Parenga?’
Così, dopo che il gruppo dell’Ordine si ritirò, decise di uscire allo scoperto, e
andò a parlare col Matoran che interagì con l’Agori. Ahkmou partì in quinta e
fece il saluto tipico Parenga per avere l’immediata conferma, ma questo lo
guardò stranito.
“Va tutto bene, amico?” domandò costui.
Ahkmou ritirò immediatamente il braccio tutto impaurito, e si dileguò col suo
tipico “coraggio”.
Corse più in fretta che poteva, coi fantasmi dei suoi presunti inseguitori che gli
venivano dietro, finché non si rifugiò in un vicolo cieco. Si fermò a prendere
fiato, appoggiandosi al muro.
“Perchè scappi dalle tue responsabilità?” sentì la voce della mutata Gaaki alla
sua destra.
“Io non sto scappando dalle mie responsabilità!” rispose orgoglioso. “E’ solo
che...”
“Così facendo non potrai tornare utile alla nostra causa. Potrei ammazzarti in
questo momento, scoprire chi sono quegli individui che hai visto, e prendermi i
meriti da parte del Maestro. Queste ferite che vedi però parlano diversamente,
e non posso fare altro. Torna indietro, Matoran. Torna indietro e affronta le
tue paure...”
Okoth rimase seduta a guardare il tramonto, mentre i Cacciatori oscuri al di
sotto del suo balcone stavano terminando la costruzione dell’accampamento.
“Qualcosa ti turba, Matoran?” udì l’arrivo affannoso di Darkness.
“E’ per Ahkmou... Sei davvero sicuro di quello che hai visto? Non pensi forse
che sia il caso di affidarsi a uno dei mercenari che vagano nel deserto? Ho
sentito parlare di guerrieri come Malum, un tempo signore dei Vorox prima di
Kabrua, oppure Strakk, uno dei Glatorian che si unì a noi Parenga durante la
Seconda Guerra del Nucleo. Perchè lasciare tutto nelle mani di Ahkmou? Io e
lui siamo semplici Matoran. Il nostro dovere è un altro...”
“E quale sarebbe?” rispose un po’ minaccioso.
“Beh, noi... un giorno serviremo i Grandi Creatori.”
“E tu saresti felice di vivere una vita a servizio di qualcuno che ha meno da
dare rispetto a te o Ahkmou? Volete veramente essere schiavizzati dagli ordini
di individui che non sapete nemmeno come sono fatti o di come sia il loro
passato? Hai ancora molto da imparare, specie se per millenni hai vissuto con
una benda senza esserti mai accorta di averla.”
L’orgoglio di Okoth voleva ribattere nuovamente a difesa di Ahkmou, ma
l’arrivo del Po-Matoran da lontano la fece balzare di gioia. “Eccolo! E’ tornato!”
Darkness non disse nulla. Si smaterializzò nell’ombra, attendendolo poi nel suo
rifugio.

Qualche minuto più tardi, Ahkmou raccontò: un nuovo signore della guerra
stava fondando le proprie radici vicino Iconox. Il suo nome era Magis, ed era
un Agori del riformato Villaggio del Ferro che stava avviando una politica
personale di guadagni. In base alle voci che il Po-Matoran sentì, capì che costui
era un addestratore di Glatorian. Sentì dire che anche solo uno di questi
poteva mettere fuori gioco un gruppo Toa in pochi minuti.
Gli occhi violacei di Darkness, orgoglioso per la mini impresa del Matoran, si
allargarono immediatamente e prese subito la sua nuova decisione...
2300 giorni prima del Risveglio...

Darkness ed Helryx iniziarono dunque a muoversi. Il patto segreto che


stabilirono poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale li obbligò ad
affrettarsi, ciascuno con le proprie difficoltà.
I guerrieri dell’ex Cacciatore oscuro lavoravano unicamente come spie o forze
di difesa e mimetizzazione per la base che stavano ricostruendo a partire dalle
macerie della cittadella incendiata. Non c’erano altri posti sicuri al momento. I
Barraki mandati in avanscoperta non trovarono nuovi luoghi in cui stabilirsi.
L’Ordine stava estendendo il proprio controllo ovunque, così come Roxtus che
era decisamente in ripresa.
Lo scontro finale quindi fu solamente rimandato, e anche se l’Ordine non
venne mai a sapere nulla sulle mosse di Darkness, si tenne comunque pronto
ad inaugurare l’inizio di una nuova generazione Toa.
Perciò, una volta terminata la costruzione del cosiddetto Marchingegno
Whetu, che fu prontamente consegnato da Mavrah nella foresta di Gaardus,
Helryx mandò il Sostituto di Botar e Trinuma a chiamare il primo Matoran sul
quale testare la macchina: Kapura.
Lo spirito di Artakha intanto fu reduce dal blocco parziale dei suoi poteri
provenienti dalla Realtà del Creato, che gli permisero comunque di trovarsi
unicamente in uno dei due luoghi, ovvero Spherus Magna spiritualmente e con
pochi poteri, oppure nella realtà madre fisicamente.
Inviò un gruppo di Toa veterani per il recupero della famigerata trappola di
cristallo in cui si trovava Voporak. Fortunatamente la Vahi era già tra le mani
del Grande Essere, ma gli esperimenti da effettuare per la visione di Toa Gaaki
erano ancora da programmare.
Il capo del team di Toa era proprio Tagahri, seguito dai Toa Ikani, Zaviri, Majul
e Polekas. I cinque si allontanarono da Nuova Daxia (patria momentanea dello
spirito di Artakha) per pochi mesi, e fortunatamente fecero ritorno col
cristallo ancora intatto. Il volto dell’intrappolato Voporak avrebbe terrorizzato
chiunque. In più, grazie allo scudo temporale protettivo che Artakha riuscì a
creare con l’uso della Vahi, non risentirono dei mutamenti temporali che
avevano creato un enorme cratere nel punto in cui fu abbandonato il cristallo.
Il caldo pomeriggio che ospitò il ritorno del gruppo di Tagahri fu preceduto da
un incontro tra i Mahri e Artakha. Discussero a lungo sulle motivazioni che
portarono il Grande Essere a scegliere quella pista, anche se non furono
soddisfacenti...
In ogni caso, l’arrivo dei Toa veterani fu accolto con grande entusiasmo da
parte dei Mahri, in particolare Kongu: “Stavo già iniziando a scavarmi la fossa
per la noia, se proprio volete saperlo...”
Nuparu invece, spinto dalla curiosità, pose una domanda: “Non avete trovato
nient’altro?”
In realtà si stava riferendo al famoso scettro dell’ex Cacciatore oscuro. Forse i
suoi frammenti avrebbero potuto aiutare Artakha.
“No, Nuparu.” rispose il Toa del Plasma Majul. “E’ già tanto se siamo riusciti a
recuperarlo in quelle condizioni.”
“Già, per poco non ci siamo fatti anche beccare.”
“Cosa intendi dire, Toa Polekas?” chiese Hahli.
Tagahri rispose: “Non eravamo soli a Roxtus. Mandai Ikani e Zaviri, e dopo
qualche ora tornarono in fretta dicendomi che uno squadrone di cinquanta
Skrall era nei paraggi. Pare che Tuma stia riprendendo il controllo di Roxtus e
unificando gli ultimi clan Skrall rimasti dopo la loro scissione.”
“Beh, siete qui. E’ questo quello che conta!” affermò Kongu.
Il Toa della Terra guardò in faccia Artakha, dicendogli: “Spero che tu sappia
quello che fai, Grande Essere. Il mondo sta tornando a muoversi come prima,
e lo sta facendo troppo velocemente per i miei gusti.”
“Fidati, Toa Tagahri. Se non altro Toa Gaaki ha adempito al suo dovere. Mi
chiedo solamente dove sia ora. Con il suo aiuto potevamo essere già più avanti
rispetto al nemico in questo momento.” e si passò da una mano all’altra la
Vahi, osservandola più attentamente. “Forse un giorno grazie a questa
potremo tornare dai Toa Nuva. Se quello che voi Toa Mahri dite è vero, allora
la stessa energia sprigionata da questa maschera ci sarà utile per riaprire un
portale verso la Realtà del Creato. I Nuva e Rakau stanno facendo di tutto per
tornare qui, ma non sembra esserci alcun modo...”
“Attenzione, fedeli Matoran di Ahi-Nui! Stiamo cercando un Ta-Matoran di
nome Kapura. Che si faccia avanti ora per volere del Grande Spirito
dormiente!”
I presenti iniziarono a guardarsi attorno mentre cercavano di individuare l’ex
cronista tra la folla. Era piuttosto conosciuto tra la gente che abitava sotto ai
monti di Vulcanus.

“Dov’è?”
“Tu l’hai visto?”
“Voi invece?”
“Era qui qualche ora fa.”
“L’ultima volta che ero con lui era vicino all’abitazione di Sylak.” vociferarono
tra di loro i Matoran.

Trinuma allungò il collo nel tentativo di vederlo tra le persone.


“E’ inutile che cerchi. Se ne sarà andato da qualche altra par-”
“Eccomi!” sentirono poco più a sinistra.
Il Ta-Matoran cronista fu l’unico col braccio alzato. La sua Pakari rossa lo
contraddistinse dalle Kakama e Miru di diversi colori che lo circondavano.
Attualmente il Ta-Matoran aveva un carattere differente, ben lontano dalla
timidezza impacciata che lo distingueva da tutti gli altri Matoran durante gli
anni sull’isola di Mata Nui. Era più vivace rispetto a prima, e ciò era dovuto
anche dalla forte influenza che ebbe dal suo amico Tamaru, con il quale lavorò
per diversi anni prima dell’appello di Takanuva.
“Sono io. Perchè mi state cercando?” domandò ai due giganti dell’Ordine.
La risposta giunse dal Sostituto: “Sei stato scelto, Matoran. Un grande futuro
attende la tua persona. Vieni con noi e lo scoprirai...”
Ovviamente non aveva altra scelta, così li seguì. In realtà quel giorno aveva un
Sand Stalker pronto alle scuderie, col quale sarebbe tornato a Tesara per
assistere alla settima edizione dei giochi sportivi di Wha-Nui.
Il suo posto però fu occupato da altri due individui, che si materializzarono da
un punto ben nascosto dalle guardie glatoriane, nel mezzo dell’ombra.
“Siamo arrivati, Ahkmou.”
“Una partita di Kohlii?! Siete serio, Maestro?”
Darkness non rispose. Mosse il suo sguardo lentamente verso il settore ovest
dell’arena, e con voce autoritaria disse: “Guarda.”
Il brusio di sottofondo delle migliaia di spettatori fu interrotta dall’arrivo di tre
giudici Agori.
“Osserva con attenzione...”
Il Po-Matoran dentro di sé si sentì un po’ preso in giro. Cosa c’entrava una
semplice competizione sportiva come quella col suo percorso futuro?
Come i tre giudici fecero ingresso, si sentirono le melodie solenni di trombe
agoriane, che furono immediatamente spodestate dalle esultanze e urla di gioia
degli spettatori.
“Quanta esagerazione per tre semplici individui come loro!” esclamò il Po-
Matoran, suscitando in automatico l’interesse di Darkness, che però non si
sbilanciò più di tanto.
L’abbigliamento dei tre giudici era uno più bizzarro dell’altro: ghirlande di fiori
preziosi erano poggiate su delle vesti dal materiale super raro, e colorati di una
tinta al tempo molto costosa.
Camminavano con le mani alzate in aria, sorridendo e girando su sé stessi
mentre abbracciavano i complimenti e i cori che echeggiavano in loro onore.
“Ma grazie, grazie!” ripetevano in continuazione con finta umiltà. “Vi adoro!”
Subito lo sguardo di Ahkmou sfociò in una smorfia d’invidia e rabbia. Per
Darkness stava tutto andando come doveva...
“Cittadini della riformata Tesara! Benvenuti alla settima edizione dei giochi di
Wha-Nui!” parlò l’annunciatore.

“ YEEEEEAAAAHH!”
“Oggi è un giorno importantissimo per tutti voi tifosi! La magnifica potenza di
Wai-Nui si scontrerà con le enormi abilità di Whe-Nui!”
E mentre l’annunciatore parlava riassumendo l’andamento delle scorse partite,
Ahkmou si guardò attorno rendendosi conto del tifo accentuato di alcuni tifosi,
che mancarono subito di rispetto nei confronti della squadra/villaggio
avversario. Ognuno di loro fu investito da un sentimento rabbioso e fomentato
allo stesso tempo, accompagnato da cori denigratori e razzisti contro gli Agori
o i Matoran.
“Odio. Mancanza di unità. Razzismo. Egocentrismo ed egoismo. Virtù
sicuramente negative...” cominciò il suo discorso Darkness. “Tutto questo per
un semplice sport, nato ai vostri tempi per unificare i popoli sotto lo sguardo
solenne del Grande Spirito Mata Nui. Buffo di come a distanza di anni dal
termine della guerra non sia cambiato nulla, ma anzi, che si sia addirittura
diffuso nel linguaggio e nella semplicità comune. Come vedi tutto inizia dalle
piccole cose, Ahkmou...”
“Nel volto di alcuni però vedo felicità, spensieratezza. Sembrano entusiasti di
vedere la partita che sta per cominciare.”
“E quanto pensi che dureranno? Quanto tempo passerà prima che anche loro
si trasformino in quegli orrendi mostri? Anche quello è razzismo in una delle
sue differenti e tristi forme. Non dovranno esistere razze un giorno, Matoran.
Esisterà un unificatore che terrà dentro di sé il liquido vitale di più esseri. Ma
non era solamente questo che volevo farti notare. Guarda là...”
Improvvisamente nell’arena fece invasione un Onu-Matoran qualunque. Corse
fino al centro dell’arena, prima che le guardie glatoriane potessero acciuffarlo, e
gridò ad alta voce: “Le partite sono tutte truccate! Là fuori c’è gente che
muore di fame e che ha ancora bisogno di una casa! Non potete stare qui a
seguire le orme di tre Roodaka come loro mentre i nostri fratelli se ne stanno
a marcire!”
La folla fece un verso collettivo di stupore. Uno dei tre giudici, seduto sul suo
trono, rispose con serena tranquillità: “Bene dunque, mostraci cosa dovremmo
fare allora...”
Gli spettatori scoppiarono a ridere. Il Matoran provò più volte a rispondere a
dovere, ma il menefreghismo dei tre giudici oltrepassò ogni sua offensiva.
Anche se questo aveva ragione, fu comunque preso in giro dai presenti che
non volevano mettersi dalla sua parte.
“Ecco, Ahkmou.” parlò nuovamente Darkness. “Ecco perché chi osa alzare la
testa viene immediatamente tramortito dal pensiero comune. Ecco perché fino
alla fine ci sarà sempre una discriminazione totale di questi individui. E per
quale ragione? Perchè forse si tratta di uno dei pochi Parenga rimasti? E’
naturale: come rischi di ribaltare l’equilibrio che si era e che si sta creando,
diventi in automatico un “cattivone”. Guarda come questo branco di Mahi si
lascia abbandonare al pensiero collettivo a favore di quei tre stolti, come se
fossero proprio loro a donare cibo ed abitazioni alla gente del Circolo. Vedi,
molti di loro sono depensanti che preferirebbero vivere come quei tre in
mezzo alla ricchezza. Tu non hai mai visto come li acclamano ogni volta che si
trovano a pochi metri da loro. Ma farebbero lo stesso con un Matoran, un
Glatorian, un Agori, o addirittura un Toa che sta morendo di fame?”
“Beh... alcuni lo farebbero. C’è ancora gente che lotta per il bene, ne sono più
che sicuro!”
“Non è una quantità sufficiente, Ahkmou. Non tutti lo fanno perché lo
desiderano veramente. Molti che si reputano profeti del bene comune e
dell’altruismo lo fanno solamente per attirare attenzione e complimenti. Se
vuoi che regni pace nel tuo dominio, devi prima capire che la prima cosa che
deve esistere non è la felicità, ma la serenità personale con sé stessi. Ognuno
di loro combatte una guerra spirituale che però esplicita in maniera
completamente scorretta, affidandosi a tre avidi come loro e non per esempio
agli altri Toa.”
“Pensavo che odiassi i Toa...” si sorprese Ahkmou.
“Io provo odio nei confronti della società che ci circonda. E non me ne starò
fermo a osservare il tempo e la vita passarmi di fronte. Non più ormai... Siamo
tutti accomunati dall’odio contro un qualcosa che tutto sommato non
sappiamo cosa sia, e lo tiriamo fuori, coi fatti, facendo talvolta del male ad altri,
senza rendercene conto e fregandoci delle possibili conseguenze. Helryx non
ha insegnato questo a voi Matoran. Il Grande Spirito non l’ha fatto. Non
l’hanno fatto i suoi portavoce, ovvero i Turaga, e non l’hanno fatto nemmeno i
Grandi Creatori. Si sono inventati questa futile politica dell’Unità, del Dovere e
del Destino. Ma come vedi non esiste maligno che non sia nato dal buono...”
“Cosa dovremmo fare allora?”
Darkness non fiatò. Restò ad osservare il proseguimento dello scontro verbale.
“E’ facile parlare per voi tre!” disse il protestante mentre due guardie
glatoriane lo afferrarono per le braccia. “Basta che vi alzate, veniate qui,
facciate il vostro spettacolino per poi tornarvene nei vostri alloggi, senza che
una minima mole di preoccupazioni invada il vostro pensiero!”
La folla iniziò a fischiargli contro: “Tornatene a casa!”
“Buffone!”
“Sporco ribelle!”
Uno dei tre Agori si alzò a braccia aperte, credendosi una sorta di divinità.
“Non li vedi? Riesci a vedere da che parte stanno loro? Credi che uno stupido
Parenga come te possa fargli cambiare idea? Perchè allora non sei a combattere
per i tuoi diritti? Sei davvero convinto che così facendo otterrai qualcosa?
Ricordati che mentre tu sei qui a inveirci contro, ci sono persone che stanno
peggio di te, e per la quale nessuno dei presenti può farci qualcosa. Siamo nel
dopoguerra, e solo l’Ordine può darci le risposte che cerchiamo da millenni!”
“L’Ordine vi farà solamente ammazzare! Quanti Matoran e Agori sono morti
per la sete imperialistica di tre mostri?!”
“Meglio sottostare a Helryx che ai figli dell’anarchia se proprio me lo chiedi,
eheh!” e rise assieme alla folla. “Va bene, ne ho avuto abbastanza adesso.
Portatelo via!”
“No! Fermi! Ribellatevi, fratelli miei! Ricorda-” fu ammutolito da una guardia
finché non giunsero nei tunnel sotterranei all’arena, dove fu martoriato
violentemente dinanzi agli occhi dei lavoratori.
Nessuno sentì le sue grida di dolore. Le esultanze della folla per il gol segnato
dalla Ga-Matoran Nahuil si fecero sentire in ogni angolo di Tesara.
Ahkmou guardò subito Darkness spaventato, ed egli gli disse: “Tutto questo
non cambierà mai, Ahkmou, dovrai rassegnarti. Ormai è diventata una ruota
che non smetterà mai di girare proprio perché è alimentata da questa scarica
di emozioni forti che quegli stolti provano. Perchè mai dover interrompere
un’usanza come questa, si chiederebbero. Cosa ancora più triste, è che quelli
che si opporrebbero, chi follemente e chi giustamente, verranno visti in
maniera negativa. Ecco perché la nostra politica agirà sempre all’oscuro di tutti.
Per cambiare il mondo, dovremo puntare a un unico momento che
capovolgerà obbligatoriamente la vita di tutti... Ma non è solamente questo di
cui ti voglio parlare. Non sono per forza la corruzione, l’avidità e il
conformismo a rovinare questa società. Vieni con me, siamo solo all’inizio.”
2289 giorni prima del Risveglio…

“Helryx? E’ da diverse settimane che non ci si vede.” si sorprese Toa Norik.


“La sete di conoscenza non dorme mai. Sono fiduciosa del lavoro che stiamo
compiendo.” disse lei.
Il Toa del Fuoco fece un sorriso palesemente sforzato. Stava chiaramente
nascondendo una forte preoccupazione.
Il primo Toa lo notò e chiese: “Tu, piuttosto, ho sentito che tre dei tuoi fratelli
sono scomparsi qualche anno fa. Sono molto addolorata dalla notizia. Vedrai
che quando tutto questo sarà finito non ci sarà alcun luogo dove i nostri ostili
potranno nascondersi, e trovare Gaaki, Iruini e Kualus sarà istantaneo. Con
Bomonga e Pouks invece come procede?”
“Beh, noi... abbiamo avuto delle discussioni. Per mesi non ci siamo parlati...”
“E ora invece?” fece la domanda Helryx, quasi irritata dal fatto che i tre non
stessero lavorando in sintonia.
“Il Dovere è l’unica cosa che ci unisce. Spero solo che un giorno possano
mettere i loro sentimenti negativi da parte.”
“I Toa sono a tutti gli effetti una famiglia, dovresti già saperlo. Non dovete
azzardarvi a far sì che la vostra irrazionalità prenda il controllo, sono stata
chiara?” disse severamente la Toa.
“Si, Helryx... sicuramente...”
Poco più avanti videro Turaga Vakama seguito dagli altri cinque.
“Oh, Helryx. Siamo lieti di rivederti in forma!” affermò Turaga Onewa.
“Mai quanto me, vecchio saggio.”
Turaga Nokama diede una piccola spinta al braccio di Vakama, che la guardò
facendo di no con la testa.
Helryx se ne accorse. “Qualcosa non va?”
Il saggio dell’antica Ta-Koro rispose: “Oh, ehm... in effetti si. C’è stato un
problema nelle miniere a nord di Tajun. Ma non preoccupatevi, Helryx. Ci
penseranno i Toa Mahri. Ho piena fiducia in loro.”
“No.” rispose seria la Toa. “Spiegate.”
“Pare che una strana creatura abbia invaso la miniera C-24.”
“Ho sentito che lì il Protodermis abbonda a dismisura.” disse Norik
rivolgendosi al leader dell’Ordine.
“Esattamente, Toa Hagah.” continuò Turaga Nuju, il quale riuscì a distanza di
anni a riprendere l’uso della lingua comune. “Ho sentito dire che i lavoratori
sono fuggiti in preda al panico.”
“Dobbiamo mandare un team specializzato. Forse un gruppo di Ruru Toa, così
potranno localizzare la creatura in men che non si dica.” suppose Turaga
Matau.
“No, andrò io.”
“Dici sul serio, Helryx?!” si sbalordì Norik. “Non è sicuro per te uscire allo
scoperto da Nuova Daxia dopo quello che è successo!”
“Poco importa. E’ giusto che la gente sappia e veda che io ci sarò sempre a
proteggerli, come tutti noi.”

Trascorse le due ore di viaggio, la Toa dell’Acqua, che per volere suo ordinò di
non farsi accompagnare da nessuno, si diresse dal direttore della miniera.
I presenti si stupirono quando la videro.
“T-Toa Helryx, c-che onore avervi qui.” disse il Matoran a capo del cantiere.
“Mi è stato segnalato un problema. Di che cosa si tratta?” domandò mentre
passeggiava col lavoratore in mezzo al luogo di lavoro.
Gli altri operai non smisero di tenerle gli occhi addosso nemmeno per un
secondo.
“Dentro quel tunnel. I livelli di Protodermis al suo interno vanno oltre la
sensibilità dei nostri radar. Delle strane voci spaventano i miei lavoratori prima
che questi possano estrarre anche solo un grammo di Protodermis.”
La Toa non gli fece finire il discorso e si diresse all’interno della galleria.
Più si avvicinava verso la fine, e più un bagliore biancastro si espandeva sulle
pareti.
Poi vide il responsabile: un’enorme poltiglia grigia e luminosa si allargava in ogni
angolo della caverna, fondendo i suoi pseudopodi con i muri.
Helryx non ebbe nemmeno un briciolo di paura, ma preferì per il momento
non mostrarsi. Così si nascose dietro uno dei pilastri che stavano all’ingresso.
“Questo posto non ti appartiene, creatura.”
“Uh?! Chi ha parlato? Mostrati!” ordinò l’ammasso gelatinoso.
“Non ha importanza. Non è la prima volta che io e te ci incontriamo...”
“Questa voce... non può essere vero. Sei tornata tra i vivi, Toa Helryx?”
La Toa dell’Acqua uscì allo scoperto. “Ebbene sì. Il Grande Spirito dormiente
ha preso la sua decisione.”
“Stai scherzando spero! Come può Mata Nui mettersi dalla tua parte, che per poco
hai causato la distruzione completa di questo mondo assieme al leader degli Skrall
e quello dei Cacciatori oscuri?!”
“Non sei tu a decidere per Mata Nui, e nemmeno noi agenti lo siamo.
Facciamo da tramite per ciò che egli ci comunica e lo portiamo a termine,
indipendentemente dall’opinione altrui. Ora fatti da parte oppure collabora
con noi. Qualcosa di grande attende la nostra venuta.”
“No, Toa! Non posso! Io sono la voce che regna sotto la superficie, e che protegge
questo mondo dall’interno! Senza di me esso collasserebbe definitivamente! Tu non
sai quale fine orribile vi attenderebbe in tal caso! I Grandi Creatori lo sapevano...
l’hanno intuito, e se ne sono andati via come se nulla fosse!”
“Stanno aspettando solamente noi, Protodermis.”
“Ne sei veramente sicura? Perché allora non se ne sono andati con vo-”
“Non importa. Abbiamo un Destino da scoprire... e sarà il Grande Spirito a
insegnarcelo.” lo interruppe di prepotenza.
“Non lo farete mai...” e preparò il suo attacco, ma Helryx non ci pensò due
volte ed estrasse la Ignika con maestosità.
I tentacoli del Protodermis energizzato si ritrassero all’istante. “Dolore! Ecco
cosa percepisco! Confusione! Caos! Quella Kanohi porterà via la vita a molti
individui se ti lascerai corrompere da essa! Aspetta... COSA FAI, HELRYX?! NOOO!”
e tacque all’improvviso.
La Toa dell’Acqua cambiò la consistenza del materiale, estrapolando la sua
coscienza più insidiosa.
Ma a cosa si riferì quando parlò della corruzione che la Maschera era in grado
di generare? Davvero la morte sarebbe stata il vero protagonista negli anni a
venire?
L’intera scena fu registrata nella mente di un certo Ahkmou, che fu risucchiato
dall’ombra che Darkness generò per lui con lo scopo di spiare l’incontro.

“Helryx sta iniziando a muoversi dunque. Molto bene...” ragionò l’ex
Cacciatore oscuro. “Sei stato bravo anche stavolta, Ahkmou. Ultimamente il
tuo rendimento mi sorprende sempre di più.”
Si accovacciò viso a viso con lui. “Tieni, questa pietra verde che vedi è un mio
piccolo regalo.”
Il Matoran la prese in mano esaminandola con attenzione.
“Ovviamente è invendibile.” disse Darkness prima che ad Ahkmou potesse
venirgli in mente di venderla a un prezzo elevato.
“S-sì, certamente... Come l’hai ottenuta?” chiese un po’ esitante.
“Prima della fine della guerra, rimasi intrappolato all’interno della Realtà del
Creato. Un Agori di nome Sahmad mi catturò portandomi in quella
dimensione, e lì incontrai un Grande Creatore maledetto dai poteri della
Ignika. Si chiamava Hauran ed era in possesso di quell’oggetto che hai tra le
mani. Gli permetteva di controllare una creatura dalla potenza incalcolabile.
Quando poi scoppiò la guerra ovunque, riuscì a scappare dalla fortezza in cui
mi imprigionarono. Seguì poi le orme di un misterioso Skakdi, che intendo
ancora cercare, fino alla tana del Grande Creatore, dove rubai diverse cose.
Ancora oggi sto cercando di capire cosa siano. Quella pietra però sembra
poter creare una sorta di legame spirituale tra i due portatori. Gioia crea gioia,
sicurezza infonde sicurezza... infine dolore e rabbia rilasciano pazzia. Potranno
tornarci utili in futuro, specie se avrai ancora attacchi di panico o visioni. La mia
coscienza sovrapporrà la tua, e saprai sconfiggerle in qualsiasi momento.” e
così dicendo, prese la pietra e la spezzò a metà, senza alterarne l’effetto.
Una parte fu legata ad una collana che donò ad Ahkmou, mentre l’altra la
incastrò in mezzo al suo petto. Improvvisamente i due furono investiti da una
potente energia negativa, e caddero al suolo.
“Maestro! State bene?!” intervenne Okoth la spiona.
La figura corvina si alzò di fretta col respiro pesante, scansando violentemente
Okoth dal suo cammino. Andò dal Po-Matoran privo di coscienza ed iniziò a
scrollarlo finché questo non si risvegliò confuso.
La Ga-Matoran non riusciva a dimenticare lo sguardo maniaco dell’ex
Cacciatore oscuro mentre tentava di far riprendere Ahkmou.
“Che è successo?” domandò il Po-Matoran.
“Sei svenuto. Quelle pietre vi hanno giocato un brutto scherzo.” spiegò Okoth.
Si mise seduto e guardò il Maestro, visibilmente tramortito per ciò che era
appena successo. I suoi occhi violacei erano fissi nel vuoto.
La sua attenzione poi si spostò fuori dalla finestra: un enorme raggio
energetico proveniente dalla Stella Rossa era diretto verso ovest. Quello per
lui era un segnale...
Scese così dalla sua postazione dopo aver capito che qualcosa stava per
succedere, e diede un nuovo ordine: “E’ arrivato il momento di muoversi.
Hagahkuta, Okoth, voglio che vi mettiate sulle tracce di Magis e della sua
scuola. Trovatela, e poi tornate da me. Quanto a te, Ahkmou, parleremo più
tardi...”
Alcuni minuti prima...

“Va bene, Kapura. Forse sentirai del dolore mentre si avvierà il processo di
trasformazione. Sei pronto?”
Il Ta-Matoran fece un respiro profondo. “Okay, cominciamo...”
Trinuma e Krakua attivarono il meccanismo subito dopo aver preparato il
cristallo del Marchingegno. “Avvio sincronizzazione con la Stella Rossa.
Percentuale in crescita...”
Anche Toa Helryx era presente, desiderosa di verificare il corretto
funzionamento della macchina.
“Sincronizzazione coi Kestora effettuata.”
“Avviare il comando 3.”
“Si, signora.” rispose il geniere. “Inizio...”
Prima di premere il pulsante, però, si accorse che la macchina stava emettendo
delle scintille in diverse parti degli ingranaggi. Lo spense di conseguenza.
“Perchè ti sei fermato, Matoran?” chiese severamente Trinuma.
“Signore, n-non credo che convenga c-continuare. Guardi lì.” indicò i motori.
L’agente dell’Ordine si avvicinò immediatamente per esaminare la natura del
possibile guasto.
Prima di dire la sua però: “Continuate.” ordinò Helryx. “Non possiamo
perdere altro tempo. E’ un rischio che dobbiamo correre.”
E il Matoran obbedì. Per un momento Kapura si domandò per quale ragione ci
stessero mettendo così tanto tempo. L’impatto improvviso del raggio della
Stella Rossa sul suo corpo fu più doloroso di quanto si era immaginato.
“AAAAAAHHH!”
Poi tutto si concluse con successo. La sua nuova armatura era più resistente
del Protoacciaio.
Quando si alzò in piedi, si meravigliò del fatto che il suo sguardo fosse allineato
con la mensola che qualche minuto prima non raggiungeva nemmeno se si
fosse messo in punta di piedi.
Dall’altra sala giunsero gli studiosi ed Helryx, che restò a fissare il Toa
compiaciuta della sua riuscita.
“Come ti senti, ragazzo?” domandò il Toa del Sonico.
“Più... forte.” rispose fiero.
Entrambi sorrisero. Krakua lo prese dolcemente per la Kanohi, ammirandone
la compattezza. La sua nuova stazza era più imponente rispetto agli altri Toa.
“Molto bene allora.” disse Krakua. “Aspettaci qui. Dobbiamo ancora fare degli
accertamenti.”
“Va bene.”
Il Toa del Sonico si allontanò nell’altro studio assieme agli scienziati. Helryx
invece restò ancora per qualche secondo a guardare Kapura, e quando egli se
ne accorse, ella ricambiò con uno sguardo di pura felicità e se ne andò.
Il nuovo Toa del Fuoco, però, voleva sapere di più sul suo stato fisico. Fece per
seguire gli altri membri del gruppo, ma perse improvvisamente le forze senza
che nessuno lo vedesse. Il suo respiro divenne di colpo più lento e affannoso.
“Che mi succede?! Sarà forse l’effetto immediato della trasformazione? No,
non può... Meglio non pensarci. Passerà di sicuro, ne sono certo. Non voglio
perdermi il divertimento proprio ora!”

Prima che il raggio della Stella Rossa colpì il Ta-Matoran, però, esso si divise in
due. All’interno del secondo, più piccolo rispetto a quello che impattò su
Kapura, c’era un altro individuo che atterrò poi nel mezzo del deserto.
Dopo qualche ora, passò un semplice mercenario a bordo del suo Sand Stalker,
muovendosi subito verso il cratere creato dalla Stella. “Ma che diamine è
successo qui?!”
Arrivò sul punto più alto ed avvistò lo straniero al centro della voragine. La sua
armatura era color arancio, alternato con un bianco spento sugli spallacci e
nelle gambe. Indossava anche un elmo tipico Glatorian.
“COUGH! COUGH! Hey! Hey, mi senti?” domandò mentre tentava di
scacciare il fumo rossastro.
L’individuo riaprì gli occhi. “Dove mi trovo? Prima era tutto rosso e ora c’è
tanta luce.” rispose mentre si copriva la vista dai raggi del sole.
“Beh, non so dove ti trovavi prima, ma ora sei nel deserto, mio caro.”
“Nel deserto?!” si stupì.
Si guardò attorno nuovamente. Niente di ciò che lo circondava era mai stato
visto da lui. Fu però la Stella Rossa alta nel cielo a cogliere la sua attenzione. Il
suo sguardo si spalancò all’improvviso.
Il mercenario, mettendosi dal suo punto di vista, collegò il tutto.
“E’ impossibile...” rise mentre si toccava l’elmo. “Tu non puoi venire da lassù.
Non può essere!”
“Come? Io non mi ricordo quasi niente. Ho solo una parola che mi echeggia
nella mente... Pretorius... sai che cosa significa?”
“Dev’essere il tuo nome.” rispose il Glatorian mercenario, focalizzandosi poi
sulla sua statura. “Però non sei male... Sai combattere?”
“Come, combattere?”
“Si.”
“No, non credo. A dire il vero non so nemmeno cosa significhi.”
“Allora vieni con me, il mio insegnante sarà felice di ospitarti!” e fece per dargli
la mano, ma questa fu scansata violentemente dal misterioso individuo.
“Perchè dovrei venire con te?!”
“Perchè non hai altra scelta. Se vuoi che qualche Skrall o Cacciatore di ossa ti
catturi, fai pure. Non mi opporrò.”
“Skrall che?”
“Ah, lascia perdere...”
Oggi…

La metropoli di Mata-Metru tornò ad essere abitata per l’ennesima volta.


Milioni di persone passarono per un piccolo ingresso creato appositamente da
Helryx all’interno della cupola dorata.
Gli agenti dell’Ordine erano facilmente confondibili con il resto della
popolazione. L’unica cosa che li univa era quella dolce melodia che tutti
udirono, indipendentemente da cosa stessero facendo prima del loro ritorno.
C’era chi stava combattendo, chi stava lavorando, chi stava addirittura
fuggendo. Il primo Toa non si pose dei limiti. Fu proprio la Ignika a spingerla a
prendere tale decisione.
Tutti i nuovi sudditi scesero dalle loro barche con la gioia in viso. Lacrimavano,
piangevano, cantavano in coro. Era una scena gloriosa, ma allo stesso tempo
inquietante. La loro marcia dal porto di Le-Metru durò un giorno. Ogni notte
era possibile udire da qualunque angolo della metropoli i canti solenni in onore
della Ignika.
Poi, una volta giunti all’interno del Colosseo, la musica si arrestò. Gli occhi
dorati si sciolsero e le milioni di correnti dorate furono tagliate letteralmente
come se nulla fosse. Dopo aver ripreso coscienza, si guardarono l’un l’altro
spaventati, domandandosi in continuazione dove si trovavano o se quello era
un semplice sogno. Hydraxon/Dekar si ritrovò circondato da centinaia di
migliaia di piccoli individui, e riuscì anche a intravedere Trinuma e Krakua. Loro
tre erano gli unici agenti ad essere stati richiamati per volere della Maschera
della Vita. Non era un caso infatti che Helryx era molto dubbiosa del fatto che
la Kanohi leggendaria scelse anche Hydraxon.
Ora però aveva un discorso da fare: “Bentornati, fedeli Matoran e agenti
dell’Ordine di Mata Nui. Manca un ultimo passo al gran ritorno dai nostri
creatori. Siete stati scelti dal Grande Spirito dormiente affinché possiate gioire
al suo fianco quando raggiungeremo la nostra destinazione, ma per farlo ci sarà
ancora da lavorare per mantenere intatti i circuiti che collegano i cinque
arcipelaghi. Conto su di voi, Matoran. Inoltre, un nemico insidioso si trova al di
là di questa enorme cupola. Agenti miei, io ho scelto voi. Le mie armate sono
pronte. Voi ridarete la speranza e la tranquillità che ci sono state ingiustamente
tolte quel giorno sulla riformata Voya Nui. Ma ora festeggiate, Matoran! Che
questo giorno di successo e riunione venga ricordato finché il tempo non
cesserà il suo corso!”

“ Vieni da me...” sentirono nella loro testa i tre agenti. Una riunione con
Helryx e Dume li attendeva nella torre del Colosseo.

“E’ bello riavervi qui, guerrieri di Mata Nui.” disse Dume senza le tipiche
introduzioni formali. “Quello di cui disponete ora è un grande privilegio.
Abbiamo bisogno di voi. Il male che c’è fuori di qui va spazzato via
dall’esistenza.”
“Esattamente...” giunse Helryx con una scia dorata che gli faceva da mantello.
Pare che stesse levitando. “Questa gente ha bisogno di una guida. Dovrà essere
pronta per il mondo che verrà.”
Guardò poi Trinuma e disse: “Trinuma, ti faccio i miei più sinceri complimenti
per la lealtà che hai preservato negli ultimi mesi. Grazie a te il Continente
meridionale è quasi sotto il nostro controllo.”
“Si, Helryx. Le armate mie e di Krakua attendono il nostro ritorno per
completare l’impresa. Non manca molto.”
Per un attimo Helryx si era dimenticata del Toa Sonico, anche se fu comunque
richiamato per la fedeltà che mostrò fino all’attacco di Darkness. “Oh, giusto.
Le armate di te e Krakua, ovvio. A voi affido un nuovo esercito. La riconquista
del Continente meridionale è solo una tappa di ciò che dovrete fare. Dovrete
assicurarvi il pieno controllo del Codrex, ed erigere una difesa che nessun
essere potrà penetrare. Abbiate fiducia, l’Ignika è dalla vostra parte. Sarò io ad
aiutarvi, ora che ho imparato a controllare parte dei suoi poteri.”
Hydraxon/Dekar nel frattempo rimase in silenzio ad ascoltare il dialogo tra i
quattro, con i suoi complessi interiori. Helryx ovviamente se ne accorse. Si
vedeva che quello non era più il suo posto, e se fosse stato per il primo Toa
non ci sarebbe stata nemmeno la sua ombra. Il suo comportamento inoltre era
completamente differente da come l’aveva lasciato. Perchè i suoi occhi erano
rossi e non gialli come prima? Cosa gli era successo?
Non venne calcolato, almeno per questa volta. Gli altri due agenti intanto
abbandonarono la torre per raggiungere il famigerato esercito di Mata-Metru.
Una nube dorata li accompagnò fino al loro arrivo, ma stranamente trovarono
solamente migliaia di pezzi d’armatura Ruhnga arrugginiti.
“Cosa ci rappresenta tutto questo, Helryx?” questionò Krakua.
Dall’alto, la voce divina della Toa rispose: “Osservate...”
Come per magia, tutte le armature furono sollevate da un respiro dorato che
creò dentro di esse delle anime luminose, e formando dei guerrieri immortali.
Secondo la spiegazione di Helryx, quelle corazze furono recuperate dal
cadavere di molti Matoran Parenga nel Continente settentrionale. Solamente la
distruzione della Ignika avrebbe causato la loro inattivazione.
“D’ora in poi non importa quanti Ruhnga morranno. La loro Essenza si unirà
alla nube dorata che sarà sopra le vostre teste. Quella sarà l’occhio della Ignika
che vi assisterà sempre, e che sarà in grado di rigenerare le corazze dei morti
recuperate sul campo da battaglia. Il Codrex è per noi un punto fondamentale
da tenere sotto controllo. Sapete benissimo cosa c’è al suo interno e non
potete permettere che il nemico possa impossessarsene.”
“Si, Helryx.” chinarono la testa.
“Andate ora...”
Dopo il rientro nel Robot, l’est fu conquistato piuttosto facilmente dalle
armate di Nektann e dei Barraki, suoi sottotenenti. L’arcipelago orientale
divenne così la base principale dalla quale Darkness avviava quotidianamente la
sua offensiva. Egli però era l’unico a sapere cosa c’era veramente all’interno del
Codrex e del perché Helryx l’avrebbe difeso a tutti i costi, motivo per il quale
partecipò alla Battaglia dei Nove.
Gli eserciti ostili all’Ordine furono respinti con successo quasi alle coste del
Continente meridionale, sebbene alcuni settori del Codrex fossero ancora
suddivisi senza un vero e proprio dominatore.
Era solo questione di tempo prima che Krakua e Trinuma tornassero con le
cosiddette Corazze dei non morti...
Un giorno Darkness fece ritorno per incontrarsi nuovamente con Tuyet, gli
Hagahkuta, ancora in cerca della Lancia di Rewerax, i Barraki, e infine Okoth e
Ahkmou. Le due spie erano maturate notevolmente, quasi superando il livello
di un certo Mazeka. Anche il combattimento non era da meno, nonostante
non fossero dalla stazza di un Muaka. L’ex Cacciatore oscuro poteva
sicuramente contare su di loro, grazie ai quali diverse basi nemiche furono
studiate e conquistate con successo.
“Anche stavolta Nektann e quel Thorgai Drenaris non si sono fatti presenti.”
fece notare Tuyet.
“Già, credo sia arrivato il momento di sbarazzarsene!” giudicò il Kualus mutato.
“Creerà solamente scompiglio tra i suoi soldati.” disse saggiamente Kalmah.
“Non dimenticate che grazie ad essi una buona parte della nostra guerriglia è
riuscita a sbarcare sulla baia orientale di Voya Nui.”
Pridak voleva intervenire per dire che si sentiva perfetto come sostituto di
Nektann, ma il silenzio di Darkness durante l’intero incontro militare catturò
la sua attenzione. Non si dimenticò di quando accompagnò l’Oscuro alla corte
di Kabrua e di come l’ex Cacciatore oscuro li osservava a lungo, studiando ogni
lato del loro carattere.
Questa volta il suo sguardo si focalizzò principalmente sulla pazzia dei tre
Hagahkuta, in contrasto con la mascherata sete di potere di Tuyet. Cosa
sperava di ottenerci cosi facendo? Perchè doveva sempre starsene in disparte
sul soffitto ad osservarli tutti prima di fare il suo intervento?
“Pridak, stiamo aspettando il tuo rapporto.” parlò Tuyet, il cui fucile fatto con
la Pietra Nui illuminava gran parte della sua armatura.
“Vuoi che ti aiuta? Potrei chiamare delle mosche Rere che possono entrarti
nella testa e leggere il tuo pensiero velocemente...” scherzò l’Hagahkuta del
Ghiaccio, o forse no...
Pridak scrollò la testa e parlò, mentre si sentiva lo sguardo inquietante di
Darkness addosso a lui: “Abbiamo constatato che in queste zone c’è una
buona copertura dal territorio, siccome lì le radiazioni d’energia della Ignika
fanno fatica a insidiarsi. Questa fascia più a nord invece sembra essere
impossibile da controllare. Io e gli altri Barraki vedremo di recarci verso quei
punti.”
“Che mi dici del Codrex? Avete ottenuto un riscontro dagli squadroni di
Cacciatori oscuri inviati in avanscoperta?” domandò la Toa dell’Acqua.
“Qualche settimana fa la presenza di alcuni Toa dell’Ordine ficcanaso ci ha
complicato le cose, ma fortunatamente il Marendar sta facendo il suo lavoro...”
“Ma quanti Toa mancano, si può sapere?!” si irritò la mutata Gaaki.
“Non pensare che i Toa uccisi da Darkness su Voya Nui fossero gli unici. Il
Marchingegno Whetu è stato in grado di generarne degli altri prima del nostro
attacco. Occorre attendere.” affermò Mantax.
“Non ne sarei così convinta.” intervenne Okoth. “Ultimamente ho notato degli
strani movimenti da parte di alcuni. Pare che la loro fuga dal Marendar sia in
realtà un’esca per coprire qualcosa di più grosso, tipo una controffensiva... ed è
ciò che intendo scoprire.”
Il discorso fu interrotto dal leader dell’Equilibrio, che scese dalle travi del
soffitto con delicatezza, muovendosi poi con un andamento sinuoso verso il
tavolo dei suoi alleati. Restarono in silenzio. Anche un essere potente come
Tuyet aveva un minimo di timore per lui.
Si fermò vicino Okoth ed Ahkmou, e mentre osservava la mappa appoggiò le
braccia attorno a loro, come per far vedere agli altri membri di quanto fosse
orgoglioso dei due Matoran.
Tuttavia non disse nulla, infatti Ehlek chiese: “Non parli?”
Lentamente la figura corvina lo fissò, e fece no con la testa.

“Guardate, Maestro! Un fiore Puawai!” esultò Ahkmou, che restò ad osservare
le stelle assieme a Darkness quella notte.
In realtà il suo leader non era lì presente, ma ormai il Po-Matoran si era
abituato al fatto che potesse materializzarsi dall’ombra, anche se limitatamente
d’ora in poi. Non a caso, dopo la morte del team di Toa Vhisola, la Lancia fu
volontariamente distrutta da Darkness, il quale si giustificò sempre dicendo
che il desiderio di Ahkmou era stato esaudito. La Lancia gli serviva
principalmente per altri scopi in realtà. Ciononostante era riuscito ad
ammaestrare la capacità di apparire e scomparire dai luoghi bui, ma non in
quasi ogni luogo come quando aveva la Lancia. Subito dopo la morte dei
Metru, una serie di emozioni negative lo tramortirono finché, preso dalla
disperazione, la distrusse dinanzi agli occhi di Ahkmou. Non voleva
assolutamente fare la fine di Helryx che, secondo il suo pensiero, si era fatta
corrompere facilmente dalle tentazioni della Ignika.
“E cosa sarebbe questo fiore Puawai?” domandò al suo futuro erede.
“Si dice che quando una stella cade, essa si fonda col terreno e nascono questi
fiori. In realtà sono delle specie vegetali super rare nel Robot, però i Turag-
ehm... i v-vecchi ciarlatani dicevano che esprimendo un desiderio esso si
avverava tra non più di sette mesi. Io l’ho già espresso. Tu cosa chiederesti?”
“Potrei star qui a dirti che desidererei un mondo senza pregiudizi, senza
pensieri, e dove ognuno possa coltivare la sua nicchia di felicità ogni giorno,
lontani dalle preoccupazioni che verrebbero risolte unicamente in gruppo.
Desidererei un mondo in cui chi è potente diventa sempre meno potente, e
viceversa. Ma soprattutto desidererei un mondo in cui la propria ideologia non
viene ridotta unicamente ad una corrente di pensiero da coloro che si limitano
a giudicare. Ognuno è differente e portavoce delle proprie idee. Mi piacerebbe
se ognuno di noi potesse diventare l’eroe della propria vita, dando senso
all’esistenza altrui. Come vedi questa è un’utopia, ed è ciò che ti avrei detto se
mi avessi conosciuto migliaia di anni fa...”
“Quante illusioni...” si intromise Tuyet. “Non capite che questo ciclo non finirà
mai di ripetersi? Non capite che l’unica soluzione risiede nel potere, e che
grazie ad esso si è in grado di controllare tutto? Siete davvero tutti sicuri, in
particolare tu, Darkness, che chi voglia salire al potere sia necessariamente un
tiranno o un ladro di speranze? Che ne sai che in futuro quell’individuo non
possa ridare felicità alle persone, e perché no, obbligandole ad avere una linea
di pensiero comune. Se ci pensate bene tutte le grandi guerre sono nate da
idee contrastanti, da scopi differenti! I Matoran e i Turaga credono che il
mondo sia bello perché non la pensiamo tutti ugualmente e perché è giusto
mettersi in discussione con gli altri? E dove sta in tutto questo la tolleranza se
anche in due su un milione si picchiano per le loro opinioni? Dove stanno la
spada e la frusta quando servono, affinché tutti possano prendere esempio e
non ripetere tutto questo? Se solo fosse possibile tagliare il tempo e ricucirlo
nel momento esatto in cui quel “tiranno” avrà finalmente regalato la pace
interiore agli altri, allora si che il desiderio sarebbe esaudito. Allora si che
potremmo toccare concretamente questa condanna che chiamiamo felicità.
Non si può non combattere o non sottomettere le volontà altrui se veramente
si vuole plasmare il mondo a propria immagine. Non esistono cattivi, ma eroi i
cui scopi non sono stati compresi.”
“La libertà, Ahkmou...” finì il discorso Darkness. “La libertà non esiste
veramente. Per tutto questo tempo voi ed io siamo stati schiavi indiretti dei
Grandi Creatori e della scia di folli che sono momentaneamente al potere. La
libertà è legata anche ai doveri che abbiamo verso gli altri. E queste due parole
devono essere trasformate in libero arbitrio e volere personale. Chi non vuole
seguirlo è perfettamente libero di non farne parte, purché non intervenga e
distrugga tutto ciò per il quale hai lottato. Sul tuo cammino incontrerai sempre
persone tristi e nullafacenti che giudicano, con l’odio nei propri cuori, e
persone che credono di cambiare il mondo con qualche stupida frase ad
effetto o con futili proteste. Avrai chi combatterà e chi invece resterà fermo a
guardare, a giudicare, o peggio ancora a voler cambiare tutto con le parole.
Noi abbiamo preso la nostra scelta, perché le virtù di cui siamo fatti non
conoscono altra opzione, e fin quando le avremo non ci sarà modo differente
di ragionare...”
Le ricerche di Takanuva e Lesovikk sui misteriosi individui continuarono per
diversi mesi. Contemporaneamente a ciò, il Toa della Luce continuò con la
costruzione della nave da trasporto per poter tornare sul Robot ed aiutare la
Mano di Artakha. Purtroppo le parole di Lesovikk erano vere: i materiali
presenti nelle gallerie sotterranee furono quasi tutti smantellati dai loro
ricercati. Da quando Takanuva e Lesovikk si rincontrarono, però, non ci fu più
nessun avvistamento, ma nonostante ciò i due non si rassegnarono.
Durante una notte, i Toa si accamparono in vicinanza di Toka-Nui, il loro
prossimo punto di ricerca. Accesero un falò, senza preoccuparsi del possibile
arrivo di qualche nemico in quella landa desolata e ormai priva di vita. Senza
che lo sapessero, però, furono avvistati da un piccolo individuo che si mosse
subito nella loro direzione...
“Quante provviste ci rimangono, Lesovikk?”
Il Toa dell’Aria fece un rapido controllo delle borse. “Poche. Dovremmo
sbrigarci e tornare il prima possibile alla foresta di Magarh.”
“Forse troveremo qualcosa a Toka-Nui.” suppose Takanuva.
“Ne dubito. Il Creep Canyon è crollato quasi completamente. Esistono tre
passaggi sotterranei però che possiamo ancora controllare. Sono gli ultimi fra
quelli che ho trovato finora...”
Fissò poi il fuoco pensieroso e il Toa della Luce chiese: “Cosa ti turba,
fratello?”
“E se... se non dovessimo trovarli? Se la nave da trasporto non dovesse essere
ultimata? Cosa faremo, ritorneremo dagli altri?”
Takanuva cambiò espressione, diventando più serio. Non voleva nemmeno
pensarci a tornare da Ackar e gli altri. Dopotutto, si trattava di una questione
d’orgoglio personale.
“Troveremo un modo, vedrai. Abbiamo ancora molto da esplorare.”
Il Toa dell’Aria però non lo stava ascoltando. La sua attenzione era rivolta
all’oscurità della notte. “Lo vedi pure tu o è un effetto della fame?”
“Di cosa parli?”
“Quello. Sembra una specie di...”
“UXIS?!” esclamò il Takanuva. “Ma che cosa ci fai qui?!”
L’Agori si avvicinò al falò, e senza dire nulla lasciò cadere il suo zaino, con tanto
di provviste per uno squadrone. Subito i due guerrieri elementali si saziarono
assorbendone l’energia.
“Come ci hai trovato?” domandò il Toa della Luce.
“La nostra ricerca è stata più lunga del previsto, ma alla fine ne è valsa la pena.”
“Nostra?” ripeté Lesovikk senza farlo finire.
“Si. Non sono venuto da solo. C’è stata Giriah con me, Takanuva.”
“E dov’è ora?” si alzò in piedi, tentando di avvistarla.
“E’ tornata al rifugio. Ha perso le speranze. Era convinta che fossi riuscito a
costruire la tua nave, e che te ne fossi andato da questo pianeta senza pensare
a noi sopravvissuti. Anch’io per un momento l’ho pensata così, ma ho voluto
intestardirmi.”
“Beh, piccoletto, non so che aspettative ti sei fatto, ma sia io che Takanuva non
abbiamo ottenuto un granché in tutto questo tempo. A dire il vero, il nostro
obiettivo è un altro.” spiegò Lesovikk
Uxis accigliò lo sguardo, e il Toa dell’Aria continuò: “Siamo sulle tracce di un
gruppo di stranieri che si è già impossessato dei materiali ricercati da Takanuva,
però non li abbiamo più visti...”
L’Agori allargò gli occhi, spaventato. Preferì dire altro, suscitando un po’ di
sospetto da parte dei due Toa. “Takanuva, andrò diretto al punto: Ackar vuole
che torni. Lui ha bisogno di te. Noi abbiamo bisogno di te. Tornate con me al
villaggio, ve ne prego!”
Valutando le condizioni in cui si erano trovati fino a quel momento, Lesovikk
rispose: “A me sta bene. Se non altro potrò dormire su un letto comodo.
Magari dopo una bella ricarica sarà un gioco da ragazzi rimettersi in viaggio.”
Ma il Toa della Luce ebbe da ridire, mentre osservava il falò irritato. “Proprio
ora?! Proprio ora ci ha ripensato quel vecchio?!”
“Cerca di comprendere Ackar. Non è facile gestire una situazione come la
nostra.”
“No, io ho fatto di tutto per aiutarvi! Ma nessuna mano mi è stata donata
indietro. Tutte le porte mi sono state chiuse!”
“Come puoi mettere il tuo orgoglio di fronte a questa situazione?!” si infuriò
Uxis. “Osi abbandonarci dopo che...”
“Voi mi avete abbandonato, non io!” camminò avanti e indietro gesticolando.
“Che senso ha ammirare un eroe se non si è disposti a seguirlo proprio
quando egli propone la soluzione più assurda?! Abbandonare la speranza non fa
parte della mia natura, Uxis. Sono obbligato a fare di tutto per portarvi dove
meritate. Non è stata una mia scelta diventare Toa!”
“Takanuva...” intervenne Lesovikk. “Guardati attorno. Ha davvero senso
continuare ad ostinarsi per rischiare di finire seppelliti dalla sabbia? Non
commettere il mio stesso errore. Torniamo dalla nostra gente che ci ha già
perdonato per i nostri peccati.”
“Io non posso aver sbagliato, Lesovikk!”
“Eppure ora sei lontano da loro. Hanno bisogno di una figura d’esempio che
lotti fino alla fine. C’è ancora della fratellanza in questo mondo colmo di
morte. Siamo Toa, non possiamo non coltivarla ed incrementarla.”
Gli tese la mano. “Forza, andiamo...”
I due Toa Metru Vakama e Nuju stavano pedinando il gruppo di Athuka
attraverso i passaggi nevosi che portavano alla base Parenga. Li seguirono fino
ad un tratto in cui la strada era stretta e ripida.
Si fermarono. Agli occhi dei due Toa, sembrava che stessero parlando con
l’aria.
“Cosa staranno facendo?” domandò infatti il Toa del Fuoco.
Nuju ingrandì con la sua lente. “Non vedo niente... Aspetta! Forse...”
Dal nulla, un gruppo di Parenga di guardia si levò un mantello che gli
permetteva di essere invisibili, e salutarono Athuka e compagni. “Signore, siete
tornato prima del previsto. Per caso ci sono state complicazioni?”
“Abbiamo perso parecchi guerrieri.” confessò il leader del gruppo di Athuka.
“Ma non è stata la morte a portarceli via. Qualcosa di più grande li ha attirati
verso di sé.”
La guardia si sbalordì. “Allora è capitato anche a voi...”
“E’ successo anche qui?!” esclamò Athuka.
“Per fortuna no, ma alcune spie della Terza squadra sono tornate dicendo che
è successo su molte isole.” parlò un’altra guardia.
“Sakovius?”
“Non è ancora uscito dal suo studio. All’accampamento sono molto
preoccupati. Venite...”
I due Toa non poterono restare in quella posizione ulteriormente. Rischiavano
di farsi avvistare. Così, seguendo il suggerimento di Nuju, fecero il giro
passando per un rilievo a tratti ghiacciato che stava più avanti rispetto ai due
gruppi Parenga. Sfruttando dei ponti creati appositamente dal Toa del Ghiaccio,
riuscirono a raggiungere un punto rialzato, quello dal quale era possibile
intravvedere l’isola di Artidax.
“Mata Nui... ma quella non è...”
“E’ come temevo, Nuju. Siamo ancora nel mondo che fu. Dobbiamo
assolutamente scoprire come è potuto riaccadere.”
Il Toa del Ghiaccio tentò di concentrarsi. “Com’è possibile che non ci
ricordiamo nulla prima del nostro ritorno sotto forma di guerrieri Toa?!”
“Me lo chiedo anch’io.”
“E i nostri fratelli? Saranno all’oscuro di tutto? Dobbiamo tornare da loro e
avvisarli prima che gli accada qualcosa!”
Gli occhi di Vakama intanto erano concentrati su altro. “Guarda, lo vedi?”
Una figura bianca, posta sulla torre più alta dell’accampamento Parenga, si
trovava seduta su una passerella di legno, al di sotto della quale c’era una
distanza di qualche kio dal suolo.
“Che sta facendo?” osservò Nuju mentre ingrandiva con la sua lente. “E’ un
Agori!”
“Descrivimelo.” ordinò Vakama, che non riuscì a distinguerne i dettagli a causa
della tempesta di neve.
“Porta un mantello blu scuro. Il suo viso sembra essere digrignato dalla
tristezza.”
Pensando al dialogo tra le due squadre Parenga e collegando il tutto, Vakama
intuì che si trattava del capo della legione. “Forse lui può aiutarci.”
“Non dimenticare cosa ti hanno detto le visioni, Vakama. Dobbiamo agire
nell’ombra!”
Il leader dei Metru sapeva che Nuju aveva ragione. Ma ancora, come quando
decise di seguire il gruppo di Athuka, si accorse di non avere altra scelta. Non
potevano perdere altro tempo a gironzolare. Parlare col capo
dell’accampamento era sicuramente rischioso, siccome sarebbe stato un
attimo chiamare le guardie.
“Ecco cosa faremo, Nuju. Io mi muoverò col potere della mia maschera fino a
quel cancello che si affaccia sulla sporgenza a sinistra. Al mio segnale, azionerai
la leva che mi permetterà di entrare.”
“Un momento, e io?”
“Resterai qui ad attendermi. Se mi dovessero catturare, torna immediatamente
dai nostri fratelli e attendili al tempio.”
“Sei pazzo?! Non posso abbandonarti!”
“Nuju, questo è un ordine.”

“Generale Sakovius, va tutto bene?” bussò alla porta un Parenga.
L’Agori di Iconox era nel pieno della depressione, specie dopo la notizia
arrivata dalla Terza squadra.
“Signore? ... Signore?”
Nessuna risposta. La visuale della valle innevata dinanzi a lui lo stava distraendo
con discreto successo. Ogni tanto si sbilanciava guardando in avanti. L’altezza
sembrava aumentare ogni volta che lo faceva.
“Lasciami passare!” arrivò con urgenza un messaggero dall’esterno. “Generale
Sakovius, fatemi entrare vi prego! Ho una notizia importante!”
L’Agori non gli diede retta. Era come sentire il canto degli uccelli Gukko nei
periodi caldi. Gli mancava tanto Spherus Magna, prima che tutti i casini causati
dai Grandi Creatori si insediarono nella vita di tutti. Sembrava che la fredda
brezza gli stesse accarezzando il viso.
Voleva goderseli per bene quei suoi ultimi momenti di vita...
Poi passeggiò sulla passerella, tremando come un cucciolo di Rahi indifeso. Il
cuore gli batteva forte. Non riusciva nemmeno ad alzare un braccio. Sapeva che
ciò che stava per fare non era la soluzione giusta, ma anzi era quella più
semplice...
“FERMATI!” sentì alle sue spalle.
Lo spavento che prese non gli diede nemmeno il tempo di girarsi per vedere
chi era, e perse l’equilibrio cadendo nel vuoto. “AAAAAAHHH!”
Il suo interlocutore si gettò senza pensarci due volte, e dopo averlo afferrato
generò un turbine infuocato dalla sua arma, che gli permise di tornare sulla
passerella.
L’Agori fu posto delicatamente a terra. Una maestosa Huna rossa lo osservava
con attenzione.
“U-un T-Toa?!” esclamò Sakovius.
“Non è il giorno giusto per arrendersi, Parenga.” affermò valoroso Vakama.
“Non puoi abbandonare la tua gente così.”
Sakovius si alzò per allontanarsi. “Come può un Toa avermi salvato?! Chi sei?!”
“Il mio nome è la cosa meno importante in questo momento, generale.”
“Come fai a sapere chi sono?!”
Vakama sorvolò la domanda. “Alzatevi. Tornate a dare l’esempio a chi vi sta
seguendo!”
L’atteggiamento di Sakovius si quietò. Perchè mai tra tutti gli esseri che
popolavano il Robot fu proprio un Toa ad averlo salvato dal suicidio? Cosa
sperava di ottenerci in cambio? Forse l’Ordine stava cercando un’alleanza? Era
questa la notizia che il messaggero doveva portargli?
“Perchè sei qui?” si limitò a chiedere.
Per Vakama sarebbe stato semplice rispondere: “Ho bisogno di sapere come
siamo tornati nel Robot.” ma la risposta fu un’altra. “So cosa significa essere un
capo, e di quanto sia pesante prendere delle scelte. Il peso che io e te
portiamo addosso è pesante più di qualsiasi altra cosa in certi momenti. Ho
perso la mia squadra qualche mese fa. Ora non mi resta che un’armatura Toa
all’interno della quale sono intrappolato, ma ciò non significa che mi debba
arrendere. Siamo stati abbandonati da... d-da Helryx.”
“Aspetta... ora ho capito. Tu sei... Toa Vakama, non è così?” domandò Sakovius
smascherando la sua copertura improvvisata. “Sei diverso però da come
ricordavo. L’ultima volta che ti vidi era prima del ritorno delle popolazioni
Matoran nel Robot. Voi Turaga li accompagnaste assieme agli altri agenti
dell’Ordine. Che cosa ti è successo? Come sei ridiventato Toa?”
Vakama fu costretto a vuotare il sacco. “Devo ancora scoprirlo. Io e i miei
fratelli dobbiamo farlo...”
Il generale allora gli diede una spiegazione di cos’era successo fino a quel
momento. Vakama rimase a bocca aperta ogni volta che veniva nominata
un’atrocità commessa da Helryx...
Poi il racconto si concluse e il Toa del Fuoco rimase silenzioso per lo shock. La
delusione e la vendetta gli ribollivano da dentro, ma era obbligato a contenersi
e a non commettere gli stessi errori dei suoi primi anni da Toa.
Il generale invece fu felice all’improvviso. “E’ incredibile... Sai, mi sono sempre
appassionato alla vostra specie. Prima di unirmi ai Parenga, ero uno studioso di
Iconox. Quando poi divenni capo della mia squadra, mi ispiravo sempre a
grandi nomi come il tuo. La storia di voi Toa mi ha insegnato molto, ma mi ha
anche lasciato dell’amaro. Gli attuali Toa se ne sono sempre infischiati di quelli
come noi. Non potranno mai essere come te. Tu sei un vero eroe, Vakama.”
“No.” rispose severamente il leader dei rinati Toa Metru. “Non ringraziarmi.
Tutti i veri eroi sono morti, dando la loro vita per il nostro futuro. Lhikan,
Matoro, Mata Nui... Io sono qui. Sono stato solo fortunato. Se sono tornato
con questo aspetto, significa che il Destino ha ancora qualcosa in serbo per
me.”
Sakovius era senza parole. Una parte di lui era ancora affranta dalle
circostanze, ma l’arrivo improvviso del Toa cambiò i suoi piani. “Come posso
ringraziarti allora?”
“Continua a combattere. Così facendo ringrazierai anche te stesso. Nei
momenti più bui bisogna pensare a una nostra versione futura, che
sicuramente ci ringrazierà per esserci rialzati e andati avanti in passato. Così si
diventa un eroe non per gli altri, ma per sé stessi. Tutto il resto viene da sé.”
“Lascia allora che ti aiuti. Ti assegnerò un gruppo Parenga. Ti aiuteranno a
ritrovare i tuoi fratelli e a scoprire la vostra strada.”
Vakama non poté accettare. La voce delle visioni gli parlò nella mente per un
millisecondo. “Non posso... no, non posso. Per qualche strana ragione non mi
è concesso uscire alla luce. Ti prometto però che tornerò. Fino ad allora, non
dovrai dire a nessuno del nostro incontro, intesi?”
“SIGNORE! APRITE LA PORTA, SIAMO QUI PER VOI!” udirono.
Sakovius guardò Vakama alla svelta.
“Responsabilità e coraggio.” profetizzò il Toa. “Ora va’, noi due ci
rincontreremo.” e se ne andò.

“Oh, signore, finalmente! Eravamo così preoccupati.”
“Ti ringrazio, soldato. Io ero... occupato, diciamo... Ad ogni modo, c’è qualcosa
che dovevi dirmi?”
Il messaggero parlò senza sosta: “Ci hanno attaccati, generale, ci hanno
attaccati dappertutto! I nostri territori su Artidax sono stati rasi al suolo da
un’armata di esseri dorati e immortali. C’entra l’Ordine in tutto questo, ne
sono certo! Hanno preso anche il controllo del Continente meridionale, oltre
al Codrex. Abbiamo solamente le isole alleate che possono offrirci supporto,
nessun altro!”
Il Sakovius di qualche minuto prima avrebbe subito ordinato la resa, e invece:
“Dì agli altri caporali di eseguire una controffensiva. Schiereremo tutti i mezzi
che la nostra base non ha utilizzato finora! Torneremo a vincere, messaggero,
te lo prometto!”
Tobduk, Mazeka e i due Toa Metru erano finalmente giunti sull’isola che si
affacciava su Artakha. Solamente una grande distesa d’acqua con una nebbia
fitta li separava dal ricongiungimento col Grande Costruttore. Fuggire
dall’occhio del nemico non fu poi così difficile per loro.
“Eccoci arrivati. Tobduk, dovrebbe esserci una barca Avokh qui vicino. Sai
dov’è?”
“Ora la cerco, Mazeka.” ribatté infastidito. Provava ancora rabbia per non
essere tornato dagli altri agenti.
Si allontanò per un attimo dal resto del gruppo. Percorse una discesa che
conduceva ad una caverna, nella quale in teoria si trovava l’imbarcazione.
“Eccola.” disse quando la vide.
Andò a prepararla per uscire in mare aperto e recarsi nel punto in cui aveva
lasciato gli altri tre.
Mentre disattivava il meccanismo d’attracco magnetico, notò che l’acqua iniziò
a vibrare per una manciata di secondi. Si sentì, dall’esterno della caverna, come
una folata di vento molto potente. Eppure non riusciva a capire cosa fosse.
Quando uscì, però, capì chi era il responsabile: un Falcone dorato lo attendeva
appollaiato sul rilievo che stava al di sopra della caverna. Mazeka e gli altri due
Toa erano sulla sua schiena.
“Sali, Tobduk.” la voce era quella di Varises, il servitore di Artakha.
“Era ora che vi faceste sentire voi altri!” si infuriò Tobduk mentre Mazeka lo
invitava coi gesti a zittirsi. Era una scena buffa da vedere.
Il servitore di Artakha non fece in tempo a dare una spiegazione che il peso
eccessivo della creatura dorata fece crollare l’intero rilievo sulla caverna, la
quale non poté più reggere il suo peso. L’enorme onda che si creò allontanò
Tobduk dalla riva.
“Vi chiedo di perdonarmi.” spiegò il Falcone dorato. “Non ci è stato possibile
abbandonare l’isola ultimamente. L’Ordine è tornato sui nostri passi.”
“Cosa intendi dire?” chiese Onewa mentre si aggrappava con tutto sé stesso
alle piume della creatura.
“Oltre quella nebbia, Toa della Pietra. L’intera flotta dell’Ordine è stata
schierata per evitare che sia Artakha che i Toa possano abbandonare o arrivare
sull’isola e interferire così coi suoi piani. Questo Falcone ha lasciato la sua casa
prima che la flotta arrivasse e lo vedesse. Temo però che il viaggio di ritorno
sarà più rischioso. Quanto a voi, Toa Metru, abbiamo una cosa da darvi quando
verrete qui...”
“Non abbiamo altra scelta allora, Varises. Riportaci indietro!” disse Mazeka.
“Tenetevi forte.”
La creatura spiccò il volo. Tentò di raggiungere il punto più alto nel cielo, vicino
alla Barriera esterna. Una coppia di jet Rangai la costrinse a muoversi più in
basso per non dare nell’occhio.
“Per poco!” esclamò Onewa.
Le nuvole che ostacolavano il ritorno iniziavano a scarseggiare. La sagoma della
creatura alata risultava sempre più visibile. Ai Ruhnga sarebbe bastato alzare lo
sguardo per veder-
WHAAAM!
Un colpo di blaster volò a pochi metri dal Falcone, dando inizio a una pioggia
d’attacco. I guerrieri a bordo furono colti alla sprovvista e si sbilanciarono
siccome il Falcone fu costretto a fare una serie di manovre evasive.
“WHENUAA!” gridò Onewa.
Il Toa della Terra perse la presa e cadde in picchiata sbracciando. Gli avrebbe
fatto comodo uno come Matau in quel momento...

“Signore.” disse un Ruhnga della flotta al suo superiore. “Lo vede? C’è qualcosa
che sta cadendo dal cielo.”
“Fammi vedere...” prese il binocolo.
Se il Falcone non fosse riuscito a prenderlo in tempo, il Toa della Terra, così
come gli altri Metru, sarebbero stati scoperti dall’Ordine e a quel punto
l’offensiva sull’isola di Artakha sarebbe potuta iniziare in ogni momento.
Comunicò alla radio l’ordine: “Masoras, individuo non identificato in volo
vicino a voi. Prendetelo.”
“Si, signore.”
“Ruhnga, muoviamoci con le navi verso riva!” ordinò al resto della flotta.
Il Falcone e i due jet stavano per scontrarsi nel tentativo di acciuffare il Toa
della Terra in caduta. Senza che Mazeka e Onewa se lo aspettassero, i due Jet,
freschi di novità tecnologiche appurate dall’inizio della Battaglia dei Nove,
aumentarono la velocità. Il Falcone dorato si ritrovò costretto a generare un
lampo di luce che accecò momentaneamente i due piloti Ruhnga, obbligandoli
a cambiare direzione per non finire nel Mare d’argento.
Whenua non fu avvistato per fortuna. Quando riottenne la vista dopo il
bagliore di luce, vide però un enorme bocca dentellata inghiottirlo dentro di
sé.
“Che sta facendo, Mazeka?!”
“Non preoccuparti, Toa.” spiegò la voce di Varises. “Il Toa della Terra sarà
meno in pericolo rispetto a voi due.”
WHAAAM!
Un altro colpo volante da parte dei mezzi nemici. L’Ordine non voleva dargli
tregua. La coppia di Rangai si gettò subito all’inseguimento, riuscendo a vedere
due figure sulla schiena del Rahi di Artakha.
“Adesso basta. Apro il fuoco!” disse uno dei due piloti.
“No!” lo fermò il compagno di squadra. “Non abbiamo ricevuto l’ordine di
attaccare l’isola, non ancora almeno. In questo momento l’Ordine non può
permettersi uno scontro contro le forze di Artakha.”
“Cosa facciamo allora?” comunicò alla radio un Ruhnga della flotta.
Il comandante d’élite prese la sua decisione: “Lasciateli andare, non possiamo
rischia-”
“GUARDATE!” richiamò l’attenzione di tutti un soldato Ruhnga. “Qualcosa ha
colpito il Falcone!”
Infatti fu così: un raggio di luce rossa dal nulla penetrò l’ala sinistra. Nessuno
dei fuggitivi se l’aspettava, anche perché ormai stavano per atterrare. Il
responsabile fu lo stesso “cacciatore” che colpì il Falcone dorato quando
Takanuva e i Cronisti stavano scappando dalla morsa del mostro marino.
La creazione di Artakha urlò dolorante mentre si avvicinava con grande
velocità verso il suolo.
“Svelti!” urlò Tobduk. “Afferrate l’ala destra! Io afferrerò quella sinistra.”
Onewa e Mazeka obbedirono e il Falcone riuscì a planare, facendo comunque
una brutta caduta. Per poco non persero Whenua, che rischiò di farsi
erroneamente infilzare da una delle dentellature interne alla bocca.
Tutti e quattro i guerrieri sopravvissero, ma non il Rahi di Artakha, che fu
corroso rapidamente nel punto in cui fu colpito.
Per sicurezza, la flotta dell’Ordine formò due file. La prima rivolta verso la
costa e la seconda alla ricerca visiva del cacciatore che aveva attaccato il
Falcone.
Nessuno riuscì ad intravvederlo...

“Sta arrivando qualcuno!” disse Whenua utilizzando la sua Ruru nel mezzo
della nebbia. “Toa Hagah?!”
In realtà era Varian. Il Toa della Terra era ancora un po’ arrugginito. Doveva
riprendere l’utilizzo dei suoi poteri ancora per bene.
“Oh no...” disse la Toa quando vide il cadavere del volatile.
Non c’era più nulla da fare: la ferita si espanse ovunque, cristallizzandosi in ogni
punto.
Mazeka e Onewa intanto scesero indeboliti, scortati da Tobduk.
“Lascia che ti aiuti.” si offrì la Toa dello Psichico.
Whenua fece lo stesso, caricandosi Mazeka in spalla.

Entrarono in città, mentre sentivano continui spari vicino alle coste. Gli Avokh
sopravvissuti all’attacco su Voya Nui li condussero nella fortezza del Grande
Costruttore. Al momento l’isola era ancora in fase di ristrutturazione.
“Perchè Artakha non li sta aiutando?” domandò Whenua.
“Dopo la nostra ultima battaglia si è indebolito ulteriormente.” spiegò Varian.
“La quantità di poteri impiegata per il controllo dei Rotovian è stata fin troppo
elevata, e le energie provenienti dal Flusso della Realtà del Creato iniziano a
scarseggiare anche per lui.”
Whenua non capiva a cosa si stesse riferendo. Parte della sua memoria si
ricordava ancora del viaggio dei Nuva nella Realtà del Creato, ma non sapeva
nulla su questo Flusso di cui parlava la Toa dello Psichico.
“Egli vi spiegherà tutto. A proposito, quali sono le condizioni di Artakha,
guerriero Avokh?”
“Debolezza... incertezza... dolore...”
Difficilmente gli Avokh usavano la lingua comune. Gli era solito parlare con i
nomi delle emozioni che riuscivano a percepire. Tra di loro, invece, la
comunicazione era immediata e telepatica.
Sui bastioni della fortezza di Artakha, i tre Toa Hagah Norik, Pouks e Bomonga
stavano immobili come degli avvoltoi a sorvegliare l’orizzonte.
Non appena videro i due Metru, si guardarono sbalorditi l’un l’altro. Erano
infatti i primi ad aver dubitato della macchina di Artakha e a voler tornare
all’azione il prima possibile.
Corsero subito dal Grande Essere, seduto sul suo trono fluttuante e col
mento appoggiata sul palmo della mano in segno di attesa.
“Artakha! Loro...”
Il Grande Costruttore lo zittì alzando la mano. “Questa presenza... che
siano...?!”
“Si, sono i Metru!” disse Norik con gioia.
“Avokh, fateli entrare!”

Whenua stava ancora facendo delle domande a Varian, ma ecco che la Toa
svanì completamente così come gli altri alleati. In un millisecondo, si
ritrovarono nella maestosa sala di Artakha, che non perse tempo dandogli
subito il benvenuto.
Una coppia di Av-Matoran (tra le poche decine che ancora popolavano l’isola)
si avvicinò ai due Toa per esaminarli, assicurandosi che non mostravano effetti
collaterali dalla trasformazione.
“Qui dice che è tutto nella norma, Grande Essere.”
“Molto bene.”
“No, Artakha, non va affatto bene! Ora siamo noi e te, dicci la verità!” si
infuriò Onewa mentre recuperava le energie.
Guardando Tobduk e Mazeka, il costruttore rispose: “Credo che loro due vi
abbiano dato già abbastanza risposte. Avete un dovere da compie-”
“Peccato però che abbia preso tu la decisione di rapirci dopo il Risveglio, dico
bene? Perchè noi e non gli altri Toa che sono sopravvissuti alla cupola generata
da Darkness?” gli tagliò le parole Whenua.
Il pavimento sotto di loro cambiò aspetto, facendo vedere ripetute immagini di
ciò che gli attuali Toa rimasti stavano facendo.
“Perdita della ragione... Abbandono di sé stessi e del senso di giustizia...
Rapine... Uccisioni... Sarebbero questi i guerrieri ai quali affidare le nostre
ultime speranze? Non posso farlo, Toa. Non posso nemmeno combattere al
vostro fianco.”
“Perchè mai?” domandò Whenua per sapere di più su ciò che gli disse Varian.
“Il Flusso, Toa. Esso è una corrente che collega tutte le miliardi di Essenze,
provenienti dai mondi multiversali e da quello di Spherus Magna, alla Realtà del
Creato. Da quando quest’ultima è stata sigillata definitivamente da noi
legionari, non c’è stato nessun altro modo di tornare indietro, e il Flusso
continua a trasmettersi irregolarmente. E’ stata una scelta forzata per impedire
ad altri individui pericolosi di farvi ingresso. L’ultima volta la Corte ha rischiato
fin troppo. L’unica chiave in grado di sbloccare il blocco risiede nell’unico
oggetto destinato a farci ritorno.”
“La Ignika...” ragionò Whenua.
“Per l’appunto. Io non posso fare molto con le condizioni in cui mi trovo.
Attualmente il mio spirito riesce a manifestarsi qui, sulla mia isola. Fisicamente,
invece, riesco solo nella realtà madre. Io, i Toa Nuva e Rakau abbiamo già
provato a metterci in contatto con Nuiaha, ma egli ha profetizzato che il solo
arrivo della Ignika potrà capovolgere la situazione. Ma non sarà la Maschera
della Vita il vostro vero obiettivo.”
“Come sarebbe a dire?!” si meravigliarono Tobduk e gli altri membri della
Mano di Artakha, ai quali fu detto diversamente.
“E’ Mata-Metru... Io e Varises ci siamo consultati ed abbiamo studiato il
movimento degli astri che il Robot percorreva di notte. Il percorso designato
non corrisponde però con quello della Realtà del Creato. Pare che Helryx
voglia muoversi altrove pilotando dalla grande metropoli, ma non sappiamo
ancora dove. Tutti voi sapete qual è il luogo finale della Ignika. Non possiamo
permettere che accada diversamente.”
“Cosa stiamo aspettando allora? Avvisiamo subito i nostri fratelli, Whenua!”
“Aspettate...” li fermò estraendo la Vahi. “Avrete bisogno di questa durante il
vostro cammino.”
Apparve un’immagine sul pavimento: era la macchina all’interno del quale i sei
Turaga furono “immagazzinati” per tanto tempo.
“E’ stato difficile studiare gli effetti di questa Maschera. La visione di Gaaki mi
ha fatto capire che prima o poi sarebbe tornata protagonista, motivo per il
quale ordinai di recuperarla per me. Ora la vostra Essenza è stata
completamente sostituita con quella della Vahi, perciò non potrete essere
rintracciati dal Marendar. Temo però che ci sarà qualcun altro a darvi la caccia.
Non avevo altra scelta...”
Onewa e Whenua non fiatarono. Aspettarono direttamente il nome da
Artakha.
Dopo qualche secondo di riflessione, incrociando lo sguardo dei suoi alleati:
“Voporak...”
“NON DIRAI SUL SERIO, VERO?! COME POSSIAMO ABBATTERE HELRYX
CON QUEL COSO ALLE CALCAGNA?!”
“Lascia che ti spieghi, Toa!”
“No... hai già fatto abbastanza... Ora dacci la Maschera e finiamo tutta questa
faccenda!”
“Non posso, non ancora. Questa ampolla contiene tutto il suo potere ed è
fatta apposta per essere sorretta da sei di voi. Se ve la dessi ora, in due
rischiereste di collassare, o peggio... Tornate dagli altri Toa. Informateli del
nostro incontro, e riportateli qui da me. Da allora non potrete separarvi dalla
Vahi, o farle subire danni. Se lo farete, essa potrebbe risucchiarvi
definitivamente all’interno di essa, cosa che purtroppo sta già facendo
lentamente... Nel frattempo noi prepareremo segretamente il nostro esercito
senza che l’Ordine ci possa scoprire.”
“Come faremo ad andarcene? L’Ordine ha circondato l’isola!” ribatté Onewa.
Artakha chiuse gli occhi, concentrandosi. Il terreno cominciò a tremare, ma
questa volta era tutta opera sua e non della Ignika. Dopo centinaia di anni, si
trovò costretto a liberare nuovamente i quattro grandi Serpenti di Cristallo,
che in passato riuscì a richiamare a sé dopo che questi migrarono ai confini di
Spherus Magna.
Due Falconi giunsero per i guerrieri. Il primo sarebbe stato utilizzato dai due
Metru alla ricerca di Nokama e Matau, mentre il secondo, guidato dalla mente
di Varises, avrebbe trovato Nuju e Vakama.
Vicino alla costa, intanto, la flotta dell’Ordine ebbe grandi difficoltà contro i
mostri marini.
“Incredibile, non pensavo che ci sarebbe riuscito con i poteri che gli
rimangono...”
“Già.” disse Mazeka a Toa Pouks. “Il dispositivo che Egli ha creato per il
controllo mentale sui quattro Serpenti ha funzionato. Spero solo che non
svenga come la scorsa volta...”
“Spiegati meglio.” lo invitò Onewa.
“In teoria, i quattro Serpenti dovevano essere rilasciati al nostro fianco il
giorno dell’attacco su Voya Nui, invece dei Rotovian. Negli scorsi secoli, però,
hanno sviluppato una schermatura mentale che ha costretto Artakha a trovare
una soluzione alternativa, per evitare che questi potessero addirittura cibarsi
dell’intera popolazione del Robot senza darsi una tregua. La quantità d’energia
richiesta per il controllo mentale è al momento troppo elevata per il Grande
Essere e la prima volta in cui ci fu il test scomparve dinanzi ai nostri occhi,
segno che era svenuto. Dopo qualche giorno, riuscì a materializzarsi
nuovamente dalla Realtà del Creato, con l’intenzione di costruire i Rotovian.”
Whenua però non era attento alla spiegazione. Dalla balconata sulla quale lui e
gli altri alleati di Artakha si trovavano, notò per primo una strage di Ruhnga.
“Fermati!” ordinò al Grande Essere. “I Ruhnga non sono colpevoli! La colpa è
solamente di Helryx. Non capisci che agiscono con la paura di mettersi contro
di lei? Distraili affinché possiamo fuggire!”
Ognuno dei presenti si mise dalla parte di Whenua. Artakha, però, era
titubante. Si limitò a fissare il vuoto tutto pensieroso. La preoccupazione si
insidiò fra i suoi occhi.
“Grande Essere, lo avete sentito? ... ARTAKHA!” urlò Varises.
Quando poi il suo padrone si voltò a fissarlo, Varises gli fece un’espressione
strana, come se sia lui che il Grande Costruttore stessero nascondendo
qualcosa...
“Allora?!”
“Oh, ehm... certamente, Toa. Ma dovrete sbrigarvi.”
“Muoviamoci allora, Onewa!”
“Si, Toa della Pietra, poiché avremo ancora molto di cui parlare quando
tornerete coi vostri fratelli...”
La fuga avvenne con successo e Artakha ritirò i quattro Serpenti. I jet Rangai
non poterono fare nulla e la flotta dell’Ordine perse molti dei suoi
combattenti, Quando Helryx venne a saperlo, tuttavia, non dichiarò guerra.
Sapeva benissimo, nonostante i poteri di cui disponeva ora, che non le
conveniva. Anzi, rimproverò severamente i generali che fecero ritorno su
Mata-Metru, traumatizzando gli altri agenti dell’Ordine per la rabbia che aveva.
Lo fece nell’arena del Colosseo, davanti a tutti i Matoran presenti. Quel giorno
era programmato un incontro coi grandi capi dell’esercito, assieme ai tre
agenti.
Tra i cittadini di Mata-Metru seduti sugli spalti, c’era un gruppetto d’amici di
vecchia data, che come tutti i presenti si spaventò nel vedere l’ira di Helryx.
“La situazione sta peggiorando, Lorin.”
“Si, Jakho, son tempi bui per tutti noi. Pensavo che qui su Mata-Metru
saremmo stati al sicuro dai pericoli che regnano là fuori. Mi sbagliavo.”
“Cosa dici?” disse un Ko-Matoran al loro fianco. “Non li senti gli annunci di
Helryx ogni mattina? Presto ci ricongiungeremo coi Grandi Creatori! E’ solo
questione di tempo.”
“Ma ce la farà Helryx?” domandò un altro cittadino. “Ultimamente ho sentito
che alcuni Matoran si sono ricreduti e stanno organizzando delle rivolte in
diversi punti della Metru. Per fortuna abbiamo questi squarci sulle nostre
Kanohi, altrimenti col potere anche di un solo Toa ci sarebbe stata la
rivoluzione...”
“Credo sia importante per Helryx non tornare dai Grandi Creatori coi Toa.
Forse la scelta di averli abbandonati all’esterno della cupola è stata presa
affinché il resto del Robot sia terreno da caccia per il Marendar.” ipotizzò
Zovrius, amico di Lorin e Jakho.

“Per concludere, Helryx, vorrei dire un’ultima cosa...” disse uno dei generali in
mezzo all’arena. “Settimana scorsa una delle mie squadre è tornata da una
perlustrazione nelle isole a ovest del Continente meridionale. Hanno avvistato
il Marendar.”
La folla tentò di celare il suo stupore. Tuttavia, il silenzio che si generò era
inevitabile: si sentiva ancora la mancanza di protettori simili ai Toa.
“Mi dicono che era circondato da una squadra di dieci Toa d’élite, ma non
hanno potuto fare nulla. Non c’è modo di fermarlo, Helryx!”
Il primo Toa si alzò dal suo trono. Si era sorprendentemente calmata dalla
sfuriata di qualche minuto prima. “Quando io e Krakua saremo gli ultimi due
rimasti, sarò io ad affrontarlo. Così vi renderete conto da quale parte sta il
Grande Spirito dormiente... Riposatevi ora. Questa sera farete ritorno sul
campo da battaglia: il fatto che avete da poco conquistato il Codrex non
significa che dovete abbassare la guardia. Trinuma, Krakua, Hydraxon, voi tre
raggiungetemi subito.”
Così la riunione davanti ai milioni di Matoran finì. Ognuno tornò nelle sue
abitazioni, così come i soldati dell’Ordine che vennero accolti dalle vecchie
caserme. Uno di loro, però, si allontanò dal suo squadrone per far visita ad un
caro amico.

“Dicci pure, Helryx.” disse Trinuma mentre entrarono nel salone. Il leader
dell’Ordine però non era presente.
C’era solamente Dume, il quale non perse ulteriore tempo e li informò: “C’è
stato un cambio di programma. Krakua, Hydraxon, voi due resterete qui.
Stanno nascendo dei movimenti rivoltosi ultimamente e dovrete capire chi è al
comando.”
“Tutto questo è assurdo! L’Ignika ha scelto i suoi servitori più fedeli. Perchè
mai i Matoran dovrebbero ribellarsi contro di noi proprio ora che stiamo per
ricongiungerci coi Grandi Creatori?!”
“Non possiamo prevedere il comportamento della Kanohi, tanto meno i suoi
prescelti. Di questo non dovrai preoccupartene, Trinuma. A te Helryx ha
affidato il pieno comando sull’esercito dell’Ordine. Manca poco all’arrivo, ne
siamo certi. Difendi il Codrex con tutto te stesso, E AMMAZZA OGNI
RIBELLE CHE SI PORRÀ DI FRONTE A TE!” gridò a squarciagola Dume,
sfogandosi per la rabbia repressa che aveva.
L’agente dell’Ordine sembrava titubante. Non era di certo per dubitare delle
parole del primo Toa: “Come possono... come possono ribellarsi a Helryx?!
Quale folle oserebbe fare una cosa del genere? Nessuna potenza mondiale può
sovrastare la nostra!”
Dume sorrise, compiaciuto dell’estrema fedeltà. “Tornate al lavoro ora. Che il
Grande Spirito sia con voi.”
Trinuma fece il saluto Ruhnga, e così anche Hydraxon e Krakua. A differenza
del primo, però, i due erano timorosi per il futuro che sarebbe arrivato. Il
cacciatore di Nuova Mahri Nui, soprattutto, era in continuo contrasto tra le
due personalità.
Anche Trinuma in realtà non era tranquillo: una volta uscito dalla nuova Sala
del Potere, si fermò ad osservare il tramonto, con le mani appoggiate alla
ringhiera della balconata.
Ora era tutto nelle sue mani. Il timore della morte per mano di Helryx, in caso
di fallimento, si fece sentire più di prima. Per la prima volta nella sua vita, la
freddezza crollò di fronte a migliaia di incertezze. Per lui era impossibile che un
esercito qualsiasi riuscisse a sfondare le difese dell’Ordine. Non a caso, la sua
forte fiducia in sé stesso era sicuramente un’arma sulla quale poteva contare.
“No, non posso farmi abbindolare così facilmente dalle mie emozioni... Devo
combattere... Devo combattere...”

“Disturbo?”
“Ganaik!” esclamarono in coro Jakho, Lorin e Zovrius.
“E’ bello riaverti fra noi!”
“Non dirlo a me, Jakho! Quanti anni saranno passati dal ritorno nel Robot? Ho
perso il conto ormai!” fece una risata.
Era un Ta-Matoran audace e sicuro di sé, un aspetto ormai tipico per dei
potenziali Toa del Fuoco. Prima del Risveglio, provò ad entrare nelle forze
Ruhnga, riuscendo poi ad essere ammesso come uno dei migliori. Attualmente
rivestiva il ruolo di vice comandante, al quale venivano affidati i rapporti delle
battaglie e i dati sulle raccolte di Protodermis.
“Come procede là fuori?” chiese Zovrius.
Lui, Jakho, Lorin, Ganaik e un Ko-Matoran di nome Odis erano un tempo amici
inseparabili, ed abitavano a Toka-Nui. Spesso si riunivano la sera e raramente
nel pomeriggio per discutere di politica moderna.
“Non ci lamentiamo.” gli rispose Ganaik. “La conquista definitiva del Codrex ci
ha dato una botta di ottimismo. Avresti dovuto vedere le Corazze immortali,
una bomba per gli occhi! E tutto questo grazie a Helryx e la Ignika!”
Jakho, un Le-Matoran, gli sorrise. Era entusiasta di vedere un caro amico come
lui sotto l’armatura di un Ruhnga. Ad un tratto, la sua espressione divenne più
cupa e chiese: “E Odis? L’hai più visto?”
“Odis?! Bah! E’ come se mi avessi parlato di uno Skakdi nel mezzo di un
discorso sui Toa! Per me quel traditore Parenga può marcire in qualunque
angolo egli si trova. L’unica cosa che spero è che la mia spia prima o poi torni
dicendo di averlo trovato morto nella tana di un Muaka!” andò giù pesante.
“Hai una spia?” domandò Jakho, allungando il discorso.
“Si. Ci siamo lasciati subito dopo l’attacco a Voya Nui. Sto ancora aspettando
un incontro con lui. Quei maledetti Parenga non sembrano dargli un momento
libero...”
Dal nulla sbucarono Zovrius e Lorin, il quale disse: “A me sinceramente manca
Odis. Secondo me non è entrato autonomamente nei ribelli, ma è stato rapito
apposta dai Parenga per le sue abilità combattive.”
“Scherzi?!” ribatté Ganaik fiero di sé. “Fino a prova contraria sono io ad essere
un vice comandante Ruhnga, e non lui!”
Ciascuno di loro in realtà sapeva che Odis era molto più abile di Ganaik.
“E poi ora i Parenga sono l’ultima cosa di cui dobbiamo preoccuparci! Dico
bene?”
“Si... certo, Ganaik.” rispose Lorin.
“Devo andare ora. Tra poco le navi dell’Ordine suoneranno i corni per dirci di
tornare. Al nostro prossimo incontro, amici miei!”
“Vedi di non morire!” gli augurò Zovrius.
“Non accadrà!”

Qualche minuto più tardi, dopo essersi assicurato che se ne fosse andato,
Jakho domandò: “Ce li avete?”
“Eccoli.” tirò fuori una pila di documenti Lorin, rubati di nascosto dalla sacca di
Ganaik. “Aveva ragione, l’Ordine è riuscito veramente a conquistare il
Continente meridionale.”
“Diamine!” esclamò Jakho. “Se non altro siamo riusciti a raccogliere una buona
mole d’informazioni.”
“E non è tutto...” invitò ad ascoltarlo Zovrius. “C’è una sezione in queste olo-
pagine che descrivono le terribili condizioni di buona parte dei Ruhnga. Cosa
farebbero i Matoran di Mata-Metru se dovessero scoprirlo, sapendo che un
giorno potrebbero finire al fianco delle Corazze immortali come sostituti dei
soldati defunti?”
“E’ ciò che dobbiamo fare, ragazzi. Se la rivoluzione non potrà scoppiare
dall’esterno, vorrà dire che verrà fatta dall’interno. E’ l’unica soluzione per
porre fine alla dittatura di Helryx!”
“Ben detto, Jakho!”
I corni delle navi suonarono. Come per effetto, circa novemila soldati, sui
cinquecentomila che furono schierati a meridione, salirono a bordo delle
imbarcazioni guidati da un Trinuma molto combattuto.
Turaga Dume rimase ad osservare la scena affiancato da due Korero. Persino le
sentinelle Horomia, pronte a cominciare il loro nuovo turno di sorveglianza
notturna, rimasero affascinate dalla partenza dell’esercito. Milioni di luci nei
palazzi dei Matoran rimasero accese, e mentre i guerrieri si allontanavano,
furono cantati gli stessi inni solenni che furono intonati durante il ritorno su
Mata-Metru. Era un chiaro invito a non fargli dimenticare che anche
nell’oscurità più profonda, come quella della notte, si poteva trovare la grande
luce del coraggio. I Ruhnga erano tutti girati con le lacrime agli occhi mentre
osservavano questo spettacolo unico. La gente di Mata-Metru era dalla loro
parte, e restava un ultimo passo per la gloria tanto promessa da Helryx.
L’unico, o meglio, l’unica che non salutò gli squadroni era proprio la Toa
dell’Acqua. Si rinchiuse nella sua stanza subito dopo aver convocato i tre agenti
nella Sala del Potere. Il suo incontro fu impedito dalla voce inquietante della
Ignika, che la obbligò ad appartarsi in un punto in cui nessuno poteva vederla e
sentirla.
“Che cosa c’è ora?!”
“La tua ira ti impedirà di andare oltre se continuerai a farti
corrompere da essa...”
“Sei Tu ad aver deciso di non attaccare l’isola di Artakha, non io!”

“Se vuoi che una delle parti anatomiche del Robot venga
compromessa, fa pure. Così facendo rischierai di interrompere il
nostro grande viaggio, e io non te lo permetterò...”
La Toa si caricò di rabbia e paura contemporaneamente. “Spero solo che ciò
che dici sia vero. La responsabilità che mi fai portare giorno dopo giorno sta
diventando sempre più pesante per me. Si può sapere quanto manca?! La
nostra gente attende una risposta!”

“ Presto, Toa Helryx, presto...”


“Va bene, ecco cosa faremo: tu, tu, tu e pure tu... restate qui, ci pensa Toa
Matau a sistemare i conti!”
“Uh... non credo di aver capito bene.” disse uno dei Ko-Matoran.
“Non c’è nulla che devi capire. A quel gruppetto di ribelli Parenga ci penso io,
così ci penseranno due volte prima di disturbare Turaga Kopeke!”
“Ma che cosa dici?! Guarda che la base del generale Sakovius è in accordo con
noi tramite un patto di non aggressione. Il nostro villaggio non è in guerra con
nessuno!”
“Ehi, piccolo ghiacciolo, ricordarti che stai parlando con uno che è Turaga e
Toa allo stesso tempo! Chi altro ha questo dono, eh? Ora lasciami fare il mio
dovere e aspettami qui assieme ai tuoi compagni! Non abbiamo tempo da
perdere se vogliamo trovare Nokama. Forse sono loro ad averla rapita!”
Un battito di vento gelato si scagliò inaspettatamente su di lui, come se un Toa
del Ghiaccio e uno dell’Aria gli avessero fatto un attacco combinato.
“Siete stati voi, piccoli Matoran, eh?! Ora mi sentire-” si zittì.
Vide il suo riflesso immerso in uno specchio dorato. In realtà era il becco di un
Falcone di Artakha.
“Cosa fai, sali?” sentì la voce di Whenua.
Subito dopo sbucò anche Onewa.
“Che cosa ci fate voi due qui?! E cos’è questo coso, non l’ho mai visto!”
“Matau...” lo interruppe Onewa serio. “Dov’è Nokama?”
Il Toa dell’Aria non parlò. Guardo dall’altra parte lasciando passare i secondi.
Anche i Ko-Matoran si stavano aspettando la giusta risposta.
“Matau, dov’è?! ... MATAU!”
“E’ SCOMPARSA, ONEWA! L’HO PERSA! L’HANNO RAPITA! Devo trovarla
ad ogni costo. Non potrei mai perdonarmelo se...”
“Fermati, e spiegaci tutto.” disse il Toa della Terra.
L’orgoglio di Matau calò un velo silenzioso sulla sua bocca. La spiegazione
arrivò dai Ko-Matoran...
“Chi è stato?” domandò furioso il Metru della Pietra.
“Non si sa. Toa Matau deve ancora scoprirlo.”
Se fosse stato per Onewa, si sarebbe messo immediatamente alla ricerca di
Nokama, forse con più astio di Matau.
Whenua allora lo strattonò dicendogli: “Non possiamo aspettare, fratello. Mi
dispiace...”
“No, non possiamo abbandonarla!” esclamò Matau.
“Non lo sto facendo, Matau, e mai lo farò! Non dimenticare che siamo Toa
ora. Non ci sarà più nessun Tahu o Norik a svolgere il compito al posto
nostro. Il tempo scorre in fretta e dobbiamo riunirci con Artakha il prima
possibile!”
“Come? Avete incontrato Artakha?”
“Si, e se non vuoi che Helryx vinca questa guerra, farai meglio ad alzarti in
piedi e tornare a combattere al nostro fianco!”
“Helryx cosa?! Hai per caso mangiato il cervello di un Nui-Jaga?! Aspetta... ce
l’hanno un cervello?”
“No! Ora sali e non ribattere. Ti spiegheremo mentre torneremo al tempio.
Muoviti ora!”
I quattro Ko-Matoran guardarono Matau, che si rannicchiò a salutarli e
invitandoli a far ritorno da Turaga Kopeke. Non appena il Toa dell’Aria sentì il
nome di Artakha, capì subito che non c’era da scherzare.
Dopodiché, mentre stava salendo su un’ala della creatura, Whenua mise la
mano sulla spalla del Toa della Pietra, profondamente amareggiato. “La
riporteremo da noi, fratello, hai la mia parola. E poi, con il coraggio che ha,
sono sicuro che sarà difficile metterla fuori gioco!”
Gli porse il pugno da battere insieme, ma Onewa guardò dalla parte opposta
con la delusione che accompagnava il suo sguardo.
Dopo essersi messo comodo, Matau li incitò coi suoi soliti modi: “Allora, si
parte o no?”
“Forse Nokama è riuscita a liberarsi e a tornare al nostro tempio...” suppose
Matau mentre erano in volo sulla creatura.
“E’ una possibilità. Vale la pena controllare, anche perché non potremo far
ritorno da Artakha finché non sarà notte. In questo modo sarà più semplice
sorpassare la visuale della flotta Ruhnga.” disse Whenua.
“Ho trovato gli altri due Toa...” sentirono. “Per poco non si facevano
inghiottire da una mandria di Muaka mutati dalla Ignika.”
“Chi ha parlato?! Onewa, sei stato tu? Non facciamo scherzi! Guardate che ci
metto un attimo a volarmene per conto mio!”
“Ma no, Matau! Quella che senti è la voce di Varises, un servitore di Artakha.”
spiegò il Metru della Terra.
“Non proverò a ripetere quel nome nemmeno per una sacca di Widgets!”
disse il Toa dell’Aria con la sua solita ironia.
“Come stanno almeno loro?” chiese Onewa per dimenticare le preoccupazioni
su Nokama.
“Stanno bene, nessuna ferita grave. Ci vediamo al luogo dell’incontro.”
“Va bene.”

Il presunto tempio di Roxtus in cui i sei si erano risvegliati era ancora intatto.
Le battaglie si concentrarono principalmente nel lato opposto, sulla costiera
orientale.
I due Falconi coordinati da Varises atterrarono nello stesso momento a
qualche passo di distanza dall’altro. I cinque Toa scesero e la prima cosa che
Vakama notò non era tanto la mancanza di Nokama, quanto la tristezza di
Onewa. Per calmare gli animi fin da subito, Whenua spiegò agli altri due Toa
com’era la situazione, ma non poté comunque contenere il dolore di Vakama,
al quale sembrò di vivere un vero incubo.
“Sarà meglio che entriate, Toa.” suggerì Varises prima di allontanare i due
volatili dorati.
“Giusto. Muoviamoci, ragazzi.” disse Whenua.

“C’è dell’altro che dovete dirci?” chiese Nuju.
“No, è tutto. Tuttavia, Artakha ci ha avvisati dicendo che c’era ancora molto di
cui discutere con tutti i presenti.”
“Ma come faremo a prendere la Vahi se non siamo tutti e sei, Onewa?”
“E’ questo ciò che più di ogni altra cosa mi preoccupa al momento... Senza
Nokama, dovremo continuamente scappare dall’occhio di Helryx.”
Il loro leader non era silenzioso. Fece qualche interazione per mostrarsi
attento. Ma anche lui, come tutti gli altri, era sconfortato dalla notizia.
Poi toccarono gli argomenti più caldi: “...non solo, fratello. Io e Vakama
abbiamo sentito che qualcosa di potente si aggira fra le isole del Robot, e
sembra che i suoi obiettivi siano proprio i Toa.”
“E’ proprio per questo che dobbiamo prendere in custodia la Vahi e
difenderla.” parlò Whenua. “Grazie ad essa, riusciremo a non essere
rintracciati dal Marendar...”
Vakama e Nuju allargarono lo sguardo increduli.
“Sarà un mezzo necessario per arrivare su Mata-Metru intatti.”
“Intatti è un parolone!” sbracciò Matau, con Onewa che mentalmente gli dava
ragione forse per la prima volta nella sua vita. “Volete sapere che simpatico
scherzetto ci ha fatto Artakha in cambio? Ve lo dico io! Sta-”

BOOOM!
Ai due lati del tempio ci fu una violenta esplosione. Nuju fece in tempo a
evitare che i pezzi dei muri si scagliassero contro gli altri fratelli con la sua
Matatu.
“Mettetevi in cerchio!” ordinò subito Vakama.
I cinque Toa erano spalla contro spalla. Continuavano a girarsi in senso orario
guardando tutte le direzioni.
“Whenua, usa la tua Ruru. Cosa vedi?”
Il Toa della Terra questa volta doveva concentrarsi più di quando confuse gli
Hagah con Varian. Ancora però: “Niente non ci riesco, maledizione!”
“Va bene, è troppo buio qui. Vedo se riesco a creare un po’ di luce.” disse il
leader del gruppo, e lanciò quattro fiammelle agli angoli del tempio.
L’illuminazione fu sufficiente a permettergli di vedere le due nuove entrate.
“Provo a controllare fuori?” si propose Matau mentre apriva le ali.
“No, aspetta!” lo fermò Onewa. “Non possiamo rischiare adesso.”
Sentirono ancora la voce del silenzio per qualche attimo, finché il Toa dell’Aria
gridò dal nulla: “Ecco, lo sapevo! Siamo già stati rintracciati da Voporak!”
“VOPORAK CI STA CACCIANDO?! PERCHÉ NON CE L’AVETE DETTO
SUBITO?!” esclamò Nuju.
“Ve lo stavo per dire, fiocco di neve!”
“State zitti!” si infuriò Whenua mentre toccava il pavimento. “Rilevo
movimento verso quell’entrata.”
Tutti si voltarono a destra. Improvvisamente il simbolo sulla loro spalla divenne
sempre più luminoso, e questo poteva dire solo una cosa...
Improvvisamente sentirono dall’esterno: “GAS!”
Una serie di bombette vennero gettate vicino al gruppo Toa. La nube rilasciata
li fece tossire pesantemente.
“M-Matau, fa q-qualcosa! COUGH, COUGH!” ordinò con voce rauca Vakama.
Il Toa dell’Aria generò una cupola ventilata attorno ai cinque, ma ecco che
sette individui armati penetrarono lo scudo elementale mettendoli fuori gioco
uno dopo l’altro.
Vakama era rimasto da solo. Il gas stava facendo il suo sporco effetto. Poco
dopo si fece avanti il leader del gruppo ostile, che portava un H verde sul suo
petto e racchiusa da un’armatura dorata.
Eroi...
Il Toa non lo fece neanche parlare e partì all’attacco. Prima di sganciare il
pugno, però, fu afferrato al braccio da un altro Eroe, questa volta rosso. In due
secondi lo fece volare con una mossa, dopodiché lo stordì con un colpo
preciso.
“Ci sono tutti?”
“Si, Rocka. Corrispondono a quelli di cui ha parlato la Toa dell’Acqua.”
“Molto bene. Tutti sul dirigibile coi prigionieri! Si fa ritorno al Quartier
generale!”
2240 giorni prima del Risveglio…

Whe-Nui era la prossima destinazione per la lezione di Darkness.


Ahkmou era sempre più dubbioso. Voleva avere un addestramento da vera spia
come per Okoth, accudita inizialmente dagli Hagahkuta, che però dovettero
abbandonarla quando degli strani individui che si facevano chiamare Eroi
arrivarono da qualche settimana. In poco tempo stabilirono dei Checkpoint in
diverse parti del pianeta e, probabilmente, portarono con sé quello che
secondo Makuta Rewerax era l’unico mezzo per poter superare il blocco di
Solis Magna: la Lancia di Rewerax, meglio conosciuto dagli Eroi con il nome di
Von Nebula.
Makuro (Velika) infatti fu l’unico ad aver creato la mappa dei pianeti
dell’universo per i suoi Eroi, contrassegnando il sistema del pianeta 1210,
ovvero Spherus Magna, come inaccessibile. Secondo il patto stabilito con gli
altri Grandi Creatori, stava giusto aspettando il momento opportuno per
tornare con la sua armata su Spherus Magna. I Grandi Creatori avrebbero
quindi ordinato ai Legionari una disattivazione momentanea del blocco di Solis
Magna, creato dai Legionari della Realtà del Creato all’inizio del Tutto, e la cui
permanenza fu poi garantita dall’arrivo di Rewerax con la sua Lancia. In questo
modo nessun essere sarebbe riuscito ad entrarci o a uscirci, a meno che la
Lancia o le tecnologie dei Legionari non glielo permettevano.
Quando poi il segnale di alcuni prigionieri Hero fu ritrovato e proveniente da
Spherus Magna, Makuro, stanco di attendere, avviò la sua mossa con l’uso
autorizzato della Lancia dai Buchi neri.
L’arrivo degli Eroi fece scaturire uno strano sentimento a Darkness: la Lancia
dell’Oscurità, collegata tramite l’Antidermis a quella di Rewerax, gli permise di
percepire il suo arrivo, ma non fu in grado di distinguerne la posizione non
essendo un Makuta. Ordinò quindi agli Hagahkuta di mettersi sulle sue tracce...

“Siamo arrivati, Ahkmou.”


Si trovavano in un piccolo quartiere vicino allo Scar Wall. Il caso volle che
capitarono in un momento delicato. Da poco infatti si tenne una violenta rissa
tra un gruppo di Agori ed uno Matoran. Tutti i presenti accorsero per
separarli, ma era davvero difficile.
La ragione? Accuse su accuse riguardanti i primi furti di Protodermis.
“Guardate, Maestro! Quello lì non è mica un guerriero Skrall? Sta portando via
con sé qualcosa!”
“E’ come credevo...” gli rispose. “Questa è tutta opera di Tuma. Dobbiamo
anticipare le sue mosse se non vogliamo farci schiacciare.”
“Speriamo che le nostre spie trovino i Glatorian di Magis il prima possibile
allora...”
Nella piazza del quartiere intanto la rissa proseguì. Un Le-Matoran scatenato
tirò un calcio sulla mandibola di un Agori di Iconox. Il compagno di Vulcanus
afferrò un’asta di metallo che vide a pochi passi e la sbatté sul viso
dell’avversario. Molti cittadini tentarono inutilmente di fermarli: “Smettetela!”
“Basta così!”
“Avete perso la testa?!”
“Lascialo sta-” tentò di urlare una Ga-Matoran, ma un Agori di Tajun tirò fuori
un coltello e la uccise di fronte a tutti.
I Ruhnga che arrivarono qualche secondo dopo non riuscirono a fermare
l’individuo e gli altri responsabili dell’omicidio.
Per Darkness era il momento ideale per iniziare il suo discorso. “E’ facile
puntare il dito quando non si hanno scuse sufficienti per alimentare lo spirito
razzista. Tale sentimento è un mescolamento sporco di orgoglio e stupidità,
giusto perché si crede che il proprio villaggio o la propria nazione sia
automaticamente migliore degli altri. E se tutto il mondo fosse sotto un unico
colore? Se non esistessero idee politiche contrastanti? Certo non ci sarebbe
nessuna guerra, ma internamente? Se non è l’amore per la propria patria a
separare i popoli, saranno i sentimenti e le virtù a farlo. Chi si schiererà dalla
parte della giustizia e chi dell’ingiustizia, o di ciò che per quei folli sarà giusto.
Così bene e male torneranno a rincorrersi a vicenda, dipendentemente dai
punti di vista. Non dovranno esistere razze, ambienti, culture, o tradizioni un
giorno, Ahkmou. Le emozioni saranno l’unico problema di cui preoccuparsi. In
quei momenti il processo razionale dovrà prendere il controllo diretto e
completo su quello irrazionale.”
“E’ vero però che molti Agori dell’Esercito di Certavus si sono appropriati
ingiustamente di molte quantità dell’Ordine che esso aveva dimenticato di
possedere, credendo che il nemico le avesse distrutte. Non è così, Maestro?”
“E invece quei Matoran che quasi ogni giorno sbattono la porta in faccia agli
Agori che hanno perso le loro case a Tajun e Vulcanus? Quale orribile
risentimento li ha spinti a comportarsi così? Avevano paura di perdere il loro
“prezioso” cibo? Le loro ricchezze? La loro privatezza? No, c’è ben altro.
L’egoismo impone a chiunque di aiutare limitatamente gli altri, giusto per
sentirsi bene con sé stessi. I continui messaggi di Helryx sul comportarsi bene
l’un l’altro sono effimeri, e diventano allo stesso tempo dei paletti morali
imposti per non essere visti male dalla gente. Per non avere allora accuse altrui,
alcuni schifosi popolani scavano un piccolo spazio per gli estranei, e lo
coccolano credendo che possa essere la vera fonte di cui andare fieri davanti
agli altri, vantandosene. Ecco che cos’è il vero egoismo. La cosa più triste è che
difficilmente potremo allontanarci da esso, in quanto collegato con l’istinto di
sopravvivenza, una virtù innata nel nostro organismo.”
Ahkmou non riusciva a capire. Per uno come lui erano discorsi troppo
complicati, perciò Darkness lo prese con sé e continuò il discorso
appositamente da un’altra parte.
Questa volta li attendeva una conversazione di un gruppo Matoran a Toka-Nui.
Gli argomenti affrontati dai quattro piccoletti avevano come punto centrale la
situazione attuale.
Uno di loro interruppe in fretta con delle notizie importanti. “Ho sentito che
è scoppiata una rissa a Whe-Nui!”
“Come? E tra chi, Odis?”
“Tra alcuni Matoran e Agori del posto. Hanno iniziato ad accusarsi a vicenda
per ciò che è successo di recente.”
“Che stupidi.” disse Zovrius. “Dove andremo a finire con dei depensanti del
genere io mi chiedo...”
“Vedrai che l’Ordine sistemerà tutto. Mata-Nui è dalla nostra parte!”
“Ancora con quella storiella per Matoran appena costruiti, Odis...”
“Sei pregato di rispettare le mie opinioni, Zovrius!”
“Dovrei veramente rispettare chi crede ancora che Mata Nui sia un qualcosa al
di là di una macchina gigante?! Dov’è questo Grande Spirito di cui tutti voi
credenti parlate? Se è vero che garantisce la giustizia, perché ci sono le guerre?
Perchè la gente uccide altra gente? Dov’è la correttezza in tutto ciò?! L’Ordine
dovrebbe essere il primo a difendere la pace, non distruggerla come ha fatto
fino adesso, appropriandosi di ricchezze con le quali potrebbe sfamare
letteralmente tutti!”
Tra i due non scorrevano buone acque.
“E allora? Non posso credere in ciò che ritengo giusto? Io almeno nel mio
piccolo provo ad applicare le tre Virtù!”

“Intolleranza e ingenuità...” cominciò Darkness. “Ecco cosa differenzia quei


due.”
“Ma voi non eravate contro l’Ordine, Maestro?”
“Per l’appunto, Ahkmou. Ma non è giusto scaricare colpe su un unico fronte.
Molti per esempio potrebbero disprezzare gente come me che all’apparenza
resta ferma a giudicare da quell’angolo buio che abbiamo alle nostre spalle.
Quel tipo di persona, per le persone comuni che non devono preoccuparsi di
mali come la guerra, almeno non in prima persona come i soldati,
rappresenterebbe il male della società. E’ giusto guardare il lato positivo e
difendere ciò che è difendibile ad ogni costo. Perchè quel Ko-Matoran non è
libero di pensarla come vuole, vedendo qualcosa di più grande al di là della
macchina che un tempo era Mata Nui? Perchè chi crede in qualcosa di
spirituale che non è possibile vedere è per forza in torto? Perchè chi profetizza
per la pace futura e la fratellanza reciproca sbaglia? Dove sono finiti tutti quei
valori per i quali gli eroi del passato hanno lottato? E’ normale, ultimamente si
progredisce sempre di più verso il male più puro senza che ce ne rendiamo
conto. E se veramente dietro alla Ignika e Mata Nui ci fosse qualcosa che va
oltre la nostra conoscenza? Siamo davvero sicuri che la giustizia esisterebbe
ugualmente? In quanti gli chiederebbero, invece della pace, di diventare ricchi?
In quel caso, questo spirito nascosto farebbe bene a far sì che esistano le
guerre, cose che, come gli omicidi, nascono puramente dal nostro volere.
Quindi è inutile incolpare un qualcosa che non è per nulla responsabile,
ipotizzando che esista... Se fosse per Zovrius, Odis sarebbe un fanatico solo
perché crede in un qualcosa che non può essere scientificamente dimostrata,
ma finirebbe dalla parte del torto. Il perbenismo di alcuni infatti non glielo
permetterebbe, e perciò sfrutta l’espediente dell’Ordine come scusa per
attaccarlo, siccome è qualcosa sulla quale Odis non potrebbe oggettivamente
ribattere. Buffo di come il coraggio a volte cada come niente di fronte
all’orgoglio per la propria immagine.”

“Su calmatevi ora, ragazzi!” li invitò gentilmente Jakho. “Lorin, tu cosa ne


pensi?”
“Sinceramente non mi importa niente. Ognuno è libero di pensarla come
vuole. A me interessa farmi la mia vita, non sapendo cosa potrà accadermi
domani.”

“Menefreghismo...” parlò Darkness. “Per alcuni, il fatto che la vita possa finire
da un giorno all’altro è un’ulteriore scusa per viversela a modo proprio,
lasciandosi scivolare le cose negative. Certo molti saranno anche buoni verso il
prossimo, ma altri, credendo che un giorno moriremo tutti e che la nostra
coscienza verrà ripristinata da zero, si sentono liberi di comportarsi come
vogliono. Che gli importa se ciò che lasciano contribuisce a sporcare ancora di
più questo mondo dall’interno e soprattutto lentamente?”

“Non hai tutti i torti.” disse Ganaik. “A proposito, sono riuscito ad entrare
nella lista Ruhnga!”
“Grandioso!” esclamò Jakho. “Quando inizierai?”
“A dire il vero dovrò sostenere un addestramento finale per entrare del tutto,
ma andrà buon fine. Fidati, Zovrius, l’Ordine smetterà di fare l’imperialista.
Difenderemo ogni angolo di questo pianeta!”
“Perchè non provi ad entrare anche tu, Odis?” propose il Le-Matoran. “Le tue
abilità torneranno sicuramente utili a...”
“No. Sapete che sono contrario alla violenza.” rispose turbato.
Ganaik, irradiato dall’invidia per l’agilità di Odis, di gran lunga superiore alla sua,
disse: “Lascia perdere allora. Questo mondo non è più adatto per i deboli di
cuore.”
“Concordo.” si aggiunse Zovrius, che nonostante non fosse d’accordo con
Ganaik lo appoggiò quasi sempre quando si trattava di dare contro a Odis.
“Ricordati che lui non potrebbe assolutamente alzare un dito nemmeno contro
una mosca Rere, eheh! Il Grande Spirito lo punirebbe all’istante, aiuto!”
“Smettetela!” urlò Odis, ma i due continuarono. Per non passare dalla parte
del torto, si giustificavano dicendo che erano delle battute da niente, giusto per
riderci insieme sopra.
Ma Odis ci rimase davvero male. Non si sentiva rispettato. “Tu dici così perché
in realtà mi invidi, non è così, Ganaik?! E tu, Zovrius, ti fai sempre vivo quando
si tratta di darmi contro, non è vero?!”
“Adesso stai esagerando...” cambiò tono il Ta-Matoran.
“No, tu stai esagerando! Perchè sono sempre io a sbagliare solo perché la
penso diversamente da voi?!” e se ne andò infuriato.

“Vedi, Ahkmou, in ogni gruppo ci saranno sempre degli individui come loro.
L’anticonformismo verrà visto come una delle tanti radici del male da molti.
Non potrai mai avere una corrente unica di pensiero. Certo è giusto che sia
così, ma perché quel Ko-Matoran deve andare avanti a soffrire solo perché le
sue ideologie sono buone e invece chi si comporta male con lui e con gli altri
ha diritto ad avere quasi tutto il successo? Quale orrenda mente regola tutto
ciò? Il Destino? Se è veramente così deve essere distrutto senza esitazione...”
“Avete ragione. A volte mi chiedo perché i buoni devono essere quelli a
soffrire maggiormente rispetto ad altri.”
“Non è così che funziona in realtà. Ognuno ha adempito al successo e alla
felicità istantanea in modi differenti. Ecco dove sta la differenza. C’è chi per
raggiungerla arriverebbe addirittura ad ammazzare la persona più cara o a
tradirla, e chi invece deve sopperire perché l’onesta è un peso troppo grande
da portare per tutti quanti, nessuno escluso.”
“Uccidiamo quei due allora, Maestro. Iniziamo fin da subito a fare giustizia!”
“No, Ahkmou. Verrà un giorno in cui la vita di tutti loro sarà capovolta, e quel
giorno sia io che te saremo presenti, ed assisteremo alla caduta di un impero
così come l’abbiamo conosciuto. Non c’è altro modo. In quel caso si vedrà
veramente chi è buono e chi invece tradirà i propri sentimenti come un finto
moralista...”

Quando tornarono all’accampamento, la domanda di Okoth fu sempre la
stessa: “Cos’hai imparato oggi, Ahkmou?”
2200 giorni prima del Risveglio...

A differenza di Toka- e Whe-Nui, il Villaggio del Ferro fu uno dei pochi ad


avere un periodo dorato, grazie alle ricchezze distribuite dai guerrieri della
scuola di Magis. Come detto in precedenza da Okoth, un tempo egli era un
commerciante, che spesso avviava degli scambi con gli “esiliati” Johmak e
Lesovikk. Prima di diventarlo, però, entrò a far parte dei Parenga. Uno dei
comandanti scelti, ovvero Strakk, si occupò del suo addestramento, facendolo
diventare uno dei migliori. Durante il post guerra, tali conoscenze furono
prese e infuse nei suoi nuovi combattenti, a partire dal Glatorian Dopleius, suo
primo allievo.
Dopo molti mesi, ritrovò un vecchio amico di nome Hluzek. Inizialmente i due
avviarono una politica di guadagni, ma quando si accorsero dell’importante
povertà che ancora regnava nel Circolo, decisero di investire la maggior parte
della loro ricchezza a favore dei più deboli.
Lentamente stavano regalando la speranza. Così molti altri guerrieri per
essergli debitori si offrirono di farsi addestrare da Magis, e di diventarne
automaticamente guardie personali. In pochi mesi, la scuola dell’Agori contava
circa cento guerrieri abilissimi di ogni razza: Glatorian, Agori, qualche Toa, e
persino alcuni Skakdi!
In tutto questo, l’Esercito di Certavus non restò con le mani in mano. Vedendo
le buone azioni dell’Agori, gli offrirono un posto fra loro, ma egli rifiutò. Non
erano le sue intenzioni. Tuttavia, molti che poi tornarono a Tesara si fecero
inizialmente addestrare da Magis, a partire dallo stesso Gresh. Strinse infatti
una forte amicizia con Hluzek, il quale decise a sua volta di entrare
nell’Esercito...

“Sono tutte le provviste?”


“Si, capitano.”
“Molto bene. Vado ad avvisare gli altri allora. Iniziate a preparare la carovana e
gli Spikit.”
“Subito.”
Un messaggero corse di fretta da lui. “Abbiamo visite, signore.”
“Ancora l’Esercito di Certavus? Quando la capiranno che non gli
consegneremo più guerrieri?”
“No, capitano, è un Cacciatore dell’Oscurità...”
“Come?!”
“Non si preoccupi, l’abbiamo subito privato delle sue armi... Se solo ne avesse
una...”
“Portami da lui!”

“Mantieni la guardia alta, Pretorius!”
Il giovane si alzò indebolito dall’ennesimo colpo. Ogni volta si diceva in
continuazione che la prossima sarebbe dovuta andare diversamente.
Si pulì l’armatura. Il suo addestratore glatoriano lo rimproverò nuovamente:
“Non pulirti l’armatura. La sporcizia e il liquido vitale del nemico saranno
sempre il tuo miglior abbigliamento in battaglia. Fa pulizia piuttosto nella tua
mente.”
Nella mini arena entrò anche uno dei pochi Skakdi adescati da Magis. Ogni
volta che entrava, guardava male Pretorius. Non c’era nulla però che il giovane
guerriero potesse fare al momento. Quello Skakdi era uno dei migliori del suo
squadrone. Arrivò addirittura a schifare il verde perché era il colore
dell’armatura dell’ex abitante di Zakaz.
L’addestratore gli tirò due colpetti sull’elmo. “Ehi! Guarda me. Sono io il tuo
avversario, non lui. Ricominciamo!”
Gli attacchi combinati questa volta furono schivati facilmente, e mentre stava
per commettere lo stesso errore per l’ennesima volta, riuscì a fare una capriola
all’indietro che gli permise di avere un maggiore spazio. Peccato che un pugno
assestante lo fece tornare coi piedi per terra.
Mentre si alzava, sentì il rumore di armature e soldati che correvano. Si
domandò subito cosa stesse succedendo, e diede una rapida occhiata fuori dal
portone nonostante i rimproveri dell’addestratore: dieci tra i migliori guerrieri
dell’accampamento stavano correndo più in fretta che potevano alla capanna di
Magis, dove si stava tenendo un’importante riunione...
“Come stai, Drakau?”
“COUGH! Ancora un po’ intontito, Dopleius, ma meglio.”
Il primo allievo della scuola si alzò subito in piedi, guardando nuovamente fuori
dalla finestra.
“Che c’è? Perché sei così preoccupato? Sembra che ci stanno assalendo a
giudicare dal tuo sguardo.” si preoccupò Drakau.
Senza guardarlo, Dopleius rispose: “E’ arrivato qualcuno...”
“Chi? Glatorian? Toa?”
“Shh!” lo zittì il compagno. “Non urlare! Sveglierai gli altri infermi!”
Da qualche giorno, infatti, i due furono soccorsi dai guerrieri di Magis in
seguito all’attacco dell’Hagahkuta Kualus al Checkpoint Hero. Era il primo
incontro documentato tra Eroi e Biomeccanici. Quel giorno, un giovane Eroe
di nome Evo morì per mano del servo di Darkness. I due sopravvissuti si
risvegliarono su un lettino della scuola di Magis. Dopleius, mandato
appositamente da Ackar, recuperò velocemente dalle ferite, ma Drakau era
quello messo peggio.
Il Glatorian abbassò la voce. “Almeno hai visto chi sono?”
Dopleius spostò la tendina mettendosi spalle contro il muro. “Non sembra un
alleato. Il suo aspetto mi ricordava un servitore dell’Oscuro...”
“Che gli è saltato in mente a Magis?! E Hluzek gli ha permesso veramente di
fare entrare un Cacciatore oscuro così?!”
“Non alzare la voce!”
“No, fammi vedere!”
Dopleius lo prese di forza e lo rimise sul lettino. “Devi riposare! Vedo se
riesco ad uscire per sentire di che stanno parlando e soprattutto chi... aspetta!
Sta uscendo qualcuno dalla capanna... Sono i capitani! Ma dov’è l’interlocutore
dell’Oscuro?”
Drakau accigliò lo sguardo. “Sei davvero sicuro che fosse lì con loro? Forse hai
ancora qualche allucinazione dopo il veleno di quel Rahi.”
“No, ci vedo perfettamente, Drakau! Il riparatore mi ha detto che ho
recuperato la vista! Solo che... è strano...”
“Vieni a dormire allora. Domani chiederemo spiegazioni al capitano Hogaris.”

Dopleius aprì gli occhi. Drakau era accanto a lui, spaventato: erano gli unici a
trovarsi nel dormitorio. Tutti i lettini erano vuoti. Le armi appoggiati sulle
pareti fino al giorno prima erano scomparse. Il silenzio era il terzo individuo
che si trovava nella stanza.
“Dove diamine sono finiti tutti?!” esclamò Drakau.
Dopleius si alzò velocemente e guardò subito fuori dalla finestra. I guerrieri
rimasti in strada erano troppo pochi rispetto al solito.
“Cosa vedi?” chiese il compagno.
“Seguimi! Dobbiamo scoprire che sta succedendo.” e proprio sull’uscio si
incrociarono col capitano Hogaris, da Tajun.
“Che ci fate voi due qui?! Kilias non è venuto a svegliarvi?”
“No, capitano.” rispose Drakau. “Ci siamo svegliati da poco. Che sta
succedendo?”
Sospirò rassegnato: “Magis ci ha venduti, tutti quanti. Molti del vostro
dormitorio sono già scappati. Tra non molto passeranno dei carri a portarci via
con la forza se necessario. Stiamo stati traditi...”
“Dov’è quella carogna di Magis?!”
“E’ la cosa che meno importa in questo momento, Drakau, credimi. Venite con
me, prima che arrivino!”
I Glatorian seguirono il loro superiore fino alla terza entrata
dell’accampamento.
Ma non fecero in tempo: i primi carri erano già arrivati, ed appartenevano
all’individuo che parlò con Magis, Darkness. Magis ordinò ai suoi più fedeli, che
guarda caso non furono venduti, di prendere con la forza alcuni e portarli al
cospetto dei compratori. Altri, come lo stesso Pretorius, furono invece
trattenuti come semplici lavoratori siccome erano ancora delle reclute.
“Hogaris, dove stai andando?” sentirono una voce da dietro.
Tutti e tre si voltarono. Il capitano si offrì di parlare. “Lontano da te, Magis!
Noi non abbandoniamo i nostri obiettivi. Non siamo nati per combattere
come semplici mercenari da quattro Widgets!”
“Tu non sai cosa mi è stato promesso! Grazie a lui potremo aiutare non solo il
mio, ma tutti i villaggi Agori di Spherus Magna! Non è sempre stato questo il
nostro desiderio?”
“Che cosa direbbe allora Hluzek, eh?! Credi che gli farà piacere quando lo
verrà a sapere?”
“Capirà, ne sono certo. Ora tornate qui! Se ne sono già andati fin troppi oggi...
maledetti traditori...”
“Loro sarebbero i traditori?! COME PUOI ACCUSARLI DOPO CIO’ CHE
HAI FATTO?!”
“Io vi ho salvati dalla fame, Hogaris! E’ grazie a me se un giorno potrete
difendere i nostri confini con la piena fiducia degli Agori! Ma non difenderete
più quella feccia dell’Ordine, né tanto meno l’esercito di Ackar...”
“Allora lo faremo solamente da morti!” replicò Drakau.
L’Agori restò silenzioso. Due dei suoi si erano avvicinati abbastanza. Alzò allora
la mano dando l’ordine, e questi si scagliarono sui fuggitivi in un secondo.
Dopleius e Drakau vennero fatti scontrare l’uno con l’altro, mentre Hogaris fu
infilzato su entrambe le cosce. Come per reazione, lanciò una bomba
fumogena che diede il tempo agli altri due Glatorian di fuggire a bordo di un
mezzo corazzato. Alcuni compagni di Hogaris interruppero il piano di fuga e si
intromisero aiutando il capitano, scatenando così un piccolo scontro dinanzi ai
compratori di Darkness.

“Dobbiamo tornare ad aiutarli!” disse Dopleius.
“No, non possiamo!” rispose il pilota del mezzo. “Non possiamo più fare
niente. Dobbiamo ricongiungerci con gli altri fuggitivi vicino alla foresta di
Magarh il prima possibile!”
“Carri nemici!” avvisò Drakau.
Sfortunatamente per i tre, il corazzato non era dotato di blaster ai lati. Drakau
e Dopleius dovettero cavarsela con dei lanciatori Thornax che trovarono nella
stiva.
Alcuni dei mercenari che si gettarono all’inseguimento dei fuggitivi erano un
tempo prigionieri della Hero Factory: Thunder, Xplode, Nitroblast e altri.
Darkness trovò subito la chiave per portarli dalla sua parte, siccome il loro
temperamento era simile a quello dei Cacciatori oscuri.
Improvvisamente un colpo esplose a pochi bios dai tre guerrieri. Drakau riuscì
a centrare uno dei quattro carri, facendo ribaltare lo Spikit e il pilota nemico.
Nel frattempo Dopleius stava sfuriando contro il lanciatore, che si inceppò.
“Vedi di muoverti!”
“Sto facendo quel che posso, Drakau! Questa maledetta arma non vuole
funzionare!”
“Aspetta! Prendi il controllo del carro!” disse il Glatorian pilota mentre tirò
fuori un set di coltellini.
Dopleius si mise ai comandi e raddrizzò la direzione. Mancava poco alla foresta
di Magarh. Il pilota dunque prese un coltellino, e lo puntò in aria prima di
lanciarlo.
“Che diamine stai facendo?!” domandò Drakau.
Il Glatorian non rispose. Dopo aver calcolato la direzione del vento, lanciò
centrando il bersaglio. Uno degli Spikit svoltò inaspettatamente a destra dopo
essere stato preso sull’arto destro anteriore. Si scontrò con l’altro carro,
lasciando gli ostili a piedi in pochi secondi.
Ne mancava solo uno.
“Vedo la foresta, siamo quasi arrivati!” esclamò Dopleius.
“Non ti fermare!” disse il pilota glatoriano.
BOOOM!
Tutti e tre saltarono in aria. Una potente scarica elettrica proveniente
dall’inseguitore rimasto interruppe la loro fuga. Per fortuna l’impatto sul suolo
non fu doloroso grazie alla sabbia del deserto.
All’interno della foresta di Magarh, Dopleius riuscì a intravvedere qualche
decina di Glatorian, che li incitarono a sbrigarsi non appena si accorsero che
erano ancora vivi.
Corse allora subito da Drakau e se lo caricò in spalla. “Avanti, Glatorian!
Seguimi, manca poco!”
I loro alleati si prepararono a fare fuoco sul nemico, che però si stava
avvicinando a grande velocità.
Arrivò un’ulteriore scarica elettrica da Thunder, che per fortuna mancò il
bersaglio, dando la possibilità ai tre di raggiungere definitivamente i loro
compagni.
Non appena giunsero alle spalle della linea di fuoco, questa sparò senza
esitazione su Thunder, che rispose con uno scudo energetico.
Nessuno aveva mai visto una tecnologia simile su quel pianeta.
Ne sparò una decina in successione, creando una linea di fuga che lo condusse
all’interno di una fossa lontana dalla foresta. Sfortunatamente per lui, però,
c’era un branco di Vorox che lo stava aspettando...
I sopravvissuti al tradimento di Magis erano circa cinquanta. Da quel giorno in
poi, riuscirono a scappare dalle grinfie di Darkness fino allo spaventoso giorno
del Risveglio, approfittando poi delle migrazioni all’interno del Robot per avere
un nuovo rifugio e organizzare così una vendetta contro il loro “padre”...
2185 giorni prima del Risveglio...

L’ultima spedizione dell’esercito di Ackar si concluse. Hluzek tornò finalmente


da Magis, il quale decise che il Glatorian non avrebbe mai dovuto sapere nulla
su ciò che accadde due settimane prima. Ad aiutarlo fu lo stesso Darkness, che
gli fece portare dei guerrieri glatoriani, catturati dai suoi Cacciatori all’oscuro
di Helryx.
Il Glatorian del Ferro notò fin da subito i visi nuovi di alcuni, anzi, molti...
Quando vide Magis, gli chiese subito delle spiegazioni. L’Agori, secondo i
suggerimenti di Darkness, spiegò che l’Esercito di Certavus bussò nuovamente
alle loro porte, e che molti combattenti decisero infine di abbracciare la causa
per seguire le orme di Hluzek.
L’orgoglio del Glatorian del Ferro si fece subito sentire. Non vedeva l’ora di
vedere i suoi compagni in vesti ufficiali e di difendere con onore i confini del
pianeta al loro fianco.

“Pretorius! Ancora che spii Magis?!” subì una botta sull’elmo dal suo
addestratore.
“Questa mi ha fatto male, OUCH!” confessò mentre si massaggiava la nuca.
“Dico, ma si può sapere cosa ti importa dei suoi affari?!”
“Non è quello, signore.” tentò di spiegare il giovane guerriero. “E’ solo che...”
“Solo che cosa?” aggrottò lo sguardo.
“Ecco, io... volevo sapere che fine avessero fatto i guerrieri che se ne sono
andati via. Dove li hanno portati quei carri?”
L’addestratore Glatorian tirò un sospiro di rassegnazione. “Non se ne sono
andati via, Pretorius, almeno non secondo il loro volere. Io e il capitano
Hogaris eravamo venuti a saperlo. A differenza sua, ero convinto che ciò
avrebbe potuto portare maggior esperienza fra i nostri ranghi in futuro, o
meglio ancora più ricchezze da investire per la nostra scuola. Sai, me lo chiedo
pure io dove siano finiti quei ragazzi. Non vorrei per nessuna ragione trovarmi
nella loro situazione. Preferirei fare l’orrenda fine che ha fatto Hogaris.”
Il corno del pranzo di gruppo tagliò il dialogo fra i due.
“Parleremo più tardi, signore.” disse convinto Pretorius.
“No, ragazzo. Voglio dimenticare quanto successo il prima possibile.”
Non era l’unico a desiderare la morte dell’Agori del Ferro dopo quanto
accaduto. Molti intendevano progettare una morte a sorpresa per il loro padre
fondatore, ma coloro che si opponevano erano in troppi, a partire dallo stesso
Hluzek, il quale era convinto che questa storia dei guerrieri venduti era tutta
una fandonia. In realtà non ebbe nemmeno il tempo di darci troppa
importanza, siccome fu promosso come caporale dell’Esercito di Certavus.
“Metti apposto le armi e poi raggiungimi assieme agli altri, okay?”
“Si, signore.” chinò la testa Pretorius.
Accompagnò il suo superiore all’uscita, dopodiché si mise subito al lavoro.
Dentro di sé era molto felice di non avere più nulla a che fare con quello
strano Skakdi dall’armatura verde, dato che fu uno dei mercenari venduti.
Le spade che contornavano il terreno erano levigate con attenzione,
nonostante non furono mai utilizzate in battaglia. Fino a quel momento,
Pretorius non aveva ancora trovato l’arma adatta al suo stile di combattimento.
Prese così la prima che gli capitò sott’occhio e fece diversi fendenti nel vuoto
giusto per prenderci la mano.
“Mai dare la spada in mano a un Matoran...” sentì ad un tratto.
“EH?! CHI HA PARLATO?!” saltò in aria per lo spavento.
Afferrò due spade e si mise in guardia. “Fatti vedere!”
“Sei tu quello che in realtà si sta nascondendo dietro ad uno stupido elmo...”
Pretorius capì tutto e fece un ghigno. “Stai tentando di confondermi... Stai
aspettando il momento giusto per uscire fuori dall’ombra e attaccarmi, dico
bene?”
“Se veramente volessi, potresti donare a questa stanza il bagliore di una
fiamma ardente.”
“Per chi mi hai preso, per un Toa del Fuoco?!”
Non udì nulla per qualche secondo...
“Allora? Che c’è, hai finito le parole intimidatorie?” ma ancora nessuna
risposta.
Delle statuette di sabbia si materializzarono senza ragione sul terreno,
attirando l’attenzione del giovane.
“Conosci la definizione di potere? Sai com’è nata e soprattutto chi l’ha
inventata? Immagina un gruppo di individui che si considerano uguale all’altro
sotto tutti i punti di vista. Poi improvvisamente uno di loro scopre di avere un
qualcosa che non sapeva di possedere: un dono. Ma chi sarà stato a
donarglielo? Il Destino? Qualcun altro di più potente che si era stancato del
suo di dono? Chi può dirlo... Fatto sta che quell’individuo ha poi deciso di
sfruttare le sue abilità per far fare agli altri ciò che voleva, senza impiegare il
minimo sforzo nelle attività quotidiane.”
Nove delle dieci statuette circondarono poi quella centrale, più grande delle
altre. “Tuttavia, non sempre il più forte è destinato a regnare a lungo. Questo
perché si dimentica di avere a disposizione l’unico vero dono che la vita ci
offre: il tempo. Ogni radice del male deve essere sterminata fin da subito, in un
unico istante che chiunque dimenticherà difficilmente. Ecco cosa differenzia il
potere dalla diplomazia. Se si ha un dono, lo si deve sfruttare fino alla fine,
attendendo il momento giusto in cui tirarlo fuori per eliminare gli ostili...”
Una delle nove del cerchio infatti fece crollare le altre otto colonnette dopo
che queste sconfissero quella centrale. Poi anch’essa si sbriciolò in un
millisecondo, per poi unirsi in una scia sabbiosa che si fermò nell’angolo più
buio della stanza. Si formò una colonna, che prendendo forma diede origine ad
una Kraahkan di sabbia.
L’oscura voce parlò nuovamente: “Un dono è la benedizione di un qualcosa
che è sicuramente più grande di tutti noi. Peccato però che in molti si facciano
domande su cosa ce l’abbia regalato, invece di sfruttarlo per dare un senso alla
propria vita. Basta un tocco per entrare in contatto con esso, conoscerlo,
guardarlo, dormirci assieme, e infine accettarlo nel bene... e nel male...”
Il giovane Glatorian avvicinò lentamente il suo dito alla maschera in sabbia. Il
suo cuore meccanico batteva a mille. Ma ecco che quando la toccò, questa si
frantumò senza motivo.
Era tutta un’illusione. Forse era stata creata dalla sua mente, o forse era una
proiezione di ciò che accadde prima del suo teletrasporto dalla Stella Rossa.
Si voltò per tornare ai suoi doveri. Una figura corvina con una postura sinuosa
lo osservava dal centro della stanza.
Pretorius fece per urlare, ma un ammasso di sabbia glielo impedì. Tutta opera
di Devastator, artefice dello “spettacolino” con le statuette.
“Non è saggio cantare mentre gli altri dormono, Pretorius...” disse l’ombrosa
figura, Darkness.
Il giovane Glatorian (Toa) si spaventò. Devastator smaterializzò la mano che
impediva al ragazzo di urlare.
“Tu sei quello che ha parlato con Magis... Come sai il mio nome? Per caso
Magis ti ha parlato di me?”
“In tal caso, sarebbe stata un’informazione che già possedevo.”
“Che cosa?! Allora sai chi sono?”
“Sono qui apposta.” fece un sorriso maligno l’ex Cacciatore oscuro.
“Sfortunatamente il caso ci ha allontanati dopo il tuo teletrasporto dalla Stella
Rossa. E’ lì dove sei stato creato. Tu non sei un Glatorian come gli altri...”
“Non dirai sul serio! E’ impossibile! Cosa sarei allora?! E che cosa vuoi da
me?!”
“La tua natura si avvicina più all’Ordine che all’Esercito di Certavus, anche se
sei nato per non servire nessuno dei due.”
“L’Ordine? Io sarei un agente dell’Ordine?”
“Peggio ancora, direbbe un Parenga. Saresti una delle tante marionette che
quella stupida organizzazione sfrutta a suo vantaggio. Sei un Toa, Pretorius,
creato per sfruttare in contemporanea il potere della Terra e quello del
Fuoco.”
“Non può essere... I libri dicono che i Toa non possono usare più di un potere!
Ogni Matoran ha la sua Essenza elementale predefinita!”
“Smetti di interromperlo, ragazzo.” parlò Devastator scontroso.
Darkness, infastidito dall’intervento inopportuno di Devastator, nonostante
fosse in sua difesa, spiegò: “Tu non eri e non sei mai stato un Matoran...”
Indicò la Stella Rossa dopo essersi spostato tramite l’ombra sul bordo della
finestra. “Ecco cosa ti ha creato. Sei il risultato di centinaia di esperimenti che
l’Ordine aveva già avviato in passato, partendo dalla vivisezione di molte Ce-
Matoran per scoprire i loro poteri nascosti. Poi, non contenti abbastanza,
hanno ben deciso di riparare la Stella Rossa in cambio della costruzione di una
macchina in grado di mutare ogni Matoran in Toa. Quando lo venni a sapere,
non aspettai ulteriormente. Ho fatto a mia volta un patto coi Kestora...”
“Che cosa gli hai promesso in cambio?” chiese Pretorius, il quale all’improvviso
si preoccupò dei suoi veri creatori.
“Sicuramente non gli ho portato il cadaveri di molti alleati come fatto
dall’Ordine. Gli ho promesso qualcosa di più grande, e loro accettarono. Ed
ecco che sei nato tu. Loro hanno seguito e aspettato il momento giusto in cui
quel Ta-Matoran sarebbe diventato Toa. Il tuo corpo privo di coscienza è stato
interposto tra il raggio della Stella e il Matoran, riuscendo a risucchiare parte
dell’Essenza del Fuoco del Ta-Matoran nella tua. Ecco perché puoi controllare il
Fuoco, accompagnata da della terra che pare sia stata assorbita per puro
errore durante il processo. Questo spiega di come tu possa avere il controllo
su questa...” disse mentre lasciava cadere una manciata di sabbia.
Pretorius aveva le idee confuse. Fu una botta psicologica, soprattutto dopo
alcuni mesi di “vita”.
“Quindi tu... saresti mio... padre?”
Darkness lasciò calare il silenzio, per poi dire: “No. Tu sarai la chiave,
Glatorian.”
“Glatorian? Ma se hai appena detto che sono un...”
“Lo so. C’è molto di cui dobbiamo parlare, ragazzo. Una nuova e vera vita ti
aspetta. Se non erro, sei anche curioso di sapere che fine abbiano fatto gli altri
tuoi compagni. Li vuoi rivedere?”
E così il giovane accettò. Anche senza le parole di Darkness, sapeva che prima
o poi l’Ordine avrebbe messo occhio tra le faccende della scuola di Magis,
magari obbligando i suoi guerrieri e lui stesso a combattere per dei finti ideali e
per delle ragioni che in realtà non gli appartenevano. In realtà, qualche giorno
dopo la sua nascita e dopo il ritorno col mercenario di Magis dal luogo in cui fu
teletrasportato, si mise in testa l’obiettivo di conoscere ad ogni costo il suo
padre, secondo le parole utilizzate da Agori e Glatorian.
Così si misero in viaggio. Pretorius abbandonò di nascosto l’accampamento e si
incamminò nel deserto solamente nelle ore diurne, mentre un Darkness
nascosto nella sua ombra lo guidava...
2173 giorni prima del Risveglio...

Alla fine arrivarono all’accampamento. Il ritorno a piedi era voluto


appositamente da Darkness per far sì che il Toa potesse ricordare
maggiormente i luoghi che un giorno gli sarebbero tornati utili in caso di
guerra o addirittura fuga. Durante il tragitto, gli parlò di parte del suo passato
che in pochi conoscevano, anche se questo non venne mai raccontato per
intero nemmeno ad Ahkmou...
I Cacciatori oscuri e i mercenari della Hero Factory sotto custodia di Darkness
inizialmente pensavano che fosse un semplice Glatorian quando lo videro, e in
effetti era così. Prima di andarsene, però, il Maestro ordinò loro di non recare
nemmeno un torto al nuovo arrivato.
Fu quando arrivarono nella Sala dell’Equilibrio che i due si presero un colpo:
non c’erano gli Hagahkuta, ancora impegnati nella ricerca della Lancia di
Rewerax, e nemmeno Ahkmou. C’era solamente una piccola Okoth,
malmenata dalla spietatezza di un individuo che se ne stava seduto sul trono un
tempo appartenuto all’Oscuro.
Guardava Pretorius e Darkness con uno sguardo di sfida e menefreghista.
Sembrava addirittura annoiato, come se si fosse aspettato qualcosa o qualcuno
di più potente.
Il Toa voleva parlare per chiedergli chi fosse, ma questa volta era davvero
spaventato. L’armatura dorata e soprattutto le spine blu dello straniero gli
ricordavano molto quelle dello Skakdi alla scuola di Magis.
Nemmeno Darkness fiatò. Non era suo solito farlo ormai.
Okoth invece corse da lui zoppicando. Ci era davvero andato giù pesante con
lei. “Oh, Maestro! Per fortuna c-che s-siete a-arrivato... Salvatemi da lui, vi
prego!”
La figura oscura scansò dolcemente la Ga-Matoran e si fece avanti, senza però
aver l’intenzione di combattere.
“Hai i sistemi vocali danneggiati?” chiese ironicamente lo straniero.
“No. In realtà sto ammirando la lucentezza della tua nuova armatura dorata,
Nektann...”
“Come sai il mio nome?”
“Io so tutto di te, Skakdi. E devo ringraziarti. Grazie a te sono riuscito a fuggire
dalla Realtà del Creato tutto integro.”
“Eh?!” si sbalordì degli inattesi ringraziamenti. A dire il vero l’aspetto di
Darkness lo inquietava e non poco. “Anche tu sei stato nella Realtà del
Creato?!”
“Non solo. Ti ho seguito fino alla via d’uscita che ci ha riportati qui su Spherus
Magna.”
Okoth, sicura della forza nascosta del Maestro, parlò ingenuamente. “Avanti,
signore, uccidetelo! Non perdete altro tempo! E’ solo uno Skakdi qualunque!”
Il signore di Zakaz si alzò subito dal trono con un sorriso spalancato, e allargò
le braccia mentre guardava il soffitto con gli occhi chiusi. Gli spallacci e la
corazza che portava iniziarono a brillare all’improvviso.
Nulla di strano però accadde.
“Tsk!” fece una smorfia Pretorius. “Sono tutte scene. Facciamolo fuori insieme,
mio creatore, così potrò mostrarti fin da subito la mia fedeltà!”
L’ex Cacciatore oscuro non ribatté. Dal nulla, tutte le finestre della sala si
oscurarono. Degli individui spinosi e mostruosi stavano impedendo alla luce del
pomeriggio di entrare nella sala: decine e decine di Skakdi.
Senza che i tre dell’Equilibrio lo sapessero, una maestosa creatura dorata si era
materializzata sul tetto della struttura, rilasciando qualche centinaio di scie che
si collegavano con le menti mercenarie.
Darkness fu l’unico a collegare tutto. “Hai ancora controllo sull’Essere dorato
grazie a quell’aggeggio. Interessante...”
Nektann si sbalordì ancora. “Come fai a saperlo?! Mi hai seguito?! Parla, prima
che ordini ai miei servi di distruggerti!”
“E’ come ti ho detto. Io sono stato nella Realtà del Creato come te quando
tutto accadde.”
“Allora tu puoi darmi le risposte forse...” ragionò Nektann. “Cos’è quella
dimensione?! Ne ho sentito parlare di molte simili, ma mai avrei pensato che
una realtà come quella potesse essere all’origine di tutti gli altri mondi paralleli!
Perchè esiste?!”
“E’ ciò che intendo scoprire. Per farlo però avrò bisogno di un mezzo
necessario e, a quanto pare, l’Ordine lo sta preparando per me.”
Senza dire altro, si sentì afferrare polsi e caviglie.
“No, Maestro!” gridò Okoth mentre questo veniva avvicinato lentamente al
viso di Nektann.
“Fa’ qualcosa!” si rivolse a Pretorius, che però non ebbe nemmeno il coraggio
di risponderle.
“Di che cosa stai parlando, Cacciatore oscuro?” gli sussurrò al sistema acustico
Nektann provocandolo.
“Il Robot. Quella è la nostra prossima metà se vuoi sapere di più sulla Realtà
del Creato e sui poteri immensi che si celano al suo interno.”
“Nostra?”
“Si, se vorrai unirti a me...”
“Non ne ho bisogno.”
“Oh, io invece credo di si... Specie se vorrai colpire tutti loro in un unico
momento.”
“Loro?”
“L’Ordine... i Toa... Helryx... tutti quanti. E anche i Nuva. Tahu e i suoi fratelli
sono ancora vivi. Diciamo che me ne sono assicurato personalmente...”
Fu posato dolcemente a terra, anche se negli ultimi centimetri lo Skakdi perse
il controllo, arrivando obbligatoriamente a silenziare il meccanismo che portava
all’avambraccio. Darkness allora comprese che il controllo che aveva per il
momento sull’Essere dorato era limitato.
“D’accordo, ma faremo come dico io!”
“Agire senza organizzazione non fa parte del successo, Nektann.” disse
giustamente Darkness.
“Non mi importa! L’Ordine affogherà coi suoi seguaci!”
“E lo farà, hai la mia parola. Ma cosa può superare una loro morte per mano
loro?”
Lo Skakdi si quietò e ascoltò fino alle luci dell’alba. Il piano di Darkness e
l’alleanza segreta che egli stabilì con Helryx l’avevano convinto. A dire il vero si
convinse che un giorno, dopo aver incontrato Helryx, l’avrebbe uccisa con o
senza il volere di Darkness, non appena questo gliel’avrebbe presentata.
D’altronde cosa poteva fare Darkness contro un individuo che era in grado di
controllare (limitatamente) l’Essere dorato?
1800 giorni prima del Risveglio...

Nektann portò a termine le sue prime imprese. I pochi Skakdi che lo


seguivano rubarono con successo ingenti quantità di Protodermis, arrivando a
disturbare la ristrutturazione del potere di Tuma, che per tale ragione si
rinchiuse per elaborare nuovi piani.
L’Ordine invece fu colpito sul personale: iniziarono i primi rapimenti di
Matoran e Agori. Tutto ciò scaturì una scintilla che si stava espandendo sempre
di più, rischiando di portarli in uno scontro che avrebbe macchiato la storia
delle due popolazioni, ovvero la Guerra dell’Unità.
Tuttavia, gli agenti fecero di tutto per contenere le proteste e le inutili risse
che divennero ormai protagoniste della vita quotidiana, e per tale ragione la
guerra civile fu rimandata. I Toa e i Glatorian, inoltre, si tirarono fuori fin da
subito da queste futili speculazioni. L’unica cosa che rimaneva però era il forte
sentimento razzista tra i due popoli, più accentuato rispetto prima.
Per il momento l’obiettivo era proprio Roxtus. C’era bisogno di una maggiore
potenza bellica e al momento Darkness non poteva minimamente eguagliare
quella degli Skrall. L’unica chiave risiedeva nel potere nascosto di Nektann,
grazie al quale avrebbero potuto ribaltare il cosiddetto Triumvirato, tra Tuma,
Branar e infine Stronius.
Durante una notte, quest’ultimo ebbe un incontro con l’altro capo
dell’esercito per parlargli di una questione importantissima...
“Cosa volevi dirmi, Stronius?”
Lo Skrall d’élite si assicurò che nessuna spia notturna di Tuma fosse nei
paraggi. “Ascoltami bene, Branar. Non so cosa mi succederà e quali
conseguenze ci saranno per i miei sotto tenenti. Sei l’unico al quale posso
confidare questo mio segreto...”
“Sarà meglio! Ultimamente ti vedo troppo lontano dalla vita politica. Te ne stai
sempre in disparte nella tua proprietà! Cosa c’è che non va?”
“C’è che... sono stanco, Branar. L’arte della guerra, la nostra cultura, ha iniziato
a disgustarmi. E’ tutto sbagliato. Credevo che l’ultima grande guerra ci avrebbe
consegnato definitivamente le chiavi della vittoria, ma ero troppo cieco. Io sto
invecchiando, Branar. Tuma sta invecchiando e impazzendo allo stesso tempo.
Dobbiamo lasciare spazio ai più giovani.”
“Dove vuoi arrivare?”
“Credo sia giunto per me il momento di fare il Differenziamento, Branar.” disse
esasperato.
“COME?!”
“Non ho altra scelta. E’ tempo di avere un mio successore.”
“Ma Tuma non vuole, Stronius, non te lo ricordi?!”
“E quindi cosa faremo, andremo avanti finché non sarà la vecchiaia ad ucciderci?
Sono il primo a volere che gli Skrall durino in eterno, ma devi anche capire che
prima o poi qualcosa che non potremo controllare ci farà fuori.”
Una spada volò infilzando la porta proprio mentre Stronius stava per uscire.
“Non te lo lascerò fare, Stronius... non ora che stiamo tornando forti come
prima!”
Si aprì uno scontro tra i due durò per alcuni minuti. Branar stava avendo la
meglio. Stronius al contrario pensava solamente a difendersi. Non voleva
assolutamente uccidere il suo compagno in armi...
“Perchè vuoi fare sempre di testa tua, Skrall?!”
“Perchè ciò che ci aspetta non porterà nulla di buono nel nostro futuro.”
“Non puoi! I guerrieri avranno bisogno della nostra guida. Tu e io! Non puoi
abbandonare un compagno in guerra. Non è l’egoismo la prima cosa che ci
viene insegnata. Per vincere le nostre battaglie, abbiamo e avremo sempre
l’obbligo di fare il contrario di ciò che ci dice la nostra mente! Non cedere di
fronte alle preoccupazioni. Non è da un guerriero Skrall!”
E Stronius si rese conto che le parole di Branar erano vere, e che fino a quel
momento lo scontro venne scatenato a causa della rabbia che egli fece ribollire
nello Skrall. “Mi hai convinto. Ma qualcosa dovrà essere cambiato. Domani
parleremo con Tuma.”
“E sia, compagno...”

Trascorse circa un’ora dall’alba. La luce del mattino non si era ancora
appiccicata ai muri delle capanne in roccia. Ciò che interruppe il sonno dei
residenti e la guardia delle vedette furono le urla improvvise di Tuma.
Quella mattina avrebbe dovuto incontrare gli altri due Skrall del Triumvirato
per parlare di alcune questioni importanti. Passò prima nell’abitazione di
Stronius, ma siccome questo non aprì la porta, decise di sfondarla per
accertarsi che non fosse morto. Quel che vide però era un insulto per tutti i
guerrieri che avevano abitato Roxtus fino a quel momento: un cucciolo
Glatorian giaceva sul pavimento. Il suo nome, secondo le antiche tradizioni
Skrall che vennero volontariamente cancellate da Tuma, era inciso col liquido
vitale di Stronius sul pavimento, con l’arma dello Skrall élite posizionata al suo
fianco.
Il padre del cucciolo fu immediatamente deportato nella piazza principale della
cittadella di fronte a migliaia di individui. Tuma non ebbe la minima pietà.
Quando Branar, che qualche minuto prima si trovava dall’altra parte del
villaggio, li raggiunse, rimase altamente spaventato dalle condizioni di Stronius.
Già di per sé coloro che avevano effettuato il processo di Differenziamento
non avrebbero avuto una vita lunga...
Ogni colpo inferito dal capo degli Skrall era accompagnato dall’esultanza dei
presenti.
Branar era inorridito. Certo secondo la legge di Tuma era più che giusto, ma
credette comunque che un minimo si sarebbe trattenuto siccome si trattava di
un guerriero valoroso come Stronius.
“Ecco cosa succede a chi non rispetta la MIA legge!” gridò Tuma valoroso.
“Facciamogli vedere cosa succede se si tocca l’orgoglio di noi Skrall.
Chiamiamo la Purga...”
E tutti cantarono in coro: “PURGA!”
“PURGA!”
“PURGA!”
“PURGA!”
Uno straniero qualunque si sarebbe immaginato l’arrivo di qualche macchina di
tortura. Al contrario, arrivò un Cacciatore di ossa con una piccola siringa in
mano. Questa era la sorte per i traditori della patria. Essi, secondo gli antichi
capi Skrall, avevano perso il liquido vitale tipico degli Skrall, che non
conoscevano il tradimento e la codardia, e perciò immisero in una sostanza,
iniettata poi nella muscolatura del traditore, quelli che nell’Universo Matoran
venivano definiti Protodite. Il condannato veniva isolato da qualsiasi arma,
senza nemmeno una gabbia che delimitasse il terreno di morte in cui si
sarebbe trovato. I Protodite, riconoscendo i corpuscoli del liquido vitale Skrall
come agenti patogeni, avviano immediatamente il processo di purificazione del
territorio da loro dominato. Come effetto di ciò, l’organismo avvertiva un
bruciore insopportabile dall’interno. L’unico modo per silenziarlo è il suicidio,
che però non è possibile siccome viene allontanato da qualsiasi arma affilata o
pesante che sia. I presenti quindi hanno il “dovere” di ammirare l’agonia del
condannato per imparare cosa succede a chi tradisce la potenza di madre
Roxtus.
“Fermi! Aspetta, Tuma! Non puoi farlo!”
Il tiranno si voltò minaccioso. “Come osi...”
“Non puoi ucciderlo, perché... perché devo farlo io!”
I guerrieri si guardarono domandandosi cosa stesse accadendo, mentre Branar
spiegava le sue motivazioni.
“C’è stato un duello di recente tra me e Stronius.” e intanto osservava lo
Skrall d’élite martoriato. “Io ebbi la meglio, ma lui trovò un modo per
svignarsela. Secondo la legge di Roxtus, ho il diritto e soprattutto il dovere di
ucciderlo!”
Tuma non poteva affermare diversamente, siccome tutti i combattenti della
cittadella lo guardarono in attesta di un suo sì. “Così sia allora. Porta con te
anche il nascituro e uccidilo. Quando avrai finito, portami le loro teste qui. Le
infilzeremo assieme alle altre sulle spine delle Montagne dalle Punte nere.”
“Si, m-mio signore...”
Ma mentre se ne stava andando con uno zoppicante Stronius, Tuma ordinò:
“Voi due, accompagnateli. Assicuratevi che Branar li uccida veramente. Se
accadrà il contrario, sapete cosa fare...”
“Non puoi, Tuma! Il duello deve essere completato in piena segretezza se
iniziato all’oscuro di tutti! Il vincitore dovrà tornare dal capo del villaggio e
offrirgli la testa del duellante come segno di fedeltà. Questo è ciò che dice la
nostra legge!”
“Io sono la legge, Branar, e così è deciso. Va’ ora."

Branar portava in braccio il Tama di Stronius, il cui nome però era sconosciuto,
dato che la scritta sul pavimento fatta apposta col liquido vitale dal padre
stesso venne immediatamente cancellata.
Le altre due guardie Skrall, che scortavano con delle catene acide Stronius, si
fermarono nei pressi di un affluente del Fiume Skrall. La tradizione voleva che i
duelli interni si concludessero in vicinanza di quel luogo, cosicché il fiume
avrebbe accolto il liquido vitale dei perdenti, giudicato sporco, e l’avrebbe
allontanato il più possibile dall’audacia di Roxtus.
“Ora terminate la vostra impresa, generale Branar.”
In realtà voleva fuggire il più lontano possibile col nascituro, che secondo lui
non meritava di fare un’orrenda fine.
Rimase a pensare a lungo. I secondi passavano come ore, finché uno delle due
guardie: “Ne ho abbastanza!” ed afferrò la sua spada tagliando la testa di
Stronius.
Branar lo aveva capito con la folata d’aria rilasciata dalla spada per effettuare il
taglio. Subito estrasse la sua, tagliando il braccio che sorreggeva la lama all’altro
combattente. Ora aveva due armi col quale fronteggiare l’ultima guardia
rimasta, la quale si irradiò di paura.
“Farai meglio a posare la tua arma, traditore!”
Branar restò silenzioso, affrontandolo con tutte le sue forze. Il guerriero Skrall
riuscì più volte a parare gli attacchi delle doppie lame. Arrivò però un
momento in cui Branar, che stava in realtà studiando i movimenti
dell’avversario con cura, fece un taglio netto a livello delle caviglie. Per il suo
avversario non c’era più nessuna possibilità.
Dopo avergli trapassato le lame nella gola, abbandonò le armi e si allontanò il
più velocemente possibile col neonato. Doveva trovare un rifugio per
entrambi, soprattutto per il piccolo che iniziava ad avere fame.
Quella stessa notte riuscì ad entrare nell’abitazione e a trovare l’arma di
Stronius, che stranamente non fu ancora confiscata dai combattenti di Roxtus,
e la portò via con sé. Un giorno quella sarebbe stata l’unica arma che il
neonato avrebbe utilizzato.

Dopo tre notti di fuga, arrivò sulla soglia di una cittadella nel mezzo del
deserto.
Non c’erano Skrall. Forse si trattava di un villaggio affiliato a Toka- o Whe-Nui.
“Forse è meglio che tu non conosca la violenza, piccoletto. Forse è meglio che
tu non brandisca mai la mazza del tuo genitore. Forse è meglio per te condurre
una vita... normale...”
Bussò con fretta alla porta, che venne aperta qualche secondo dopo.
“Chi sei?” domandò il proprietario dell’abitazione.
Era un Agori, guarda a caso del Villaggio del Ferro. “UNO SKRALL?! STA
INDIETRO! NON HO PAURA DI...”
La mano dello Skrall gli tappò la bocca, zittendolo. “Non sono qui per
derubarti, Agori! Ho bisogno di un rifugio, ma non per me.” e gli mostrò il
neonato.
“Credi davvero che io sia in grado di accudire due Skrall?”
“Lui non sa nulla su Roxtus e cosa essa contiene. Se non accetterai, me ne
andrò via, ma farai meglio a guardarti le spalle un giorno...”
“Non ci sarà bisogno...” rispose sicuro di sé l’Agori. “I miei guerrieri possono
difendermi in qualsiasi momento. A proposito, ne hai uno alle tue spalle pronto
a far fuoco.”
Branar non si voltò neanche e si limitò a chiedergli: “Chi sei?”
“Magis.”
E lì collegò tutto. “Quindi tu saresti... TIENI! Accudisci questo piccolo per me,
te ne prego! Roxtus mi starà cercando e non posso stare ancora per molto.
Tieni anche questa mazza. Se un giorno dovessi decidere di addestrarlo,
promettimi che questa sarà l’unica parola che egli utilizzerà in battaglia.”
Ma non erano quelle le intenzioni di Magis. A dire il vero non sapeva nemmeno
cosa combinarci con quel piccolo Tama. Doveva ancora decidere. Branar invece
capì che la sua presenza sarebbe stato un peso eccessivo per l’Agori,
prendendo la sua decisione.
“Aspetta, prima che te ne vai. Qual è il suo nome?”
Lo Skrall non sapeva cosa rispondere. Pensò ancora per un po’ e infine decise:
“Thorgai Drenaris.”
“Un nome tipico Skrall immagino.” ironizzò Magis.
“Era il nome del mio addestratore, nonché mio genitore. Fu assassinato da
Tuma nel duello che avrebbe proclamato il nuovo dominatore della Tribù di
Roxtus. Che sia questo futuro guerriero a ridarmi la vendetta che cerco da
tempo...”
Non aggiunse altro e si allontanò nel cuore della notte.
Oggi...

I cinque Metru erano ammassati l’uno sopra l’altro, incoscienti. Tre Eroi d’élite
erano presenti, in attesa del loro risveglio. Il loro superiore gli aveva ordinato
severamente di non staccargli gli occhi di dosso nemmeno per un istante. Non
c’era da fidarsi, specie se, secondo quanto descritto da Toa Nokama, erano
abili guerrieri colmi di esperienza.
Uno di loro era abbagliato dalla magnifica armatura che tutti e cinque
portavano. A dire il vero, non aveva mai avuto la possibilità di vedere un Toa da
vicino. Di recente anche gli Eroi erano venuti a sapere di questa creatura
meccanica che stava facendo stragi a dismisura tra i guerrieri elementali.
Le ipotesi erano tante: chi credeva che qualcuno fosse dalla loro parte, o che
questo essere si volesse unire a loro in seguito; chi voleva cercare questa
macchina per proporgli un’alleanza, e infine chi non ci voleva avere nulla a che
fare.
“COUGH! COUGH!” sentirono tossire.
Si alzarono in piedi all’istante. Facendo il giro, si accorsero che Toa Matau, il
primo a riprendersi, stava tentando di liberarsi da quell’affannoso peso che si
trovava sopra il suo corpo. Con le giuste misure, due degli Eroi lo aiutarono,
mentre il terzo lo bloccò al collo con uno speciale collare elettrico collegato
ad una sorta di bastone.
Poco dopo si risvegliarono anche gli altri quattro. Arrivò quindi una nuova
scorta Hero per aiutare le tre guardie presenti.
“Ehi, piano con quel coso!” strillò Matau a causa delle scosse generate
dall’arma ostile.
“Che state facendo?! Liberateci!” gridò Onewa, e anche per lui la risposta fu la
stessa per Matau, con un leggero aumento del voltaggio elettrico.
Nuju tentò di liberarsi dalla trappola con il potere della sua Kanohi, senza farsi
notare.
Nulla da fare, gli Eroi l’avevano previsto. Ora, per qualche ragione a loro
sconosciuta, non potevano più fare affidamento sui loro poteri.
Vakama guardò subito il Toa del Ghiaccio, collegando il tutto. Erano
praticamente obbligati a collaborare.
“Siete voi che avete rapito Nokama, non è così?! AAAHHH!” urlò Matau
subito dopo aver ricevuto un’ulteriore scossa come punizione.
“Smettila, Matau! AAAHHH!”
Il messaggio di Whenua non servette a calmarlo. Entrambi vennero trattati
come Rahi inferociti...
Passò ancora qualche minuto, finché dalla porta entrò un caposquadra Hero.
“Vedo che abbiamo riaperto gli occhi, molto bene...”

Il dirigibile su cui si trovavano era molto più grande rispetto alle navi di Le-
Metru, la prima cosa che gli ricordava. Non a caso, gli Eroi partirono dalle
navicelle da trasporto per fabbricarci, con l’uso studiato del Protodermis,
imponenti mezzi da trasporto, adatti anche per scopi guerriglieri.
Il gruppo si stava muovendo per i vari tunnel della nave con una certa velocità.
Dovevano infatti incontrarsi con Rocka il prima possibile, e non solo...
L’antica Metru Nui godeva certamente di tecnologie super avanzate, ma mai
come quelle che i cinque Toa stavano ammirando. Pare che col primo oggetto
che gli capitava di fronte fosse possibile fare qualsiasi cosa.
Passarono poi in un punto dove il lato destro del corridoio era rivestito per
metà da una lastra di vetro, al di là della quale c’era un’immensa stanza
d’allenamento. Una decina di Eroi appena creati, e con addosso l’armatura
Ultimate, si stava addestrando con la serietà di una macchina impassibile e
priva di emozioni.
Uno di loro incrociò lo sguardo con Vakama, che per un istante rimase quasi
intimorito. Erano davvero formidabili a vedersi. Anche se si fossero liberati,
sarebbe stata davvero dura evadere con della gentaglia del genere in quel
luogo.
Anche se non ne parlarono fra di loro, i cinque Metru si stavano ponendo
contemporaneamente la stessa domanda: come facevano gli Eroi a sapere del
tempio?
“Siamo arrivati.” comunicò loro il caposquadra Hero, mentre faceva passare la
sua tessera di transito sulla porta.
All’interno della stanza c’era soltanto Rocka. Solamente entrando, però, si
accorsero che un’incatenata Nokama li stava osservando dall’altra parte, con
una barriera spessa che li separava.
I cinque Toa non erano più novellini. Non c’era bisogno di fare qualche
sceneggiata per poi ricevere un’ulteriore scossa. Persino lo stesso Matau se ne
stette fermo. Gli bastò vedere che stava bene, nonostante le laceranti catene
che ella portava.
Quando li vide, Rocka rimase un attimo colpito dalla scia di maestosità che
faceva da ombra ai cinque guerrieri di fronte a lui. Non era un caso che la
storia raccontatagli da Nokama alcune settimane prima lo aveva fatto
emozionare non poco. Dei guerrieri come loro sarebbero stati di grande
esempio per le future generazioni Hero.
Restò a fissarli ancora per un po’, tra l’ammirazione e lo studio di un eventuale
punto vitale da colpire, nel caso in cui questi si fossero mostrati ostili. Poi
parlò: “Lasciateli.”
“Come, signore?!”
“Ho detto di liberarli. Penserò io a loro.”
“Ma Rocka...” intervenne l’Eroe caposquadra avvicinandosi a lui. “E se ti
saltassero addosso come quei tre che abbiamo incontrato sull’isola di
Tegohar?”
“Non lo faranno, ne sono sicuro. Leggo nei loro occhi paura per la Toa
dell’Acqua. Fidati di me.”
“Come vuoi...” e alzò la mano andandosene con i soldati.
Una volta soli, l’Eroe cominciò a passeggiare avanti e indietro. L’analizzatore del
suo elmo stava verificando l’identità dei cinque, quando ad un tratto apparve
un segnale d’errore.
ERRORE: PROTODERMIS DI TIPO 6 NON IDENTIFICATO
Rocka premette il pulsante di disattivazione, rasserenato. Onewa aggrottò lo
sguardo.
Matau, a differenza degli altri, era l’unico a cui non interessava nulla dell’Eroe.
Continuava a guardare in direzione di Nokama. I loro sguardi erano più
profondi e significativi di cento parole. Gli bastò per dirle col solo pensiero che
gli dispiaceva tanto per lei, e che forse era stata davvero colpa della sua
sfacciataggine se ora si trovava incatenata. Lei a sua volta lo stava perdonando.
In un modo o nell’altro erano tutti riuniti, e c’era tanto di cui discutere.
Ma non in presenza di un Eroe così importante, che andò subito al punto:
“Siete voi, non c’è dubbio...”
Poggiò il suo apparecchio di rilevamento del Protodermis, e Nuju chiese delle
spiegazioni.
“Questo aggeggio ci è tornato molto utile negli scorsi mesi. E’ stato Alpha
leader a crearlo grazie agli ultimi appunti di Makuro. Ci permette di rilevare
quello che voi chiamate Protodermis nelle sue varie forme vitali: da quelle di
un Rahi, a quelle di un Matoran, Vortixx, Skakdi, e infine Toa. I membri della
vostra specie godono di una quantità notevole di Protodermis energizzato nel
nucleo dei vostri elmetti, anche se Nokama mi ha spiegato diversamente
diciamo.”
“E con ciò?” domandò Nuju.
“Ogni volta che catturiamo un prigioniero, abbiamo il dovere di registrare ogni
cosa su di lui. Altezza, descrizione, poteri, razza biomeccanica e per finire il
tipo di Protodermis. Quello di tipo 6 appartiene ai Toa ed è quello con
l’energia cinetica più alta... almeno prima dell’incontro con Nokama.”
Anche la Toa dell’Acqua rimase stranita. Durante quelle poche ore passate a
collaborare con l’Eroe dorato per il rintracciamento dei suoi fratelli, egli non le
parlò mai di questo meccanismo di riconoscimento per i biomeccanici.
Rocka continuò: “Ero convinto di trovarmi di fronte all’ennesimo piccolo Toa,
ma i radar andarono improvvisamente in cortocircuito. Pare che non sia il
Protodermis a comporre il corpo della vostra compagna, e potrei dire lo
stesso di voi. Voglio delle spiegazioni.”
I Toa non fiatarono. Vakama stava escogitando una risposta esaustiva affinché
l’Eroe potesse lasciarli.
Nel momento in cui Whenua si voltò verso il Toa della Pietra per bisbigliare
qualcosa, Rocka notò il marchio Vahi sulla spalla sinistra, collegandolo
immediatamente con quello di Nokama.
“Eroe...” parlò Vakama. “Io e i miei fratelli non siamo venuti con l’intenzione di
attaccare i vostri territori. Non è questa la nostra guerra...”
In realtà non sapeva nemmeno quale fosse ora la sua vera guerra.
Rocka però rispose proiettando sul muro un ologramma grande quanto metà
stanza: era la Vahi.
“Ecco cosa servite voi. Che cos’è questo oggetto?!” alzò il tono della voce.
I simboli impressi sul loro corpo lo provavano. Non c’era modo di mentire.
Con le mani aperte, come se stesse tentando di calmarlo, Vakama spiegò. “E’
un qualcosa di molto, troppo potente per voi Eroi.”
Daniel lo fissò per qualche secondo quasi incredulo. Poi svuotò il sacco:
“Allora potrai dirmi cos’è ciò che ti sto per mostrare, Toa.” e spense
immediatamente le luci della stanza.
Sul muro videro una proiezione poco visibile per il momento. Ci volle un po’ di
tempo per rivelare i dettagli al massimo.
All’inizio sembrava di vedere un contrasto irregolare di forme oscure e chiare.
Poi la risoluzione aumentò e pian piano si capì che era in realtà una... spiaggia.
“La riconoscete?” chiese l’Eroe.
“Una spiaggia come le altre. A giudicare dal colore e dal tipo di roccia pare che
si tratti di qualche isola orientale. Mi ricorda le isole a nord di Artidax...”
ipotizzò Whenua. “Ma perché ce la stai mostrando?”
Rocka spostò l’immagine più sulla sinistra. “E’ stata scattata la settimana
scorsa. Quello che state vedendo è materiale riservato unicamente ai generali
scelti da Alpha leader. Senza che se ne accorgessero, sono riuscito a
intrufolarmi nel database e a farne una copia tutta per me. Ora osservate lì.
Vedete niente?”
Anche con la lente di Nuju non si notò nulla di nuovo. L’immagine era sempre
ferma su un appezzamento della spiaggia.
“Non capisco...” affermò Onewa.
“E va bene, guardate qua. Spero che almeno voi riusciate a dirmi cos’è quella
cosa...”
La risoluzione fu aumentata di una certa percentuale, ma non era ancora
visibile del tutto. Tuttavia, bastò per spaventare a morte i sei Metru, che
riconobbero facilmente la spaventosa creatura immortalata nello scatto.
Il loro silenzio lasciò il commento a Rocka. “Non sembra essere quello che la
vostra specie chiama Marendar. Quella creatura non coincide con la sua
descrizione...”
“No affatto.” rispose secco Vakama. “Quell’essere è la ragione per cui non
dovete assolutamente mettervi sulle tracce di quella maschera.” indicò
l’ologramma della Vahi.
“Di che cosa si tratta allora? Almeno voi datemi delle risposte!”
Prima che arrivasse la spiegazione, Onewa, in fondo al gruppo, si accorse che i
simboli sulle spalle dei compagni si stavano illuminando sempre di più, come
accadde poco prima della loro cattura nel tempio. “Un momen-”

CRAASSSHH!!!
Tutti e sette persero l’equilibrio. L’intero dirigibile Hero stava precipitando in
picchiata. Qualcosa o qualcuno aveva colpito gli ingranaggi di volo.
Ora era come se la porta d’ingresso fosse una botola sul soffitto. Matau era
l’unico a essere rimasto agganciato vicino ad essa, mentre tutti gli altri erano
ammassati l’uno sull’altro addosso alla parete.
Dopo essere saltato fuori dalla stanza, l’aereo riprese improvvisamente quota,
ma si sentiva che qualche oggetto aggravava il peso sull’ala destra. Con la
pendenza a sfavore, il Toa dell’Aria si recò velocemente nella sala comando che
percorsero poco prima dell’incontro con Rocka. Le immagini poste all’esterno
del velivolo mostravano la stessa spaventosa creatura che l’Eroe dorato rivelò
segretamente: Voporak.
Subito arrivarono i suoi compagni, scortati da Daniel.
“Signore, stiamo tentando di colpirlo con ogni mezzo, ma non c’è modo di
abbatterlo! Pare che ogni colpo si dissolva prima di prenderlo. Ma che diamine
è?!”
L’ex Cacciatore oscuro guardò in direzione della telecamera posta all’esterno
del dirigibile. I suoi artigli erano affondati nelle lamine metalliche che
ricoprivano una delle due ali, precisamente quella di destra. Delle folate di
vento provenienti da una tempesta gli stavano rallentando il tempo di arrivo
alla botola principale, posta guarda caso al dì sopra della sala comando.
Le continue turbolenze causarono un via e vai di individui da una parte all’altra,
saltando e schiantandosi sul pavimento violentemente. Non c’era modo di fare
neanche un passo in pieno equilibrio.
“Preparate una misura di evacuazione immediata!”
“Cosa?! Non ce la faremo mai a scappare tutti prima che quel coso riesca ad
entrare, Rocka!”
“Sigillate allora tutti gli ingressi! In un modo o nell’altro ce la faremo!”
“Negativo, signore.” rispose uno dei pochi che aveva fra le mani un computer
collegato con le macchine del velivolo. “Non c’è energia a sufficienza per farlo.
E’ diminuita all’improvvi-”

CRASH!
Una serie di unghie vennero affondate ai margini circolari della botola sopra di
loro. Voporak era già arrivato.
A giudicare dalla posizione in cui si trovava qualche secondo prima, pare che ci
sarebbe voluto ancora qualche minuto per arrivare nel punto in cui si
trovavano gli Eroi e i cinque Metru, considerando anche le violenti turbolenze.
Per fortuna l’aereo aveva smesso di perdere quota. Non a caso, un grande
ammasso sferico di energia temporale attorno alla nave stava rallentando
notevolmente l’impatto con la superficie del mare.
“Svelti, dietro di noi!” gridarono i compagni di Vakama, che fu il primo a
posizionarsi in corrispondenza dell’ingresso sul soffitto.
La sua proto adrenalina stava salendo alle stelle, così come quella dei suoi
fratelli. Sembrava ieri quando avvenne il fatidico incontro con l’ex servitore
dell’Oscuro su Metru-Nui.
I suoi pugni si infiammarono. Le armi di Whenua iniziarono a girare
ininterrottamente. Le aereolame di Matau erano pronte, così come i proto
arpioni di Onewa e le mazze di cristallo di Nuju.
Qualcosa però attirò l’attenzione del Voporak. Come per effetto, ritirò i suoi
artigli. I cinque si stavano aspettando un colpo ben assestato da un momento
all’altro, ma una coraggiosa Toa dell’Acqua inquadrata dalle telecamere esterne
gli fece ricredere. L’energia elettrica che la teneva bloccata fu anch’essa
risucchiata dalla creatura per creare il suo terreno di caccia.
Volteggiava a sinistra e a destra del dirigibile, mentre le sue idrolame si
allungavano e accorciavano agganciandosi fermamente in vari punti. Sembrava
di vedere un certo Kongu sfruttare le liane di Le-Wahi per giungere alla sua
dimora.
Voporak scagliò fin da subito una serie di raggi energetici dalla mano destra,
mentre quella sinistra si aggrappava. Non centrò Nokama nemmeno una volta,
la quale però iniziò a risentire della fatica dovuta ai ripetuti cambiamenti di
posizione mentre era in aria.
“Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo lasciarla da sola!” esclamò Matau.
“No! Se rientriamo nel suo raggio d’azione rischiamo la degradazione
organica!” affermò Vakama, con l’esperienza che parlava al posto suo.
Osservando meglio la scena, Nuju si accorse che Vakama aveva ragione.
Voporak era troppo vicino rispetto la botola. Se fossero usciti, sarebbero stati
risucchiati dalla sua aura temporale. Dovevano trovare un modo per spostare
la creatura su una delle due ali, causando si un’ulteriore perdita dell’equilibrio,
ma avendo allo stesso tempo abbastanza spazio per uscire tutti insieme e
combatterlo.
Intanto gli Eroi furono accompagnati dai loro caporali verso le uscite di
emergenza, ma anche lì la presenza della trappola sferica attorno al velivolo gli
impediva la fuga. Rocka fu l’unico a rimanere coi cinque Toa.
Nuju allora si mosse verso una delle scrivanie di sua iniziativa, attivando un
pulsante bluastro. “Nokama? Nokama, mi senti?”
La sua voce venne trasmessa da un altoparlante all’esterno.
“NO, NOKAMA!”
Entrambe le idrolame vennero afferrate con rabbia dal Voporak, che iniziò a
tirare con forza verso di sé. La Toa non poteva nulla contro la sua possenza. Se
avesse lasciato la presa, si sarebbe sciolta per intero nella sfera temporale
attorno al velivolo.
Dietro di lei fuoriuscì inaspettatamente un cannone speciale. Era Rocka che lo
stava pilotando all’interno della cabina. Voporak non volle ulteriori interruzioni,
e lasciò andare la presa indirizzandosi verso il suo nuovo bersaglio.
La Toa riuscì a salvarsi infilzando le sue armi.
“ORA, FRATELLI!” gridò Nuju, e tutti e cinque balzarono fuori dalla botola. La
distanza dal mostro fu sufficiente.
L’aereonave iniziò a pendere sempre più a destra. Per tutti e sei fu difficile
puntare sulla resistenza delle loro armi, ma soprattutto sulle leghe metalliche
che ricoprivano il dirigibile.
“Insieme!” gridò Vakama, e dalle diverse parti su cui si erano ancorati
generarono un fascio combinato elementale.
Bersaglio colpito!
Di certo non se l’aspettavano. Credevano che l’aura esterna di Voporak
avrebbe polverizzato l’attacco prima che la minima particella potesse toccarlo.
Il tiranno temporale si voltò più furioso rispetto a prima. Così lasciò cadere i
suoi pugni sul pavimento metallico, che iniziò a deteriorarsi velocemente e
staccando la presa di Nuju, Onewa e Whenua.
“Vai, Matau!” ordinò il leader dei Metru.
“Al volooo!”
Aprì le sue ali e volò più veloce che poteva per afferrare i tre eroi in caduta dal
dirigibile.
Voporak era convinto di averne fatto fuori quattro in un solo colpo. Ne
mancavano due. Vakama era aggrappato ad un piccolo appiglio che non era
stato raggiunto dai poteri della creatura. Preparò allora il suo colpo definitivo.
E in quel momento, Nokama decise di rischiare il tutto per tutto in una
semplice stupida mossa che voleva testare poco prima, non sapendo però quali
possibili effetti negativi ci sarebbero stati.
Il raggio partì. La Toa agganciò una delle sue idrolame atterrando davanti
Vakama, e fece roteare l’altra creando uno dei suoi tipici scudi circolari.
Nessun effetto.
Alle sue spalle, il Toa del Fuoco era a bocca aperta. Il simbolo di lei però era
ancora più luminoso, sicché fece un’ipotesi assurda: ora loro potevano
sfruttare i poteri della Vahi, o perlomeno erano immuni agli attacchi temporali.
Pensarono lo stesso anche gli altri Toa, che furono catapultati come una
bomba in volo da Matau. Nuju sferrò una mazzata sul costato. Whenua colpì il
petto, e infine Onewa lo infilzò a livello delle spalle sfruttando l’inerzia per
lanciarlo con forza in aria.
La creatura vantava sicuramente di poteri inarrivabili, ma non sapeva volare...
Così il suo corpo impattò sulla gigantesca sfera che circumnavigava lo scontro
aereo, e cadde violentemente in mare.
Per il momento, fu tutto rimandato...
Ma non c’era tempo per festeggiare: “Stiamo precipitando!”
L’allarme provenne dall’interno. Rocka si era riunito con gli altri Eroi nella sala
comando. Stavano tentando in ogni modo di ripristinare l’energia, ma anche gli
impianti di riserva vennero svuotati per intero da Voporak.
“Signore, abbiamo quaranta secondi prima dell’impatto! Dobbiamo trovare un
modo per tornare ad alta quota!”
I Toa affacciati dalla botola non ebbero nemmeno il tempo per escogitare un
piano. Matau aprì le ali e volò d’istinto al di sotto dell’ala destra per bilanciare il
velivolo. Per aiutarsi, generò una moltitudine di raffiche che gli potessero dare
una spinta dal basso.
Mancavano all’incirca venti secondi. Per alleggerire il peso, gli Eroi aprirono il
fuoco sui ganci che sorreggevano la aeronave d’emergenza sul retro, lasciandola
atterrare dopo aver aperto i paracaduti d’emergenza in mare.
Nokama si gettò subito in acqua per assicurarsi che Voporak non fosse per
qualche strano motivo nei paraggi, anche se era caduto qualche centinaio di
bios più indietro.
Sott’acqua regnava infatti la tranquillità più assoluta...
Cercò in tutti i modi di intravedere qualcosa nelle zone più oscurate. C’era
solamente un enorme colonna che poggiava inclinata sul fondale sabbioso,
fondendosi con esso.
‘L’abbiamo seminato...’ pensò tra sé e sé.
Dovette ricredersi quando si accorse che l’enorme colonna che aveva di fronte
era in realtà un grosso tentacolo, il cui corpo sembrava essere molto più
distante dalla posizione della Toa.
Lentamente venne ritirato dal suo maestoso proprietario.
Poi Nokama sentì un tonfo alle sue spalle: l’aeronave Hero era atterrata in
acqua. Raggiunse la superficie, ed aiutò i suoi compagni e gli Eroi a portare il
resto dell’equipaggio in salvo sulla navicella d’emergenza.
“A-aspett-tate...” interruppe debolmente uno degli studiosi, mentre si
aggrappava al collo del suo salvatore. “C’è a-ancora un gruppo che è r-rimasto
bloccato...”
“Dobbiamo andare!” gridò d’istinto un Eroe dall’armatura verde.
“No, non possiamo!” avvertì Nokama.
I suoi compagni rimasero sbalorditi.
“C’è qualcosa in queste acque. Dobbiamo andarcene prima che si accorga della
nostra presenza!” ma i suoi fratelli erano quasi inorriditi dalle sue parole.
Gli sembrò assurdo vedere la propria sorella gettare nel fuoco la vite di alcuni
innocenti. I due Eroi lì vicino non ci pensarono due volte e attivarono le
procedure di immersione. Ora le loro armature erano dotate di boccali interni
e di valvole per il nuoto subacqueo. La loro velocità era cinque volte superiore
a quella di un semplice Toa dell’Acqua.
“Diamine!” si arrabbiò Nokama. “Ma perché non mi ascoltano?!”
Sospirò. “Vakama, portate gli altri sopravvissuti a bordo della nave
d’emergenza! Io vi raggiungerò.”
“Che hai intenzione di fare?!” chiese Matau, di nuovo con la paura di perderla
per una seconda volta.
“Mi assicurerò che quella creatura tentacolare non ci raggiunga. Fate la vostra
parte ora!”
Così si divisero per l’ennesima volta. Mentre i due Eroi stavano portando in
salvo gli studiosi rimasti in superficie, Nokama andò sott’acqua, ponendosi
qualche bios più avanti rispetto al velivolo abbandonato. Attivò i suoi sensori
subacquei nella pelle, come fece Macku durante la fuga dal mostro
sottomarino, lo stesso che la Toa aveva appena incrociato. Questa volta, però,
le sue dimensioni erano aumentate di circa sette volte rispetto a qualche anno
prima.
Avvertì fin da subito dei movimenti qualche decina di bios sotto di lei. Erano
degli squali spaventosi, ma non erano Squali Takea. Non aveva mai visto una
specie del genere. Sembrava provenissero da un altro mondo...
Nemmeno la sua Kanohi ebbe effetto. Lo scontro era inevitabile. Guardando a
sinistra, vide che alcuni dei sopravvissuti erano ancora bloccati, ma ecco che in
suo soccorso giunse uno dei due Eroi, dotato di lancia roteante.
“Diamine, sono Vorakx del pianeta Tumza-4, Rocka!” comunicò costui alla
radio.
“Cosa?! Come hanno fatto a raggiungere questo luogo?!”
I cinque Toa stavano osservando la superficie dell’acqua a bordo del nuovo
dirigibile, che fu attivato con successo. La battaglia subacquea nel frattempo
stava proseguendo senza esclusione di colpi. Intanto l’ultimo studioso fu
portato in salvo.
“MALEDIZIONE, ABBIAMO BISOGNO DI AIUTO QUI SOTTO!”
“Resistete! Vi stiamo raggiungendo!” comunicò Rocka, ma improvvisamente lo
sciame di Vorakx si disperse in una fuga strategica.
Avevano avvertito qualcosa che Nokama non fu in grado di identificare. Sentì
solamente un enorme spostamento di correnti sottomarine verso la sua
direzione. Non si trattava però dell’aeronave d’emergenza, la quale stava
qualche bio sopra di lei e che aveva già portato in salvo l’Eroe rimasto a
combattere.
“Dov’è la Toa?” gli chiese infatti Onewa allarmato.
“Non lo so... è rimasta lì sotto ad ammirare il fondale a quanto sembra.”
Chiaramente non gli importava della morte di un Toa qualsiasi, anche se
questo lo aveva aiutato a salvare i membri dell’equipaggio.
Matau non riusciva ad accettarlo, e si tuffò dopo aver legato una lunga corda
attorno a sé. Il poco tempo a disposizione però non gli permise di ancorare
l’altra estremità, così gli altri Metru la afferrarono in attesa.
La spaventosa creatura si stava avvicinando a grande velocità verso di loro.
Ciononostante, quando avvistò Nokama nel fondale, realizzò che ella non stava
guardando in direzione del mostro, ma bensì alla sua destra: c’era uno strano
essere dotato di lancia e ali. Tentò in ogni modo di riconoscerlo, siccome aveva
una sagoma piuttosto famigliare. Le ricordava qualcosa, ma non riusciva ad
identificarla nella sua mente.
Troppo tardi: il Toa dell’Aria l’aveva raggiunta nuotando contro i suoi limiti
fisici. La afferrò di forza, e i due vennero risucchiati all’esterno mentre erano
agganciati in aria.
“Mi devi quella famosa passeggiata romantica!” ironizzò Matau.

“Ti tengo, fratello!” disse Whenua mentre sollevava il Toa dell’Aria.
Nokama fu aiutata da Onewa, con le lacrime agli occhi. Non gli sembrava vero
di poterla toccare. Restarono a guardarsi l’un l’altro quasi increduli, prima di
darsi un abbraccio profondo al quale si aggiunsero Nuju e gli altri due Toa.
Vakama era l’ultimo, lontano dal gruppo.
Lei lo notò. Si staccò dalla presa amorosa dei suoi fratelli e si avvicinò al suo
beneamato leader.
“Sei ancora viva, vedo...” cercò di non lasciarsi andare.
“Vakama...”
Il capo Toa alzò la mano per arrestarla, ma non riuscì a fermare la morsa
calorosa della sorella. Ovviamente anche lui era contento di rivederla sana e
salva, ma lo scontro con Voporak lo aveva gettato nuovamente nel suo dissidio
interiore.
Di fronte all’amore amichevole di una come Nokama, rimase rigido come un
cristallo puro, testimone del fatto che quella felicità era destinata a durare
ancora per qualche secondo.
Così il dovere bussò nuovamente alla loro porta: “Venite, Toa.”
Il soldato Hero li condusse nella nuova sala comando, chiaramente più piccola
rispetto a quella del velivolo abbandonato in fondo al mare. Le dimensioni della
navicella d’emergenza erano circa tre volte inferiori, ma comunque sufficienti a
ospitare tutti i sopravvissuti.
Una volta raggiunto Rocka, questo si complimentò chinando la testa. Ogni
Eroe presente si stranì. Dopotutto erano prigionieri di guerra!
Tuttavia, non fece in tempo a ringraziarli: “Signore, siamo riusciti a sintonizzarci
con la linea generale Hero. La stazione X ci ha appena inviato un segnale di
soccorso.”
“Stazione X?!” si allarmò il secondo in comando di Rocka, Xanders, il quale
non ne sapeva nulla. Tutte le stazioni infatti erano solitamente accompagnate
da un numero che andava da 0.10 a 7.80.
Rocka non calcolò minimamente il suo secondo e si avvicinò al computer
dell’informatore, lasciando sospesi i ringraziamenti per i sei Toa. “Di cosa si
tratta?”
“C’è un video messa-”
“ASPETTA! Trasferiscilo al mio dispositivo. Sono informazioni... private.”
“Procedo.”
Dopo qualche secondo, iniziò una conversazione alla radio con qualcuno.
“Si... Si... Come?! ... Ma non posso adesso! ... Si siamo appena stati attaccati,
avevi ragione tu su quell’essere... No, la navicella non è fatta per scopi militari!
Come pensi che io possa... Va bene... Va bene, ti manderò dei soccorsi dal
Quartier generale il prima possibile, ma dovrai atte... COSA?!”
Un rumore irregolare proveniente dal dispositivo di comunicazione,
probabilmente un’esplosione, tagliò la chiamata.
Daniel fissò il muro tutto preoccupato. Non sapeva cosa fare.
“Signore, ci sono novità?”
I Metru si insospettirono lanciandosi sguardi dubbiosi. Speravano che almeno
su quello Nokama sapesse qualcosa, ma anche questa volta, ovviamente, si
sbagliarono.
L’Eroe dorato si mosse silenzioso alla scrivania principale. “Imposta queste
coordinate.”
“Ma comandante Rocka... così facendo torneremo indietro!”
“Fa’ come ti ho detto.”
“Io... d’accordo...” rispose perplesso.
“Non farlo.” si intromise il secondo in comando. “Esigo delle spiegazioni,
comandante. Da quando siamo partiti per questa missione abbiamo avuto
solamente casini! Per poco non morivamo per mano di quella mostruosa
creatura. Ora ci ordina di combattere nuovamente senza degnarsi di darci delle
spiegazioni?!”
Rocka tirò un sospiro rassegnato. “Abbiamo un contatto.”
“Un contatto? E chi sarebbe?”
“Un guerriero grazie al quale siamo riusciti a scovare la posizione di molteplici
fortini in mano all’Equilibrio.”
Subito Vakama collegò il tutto, sentendo quel nome. “Intendi l’esercito di...
Darkness?”
“Se solo fosse quello il suo vero nome...” parlò un Eroe élite. “Pare ci siano
molti nomi coi quali viene riconosciuto. Supponiamo sia per confonderci di
proposito. Le comunicazioni che siamo riusciti a intercettare sfruttano diversi
soprannomi per il loro capo.”
“E ora abbiamo la possibilità di catturarlo.” si alzò Rocka.
“Noi?!” esclamò Xanders. “I nostri non arrivano nemmeno a cento unità!
Questo mezzo non è adatto per combattere. E poi dobbiamo portare i sei Toa
al Quartier generale, prima che...”
“Ti ostini a ragionare come un novellino, Xanders! Da quel che mi è stato
detto, pare che la milizia dei Parenga abbia attuato un contrattacco rischioso
per occupare una posizione segreta nella gamba sinistra del Robot. Forse
l’attacco navale proveniva da una delle isole a sud di Artidax, precisamente dai
moli ghiacciati di Landrius.”
Nuju e Vakama capirono subito che il generale Sakovius stava muovendo le sue
pedine.
“Il nostro guerriero ha da poche ore partecipato allo scontro e io sono
obbligato a fornirgli supporto. Lui sa come trovare Darkness! Sai cosa
significherebbe questo, Xanders?!”
“Vi aiuteremo allora.”
“Oh no, non lo faremo, Vakama!”
“Allora ti chiedo nuovamente, fratello, quali altre scelte abbiamo? Non siamo
altro che piccoli individui che strisciano nell’oscurità al momento, e dobbiamo
rimanere come tali! D’ora in poi le nostre decisioni sono influenzate
unicamente da ciò che ci circonda...”
“Per l’appunto!” intervenne Whenua difendendo Nuju. “Non possiamo
sfruttare i nostri poteri per intero, lo hai dimenticato?! Cosa succederebbe se
solo uno di noi morisse? Cosa accadrebbe alla Vahi e a noi altri?”
“In teoria avreste minori probabilità di sopravvivenza se ora vi portassimo al
Quartier generale, Toa. Tuttavia, la vostra situazione potrebbe migliorare se ci
aiutaste contro l’Equilibrio. Se davvero Darkness si trova in quel luogo, allora la
vostra vita sarà sicuramente risparmiata una volta catturato!”
Vakama si avvicinò minaccioso a pochi centibios dal viso dell’Eroe. “Non
credere che i miei occhi possano dimenticare ciò che hanno visto in tutto
questo tempo. Voi e la vostra gente siete tuttora responsabili della morte di
centinaia di Matoran innocenti. Non so neanche se ti sei macchiato le mani del
loro liquido vitale, Rocka. Non ci uniremo mai alla vostra causa, sia ben chiaro!
Noi abbiamo la nostra battaglia e voi la vostra. Solo per questa volta i nostri
interessi si intrecciano fra loro, ma non pensare che per questo ti risparmierò
la vita un giorno.”
Rocka non fiatò. Nokama e due Eroi arrivarono subito per separarli...
La navicella Hero era quasi giunta a destinazione. Ci volle qualche ora per
raggiungere le coordinate inviate dall’alleato di Rocka.
I sei Toa attendevano impazienti in una delle quattro cabine. Nelle altre tre si
prepararono settantadue combattenti e venti mitraglieri Hero.
“Va tutto bene, Onewa?” chiese Whenua.
“Si, è solo che... sono stanco, fratello. Sembra che non ci sia mai una tregua in
questa vita. Ogni volta che ti sembra che sia tutto finito c’è sempre qualcosa
che ti trascina in basso...”
“Dimmi, questa sarebbe l’audacia di uno dei pochi Toa rimasti? Quindi cosa
vorresti fare, abbandonarci e andare per la tua strada?” fece un sorriso
prendendolo in giro.
“No, testa di Fikou. Anche i Toa provano sentimenti, nonostante la saggezza
che abbiamo da quando siamo diventati Turaga. Ora però capisco. Quella
saggezza non era altro che una stupida illusione che ci eravamo creati, siccome
sapevamo che mai più saremmo tornati in queste stupide armature!”
“Che mi dici allora della caduta di Po-Koro, mmhh? Quel giorno mi dicesti che
se i Bohrok si fossero trovati dinanzi a Toa Onewa non ci sarebbe stata storia!
Perchè ora ti comporti diversamente? Credi che noi altri non siamo spaventati
dall’enorme responsabilità che ci trasciniamo da diverso tempo? Gli attacchi di
Makuta sull’isola di Mata Nui invece duravano sempre?”
“Cosa c’entra con la nostra situazione?”
“Rispondimi, fratello.”
Onewa abbassò lo sguardo riflettendo. “No... a volte siamo riusciti a respingerli
solamente grazie ai Tohunga.”
“Precisamente. Prima dell’arrivo dei Toa Mata, la nostra vita era un susseguirsi
di pace e guerra, pace e guerra... ma sai qual è la cosa più divertente? E’ che
non è cambiata anche con l’arrivo dei sei protettori! Anzi, diverse volte
abbiamo dovuto aiutarli! Ecco perché anche quando il Grande Spirito ti
fornisce degli aiuti non vuole comunque dire che tutto diventi più difficile
oppure facile. L’unica cosa che possiamo fare è combattere, fratello. Siamo nati
per questo purtroppo.”
“Whenua, Onewa, manca poco.” giunse Nokama con le sue idrolame
equipaggiate.
“Bene.” affermò Whenua, porgendo il pugno Toa al fratello della Pietra.
“Andiamo, amico mio. Morte e verità ci attendono!”

Le cento unità vennero tutte riunite nella cabina di partenza. I sei Metru erano
distribuiti fra i soldati Hero. Rocka e Xanders stavano fornendo i dettagli per la
missione, ma ecco che la cella che si univa all’esterno si aprì all’improvviso.
Affacciandosi era possibile vedere dall’alto l’isolotto del nemico, immerso nella
tipica nebbia del sud e contornato da spari ed esplosioni ovunque. Le armate
di Sakovius era più agguerrite che mai.
Ancora però non sapevano chi aveva aperto la cella.
Non fecero in tempo a capirlo: Rocka e Xanders notarono del movimento in
mezzo ai commilitoni, finché cinque guerrieri elementali guidati dal Metru del
Fuoco si buttarono a capofitto dal velivolo.
Nessuno di loro stava sbracciando nel vuoto. Era come vedere sei Toa dell’Aria
coscienti della postura da tenere quando si è in picchiata verso il suolo.
“Non stiamocene fermi.” richiamò l’attenzione Xanders. “Via, Eroi!”
In poco tempo, il cielo sopra al fortino dell’Equilibrio si cosparse di una
miriade di paracaduti Hero. Per i Toa Metru non c’era nessun bisogno. Matau
afferrò Onewa e Whenua, i più pesanti del gruppo. Nuju creò uno scivolo di
ghiaccio sul quale venne seguito da Nokama, atterrando poi sulla terraferma
all’esterno della cittadella. Infine Vakama utilizzò il suo jetpack per levitare tra i
suoi compagni e il loro nuovo obiettivo.
Stranamente, però, non sentirono più nessun rumore. Di fronte a loro vi era
una coppia di colline maestose.
Nel mentre giunsero dal mare anche gli Eroi. Nuju e Whenua furono gli unici
ad accorgersene a causa della nebbia, la quale non permetteva di capire se
fosse addirittura notte o giorno.
“Qualcosa non mi convince, Vakama.” confessò Matau. “Proprio prima di
atterrare ho avvertito una strana forza che mi impediva di giungere all’interno
della base. Conviene stare attenti.”
“Riesci a fare qualcosa per questa nebbia?”
“Ci ho già provato. Credo sia la Ignika a causarla…”
“Dov’è il tuo contatto, Rocka?”
“Dovrebbe essere qui da qualche parte, Xanders.”
“Ah, diamine... non abbiamo molto tempo, lo sai o no?! Siamo cento individui
radunati su questa spiaggia senza un ologramma protettivo. Pensi che ci vorrà
ancora molto prima che ci attaccano?!”
“Sto cercando di capire!”

La foschia si fece più fitta col passare dei secondi.
E alla fine si mostrò uno straniero a pochi passi dallo squadrone. Zoppicava e
portava con sé uno scudo grosso quanto il doppio delle sue dimensioni. In
realtà gli serviva come rifugio per mimetizzarsi in mezzo alla bruma.
“Eroe dorato...” parlò con voce rauca.
“Cadryuk, sei tu?”
Ancora lo straniero non mostrò il suo aspetto. C’era solamente un possente
scudo dal quale fuoriusciva la sua voce. “Una schiera di soldati Hero e un
gruppo Toa... non credevo di essere così temibile ai tuoi occhi.”
“Hai mandato la tua richiesta, ed eccomi qui. Vi aiuteremo a trovare
Darkness.”
“Vi aiuteremo?” domandò a bassa voce Matau.
“Sentiamo cos’ha da dirci.” rassicurò Nokama.
Vakama era silenzioso come un predatore Rahi. Una brezza fredda si insidiava
spesso fra i due interlocutori, generando un silenzio tetro e tipico di un’isola
Makuta.
“Capisco. A dire il vero ti ho mentito, Eroe. In realtà se sono qui è perché
voglio che tu mi consegna loro” indicò i sei Toa. “Fallo e io ti dirò dove si trova
Darkness.”
Era tutto un piano studiato. Ma come faceva sapere dei sei Metru? La risposta
si palesò immediatamente alla vista di Whenua. Questa volta infatti la sua
Kanohi funzionò correttamente, e guardando attraverso lo scudo gli sembrò di
notare quello che i Toa Mahri e Hagah, secondo le informazioni che raccolsero
sulla Realtà del Creato, avevano indicato come rilevatore Mana.
“Quella pietra... sei un guardiano della Legione di Nuiaha! Come mai sei qui?!”
esclamò ad alta voce. “E quella Kanohi che porti... Sei... un Toa?!”
Lo straniero lasciò cadere lo scudo, rivelando il suo orrendo aspetto. Era
gobbo, malconcio, ed emanava un respiro affannoso. “Questa Gavaria mi è
stata donata prima di diventare uno come voi. Mi permette di creare
un’illusione nebbiosa attorno al mio avversario per confonderlo, cosicché io
possa colpirlo di sorpresa... Ma non sono più quella persona. Secoli fa la
Legione mi ha accolto fra i suoi guardiani. Purtroppo per un mio errore mi
cacciò via. Ora però ho la possibilità di riscattarmi. Noi tre l’abbiamo! I Grandi
Creatori hanno preso la loro decisione.”
“Voi tre?” parlò un soldato semplice.
Come per reazione, giunsero altri due individui incappucciati. Essi erano gli
unici che permisero a Toa Cadryuk, della dimensione 27, di scoprire la
posizione di Darkness all’interno del Robot.
“Un patto segreto ci lega.” spiegò Cadryuk aumentando la tensione
dell’incontro. “Credo però che la loro identità interessi maggiormente i sei
Metru.”
“Perchè non gli dici allora di rivelarsi, eh?” si preparò allo scontro Matau.
“Non credo che ti convenga, Toa dell’Aria. Uno di loro in particolare conosce
voi quasi meglio di chiunque altro fra i presenti.”
“Avanti, allora! Non vedo l’ora di scoprirlo coi miei occhi!”
“Non voglio parlare con te, Toa, ma con l’Eroe dorato. Nel mio mondo
vediamo il baratto come gesto di rispetto. Che sia la sua scelta a decidere per
voi sei...”
“Altrimenti?” si caricò anche Xanders.
“Altrimenti l’illusione nebbiosa svanirà assieme a noi tre, e voi vi ritroverete
circondati dal nemico.” e subito udirono degli spari in lontananza. “Li sentite i
rumori della guerra? Una gloriosa battaglia si sta svolgendo attorno a noi, ed è
solamente grazie alla mia Kanohi se i combattenti non ci vedono. Le forze
Parenga stanno avendo la meglio contro i servi dell’Equilibrio. Le probabilità di
sopravvivenza in caso di dissoluzione della nebbia sarebbero scarse per tutti.
Se voi Eroi bloccherete i sei Toa e ce li consegnerete, allora potremo spostarci
insieme alla nostra imbarcazione senza spiacevoli conseguenze.”
“Analisi degli altri due, Xanders?” sussurrò nel frattempo Rocka.
“Quello a destra sembra più alto, mentre l’altro pare abbia una mano robotica.
Tuttavia, non riesco a riconoscere il loro viso.”
Vakama li sentì, e prese in mano la situazione avvicinandosi con le mani alzate.
“Solamente un Cacciatore oscuro può rintracciare la posizione di un altro.
Dico bene, Lariska?”
Lo sconosciuto fece un passo indietro, colto alla sprovvista. Quale strano patto
poteva legare loro e un ex guardiano di Nuiaha?
“Volete un consiglio, Toa Cadryuk? Guardatevi bene le spalle quando girovagate
con tali individui, poiché non avreste nemmeno il tempo per pentirvene.”
“Tsk!” ridacchiò il Toa multidimensionale. “Per quel che mi riguarda, sono
disposto a fare patti anche con dei viscidi esseri come i Makuta pur di
difendere la realtà madre. Voi non sapete cosa e chi sta per arrivare. La vostra
collaborazione può cambiare le sorti di questa storia in maniera drastica!”
“No, vogliamo delle spiegazioni. Forse sei un mercenario qualunque in realtà,
assoldato da queste sporche fuggitive per i loro orrendi scopi!”
Rocka fu preda del suo dubbio. Forse era davvero arrivato il momento di
fermarsi, qualora fosse uscito vivo da quella situazione. Forse quel patto
segreto con Cadryuk, nonostante le basi nemiche conquistate con successo
grazie ai suoi suggerimenti, era davvero troppo per la missione degli Eroi
all’interno del Robot. Sarebbe stato ideale mollare tutto e seguire le idee di
Alpha leader e degli altri generali.
“Quindi?” insistette Matau. “Chi verrà, eh?! I legionari? I Grandi Creatori
stessi? Ne ho sentite di tutte le razze Rahi ormai!”
“Noi serviamo i Grandi Creatori, Toa. Ma la corsa alla Ignika, la VERA Ignika,
ha attirato l’attenzione di molti, anzi, troppi. Presto verranno qui, in un modo
o nell’altro, e noi tre, che ci crediate o meno, siamo gli unici che potranno
impedirlo. Se la barriera generata dalla Ignika cesserà di esistere allora
assisterete all’invasione definitiva.”
“E’ proprio quello che ci ha detto Artakha...” ragionò Onewa.
“Artakha?! No! Non dovete ascoltarlo! Cosa vi ha detto?! DITECELO!”
“Noi non sappiamo nulla, Cadryuk! Niente di niente!” sbracciò il Toa del
Fuoco. “Siamo stati gettati in questo mare di odio e guerra senza nessun
motivo.”
“Allora fate come vi diremo. Rocka mi ha detto che il vostro Protodermis non
coincide affatto con quello di un semplice Toa. C’entra la Vahi in tutto questo.
Consegnateci la Maschera del Tempo e tutto sarà risolto.”
Il solito Matau borbottò: “Si, certo come no! A quale sco-”
“ANCORA CHE PARLI?! MUORI!” gridò Roodaka, e lasciò partire il primo
raggio energetico.
Nel giro di qualche secondo, si generò un fuoco incrociato senza esclusione di
morti tra gli Eroi. I tre interlocutori furono molto abili a schivare i colpi degli
avversari.
Vakama si gettò all’inseguimento di Toa Cadryuk mentre riceveva copertura dai
suoi alleati contro Roodaka e Lariska. La lentezza del Toa multidimensionale gli
permise di raggiungerlo piuttosto facilmente.
“Fermo, Cadryuk!” urlò, ma ecco che si scontrò con un piccolo Matoran
sbucato dal nulla. Subito dopo ne apparve un altro, e un altro ancora.
La nebbia si ritirò lentamente e le fiamme della battaglia si insediarono con
maggiore velocità. Roodaka e Lariska, al contrario, rimasero stranamente in
campo. Ovunque guardavano, i sei Toa avevano un nemico col quale scontrarsi,
anche qualche Eroe che approfittò della guerriglia per scatenare la loro ira
contro di essi. Nel frattempo il numero di individui coinvolti diventava sempre
più grande: Eroi, servi del sud sotto il controllo indiretto di Nektann, i sei Toa,
i Parenga e infine le due ex Cacciatrici oscure.
La confusione regnava sovrana. Lo spazio tra i combattenti era talmente
minimo che l’unica cosa che potevano fare era accollarsi l’uno l’altro e spingere
in direzione opposta, senza riuscire ad alzare il braccio per fendere gli
avversari.
In ogni caso, Toa Cadryuk aveva ragione: Darkness non era presente. Più volte
confessò a Rocka che questa conoscenza riguardo alla misteriosa energia che
proveniva dall’interno del Codrex apparteneva unicamente a lui ed Helryx.
L’unica cosa che mancava al Toa per scoprirlo era una milizia in grado di
trovare Darkness, catturarlo e farsi rivelare tutto...
Qualcosa non andava però: dov’era Vakama? Tutti e cinque lo persero di vista
da parecchi minuti, e già la battaglia era iniziata da una buona mezz’ora. Il
potere di una Huna, soprattutto dopo l’incidente della Realtà del Creato, non
poteva durare così tanto. Dovettero aspettare ancora per rivederlo esausto e
col morale a terra, mentre camminava in mezzo ai tre fronti.
Qualcuno doveva intervenire. Onewa non attese e lo afferrò con forza. “Ci
faremo spiegare tutto dopo, Nokama, ora andiamocene!”
Gli altri Toa lo udirono e abbandonarono lo scontro a loro volta.
La battaglia si stava facendo sempre più cruenta. Lariska e Roodaka videro i sei
svignarsela mentre i Parenga guidati da Sakovius, che riconobbe fin da subito il
Toa del Fuoco, coprivano la fuga. A quel punto il generale Parenga schierò
tutto ciò che aveva a disposizione: gli squadroni di supporto sbarcarono sulla
spiaggia a bordo delle macchine da guerra di cui disponeva. I Cacciatori di ossa
e gli Skrall di Nektann sopperirono maggiormente.
“Ci stanno schiacciando, signore!” gridò un Eroe a Rocka, mentre fece
esplodere la testa di uno Skrall dopo avergli sparato.
L’Eroe dorato doveva a tutti i costi trovare una soluzione. In quel momento si
sarebbe dovuto trovare al QG Hero, con i sei Metru dietro le sbarre, e
contornato di complimenti da tutti. Chi l’avrebbe spiegato a Stormer? E del
patto segreto con Cadryuk? Inutile dire che la fiducia per quel poco di buono
che c’era nei biomeccanici, almeno dal punto di vista degli Eroi, era ora nullo.
In ogni caso, le parole del Toa dimensionale non furono dimenticate: Roodaka
e Lariska erano le uniche ad aver rintracciato la posizione di Darkness, il
misterioso leader dell’Equilibrio. Forse dopo la sconfitta per mano di Toa Tuyet
si misero alla ricerca senza sosta della fatidica Lancia di Artakha.
Non c’era tempo per fare ipotesi. Con lo squadrone Hero che veniva decimato
col passare del tempo, Rocka lanciò l’ordine di accerchiare immediatamente
Roodaka e Lariska, ma per farlo avrebbe dovuto oltrepassare l’onda di Parenga
di fronte a lui. Fu così che attivò il supporto aereo, ricevendo le armature
Titan per lui e Xanders. Anche Stringer e Bulk, giusto per fare un esempio, ne
possedevano una predefinita. I pezzi di armatura si staccarono dagli agganci
laterali del velivolo, attaccandosi poi ai due Eroi e aumentando le loro
dimensioni fisiche.
Innumerevoli Parenga furono trucidati brutalmente dai due Eroi, spinti dalla
rabbia del momento. Erano incontenibili. Sembrava di vedere Akamai e
Wairuha contro i Rahi infetti di Teridax.
Roodaka e Lariska erano prossime. Un forte sparo proveniente alle spalle di
Rocka causò un urlo di dolore che rimbombò come una bomba: Nuju era
stato ferito. Xanders era andato a segno.
“Che diamine fai?! I Toa ci potranno tornare utili!” gli abbassò il fucile Rocka.
Il secondo in comando gli afferrò il polso con cattiveria. “Non prendo più
ordini da te, Rocka! Se dovessimo sopravvivere, farò di tutto affinché tu possa
essere giustiziato per tradimento! Lo giuro sulla saggezza di Makuro!”

BOOM!
Dei veicoli Parenga fluttuanti iniziarono a fare stragi volteggiando in mezzo ai
nemici. Volavano ad un’altezza di mezzo bio dal terreno, decapitando chiunque
si trovava sul loro tragitto. La loro velocità era quasi comparabile a un Toa
dotato di Kakama.
Rocka materializzò immediatamente dei campi di forza attorno agli Eroi. In
questo modo le vittime furono unicamente i pochi guerrieri di Nektann. Ci
furono anche delle esplosioni provenienti dall’interno della fortezza. Ormai sul
campo da battaglia restavano solamente Parenga ed Eroi. In poche parole, la
cittadella in mano all’Equilibrio non era nient’altro che una delle piccole basi da
cui ripartì la rinascita del generale Sakovius. La scelta del luogo d’incontro fu
presa da Cadryuk sotto suggerimento delle due ex Cacciatrici oscure,
approfittando poi della battaglia in caso di fuga.
I campi creati da Rocka, e successivamente da Xanders, servirono a far
schiantare alcuni dei nemici contro di essi, lasciando intatti gli Eroi e i pochi
Parenga al loro interno.
Sakovius intanto fu costretto ad arretrare per schierare uno dei suoi esemplari
migliori che, secondo le dicerie, furono catturati dai Parenga durante lo
scontro finale della seconda guerra nucleare. Per Rocka e Xanders si presentò
il momento opportuno per stordire Roodaka e Lariska catturandole, e così fu:
la corazza Titan dei due Eroi fu disintegrata quasi del tutto dai nemici, ma non
sufficientemente per farli cadere. Un gruppo di dieci Eroi semplici attivarono i
jetpack fornendo loro fuoco di supporto dall’alto. Contemporaneamente a ciò,
la Toa dell’Acqua stava impiegando il massimo delle energie per curare Nuju,
mentre gli altri quattro facevano da scudo.
Ancora qualche metro...
Roodaka e Lariska erano in grande difficoltà. Di per sé i Parenga non erano un
problema, anche se il loro numero era schiacciante. Erano gli Skrall rimasti a
fare la differenza. La scelta di Nektann di inviare un buon numero di guerrieri
élite in quei luoghi si rivelò utile.
Per quale ragione allora persero così facilmente quel giorno?
Gli Eroi in volo atterrarono creando un cerchio attorno alle due guerriere.
Puntarono poi i loro fucili facendo fuoriuscire delle liane metalliche che
infilzarono unicamente la muscolatura di Roodaka. Non a caso, le corde erano
attratte dal Protodermis di tipo 5, proveniente in maggior parte dalla
smantellata isola di Xia.
“AAAHHH!” esclamò Roodaka dolorante. I suoi Lanciatori Rhotuka non
potevano nulla contro gli scudi degli Eroi.
Catturare Lariska non fu poi così difficile, nonostante le sue abilità e la sua
astuzia. Makuro aveva programmato quasi alla perfezione ogni metodo di
cattura contro qualunque essere biomeccanico, che fosse Toa, Cacciatore
oscuro, Rahi, Agori o altro.
Le conoscenze sulla posizione di Darkness erano ora nelle mani degli Eroi.
Le esultanze dei figli di Makuro furono immediatamente tagliate da una grande
esplosione, ma questa volta non era accanto a loro o poco più in là, sul resto
della spiaggia. Veniva dall’alto.
“No...” si disperò Xanders inginocchiandosi. I quaranta Eroi ancora vivi ebbero
la stessa reazione.
Il velivolo d’emergenza fu distrutto da un raggio energetico proveniente da una
delle armi sofisticate in mano ai Parenga.
In realtà non fu così: “Chi ha sparato?” domandò il generale Sakovius. “E come
ha fatto?” domandò ulteriormente sbalordendosi.
Qualcuno disobbedì ai suoi ordini prendendo iniziative.
“Generale...” parlò un Parenga vicino a lui. “In realtà i nostri cannoni non sono
stati ancora attivati dalle imbarcazioni del sottotenen-”
ZACK!
La testa del ribelle volò via. Sakovius fu infilzato all’addome. Una pioggia di
pietre infuocate iniziò a fare stragi tra i due fronti. Tutto accadde così
velocemente.
“AVVISTATO UN GRUPPO DI TOA IN CIMA ALLE COLLINE!” gridò un
Eroe all’improvviso.
“Gruppo Toa?!” si meravigliò Matau.
Vakama si sentì toccare la spalla sinistra. Si voltò di scatto e vide degli occhi
vermigli osservarlo, contenuti in una Kakama bianca.
“Siamo con voi, fratelli.” disse costui.
“Cosa?! Chi sei?!”
“Toa Kaiks, al vostro servizio.”
“Come avete fatto a raggiungerci?” chiese Whenua.
“Eravamo poco distanti da qui ed abbiamo sentito gli spari. State tranquilli vi
aiuteremo a fuggire, ma dovrete sbrigarvi.”
“ATTENZIONE!” urlò Onewa prima di sfondare una roccia infuocata che stava
per impattare sui Metru.
“Ci penso io...” disse Toa Kaiks generando un piccolo cristallo dalla sua mano.
Questo fece da segnale di stop per i suoi compagni, riflettendo la luce dei due
soli.
“Digli di stare più attenti!” si lamentò il Toa della Pietra.
“Quanti siete?” chiese Matau mentre osservava il gruppo di guerrieri
elementali discendere dalle colline e unirsi alla battaglia.
“Poco importa, fratello. Non possiamo perdere altro tempo, dovete andarvene
e donare le vostre Essenze all’Unico!”
“L’Unico?” domandarono in coro Onewa e Matau.
“Come, non ne sapete nulla?! Non avete ricevuto il messaggio dei Klakk
emissari? E’ il piano dei Toa rimasti per contrastare il Marendar! Un giorno sarà
l’Unico a raccogliere le Essenze dei Toa per avere energia a sufficienza per
sconfiggerlo!”
Il Metru dell’Aria fece ancora lo scontroso: “E come diamine facciamo noi a...”
“Quietati, Matau!” ordinò Vakama, col frastuono degli spari in sottofondo.
“Perdonalo, Toa Kaiks. In realtà sono stato l’unico del mio gruppo a ricevere il
messaggio. Tutti loro al contrario sono stati imprigionati dagli Eroi e sono
all’oscuro di tutto. Raggiungeremo immediatamente l’Unico se voi fratelli ci
aiuterete a fuggire da questa gabbia di Kane-Ra.”
“Sarà fatto, amici miei! La nostra imbarcazione si trova più a ovest. Prendete
quel sentiero e seguite il potere Toa che abbiamo infuso nell’ambiente.”
“Voi non venite?” domandò Nokama che arrivò con Nuju.
“No. Io e altri tre gruppi diamo la caccia al Marendar per rallentarlo,
garantendo così ai nostri confratelli dispersi nel Robot di raggiungere l’Unico.”
“Chi è codesto essere, si può sapere?”
“Non si sa ancora, sorella. Girano molte voci su di lui. Tutto tempo sprecato!”
“Ma Kaiks, se affronterete il Marendar morirete!”
“E’ il nostro dovere, Toa della Terra. Non abbiamo nemmeno la certezza che
questo piano possa funzionare, ma è comunque una speranza... Ed è l’unica
cosa alla quale noi Toa possiamo aggrapparci. Ora via di qui. Possano il Grande
Spirito dormiente e Toa Helryx tornare a vegliare su di voi!”
“Ehm... g-grazie.”

Dopo circa mezz’ora di fuga, i sei Metru si fermarono per riprendere fiato.
Matau al contrario fece un giro di ricognizione tra gli alberi.
La Toa dell’Acqua però non perse tempo: “Perchè hai raccontato il falso a quel
Toa, Vakama?”
“Non l’ho fatto, sorella. Il Marendar... l’Unico... il piano dei Toa... è tutto vero!
Toa Cadryuk me l’ha detto prima di sparire.”
“E per quale ragione ha avuto quella reazione quando ho nominato Artakha?
Cosa ci stanno nascondendo?! Non ne posso più!” affermò Whenua.
“Non lo so... davvero non so cosa dire...”
Matau atterrò violentemente in mezzo ai cespugli. Gli altri Metru si sorpresero
siccome non capitava sostanzialmente da migliaia di anni.
“E’ qui... Lui è qui!”
Nessuno ebbe il coraggio di chiedere a chi si stava riferendo. La risposta non
poteva che essere una sola.
“Si sta scontrando con i Toa sulla spiaggia. E’ inarrestabile... Svelti, dobbiamo
andarcene prima che ci trovi!”
“D’accordo.”
“Ma dove andremo, Vakama?” pose la domanda Nuju.
Tutti guardarono il Toa del Fuoco, che si appoggiò al fusto di un albero per
pensare. Poi disse: “Artakha... non so per quali ragioni ci hai rapiti in passato
per trasformarci in delle creature tenute in vita da una stupida Kanohi... MA
FARAI MEGLIO A DARCI DELLE RISPOSTE!”
“Frena, fratello.” lo fermò Nuju. “E se questo Unico fosse la soluzione giusta?”
“La prendi come una certezza questa? Non possiamo fare affidamento sulle
parole del primo individuo che incrociamo!”
“Ma così facendo non abbandoneremo i nostri fratelli e le nostre sorelle!”
“Loro però non hanno una Vahi a portata di mano, Nuju.” corresse Onewa.
“Abbiamo un oggetto da difendere e che non possiamo permetterci di
perdere. Vakama, io sono con te. Sono sicuro che Artakha ha ancora molto da
dirci. Vale la pena rischiare.”
Così ritrovarono la barca del gruppo Toa, sterminato brutalmente dal
Marendar, e si diressero verso nord-ovest, pronti a ritrovare verità nelle parole
di Artakha.
“Generale Fox, mi sente?”
“Xanders?! Dove ti trovi, e perché la tua armatura è danneggiata?!”
“Siamo stati attaccati, signore.”
“E il dirigibile?”
“Andato distrutto...”
“Vi mando immediatamente i soccorsi. Dove vi trovate?”
“Le mando le coordinate. Dica ai piloti di raggiungere la costa settentrionale e di
fare molta attenzione, ci sono ancora degli scontri qui vicino... E fate presto, vi
prego...”
“Daranno il massimo come sempre, lo sai. Fox chiudo...”
“Un momento, abbiamo due prigionieri. Se le voci sono vere, pare che sappiano
dove si trova il ricercato Darkness. Negli scorsi anni hanno collaborato con guerrieri
al servizio dell’Equilibrio come Thunder, Xplode, Voltix e non solo...”
“Come fai a saperlo?”
Xanders lasciò passare alcuni secondi prima di rispondere: “Uno dei nostri ci ha
traditi, signore...”
1500 giorni prima del Risveglio...

Il Creep Canyon fu il primo dei tanti luoghi in cui iniziarono gli scontri fra le
popolazioni Agori e Matoran. Due quinti del Protodermis distribuito
equamente furono derubati dal dominatore dell’Essere dorato.
Tutti preparativi per l’assalto finale a Tuma...
Mancavano solamente alcuni ingredienti da racimolare in una zona del mercato
di Toka-Nui. Ahkmou e Darkness ci andarono. Ormai il Po-Matoran si
aspettava la solita lezione filosofica del Maestro. Sicuramente molte servirono
a fargli comprendere non poche cose. Crebbe infatti sia come guerriero che
come persona. Ora era più scaltro, astuto, abile nelle decisioni, ma
perseguitato ancora dai suoi incubi più inconsci.
Un Agori del Villaggio del Ferro, mandato apposta da Magis, li incontrò in una
zona appartata, dove ci fu lo scambio di denaro. Darkness ebbe una certa
difficoltà a cedergli la sacca di Widgets non tanto per l’attaccamento al denaro,
ma al contrario per il suo odio verso di esso.
“Il denaro non rende felici, ma per la vita che siamo ormai abituati a vivere
alleggerisce di gran lunga la nostra esistenza.” così diceva. “E’ solamente un’arma
a doppio taglio. Possiamo usarla per far del male agli altri arricchendoci e quindi
incrementando la differenza tra ricchi e poveri, oppure farci schiacciare dagli avidi
che se ne infischiano di quelli come noi... E’ il potere a renderci ciò che siamo, non
le entità materiali che questo mondo ci ha donato. Intelligenza e superbia possono
si andare a braccetto, ma a volte è come vedere collaborare un Toa con un Makuta
per lo stesso obiettivo.”

Adesso i materiali erano pronti, ma non potevano girare tra le vie del villaggio
senza che le guardie dell’Ordine se ne accorgessero. Per fortuna buona parte
di questi venne distratta da alcuni alleati della scuola di Magis. I guerrieri di
quest’ultimo infatti aumentarono di numero nell’Esercito di Certavus, anche se
non tutti lo fecero per gli ideali dell’Ordine, ma al contrario per ribaltarli un
giorno grazie al “Maestro”.
Tuttavia, la bellezza paesaggistica e l’armonia che nacquero nel post-guerra,
nonostante gli edifici distrutti e i cadaveri sparsi ovunque nel deserto, persero
gradualmente colore con l’avanzamento dei giorni, dei mesi, e infine degli anni.
Ahkmou notò fin da subito che la popolazione Agori occupava dei punti
opposti rispetto alla posizione dei Matoran. Oltre a ciò, anche la povertà si
fece sentire: non erano pochi i senzatetto che se ne stavano con le gambe
raccolte, immersi in un pianto apparentemente eterno. Era orrenda la vista
degli edifici che crescevano a dismisura in contrasto con le emozioni di alcuni
abitanti.
Ed ecco che iniziò l’ennesima protesta: una Agori si rivoltò contro dei Ruhnga
che le impedivano di scontrarsi con i Matoran, accusandoli di stare dalla parte
dei traditori e degli avidi per eccellenza. Nessuno osò mettersi in mezzo.
Ahkmou e Darkness restarono ad osservare la scena, ma questa volta lo fecero
per volere del Po-Matoran.
La Agori mostrava palesemente degli atteggiamenti tipici di un individuo che si
era abbandonato completamente nell’esaurimento nervoso. I Ruhnga erano
freddi con lei. Non la guardarono in viso nemmeno per un istante. Dall’altra
parte invece alcuni Matoran si misero a ridere.
“Forza, fa qualcosa, Ahkmou...” sospirò con la solita voce tenebrosa Darkness.
Il Po-Matoran allargò gli occhi spaventato. Se fosse intervenuto, lui e il Maestro
sarebbero stati scoperti in men che non si dica, e a quel punto tutto ciò che
avevano costruito fino a quel momento sarebbe crollato.
“Io... io non...”
Darkness non reagì. Non sembrava sorpreso, né tanto meno deluso.
L’unico a intervenire fu uno dei pochi senzatetto che tappezzavano la zona
mercato. Ahkmou esclamò riconoscendolo: “POTUK?!”
Non ci pensò due volte e si lanciò per raggiungere il suo vecchio amico, ma fu
fermato da Darkness.
“COSA FATE?! DEVO AIUTARLO, MAESTRO!”
“No, Ahkmou... non lo farai...”
I Korero presenti persero la pazienza. Allontanarono la giovane Agori dai
soldati dell’Ordine e presero da parte il senzatetto, iniziandolo a martoriare
davanti a tutti gli abitanti.
Persino i Ruhnga erano inorriditi...
Ahkmou fece di tutto per liberarsi dalla presa di Darkness, arrivando
addirittura a tirare fuori il suo coltello per tagliargli la mano, ma non servì a
nulla. Adesso poteva solamente vedere l’episodio da lontano, immerso in
quell’angolo buio che ormai gli faceva da tana.
Distolse lo sguardo piangendo, ma la rabbia di Darkness gli prese il viso per
fargli vedere la tortura del suo “vecchio amico” fino alla fine. La Kanohi di
Ahkmou venne a momenti schiacciata talmente era grande la collera di
Darkness, e le lacrime del Matoran sgocciolavano dalle dita dell’ex Cacciatore
oscuro, che arpionavano con cattiveria i buchi della maschera. Alcune si
agganciarono alla bocca del Po-Matoran, stonando il suo grido di disperazione.
“GUARDA, AHKMOU! E NON AZZARDARTI A PIANGERE, POICHÉ TALE
E’ LA CONSEGUENZA PER COLORO CHE SI DICHIARANO FALSI
PALADINI DELLA GIUSTIZIA! ECCO COSA SUCCEDE A CHI INTERVIENE
SOLAMENTE QUANDO CIO’ CHE E’ PIU’ CARO GLI VIENE TOCCATO!
ECCO PERCHÉ COMPASSIONE E FRATELLANZA HANNO PERSO DI
SIGNIFICATO IN QUESTO MONDO! SEI SOLO COME LORO: FERMO,
IMMOBILE, PARALIZZATO DALLA PAURA. ORA LA MORTE DI POTUK TI
PERSEGUITERÀ FINO ALLA FINE DEI TUOI GIORNI, COSICCHÉ NON
SARANNO SOLAMENTE LE MIE PAROLE A DARTI INSEGNAMENTO, MA
IL DOLORE STESSO!”

Ahkmou non scordò mai quelle parole. Erano come degli aghi impossibili da
estrarre dalla sua mente. Ben presto si accorse e si rassegnò che Potuk aveva
fatto la sua parte. Non riuscì a dimenticare l’indifferenza con la quale i presenti,
persino i Ruhnga, trattarono una tale scena violenta. E ogni sera prima di
andare a dormire gli sovvennero tutti questi orrendi dettagli, anche il giorno in
cui il tiranno di Roxtus, ovvero Tuma, morì...
Così cadde Tuma, signore di Roxtus, dominatore ed unificatore degli Skrall, servo
dell’Elementale della Roccia durante la Guerra del Nucleo e capo del Triumvirato...

“Muovetevi, schiavi!” gridò uno Skrall dando un colpo di frusta ad un Matoran.


Lui e molti altri un tempo facevano parte dei Parenga, disciolta subito dopo la
guerra nucleare. Qualcuno fuggì, rifugiandosi nel deserto, che sarebbe poi stata
la sua ultima casa. Altri invece conobbero solamente la violenza di Tuma.
Vennero impiegati nei lavori più duri, soprattutto quelli che riguardavano il
modellamento del Protodermis deportato da Wha-Nui. Sui loro corpi vennero
impressi dei simboli di schiavitù, oltre che i segni delle pesanti catene che
portavano al collo e sugli arti. Erano realizzate con del materiale proveniente
dalle Montagne dalle Punte Nere, e collegate ad una lunga fessura orizzontale
posta in altezza. Appena sotto di essa vi era un muro di spine rocciose, più
appuntite di una lancia Glatorian appena fabbricata. Dal lato opposto le
centinaia di catene si collegavano con gli schiavi, Matoran e Agori, che stavano
scavando nel terreno per ampliare le zone di costruzione per gli edifici.
Qualora qualcuno si fosse ribellato o avesse svolto il suo lavoro con troppa
lentezza, la catena collegata al suo corpo lo avrebbe trascinato con forza verso
il muro di spine, spiaccicandolo all’istante. Dopodiché un umile servo
malformato avrebbe ripulito le punte, lasciando il resto del cadavere infilzato
nel muro.
Ogni giorno, prima di riprendere coi lavori, gli schiavi avrebbero camminato a
fianco al muro costretti ad ammirare le carni dei loro ex colleghi incastonate
tra gli aghi neri, cosicché potessero capire le possibili conseguenze. Dopodiché
avrebbero alzato lo sguardo verso la collina rocciosa sulla quale venne costruita
la dimora di Tuma. Quest’ultimo si sarebbe poi presentato dinanzi a tutti i suoi
sudditi e valorosi guerrieri, ammirando quel piccolo impero che stava
ricostruendo.
Ma quel giorno non lo fece...
Gli schiavisti si fecero molte domande. Normalmente era il primo a svegliarsi al
mattino, talmente era grande la sua voglia di guardare dall’alto i progressi del
giorno precedente.
Le voci girarono anche fra gli schiavi. Uno di questi fu sentito da uno Skrall, che
corse subito da lui con la rabbia negli occhi. “Cos’hai da vociferare, eh?! Non
vedi l’ora che arrivi Tuma, non è vero, schiavo? Bene, sarai il primo a vederlo e
anche a salutarlo, contento? EHEH!”
La luce del sole diede il “buongiorno” al posto di Tuma. Ma anche dopo un’ora
circa non arrivò nessuno. A quel punto anche i guerrieri di Roxtus iniziarono a
preoccuparsi.
Ed ecco infine che qualcuno arrivò in cima alla collina: Tuma.
Camminò sicuro di sé, anche se con una postura insolita. Tuttavia, fu molto
difficile vedergli il viso: pare che la luce del mattino si fosse interposta fra il
suoi viso e i sudditi.
Non parlò. In teoria doveva fare il solito discorso motivazionale per la sua
gente, ricordando loro i valori di coraggio e fedeltà nei suoi confronti. Al suo
posto parlò il silenzio di un secondo individuo che si avvicinò a lui.
“Chi è quello lì?!”
“Che sta facendo?!” esclamarono i guerrieri di Roxtus.
Improvvisamente la luce del sole diminuì come per magia, rivelando l’identità
dello sconosciuto: era Branar. Per un secondo gli Skrall credettero che il loro
generale fosse tornato riappacificandosi con Tuma, ma come poteva essere
perdonato dopo quanto accaduto con Stronius?
Ecco allora che giunse l’orrenda verità. Con orgoglio, Branar sollevò la testa
mozzata di Tuma, mostrandola a tutti come un premio di guerra qualsiasi.
Fino a quel momento, il cadavere senza testa del tiranno di Roxtus venne
manipolato dall’Essere dorato, che si manifestò con una luce temibile,
accompagnata dall’arrivo degli Hagahkuta, i Barraki, Okoth, Pretorius, i
mercenari di Magis, i vecchi prigionieri della Hero Factory, Ahkmou e infine
Darkness...
Così cadde Tuma, signore di Roxtus, dominatore ed unificatore degli Skrall, servo
dell’Elementale della Roccia durante la Guerra del Nucleo e capo del Triumvirato.
Le catene dell’odio e dell’oppressione furono distrutte dall’Essere dorato, gli schiavi
saltavano di gioia intonando la più bella sigla che avrebbero mai cantato: “Il re è
morto! Il re è morto! La luce dell’oscurità ha fatto sì che il nostro vero signore fosse
risorto. Stringiamoci insieme nel mare della libertà, e la grande tiranna un giorno la
pagherà!”
Si inchinarono dal primo all’ultimo. Branar stava per annunciare che Nektann
sarebbe diventato il nuovo capo delle armate Skrall, ma dovette aspettare. La
potenza dell’Essere dorato infatti venne immediatamente ritirata nel bracciale
dello Skakdi. Darkness fu l’unico a vederlo, gioendo dell’espressione dolorosa
che era impressa sul volto di Nektann, il quale si nascose subito per la
vergogna.
Poi venne data la notizia, e Roxtus sarebbe tornata come una volta. Il mare
della rivendicazione sarebbe partito da lì, mentre un’ombra oscura avrebbe
preso sempre più posto nella mente di Helryx...
I cento guerrieri sulla collina gioirono. Okoth e Ahkmou stavano assaporando
maggiormente quel senso di giustizia che gli era stato tolto senza ragione. Se
Kaize fosse stata lì, sarebbe stata sicuramente fiera di Okoth. I mercenari di
Magis e gli ex prigionieri della Hero Factory si stavano già immaginando le
grandi ricchezze che avrebbero accompagnato la loro esistenza. Per ultimo,
Pretorius si sentì perfettamente amalgamato in quella speranza che stava
nascendo.
“Ora toccherà a te...” sentì la voce di Darkness da dietro, ma quando si voltò
per ascoltarlo, realizzò che in realtà era molto più distante.
Trascorsero solamente quaranta giorni dalla caduta, e conseguente rinascita, di
Roxtus. Magis fece i suoi doveri coprendo le tracce di Darkness nel mercato
globale, e senza mai suscitare sospetti da parte dell’Ordine, già impegnato a
risolvere in prima persona i furti e i rapimenti.
Tutto stava andando secondo i piani di Darkness, anche se questo non era
nulla in confronto all’obiettivo finale, ancora fin troppo lontano e grande per il
momento. Per iniziare a muoversi con maggiori libertà c’era bisogno di un
ultimo tassello, il più grande da incastonare all’interno del puzzle.
Prima però c’era un importante questione da risolvere, la quale vide come
protagonisti i due giovani Matoran Ahkmou ed Okoth. L’ex Cacciatore oscuro
si sentì libero di rivelargli un importante segreto, nascosto in una cripta sepolta
in mezzo al deserto.
Per tutto il viaggio il Maestro non fiatò, ordinando loro di non stare meno di
trecento bios di distanza da lui.
Il cammino si rivelò più complicato del solito. Non a caso, Darkness scelse un
periodo dell’anno in cui l’afa del deserto era più pesante rispetto al solito.
Quando però arrivarono, notarono che il passaggio sotterraneo era già stato
aperto da qualcuno.
“Dietro di me.” sussurrò il Maestro alle sue piccole spie.
Si addentrarono nel buio totale. Per Darkness era come trovarsi nella sua
stanza quando ancora serviva l’Oscuro...

L’aria iniziò a farsi più densa. Era difficile respirare. C’era anche una piccola luce
che illuminava da lontano le pareti del tunnel. La fonte? Una gigantesca
macchina robotica, alta sicuramente più di un Toa, e all’apparenza inutilizzata
da parecchio tempo. C’erano dei resti di sabbia sulla sua armatura. Okoth
suppose che qualcuno l’aveva portata in quel luogo, così chiese spiegazioni al
Maestro.
“Okoth...” rispose inaspettatamente Ahkmou. “Lui non è più qui...”
“Cosa?! E dov’è?! Ci ha rinchiusi in quest’orrendo posto con quel mostro
meccanico?!”
Il Po-Matoran, ormai abituato a ogni genere di trattamento da parte dell’ex
Cacciatore oscuro, rimase a fissare il robot riflettendo a lungo. “No, aspetta...
Questo non può...”
E i suoi occhi si agghiacciarono.
“Che c’è, Ahkmou? Per caso quella cosa iniziato a muoversi?!” si spaventò la
Ga-Matoran.
Il Po-Matoran guardò in terra, ripetendo di continuo le parole che il Maestro
gli insegnò nelle ultime parti delle lezioni. La descrizione combaciava: le corna,
il fucile, la spada celeste in Araidermis. La gabbia toracica, però, era
sorprendentemente aperta, e al suo interno conteneva una sorta di capsula
che sembrava essere stata forzata da qualcuno. In ogni caso, ciascun dettaglio
era presente.
“Questo, Okoth... questo è... il Marendar!”
“COME?! No... non può essere! Quella è una stupida leggenda Agori!”
“Credevamo lo stesso dell’Essere dorato, se ricordi bene. Ora però mi chiedo
chi l’abbia messo...”
“ATTENTO!”
Una figura dall’armatura bluastra fece per scagliarsi sulla piccola spia. Darkness
riapparve scaraventandola contro la parete. Fortunatamente il Marendar era
ancora intatto.
L’assalitore prese subito un coltello dalla sua cinta e per poco non tagliò la gola
del Maestro. I due si allontanarono per riconoscersi, prima di gettarsi l’uno
contro l’altro nuovamente.
A differenza dell’avversario, Darkness abbassò la guardia facendo un sorriso
compiaciuto. “E’ proprio come pensavo...”
“In guardia, Cacciatore oscuro! Non credere che la mia lunga assenza mi abbia
fatto dimenticare i tempi di guerra su Metru Nui!”
Finalmente dunque, arrivò anche l’ultima (ma non per importanza) pedina
dell’Equilibrio, Toa Tuyet.
“Fermi, non potete combattere qui!”
“Una Ga-Matoran?! E c’è anche un Po-Matoran! Non posso aver sbagliato
nuovamente dimensione... Fatevi da parte! Ucciderò il Cacciatore oscuro e
distruggerò quella macchina prima che inizi a sterminare i miei fratelli!”
Okoth protestò estraendo il suo lanciatore. “Osa toccarlo con una sola
particella di Protodermis e giuro che ti ammazzo!”
“Molto bene!” caricò la fatidica Pietra Nui che portava con sé. “SPARA
PURE!”
Il Po-Matoran al contrario decise di giocare le sue carte con astuzia. “Vieni
dalla Realtà del Creato, dico bene?”
“Che ne sai tu, piccoletto?”
Ahkmou guardò subito Darkness, il quale dentro di sé era soddisfatto che
avesse frenato la lingua per lasciarlo parlare, prima di dire qualcosa di
inappropriato.
Tuyet notò lo sguardo d’intesa fra i due. Si domandò infatti per quale assurda
ragione un Matoran e un Cacciatore oscuro stessero collaborando.
“Mi dispiace che non sia riuscita a trovare Hauran. Egli mi disse che qualcosa o
qualcuno gli stava dando la caccia da tempo...” inclinò la testa Darkness
sorridendo.
“SAI DI HAURAN?! DOV'È?! DIMMELO!” si avvicinò con insistenza Tuyet.
Il Maestro alzò lentamente le mani in segno di innocenza, e guardando il suolo
mentre sorrideva quasi come un maniaco.
“Oh, è così che la metti, eh? Vedremo se l’Oscuro reagirà ugualmente quando
si ritroverà la mia lama a pochi millimetri dalla sua gola!”
“L’Oscuro è morto.” parlò deciso Ahkmou senza essere ostacolato da
Darkness. Alla fine era tutto un test. “L’incidente spaziotemporale della Realtà
del Creato ha tolto la vita a molti... Altri esseri invece sono giunti su queste
terre senza un apparente motivo. Tu sei una di loro, giusto?”
“Non è una faccenda che riguarda un traditore come te, Matoran!”
“Rispondi alla mia domanda.” dopodiché ebbe un’assurda idea. “Voglio farti
un’offerta, Toa. Dicci la verità e potrai impedire a questo pazzo di attivare il
Marendar per sterminare tutti i tuoi fratelli. Altrimen-”
Improvvisamente la Pietra Nui si illuminò ad intermittenza. Un gingillo
attaccato al collo della creatura bionica, come se fosse una sorta di collana, si
attivò a sua volta. Tale era il segnale che la Toa dell’Acqua stava cercando da
mesi, se non anni...
La guerriera si inginocchiò delusa. “Ero convinta... ero convinta che avrei
trovato Hauran... Lui è qui, ne sono sicura...”
“Allora perché la Pietra ti ha portato qui?” parlò cupamente Darkness. “Cosa
contiene al suo interno?”
In realtà conosceva la risposta, ma sapeva che la Toa aveva altro da aggiungere.
E infatti: “Migliaia di poteri Toa sono contenuti al suo interno. Ho viaggiato a
lungo nei vari universi per scoprire di più sulla sua creazione o cosa altro può
fare. Tale ricerca mi ha portato alla pazzia e alla sete incontrollabile di potere.
Io ne ho visto cose che voi tre non potreste immaginarvi: regni lucenti che si
mimetizzano nell’aurora celeste mentre i Klagarh di Pterite gli davano la
caccia... e ho assistito alle guerre sonore tra i domatori di Xyaia e i figli di
Xers... Ho visto cosa la Ignika ha creato e cosa essa ha distrutto per garantirne
l’equilibrio. Ecco cosa dobbiamo seguire, dicevano. Ma chi ci dice che non sia la
scelta sbagliata? Dove sono finiti coloro che hanno dato inizio al Tutto? Chi
siamo noi veramente? Troppi anni sono passati dall’inizio di questa dannata
ricerca. Troppe informazioni sono state registrate nella mia mente. Troppe le
morti dei compagni nei regni che ho aiutato in guerra, se così si poteva
definire...” e prese posto per calmarsi.
Forse neanche il cinismo di Darkness avrebbe resistito di fronte alla
rappresentazione concreta delle parole della Toa.
“Poi... poi ci fu una grande energia. Ero convinta che fosse la Maschera della
Vita. Tutti noi lo eravamo. In molti mondi paralleli c’è una sorta di profezia, che
sorprendentemente si differenzia ben poco dalle altre. Pensate quanto sia
assurdo il caso...”
“Cosa dice?” chiese con tono serio Darkness, più interessato che mai.
“Un giorno la Ignika sarebbe tornata dove tutto è iniziato. Allora, tutti i suoi
figli e tutto ciò che aveva smantellato si sarebbero riuniti nella realtà madre per
ammirarla un’ultima volta. Se così non fosse, o se qualcuno fosse intervenuto
per far sì che accadesse diversamente, allora tutti i mondi paralleli si sarebbero
riuniti e avrebbero contrastato il vero nemico, ponendo fine alle sue invidie nei
confronti della grande Kanohi.”
“Come finisce la profezia?” domandò Okoth intimorita.
Tuyet la guardò con malinconia. “Guerra. Morte. Odio. Questo sarebbe stato il
palcoscenico che avrebbe seguito il ritorno della Maschera leggendaria. Si dice
che un grande genocidio avrebbe dato inizio. Non c’è altra soluzione. Ecco
perché delle copie di Grandi Creatori sono state poste nelle realtà parallele.
Ecco perché non si è mai fatto cenno alla Realtà del Creato. La verità sarebbe
dovuta rimanere nascosta per far sì che ciò non potesse accadere. Ma io non ci
credetti, anche se sentì questa storia già in cinquanta universi... Loro sono
pronti. Attendono il momento necessario per ricongiungersi con la loro madre
e con i loro veri creatori, prima di immergersi tutti insieme nel mondo che
verrà.”
“Quindi la Realtà del Creato... dovrà essere sbloccata?”
“Si, Matoran. Se non sarà per mano di qualcuno di noi, lo farà la Ignika stessa in
un modo o nell’altro. Chiunque oserà mettersi contro di lei, scatenerà l’ira di
miliardi, anzi bilioni di individui. Solamente il sapere di un Grande Creatore
come Hauran, il primo a essere stato marchiato dalla essa, potrà darci la strada
da seguire. Ora il potere non conterà più nulla d’ora in poi...”
E Darkness accettò. Probabilmente per la prima volta nella sua vita provò
paura. Tuyet accettò di seguire i suoi piani, specie quando Darkness le
confessò che in teoria aveva già una pista da seguire per arrivare non da
Hauran, ma direttamente alla Ignika.
“Che ne sarà del Marendar, Maestro?”
“Resterà qui, Okoth. Un giorno torneremo a prenderlo.”
La Toa dell’Acqua mise le mani avanti. “Non puoi schierare quella macchina
contro tutti noi!”
“Io sono l’unico che sa come attivarla. Se sarà necessario, tramanderò tale
sapere a tutti voi. Credi davvero che i Toa sono l’unica minaccia dopo quanto
raccontato da te, Tuyet? Sei convinta che la loro presenza giocherà un ruolo
fondamentale al termine di questa storia?”
“Conosco benissimo cosa c’è la fuori oltre le stelle! Non credere che
seguendo il volere dei Grandi Creatori finiremo dalla parte dei buoni!”
“So già cosa fare, e soprattutto con chi parlare, ma avrò bisogno del tuo
appoggio per ridonare la vita a loro e a tanti altri.” indicò i due Matoran come
un padre affettivo coi suoi figli.
Tuyet non aveva altre scelte. Ormai l’unico rilevatore di cui disponeva lo portò
soltanto dal Marendar. Il flusso che collegava la Pietra dell’Immunità attorno al
collo della macchina, consegnata in cambio della Pietra Nui che fu perfezionata
in seguito da Darkness, si invertì facendo sì che fosse lei a trovarlo.
Così, mentre Roxtus sarebbe tornata come quella di un tempo, sarebbero
proseguite le ricerche del Grande Creatore maledetto nel deserto di Spherus
Magna. Probabilmente trovando anche la Lancia di Rewerax nei territori
occupati dagli Eroi sarebbero riusciti a far ritorno nella Realtà del Creato prima
del previsto. In ogni caso, gli Hagahkuta dovevano sbrigarsi.
A Darkness invece spettava un nuovo compito, più arduo, forse il più rischioso
di tutti...
Nella Sala del Potere si era appena conclusa l’ultima assemblea convocata da
Toa Helryx. Come sempre fu l’ultima a rimanere, dopo aver discusso con
Dume circa le novità sul Robot.
“Il rapporto tra Ackar e gli altri agenti diventa sempre più complicato da
gestire.” ragionò Dume.
“Tu a cosa credi sia dovuta, Turaga?” chiese la Toa dando l’impressione di
sapere già la risposta.
Guardando la cartina di Spherus Magna, egli rispose: “E’ la situazione attuale a
rendere difficile la convivenza. Non devono farsi trascinare dal periodo buio
che stiamo vivendo.”
“Tuttavia, non c’è logica nelle vostre parole, Turaga. Gli unici agenti in
contrasto con i Glatorian sono Tobduk e Trinuma. Sappiamo perfettamente
com’è il loro temperamento, soprattutto per il guerriero di Nynrah. Non c’è
bisogno di preoccuparsi più di tanto. I due Tehina, Krakua e i Toa sono pronti a
tutto pur di aiutare questa gente. Facciamo la nostra parte. Invieremo i giusti
soccorsi ed incrementeremo le ricerche collaborando con le spie di Kiina. In
questo modo ci sarà poco da ridire e, se servirà, entreremo con prepotenza
nei villaggi per scoprire chi c’è dietro tutto ciò...”
Si zittì per un attimo. Guardando più a destra rispetto Dume, il quale aveva già
iniziato a esporre le sue idee, notò una delle bandiere appese ai muri della sala
muoversi. Tutti gli ingressi erano chiusi. Era impossibile che fosse effetto del
vento.
“Va’ pure, Turaga.” ordinò inaspettatamente.
“Ma Helryx...”
“Ne parleremo un altro giorno. Ora ho bisogno di... riposare.”
Dume lanciò uno sguardo sospettoso, ma non insistette e se ne andò
chiudendo il portone.
Ora la Toa era sola con la sua ombra. Passò qualche attimo in piena quiete,
prima che il leader dell’Ordine pronunciò tali parole: “Non mi sarei aspettata
di rivederti così presto. Speravo che quella dimensione ti avesse inghiottito
definitivamente...”
L’ombra ai suoi piedi si allungò proiettando sul muro la sagoma di Darkness.
“La Realtà del Creato è stata generosa a riportarmi qui. Non dimenticare che
io e te abbiamo un accordo.”
Tra i due infatti ci fu già un incontro, esattamente prima dell’inizio della
Seconda Guerra del Nucleo...
“Frena le parole, ombra di Odina. Se sei qui per avere novità sul Robot, sappi
che tornerai indietro a mani vuote.”
“Poco importa. Mi basta sapere che un giorno quel mezzo ci porterà dai
Grandi Creatori con le coordinate che ti darò, quando arriverà il momento...”
“E quando li vedrai cosa farai?” chiese intimorita. “Ti unirai a noi?”
Darkness rispose secco: “No. I miei obiettivi non combaciano con i tuoi.
Riappacificarsi con i Grandi Creatori per garantire la vita alla propria razza non
fa parte delle mie idee. Io voglio libertà, Helryx, quella che tutti cerchiamo e
che non pochi osano chiamarla con il nome di felicità. Affacciati dal tuo
balcone, leader dell’Ordine di Mata Nui, e capirai...”
“Credi sia facile?! Hai agito nell’oscurità fino a questo momento. Ancora non
mi capacito di come tu possa materializzarti da qualsiasi ombra, e nonostante
ciò parli come se fosse facile essere un sovrano!”
“Hai ragione, non lo so. Ma so come diventarlo. So cosa significa ricominciare
da capo. So cosa significa passare dall’avere un pugno di sabbia in mano a
potere e denaro in un altro. Che strada schifosa è mai questa... Ti da
l’impressione che non ci sia un altro fine. Non ti permette di vivere al pari di
coloro che ti servono, o meglio, che vivono al tuo fianco. Nell’esatto momento
in cui dai degli ordini ti elevi automaticamente al di sopra degli altri, e ciò in
molti casi suscita invidia e odio da parte di coloro che non sono mai sazi.
Quest’epoca non ci permette nemmeno di dare pieno potere in mano al
popolo. Le loro opinioni sono spade naturali portavoce del loro istinto
primordiale. Come sbagli rischi di cadere, trascinando nell’oblio coloro che ti
hanno scelto. E cosa hanno installato i Grandi Creatori per farci dimenticare le
emozioni negative che possono nascere dal nostro pensiero? Unità... Dovere...
e Destino... Davvero la bontà è alla base di tutto? Lo è anche la cattiveria?
Dove sta l’equilibrio in tutto ciò? Dove si è nascosta quella protesta in tutti noi
che ci permette di ribellarci non contro l’Ordine e i suoi servi, ma contro chi li
ha messi lì? Il male, mia cara Helryx, deve essere sterminato fino alle sue
radici.”
“Non ti lascerò uccidere i Grandi Creatori! Fatti avanti dunque! Che sia il
vincitore di questo scontro a guidare questa gente incontro alla salvezza
finale!”
“No, Toa. Non sono venuto per perdere tempo. C’è un motivo per cui non ti
ho uccisa fin da subito. Ho avuto una visione. A dire il vero, è stata una Toa
dell’Acqua a donarmela...” sorrise riferendosi al rapimento dei tre Toa Hagah,
facendolo capire a Helryx e spaventandola. “Ho aspettato troppo tempo, ma
ecco che un vincolo esterno mi ha obbligato ad agire diversamente.”
“A chi ti riferisci?” accigliò lo sguardo la Toa.
“Perderei troppo tempo a spiegarlo. Fatto sta che ho capito per l’ennesima
volta quanto ognuno di noi è piccolo in confronto a ciò che è stato creato da
quella Kanohi che custodisci gelosamente. Io l’ho visto, Helryx... ho visto cosa
succederà grazie a quella visione lontana, tanto lontana nel tempo... La Ignika
tornerà dove deve, e nessuno, NESSUNO dovrà opporsi. Quando sarà giunto
quel momento sarà lì che inizierà la battaglia finale, ma la visione mi ha fatto
vedere altro. Sarà una guerra tra bene e... bene.”
“Che intendi dire?”
“I Toa, Helryx. Saranno loro a comporre la maggior parte dei due eserciti che
si scontreranno, dopo aver deciso da quale parte schierarsi. Una creatura
gigantesca combatterà affiancata da parte dei Toa contro i Grandi Creatori. E’
giusto infatti che muoiano per mano di ciò che hanno creato. Tutti gli altri
invece combatteranno per loro...”
“Dove si terrà?”
“Non te lo so dire con certezza. Ti sto riportando solamente alcune parti che
ho visto...”
Helryx fece un ghigno. “Sono quasi tentata di chiederti come finirà, ma non lo
farò. Va bene dunque, se è così che deve terminare la nostra storia... che sia!”
Ma ebbe subito un nuovo dubbio: “E se ci saranno opposizioni?”
“Ovviamente dovrai considerare il fatto che non tutti, nemmeno i tuoi agenti
saranno d’accordo. Circondati da guerrieri fidati e ciò non accadrà. Gli unici
potranno essere i Matoran, ma non lo faranno contro la Kanohi della Vita,
bensì contro di noi. La nostra persuasione sarà la migliore arma allora.
Convinceremo i ribelli a collaborare per noi con le giuste promesse. Fa’ la tua
scelta ora, Toa. Seleziona coloro che credi possano appoggiarti in ogni
momento. Decidi quale gruppo di Toa ti sarà vicino fino alla fine e tutto sarà
rimandato correttamente...”
Il leader dell’Ordine rimase in silenzio prima di scoppiare in una grassa risata.
“FOLLE! CREDI CHE IO ABBIA PAURA DI TE?! POTREI ORDINARE DI
MARCIARE SULL’EST DA UN MOMENTO ALL’ALTRO! TROVARTI SAREBBE
SEMPLICISSIMO!”
Darkness restò ad ascoltare e allo stesso tempo ad ammirare la pazzia di
Helryx. Poi, stanco di sentirla, la zittì così: “Vorrà dire che ci penserà il
Marendar...”
Il primo Toa si ammutolì. Poi, presa nuovamente dalla cecità del potere, gridò:
“Vedremo se oserà toccare la prescelta dalla Ignika!”
Il Maestro sorrise. “Non accadrà infatti. Sarò pronto a godermi lo spettacolo
mentre la pazzia invaderà il tuo corpo lentamente. Il Marendar farà il suo
dovere uccidendo i Toa che combatteranno al tuo fianco.”
“Impossibile! Egli ucciderà anche quelli che saranno al tuo servizio. E’ il suo
unico scopo!”
L’ombrosa figura inclinò la testa come un Rahi incuriosito. “Io sono il
portavoce dei progetti del Tutto. Io sono il solo su questo pianeta a sapere
come attivarlo, e allo stesso tempo come farlo funzionare. Gli unici che
possono fermarlo sono i Grandi Creatori. Farò si che solamente chi è estraneo
al mio gruppo sarà un valido obiettivo da cacciare. Tu invece sarai obbligata a
fare pieno affidamento sulla Maschera della Vita, che ti guiderà nella Realtà del
Creato. Tale è il suo unico interesse. Sei solo un granello di sabbia per lei. In
miliardi attenderanno il vostro arrivo. A quel punto non sarà possibile ridarla ai
Grandi Creatori.”
“Ridarla? Ma... non era Nuiaha ad aver detto ai Nuva che la Ignika avrebbe
regolato il Tutto da quel luogo?”
“E poi? Cosa altro accadrà? Credi che i Grandi Creatori se ne staranno fermi?
Credi che Mata Nui, l’unica programmazione in grado di regolare la Maschera
della Vita, abbia solamente quello scopo? Esso non è altro che una copia del
potere della Ignika attualmente silenziata al suo interno, e che sostituirà la
Kanohi nella Realtà del Creato, mentre quella vera sarebbe tornata in mano ai
Grandi Creatori per i loro sporchi esperimenti.”
“E tu come fai saperlo?”
“Ci vorrebbero anni per raccontarlo. Anche io sono stato in preda al dubbio
per troppo tempo. Se non credi a me, credi almeno alle immagini di una
Maschera della Chiaroveggenza. Quella visione ha parlato chiaro, dandomi
tutte le conferme di cui avevo bisogno. Ora io ti chiedo: non avrebbe senso
abbandonare tutto questo schifo per vivere in pace, lontani da loro, in un
nuovo mondo? Che siano allora i Toa rimasti alla fine a crearlo per noi, con
l’uso combinato dei loro elementi.”
“Allora io farò diversamente!” protestò Helryx con audacia. “Riappacificherò i
Toa con loro portandogli la Ignika di persona. Regneremo al loro fianco fino
alla fine del tempo stesso!”
“E come? Lascerai che la Ignika torni da sola nella Realtà del Creato? Così
facendo non potrai permettere a Nuiaha di attivare Mata Nui e di portare poi
via la Ignika dai Grandi Creatori. Tutto ciò che ha detto ai Nuva è una grande
bugia.”
“E i figli della Ignika? Come reagiranno se lo vedranno allontanarsi con essa
dalla Realtà del Creato?”
“Loro non sanno che Mata Nui sarà la copia che regolerà la Realtà del Creato.
E’ tutto un piano studiato. Lascia che io ti aiuti, Toa. La Maschera della Vita
tornerà in quella realtà in ogni modo possibile. Non puoi evitarlo, ma puoi
rimandarlo... Ti darò la posizione dei Grandi Creatori, ma solo quando il Robot
tornerà in funzione, e soprattutto dopo che avrai trovato un modo per
pilotarlo senza l’uso della Kanohi. Il tempo scorre velocemente però, Toa. Se
non vuoi che il Marendar vi raggiunga prima dell’arrivo, faresti meglio a
sbrigarti...”

Così le ricerche vennero intensificate, arrivando a coinvolgere segretamente un


gran numero di Matoran. Alcuni furono trasformati in Toa grazie al
Marchingegno Whetu, cosicché potessero incrementare i guerrieri dei due
futuri eserciti, i quali avrebbero scelto per chi schierarsi una volta giunti a
destinazione.
Helryx a suo malgrado era molto indecisa. Doveva assolutamente trovare un
luogo dove radunare l’intera popolazione Matoran una volta tornati sul Robot.
Per farlo necessitava di un gruppo personale su cui fare affidamento. Chi
poteva scegliere? Gli agenti dell’Ordine? I Toa rimasti? Nessuno di questi la
convinceva particolarmente. Oltre a ciò si aggiunsero le paranoie sulla
veridicità delle parole di Darkness.
Forse erano tutte falsità. Forse conveniva fidarsi della Ignika, ma così facendo
non ci sarebbe stato modo di tornare indietro e i Grandi Creatori avrebbero
trovato una nuova soluzione per sterminare la razza dei Toa.
Allora perché in privato la Maschera le disse le stesse parole di Darkness?
Certo non si parlò mai di una battaglia finale futura, ma venne comunque a
sapere di questa riunione dei figli della Ignika proprio prima che questa
regolasse nuovamente il Tutto.
In ogni caso, gran parte del Protodermis energizzato, di cui una buona parte fu
consegnata dalle razzie di Darkness in giro per il pianeta, fu concentrato
all’interno del Robot per avviare le prime ristrutturazioni. I dati raccolti dalle
menti più brillanti diedero alla luce delle novità interessanti. Per scelta del
primo Toa, e successivamente di Dume, il quale fu il primo e unico a sapere in
passato del patto con Darkness, non tutte le isole furono ristrutturate. Data la
scarsità momentanea di Protodermis, infatti, ci fu un riciclo dei materiali
insulari presenti per poter creare dei collegamenti tra i cinque futuri
arcipelaghi. Innumerevoli litri furono estratti dai mari di Aqua Magna per poter
coprire tali collegamenti all’interno del Robot.
Cinque erano quindi i guerrieri da scegliere. In futuro ciascuno di loro avrebbe
ottenuto uno degli arcipelaghi ricostruiti da poter pilotare.
Nove mesi più tardi, con la Guerra dell’Unità all’apice, rimase il dubbio sul
luogo da scegliere per poter contenere l’intera popolazione Matoran.
Ma dove trovarlo? La soluzione giunse da un informatore scout originario di
Ga-Koro. Costui informò la Toa che nel bacino del Robot, nonostante una
buona quantità del Mare d’Argento fosse ancora presente, era possibile
intravedere una cupola gigante giusto qualche decina di bios al di sotto del
livello marino.
“Che sia... il Codrex, Helryx?”
Come sentì nominare quella parola, gli ordinò immediatamente di fargli strada
passando per una delle entrate segrete dell’Ordine.
Effettivamente era così: in quel punto il colore delle acque era più chiaro del
solito. Per avere conferma, Helryx tornò cinque giorni dopo con la Ignika fra le
mani, e questa volta un’immensa luce dorata fece brillare la cupola.
Bisognava però capire per quali ragioni la sfera un tempo appartenente alle
paludi di Karda Nui era ancora intatta. Gli studi si concentrarono
principalmente su tale fenomeno e alla fine si arrivò ad una conclusione logica:
il mondo che nutriva il mondo, Karda Nui appunto, non era altro che una
grande sfera all’interno della quale era custodito il Codrex. A giudicare dai resti
sparsi nelle profondità marine, pare che questo involucro esterno sia stato
distrutto poco dopo la morte di Teridax. Ciononostante, c’era già una barriera
esterna invisibile che circondava il Codrex, proteggendolo dalle tempeste
energetiche che avvenivano attorno adesso senza mai danneggiarlo. Sembra
che questa barriera fosse rimasta integra, permettendo al Codrex di risalire
quasi a livello del mare data la minore densità.
Per ordine della Toa, inoltre, molti prigionieri furono forzatamente mandati
come cavie per testare la permeabilità di tale barriera. Cosa ancora più
sorprendente erano i fenomeni naturali che ancora si verificavano al suo
interno generati dalle tempeste energetiche, come i Geyser a mulinello in
grado di trascinare chiunque si trovava sulla superficie marina. Per evitare tali
imprevisti, quando il Robot sarebbe tornato ad essere abitato, Helryx prese
una decisione a dir poco folle: ricostituire un’isola al pari di Voya Nui sopra al
Codrex. Così facendo si sarebbe assicurata la piena segretezza della sfera.
Con una serie di impianti costruiti appositamente nello spazio vuoto dell’isola,
sarebbe stato possibile portare metà del Codrex in piena vista. Ed ecco che
nacque il nuovo Pozzo, all’interno del quale i prigionieri dell’Ordine avrebbero
lavorato giorno e notte per la realizzazione del progetto. Non c’era via di fuga,
poiché la barriera invisibile poteva certamente essere attraversata, ma oltre ad
essa c’era l’abisso assoluto.
Anche il futuro nemico della Toa elaborò il suo piano con il nuovo capo delle
armate di Roxtus, ovvero Nektann. Il Marendar era l’ultima carta da giocare,
anche se le ragioni date da Darkness non erano del tutto chiare. Nel
frattempo, il compito dell’Equilibrio sarebbe stato quello di rapire abbastanza
individui che potessero appoggiare la loro causa, sopratutto i Toa. Dopo averli
addormentati in una capsula di stasi, sarebbero stati immagazzinati per il
risveglio finale sul pianeta dei Grandi Creatori. Numerose furono le analisi
effettuate al corpo di Varian, al momento prigioniera dell’ex Cacciatore oscuro,
per capire quali erano gli effetti della stasi a distanza di tempo.
Nektann però, senza confessarlo a Darkness, non era d’accordo con questa
idea, ma anzi preferiva liberare fin da subito il Marendar. Ovviamente ciò non
era possibile siccome Darkness era l’unico a sapere come attivarlo.
Non pochi furono gli scontri tra gli Hagahkuta e gli Eroi in alcune parti del
pianeta. La Lancia di Rewerax era l’unico mezzo che permise a Makuro e ai
suoi di raggiungere Spherus Magna nonostante il blocco della Realtà del
Creato, che ebbe a sua volta effetto sul pianeta. Gli Hagahkuta dovevano
trovarla a tutti i costi per anticipare Helryx e raggiungere i Grandi Creatori.
Per il momento era un piano di riserva.
Gli Eroi però erano molto forti. Il Quartier Generale sul fiume Skrall stava
diventando sempre più vasto. Nessuno dei biomeccanici ci fece caso. Questo
perché la Guerra dell’Unità tra Agori e Matoran, all’oscuro di Glatorian e Toa,
aveva raggiunto il livello massimo di brutalità. Non era un caso che girovagando
il deserto, negli angoli più remoti del pianeta, fosse possibile trovare centinaia
di cadaveri. Nelle città ci furono solamente risse, le quali erano ormai all’ordine
del giorno. Per volere dell’Ordine ci fu una maggiore soppressione in ogni
centro abitato. Sia esso che l’Esercito di Certavus si dichiararono apertamente
indipendenti dal razzismo che alimentava questa guerra segreta.
Nella prima metà dell’anno glatoriano successivo arrivò una notizia negativa:
Ackar fu spodestato da Raanu nel ruolo di capo dei Villaggi Uniti. Le eccessive
proteste della popolazione, che non si sentiva affatto protetta dai Glatorian,
obbligò il consiglio ad approvare la cessione dell’incarico all’ex leader di
Vulcanus. Ciò non fece altro che aizzare l’odio della guerra, accompagnato
come sempre dal numero di morti.
Tale scelta non fu per niente approvata da alcuni agenti dell’Ordine, in
particolare dai Toa Mahri che andarono subito a farsi sentire dalla Toa
dell’Acqua. La tensione diventò sempre più palpabile all’interno
dell’organizzazione a servizio del Grande Spirito, e ad Helryx non diede alcuna
preoccupazione. Sapeva qual era il suo nuovo ruolo nella storia dei
biomeccanici. La sua lista di guerrieri fidati si fece più ristretta col passare dei
mesi...
154 giorni prima del Risveglio...

“Mi avete mandato a chiamare, Maestro?” domandò Pretorius nella sala


ombrosa del leader dell’Equilibrio.
Nessuno era presente. Tuyet e i Barraki avevano da poco abbandonato la
stanza per un incontro strategico. Il loro leader rimase appollaiato sulle travi
del soffitto a osservare il giovane Toa.
Quando atterrò non fece nessun rumore. Toccò semplicemente la spalla di
Pretorius, che si girò di scatto con la lama in mano. Darkness lo disarmò in un
millesimo di secondo.
“Dobbiamo trovare un’arma adatta a te, ragazzo...”
Pretorius si indispettì facendo colare della lava dalla mano destra. “Ho i miei
poteri elementali. A cosa mi serve la spada? Ad appesantirmi e basta?”
Gli occhi violacei dell’ex Cacciatore oscuro si posarono su di lui come quelli di
un maniaco silenzioso. “D’ora in avanti sì... Sei pronto.”
Il Toa non se lo fece ripetere due volte e si emozionò. “Davvero?! Allora potrò
finalmente mostrarvi la mia fedeltà, Maestro?”
Darkness lo afferrò per le spalle come con un compagno d’armi. “Lo hai già
fatto, e sono certo che lo farai ancora. Prima però ho bisogno che tu faccia un
ultimo passo per me.”
“Qualunque cosa!”
Il Maestro gli camminò attorno tutto silenzioso. “Tu non sei più un Toa...”
Pretorius non capiva.
“Sei un rifugiato di guerra. Uno dei molti che sono stati rapiti dai mercenari al
termine della Seconda Guerra del Nucleo. Tu non sai cos’è l’Equilibrio. Non
conosci Darkness. Non conosci Ahkmou. Non conosci Toa Tuyet, e nemmeno
Nektann. Non hai sentito nessuno di questi nomi in tutta la tua vita. Il tuo
unico scopo è uccidere per rubare, e rubare per arricchirti. L’Ordine non è tuo
amico e neanche tuo nemico. La Stella Rossa non è altro che una sfera
vermiglia incastonata nel cielo per puro caso. Per ultimo, tu sei un Glatorian. I
Toa sono solamente dei servi della potenza mondiale momentaneamente in
vigore. Spetta a te dare un ulteriore segnale per incrementare la guerra civile in
atto. Sei pronto?”
Il Toa alzò il pugno gridando. “SI, MAESTRO!”
Darkness allora si materializzò alle spalle del guerriero, sussurrandogli qualcosa
di tenebroso all’impianto acustico.
“Ora va’. Rendici orgogliosi di avere un figlio come te fra di noi...”
“Toa Kapura, va tutto bene? Mi sembrate pensieroso ultimamente.”
“No, soldato Ruhnga. E’ questa stupida guerra... Non fa altro che distruggere i
pochi ponti che siamo riusciti a costruire dopo la morte di Makuta.”
Lui e altri due guardie dell’Ordine si trovavano a bordo di tre Sand Stalker in
mezzo al deserto. Qualche ora prima ci fu un incontro con Gaardus per
aggiornare i Kestora sulle nuove direttive da parte di Helryx, che furono
gelosamente custodite in forma di tavolette, e che dovevano essere consegnate
senza che nessuno dei missionari le leggesse.
“Mi chiedo quali siano gli ordini del primo Toa...”
“Signore?” si sbalordì uno dei due Ruhnga. “Mi auguro con tutto me stesso che
non abbiate letto le tavole.”
Kapura lo guardò perplesso. “No... Perchè me lo chiedi? Sai per caso qualcosa
che io non so o che non dovrei sapere?”
“No affatto!” sbracciò intimidito. “A dire il vero, me lo chiedo anch’io. Sa’,
speravo che questa missione fosse per salvaguardare dei territori ad est. E’ da lì
che io e il mio compagno qui presente proveniamo. Whe-Nui ci ha accolto
come figli suoi. Mai avremmo pensato che lo Scar Wall diventasse un confine
d’acciaio col solo compito di separare Agori e Matoran.”
“Finiscila, Gzarh. Quella non è più la nostra casa. Non ha più senso
preoccuparsi di questa futile guerra. Sono sicuro che i Kestora faranno la loro
parte. Io e te siamo solo delle pedine per gli agenti dell’Ordine. A sto punto
dico che è giusto così... Non si torna più indietro.”
“E i nostri amici?! Li abbandoniamo così? Toa Kapura, non potete convincere
qualche tenente ad assegnarci nel Creep Canyon? Lasciate che anche noi
possiamo avere la nostra voce in capitolo!”
Il Toa del Fuoco non sapeva come rispondere. “Sono un Toa qualunque,
soldato. Come pensate che possa cambiare la situazione?”
L’altro Ruhnga, frustrato, accelerò il passo del suo Sand Stalker ponendosi
dinanzi agli altri due. Poi estrasse il suo lanciatore e caricò il colpo, puntandolo
in direzione del Toa.
“Cosa diamine fai, Karg?! Abbassa subito quell’arma!”
La mano gli tremava. Metà di lui era pronta a sparare, spinto dall’ideale di
rivoluzione contro Helryx che lo assalì nell’ultimo periodo.
Piangendo disse: “Come puoi difenderlo, Gzarh?! Cosa hanno fatto i Toa per
tutto questo tempo?! Perchè la giustizia ha smesso di cantare?! PERCHÉ
PROPRIO ADESSO?!”
“Calmati, Ruhnga. Cerca di ragionare.”
“QUINDI?! CHE DOVREI FARE, EH?! UCCIDIAMOLO, GZARH!
UCCIDIAMOLO E TORNIAMO DAI NOSTRI FRATELLI E DALLE NOSTRE
SORELLE. PONIAMO FINE ALLA GUERRA NEL CREEP CANYON,
INSIEME! IL NOSTRO VERO NEMICO RISIEDE A NUOVA DAXIA!”
“Torna in te, soldato! Ricorda chi servi veramente! Ricorda da che parte sta il
nostro Destino!”
“TACI, SERVO DI HELRYX! IO LO SO COSA FARETE. QUANDO IL
VOSTRO NUMERO SARA’ SUFFICIENTE, RICEVERETE L’ORDINE DI
AMMAZZARCI TUTTI, ME LO SENTO!”
Kapura era senza parole. Anche con il minimo movimento si sarebbe beccato il
colpo in piena testa. All’improvviso sentì l’Onu-Matoran Gzarh accasciarsi su di
lui.
“Che stai facendo?!” esclamò, ma la prima cosa che notò era una doppietta di
coltelli ficcati nella schiena del Ruhnga.
Karg cambiò la mira impaurito. “Ci hanno trovati...”
“Chi ci ha trovati, Matoran?! Parla, per Mata Nui!”
Karg si guardò alle spalle continuamente in preda all’ansia. Era in affanno. “Quei
maledetti Agori! Danno la caccia a qualunque Matoran si aggiri nel deserto.
Siamo in un campo minato adesso. Non c’è via di fu-”
ZACK!
Chiunque fosse il nemico aveva appena mancato il bersaglio. Toa Kapura si
lanciò in tempo sull’Onu-Matoran.
Col respiro pesante, Karg lo ringraziò.
“Non ringraziarmi...” ribatté il Toa del Fuoco mentre recuperava fiato.
“Pensiamo ad andarcene da qu- COUGH! COUGH!”
Una ferita piuttosto profonda gli impedì di continuare. Se non altro Karg era
salvo.
L’Onu-Matoran non sapeva cosa fare. Aveva l’occasione di lasciarlo morire in
mezzo al deserto senza che nessuno lo sapesse. Il nemico era vicino.
Così cedette alla paura, e se ne andò saltando in sella allo Sand Stalker.
Qualcosa però non andava: non riusciva ad alzare il piede destro per montare
in sella.
“Cosa?! No! No, no, NO!”
Delle radici sabbiose gli stavano impedendo di scappare.
“Kapura, aiutami ti prego!” ma non c’era nulla che il Toa del Fuoco potesse
fare. Forse era giusto così.
Il corpo del Matoran urlante fu sepolto dalla sabbia stessa col passare dei
secondi. L’unica fonte sonora divenne il vento del deserto. Gli Sand Stalker
riuscirono a scappare. Toa Kapura era completamente solo, con una lesione
grave.
Per contrastare la perdita di liquido, provò a sigillare il taglio con l’utilizzo dei
suoi poteri.
“Hai poche probabilità di vita, lo sai?” sentì da dietro.
Non si voltò. Non poteva nemmeno parlare. Iniziò a strisciare come un
serpente nel vano tentativo di fuga dal suo aggressore.
“Se avessi la possibilità, ti annegherei immediatamente. Farei entrare tutta la
sabbia qui attorno all’interno dei tuoi polmoni fino all’esplosione.”
“Taci ora, Devastator.” udì un’altra voce, più rauca della precedente.
Le forze del Toa si stavano dissipando lentamente. Non gli restava che
ascoltare cosa avevano da dire i suoi due aggressori, ma ecco che si aggiunse
un terzo.
“Dammi le manette, Devastator. Se faremo in tempo, riusciremo a guarirlo.”
“No.” rispose secco un altro dei due. “Devastator, tu va’ pure.”
“Cosa? E come farete a portarlo alla base?”
“Non ha importanza. E’ un ordine.”
“Va bene, Nektann, vado subito.”
Toa Kapura aveva già sentito quel nome. Scavando più a fondo nella sua
memoria, si ricordò delle gesta raccontate da Tahu il giorno in cui Teridax
morì.
“Hai intenzione di usare i poteri dell’Essere dorato, Nektann?!” chiese l’altro
sconosciuto rimasto con lo Skakdi, spaventando Kapura.
“Al momento non riesco. Ho ancora dei problemi a controllarlo. Ma anche se
avessi potuto, non lo avrei fatto...”
“E perché?”
Nektann ghignò. “Voglio che tu lo uccida.”
“Ma Darkness mi ha detto di cattura-”
“Io non sono Darkness, e lui non è qui. Sono io che te lo ordino, Pretorius.”
“Non lo farò!” protestò. “Se vuoi ammazzarlo come tutti i Toa che hai rapito,
o meglio, che avresti dovuto rapire fino adesso non c’è problema! Ma dovrai
vedertela col Maestro!”
Intanto Kapura restò ad ascoltare. Stava raccogliendo forse a sufficienza per
girarsi.
“Tu sei uno di loro, Pretorius, è ben diverso. Non vorresti essere l’ultimo Toa?
Per quali ragioni uno come Darkness dovrebbe rapire dei Toa se ha a
disposizione quella macchina in grado di ucciderli tutti in poco tempo? Sono
destinati a morire, Pretorius! Ma non tu... Tu sei l’unico Toa che davvero ha
capito da che parte stare.” e lo aiutò a prendere la mira.
La mano del guerriero smise di tremare.
“Cosi, bravo... Senti come la sua vita diventa meno pesante.”
Kapura trovò il modo di voltarsi a pancia in su. Respirava irregolarmente. Dalla
sua bocca sgorgava liquido vitale.
“SONO ARRIVATI!” corse Devastator. “Legioni di Ruhnga diretti verso di noi.
C’è un agente dell’Ordine alla guida. Probabilmente la loro meta è verso quella
direzione.”
“Iconox?” suppose Nektann. “Va bene allora. Devastator, seguimi. Creerò
un’illusione che gli impedirà di attraversare questo punto. Spero solo che
funzioni...”
I due Toa furono lasciati soli.
Pretorius non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Kapura era privo di
espressione. Il dolore lancinante parlava al posto suo. Tra non molto avrebbe
perso i sensi.
Poi alzò la mano, in richiesta di aiuto. “Aiut-tami... f-fratello...”
Piangendo, Pretorius rispose infuriato. “Non osare chiamarmi così... Io e te
non abbiamo nulla in comune! Tu sei servo di una sporca organizzazione che
intende mettere in ginocchio chiunque. Io servo la verità!”
Prese la mira, dopo aver caricato il colpo per l’ennesima volta.
Kapura lasciò cadere la mano esausto. Era pronto ad andarsene. Avrebbe
voluto vivere combattendo di più per la sua gente. Voleva avere un
riconoscimento in futuro, per aver contribuito, forse, alla fine della guerra in
corso.
Pretorius abbassò nuovamente la mira, convinto che quella non era la cosa
giusta. Il motivo però era dettato dal suo vile egoismo. Decise perciò di non
ucciderlo, per non mettersi contro Darkness. Non gli importava di fare fuori
un Toa qualsiasi.
Infine fu costretto a dare una risposta: “Pretorius, muoviti! L’illusione di
Nektann sta per cedere! Se non ce ne andiamo, rischiamo di farci vedere dai
Ruhnga. Non possiamo permettercelo proprio ora!”
Il guerriero creato dalla Stella Rossa li raggiunse al volo.
“Allora? L’hai ucciso?” domandò lo Skakdi, mentre Devastator li fece insabbiare
nelle dune per mimetizzarli.
Mentì spudoratamente: “Si... si, Nektann...”

Al loro ritorno, il leader dell’Equilibrio non reagì positivamente. Era a un passo
da mettere le mani su un Toa dotato di poteri unici della Stella Rossa. Volendo
avrebbe potuto effettuare gli esperimenti su Pretorius, ma più volte gli disse
che il suo compito sarebbe stato un altro.
“Ecco com’è andata, Darkness.” spiegò Nektann. “In realtà Pretorius ha ferito
il Toa...”
Pretorius squadrò subito lo Skakdi, credendo che lo stesse diffamando.
“Ma vedi... c’è stato un arrivo improvviso di Brutaka e alcuni Ruhnga diretti
verso le terre di Quarzo bianco.”
Darkness si spostò lentamente verso destra, avvicinandosi a Devastator. “E’
vero quello che dice?”
Il Cacciatore oscuro, che più volte disse di non sapere nulla, affermò quanto
detto da Nektann.
Un sorriso malizioso si stampò sul volto dello Skakdi. Tuyet, presente
all’incontro, era schifata dal marcio metallico che era insediato fra i suoi denti.
“Guarda caso hai approfittato del mio incontro segreto per avere la certezza
che non potessi assicurarmene personalmente materializzandomi dalla vostra
ombra, giusto, Nektann?”
“Se questa è la tua idea, Darkness, faresti meglio ad avere l’aria come alleato.”
ridacchiò sicuro di sé. “Il ragazzo ha fatto la sua parte. Cosa volevi che facesse?
Vuoi farti scoprire così, Darkness? Sei convinto di poter combattere l’Ordine
proprio adesso? A quest’ora quel Toa sarà bello che morto, com’è giusto che
sia.”
“No, non ti credo...” sospirò tenebroso. “Okoth, manda il gruppo di Korin a
setacciare la zona. Se quel Toa è ancora vivo, Nektann, farò sì che egli possa
ucciderti come vuole. Lo stesso vale anche per te, Pretorius...”
Il messaggio giunse a Korin, capo di un gruppo Fe-Matoran. Per non farsi
riconoscere da nessuno, sfruttarono le cappe oscure donatagli da Darkness
quando furono mandati sulla Stella Rossa prima della seconda guerra nucleare.
La ricerca del corpo di Toa Kapura, non più presente nel luogo in cui avvenne il
tentato omicidio, proseguì fino alle porte di Vulcanus. Sfruttando i loro
mantelli in grado di donargli un’espressione deforme, seguirono le tracce
giungendo infine all’abitazione di una giovane Agori di nome Rubix. Le ferite
del Toa parlavano chiaro: fra qualche giorno sarebbe morto, se non addirittura
prima.
Il leader dell’Equilibrio, una volta venuto a conoscenza di ciò, si rinchiuse per
elaborare un piano d’emergenza. Ci pensò giorno e notte, mentre i suoi adepti
portavano a termine i loro compiti.
E alla fine anche lui, come i milioni di esseri viventi che popolavano Spherus
Magna, avvertì il terremoto che segnava l’inizio del Risveglio.
Da quel giorno in poi si fece tutto in discesa...
Aspettava una notizia da parte di Toa Helryx da un momento all’altro. La sua
impazienza crebbe maggiormente al punto tale, un giorno, da sguinzagliare
tutto ciò che aveva a disposizione: dalle creature di Rewerax della Realtà del
Creato ai Baterra confiscati dai magazzini di Tajun, all’interno dei quali l’Oscuro
li fece rinchiudere in passato.
Gli Eroi del Quartier generale sul fiume Skrall sopperirono, assieme ad Iconox
e al Creep Canyon. Molti morirono. Non c’era modo di contenere la rabbia
dell’est. Questo perché Darkness si sentì preso in giro dalla Toa a capo
dell’Ordine. Non cercò nemmeno un incontro privato. Semplicemente preferì
colpirla nonostante la potenza bellica nettamente inferiore.
Per Helryx era un chiaro messaggio di levare le tende ed abitare il Robot il
prima possibile, anche se questo non era ancora in grado di lasciare il pianeta...
Oggi...

“Eccola, ragazzi.” avvertì Whenua. “Su quell’isola ci attendono Tobduk e


Mazeka.”
Era notte fonda. Le acque del Mare d’Argento per una volta erano tranquille, e
non tempestose come il giorno in cui naufragarono su una Metru Nui in mano
a Roodaka e Sidorak.
Nokama fra tutti si chiese se tornare da Artakha fosse la strada giusta, invece
di cercare questo individuo/soluzione che i Toa stavano cercando di costruire
per contrastare i poteri del Marendar. Alto era il livello di mistero che si stava
muovendo fra le varie isole. Piccola invece era la loro importanza in quel
mondo, se messi a confronto con le centinaia di dinamiche che stavano
decidendo il futuro della loro specie.
“Non vedi niente, Nuju? Ne sei sicuro?”
“Insomma perché me lo chiedi con tanta insistenza, Onewa?! Sarà la ventesima
volta! Vuoi che ti regalo la mia Matatu?!”
“Ehi, calmatevi!” li separò Nokama.
Vakama e Whenua arrivarono dalla prua della piccola imbarcazione, guidata da
Matau.
“Che sta succedendo qui?” alzò la voce il leader del gruppo.
Onewa rispose guardando Whenua. “Non c’è più la flotta dell’Ordine! Com’è
possibile?”
“Ne sei sicuro?”
“E’ così, fratello. E se Helryx avesse deciso di...?”
“Non perdiamo ulteriore tempo.” disse Vakama. “Lo scopriremo di persona
quando incontreremo Tobduk e Mazeka.”
“Sempre che siano ancora lì...” ipotizzò l’ottimismo di Onewa.

Fecero il giro dell’isolotto, cercando il punto dal quale Whenua e Onewa
partirono a bordo del Falcone guidato da Varises. Il promontorio che crollò
sopra il porticciolo nascosto nella caverna era sprofondato quasi del tutto. Per
loro fortuna i due servi del Grande Essere erano ancora lì.
“Un momento...” fermò l’avanzata della barca Nuju, ordinandolo a Matau.
Ingrandì la lente, dopodiché disse: “Li vedo. Ci stanno invitando a raggiungerli
coi gesti. Sembrano frettolosi.”
“Fa’ come dice, Matau!” alzò il braccio Nokama.
Quando arrivarono, non ebbero nemmeno il tempo di fermarsi. Il guerriero di
Nynrah gridò a bassa voce: “Scendete subito! Nascondete la barca!”
“E come diamine raggiungiamo l’isola di Artakha?” domandò Matau.
“Fate come dice! Whenua, Onewa, create delle rocce che possano far
sprofondare la barca. Ci penserà Nokama a recuperarla più tardi.”
Dopo averlo fatto, si nascosero nella rientranza in cui si trovavano i due ex
agenti dell’Ordine, ed attesero in silenzio per un paio di minuti.
“E’ bello rivedervi, Toa.” sussurrò Mazeka. “Speravo vi faceste vivi prima.”
“Non è stato facile raggiungervi.” ribatté Whenua. “La nebbia del Continente
meridionale ha allungato il nostro ritorno.”
“Zitti. Non. Muovetevi.” disse all’improvviso Tobduk, immobile come un sasso.
Nessun nemico in vista. La foschia era troppo fitta e il fatto che fosse ancora
notte di certo non li aiutava.
Nokama abbassò lo sguardo. Le onde stavano sbattendo contro gli scogli con
maggiore violenza. Gli sembrò di vedere qualcosa o qualcuno muoversi in
mezzo all’acqua. Poi tutto si oscurò. La luce delle due lune, nonché i due soli
del Robot, era scomparsa all’improvviso. Qualcosa dalle dimensioni incalcolabili
si era interposto tra essa e gli alleati di Artakha.
Stava scorrendo verso la loro sinistra, come se fosse una lastra gigante. In
realtà era diretta verso sud-est.
Dovettero passare all’incirca due minuti prima del ritorno della luce notturna.
Tobduk tirò un sospiro di sollievo. “Per poco...”
“Cos’era quella cosa?” domandò Matau mentre lui e i suoi fratelli erano
bloccati sulla sporgenza che conduceva alla rientranza.
“Una nave dell’Ordine.” spiegò Mazeka. “Helryx ora si è focalizzata
interamente sul bacino del Robot, anche se non sappiamo ancora per quali
ragioni. Non abbiamo avuto il tempo, a dire il vero.”
“Quindi ora la strada verso l’isola di Artakha è libera?”
“Pare di sì, Vakama.” rispose Tobduk. “Sbrighiamoci. Non vorrei che qualche
pattuglia fosse rimasta per farsi una gita nelle acque dorate.”
“Aspettate qui allora...” parlò Matau prima di tuffarsi in picchiata aprendo le
proprie ali.

“Non c’è nessuno. Tuttavia, non ricordavo che i colori dell’isola del Grande
Essere fossero così spenti...”
“Si... vi spiegheremo tutto quando saremo arrivati.”
“Bene allora.” si mise nella classica posa da guida Vakama. “Recuperiamo la
barca e andiamo!”
“Hai così poca fretta, Toa del Fuoco?” chiese ironicamente Mazeka mentre si
sporse guardando la cima del promontorio. “D’ora in avanti non solcheremo
più le acque che ci separano da Artakha...”
Ed ecco che i due Falconi che portarono i Toa al tempio si affacciarono.
“Seguiteci.” disse il guerriero di Nynrah. “Io e Mazeka abbiamo incavato questo
sentiero nella roccia per raggiungere i due Falconi quando dovevamo metterci
in contatto con Varises.”
“E’ ancora al servizio di Artakha?” si stupì Nuju, coltivatore del pensiero come
lo stesso servo.
“Farai le tue domande quando saremo al cospetto del Grande Essere.” lo
rimproverò Vakama, che improvvisamente era di un altro umore.
L’emozione di rivedere Artakha si fece sentire, ma allo stesso tempo bolliva in
un fiume di collera per tutti i misteri che furono celati fino a quel momento.
Le due creature dorate vennero custodite in una larga grotta senza tetto, dal
quale degli spiragli di luce si tuffavano verso l’interno. C’era una piccola scala in
pietra più sulla sinistra. Conduceva sulla cima del promontorio, dalla quale era
possibile intravvedere Artakha e anche altre isole, come i resti di Destral.
“Il quartier generale dei Makuta...”
“O quel che ne rimane, Nokama.” corresse l’ex spia dell’Ordine. “Molti
appezzamenti insulari sono stati riutilizzati in passato da Helryx per costruire
qualcosa di più grande per tutti quanti. Troppe erano le motivazioni che ci
spinsero a non dubitare delle sue scelte...”
Tutti e otto restarono per qualche minuto a osservare le antiche bellezze che il
Robot poteva fornire, distrutte dalle fiamme della nuova creazione per mano
del capo dell’Ordine.
“E’ tardi per i rimpianti.” intervenne Matau. “Mi sono stancato di fare sempre
lo stesso errore guardandomi alle spalle. I fantasmi del passato e le
preoccupazioni per il futuro non porteranno mai nulla di positivo. Se solo fosse
così facile concentrarsi unicamente sul presente...”

Varian e Norik erano sicuramente entusiasti di rivederli in buona forma, ma
allo stesso tempo inquieti per le condizioni di Artakha. La nuova orrenda
notizia non li fece di certo gioire...
Fu Varian a dirglielo: “Lui... sta morendo...”
I sei rimasero a bocca aperta. Ne stavano capitando di tutti i colori.
“Come fate a saperlo?! Si può rimediare? Cosa possiamo fare?!”
“Quietati, Vakama!” gridò l’Hagah del Fuoco. “Egli vi spiegherà tutto. E’ ancora
in grado di parlare fortunatamente...”
Bomonga giunse da uno dei corridoi della fortezza, che ormai conosceva a
memoria. La situazione era talmente preoccupante che non ebbe nessuna
reazione quando vide i sei Metru. Andò diretto al punto parlando con Norik.
“Siamo pronti.”
“Bene, fratello. Attendimi con Pouks nell’anello superiore.”
Vakama e gli altri erano stupiti dall’indifferenza con la quale Bomonga trattò la
loro presenza.
“Venite con me ora. Non vi separate per nessun motivo, intesi? Questo luogo
è tanto magnifico quanto pericoloso. Varian, porta Tobduk e Mazeka dai
risolutori Waahi. Non abbiamo tempo da perdere.”

La stanza del Grande Essere perdeva colore man mano che ci si avvicinava al
trono. La magia lucente che infestava l’isola stava perdendo di brillantezza e
potere col passare dei giorni. Era uno spettacolo troppo triste da vedere. Una
chiara rappresentazione materiale di come il dramma stava regolando la vita
stessa.
Varises era vicino al suo padrone, più disperato che mai.
“Artakha!” corsero i sei Toa. Vakama si inginocchiò quando incrociò gli occhi
poveri di speranza del Grande Essere.
Il servitore si distaccò per accoglierli con la sua solita diligenza. “I giorni di
Artakha stanno giungendo al termine, Toa Metru. Il suo corpo ci sta lasciando,
ma il suo spirito è ancora forte. Molte volte ha tentato di far ritorno coi suoi
poteri dalla Realtà del Creato. Nulla da fare... Anche i Nuva stanno cercando in
ogni modo di sbloccare il mondo che fu. I Grandi Creatori sono irrintracciabili.
Nuiaha si rifiuta di chiamarli finché non arriverà la Ignika. Ora basta. Siamo
pronti a tutto. Gli Avokh tenteranno in ogni modo di raggiungere il processore
di Mata-Metru!”
Whenua corse sulla balconata della fortezza senza dire nulla. I cinque fratelli lo
raggiunsero.
Un maestoso mantello dorato di guerrieri Avokh era pronto per l’avanzata
finale. Le ultime imbarcazioni furono collaudate. I tre Hagah avrebbero
finalmente abbandonato quel mondo gioioso, diventato però una vera e
propria prigione.
“Se non facciamo ritorno nella Realtà del Creato prima che il corpo di Artakha
si spenga, resteremo imprigionati in questo mostro meccanico fino alla fine dei
nostri giorni. Nessuno verrà a prenderci. Artakha deve necessariamente
inserire le coordinate per far ritorno da Nuiaha, a meno che non sia la Ignika
stessa a farlo. Non c’è altra scelta. Helryx si è affidata pienamente alla guida
della Kanohi della Vita, eppure la direzione del Robot sembra un’altra...”
“Basta con le s-spiegazioni, Varises...” si sforzò di parlare il Grande Essere.
“Dobbiamo agire... Toa Metru, ecco la Vahi. Unitevi a no-”
“NO!” cacciò un urlo Vakama. “Noi non siamo tornati per fare quello che vuoi
tu, Artakha. Siamo avuti per avere delle risposte. Daccele, se vuoi veramente
dare valore a quella macchina in cui ci hai imprigionati per non so quanti anni!”
Gli altri Toa erano d’accordo, anche se rimasero intimoriti dalla rabbia del loro
leader. Artakha capì che tutte quelle contromisure non avrebbero portato
risultati probabilmente. Forse era tutto frutto della sua fretta accecata.
“Cosa dovrei dirti, Toa?” disse perdendo il suo carisma da essere
sovrannaturale. “Credi che sei l’unico a non sapere da che parte guardare?
Credi che questa mia scelta sia l’opzione che avrei voluto?”
“Siamo noi la tua opzione, Artakha. Sai meglio di noi che sarà una strage là
fuori. Ma dovrai dirci tutto ciò che sai... tutto quello che non ci hai potuto dire
quel giorno.” parlò Whenua.
Matau dentro di sé era più furioso di dieci Tobduk. Guardando in basso
sussurrò, alzando pian piano la voce. “Dicci cosa dobbiamo fare e facciamola
finita. Ne ho abbastanza di tutto ciò. Se potessi, vi lascerei tutti qui a marcire!”
“MATAU!” gridò Nuju.
“No, è comprensibile. Speravo che avreste agito diversamente. Ero convinto
con tutto me stesso che avreste potuto ridare speranza ai Matoran di questo
mondo indirettamente, e che essi si sarebbero potuti rivoltare definitivamente
contro la Toa dell’Acqua. Avreste dovuto ricostruire le loro Kanohi
danneggiate. Avresti dovuto farlo tu, Vakama. Mata-Metru sarebbe stata poi
l’ultima tappa, all’oscuro di Helryx, del Marendar e infine di questo Equilibrio.
Avrei voluto essere io a darvi il potere necessario per tornare Toa, ma la
chiusura della Realtà del Creato me lo ha impedito, obbligandomi ad attendere
l’arrivo di un gruppo Toa della Stella Rossa che potesse farlo, senza che Helryx
venisse a saperlo.”
“Perchè mai? Mica eri in buoni rapporti col leader dell’Ordine quando ci
furono le immigrazioni all’interno del Robot? Perchè ci hai rapito?”
“La visione di Gaaki, Toa della Terra, ecco perché.” interruppe Varises
frettoloso. Stava riavendo lo stesso atteggiamento sospettoso che ebbe mesi
prima dinanzi a Whenua e Onewa. “Avevamo bisogno di tempo per capire
come si sarebbero mossi i venti. Così abbiamo atteso, osservando i movimenti
di Helryx. Nel frattempo continuammo con la costruzione della macchina per
l’uso mirato della Vahi...”

In quello stesso momento, Takanuva, Lesovikk e Uxis avevano raggiunto il
quarto villaggio ricostruito dai sopravvissuti. Fu edificato in una delle poche
montagne che non furono miracolosamente erose dalla partenza del Robot.
Takanuva (ma anche Lesovikk) era piuttosto nervoso. Più si avvicinava al
villaggio e più gli saliva l’ansia di dover rincontrare la sua gente, temendo che
anche solo uno di loro potesse inveirgli contro per averli abbandonati senza
dire nulla. Stranamente però non c’era nessuno.
“Dove sono tutti, Agori?” domandò Lesovikk.
Non fu calcolato.
“Mi stai ascoltando?” insistette.
Uxis si fermò di colpo. Non poteva andare avanti a nascondere la verità. Alzò il
dito, indicando una caverna posta a una cinquantina di bios dal suolo. C’era una
scala incavata nella roccia grazie alla quale era possibile raggiungerla. “Lassù,
Toa. Lì dentro c’è la ragione per cui abbiamo deciso di riunirvi.”
“Con chi?” disse Lesovikk mentre Takanuva ascoltava silenzioso.
Uxis prese un oggetto sferico dalla sua cintura, dopodiché lo attivò. Questo
emesse un suono metallico ripetitivo che si espanse sempre di più. Lo tenne
accesso per un po’ prima di spegnerlo.
“Fate silenzio ora.” parlò a bassa voce. “E ascoltate...”
Dopo qualche attimo sentirono la risposta dell’interlocutore di Uxis, che
utilizzò lo stesso metodo comunicativo.
“Non sembra lontano da noi.” suppose Lesovikk.
Raggiunsero immediatamente la fonte del suono, avvistando un gruppo di
guerrieri Glatorian da lontano. Uno di questi aveva in mano con sé una copia
dell’oggetto sferico di Uxis.
“Ben fatto, Giriah.” si complimentò l’Agori quando arrivarono. “A quanto pare
ha funzionato. Temevo fosse più difficile da utilizzare.”
Takanuva non ebbe il tempo di realizzare che Uxis aveva detto il falso pur di
farsi seguire. La Glatorian di Iconox era accompagnata da Kiina, Tarix, Kizu,
Tama di Gelu, e per ultimo Ackar.
Non ci fu nemmeno un saluto cordiale tra i due fronti...
“Che significa tutto questo?!” domandò il veterano.
Giriah rispose formalmente. Sia lei che Uxis si aspettavano una reazione simile.
“Dopo la partenza del Toa della Luce dal nostro rifugio, io ed Uxis ci siamo
messi immediatamente sulle sue tracce. I giorni sembravano non terminare.
Abbiamo visto da vicino gli effetti di quella mostruosa catastrofe, senza però
accorgerci che in realtà non eravamo soli...”
Ackar incrociò le braccia. Takanuva e Lesovikk si guardarono subito, pensando
alla stessa cosa.
“Un mantello bruno e stropicciato, avvolto attorno a un corpo debole e
anziano.” disse Uxis. “La sua conoscenza però va ben oltre la nostra
immaginazione. Forse dopo tanto tempo ne abbiamo trovato uno di loro...”
Una folata d’aria afosa accompagnò lo stupore dei presenti.
“E’ lì dentro che ci aspetta. Nonostante le sue condizioni pessime, mi ha detto
in piena tranquillità che noi abbiamo bisogno di lui...”

“E come pensate di attaccare Helryx con questa armata?”
“Non come, Toa Nokama, ma dove.” ribatté accuratamente Artakha. “Voya
Nui non ha ancora un vincitore dalla sua ultima battaglia. Il Codrex custodisce
in realtà un potere che deve essere difeso ad ogni costo dai suoi servi. Esiste
un marchingegno, fatto costruire apposta dal primo Toa al suo interno.
Tuttavia, la sua funzione ci è ancora sconosciuta, motivo per cui abbiamo
attaccato l’Ordine il giorno in cui il Robot partì da Spherus Magna. Dobbiamo
ancora scoprire di cosa si tratta. Forse potrei tentare di invertire l’energia
planetaria rivolgendola contro Helryx...”
Vakama ebbe un flusso infinito di pensieri nella testa. Probabilmente era l’unico
a essere dalla parte di Matau: loro non dovevano trovarsi lì. Avrebbero dovuto
abbandonare quella responsabilità tossica che li stava corrodendo. Il loro
dovere, come un vero Toa, era la protezione dei Matoran ad ogni costo.
Dovevano scappare dalle interiora del mostro meccanico, ma per farlo
avrebbero dovuto recuperare anche i Matoran imprigionati su Mata-Metru.
Anche senza volerlo, dunque, sarebbe tutto finito nell’isola che un tempo
chiamavano casa.
“Va bene allora. Useremo la Vahi. Voi nel frattempo aspetterete qui. Noi sei
troveremo un modo per assalire la cupola.”
“Morirete, Vakama!” protesto Varises. “I nostri nemici saranno ovunque
quando la grande cupola verrà attaccata. Avrete bisogno di un’armata che vi
possa permettere di avanzare!”
“Non sarete voi a farlo. Ci penserò io.”
“E come pensi di fare, eh? Siamo noi ad avervi ridato queste sembianze! La
visione di Gaaki ha parlato chiaro. Se siete qui è per una sola ragione!”
Il Toa del Fuoco gli si avvicinò. Nessuno osò intromettersi. “Whenua e Onewa
hanno detto che Helryx non sta viaggiando verso la Realtà del Creato, giusto?
Noi quindi dovremo reindirizzare il Robot, dico bene?”
“Si... Non capisco dove vuoi arrivare.” disse Artakha.
“Noi sei non prenderemo nessuna di queste due folli strade. Entrambe
comprometterebbero il benessere dei Matoran. Vi aiuteremo a raggiungere la
grande metropoli, ma a quel punto smetterete di fare affidamento su di noi.
Potrete fare quel che vorrete col Robot. Noi torneremo su Spherus Magna
con i Matoran.”
“Non potete. C’è una cosa che dovreste sapere...”

Lesovikk era impazzito. Kizu era stato colpito in volto dal Toa, dopo aver
tentato di calmarlo. Provò una sensazione spaventosa, che gli fece pensare ad
un solo individuo, senza dirne il nome.
“Non proseguite!” avvertì continuamente. “Io ho capito chi c’è lì dentro! Ho
sentito il suo potere! Sarà la fine per tutti noi se lo ascolterete!”
Fu ignorato, soprattutto da Takanuva che aumentò il passo per raggiungere la
cima della scalinata in roccia. Poi restò a fissare l’interno della caverna a lungo,
cercando di distinguere lo straniero di cui parlava Uxis. L’acqua cadeva
irregolarmente dalle stalattiti che spiovevano dal soffitto. Una di queste iniziò a
muoversi, cambiando aspetto.
Il Toa si mise subito in guardia brandendo la sua falce. “Mostrati alla luce!”
Con l’eco di sottofondo, ricevette una risposta: “Forse quella del sole è l’unica
rimasta pura...”
Uxis giunse sul posto per impedire a Takanuva di commettere qualche stupido
errore. “Fermo! E’ lui, Hauran...”
Il Toa aveva già sentito quel nome. Era stato Jaller a parlargliene. “Sei un
Grande Creatore?”
“Che c’è, hai paura?” rispose mentre Uxis fece di tutto per non far partire una
lite. “Senti per caso la vendetta impossessarsi del tuo corpo ora che il
Marendar sta facendo stragi tra i tuoi simili? Eheh!”
Inaspettatamente, Takanuva lasciò cadere la sua falce inginocchiandosi. Chiuse
le mani, stringendo la sabbia che riuscì a raccogliere da terra. Hauran non capì.
“Tutto questo tempo passato a cercarvi... a scoprire chi foste veramente e per
quale ragione mi creaste...”
“Tsk! Credi di essere speciale? Sei solo un Av-Matoran come molti altri, che ha
avuto la fortuna di diventare un Toa della Luce.”
“Non ascoltare quello che dice, Takua. Ricor-”
“Takua?!” esclamò Hauran. “Non ci posso credere, eheh!”
Uxis era stupefatto del modo con cui i due si stavano fissando. “Ehm... quindi
voi due... vi conoscete?”
“Certo, Agori. Quello che hai davanti a te è il primo prototipo del progetto
Matoran. Solo non mi sarei mai aspettato di rivederlo così e soprattutto nei
panni di un Toa... Tu e il Toa dell’Aria siete gli unici della vostra specie ad
essere rimasti su questo pianeta. Non vi resta molto tempo ormai...”
Ackar e gli altri Glatorian arrivarono. Ovviamente avevano già ammirato
l’aspetto di un Grande Creatore in passato, ma mai avrebbero immaginato di
rivederlo in quelle condizioni.
“Adesso, Hauran, spiegaci tutto.” andò diretto l’Agori di Wai-Nui.
“Che cosa vuoi sapere, eh? Che state per morire tutti e nemmeno vi state
accorgendo?” si mise a ridere.
Kiina, la quale provava ancora rancore per i Grandi Creatori, reagì con rabbia:
“Non fai altro che alimentare l’odio che tutta Bara Magna ha nutrito per voi
finora!”
Hauran la guardò serio per un attimo prima di fare un’altra risata. “Ottima
mossa, devo dire. Davvero un ottima mossa. Mettere i propri stupidi
sentimenti davanti al benessere dei pochi rimasti. E’ la tecnica migliore che
potessi scegliere, Glatorian.”
“Basta!” si irritò Ackar. “Dicci quello che sai. Perchè secondo te moriremo?”
Il Grande Creatore si appoggiò ad una stalattite prendendo fiato. “Questo
mondo, Glatorian, sta per esplodere sotto ai vostri piedi...”

“Esploderà?!” esclamò Onewa.
“Una quantità troppo grande di Protodermis è stata prelevata dal nucleo del
pianeta per essere riutilizzata nel Robot. Avete dimenticato dell’abbassamento
del livello dell’acqua nei mari di Aqua Magna? E’ tutto collegato. Servirebbe
un’energia elevata per ripristinare l’aspetto iniziale. Ormai anche quel pianeta è
diventata una macchina robotica.”
“E se... se riportassimo il Robot su Spherus Magna?” pose la questione assurda
quanto bizzarra Matau.
“Sarebbe troppo tardi.” ribatté il Grande Essere. “Già prima della partenza
stava mostrando qualche segnale di cedimento. Avreste bisogno di un mezzo
più leggero e veloce per tornare sul pianeta, giusto in tempo per salvare
Takanuva e gli altri sopravvissuti. Fareste meglio a lasciarveli alle spalle, o
sperare per assurdo che possano trovare un modo per fuggire...”

“E come?”
“Se non erro il Toa della Luce e dell’Aria sono già al lavoro. Una nave che ci
permetterà di scappare da questa feccia deserta. Ecco la vostra unica via di
fuga.”
Ackar era senza parole. Le parole di un Grande Creatore stavano dando corda
alla pazza idea che Takanuva ebbe alcuni mesi prima.
“Ma io... io non l’ho ancora ultimata, Hauran... MALEDIZIONE!” rispose
proprio costui.
“Abbiamo cercato ovunque, in ogni laboratorio. Questa chiave ci doveva
tornare utile per aprire le serrature in Araidermis. Qualcuno ci ha anticipati.”
spiegò Lesovikk.
“Si, l’ho notato. Però sapete, credo di conoscere quel qualcuno. A dire il vero,
lavorano per me.”
“Cosa?! E chi sono?!”
“Non ha importanza, Toa. Se sono qui è per proporvi uno scambio.”
Ackar si mise tra i due Toa e Hauran, prendendo le redini del dialogo.
“Ovvero?”
“Io vi fornirò il materiale adatto per costruire la nave. Voi però mi darete la
posizione per raggiungere gli agenti dell’Ordine di Mata Nui nel Robot. Se non
vado errato, sono diretti verso la Realtà del Creato... Ehi, sto parlando proprio
con te, Takua. L’Agori mi ha parlato del tuo dispositivo per rintracciarli. Posso
ripararlo io se vuoi...”
Tutto stava andando per il verso giusto, anche se si trattava di una
collaborazione con un avido assolutista. Ackar però ebbe da ridire: “E perché
mai dovremmo seguirti, mmhh? Sei un Grande Creatore. Da quando non sei in
grado di costruire anche una sola nave per un individuo?”
Hauran si sedette. “Credi che il mio aspetto sia un’illusione, Glatorian? Ho
perso i poteri che avevo una volta. Tuttavia, la maledizione della Ignika sussiste
ancora, e mi ha permesso solamente di creare quegli schiavi meccanici che Toa
Lesovikk ha incontrato nel deserto.”
“Come faccio a credere che tu li abbia persi veramente? Non ci si può più
fidare dei Grandi Creatori!” disse Tarix. “Da quando ci avete abbandonati,
avete reso Bara Magna un vero e proprio inferno!”
“Il comportamento mostrato dai miei colleghi non mi è nuovo. Sono solo dei
codardi ai miei occhi. Io non la penso come loro. Io mi sono liberato dalle
catene con le quali mi hanno ingiustamente imprigionato. Ho viaggiato. Ho
vissuto. Ho visto le meraviglie e le mostruosità del Tutto, capendo che
bisognava dare per forza un freno, che loro però non avrebbero mai voluto
dare. Poi sono arrivati i Toa Nuva, e la Legione, e Darkness...”
“Darkness?!” ripeté Takanuva. “Cosa sai di lui?”
“So che non è chi sembra. Non so perché, ma ho come l’impressione di averlo
già incontrato sul mio cammino. Ma forse sono io che sto iniziando a perdere il
senno. Sono passati tanti millenni...”
“Quel maledetto... è per colpa di quella spaventosa cupola se sono finito nelle
Terre Esterne!”
“Non dico che la vendetta sia sbagliata, Toa della Luce, ma vedi fossi in te
starei alla larga da lui. Anche quando avevo i miei poteri della Vita, provai del
timore quando lo incontrai. In ogni caso, non è lui il vero nemico, ma chi si è
fatto schiavizzare dalla Ignika.”
Takua fissò il vuoto pronunciando: “Helryx...”
“Esatto. Io però sono l’unico che non si è fatto corrompere. Conosco la Ignika
meglio di chiunque altro. Perchè? Perchè ho toccato i suoi poteri con le mie
mani, e sono diventati parte di me. Per anni ho sentito il suo respiro, la sua
voce chiamarmi.”
Per Ackar stava diventando tutto troppo assurdo. Era una situazione
completamente intrisa di sfortuna, anche se non ci credeva. Per evitare di
avere ulteriori conflitti, lasciò la grotta affidando la parola a Kiina,
sussurrandole che avrebbe dovuto rifletterci. Ma la Glatorian era forse più
indecisa di lui. Ad appoggiarla, però, c’erano Kizu e la saggezza di un veterano
come Tarix, che ebbe solamente una domanda da porre: “Avete già un’idea di
come costruire la nave? Voglio dire, dovremo ospitare circa un migliaio di
sopravvissuti, non so se mi spiego.”
“Ho già una proposta da farvi a riguardo.” ragionò Hauran con un sorriso.
“Venite con me. Il mio rifugio non è lontano...”

“Allora porteremo i Matoran in salvo, in un nuovo mondo. Lontano dai Grandi
Creatori, da Helryx, da Darkness, e persino da te, Artakha.” ci andò pesante
Vakama. “Questa non è la nostra guerra...”
“Temo che il vostro stato fisico ve lo impedirà. Vedete, la Vahi ha infuso la sua
Essenza in ognuno di voi, ma ci sono state delle complicanze. Dovrete fare
attenzione ad usare i suoi poteri. Per esempio, Toa Nokama ha quasi esaurito
la sua energia autonoma in assenza della Kanohi. Questo non vuol dire che ora
che l’avrete con voi potrete sfruttarla all’infinito. Ora siete vittime del suo
potere. La sua Essenza, rimasta danneggiata dopo l’incidente della Realtà del
Creato, sta assorbendo lentamente la vostra.”
“Stai quindi dicendo che...”
“Si, prima o poi verrete risucchiati interamente da essa. Ecco perché dovete
sbrigarvi. Se non vorrete che un oggetto potente come la Vahi possa rimanere
in mezzo ai Matoran, fareste meglio ad abbandonarli subito dopo avergli
trovato un posto sicuro.”
I sei Toa non si erano mai sentiti così inutili, Vakama per primo. Tutto questo
per non essere rintracciati dal Marendar. Ma davvero era così potente?
Com’era possibile che Artakha non aveva fatto nulla per cercarlo in passato
per prevenire la minaccia?
“Forse è giusto così, ragazzi...” si rassegnò Vakama sedendosi sul pavimento,
incrociando le gambe. “Ormai non ha più senso dire che questa vita è stata
ingiusta con noi. Non possiamo combattere per noi e non lo faremo nemmeno
per i Grandi Creatori. Proviamo fino alla fine a portare in salvo i Matoran con
ogni mezzo necessario. Probabilmente senza un essere ricco di forza fisica
come i Toa si sentiranno più uguali e liberi. Si accorderanno per un nuovo
modo di governare, tutti insieme. Avrei tanto voluto essere lì, ma forse siamo
noi ad aver sbagliato.”
Nokama e gli altri si accovacciarono vicino a lui. “Un modo lo troveremo, e se
così non sarà, sono sicura che i Matoran troveranno il loro posto sicuro un
giorno. Dipende tutto da noi.”
“E non curarti di noi Toa, fratello.” lo consolò Matau, più serio di ogni altro
secondo della sua esistenza. “Quelle figure sono morte. Abbiamo fallito tutti.
Non siamo stati all’altezza di veri eroi come Lhikan e Matoro.”
Il portatore della Maschera della Creazione aveva altro da aggiungere, ma lo
sguardo di Varises glielo impedì. Era ovvio che c’era un’ultima ragione per cui
furono scelti proprio loro.
“Le nostre strade si separeranno.” profetizzò Artakha. “Parlerò ai Grandi
Creatori e li convincerò del fatto che il Marendar è stato un grosso errore.
Così i sei Nuva regneranno al loro fianco in futuro. Attenderemo il momento
adatto per sbarcare su Mata-Metru. Voi però avete poco tempo a disposizione.
Io sono il solo che sa come coordinare il Robot per entrare nella Realtà del
Creato, oltre alla mente della Ignika. Buona fortuna, Toa...”
Una battaglia mortale contro il Marendar si era appena conclusa. Tutto molto
facile per il cacciatore, come sempre. Prese posto su una roccia, osservando
pensieroso i cadaveri delle sue vittime.
Con la coda dell’occhio guardò alle sue spalle. “Non hai niente di meglio da fare
oltre a seguirmi?”
Ma dietro di lui non c’era nessuno...
Non era suo solito parlare. Spesso lo faceva l’agonia dei Toa ammazzati
brutalmente.
“E’ da cinque giorni che mi stai dietro. Sei solo una piccola creatura che si
nasconde nell’ombra. Che cosa vuoi da me?”
Udì solamente il fruscio dei cespugli Nugahi, dell’isola di Xia. Ecco dove si
trovava attualmente. Secondo le indicazioni dell’Equilibrio, quei territori
sarebbero dovuti essere in mano ai Barraki, ma anche lì ci furono dei tentativi
di conquista da parte dell’Ordine. Se non fosse stato per la macchina da
custodire all’interno del Codrex infatti, la caccia di Darkness sarebbe stato
probabilmente il primo obiettivo di Helryx.
Il Marendar era palesemente annoiato. La sua apatia nei confronti dei Toa, oltre
alla spietatezza di venti Sentrakh, era ormai la sua compagna di viaggio. Subito
dopo essere stato riattivato, partì alla caccia delle sue prime vittime. Col
tempo si pose molte domande, a partire dalla ragione per cui non si trovava su
Bara Magna. In più, chi l’aveva attivato? Cosa sarebbe successo dopo la morte
di ogni Toa rimasto? Sarebbero arrivati i Grandi Creatori da lui?
“Ti faccio i miei complimenti...” sentì infine una risposta provenire dal nulla.
“Ero curioso di vedere il famigerato cacciatore di Toa. In questo mondo non si
fa altro che parlare di te. La tua fama precede quella di Toa Helryx a momenti.”
La macchina chinò la testa mentre ricaricava le cartucce. “Non mi importa,
chiunque tu sia. Sono qui per compiere il mio dovere, nient’altro.”
“E poi che farai?”
“Mostrati a me. Le domande mi urtano. Ne sento molte che chiedono pietà da
mesi...”
La voce dell’interlocutore proveniva dietro una roccia, e fu da questa che uscì
facendosi vedere.
Il Marendar lo scannerizzò da cima a fondo, effettuando analisi su analisi. “Non
ho la tua razza registrata, straniero. Dimmi chi sei.”
“Oh, sono solo un semplice mendicante. Mi sono ritrovato su Spherus Magna
dopo l’incidente della Realtà del Creato.”
La macchina riprese a guardare il cadavere dei Toa. “Si, ne ho sentito parlare.
Girano molte voci su questo luogo misterioso. I Matoran delle isole meridionali
sembrano temerlo.”
“Questo perché, da quel che si dice, tiene prigionieri i grandi Toa Nuva. Li
conosci?”
“Sono solo dei Toa qualunque. La loro Essenza è registrata nel mio database.
Ricontrollando i dati però mi pare che alcune di queste mi mancano. E’ molto
strano...”
“Database? Di cosa si tratta?” chiese il pellegrino.
“Una banca dati in cui vengono registrate tutte le Essenze della razza Matoran
presente in questo mondo.”
“E quindi... da lì capisci chi sarà la tua prossima preda?”
Il Marendar lo fissò infastidito. “I Toa non sono prede, straniero.”
“Oh, scusami... non intende-”
“Sono ben peggio... Sono feccia. Uno scarto. Uno stupido prodotto da gettare una
volta cessata la sua funzionalità. Definirli prede sarebbe un mero complimento.”
“Perchè? Credi che abbiano perso la loro utilità? Io ho conosciuto dei Toa.
Non sono esseri malvagi come dici!”
“Parli senza sapere. I Grandi Creatori hanno dettato le regole per l’esistenza di ogni
essere che sia nato dalla loro intelligenza. Secondo la loro visione, attualmente i
Toa non sono altro che manichini senza nessuna utilità. Riconosco però l’Unità. I
valori del Grande Spirito sembrano essere stati abbracciati da questi scarti
meccanici.”
“Li hai sconfitti tutti? Senza la minima difficoltà?” continuò a chiedere la
curiosità dello sconosciuto.
Il Marendar ne aveva bastanza. Si sentiva preso in giro. “Vattene ora. Prosegui
per il tuo cammi-”
Si fermò. Un particolare aveva attirato la sua attenzione. Lo straniero scoprì
senza volerlo parte del petto, nascosto fin da subito dalla sua cappa nera.
Quelli che vide sembravano frammenti verdi incastonati nello sterno. Nella sua
memoria passata, in base alle poche registrazioni che fece prima di essere
attivato, si ricordò di qualcuno presente nella cripta di Bara Magna con
quell’aspetto.
“Tu... sei uno dei diciotto?”
“No, Marendar.”
“Impossibile. Non posso aver visto male. Dimmi il tuo nome!”
“Ne ho molti, a dire il vero.”
“Smettila di scherzare!” caricò il fucile.
Lo straniero alzò le mani in segno di resa. “Non ti dirò il nome con cui molti
mi chiamano. Quello vero mi è stato tolto da un potente signore che ho
servito per molti secoli. Puoi chiamarmi Kemath. Sono stato io ad averti
attivato...”
La macchina anti-Toa sguainò la spada in Araidermis. “Impossibile! Sono stato
programmato per sterminare ogni Toa che mette piede su Bara Magna! Come hai
fatto ad impedirlo?! Avrei potuto prevenire il ritorno nell’Universo Matoran e magari
uccidere anche questa Toa Helryx! Non ce la faccio più a sentire quel nome...”
“Toa Helryx non ti riguarda. Lei è mia.” sussurrò cupamente.
“Ma che stai dicendo?! Cosa c’entri tu con lei? E se è vero che mi hai attivato, dove
sei stato per tutto questo tempo?”
“Anche questo non ti concerne...”
“Inizi ad innervosirmi, Kemath!”
“Non c’è bisogno. C’è molto di cui dobbiamo parlare, se proprio vuoi sapere
tutto.”
“Beh non ho tempo da perdere con uno come te! Sono nato per ucciderli... Li devo
ammazzare tutti, Helryx inclusa...”
“Prima faresti meglio ad occuparti degli altri. Se sono qui è per aiutarti, e allo
stesso tempo per avvisarti. Gira voce che uno strano essere sia l’arma che i
Toa stanno progettando per distruggerti.”
Il Marendar tornò calmo e saggio. “L’Unico, o come lo chiamano, è l’ultimo dei
miei problemi. Il mio radar ha avvertito poteri al dì sopra delle Essenze Toa.”
Kemath (Darkness) si stupì. “Come?”
“Si, non so come sia possibile... Cinque... sono cinque individui. Questo potere però
non può essere quello di un Toa, eppure c’entra qualcosa con loro, ne sono certo.”
Darkness rimase in silenzio a riflettere. Di chi si poteva trattare?
“Quando avrò finito coi Toa, mi metterò sulle tracce di questi poteri. Ma non me ne
andrò prima di aver scoperto chi sei, e di come hai fatto ad azionarmi. Solamente
un Grande Creatore può fare una cosa simile...”
La diplomazia di Vakama lo fece tornare da Sakovius, sopravvissuto alla
battaglia sulla spiaggia dove si incontrarono l’ultima volta.
I Metru si fecero arrestare volontariamente per farsi portare al cospetto del
generale. Quando poi questo li vide, ordinò subito di liberarli. Durante il
dialogo, Vakama convinse lui e gli altri Parenga che era ora di riprendere in
mano il loro onore, e di combattere per esso. Così l’Agori di Iconox e i
generali rimasti al comando dei neo-ribelli partirono per incontrare il Grande
Essere, il quale avrebbe rifornito le isole meridionali dei materiali adatti per
esseri pronti il giorno in cui il Codrex sarebbe stato assalito. Ciononostante, i
Metru sapevano che non era abbastanza. C’era ancora qualcuno da prendere in
considerazione come potenziale alleato: Rocka. Non era un Eroe come gli altri.
Dopotutto si era offerto di aiutarli quando ci fu l’attacco di Voporak, con
qualche cenno di astio ovviamente. Forse i guerrieri dell’Eroe dorato,
attualmente di ritorno con Xanders al Quartier generale con Roodaka e
Lariska come prigioniere, avrebbero potuto fargli comodo, siccome non
sembravano condividere appieno le ideologie guerrafondaie.
Ma dovevano sbrigarsi: le armate Hero erano pronte. Lo stesso per Trinuma e
le Corazze immortali, oltre all’imponente flotta che ora faceva da cintura
protettiva.
Mancavano loro sei all’appello. Dentro di sé, inoltre, tentarono più volte di
progettare un modo con cui tornare in tempo su Spherus Magna per salvare i
sopravvissuti e portarli in salvo assieme ai Matoran.
Al momento era troppo. Dovevano organizzarsi e pensare giorno dopo giorno
a dare il massimo. Presto sarebbero arrivati i rinforzi...
Dopo due giorni di viaggio, Takanuva, Uxis e i Glatorian (ad eccezione di
Ackar) arrivarono al rifugio di Hauran, guidati dal Grande Creatore.
Era situato sopra un promontorio, dal quale era possibile vedere i settori
inferiori del pianeta.
“Molto bene.” disse Hauran poco prima dell’entrata. “Aspettatemi qui.
Riparerò velocemente il dispositivo di Takua.”
I Glatorian ed Uxis presero posto. Takanuva invece aveva uno strano
presentimento da diversi minuti, già prima di arrivare. Tuttavia, non era dovuto
ad Hauran. Avvertì uno strano potere provenire dal rifugio del Grande
Creatore.
Senza dare nell’occhio, si avvicinò di soppiatto, tentando almeno di dare una
sbirciata. Dopo neanche un secondo, Uxis e gli altri sentirono un tonfo: il Toa
della Luce fu atterrato violentemente da un essere robotico che stava ora con
le ginocchia sul suo petto.
L’aspetto non poteva ingannarlo: “TOA LHIKAN?!”
Il Grande Creatore giunse immediatamente dal laboratorio al piano inferiore.
Premette un pulsante che fece tornare la macchina vicino a lui con la velocità
di un Vahki.
“Takanuva, stai bene?!” accorsero i guerrieri Glatoriani.
L’Agori di Wai-Nui guardò subito in faccia ad Hauran. “Cos’è quel coso, una
tua guardia? Vedi di tenerlo a bada!”
“Vi chiedo di perdonarmi, miei cari ospiti. Non si sa mai cosa si avventura in
queste terre. E’ giusto prendere delle precauzioni.” fece un sorriso.
Takanuva riprese a respirare regolarmente. La pressione che il Toa gli fece era
impressionante. Ma che cosa ci faceva lì, e perché era una sorta di robot a
comando?
Prese la falce da terra e la rinfoderò. Nel mentre squadrò il Toa da cima a
fondo. Aveva addirittura perso i colori originali.
“Questo perché la sua nuova Kanohi non contiene alcuna Essenza.” rispose
Hauran quando glielo chiese. “E’ solo un rottame vivente.”
Lesovikk si accorse che un altro gruppo era pronto ad agire dall’interno della
caverna, anch’essi schiavi meccanici. “Sono loro! Gli individui di cui ti ho
parlato, Takanuva!”
Disgustato, il Toa della Luce domandò: “Come diamine hai fatto a trovarli?”
“E’ più semplice di quello che credi, Takua. Osserva...” e li fece uscire allo
scoperto.
Anche loro avevano armature di un grigio metallico, nonostante ci fossero
delle evidenti parti arrugginite. Le loro altezze erano differenti l’uno dall’altro,
ma avevano una cosa in comune: provenivano dallo stesso luogo.
“Sfortunatamente non sono riuscito a recuperarli tutti, ma direi che questo è
comunque un buon risultato.”
Lesovikk capì subito. “Quello è... Nocturn? E quell’altro è Toa Jovan!
Incredibile, ma come hai fatto?”
C’erano anche Botar, Guardian e, ovviamente, lo stesso Lhikan.
“Quando li trovai, erano completamente distrutti. Cercare i restanti pezzi fu
una vera tortura.”
“Come, li hai trovati?!”
“Esattamente, Glatorian. Esiste un’area specifica in cui sono... atterrati. Venite
con me sul retro.”
Raggiunsero il lato opposto del laboratorio. Dentro c’erano organismi e piante
mai viste. Alcuni erano ancora vivi, segno che i poteri maledetti della Ignika
potevano ancora essere sfruttati da Hauran. Le tecnologie ricordavano quelle
dei laboratori che Takanuva e Lesovikk aprirono nel deserto.
Alcune però erano insolite. Probabilmente provenivano da altri universi.
Al loro arrivo, trovarono altri due sconosciuti, alti quanto un Glatorian. Erano
gli ultimi del gruppo di Hauran: gli Elementali della Sabbia e del Ghiaccio.
Kiina e gli altri guerrieri glatoriani erano convinti che non li avrebbero mai più
rivisti dopo la Prima Guerra del Nucleo.
Tuttavia, non ebbero nemmeno il tempo di chiedergli perché erano con
Hauran. Il panorama davanti ai loro occhi mostrò un gran numero di parti
meccaniche enormi, sparpagliate in diversi punti del deserto. Alcune erano
delle curve spezzate. Forse unendole si poteva formare una grande sfera.
Ci misero poco a realizzare tutto: “Sono i resti della Stella Rossa!” esclamò
Giriah.
“Esattamente, figlia di Iconox.” rispose la Signora della Sabbia.
Non ci furono altri commenti. La vista era talmente magnifica quanto spettrale,
abbastanza da lasciarli senza parole.
Hauran prese in mano il dispositivo di Takanuva, ora riparato e pronto all’uso.
“E questo è l’ultimo tassello del puzzle. Se unissimo le forze, potremmo
ricostruire la Stella Rossa e usarla come nave per tornare nel Robot, o meglio
ancora nella Realtà del Creato...”
“Impossibile. Quella è una dimensione che può essere raggiunta solamente con
uno dei cubi di Mata Nui.” spiegò Kiina.
“No, Glatorian. La Realtà del Creato non è altro che un pianeta in costante
espansione grazie al Protodermis di Rakau, il capo della Legione di Nuiaha. E’
lontano anni luce dal sistema di Solis Magna, e il viaggio per raggiungerla è
lungo e insidioso. Helryx non può pretendere di farci ritorno sana e salva.
Hanno bisogno di uno come me se non vogliono incombere nel caos spaziale
che circonda il pianeta al centro del Tutto.”
Kizu intanto fece un ragionamento. “Quindi questi resti sono caduti dal cielo
quando ci fu l’esplosione del satellite, dico bene?”
“Proprio così. Ma ora non abbiamo tempo per discuterne. Dobbia-”
“Un momento, Grande Creatore.” interruppe bruscamente Tarix. “Prima
voglio sapere perché questi due sono al tuo fianco. E dove sono gli altri cinque
Elementali?”
La Signora della Sabbia chiarì tutto. “A bordo del Robot, Glatorian. Hanno
abbandonato le idee di Hauran. Erano impazienti di attendere, così si sono
messi in viaggio ed hanno trovato un modo per entrare nel Robot prima che
questo potesse lasciare Spherus Magna.”
Dopodiché riassunse le vicende che seguirono il patto di Foedus, sancito
qualche anno prima della Seconda Guerra del Nucleo.

“Tutte fandonie. Gli altri Grandi Creatori sono accecati dalla Ignika. Hanno
addirittura adescato dei mercenari per farla tornare nelle loro mani. Non
capiscono quanto sia potente. Deve essere distrutta...”
Takanuva preferì sorvolare l’argomento. “Ne parleremo più avanti, Hauran.
Ora dobbiamo pensare alla Stella Rossa. Il tempo scorre. Noi siamo con te.”
“Ma cosa dirà Ackar?” si preoccupò Kiina rintristita.
“Con lui parlerò io.” disse il Toa della Luce mettendole una mano sulla spalla.
“Capirà, ne sono certo.”
E i Glatorian lo appoggiarono rincuorati. I ponti che in passato erano andati
distrutti si stavano ricostruendo lentamente...
Alcuni mesi dopo il Risveglio...

Il team di Toa Tagahri aveva perso due membri importanti, Majul e Polekas. I
due Toa tornarono nei ranghi dell’Ordine per l’addestramento delle reclute
Ruhnga. Subito si partì con la ristrutturazione mondiale, anche sull’isola di
Artakha.
Il Grande Essere ordinò al Toa della Terra di recuperare il cristallo contenente
Voporak durante le migrazioni. Per non destare sospetti, si fece consegnare
l’esemplare in un particolare isolotto a sud del Continente meridionale.
Anche Darkness non restò fermo. Dopo aver scoperto la nuova base degli Eroi
nel Robot, mandò Tuyet alla ricerca di due popolazioni guerriere stabilitasi nei
luoghi attorno ad essi: i Vortixx e le Sorelle degli Skrall.
Nuovi amici, nuovi ripari...
Capì che i due popoli avrebbero potuto potenzialmente incontrarsi, data la
loro vicinanza. Così in caso avrebbero stabilito i loro domini, riuscendo poi ad
aver un dialogo vero e proprio con il fondatore della Hero Factory, Akiyama
Makuro. Gli Eroi erano sicuramente temibili dal punto di vista bellico e quindi
degli ottimi alleati. Inoltre c’era la possibilità di ottenere la famosa Lancia di
Rewerax senza bisogno di combattere.
L’esperienza di Tuyet nel multiverso le permise di negoziare tranquillamente
con entrambi, e dopo pochi mesi venne proclamata leader della neonata
alleanza di Wahine. Non restava che attendere il momento giusto...

“Eccomi, Toa Helryx.” fece un inchino Tagahri quando la raggiunse nella Sala
del Potere. “Mi è stato detto che avevi bisogno di me.”
Era quasi sera. Il sole stava lasciando spazio all’oscurità della notte. La Toa
dell’Acqua rimase ad osservare la vista di Mata-Metru dalla sua postazione.
Rispose senza girarsi, con l’orgoglio in corpo: “Volevo parlarti di una cosa...”
“Si, ascolto pure.”
La domanda che fece spaventò Tagahri: “Quanto tempo ci vorrebbe a
distribuire l’intera popolazione nel resto del Robot?”
“Non capisco.”
“Mmhh!” ghignò. “Non penserai mica che torneremo dai nostri creatori
abitando solamente questa metropoli. Credi che i nostri nemici non
cercheranno di entrare? Se non l’hanno già fatto ovviamente...”
Il Toa della Terra era titubante. “Dove vorreste arrivare?”
“Il viaggio che ci attende sarà lungo, Tagahri. Ho bisogno di tempo, tanto
tempo. Non posso rischiare che al di là di queste coste ci sia qualcuno che
potrebbe attaccarci da un momento all’altro.”
“Allora saremo pronti a rispondere!”
“Non basta.” troncò il finto entusiasmo del Toa. “Sai, la Seconda Guerra del
Nucleo mi ha fatto imparare una cosa, ovvero che il male non si dovrebbe
uccidere quando è grande, ma quando è piccolo... anche se inizialmente fa
parte del bene.”
Tagahri fece due passi in avanti. “Cosa vorreste che facessimo allora?”
“Una mossa che mai mi sarei aspettata di fare. Una conquista forzata delle
isole e, se servirà, anche una pulizia di ogni feccia che oserà opporsi.”
“E se dovessero esserci dei Matoran? Non per forza quelli che troveremo
saranno nemici, Helryx!”
Risposta secca: “Non mi importa. I veri figli della Ignika hanno sempre abitato
nei villaggi che abbiamo tentato di difendere fino alla fine. Chi li ha
abbandonati, ha abbandonato in automatico la nostra protezione. Non merita
di essere uno di noi.”
“Sei proprio sicura? Hai idea di cosa potrebbero pensare i Matoran di Mata-
Metru se dovessero venire a saperlo?”
“Non accadrà, Tagahri. Quando abiteranno il resto delle isole, verranno accolti
da magnifiche e splendenti città. A quel punto dubitare dell’Ordine sarebbe
cosa da pazzi.”
“E quando questo sarà compiuto che cosa faremo?”
L’espressione seria della Toa accompagnò la risposta. “Ti basterà sapere che tu
e il tuo team non sarete più mie guardie personali.”
“Cosa, e chi lo sarà? I Korero? Gli altri agenti? Non posso abbandonarvi,
Helryx! Non sarei tranquillo!”
Il leader dell’Ordine fece una risata di sollievo. “Non preoccuparti. Verranno
altri cinque nobili guerrieri. I cinque arcipelaghi avranno così una nuova
funzione.”
“Cinque? Cinque... Toa?”
“La nostra conversazione finisce qui. Torna dai tuoi fratelli ora. C’è ancora
molto lavoro da fare...”
Dopo qualche anno, Helryx fece la sua scelta. Nuhrii, Vhisola, Tehutti, Orkahm
e Ehrye divennero i cinque nuovi protettori col titolo di Toa Metru. Così
facendo, la Toa si circondò di individui sui quali poteva contare quasi
ciecamente, come suggeritole da Darkness quando le parlò della visione futura.
I mesi trascorsero. I cinque crebbero. Prima o poi sarebbe iniziata la pulizia
delle isole...
Nel frattempo nelle Terre Esterne fu elaborato il piano dal leader
dell’Equilibrio per intrufolarsi nel governo di Tesara e ribaltarla definitivamente.
Il giovane Pretorius, con maggiore esperienza dal giorno in cui riaprì gli occhi, e
Tuyet vennero mandati in missione. Quel giorno, durante la conversazione, ci
fu un’intromissione inaspettata.
“... quindi, Pretorius, tu ti farai trovare dai Glatorian dell’Esercito di Certavus
come un semplice sopravvissu-”
“Perdonate l’intrusione, Maestro.” disse Ahkmou. “Ma ho delle importanti
novità.”
Iruini fece per buttarlo fuori dalla stanza, ma Darkness ovviamente lo fermò.
“Dimmi, piccolo...”
Il Po-Matoran tornò dopo qualche minuto con un oggetto dalla forma
circolare. Si trattava di due anelli piatti e uniti da tre segmenti di Protodermis
indurito. “Ecco, signore. Giustamente non avete approvato la proposta degli
Hagahkuta di accedere al Robot nello stesso punto segreto degli Eroi. Sarebbe
stato un grosso e inutile rischio.”
I tre Toa mutati non la presero bene, iniziando a ringhiargli contro come bestie
fameliche.
Darkness li zittì mostrando semplicemente la Lancia dell’Oscurità, tanto
temuta dai tre mostri. “Va avanti, ti prego.”
“Io e Okoth siamo riusciti a rubare questo loro meccanismo in grado di
perforare una parte del Robot che mostra un assottigliamento della Barriera
esterna. Sono stati gli Eroi a progettarlo. Pare sia tutto merito della mente
geniale del loro creatore.”
Darkness si sentì soddisfatto. Quello non era l’Ahkmou spaventato di molti
anni prima. Era cambiato, così come Okoth. Spesso si mostrò duro con lui.
Questo perché non poteva dimenticare la visione di Gaaki. Per una ragione che
egli non rivelò a nessuno, c’era un motivo molto valido per cui la presenza di
Ahkmou all’interno dell’Equilibrio era ben pesante. Questa volta non si limitò
ai complimenti.
Si avvicinò mostrandogli un coltello particolare. “Ecco, Ahkmou, prendi.”
“E’ per me?”
Il Maestro sorrise malignamente. “Si. Un tempo era mio. Fu l’unica cosa che
ebbi per molto tempo. Ora lo lascio a te, ma dovrai farmi prima una
promessa.”
“Qualsiasi cosa!” rispose ammirando la lucentezza del pugnale.
“Lo userai solamente una volta, e sarà per un evento speciale...”
“Oh, grazie, grazie!”
“Prego. Puoi andare ora. Mostra a Tuyet come utilizzarlo. Torniamo a noi,
Pretorius. Il tuo compito quindi sarà di portare questa bomba a gas in un
punto specifico che ti verrà assegnato. Nessun errore sarà ammesso. Farai
parte della prima linea stanotte. L’Esercito di Certavus si oppone
maggiormente ad ovest. Dovremo colpirli per bene. Sei pronto?”
“SI, DARKNESS!”
Inutile dire che il piano non andò alla perfezione. Quella notte Pretorius non
riuscì a scappare, ma fu fermato e portato da Ackar e altri sopravvissuti come
prigioniero. La bomba però esplose, obbligando l’Esercito di Certavus a ritirare
i suoi confini.
Per rimediare al suo fallimento, Pretorius approfittò della scelta di Ackar di
accoglierlo fra i Glatorian per assassinarlo di soppiatto. Chiaramente Darkness,
con l’uso dei poteri dell’Oscurità, rimase ad osservarlo. Fu sorpreso dell’arte
recitativa che il Toa della Stella Rossa utilizzò per convincere i capi
dell’Esercito. Gli ricordava molto i modi di fare di un certo Nektann.
Nei corridoi della fortezza, riuscì a fermare in tempo il giovane, che subito
protestò: “Che state facendo, Maestro?! Lasciate che io possa rimediare al mio
errore! Ucciderò Ackar e Tesara sarà nostra!”
“Collega il cerebro, piccolo Toa. A quanto pare Nektann non ti ha insegnato la
tattica. Non mi sorprende...”
“Che intendete dire?”
“Credi che uccidendo Ackar stenderai in automatico un tappeto rosso verso
Tesara? Pensi seriamente che una razza come i Glatorian si farà abbattere così
facilmente? Certo il loro dolore sarà grande, ma io voglio vederli strisciare
agonizzanti. Egli non è di certo l’anello debole di tutta l’armata di Certavus.”
“Cosa volete che faccia?”
“Fatteli tuoi alleati. Dopotutto pare che ti sia specializzato nella recitazione.”
disse indispettendo il giovane guerriero. “Quando ti assicurerai di essere
l’unico individuo degno della loro fiducia, allora sarà il nostro momento...”
Nektann venne a sapere di questa nuova decisione di Darkness, e si mostrò
come al solito in disaccordo. Così cercò il momento esatto per fermare
Pretorius e dirgli cosa fare, fingendo che gli ordini fossero proprio del Maestro.
Tutto accadde dopo la morte di Vanisher per mano di Pretorius.
Il Toa era in viaggio tutto solo tra le dune afose per far ritorno da Ackar, e per
sbattere la sua riuscita in faccia a Gresh. Per assicurarsi che Darkness non
potesse sentirlo, nel caso in cui si trovasse nell’ombra del ragazzo, gli parlò
attraverso le corde del pensiero appartenenti all’Essere dorato. La sua maestria
nel controllo della creatura era migliorata, ma ancora limitata.
“Mi senti, Pretorius?”
“EH?! Chi ha parlato?!” si girò su sé stesso più volte col suo nuovo scudo
equipaggiato.
“Smettila di agitarti e prosegui il tuo cammino come se non
fosse successo nulla! Sono Nektann e ti sto comunicando
tramite l’Essere dorato.”
“Va bene.”
“No, non parlare ad alta voce! Potrebbe esserci Darkness
vicino a te e non lo sapresti nemmeno. Lascia che sia il tuo
pensiero a rispondermi.”
“Si...”
“Ascolta, c’è stato un cambio di piani.”
“Un altro?”
“Si. Darkness ha ordinato l’uccisione di tutti i Toa.”
“Cosa? Ma non si era detto che dovevamo imprigionarli nelle capsule di stasi?”
“No, Pretorius. Non so perché ha deciso di prendere questa
decisione.”
“Quindi, siccome anch’io sono un Toa dovrò...”
“Si, è la procedura. Sono sicuro che farai del tuo meglio.”
Era tutta una menzogna. Non c’era stato nessun cambio di piani. Nektann
invidiava a morte Darkness. Voleva colpirlo dall’interno come fece lui col resto
del mondo. Così un giorno si sarebbero tutti schierati dalla parte dello Skakdi.
Senza di lui, però, avrebbe girovagato con l’Equilibrio nelle sue mani senza una
meta precisa, e tutti i privilegi di cui avrebbe goduto grazie ad esso sarebbero
svaniti.
Il suo odio per i Toa sfociò quindi in una decisione che cambiò le sorti di molti
nei mesi a venire, dando inizio ad una lenta e atroce vendetta.
“Un’ultima cosa, ragazzo. Non sarai tu a far crollare
Tesara. Dobbiamo trovare un modo per tenerli impegnati. ci
sarà un attacco a sorpresa, e mi farò arrestare
volontariamente. Sono sicuro che i Glatorian non mi
uccideranno subito, con tutte quelle fandonie del Grande
Spirito...”
E allora si concordarono: mentre avrebbero aspettato l’integrazione di
Pretorius tra i Glatorian, si sarebbe programmato un assalto finale ad una base
vicino Iconox, sotto suggerimento di alcune spie dell’Equilibrio infiltrate. Quel
giorno, nelle terre di Quarzo bianco, i Glatorian avrebbero scoperto che
Nektann è il vero nemico delle Terre Esterne, così questo avrebbe subito
attaccato non appena sarebbero tornati a Tesara.
“Devo andare ora. Non farne parola con nessuno, nemmeno
con le nostre spie quando le incontrerai. Il mio potere sta
per finire...”
“Deve essere un pesante fardello.”
“E’ il mio punto di forza, Toa, ma soprattutto quello di
debolezza. Non posso ancora usarlo appieno. L’Essere
dorato tenta ogni volta di prendere il controllo della mia
mente. Sento già la sua voce... Se così fosse, verrebbe
probabilmente rintracciato dalla Ignika, a meno che non lo
abbia già fatto. Diverse volte mi ha detto che qualcosa di
tenebroso si nasconde dietro alla coscienza di quella
maschera...”
Tre anni e mezzo dopo il Risveglio...

Iniziarono i primi esperimenti sulla Vahi, in base alle ricerche effettuate sul
cristallo contenente Voporak. Oltre ad Artakha, sull’isolotto si recarono anche
Tagahri e il suo team, esiliati poco prima dell’arrivo dei cinque Metru da Toa
Helryx. Il piano di pulizia non fu per nulla approvato dai fratelli del Toa della
Terra, che iniziarono a litigare continuamente con gli agenti dell’Ordine. Stanca
di tutto, la proprietaria dell’Ignika non ci pensò due volte a cacciarli, come fece
con i nobili Mahri.
Un giorno, al termine di un test, il Grande Essere si accorse che in seguito ad
una forzatura potenziale della Vahi si creò una crepa nel cristallo. La decisione
fu immediata. Abbandonò le analisi per effettuare maggiori studi nella sua
fortezza. Non poteva rischiare la liberazione involontaria dell’ex Cacciatore
oscuro.
Tagahri e compagni ricevettero l’ordine di rinchiudere Voporak in una specifica
struttura creata da Artakha stesso sull’isolotto, dopodiché li lasciò
ordinandogli di sorvegliare la trappola ad ogni costo, e affermando che prima o
poi sarebbe tornato da loro con delle novità a riguardo.
Non fece mai più ritorno...
Quanto a Darkness, costui avviò una contromossa su due fronti. Prima di tutto
si rimise in contatto con Helryx, stabilendo poi un patto con una gran parte
dei Parenga. Da quel momento in poi avrebbero fatto affidamento sulla milizia
per ogni evenienza.
Dall’altra parte invece ci fu il tanto atteso incontro con il capo della Hero
Factory, non appena avvenne la cattura dei due Eroi Rocka e Fortis...
Stormer e Makuro partirono all’alba dal Quartier generale. La sera precedente,
giunse un messaggio sullo schermo dell’ufficio di Alpha leader: Rocka e Fortis
erano incatenati con delle radici tipiche delle Isole meridionali, e che gli Eroi
avevano già registrato nei loro database. Una voce all’esterno delle riprese
ordinò a Makuro di presentarsi nel punto indicato senza Eroi.
Akiyama (Velika) decise comunque di portare con sé Alpha leader.
Sfortunatamente, la posizione ricevuta non era molto lontana dal Quartier
generale. Questo voleva dire che il loro potenziale nemico avrebbe potuto
attaccare gli Eroi in ogni momento.
Sembrava di trovarsi sul pianeta in cui Stormer e gli altri Eroi furono alle prese
con il forsennato Witch Doctor.
“Statemi dietro, signore.” suggerì Preston.
“Va bene.”
Lo stato fisico di Velika peggiorava lentamente con l’avanzare del tempo. Ci fu
bisogno dell’aiuto di Stormer per farlo camminare.

Il viaggio fu accompagnato da qualche colpo di tosse del creatore, e dopo una
ventina di minuti arrivarono in un villaggio all’apparenza abbandonato. Stormer
si mosse furtivamente di capanna in capanna, scoprendo che non c’era
nessuno. L’unico essere vivente che incontrarono era una creatura alta e
slanciata, legata dalla testa ai piedi ad un palo largo.
Stormer si avvicinò subito per liberarla, ma questa gridò: “No, non farlo! Loro
mi troveranno e mi uccideranno! Non potrò mai nascondermi!”
Alpha leader balzò indietro per lo spavento imbracciando il lanciatore e
mettendo Makuro dietro di sé.
“Chi sei?!” gli chiese.
“Andatevene prima che vi trovino!” poi si rese conto di un particolare sul
petto di Stormer. “Un momento, ma voi... siete Eroi?!”
“Li hai già visti?” domandò Makuro per capire se conosceva Rocka e Fortis.
“Si, COUGH! COUGH!” tossì. “Erano in due, ma non so dove sono ora. Ho
commesso tradimento verso la mia gente, e ora sono condannato a rimanere
qui per sempre!”
In diverse parti del corpo riportava ferite profonde. Evidentemente oltre alla
condanna c’erano delle pesanti torture incluse.
“Siete arrivati, molto bene.” udirono.
La voce sembrava la stessa del video che ricevettero. Quando si girarono, si
accorsero subito che si trattava di un Toa. Makuro si sbalordì più dello stesso
Alpha leader. Temeva che quello sconosciuto avesse potuto scoprire la sua vera
identità.
“E’ un’imboscata, Stormer.”
“Signore?”
“Si!” andò di matto. “Quel Toa sarà di sicuro un alleato dell’Ordine, non c’è
nessun dubbio! Ammazzalo, AMMAZZALO!”
Come per reazione, una cinquantina di guerrieri, anzi, di guerriere sbucò con
lanciatori e frecce puntati verso i due. Urlarono tutti, ordinando a Stormer di
gettare la sua arma.
“Mi sembrava di aver detto nessuna scorta, signor Makuro.” ma non parlò il
Toa.
Arrivò un secondo sconosciuto. Il mantello nero e la finta Kraahkan non
potevano che ricondurre a un solo individuo...
“E tu chi saresti?”
“Non vi interessa sapere il mio nome. Quella che avete di fronte è una Toa a
capo dell’alleanza di Wahine.” la indicò.
“Alleanza di Wahine?” esclamò Preston.
“Due popolazioni biomeccaniche unite sotto un unico capo. Quelli che vedete
armati con artigli e archi sono i Vortixx. Gli altri sono le Sorelle degli Skrall.
Tuttavia, non siamo qui per una lezione di storia. Dobbiamo parlare, Grande
Creatore...”
Velika si aggrappò a Stormer per lo spavento. Quasi perse i sensi. Alpha leader
non sapeva come reagire, e si chiese perché lo straniero lo chiamò con quel
nome. Il piccolo capo della Hero Factory si mise con la faccia contro l’armatura
dell’Eroe come un bambino col proprio genitore quando si vergogna.
“Non serve nascondersi, capo della Hero Factory.” disse Tuyet sbeffeggiandolo.
“Il Grande Spirito ci ha sempre detto di affrontare i problemi a testa alta. Non
mi sembra stiate facendo lo stesso.”
“Makuro non ha niente a che fare con le vostre usanze!” lo difese Alpha leader.
Darkness e la Toa risposero con un sorriso contenuto.
“La conoscenza sul tuo creatore è piccola, Eroe. Non è nemmeno la punta di
un Thornax. Ora non perdiamo altro tempo e andiamo diretti al punto.”
“Che cosa volete?” si degnò di parlare Makuro con risentimento.
“Sappiamo quali sono le vostre intenzioni. Non avreste abitato parte delle Isole
meridionali altrimenti. Lo stesso vale per noi. Entrambi abbiamo lo stesso
obiettivo: Helryx.”
Makuro cambiò espressione interessandosi. Mentre si sfregava le mani disse:
“Continua.”
Stormer aveva poca voce in capitolo. Non restava che ascoltare.
“L’Ordine si sta potenziando a dismisura. Attualmente nessuno può
contrastarlo. Presto partirà alla conquista di ogni territorio su questo Robot.
Schiererà ogni arma, ogni soldato e ogni macchina a disposizione.”
Velika si lamentò dandogli ragione. “Se solo ci fosse stato il Marendar tutto
questo non sarebbe successo!”
Darkness lo fissò facendo un sorriso maniaco. La pazzia fuoriusciva a fiumi dai
suoi occhi. Tuyet rimase in silenzio, dandogli il tempo di ragionare. Makuro
allora capì che molto probabilmente i due avevano qualcosa a che fare con la
macchina anti-Toa, arrivando a supporre che lo sequestrarono di nascosto dalla
cripta prima che potesse entrarci.
“Quindi c-cosa p-proponete?” chiese intimidito, sentendosi con le spalle al
muro.
“Convincerò il leader dell’Ordine a stabilire un’alleanza con voi Eroi, in modo
tale che avrete il permesso di fare entrare l’intera armata dal Fiume Skrall.”
“Ma non potremo attaccarli subito. Saremo continuamente osservati!”
Tuyet spiegò: “Non servirà, Grande Creatore. L’Equilibrio sa come creare
scompiglio tra fratelli. Li metteremo uno contro l’altro, e allora sì che
colpiremo. Tutti insieme...”
Il dialogo proseguì. Alpha leader fu l’unico a opporsi addirittura severamente
contro il proprio capo, ma questo lo zittì immediatamente. Nel corso della
conversazione furono messi a punto altri dettagli. In ogni caso, il rancore di
Preston nei confronti di Makuro salì alle stelle...
Oggi...

Adesso era ufficiale: la Mano di Artakha era tornata. I sei Metru si erano
stancati di dover correre scoprendo delle verità sempre più disgustose. Non
volevano più saperne nulla, ma sapevano d’altronde che per ottenere la pace
era necessaria la guerra.
I generali Parenga ebbero un incontro positivo con Artakha. I rifornimenti di
materiale iniziarono fin da subito, all’oscuro dell’Ordine che aveva già
concentrato la sua attenzione sulla difesa di Voya Nui.
Era tutta una corsa agli armamenti. Chi per primo arrivava sulla costa
settentrionale del Continente meridionale aveva l’occasione vera e propria di
fronteggiarsi con le forze dell’Ordine. Il signore di quelle zone, Trinuma, era
pronto a tutto. La Battaglia dei Nove stava per giungere finalmente ad un
punto focale...
Perciò iniziarono le prime lotte anche per i nobili Toa, sebbene tentarono il più
possibile di non uccidere nessuno. Non era la loro politica.
Dopo qualche settimane dal ritorno della Mano, Tobduk, Whenua, Onewa e
Mazeka incontrarono per puro caso Rocka, che ordinò ai suoi di cessare il
fuoco.
L’Eroe confessò che Xanders aveva detto al generale Fox di aver lasciato
scappare i Toa quando ci fu l’incontro con Cadryuk, Toa multidimensionale
della Nebbia. Per tale ragione fu accusato di alto tradimento.
Al loro ritorno però Alpha leader non era presente. Da diversi mesi si era
recato in missione con altri Eroi per una ragione specifica. Non volendo
aspettare l’esito della guerra, Rocka riuscì a scappare con i suoi cinquanta
soldati alla ricerca di Stormer, per convincerlo a schierarsi dalla parte dei Toa.
Whenua e Onewa compresero alla perfezione la fuga disperata del giovane
Eroe. Anche loro furono costretti a fare lo stesso quando Turaga Dume,
ovvero Teridax, li cacciò dal Colosseo davanti a tutti Matoran, accusandoli del
decesso di Toa Lhikan.
Solamente sette giorni dopo quell’incontro, con la successiva alleanza tra le
due milizie, ci fu il ritorno di Stormer.
“Alpha leader, dove siete stato per tutto questo tempo?!” si infuriò Fox.
C’erano anche Gobbs, Furno e gli altri Eroi dell’Alpha Team.
“Non ce l’ho fatta...” continuò a ripete disperato, facendo preoccupare i
presenti. “Ho cercato con tutto me stesso di trovare una soluzione per
andarcene da qui. Abbiamo passato i giorni sotto la pioggia, prede delle nostre
preoccupazioni, e convincendoci che sarebbe stato tutto passeggero...”
Era l’occasione per Fox, con una mentalità opposta. “Ora capisci perché non
abbiamo altre strade. La sola cosa che dobbiamo fare è assalire il territori
settentrionali.”
Furno e i suoi due compagni avevano perso le speranze. Già il fatto che non
rispose alle chiamate gli fecero intuire che era davvero preso dal quel
perseguitante dovere.
‘Ma perché... perché la fiducia deve crollarci addosso così?! Perchè siamo
condannati a tutto questo?!’ si chiese Breeze tra sé e sé.
In silenzio, Alpha leader si alzò dalla sedia per riprendere gli appunti un tempo
appartenuti a Makuro riguardo il Codrex. Gli altri Eroi gli tennero lo sguardo
puntato addosso addolorati, fatta eccezione per Fox e gli altri tre comandanti
impiegati nella Battaglia dei Nove.
Fin dall’inizio, Valor, Puck e Flash appoggiarono ogni sua idea, ogni sua tattica
senza ripensamenti.
Ad un certo punto Preston alzò lo sguardo. Osservò il gruppo di Eroi turbato.
“Dov’è Rocka?”
“A tal proposito, Stormer, c’è una cosa che dovresti sapere...” si offrì di parlare
Fox, suscitando la preoccupazione di Furno, Breeze e Surge. “Ci ha traditi.”
“Traditi? Sei serio, comandante?”
“Potrei mai accusare un Eroe di un simile atto senza motivo?”
“E con chi ci avrebbe tradito, sentiamo.”
“Xanders era con lui. E’ riuscito a catturare i Toa che erano nella squadra della
Toa dell’Acqua che rapimmo. Non so come ma mi è stato riferito che ha
rubato delle foto super segrete raffiguranti il soggetto 16.”
“Soggetto 16?” esclamò Stormer mentre accese la lavagna digitale della sala,
tirando poi fuori la foto. “Questo qui?”
“Si, signore.”
“Abbiamo seriamente capito cos’è quella cosa?”
“Ha attaccato il dirigibile di Rocka qualche ora dopo la cattura dei Toa. Non si
sa come abbia fatto a rintracciarli. Fatto sta che sono riusciti a gettarlo in
mare. Poi, non contento del furto di materiale privato, ha ben deciso di
incontrarsi con dei contatti dei quali non parlò con nessuno. Xanders mi ha
detto che è stato per farsi dire la posizione del ricercato Darkness.”
“Ed è arrivata?”
“No, signore. E’ come se ad un tratto tutto ciò che era attorno ai nostri
guerrieri e a questi tre individui avesse smesso di esistere, gettandoli in uno
scontro impegnativo. Più volte Rocka ebbe la possibilità di riacciuffarli, ma non
lo ha fatto. Adesso è scappato, forse per incontrarsi con i suoi nuovi alleati...”
Diversamente da quanto ci si aspettava, Stormer reagì in un’altra maniera. “Se
non altro ha tentato nel suo piccolo di rimanere fedele ai nostri obiettivi.”
“Si, ma in che modo lo ha fatto, Preston? E’ imperdonabile!” protestò Valor.
“Lo troveremo, statene certi. Ora però abbiamo robe più importanti a cui
pensa-”

STONG!
Era tutta opera di Furno. Gli Eroi si stupirono quando notarono che aveva
appena spaccato un tavolo a causa della sua rabbia improvvisa.
“Ehi!” si infuriò Alpha leader. “Che diamine ti è preso, si può sapere?!”
I pugni dell’Eroe rosso tremavano. Respirava affannosamente. “Quel bastardo...
ho sempre pensato che nascondeva qualcosa...”
Fra tutti, Fox era quello più contento. Finalmente Furno stava capendo da che
parte stare. Realizzò infatti che ogni cosa che i Toa toccavano non portava
altro che morte altrove. Ed erano proprio gli Eroi ad andarci di mezzo quasi
sempre.
“Finiscila! Parleremo con Rocka e risolveremo tutto.”
“NO, STORMER! IO QUELLO LO AMMAZZO! NON LASCERÒ CHE ALTRI
MUOIANO PER I SUOI COMODI!” e uscì violentemente.
Breeze provò a mettersi di mezzo, ma la scansò via come un oggetto qualsiasi.
Tutti restarono di sasso, sconvolti.
“Alpha leader, non p-pensate che sia il caso di parlargli?” domandò Surge
ingenuamente.
Stormer lo squadrò infastidito, lasciando cadere i documenti sul tavolo da
lavoro, e si alzò in piedi. “Credi che i capricci di uno che dovrebbe mantenere
un atteggiamento composto mi importino qualcosa? Lasciatelo perdere, è un
ordine. La vita di ognuno di noi, e forse anche di Makuhero City, dipenderà
dalle nostre prossime mosse. Non possiamo correre dietro a dei ragazzini!”

Passò un’ora e mezza. Stringer e Bulk arrivarono con una notizia che spaventò
i due compagni dell’Eroe rosso. “Furno se n’è andato. Lo abbiamo cercato
ovunque, nei dormitori, nella sala d’addestramento, al Centro missioni, ma
niente. Sappiamo solamente che la sua moto è stata ritirata qualche minuto
fa.”
Stormer fece di no con la testa, quasi sorridendo per l’assurdità della
situazione.
Stringer insistette. “Che facciamo? Non possiamo lasciarlo solo là fuori,
Preston. Perderemmo un guerriero troppo importante!”
“D’ACCORDO, HO CAPITO! Mettetevi sulle sue tracce, e tenetemi
aggiornato. Breeze, Surge, è giusto che andiate con loro due.”
“Agli ordini, Alpha leader!” risposero in coro.
Per ordine di Sakovius, un gran numero di Matoran venne fatto riunire nella
piazza principale della cittadella innevata. Nokama e Vakama erano sul posto.
Subito i Matoran si chiesero cosa avrebbero detto o fatto.
Il Toa del Fuoco fece un passo avanti guardando Sakovius. “Sono tutti loro?”
“Si, Vakama. Come avevi detto.”
“Bene, iniziamo dal primo. Ko-Matoran, vieni avanti!” indicò l’unico della prima
fila.
Non si mosse. Un suo amico lo urtò alla spalla. “Forza, Danahk, fa’ come ti ha
detto!”
“Ma i-io... n-non so...”
“Non temere.” lo tranquillizzò Nokama con un sorriso confortante. “Vogliamo
solamente esaminarti un attimo. Poi potrai andare.”
Fece un passo, poi un altro, e poi un altro ancora. Il quarto era tutto
tremolante. Vakama gli fece una carezza sulla Kanohi con una piccola risatina.
“Rilassati. Sono un Toa. Non potrei farti del male.”
“Non credo sia d’accordo con te, Vakama.” corresse giustamente Sakovius
mentre arrivò un vento freddo dalle montagne nevose. “Danahk e molti che
vedi sono stati sfruttati e martoriati violentemente dai membri della tua
specie. Avevano perso la ragione e ora loro hanno perso la fiducia nel
prossimo. Sono da capire in fondo...”
Il Toa lo osservò, amareggiato dal terribile passato. Il Ko-Matoran non aveva
neanche il coraggio di guardarlo in faccia.
“Hai paura, non è vero? Chi sono io per non dire a te e a tutti voi di non
provarla? Come se fossimo sicuri che ella sia solo negativa... Ce la
immaginiamo come un orrendo pozzo dal quale è impossibile dare ritorno. Un
ammassa oscura gelatinosa che ci trascina nel baratro più profondo che esista.
Ma vi dirò, non la combattete. Abbracciatela, soldati! Per un’ultima volta! Non
sempre ciò che è maligno distrugge. Può anche aiutarci a costruire coraggio ed
esperienza! Non lo dimenticate.” e prese la mano del Matoran, creando poi
una piccola fiamma che lasciò sospesa un paio di centimetri sopra di essa.
Danahk sorrise. Non provava dolore. Nessuna ustione.
“L’Unione è il vero motore che ci permette di affrontare la paura. Non esitate
a farvi aiutare! Non siete perfetti! Non lo sono stato io, non lo è stato Toa
Lhikan e nemmeno Matoro. Hanno scritto una storia, col loro liquido vitale, e
non se ne sono pentiti. Hanno sofferto, e anche tanto, ma l’hanno fatto per
qualcosa di più grande. Perchè mi chiederete? Perchè hanno avuto coraggio! Ed
esso da dove è nato? Dalla paura! Senza non esisterebbe nemmeno nei nostri
pensieri! Quindi io vi dico, è giusto che sia così!”
Perciò Danahk accettò di farsi controllare. Aveva una sola cosa in comune con
gli altri Matoran radunati: lo squarcio sulla maschera causato dall’attacco di
Darkness su Voya Nui.
Nokama passò al fratello l’attrezzo di riparazione, ancora commossa dalle
parole del suo leader. Lentamente avvicinò lo strumento alla Kanohi del
piccolo, e questa si illuminò d’un rosso accesso, rilasciando una scarica
elettrica molto potente. Vakama si allontanò subito provando un forte
bruciore. Danahk si spaventò, credendo per assurdo che gli avrebbe dato la
colpa.
“Che è successo?” domandò la Toa dell’Acqua al compagno.
“AGH!” esclamò. “La sua maschera è... è irreparabile, maledizione!”
“Proviamo con un altro allora!” suppose Sakovius, ma si rivelò un fallimento.
Sbagliarono altre sei volte. Non c’era modo di portare a termine il compito
assegnatogli da Artakha. Anche se questo non l’avesse voluto, l’avrebbero
dovuto fare comunque.
Da un po’ di tempo, i Matoran soggetti alla rottura della propria maschera
stavano sperimentando un peggioramento della salute. L’Essenza fungeva anche
da energia auto rinnovabile per l’intero organismo.
“Troveremo una soluzione, fratello. Nel frattempo io e Matau prepareremo
delle soluzioni di radici Bhongahr, un toccasana per tutti loro.”
“Farò si che avremo i magazzini pieni.” affermò l’Agori a capo dei Parenga.
“Ti ringrazio, Sakovius.” chinò la testa cordialmente.
Vakama, come sempre, era irritato dalla situazione. Erano solo all’inizio dei
guai che sicuramente avrebbero incontrato d’ora in avanti.
Dovette rimandare l’appuntamento coi suoi conflitti interiori: Matau era
appena arrivato. Atterrò con la gracilità di un Muaka in mezzo a tutti,
pavoneggiandosi come sempre.
“Porto novità da sud, fratelli. Abbiamo un nuovo alleato.”
“L’Unico?!” ipotizzò stupidamente Nokama, che voleva conoscere tale essere a
tutti i costi.
“No, sorella. Johmak...”
“Johmak?” si sbalordì Vakama. “E’ qui sul Robot? Saranno secoli che non la
vediamo.”
“Già. L’abbiamo salvata per poco. A quanto pare, Helryx ha deciso di
sterminare tutti gli ex membri che non sono stati scelti dalla Ignika, temendo
che potessero unirsi a noi potenziandoci.”
“O forse perché sapevano qualcosa riguardo al Codrex...”
“Può essere, Nokama. Per primo è caduto Umbra, poi le spie di Nynrah.
Johmak sarebbe stata l’ultima. I loro corpi sono stati fatti a pezzi senza
esitazione.”
Un comandante Parenga gli chiese dove si trovava l’ex agente dell’Ordine al
momento.
“E’ con Tobduk e Mazeka nell’accampamento a ovest. Tra non molto loro,
Nuju, Whenua e Onewa partiranno per insediarsi nel Continente
meridionale.”
“Avete già conquistato Artidax?!” si riempì di felicita Vakama per il primo
grande obiettivo raggiunto, a poche settimane dalla loro entrata in guerra.
“Per chi ci hai preso? Avresti dovuto vedere Tobduk. Era incontenibile. Ora
fatemi riposare e datemi qualcosa per riscaldarmi! Sono settimane che non
assorbo del cibo!”
L’indecisione tormentava Ackar da molti giorni ormai. I sopravvissuti, freschi
del ritrovamento di Hauran ed entusiasti di avere un Grande Creatore al loro
fianco, attendevano solamente il suo responso. Takanuva aveva già preso la sua
decisione e così anche gli altri Glatorian, ma spettava ad Ackar il via libera.
Quale delle due alternative avrebbe dovuto scegliere dunque? Rimanere sul
pianeta esplodendo con esso, oppure abbandonarlo e raggiungere
forzatamente il Robot per morire comunque?
Il suo periodo di riflessione nella caverna-rifugio durò a malapena due giorni.
Decise poi di uscire. Aveva bisogno di tempo, di spazio, di libertà dalle sue
responsabilità.
Fece visita a diversi luoghi: Tajun, Tesara, Vulcanus. Mai avrebbe pensato che i
vecchi villaggi potessero essere distrutti così esageratamente. Non rimase
nulla.
In ogni caso, alcune strutture sepolte dalla sabbia gli fecero venire in mente dei
lontani ricordi della sua gioventù, quando l’addestratore Derik lo accolse a
braccia aperte. Ackar crebbe con gli occhi puntati addosso giorno e notte,
abituandosi al nonnismo frequente degli altri Glatorian. In quel tempo, il
Signore elementale del Fuoco stava già progettando le prime mosse per la
Guerra del Nucleo. Nel suo corso, Ackar fu toccato profondamente dagli
orrori che esso poteva scatenare. L’esperienza che accumulò lo fece diventare
la prima scelta per i combattimenti che si sarebbero tenuti in futuro. Ma il
prezzo per tale fama, naturalmente, furono i cadaveri dei valorosi guerrieri che
si sacrificarono per novellini come lui.
Gli capitò di giungere alla sua vecchia casa, Vulcanus, sepolta da un vasto strato
di lava solidificato. Ricordò fin da subito i secoli passati a difendere il titolo di
miglior guerriero nei Grandi tornei. Poi gli sovvenne un episodio particolare:
l’incontro con Rubix. Forse risolvendo quel caso, avrebbe scoperto l’identità
che stava dietro ai rapimenti e ai furti di Protodermis, annullando
automaticamente le ostilità fra le due popolazioni del Circolo.
Infine si incamminò nel canyon in cui lui, Kiina e Mata Nui furono assaliti dai
Cacciatori di ossa e Skopio. Le rocce che popolavano la cima del canyon
furono riversate per intero all’interno, a causa dei maestosi venti generati dalle
turbine del Robot.
Notò che il masso roccioso che Mata Nui spezzò perfettamente con la sua
spada era ancora lì, intatto, ma giusto un paio di centibios più avanti intravide
degli strani disegni sul muro di pietra: una Tryna e una Ruru.
Toa Macku li aveva incisi prima di partire coi suoi compagni.

E subito partì un altro ricordo...

“Ancora mi chiedo come diamine farai a risvegliare quel mostro meccanico.”


Mata Nui lo guardò sorpreso. “Scherzi? E’ forse l’unica cosa buona che posso
fare. Se non puoi scalare montagne, Ackar, prova almeno a camminare, e
accontentati. Grandi vittorie richiedono piccoli sacrifici.”
Ackar fece un ghigno scherzando. “E’ il dovere di un Toa, giusto? Mi devi una
spiegazione su cosa sono...”
Mata Nui distolse lo sguardo, cercando una risposta ideale. “Un Toa... essere
Toa è ben diversi dall’essere un eroe. Nelle grandi storie, sentiamo spesso di
valorosi condottieri che hanno portato a termine imprese impossibili. Vengono
descritti come esseri superiori, ricchi di coraggio e fiducia in sé stessi. Essere
Toa è un’altra cosa. Loro soffrono, piangono, si aiutano, ma alla fine si rialzano
sempre. Le loro apparenze sono solo delle illusioni. Non sono altro che
corazze trasportate da un pensiero poco esperto in guerre e combattimenti,
tipico dei Matoran, com’è giusto che sia. In migliaia di millenni, ho visto
atteggiamenti che mai mi sarei aspettato di ammirare da parte di piccoli esseri.
Con le loro abilità, avrebbero potuto lottare per la loro miserabile vita, e
invece non lo hanno fatto, capendo che il Dovere dettatoci dal Destino stesso
è un altro. Molti sono morti per far sì che tutto questo potesse accadere.
Sono morti per me, e io non posso fare altro che ricompensarli. Ecco cosa
significa essere un Toa. Cadere, piangendo anche, ma andando avanti.”

“ACKAR!” giunse un messaggero di fretta.


Il Glatorian si voltò con le lacrime agli occhi, forse per la prima volta nella sua
vita, senza contare le prese in giro dei Glatorian e le perdite di amici di quando
era giovane.
Il messaggero non era altri che Takanuva.
Riprese fiato. “Ah... Ti ho cercato ovunque... ah...”
Il veterano si levò di dosso la tristezza data dal ricordo commovente. “Cosa
devi dirmi?”
Il Toa della Luce non girò attorno. “Ti chiedo scusa, Ackar. Per tutto. Non
avrei mai dovuto abbandonarvi in quel modo egoistico e meschino. Perdonami
tanto...”
Le scuse furono accettate, ma c’era ancora una questione importante da
risolvere.
Ackar non disse nulla. Takanuva si aspettava un atteggiamento differente.
Dovette fare un ulteriore passo avanti. “Abbiamo un mondo da salvare, amico
mio. Lo sai questo?”
Ancora nessuna risposta, solo titubanza.
Takua insistette. “Vero?”
Ed egli sospirò. “Non ho altra scelta, Toa. Ma se lo faccio, non sarà né per te e
né tanto meno per la mia gente. Lo faccio per Mata Nui. E’ quello che ha
sempre voluto...”
La felicità tornò negli occhi del Toa dopo tanto tempo. Seguendo le usanze
Agori, porse in avanti la mano. Ackar però non gliela strinse. Rispose facendo il
tipico pugno Toa. Un gesto sicuramente inaspettato, ma che venne ricambiato
con orgoglio da Takanuva...
Era una notte come le altre. Una tremenda tempesta stava infestando le
battaglie nel meridione da qualche giorno. A poche ore dal mattino, due
sentinelle in una base Hero stavano riordinando gli ultimi appunti.
“Quando finirà di piovere, si può sapere?!”
“I nostri esperti dicono che è tipico di queste zone.”
“Già, ma questi disastri non erano così consistenti l’anno scorso!”
“Pazientati. Non sarà di certo una tempesta il primo dei nostri problemi.”
“Ah... hai ragione. Se non altro abbiamo anticipato i nostri avversari occupando
il Continente meridionale.”
“Non ne sarei così sicuro. Le forze di questo... Equilibrio... hanno sfondato le
prime difese a est di Voya Nui, e non sembrano avere intenzione di fermarsi.”
“Ricordo di essermi scontrato con alcuni di loro tempo fa. Sono guerrieri
davvero formidabili. Alcuni vantano di un’abilità bellica a tratti imbattibile.
Possono teletrasportarsi, indebolirti col solo pensiero e molto altro. Sono
ricchi di alternative incredibili.”
“Che razza di mostri sono?!”
“Ahah!” rise. “Almeno i nemici ad ovest sono più presentabili.”
“Quei maledetti Toa...” si lamentò mentre dava una ripulita veloce. “Se Rocka
non li avesse ammazzati a quest’ora non avremmo perso la possibilità di
aggiudicarci Artidax! Lurido traditore...”
L’altra sentinella diede una veloce occhiata alla vetrata, riscaldandola per
sciogliere il ghiaccio che si era formato. La prima cosa che notò era una strana
presenza che aveva da poco oltrepassato l’entrata principale della base.
“Che diamine combinano gli altri?!”
“Cosa c’è, Markus?” andò a vedere. “Chi è quello?!”
Markus prese la torcia e spense le luci.
“Dove stai andando?” gli chiese il compagno.
“A fermare quello straniero! Non è colpa mia se gli altri pensano ad altro
invece di sorvegliare la zona!”

Corsero più in fretta che potevano sulla strada principale. Gli altri Eroi non si
accorsero minimamente dell’individuo, forse a causa della nebbia generata dalla
pioggia.
“Alt!” gridò Markus con il diluvio che raggiunse il suo massimo. “Identificati!”
L’altezza dello sconosciuto era tipica di una sola razza.
“Toa?!” esclamarono le sentinelle. I dispositivi di riconoscimento della razza lo
confermarono.
Il guerriero rispose infreddolito. “A-aiut-tatemi... v-vi p-prego...”
Improvvisamente, Markus lo afferrò di forza facendolo sbattere a terra. Prese il
braccio del Toa e lo piegò dietro alla schiena.
“AAHH!”
“Sta’ zitto! Chiama gli altri, Markus. Domani mattina chiameremo il Quartier
generale.”

Flash e Puck, due dei Nove, arrivarono all’istante quel mattino. In teoria quelli
che sarebbero dovuti arrivare erano Gobbs e Fox, diretti interessati.
I due arrivarono con la jeep al settore quattro, dove fu imprigionato il Toa.
Mentre scendevano ai piani inferiori, si fecero riassumere da Markus quanto
accaduto la notte precedente.
“Sicuro fosse da solo?” domandò Puck.
“Si, non sembrava esserci nessun altro. Abbiamo ordinato un’ispezione forzata
della zona nelle successive ore.”
“Vi ha detto il suo nome?”
“No, ha... perso conoscenza...” disse con la voce di uno che stava nascondendo
qualcosa.
Diciamo che al Toa non furono risparmiati dei pugni ben assestati.
Mancavano ancora parecchi piani. Il numero di guardie aumentava
costantemente. Infine giunsero ad una porta sorvegliata da due Hero Titan.
“Comandante Flash.”
“Comandante Puck.” parlarono all’apposito marchingegno.
“Identità riconosciuta. Benvenuti, comandanti.” sentirono una voce femminile.
Entrarono. Il Toa era seduto su una sedia posta al centro della stanza con la
testa chinata. Markus consegnò il rapporto digitale a Flash, che iniziò a leggerlo
con attenzione.
“Segni particolari?”
“Mostra un evidente cicatrice dietro al collo.”
“Mmhh... altro?”
“Nulla, signore.”
“Molto bene.” e consegnò i dati a Puck, iniziando a fare qualche domanda.
“Toa, qual è il tuo nome?”
Costui alzò lo sguardo ancora dolorante. “Gildas... Toa Gildas.”
Markus prese nota.
“Da dove vieni?”
“AGH! Tesara...”
“Facevi parte dell’Ordine di Mata Nui?”
“Ah... ah... un tempo sì...”
“E dopo il Risveglio? Eri ancora a servizio di Toa Helryx?”
“COUGH! No... mi unii ad un gruppo di Toa mercenari.”
“Come hai fatto a ritrovarti qui?”
Si mise più comodo, guardando il soffitto. Il respiro era ancora pesante. “Ci
hanno attaccati.”
“Chi?”
“Vorrei tanto sapertelo dire...”
“Comandante...” suppose Markus. “Forse è stato quello che le tradizioni Agori
chiamano Marendar.”
“Marendar, ahah! Già è quello il suo nome...”
“Perché non ti ha ucciso allora?”
“Perchè doveva portarmi dal suo nuovo padrone, evidentemente.”
“Quindi la macchina può essere controllata?” Puck si rivolse al compagno.
“Può essere. Fatto sta che sono riuscito a fuggire da questo... padrone... e ora
eccomi qui.”
“Non gli credo!” affermò Markus. “Per me è tutta una tattica dei nuovi Toa. Lo
avranno sicuramente mandato per ucciderci!”
Come finì di accusarlo, fu afferrato per le caviglie da una radice verdastra. Lo
stesso accadde agli altri due Eroi. I Titan all’esterno sentirono i rumori, ma non
riuscirono ad entrare poiché un enorme pianta bloccava l’ingresso. Ci sarebbe
voluta la forza di una Pakari per irrompere.
“Adesso statemi bene a sentire, Eroi...” parlò con tanta arroganza mentre
strinse le liane attorno al collo delle vittime. “Se veramente avessi voluto
uccidervi l’avrei potuto fare senza grandi problemi. Di fronte a me ho due dei
generali coinvolti nella Battaglia dei Nove. Se fossi dalla parte dei Toa, a
quest’ora vi ritrovereste sul pavimento con gli arti e la testa spappolati. Se
sono qui è perché sono l’unico che può aiutarvi contro quegli ammassi di
Protodermis. Ecco cosa ho per voi...”
Li posò dolcemente a terra, a patto che l’avessero ascoltato. Poi dal
contenitore posto sulla sua schiena prese dei documenti.
“Qui ci sono delle informazioni che potrebbero interessarvi. La milizia che ora
chiamate Parenga si è recentemente unita ad un gruppo che si fa chiamare
Mano di Artakha. Dentro ci sono anche i Toa che sia io che voi vogliamo
morti. Hanno già in mente un piano, a quanto sembra.”
Gettò le tavole digitali a terra. Una di queste mostrava un segno nella zona
centrale del Continente meridionale. Puck e Flash le presero, intimoriti dai
poteri del Toa contro i quali l’armatura Ultimate poteva fare ben poco.
“Di che cosa si tratta?” domandò Flash.
“Venti kios più a est c’è un’importante base sotto il vostro controllo.
Un’armata di settemila Parenga rischierà il tutto per tutto contro di voi. Ci
saranno agenti di Artakha e quattro dei vostri Toa ricercati a guidare l’assalto.”
“Ne sei proprio sicuro?”
“Mandate qualcuno a controllare se non ci credete. Io aspetterò. Ho tutto il
tempo che voglio, specie quando sto per stringere nuove amicizie...”
Tutto venne confermato. Nel giro di quattro ore, una sonda venne mandata
dopo aver inserito le coordinate fornite da Toa Gildas. Un accampamento che
contava circa settemila nemici fu individuato non appena oltrepassata la nebbia.
Gildas fu portato al cospetto di Stormer, con il quale ebbe un dialogo in
privato...
“Perchè lo fai?” domandò alla fine della conversazione l’Alpha leader.
“Perchè non ho altro per cui combattere. Questo non si addice a noi Toa.
Siamo costantemente alla ricerca di qualcosa da difendere, che sia il nostro
onore, i Matoran, o qualcosa di materiale. Quelli che si sono schierati con i
Parenga non sono Toa.”
Ma Stormer non gli credette facilmente. “Allora per quale ragione ti metti
contro di loro? Credi che i miei soldati ti accoglieranno come un alleato?”
“Non mi interessa. Morirò comunque per mano del Marendar quando mi
troverà.”
“E il capo dell’Equilibrio? Sai dove si trova? Due nostre prigioniere ci hanno
dato la sua posizione in una base ad est, ma non c’era nessuno.”
“Darkness ha già iniziato a muoversi per la conquista del Codrex. E’
impossibile trovarlo. Vi conviene seguire i miei consigli se non volete essere
anticipati da lui.”
Stormer accettò, ma non voleva comunque farsi fregare. “Avrai due guardie
che ti controlleranno ogni singolo secondo. Non fare mosse avventate, o ti
farò ingoiare personalmente ogni singola radice che sarai in grado di
generare...”
Mazeka e Johmak ebbero un incontro col generale Sakovius, promosso
comandate delle legioni Parenga. Sotto la sua guida, con l’appoggio importante
di Vakama, Nokama e Matau, si conquistò definitivamente la coscia destra del
Robot. Accadde circa tre mesi dopo il ritorno dei Metru.
Era atteso anche l’arrivo di Rocka, che giunse in ritardo. Lui e i suoi cinquanta
soldati famigliarizzarono piuttosto velocemente con i Matoran e gli Agori un
tempo ribelli. Si stabilirono più a sud di Artidax, nelle vicinanze di un porto
Parenga dal quale era possibile intravedere le coste difese dagli Eroi con uno
specifico cannocchiale, rubato anni prima dalle Torri della Conoscenza a Ko-
Metru. L’Eroe dorato descrisse alla perfezione gli armamenti e
l’equipaggiamento della sua fabbrica. Inoltre cercò a tutti i costi di trovare
Stormer per parlargli pacificamente. Non a caso, non entrò mai in
combattimento al fronte Parenga, ma anzi li avvertì ripetutamente di non
uccidere gli Eroi. Fino a quel momento infatti, l’invasione di Artidax si
combatté contro le poche forze dell’Ordine rimaste, e che già si stavano
ritirando verso Voya Nui. Anche il Continente meridionale fu svuotato. Gli
unici scontri con Eroi avvennero in mare aperto, ma c’era poco da fare per la
flotta dei ribelli.
“Mi auguro che i patti siano stati rispettati, comandante.” disse infatti a
Sakovius durante l’incontro.
“Fidatevi di me, Rocka.” ribatté Mazeka al posto dell’Agori. “Se è successo,
vorrà dire che sarà stato inevitabile. Uccidere non fa parte della politica dei
Toa Metru.”
Gli occhi dell’Eroe però erano titubanti. Era già tanto se si trovava lì e non al
Quartier generale.
“Noi invece faremo meglio a raggiungere gli altri.” suggerì Johmak con una
certa fretta. “A proposito, dove sono i tre Metru?”
“In ricognizione. Volevano accertarsi che i territori più a sud fossero liberi. Tra
poche ore saranno qui.”
“E voi chi sareste?” Rocka si rivolse a Johmak. “Non vi ho mai visto.”
La guerriera si presentò e riassunse la sua storia dicendo semplicemente che
un tempo era parte dell’Ordine di Mata Nui, per poi abbandonarlo dopo la
morte di Makuta Teridax.
“Capisco.”
“Eroe Rocka...” arrivò un Parenga messaggero. “I dati che avevate richiesto
sono pronti.”
“Quali file?” si incuriosì Sakovius.
Mazeka spiegò tutto. “Una lista delle nostre provviste militari e non. L’Eroe si è
offerto volontario di portarla ai nostri squadroni più a nord.”
“Ci metterò poco, giusto il tempo di scaricarli nel mio database, cosicché
possiate tornare a sfruttare i vostri apparecchi tecnologici.”
Uno dei due Eroi che lo accompagnarono gli consegnò un computer
metallizzato. Digitò sui tasti, avviando la fase di sincronizzazione. Non restava
che attendere il compimento.
Mazeka e Johmak, che si misero in disparte, ebbero da discutere.
“Non c’è da fidarsi, Mazeka! Se non l’avete capito sto con voi solamente per
aiutare Hydraxon!”
“Ti abbiamo salvata dalle grinfie di Helryx nel caso l’avessi dimenticato. Non
dovresti mettere in dubbio le parole di chi sa ancora distinguere il bene dal
male.”
“Non abbiamo tempo da perdere con individui che possono farci cadere da un
momento all’altro! Se questo esercito sta in piedi è merito dei sei Toa!”
Mazeka fece di no con la testa. “La tua speranza è così debole... Hai troppa
paura.”
“Beh, dovresti averla. Ho visto gli Eroi. Ho visto le armate di Darkness. So cosa
possono fare. Credi che dei Matoran armati di scudo e lancia possano fare la
differenza? Perchè non è arrivato Artakha ad aiutarci? Cos’ha da nascondere?!”
Le parole della guerriera furono tagliate in pieno da un tonfo proveniente dalla
postazione in cui Rocka avviò il download dei dati. Credevano si trattasse di un
sovraccarico del sistema, o qualcosa del genere. Si sbagliarono.
Furno stava bloccando Rocka in una morsa letale. Puntò il suo blaster sulla
testa dell’Eroe dorato, cambiando poi la mira verso Sakovius e gli altri.
“GETTA A TERRA L’ARMA, EROE!” lo intimidì il comandante dei Parenga,
mentre dieci suoi soldati stavano per aprire il fuoco.
“Non mi sorprendo!” gridò Furno. “Sapevo che avreste difeso questo sporco
traditore!”
“Furno, lasciami spiegare, NGH!” provò a liberarsi inutilmente.
L’Eroe rosso aveva una presa formidabile, difficile da rompere. Alpha leader gli
aveva insegnato il mestiere per bene. Poteva rompere braccio e gamba di
Rocka con una leggera pressione.
“Spiegare cosa, eh?!” puntò il blaster sull’elmetto dorato.
“Non farlo!” urlò Mazeka, chiedendosi dove diamine si trovavano i Metru.
Aveva urgente bisogno di un loro arrivo a sorpresa.
“No... non da solo. Stringer, Bulk, l’ho trovato.”
Il dirigibile Hero disattivò l’invisibilità, oscurando le finestre della struttura. I
due Eroi veterani erano pronti a far fuoco. Furno riuscì inaspettatamente a
convincerli quando lo trovarono. Anche loro in realtà erano molto titubanti
circa la guerra in corso, nono sapendo da che parte guardare.
“Abbassate le armi!” giunse la comunicazione dalla radio della nave.
Chiaramente non accadde nulla di nuovo.
La suspense salì ai massimi livelli, e quando la forza di Furno diminuì anche di
un solo biogrammo, Rocka fu capace di porre il braccio attorno al collo
dell’Eroe rosso, facendolo volare all’indietro, ma questo fece un basso
all’indietro per non perdere l’equilibrio. Afferrò Rocka per il petto per poi
scaraventarlo contro i macchinari.
Né i Parenga e né gli Eroi piloti riuscirono a sparare un singolo colpo: Rocka e
Furno erano già nel mezzo di uno scontro a mani nude, dopo che l’Eroe
dorato disarmò l’avversario con un calcio alla mano.
La mira dei due gruppi cambiava continuamente direzione. I combattenti non
riuscivano a stare fermi nello stesso punto. Si picchiavano, graffiandosi
pesantemente le armature. Le corazze si arricchirono di ammaccature.
Ad un tratto, Furno si stancò di usare i pugni come arma, siccome realizzò che
erano alla pari. Dopo essere riuscito a colpirlo per bene alla mascella, lo
afferrò per le caviglie facendolo cadere a terra con un tonfo. Attivando
l’attrazione magnetica, richiamò il fucile a sé in meno di un secondo.
Ora era lui a comandare la situazione. L’Hero Core sul petto di Rocka era
opposto alla volata dell’ex commilitone.
“Non sei degno di portare quel simbolo.”
“Allora spara! Ma sappiate che morirete come cani su Voya Nui.”
BZZZZZZZZZ
La radio di Furno iniziò a emettere delle interferenze. Tenne il fucile con una
sola mano, pronto a premere il grilletto, mentre con l’altra tentò di aggiustare
il segnale.
“Ragazzi, siete voi?” si rivolse a Stringer e Bulk sul dirigibile, che però negarono
con la testa.
Dopo un paio di secondi, arrivò un messaggio da Alpha leader: “Furno? Furno?
BZZZ... Riesci a sentirmi? BZZZ...”
“Stormer? Si, ti sento!”
“Dove diamine sei stato per tutto questo tempo?!”
L’Eroe sorrise quasi come un pazzo. “Ho catturato Rocka, Alpha leader. Ce
l’ho qui proprio davanti a me. Richiedo il permesso di sparare.”
“Permesso non accordato.” disse severamente.
Furno si imbestialì. “Osi perdonarlo?!”
“Torna in te, soldato. Non sei più una recluta! Quando avrò Rocka davanti a me,
potrò parlarci. Sono sicuro che avrà molte cose da dirci...”
Lo sfondo che si apriva dietro Stormer era piuttosto insolito. Né Bulk e né
Stringer ricordavano un ambientazione simile tra i luoghi che avevano visitato,
al che domandarono: “Dove vi trovate, Alpha leader?”
“Vi ho mandato le coordinate. Raggiungeteci il prima possibile. Stiamo per
anticipare la Mano di Artakha nel Continente meridionale.”
I Parenga si spaventarono. Johmak guardò subito Mazeka terrorizzata.
“Che cosa ci fate lì? Non dovevamo partire tra cinque giorni?”
“Negativo, Stringer. Un nostro contatto ci ha appena informati di una possibile
imboscata da parte dei Parenga.”
“Quale contatto? Di chi parli, Preston?”
“Un Toa.”
“CHE COSA?!” esclamò Mazeka. “Non può essere!”
Che fossero i tre Metru? Per questo ci stavano mettendo così tanto a tornare
dalle isole più a sud?
Johmak si pentì sempre di più di aver imboccato quella strada.
“Aspettateci, vi raggiungiamo il prima possibile. E, Alpha leader, porteremo
anche Rocka. Tenete la radio accesa per ogni aggiornamento.”
BZZZZZZZZZ
La radio tornò a emettere interferenze.
“Che sta succedendo qui?!”
La voce proveniva da una dell’entrate della struttura. Vakama, Nokama e Matau
erano arrivati, colti alla sprovvista da ciò che stavano vedendo. Rocka aveva
perso conoscenza. Furno se ne infischiò e lo mise come un peso morto sulla
spalla.
“FERMI, TOA! NON UN ALTRO PASSO!”
Il Toa del Fuoco alzò le mani. “Cerchiamo di calmare gli animi.”
“Dillo prima al tuo generale. Ordinagli di fare abbassare le armi!”
Con un cenno della testa, Vakama accettò. Ogni Parenga nella stanza lasciò
cadere i lanciatori. La situazione si stava facendo sempre più tesa.
Nokama provò a dire qualcosa per evitare una brutta fine. “Eroe, non pensare
male riguardo al tuo fratello.”
“Lui non è mio fratello! Non sa nemmeno cos’è l’onestà!”
“Capisco perfettamente la tua sensazione, ma vedi così facendo rischierai di...”
BZZZZZZZZZ
Si sentì una nuova comunicazione dalla radio degli Eroi.
Furno premette il tasto sul suo comunicatore per sincronizzarsi. “Dite pure,
Alpha leader.”
Non si sentì la voce di Stormer...
Un rumore simili a passi frenetici accompagnati da un respiro ansioso erano
l’unica cosa che furono in grado di captare.
“Alpha leader? Preston, mi senti?”
Partì uno sparo e dopo neanche un secondo un altro ancora.
“Stormer! Rispondi!”
“Che c’è, Furno?” chiese Stringer allarmato, dopo essere sceso dal dirigibile
con Bulk.
Il giovane attivò il vivavoce.
“ANF! ANF! Mi sentite...? Pronto?!”
“Questo non è Preston!” ragionò ad alta voce Bulk. “Soldato, identificazione!”
“AGH! Ah... recluta Michael Ximons, squadrone Kopfer.”
“Che cosa è successo? Perchè Alpha leader non è lì con te?”
Poi l’orrore: “STORMER E’ MORTO! CI HANNO TESO UNA TRAPPOLA!”
I tre Eroi spalancarono gli occhi. Vakama, Nokama e Matau si guardarono
sbalorditi.
“Bombe... bombe acide... erano dappertutto, signore. Hanno iniziato a sparare da
ogni direzione. Non siamo riusciti a vederli. Ho perso molti compagni, maledizione!”
pianse a squarciagola. “Credo sia stata opera del Toa che ci ha consegnato i piani
della Mano di Artakha...”
“IO VI AMMAZZO TUTTI!” dichiarò Stringer fuori di sé prendendosela
casualmente con i tre Toa.
I Parenga ripresero in mano i fucili all’istante. Se Vakama non avesse fatto nulla,
sarebbero tutti e tre finiti in mezzo al fuoco incrociato, e la speranza di salvare
i Matoran sarebbe cessata...
“Un momento, signore!” lo fermò Ximons inaspettatamente. “Non possono
essere stati i Parenga. Anche loro hanno avuto delle perdite. Il Toa che ha
collaborato con noi... Toa Gildas se non erro... non può appartenere alla Mano di
Artakha. L’ho visto uccidere decine di Agori senza la minima pietà. Ci deve essere
per forza qualcun altro dietro!”
Bulk abbassò l’arma dell’Eroe nero. “Ne sei sicuro, recluta?”
“Si... si, signo- AAAHHH!”
“Ximons... XIMONS?!” ma il segnale radio si spense.
Entrambi i gruppi erano addolorati per le loro perdite. Da una parte i Metru
erano in ansia per gli altri tre fratelli, sebbene non potessero raggiungere la
sofferenza degli Eroi, senza parole e completamente apatici. Il loro silenzio
valeva più di mille grida.
Alle spalle di Furno, Rocka riprese i sensi mentre era appeso. L’Eroe rosso lo
mise a terra. Nokama corse subito in soccorso, senza essere fermata. Non
aveva senso scontrarsi, non adesso...
Osservandolo meglio, La Toa dell’Acqua affermò. “E’ messo male. Temo però
che i miei poteri non possano fare nulla per la vostra specie.”
“Johmak, aiutalo!” ordinò Mazeka di sua iniziativa.
Purtroppo per lui, la guerriera era paralizzata nei suoi pensieri. Continuava a
ripetere il nome di Gildas nella sua mente. Lo aveva già sentito in passato...
“Johmak, ti vuoi muovere?!” questa volta intervenne Matau.
“Eh? S-si eccomi arrivo! Sakovius, fallo mettere su quel tavolo.”
“D’accordo. Procedete!”
“Soldato, portami la cassa degli attrezzi.”
“Eccola.”

Ognuno dei presenti aveva perso la concezione del tempo. Nessuno era in
grado di dire quanti minuti o addirittura quante ore erano passate dall’inizio
delle riparazioni.
Furno e gli altri due erano seduti sui macchinari da un lato della sala, mentre il
resto si mise comunque in guardia per un eventuale imprevisto. Bulk attivò il
comando automatico, facendo allontanare il dirigibile dalla base. Per il
momento la minaccia dei tre Eroi era spenta... o rimandata...
Nel frattempo la notizia della morte di Alpha leader e dei duecento che
partirono alla spedizione arrivò al Quartier generale. Le reazioni ovviamente
non furono positive. Breeze e Surge chiamarono immediatamente Furno. Il
dialogo era spesso interrotto da pianti di disperazione continui.
I pugni di Vakama si tinsero di fuoco. Nokama e Matau andarono subito a
calmarlo.
“Non potevi farci niente, Vakama.”
“Dovevo invece! Perchè non eravamo con i nostri fratelli quando tutto è
successo?!”
“Deve essere che il Destino...”
“Basta parlare di Destino, Nokama! Basta con l’Unità! Basta col Dovere! Basta
con tutte queste illusioni! Non esistono e non esisteranno mai! Non sappiamo
nemmeno se sono ancora vivi!”
Il Toa dell’Aria creò un piccolo turbine per asciugargli le lacrime. “Non
possiamo tornare indietro nel tempo, fratello.”
“Ma possiamo sfruttarlo a nostro vantaggio.” completò la frase Nokama.
Senza aspettarselo, arrivò Furno, mentre sorreggeva un Rocka indebolito.
“Non so cosa fare, Toa. Ormai ho perso le speranze in tutto.”
“No, Eroe. Non c’è mai un buon motivo per arrendersi. Non è quello che
avrebbe voluto il tuo leader. Rispettalo fino alla fine, e onoralo a tutti i costi.”
parlò Sakovius.
Le parole di Vakama ebbero un impatto fondamentale in passato. Il leader dei
Metru aveva passato talmente tanto tempo a darsi contro che non si era
minimamente accorto di quel buono che era riuscito a fare.
Furno era ancora disperato. “Forse hai ragione. Per me però Stormer è stato
più di un semplice leader. Nel bene e nel male mi ha insegnato a non mollare
mai il colpo.”
“Allora onoriamolo, amico mio.” propose Rocka un po’ indebolito. “Non sono
loro i nostri veri nemici. Io ho parlato con i Toa. Loro non possono
permettersi di rischiare la salute dei Matoran. Non sono come quelli che
abbiamo incontrato sul nostro cammino, o come quel mostro di Helryx!”
“Sì, lo faremo, e sarà solo ed esclusivamente per scappare da questo mostro
meccanico...” usò una voce severa Furno.
Inizialmente i Toa credettero di aver un nuovo e potente alleato vicino a loro,
ma accettarono comunque le parole dell’Eroe. Dovevano per forza raccogliere
ogni cosa positiva che gli veniva offerta, senza lamentarsi inutilmente.
“Alziamoci dunque. Tutti insieme!” si onorò Nokama.
Matau era con lei, e così anche Sakovius, i Parenga, Stringer e infine Bulk.
Nacque così l’alleanza di Mata-Kuro. L’ultimo passo era la scelta, e conseguente
approvazione, del nuovo leader della Hero Factory.
C’era tanta indecisione nell’aria. Rocka e Furno erano i due prescelti dalla
diplomazia di Stormer, ma non ci fu mai una dichiarazione su chi dei due
dovesse prendere il comando.

Il Quartier generale mandò subito delle sonde a raccogliere dati nel luogo
dell’imboscata. Zib e i due amici di Furno erano in attesa di novità. Il manager
del Centro missioni era forse più sconvolto degli altri.
“Siamo stati così ciechi...”
“Non è vero, Zib. Fox e gli altri membri del Recon Team hanno cercato di
fermarlo, proponendosi al posto loro.”
“E perché non hanno insistito abbastanza, Breeze?! Davvero la vita di Alpha
leader valeva così poco?!” e sbatté gli appunti a terra come un forsennato.
“PERCHÉ NON L’ABBIAMO POTUTO PREVENIRE?!”
Surge e la compagna rimasero immobilizzati.
Qualche attimo più tardi passarono i quattro generali Hero. Fox era privo
d’espressione. Valor, Puck e Flash anche.
Non scappò neanche una parola. L’unico rumore che si sentiva veniva dai
computer del Centro missioni, ma ecco che tutti mostrarono lo stesso video.
Rocka e Furno erano al centro dell’inquadratura. Cominciò l’Eroe dorato: “Figli
di Makuro e guerrieri della Hero Factory. Un altro giorno triste è arrivato. Preston
Stormer è stato importante per tutti noi, quasi agli stessi livelli di Akiyama Makuro.
In seguito alle vicende appena accadute, abbiamo preso una decisione radicale,
anche se parleremo ugualmente con i comandanti. Ora non resta che scegliere il
nuovo Alpha leader. Generale Fox, in questo momento ti chiediamo di proporre il
tuo nome.”
Egli però era troppo silenzioso e poco partecipe.
Le discussioni proseguirono fino al termine della giornata, mentre le forze di
Darkness, responsabili della trappola che tolse la vita a molti, sfondarono ogni
difesa presente nel Continente meridionale. Per fortuna Whenua, Nuju e
Onewa, oltre al guerriero di Nynrah, Tobduk, erano ancora vivi. Fuggirono fino
alle coste occidentali, senza dimenticare quanto fosse potente l’esercito di
Nektann. La caduta degli Eroi avvenne anche nel ginocchio sinistro del Robot
con molteplici esplosioni. L’Equilibrio non si fece scrupoli.
Le dinamiche Hero intanto vennero sorprendentemente rivoluzionate: Furno e
Rocka furono scelti come successori di Preston Stormer. Il leader del Recon
Team non se la sentiva di prendere le redini della milizia Hero, dato che fu la
proposta dei due giovani Eroi. Fino a quell’istante aveva optato per la guerra,
appoggiato dagli altri tre comandanti. Inoltre, la sua disperazione in seguito alla
morte di Preston fu talmente grande che cadde preda come un certo Ackar
dell’indecisione. Non era sostanzialmente il momento adatto per comportarsi
così.
Fra i due nacque subito intesa, tralasciando il loro passato ricco di
incomprensioni, invidia, ma soprattutto risse. Dopotutto ne valeva delle sorti
degli Eroi stessi, o peggio ancora di Makuhero City...
“Ce l’abbiamo fatta, Maestro!” esultò Okoth.
Per gli altri combattenti dell’Equilibrio si trattava dell’ennesima vittoria messa a
punto grazie all’astuzia di Darkness e alla determinazione di Nektann. Lo
Skakdi partì all’assalto senza esitazione quando l’ex Cacciatore oscuro gliene
parlò.
“Non sei contento anche tu, Ahkm-... Ahkmou, va tutto bene?”
Ribatté seccato. “Si, Okoth...”
“E’ magnifico! Sembrava ieri che avevamo appena assalito Wha-Nui.”
“Non mi importa. Tutto il passato non mi interessa più ormai.”
“Allora cosa c’è che non va?”
Il Po-Matoran la fissò su tutte le furie. “Non è con la morte che risolveremo
tutto, Okoth! Tu li hai visti i visi dei soldati durante le operazioni di spionaggio?
Sai come si sentono? Non tutti quelli che combattiamo sono colpevoli!”
“E nemmeno innocenti...” udirono dalle travi poste in altezza.
Il solito Darkness scese in un’ombra avvolgente. “Perchè ti ostini a non voler
accettare la felicità, Ahkmou?”
“Perchè ho paura, Darkness! Ho paura di perderla!”
“Credi che non ce l’abbia anch’io?” chiese d’istinto la Ga-Matoran.
“Che cosa mi rappresenta tutto questo allora?! Quale fine otterremo
sterminando persone che neanche sanno di esistere?! E’ Helryx, lei è il nostro
vero obiettivo. Voglio vederla supplicare mentre le taglierò le gambe e le
braccia!”
“Frena la tua fantasia, piccolino. La Toa è mia, e di nessun altro.”
“Perché mai dovrei lasciare l’onore a te, Nektann?”
Lo Skakdi strinse le spalle sorridendo. “Per il gusto di farlo, semplice, eheh!”
“Potrai anche tirati indietro dalla guerra, Ahkmou. Potrai dichiararti contrario
a noi. Potrai scegliere di abbandonare le tue responsabilità. Ma non dimenticare
che basta il volere di uno per cambiare la vita a molti.” spiegò Darkness.
“Che ne sai tu?!” crebbe la sua rabbia. “Hai mai vissuto quello che ho passato
io, o quello che ha passato Okoth?! Hai la minima idea di cosa voglia dire
essere individui insignificanti come noi, che non hanno la possibilità di dire
quello che pensano, o di opporsi con i fatti?!”
“Tu non sei insignificante, Matoran.” replicò Toa Tuyet con gli antichi
insegnamenti del Grande Spirito. “Semplicemente non hai trovato il tuo spazio
nel mondo. Non prendertela con esso per degli errori che appartengono a te.”
Si calmò. Comprese che quelle parole non erano messe lì a caso, ma erano
dettate dalla sofferenza che ognuno di loro provò a lungo.
“Potevo essere io Darkness, come potevi esserlo tu, Okoth, Tuyet, o lo stesso
Gildas. Abbiamo tutti quel sentimento che ci spinge a voler distruggere questo
mondo dalle fondamenta. Come sempre però si presentano quelle ideologie
che ci fanno tirare indietro, dicendo questo è troppo per me. E guarda caso,
quelle ideologie hanno sempre preso il nome di Toa. La giustizia e l’eroismo
non sono altro che delle misere maschere dietro alle quali è facile nascondersi.
Se vorrai andartene, Ahkmou, sei liberissimo di farlo, ma non lasceremo che
quelli che DAVVERO sono innocenti possano andare avanti a sopperire. Loro
hanno capito che la felicità non esiste. E’ tutta una stupida rincorsa. Fa’ quello
che vuoi della tua vita. Io ho preso la mia scelta. Ho smesso di aspettare, per
migliaia di anni, per momenti che non sarebbero mai arrivati...”
Finalmente il giorno tanto atteso era arrivato. La cattura del Continente
meridionale si rivelò piuttosto veloce. All’Ordine interessava poco di cosa
avrebbero combinato gli altri tre eserciti fra di loro. Non avrebbero mai potuto
sperare di oltrepassare la cintura navale dinanzi alle coste di Voya Nui.
La Battaglia dei Nove stava per concludersi. L’alba sorse lentamente quel
giorno, come se il Destino stesso si fosse rifiutato di accettarlo.
Gli Eroi tentarono per primo di seguire l’idea di Furno fuggendo dal Robot, ma
i risultati non potevano che condurre all’interno del Codrex. La Mano però
aveva altro da pensare, sebbene gli obiettivi fossero differenti. Dopo il Codrex
dovevano avanzare verso nord ad ogni costo. Tuttavia, un’energia impossibile
da quantificare abitava nella cupola, interessando automaticamente chiunque, a
partire dagli Eroi.

“Siamo pronti, Trinuma...”


L’agente dell’Ordine abbandonò l’utilizzo della macchina nella quale lavorava da
parecchi mesi. La sua funzione era sconosciuta a qualsiasi Ruhnga.
Rimase ammaliato dalla possenza della quiete che regnava nei resti della
metropoli. Per sua scelta, i Ruhnga furono divisi in due grandi squadroni: quelli
esperti nel corpo a corpo e quelli specializzati nello scontro a distanza. I primi
furono postati ai margini della muraglia a scalinata, ristrutturata per intero
dopo gli innumerevoli calci infieriti dai Rotovian di Artakha. I restanti invece si
distribuirono nei piani più alti dei palazzi, pronti a fornire copertura. La portata
dei lanciatori a loro disposizione arrivava addirittura fino alla spiaggia. Già da lì
quindi sarebbe iniziata la carneficina.
In ogni caso, ci sarebbe stato poco bisogno dei Ruhnga, sempre che gli ostili
riuscissero ad affondare la flotta. Un cielo dorato sopra le loro teste
testimoniava la presenza di Helryx tramite l’occhio della Ignika. Grazie ad essa,
poteva controllare manualmente le migliaia di Corazze immortali che
spopolavano la distesa di terra tra la metropoli e la costa. Il Monte Valmai era
l’unica presenza naturale che faceva da ospite allo spettacolo macabro che
sarebbe iniziato a momenti.
Il cuore di Trinuma batteva forse più dei Ruhnga. Mai si sentì di avere una
responsabilità così grande. L’attesa sembrava non voler terminare.
Le strade erano completamente vuote. Ogni Matoran che non poteva reggere
un’arma fu inviato immediatamente a casa, Mata-Metru.

Si arrivò a metà giornata. Ancora nessun nemico da sud. Il capo di una delle
tante squadre che tappezzavano i grattacieli si staccò dal binocolo, passandolo
al suo secondo in comando. “Niente...”
“Siete sicuro?”
“Vedi per caso qualche barca andare a fuoco o senti delle esplosioni? Anche
oggi si torna agli alloggi...”
Passeggiò facendo un cerchio, talmente era impaziente. Ogni tot secondi si
fermava per scrutare l’orizzonte.
“Avete visto qualcosa?” si sentì debolmente dai palazzi adiacenti.
“No, generale!”
“Va bene, mantenete la guardia comunque!”
Annoiato, il caposquadra rispose col saluto Ruhnga, per poi tornare a
passeggiare. Avvertì una forte folata di vento caldo improvvisamente. I Ruhnga
si alzarono dalle loro postazioni domandandosi cosa fosse. Riprese in mano il
binocolo, ma vide che la flotta era ancora intatta.
Poi notò una stranezza: uno stormo di uccelli Rahi stava svolazzando in
direzione della costa, ma scomparve senza nessuna ragione dopo alcuni
centibios dalle mura, poco oltre la linea delle Corazze immortali.
“Soldato.”
“Si, signore?”
“Mira verso quella direzione, a questa altezza, e spara.”
“Ma così facendo non colpirò nulla e si penserà che è tutto un falso allarme!”
“Fallo e basta. E’ un ordine.”
Il Ruhnga imbracciò il fucile. Dopo un respiro profondo, prese la mira
puntando la prima nuvola che capitò sul mirino.
Aspettò però troppo secondo il caposquadra: “Mi è sembrato di averti dato un
ordine!”
Timoroso, premette il grilletto. Il colpo partì allungandosi dalla volata della
canna, urtando qualcosa in uno specifico punto: una parete invisibile.
Come per reazione, ogni squadrone si mise in guardia.
“Chi è stato?!” urlavano continuamente gli altri leader.
La visione della cintura di navi ancora integra si dissolse senza preavviso. Le
forze di Trinuma, appena affacciato dal balcone del Codrex subito dopo aver
sentito lo sparo, non erano pronte a ciò che stavano per vedere.
La visuale svanì nel nulla, spezzandosi in centinaia di cristalli trasparenti che si
dissolsero prima di toccare il suolo. Il rumore aumentò senza ragione, e il
calore salì raggiungendo la cima dei palazzi. Un’enorme luce proveniva dalla
costa, generata dalle innumerevoli fiamme che divoravano le imbarcazioni
dell’Ordine.
Si scatenarono panico e disperazione. Le nubi in cielo si illuminarono a loro
volta. Helryx aveva osservato abbastanza ed era pronta a contrattaccare. Le
migliaia di Corazze immortali però non potevano che inchinarsi di fronte alla
maggioranza numerica del nemico.
L’illusione creata da Nektann, alta quanto una montagna e larga da un lato
all’altro dell’isola, aveva funzionato. Rimaneva l’assalto finale.

“FUOCOOOOOO!”
Decine di migliaia di raggi energetici volarono verso la costa, generando senza
volerlo un vasto mantello che oscurò le armature senz’anima. Lo Skakdi e i
suoi si misero a correre mentre ci furono le prime perdite tra le loro fila.
“CONTINUATE! CONTINUATE!” ordinò nuovamente Trinuma.
I Cacciatori oscuri e i mercenari un tempo prigionieri della Hero Factory
furono coperti con successo dalle bestie di Rewerax in prima linea, comandate
dagli Hagahkuta. Non fu poi così difficile avanzare.
In poco tempo, la spiaggia si riempì di decine di migliaia di combattenti.
Ahkmou, deciso a restare dopo le parole del Maestro, si unì a lui durante
l’avanzamento. Non lo vedeva in azione da quando uccise brutalmente i vecchi
Metru. Toa Tuyet aveva il suo solito fucile ricavato per intero dalla Pietra Nui.
Fu Darkness a costruirglielo dopo l’incontro nella caverna del Marendar. Di
quest’ultimo però non c’era traccia, e nemmeno dei temibili Barraki...
Toa Gildas ebbe la libertà come la settimana prima di sganciare bombe acide a
ripetizione, intrappolando allo stesso tempo le Corazze immortali nelle piante
che faceva fuoriuscire dal terreno. Anche Thorgai Drenaris e gli Hagahkuta non
ebbero limiti.
Ma mettere fuorigioco le armature controllate da Toa Helryx era praticamente
impossibile. Non avevano punti deboli. Ogni volta che veniva tagliata l’anima
dorata che le abitava, queste si rigeneravano automaticamente dopo cinque
secondi. Era un vano spreco di energie e combattenti. Darkness l’aveva
previsto, per tale ragione preferì sacrificare le bestie della Realtà del Creato.
L’unica arma che poteva schierare contro la potenza della Ignika era proprio
Nektann. Purtroppo però, lo Skakdi si rifiutò di liberare per intero l’Essere
dorato. Secondo lui, non era ancora il momento.
Nel mentre, sette squadre di aerei Rangai guidati a distanza da Trinuma si
contrastarono contro i Cacciatori oscuri volatili, tra cui Airwatcher. La bellezza
e l’orrore della lotta erano magnifici, ma difficilmente avrebbero raggiunto il
pathos che si creò quando i jet si abbatterono sui Falconi dorati guidati da
Takanuva e i cinque Tumaka.
E in tutto questo gli Eroi e la Mano non erano presenti, non ancora almeno. Si
stavano semplicemente nascondendo, attendendo il momento esatto per
sfondare la muraglia ad ovest.
Si mossero cauti, nascondendosi dall’occhio dei due eserciti, che stavano
facendo stragi a vicenda. I tiratori scelti dell’Equilibrio iniziarono ad uccidere i
primi cecchini Ruhnga, supportati dai Cacciatori volatili che a gruppi
atterravano sui palazzi. Trinuma sbagliò a mandare tutte le truppe Ruhnga
specializzate nel corpo a corpo vicino alla muraglia. L’abilità di quelli appostati
nei grattacieli non fu sufficiente per sconfiggere i guerrieri scelti dal Maestro.
A quel punto ordinò alle unità di terra di dividersi in due. Una parte avrebbe
difeso la muraglia attivando i due cannoni posti ai suoi margini, mentre l’altra
sarebbe arretrata verso il Codrex, pronti a combattere gli invasori interni.
Circa settecento Cacciatori oscuri sopravvissero alla battaglia sui palazzi.
Scesero poi a turno nelle strade silenziose della metropoli. I Ruhnga ai piedi del
Codrex si allargarono coprendo metà faccia della cupola. Il resto invece veniva
raggiunto posteriormente dalle montagne fino a metà della sua altezza.
“Li vedo.” disse Schoper con la sua lente. “Il Codrex è alle loro spalle. Stanno
aspettando solamente noi. C’è anche Trinuma...”
“Accontentiamoli allora.” rispose prontamente Airwatcher.
Savage partì alla carica, seguito dagli ex servitori dell’Oscuro. I Ruhnga erano
numericamente maggiori, ma non disponevano di poteri soprannaturali come i
Cacciatori. In più c’era ancora qualche conto in sospeso dalla fine della
Seconda Guerra nucleare da sistemare.
Uno di loro, Phantom, si spostò più ad est, in un punto in cui i Ruhnga non
potevano vederlo. Volò sulla muraglia senza farsi notare, dando poi il segnale a
una colonna di sabbia che volteggiava ai margini delle mura...
“Phantom ha dato il via libera. I Ruhnga sulle mura sono scoperti se li
attaccassimo da dietro, Darkness.” riferì Devastator.
Il Maestro evitò che un raggio energetico colpisse Ahkmou prima di
rispondere. “Va bene... arretrate.”
“Come?!”
“Fate come vi ho detto. Un terzo dello squadrone di Spinner farà il giro da
dietro, passando per la costa ad ovest. La’ c’è la Mano di Artakha pronta a
entrare in azione.”
“Cosa dovremmo fare, spingerli verso le mura?”
“Esattamente.”
“Ma in che modo? Hanno i Toa dalla loro! Hanno poteri che non abbiamo mai
affrontato!”
“Non ci sarà bisogno. Sarà Spinner a pensarci. Ordinagli di creare una nube
tossica. Amphibax e i suoi gli eviteranno la fuga in mare. Così facendo avremo
campo libero.”
“D’accordo...”

Vakama e Onewa erano riparati dietro ad uno degli scogli neri che decoravano
la spiaggia. Così fecero anche i duemila della spedizione. Tutte le Ga-Matoran al
contrario attesero l’ordine di uscire dall’acqua.
L’Alpha leader dorato parlò ai comunicatori radio consegnati ai sei Metru.
“Toa, rileviamo movimento a sud della vostra posizione.”
Vakama premette il pulsante per parlare. “Ne sei convinto, Rocka? Noi non
vediamo nulla.”
“Aspetta, fratello.” affermò Whenua mentre infuse le mani nella sabbia. “Sento
qualcosa... Le acque si stanno muovendo!”
“Saranno mica le Ga-Matoran Parenga?” suppose Matau alla radio, dalla stiva del
dirigibile Hero attualmente invisibile. Era impaziente di scendere in battaglia.
“Negativo. I segnali erano troppo distanti e ora si stanno avvicinando a grande
velocità. Dovete fare qualcosa!”
“Vado!” disse Nokama. “Non le toccheranno nemmeno con una cellula di
Protodermis!”
“Aspetta, Nokama!” provò a fermarla Nuju, ma non venne ascoltato.
Si gettò all’inseguimento della sorella, quando una nube tossica aumentò la
distanza fra i due, separandoli definitivamente. La Toa non se n’era nemmeno
accorta e si tuffò in acqua, raggiungendo le Ga-Matoran con la velocità di una
Kakama.
Sfortunatamente, la maggior parte di loro era già deceduta...
Amphibax e i trenta che gli andarono dietro avevano già raggiunto il bottino di
sessantadue uccisioni, sui restanti quarantacinque.
Nokama non si lasciò andare per fortuna, ma fece comunque di tutto per
mantenere la linea di difesa, anche perché non poteva tornare sulla spiaggia a
causa del gas tossico.
“Resisti, Toa. Ti mandiamo i rinforzi!”
“No, non adesso, Furno!” ordinò Vakama.
Fu ignorato. Le imbarcazioni Hero e le gigantesche macchine a quattro zampe
degli Eroi disattivarono il filtro d’invisibilità, navigando verso la costa.
Il leader dei Metru prese il comunicatore e lo gettò a terra furioso.
“Maledizione! Così ci faranno scoprire!”
Sadar, un Eroe cecchino a qualche passo col suo team, gli rispose. “E’ ora di
finirla di nascondersi, Toa. Abbiamo la nostra potenza, sfruttiamola! Eroi, con
me!”
Non appena misero la testa fuori dalla roccia, un immenso raggio dorato li
illuminò dall’alto, dal primo all’ultimo.
Non accadde nulla di particolare. Nessuno fu ferito. A Mata-Metru, però, agli
occhi del primo Toa, arrivò la conferma che i Turaga un tempo rapiti in
circostanze misteriose erano tornati all’interno di un’armatura Toa.
Non si chiese come ciò fosse possibile. Passò direttamente all’azione: l’intera
armata delle Corazze immortali lasciò scoperta la muraglia della metropoli,
dirigendosi verso il fronte alla loro destra.
“Arrivano! Tutti pronti a fare fuoco!” lanciò il segnale Sadar, e fu ascoltato
anche dai Parenga di Sakovius.
Presero posto, rifugiandosi dietro le rocce nere della spiaggia.
“Non ancora!” urlò Sadar.
Persino i Metru attesero il via libera per non avere altre incomprensioni.
Quando il momento fu opportuno, Phil Sadar cacciò un grido: “ORA,
ROCKA!”
Il dirigibile trasse guadagno dalla distrazione transitoria di Helryx per sganciare
dei missili sulle Corazze immortali. Inutile dire che dopo una breve esultanza,
accompagnata dalla sorpresa dei Metru che di certo non se l’aspettavano, le
armature dei non morti tornarono in vita. Andò tutto in fumo.
Per garantire l’avanzata, inoltre, i jet guidati dall’unità di Stryker spararono a
vista sugli aerei Rangai, proseguendo lo scontro aereo che questi avevano
momentaneamente sospeso.
“Che succede, perché non avanzano?!” domandò alla radio Stryker.
Matau e Furno, equipaggiato con un jetpack speciale, si catapultarono dalla
stiva. A turno bombardavano le linee di Darkness, costrette a sfruttare gli
scudi energetici un tempo appartenenti a Kabrua.
“Devono essere i soldati immortali di cui ci ha parlato il Matoran Mazeka.” intuì
Rocka.
“Non importa, pensate a fornire supporto a Nokama.” disse Vakama dopo
aver ricevuto in prestito la radio da Onewa.
“Come pensate di sconfiggerli?”
“Helryx vuole solamente noi ora, Rocka. Nessun altro.”
Stanca di aspettare ancora infatti, alzò la Ignika dal processore nel quale
condusse l’assalto. Le bastava un raggio fatto per bene e con la giusta intensità
per farli fuori in un colpo solo. L’oro in cielo si intensificò come per reazione.
“Eccola...” disse Onewa quasi rassegnato.
Alcuni jet Hero si staccarono da Stryker disobbedendogli, per impedire una
nuova strage, ma servì a poco.
Improvvisamente, però, tutto si spense. Le Corazze immortali crollarono di
fronte ai milleduecento della Mano che rimasero in vita. Il grigio tipico delle
nuvole tornò a colorarle.

“CHE COSA STAI FACENDO?! LASCIAMELI UCCIDERE!” andò su tutte le


furie Helryx rivolgendosi alla Ignika.
L’attacco stava per andare in porto. Fu però colta da un malore, la cui colpa
non poteva che essere dell’oggetto fra le sue mani.

“ No... è tutto come deve essere, Toa.”


“Avevo l’occasione di fare fuori quei traditori! Perchè mai dovrebbe essere
come dici tu?!”
Hydraxon e Krakua, preoccupati forse più dello stesso Dume per le condizioni
mentali della Toa, ascoltarono terrorizzati dall’esterno dell’anticamera. Il
cacciatore marino ignorò le avvertenze del Toa Sonico e si affacciò per vedere
meglio. Il leader dell’Ordine stava gesticolando con delle movenze maniache
mentre se la prendeva con la Kanohi della Vita.
Ad un certo punto si fermò, lanciando uno sguardo spaventoso verso l’entrata
del processore, dietro la quale Hydraxon si nascose in tempo. Le uscì il fumo
dai respiratori laterali della maschera, talmente era iraconda.

“Cosa significa tutto questo?!” esclamò Whenua, mentre la guerra proseguiva


sul versante orientale.
“Non lo sapremo mai se non proseguiamo!” suggerì Sakovius, seguito dai Toa e
Parenga.
Il resto degli Eroi e Matau si stavano sacrificando per farli proseguire. I figli di
Makuro avevano ora la possibilità di sfogare tutta la loro rabbia per la perdita si
del loro creatore, soprattutto di Stormer...
Scavalcare la muraglia non fu difficile grazie ad una serie di scalinate generate
dai Toa della Pietra e della Terra. Sui bastioni non c’era nessun Ruhnga. I nemici
spingevano con maggiore insistenza e pericolosità da est.
Nel frattempo, Trinuma ebbe la meglio sui Cacciatori oscuri ai piedi del
Codrex, seppur con grande difficoltà.
Osservando meglio tra i vincitori, però, non era possibile vederlo: si rifugiò
all’oscuro di tutti in un’abitazione, a piangere disperatamente. Lui, come tanti
altri, fece immediatamente caso alla resa di Helryx quando il cielo si spense,
convinto di essere stato abbandonato. In effetti, le Corazze immortali erano il
punto forte dei figli della Ignika.
“Siamo soli... siamo soli...” ripeteva continuamente.
Persino gli altri soldati ebbero la stessa reazione, senza avere il tempo di
celebrare per la vittoria sui seguaci di Darkness.

Dopo una ventina di minuti, Trinuma sentì le lance e gli scudi dei propri soldati
cadere a terra: non furono sollevati in aria o per assurdo assorbiti via. Si erano
semplicemente arresi contro il nemico, che però Trinuma non fu in grado di
vedere siccome era con le spalle al muro.
Gli bastò guardare il terrore nel viso dei Ruhnga. Alcuni piangevano tremando.
Dopotutto, nonostante fossero guerrieri molto abili, si trattava di Matoran e
Agori geneticamente modificati. Come potevano fargli vincere la guerra?
Perchè Helryx si rifiutò di assegnargli i Korero?
“Consegnateci il vostro capo!” udì. “Altrimenti apriremo il fuoco!”
Evidentemente gli ostili erano troppo numerosi per provare a combattere. I
Ruhnga infatti non ci pensarono minimamente.
Trinuma esitò per un attimo. Uscì solamente quando sentì i fucili degli
aggressori venire caricati.
“Eccomi, eccomi! Non sparate!” si arrese.
Non c’era nessun Cacciatore oscuro, o Rahi, o Skrall, o Eroe. Nemmeno i
Parenga...
Solo i Toa Metru, gli agenti di Artakha, i due Alpha leader e Sadar.
Matau, Fox, Puck, Valor, Flash e Stryker erano alla pari contro Darkness, che
non riuscì a muoversi più di tanto dalla sua postazione. Eroi e servi
dell’Equilibrio erano immersi in uno scontro spettacolare quanto macabro.
L’agente dell’Ordine provò a convincere gli ex Turaga, contento di rivederli in
quello stato. “Vakama, io...”
“Non fare un altro passo.” prese la mira Mazeka senza esitazione. Quello di
fronte a lui non era più un suo compagno.
Tobduk non la pensava diversamente. Johmak invece era disgustata dalla vista
di Trinuma.
L’agente di Helryx non aggiunse altro, stessa cosa per i soldati dell’Ordine.
C’era solo vergogna e rimpianto nell’aria, oltre all’odore di bruciato che
proveniva oltre le mura.
“Non parli, Trinuma?” disse Nuju indignato. “Persino il coraggio della vostra
parola si è spento?”
Trinuma fece di no con la testa. Dentro di sé sapeva che la ragione non
apparteneva né ad Helryx e nemmeno a coloro che gli stavano puntando il
fucile contro. La aveva Krakua: i suoi avvertimenti sulla pazzia che tutt’ora
corrodeva Helryx non furono detti a caso. L’ignoranza gli fece evitare ogni
consiglio, convinto che la Toa avrebbe comunque vinto.
Si inginocchiò senza forze. “Avete ragione... ho sbagliato. In qualità di agente
dell’Ordine di Mata Nui, mi assumo tutte le responsabilità di coloro che vedete
alle mie spalle, e di quelli che sono morti invano per questa orribile guerra!
Possa la mia morte pesare maggiormente delle loro vite.”
L’Alpha leader dall’armatura rossa si avvicinò con passo lento. Gli tese la mano,
invitandolo ad alzarsi.
“Noi non siamo come Helryx, Trinuma.” affermò Whenua. “Noi abbiamo
ancora la forza di perdonare. Oggi come oggi è più difficile, è vero, ma non
sottometteremo mai la nostra ragione come questo mondo ha già fatto...”
“Helryx potrà pure fare ciò che vuole con quella maschera.” continuò Vakama.
“Anche perché sarebbe impossibile batterla. Noi invece abbiamo una soluzione
che però non è ancora nelle nostre mani. Parlo dei Matoran. Ti unirai a noi per
salvarli da questo scempio?”
“No... non lo merito. Ho abbandonato ognuno di loro.” si riferì ai Ruhnga. “E’
giusto che il mio cadavere giaccia qui. Se non morirò servendo Helryx, lo farò
guardando per un’ultima volta il simbolo del Robot impresso sulla cupola.”
“Trinuma...” pianse un soldato dell’Ordine, ormai ex. “Non ci lasciate, vi
prego...”
L’agente provò compassione e disse. “Quelle lacrime non serviranno a farmi
cambiare idea. E’ giusto così. Questa è la mia scelta: la mia vita in cambio del
vostro riscatto.”
I Ruhnga singhiozzavano come Agori appena nati.
Così si voltò, ammirando il simbolo del Grande Spirito con orgoglio.
“Padre Mata Nui, e creatore del nostro Universo... sono pronto, Vakama.
Fallo.”
Il leader dei Metru a stento aveva la forza di muovere le dita. Sadar gli toccò la
spalla, mostrandogli un coltello. Quando lo prese in mano, pesava quanto un
macigno.
Agguantò la cresta in mezzo alla Maschera del Carisma, e chinò la testa del
guerriero all’indietro, lasciandogli comunque la possibilità di contemplare il
grande simbolo.
“Prima però dicci cosa c’è li dentro.”
“Lo sai benissimo, Vakama. Se non sbaglio i Nuva sono stati piuttosto esaustivi
quando ce l’hanno raccontato...”
“So già dei velivoli di Artakha! Ci sarà un motivo valido per cui l’Ordine ha
occupato queste terre con così tanta ossessione!”
Trinuma non rispose. Gli bastava il silenzio. Il Metru del Fuoco non insistette.
In passato non si sarebbe mai comportato così, ma anzi gli avrebbe addirittura
supplicato di unirsi a loro. La sua disperazione però era tanta, troppo grande...
Toccò con la punta del coltello il cuore al centro del petto. Fu un colpo secco.
Non si sentirono urla di disperazione o altri pianti. Era tutto finito.
Il leader dei Toa Metru si rivolse ai Matoran e Agori che aveva di fronte: “Ora
avete la possibilità di onorarlo. Ora avete la possibilità di combattere per il
vostro nome e per la vostra razza. NON PERDETE QUESTA OCCASIONE!”
e tutti lo seguirono.
I Metru camminavano al suo fianco. Gli Eroi facevano da seconda fila, mentre i
nuovi Parenga chiudevano il gruppo. L’entrata del Codrex era prossima...
CLANG! SCRUNTCHHH!
Rumori metallici. Venivano da dietro, precisamente dalla muraglia, ma a dire il
vero sembravano più vicino di quanto si potesse pensare.
Il cadavere di Trinuma era sorprendentemente in piedi, storto e zoppo, con il
coltello ancora ficcato nel petto. Gli occhi erano dorati, proprio come le
Corazze immortali. C’era Helryx dietro a tutto questo?
Non riuscirono neanche a domandarselo: il cadavere estrasse il pugnale,
portandolo all’altezza dell’impianto acustico. Poi, senza che nessuno se ne
accorgesse, lo lanciò alla velocità della luce nella fronte di Sakovius
uccidendolo.
“SAKOVIUS!” gridò Mazeka.
Johmak lo soccorse assieme alla spia. I Metru erano a bocca aperta.
Poi un eco spaventoso: “Magnifico... era da tanto che aspettavo
di Rivedere qualche Toa...”
“E’ la carcassa che sta parlando?!” esclamò Sadar.
“Un momento, questa non è la voce di Helryx!”
“E non è nemmeno quella di Mata Nui, Onewa.” completò il ragionamento
Nuju.
“Davvero mi date così poca importanza, Toa?”
“Mazeka, Tobduk, conducete gli altri all’interno del Codrex.” disse Nokama a
bassa voce. Nel mentre i fratelli si prepararono allo scontro.
Questa era la volta buona per dare spazio ai poteri che impararono dall’uso
indiretto della Vahi, specialmente con un avversario del genere.
Le ricerche degli Eroi confermarono la presenza di uno spesso strato di
Araidermis poco sotto al margine esterno. I due Alpha leader presero in mano
la guida dello squadrone rimasto. Markus si avvicinò col dirigibile Hero in
prossimità della loro posizione, e consegnò le trivelle adatte alla perforazione.
Intanto lo Skakdi a capo delle armate di Darkness uscì allo scoperto, fiero della
sua armatura dorata. Non notando nessuna reazione da parte dei Metru,
domandò: “Non dite nulla? Vi piace così tanto il mio nuovo aspetto?”
“Risparmia le battute, Skakdi. La tua permanenza in questo luogo ha poco a
che fare con i tuoi scopi.”
“Oh, ne sei sicuro, Toa della Pietra? Credi che io non sappia cosa c’è li dentro?
Non potreste neanche immaginarvelo... La chiave per distruggere Toa Helryx
una volta per tutte, ecco cosa c’è, AHAH!”
“Che intendi dire?”
“Darkness... lui mi ha detto tutto. E’ un peccato che al momento sia impegnato
con l’esercito degli Eroi. Per fortuna i vostri amici mi stanno risparmiando una
grossa fatica e forse lo ammazzeranno al posto mio...”
Nel mentre gli Eroi avevano fortunatamente iniziato a perforare la struttura
semisferica, dando l’impressione di trovarsi a buon punto.
“Allora cosa c’è, si può saperlo?!” esclamò Whenua, irritato dalla stupidità
dello Skakdi.
“Una bomba. Ma non farà saltare in aria tutti noi. Devasterà tutta Mata-Metru,
com’è giusto che sia! Ora fatevi da par-”
Matau arrivò in volo con una velocità impressionante, pronto a sganciare un
calcio volante. Nektann rispose in un millisecondo: gli bastò tirare uno schiaffo
alla sua sinistra per farlo volare dall’altra parte. Il corpo del Toa dell’Aria si
schiantò distruggendo ben due edifici, che crollarono come alberi.
Vakama attivò subito il jetpack infuocato per evitargli una caduta mortale.
“Preso! Ci sei, fratello?”
“AGH! Forse ho qualcosa di rotto, NGH! Almeno i cuscini temporali che ho
generato poco prima di impattare sugli edifici sono riusciti... AGH!... ad
affievolire la botta...”
Un bagliore dorato illuminò la Kanohi e l’armatura di Matau dalle spalle di
Vakama. Entrambi volsero lo sguardo verso quella direzione: l’Essere dorato
era uscito per metà dalla mente di Nektann, rimasto al centro della proiezione.
Questa volta anche lui sguinzagliò la sua arma più potente, senza tener conto
delle possibili conseguenze. Nokama, Onewa, Whenua e Nuju si divisero per
colpirlo separatamente e per non fargli avere un bersaglio unico su cui puntare.
Dopo qualche attacco elementale, Nuju si accorse che gli alleati erano ancora
all’esterno della cupola. Non lo sapeva, ma per perforarla completamente ci
sarebbe voluta un’ora, dipendentemente dalla presenza di residui refrattari.
“Dobbiamo tenerlo impegnato, sorella! Usiamo i poteri della Vahi per
rallentarlo il più a lungo possibile!”
“Aspetta, Nuju!” disse Onewa. “Non dimenticare che le nostre potenzialità
sono limitate. Se sprecassimo proprio ora la quantità di poteri disponibile, non
resterebbe nulla di noi!”
“Avete già smesso, Toa? Io mi stavo solamente riscaldando!”
La mano dell’Essere dorato si ingigantì a dismisura. Il pugno che stava per
sganciare avrebbe colpito anche gli alleati dei sei Toa.
Ci volle l’attacco coordinato di Matau e Vakama per fargli perdere l’equilibrio
in avanti. Niente di particolare.
La lotta riprese. I sei volavano da una parte all’altra, sfruttando gli edifici
circostanti come ripari, o come torrette dalle quali poter colpire.
“Forza, non molliamo proprio adesso!”
“La trivella si sta per distruggere, Alpha leader! Di questo passo rischieremmo
di non arrivare alla fine!”
“Vale la pena rischiare!” ribatté Rocka.

Trascorsero altre decine di minuti. La resa dei conti all’esterno delle mura, tra
Eroi e eserciti dell’Equilibrio, si completò. Quanto ai sei Metru contro
Nektann, occorreva ancora attendere un punto di svolta. Per assurdo, i poteri
dei sette combattenti erano quasi alla pari. L’Essere dorato era quasi
impossibile da buttare giù. Dall’altra parte, però, nemmeno le creature
immaginarie che generò furono un problema per i guerrieri guidati da Vakama.
Erano uno più agguerrito dell’altro.
“Proviamoci ancora!” ordinò il Toa del Fuoco.
Nuju, Whenua e Onewa colpirono nuovamente i fianchi dell’Essere, dopo aver
schivato le sue liane dorate. Nektann non provò dolore, solo fastidio.
Le due mani giganti stavano per schiacciare i tre assalitori, e questi si
allontanarono mezzo secondo prima che potesse colpirli grazie alla Vahi.
L’impatto sul suo corpo fu talmente grande che si crearono, per l’ennesima
volta, due sorte di buchi dentro ai quali era possibile vedere Nektann.
Vakama e Nokama non ebbero bisogno di darsi un segnale specifico. Partirono
all’attacco, sferrando un nuovo fendente nello stesso punto.
Un altro fallimento...
Poi accadde qualcos’altro. Già da alcuni minuti, l’Essere dorato stava
accumulando potere per creare una sfera energetica abbastanza potente da
poter sbarazzarsi dei sei in un battito d’occhio.
“Attenti!” avvertì Onewa, che d’istinto alzò la mano facendo partire un raggio
elementale che colpì il terzo e il quarto arto della creatura.
“Lo sta rallentando, aiutiamolo!” disse Vakama.
Unirono i pugni, come migliaia di secoli prima con Teridax. Lo scudo
temporale impedì a Nektann di lanciare la sfera contro di loro, facendola però
crescere a dismisura. Stava letteralmente assorbendo potere, ma
fortunatamente non fu in grado di muoversi.
I Toa fecero molta fatica ad andare avanti. Le braccia iniziavano a cedergli.
Parlare era quasi impossibile.
“DAI, DAIII!!! FATEVI SOTTO, SCHIFOs-”

BOOM!
Il risultato esplosivo non travolse nessuno dei sette, né tanto meno gli Eroi che
erano appena riusciti a perforare la cupola. La sola cosa che si generò era una
tempesta energetica, simile a quelle che popolavano Karda Nui, con un effetto
travolgente di gran lunga maggiore.
Per l’ennesima volta, lo scontro fu rimandato.
“Via! Via! Dentro al Codrex, sorella!” le ordinò Whenua.
Matau fece di tutto per contenere l’aria scatenata dalla tempesta, ma era
impossibile. Mai gli capitò di ammirare un fenomeno del genere.
“Non abbiamo tempo per fare gli eroi, Toa dell’Aria, andiamocene!” lo afferrò
per il polso Vakama.
“NO! TORNATE QUI, CODARDI! VI FATE SPAVENTARE DA UNA misera
Tempesta?! AVETE COSI’ TANTA... così tanta...”
Le forze gli mancarono. Nektann svenne nel cuore della tempesta. Aveva
esagerato. Poteva comunque essere orgoglioso della facilità con cui contrastò i
sei Metru, che gli diedero sicuramente del filo da torcere.
Ma ecco che accadde un fatto inspiegabile: proprio mentre l’elettricità rossa
stava per disintegrare Nektann, si materializzò l’Hagahkuta Iruini che lo
teletrasportò via con sé. Nokama fu l’unica a essere girata e a vederlo,
spaventandosi del suo macabro aspetto. Stava per addentrarsi nell’oscurità più
assoluta con i suoi compagni. Gli Eroi e i nuovi Parenga li stavano già
aspettando.
“ATTENTA!” sentì alla sua sinistra.
Un grosso edificio stava per schiantarsi su di lei e sull’entrata del Codrex. I
cinque Toa, appena arrivati, non esitarono e allargarono le dita facendo
fuoriuscire dei portali temporali. Questi andarono subito a contrastare la
caduta dell’infrastruttura sulla testa di Nokama.
“Sbrigati, Nokama! NGH!”
“Non so per quanto ancora resisterò!” si lamentò Matau dolorante.
La Toa fece dunque un balzo in alto, afferrando le sue idrolame. Le sciolse,
facendo partire il gancio affilato fino all’interno della cupola. Infine premette il
pulsante e la corda di Protoacciaio si accorciò velocemente, permettendole di
arrivare prima che le macerie dell’edificio potessero tappare l’entrata...
Non si poteva tornare indietro. Il grattacielo bloccava la fuga, immergendo il
gruppo di sopravvissuti nel buio. Anche le trivelle vennero distrutte.
In un primo momento, fu davvero difficile proseguire, siccome erano ancora
addolorati per la perdita del generale Sakovius.
“BZZZZZZZZZ Rocka, qui Fox, mi senti?”
“Si, ma il segnale è debole. Rapporto, comandante.”
“L’Equilibrio si è ritirato. Siamo riusciti a respingerli nelle acque orientali. Poi non li
abbiamo più visti. Sono come scomparsi nel nulla.”
“Che ne è del ricercato Darkness?”
“E’ scappato. Troveremo un modo per tirarvi fuori di lì.”
“Va bene. Rocka, chiudo.” e spense la comunicazione.
Vakama condusse il cammino degli alleati infiammando le mani. Gli Eroi
accesero le luci dei dispositivi sulle armature. In ogni caso, si vedeva poco. Gli
unici particolari che si potevano distinguere erano le incisioni tipiche presenti
sul pavimento come decorazione.
“Accendo il radar.” disse Furno mentre sorreggeva un dispositivo
quadrangolare. “L’energia del Codrex sembra provenire da lì.”
La misteriosa fonte energetica si trovava in altezza, probabilmente ad un livello
concentrico superiore.
Giunsero nel punto in cui i Nuva partirono all’inseguimento di Makuta Antroz.
“Così questo è il luogo in cui i Toa Mata furono rinchiusi... incredibile.”
“Si, Tobduk.” disse Mazeka. “In passato mi è capitato di rivisitare questo luogo
assieme ad Helryx. Erano passati cinque mesi dal Risveglio. E se non erro...
ecco! Lì ci sono dei comandi per gli altri tre velivoli dei Nuva.”
Si avvicinò, seguito da Rocka che illuminò le iscrizioni. “Sander T1, Kotrax T2 e
Norak T14...”
“Suppongo siano i mezzi di Tahu, Gali e Onua. Ancora però non sappiamo
perchè sono stati creati da Artakha...” si domandò Johmak.
“Ci sono delle scritture qui!” attirò l’attenzione Whenua usando la sua Kanohi.
Vakama e gli Eroi illuminarono sufficientemente. I sei Toa erano proprio ai
piedi del muro, accerchiati dai loro alleati. I caratteri però non sembravano
combaciare né con la lingua Matoran e nemmeno con quella Agori.
“Non ho mai visto una calligrafia simile...” disse Nokama.
“Riesci a decifrarla?”
La Toa negò con la testa. “Temo di no, Nuju. Non sembra essere stata
registrata in questa Rau. Quei disegni però... mi ricordano... i Rahi.”
Aveva ragione: una serie di figure animalesche erano rappresentate in degli
schemi riassuntivi. Vi erano anche altri esseri stilizzati a due gambe, difficili da
riconoscere.
“Non sembrano Toa... e neanche Glatorian.” pensò Tobduk.
“No infatti.” analizzò Sadar dopo aver preso una tavola digitale. “Quando noi
Eroi arrivammo sul pianeta 1210, Spherus Magna per intenderci, abbiamo avuto
delle conversazioni con una popolazione del posto. Erano Agori.”
Scorse i dati finché non trovò un’immagine che combaciava con quella del
bipede sul muro. “Ecco, vedete? Secondo quanto riferito dalle popolazioni
Agoriane, quelle creature sono una razza ancestrale dal quale sono nati i
Glatorian e successivamente gli Agori.”
“Vi hanno detto qualcosa riguardo i Rahi?” si informò Onewa.
“In realtà no. Migliaia di millenni fa fecero diverse ricerche in merito a quegli
esseri, ma non si è mai scoperto nulla. Pare che tutto il sapere fosse morto
con quella specie...”
Una voce debole lo interruppe. “Non esattamente. Venite qui.”
Era Vakama. La lettura dei disegni andava da destra a sinistra. Durante lo studio
delle incisioni, il Toa del Fuoco realizzò che la razza ancestrale era nata per
assurdo dai Rahi. L’immagine rappresentata fu molto difficile da digerire:
raffigurava un antenato fuoriuscire dal grembo di un Rahi.
Era quindi quella la verità dietro alla nascita degli animali che popolavano il
Robot?
Ci furono altre novità: “Quelli sono dei Glatorian!” affermò Matau osservando
il resto delle incisioni.
“Mi ricordano i due che trovammo nel processore del nucleo. Se non erro
morirono a causa del Grande Cataclisma.” suppose la spia di Artakha.
“Già. Uno della Tribù del Fuoco e l’altro della Giungla. Perché guidare il Robot
in due e non uno solo?”
Furno e Rocka intanto rimasero colpiti dall’aspetto possente di un essere che
occupava metà del muro. Sotto di esso ce ne erano altri simili.
Quando arrivarono gli agenti e i sei Toa ci fu uno spavento collettivo: “Quello
è Makuta Miserix! E ci sono anche gli altri!” esclamò il Toa della Terra.
“Ecco Teridax.” indicò Nokama, ancora impaurita dall’immagine della
Kraahkan. “Riuscite a capire cosa stanno mettendo nei Rahi, lo vedete?”
“Si...” le rispose Nuju con la sua lente bionica. “Una specie di sostanza liquida.
E se fosse... un Virus?!”
“Ora capisco.” confermò Johmak. “Queste non sono delle semplici
rappresentazioni commemorative. Sono istruzioni per i Makuta!”
Capirono che i Virus servivano da embrioni per far sì che i Rahi, in
determinate condizioni, potessero partorire dei Glatorian.
Vakama invece ne aveva abbastanza. “Forse stiamo andando oltre, ragazzi...
forse non dovremmo neanche sapere tutto questo. Stiamo perdendo del
tempo utile. A questo punto non ci riguarda più nulla di questa storia.
Andiamo...”

Raggiunsero un’area protetta all’interno di un anticamera, sempre a forma
sferica. Si potevano specchiare col pavimento. C’era anche una struttura che
richiamava la Meridiana su Mata Nui, grazie alla quale era possibile accedere al
Mangaia. Un percorso delineato congiungeva il salone dei velivoli con quello.
Mancava un particolare in più da scoprire...
“Toa Vakama.” disse un ex Ruhnga, riferendosi alla Meridiana. “Pare che ci
siano due agganci ai bordi di questa piattaforma circolare. Forse col giusto
meccanismo si potrebbe aprire un passaggio segreto.”
“Sadar, analisi.” ordinò l’Alpha leader Furno.
“Vediamo... si, c’è una specie di tunnel.”
“Quanto è profondo?”
“Molto, Rocka. Conto come minimo... centomila piedi?!”
La Ruru di Whenua confermò. “Non riesco a percepire il fondale. Vedo solo le
pareti del tunnel fondersi col buio.”
“Hai detto centomila piedi, Sadar?”
“Si, Daniel, perché?”
Rocka ebbe un’intuizione. “Proietta un ologramma del Robot. Inserisci il
numero di unità che mi hai appena detto disegnando una linea.”
“Solo un secondo... fatto.”
“Adesso ruota l’ologramma del Robot mettendolo in posizione prona.”
Fece lo zoom, provando a individuare il punto in cui si trovavano. Poi prese la
proiezione della linea rossa, corrispondente ai centomila piedi di cui parlava
Sadar, e la inserì per vedere dove questa terminava.
“Arriva fino alla schiena del Robot!” esclamò Sadar entusiasta. “Finalmente
abbiamo una via d’uscita!”
Nuju fece un collegamento. “Se non erro in quel punto si doveva trovare la
Stella Rossa per i viaggi nello spazio. Ha senso...”
Ora dovevano chiedersi come avrebbero fatto a far entrare sessantamila
soldati nella cupola, passando per il tunnel.
I due Alpha leader, come gli altri della compagnia, stentarono a crederci.
“Vale la pena proseguire allora, Rocka?” gli chiese Phil preoccupato. “E poi, non
siamo nemmeno sicuri se questo passaggio è sicuro.”
“Allora lo scopriremo noi. In sella ai velivoli, Toa!”
“Si, Vakama!” risposero contemporaneamente.
L’unicità dei velivoli consisteva nel fatto che rispondevano solamente ai poteri
di un Toa. Anche se fossero saliti gli Eroi, quindi, non sarebbe successo nulla.
Matau, Nuju e Onewa ritrovarono l’Axalara T9, il Jetrax T6 e il Rockoh T3.
All’inizio fu difficile prendere il decollo. Grazie ai consigli di un “veterano”
pilota come Matau, riuscirono a stabilizzare i motori.
I poteri elementali dei sei Toa impattarono sulla stele incastonata al centro
della Meridiana. Come effetto di ciò, la piattaforma circolare si rovesciò a testa
in giù, facendo cadere nel vuoto anche i sei velivoli. Non fu però una caduta
verso il basso, bensì verso l’alto. Era come se il centro di gravità fosse stato
cambiato di netto. Per il momento procedettero cauti, seguendo le indicazioni
della Ruru di Whenua.

Ci volle una mezz’ora di viaggio per fargli intravvedere uno spiraglio di luce.
Matau esultò mentre una quantità elevata di vento faceva da attrito, talmente
era alta la velocità alla quale stavano viaggiando. “Eccola, ragazzi! Seguiamo la
luce!”
Lo spiraglio bianco si mutò lentamente in un oro fosforescente, stranendoli
particolarmente...
“Rallentate.” disse senza ragione Vakama.
“Cosa?” urlò Matau.
“HO DETTO RALLENTATE!”
Fortunatamente lo fecero in tempo. Già, poiché una volta raggiunta la schiena
del Robot si accorsero che a qualche decina di metri di distanza dalla superficie
si estendeva una maestosa barriera dorata e trasparente. Anche lì la Ignika ci
mise il suo zampino.
“Una meteora! Sta per schiantarsi addosso a noi!” si allarmò Onewa.
Il manto protettivo che circondava l’intero gigante meccanico impedì l’impatto.
Sicuramente era un bene, poiché per tutto quel tempo avevano viaggiato col
rischio di venire investiti ripetutamente da degli asteroidi giganti, i quali
avrebbero potuto compromettere le funzionalità delle turbine o dei motori.
“Solo... come faremo a scappare?” pose la questione Whenua.
Vakama, deluso dalla triste notizia, si sedette portandosi le mani al viso. “Non
possiamo farlo, fratello... E’ assurdo... O distruggiamo la Ignika, o per noi e gli
Eroi è finita. Siamo obbligati a raggiungere Mata-Metru.”
“Ma come faremo a disattivare la cupola dorata che la circonda?”
“Non lo so, Nokama. Davvero non lo so...”
“Vakama, mi ricevi?” si sentì l’audio di Rocka.
Il Toa del Fuoco rispose. “Si, ti sento. Ascolta, Eroe, siamo riusciti a trovare
una via di fuga. E’ come dicevi te, solo che...”
“Ci direte il resto dopo, Toa. Prima è meglio che torniate il prima possibile da noi.”
Vakama cominciò a passeggiare avanti e indietro dal nervoso. I cinque di fronte
a lui si guardarono perplessi.
“Che è successo? C’è qualcuno lì con voi?”
“Venite e basta. Rocka, chiudo.”
“Allora?” domandò Nokama dopo che il fratello spense la radio.
“Dobbiamo tornare.” ribatté serio e allo stesso tempo preoccupato.
Non se lo fecero ripetere un’altra volta. Salirono subito e partirono. Vakama
invece restò ancora per un paio di secondi ad osservare la barriera attorno al
Robot.

Al loro arrivo, il gruppo non era presente. Subito si allarmarono. Vakama prese
il respiro e sputò del fuoco in aria per illuminare meglio la stanza: nessuno
oltre a loro.
“Rocka... Eroe!”
“BZZZZZZZZZ Siete tornati?”
“Si, dove vi trovate?”
“Poco più a destra della stele in mezzo alla piattaforma dovrebbe esserci un altro
ingresso. Li troverete un ascensore per salire in alto. Raggiungeteci
immediatamente. C’è qualcosa che dovreste vedere...”
“Si, arriviamo.”

La nuova sala era in parte colpita dai raggi di luce che provenivano dal soffitto.
Era un vero e proprio collegamento con l’esterno. Spinti dalla sete di
luminosità, i sei uscirono senza preambolo, finendo sulla piattaforma che si
spezzò dopo il conflitto tra il team di Toa Vhisola e i cinque Tumaka. C’erano
anche dei resti della Seconda Colonna, un progetto che si rivelò un fallimento
data la caduta di Voya Nui.
Prima di tornare dentro, dovettero contemplare l’orrenda vista dei cadaveri di
Vhisola, Tehutti, Orkahm ed Ehrye (o quel che rimaneva) appesi ad un
supporto orizzontale, come se fossero stati impiccati. L’Ordine rivendicava
quei corpi come trofeo di battaglia, anche se non morirono per mano del
primo Toa.
Dentro la struttura in cui Trinuma operò per molto tempo da quando fu
proclamato comandante delle armate Ruhnga, si trovava una macchina alta
quanto un Kane-Ra e larga come un Drago Kanohi in lunghezza.
Gli Eroi avevano già fatto abbastanza analisi per fare un’affermazione pesante:
“Grazie a questa è possibile controllare il Robot. Fox e gli altri hanno appena
fatto crollare la diga tra le due punte settentrionali di Voya Nui. E’ stato
trovato un collegamento che partiva dal Codrex dirigendosi verso nord. In
poche parole, siamo riusciti a ricostruire il modellino della connessione e
abbiamo capito che si unisce a Mata-Metru. Da qui dunque è possibile
coordinare gli arti del Robot purché questa macchina venga alimentata dal
processore del nucleo. C’è dell’altro...”
Matau irruppe con una domanda insolita. “E se percorressimo questa linea
congiungente? Forse riusciremmo a oltrepassare la cupola di Mata-Metru
entrando dall’interno della metropoli.”
Rocka negò. “Non possiamo. Rischieremmo di farci investire dalle ondate di
energia che partono dalla Ignika. Queste poi vanno a propagarsi nelle isole a
sud, generando le catastrofi naturali di cui siamo stati vittime. Tutto combacia
finalmente. Oh, e ci sono anche altri quattro collegamenti verso gli arti del
Robot, ma sono stati tranciati di netto.”
“Quindi Helryx ha costruito questa macchina per pilotare il Robot da Voya Nui
con l’aiuto coordinato dei Toa guidati da Vhisola!” capì Mazeka. “Perché però
non è rimasta su Mata-Metru?”
“Non dimenticare Mazeka che il Codrex può funzionare anche da ripetitore di
energia, e quella della Ignika è perfetta. Ci sarebbe voluto l’utilizzo della Lancia
di Artakha per far sì che gli altri arti funzionassero autonomamente, ma così
non è stato.” corresse Tobduk. “La Ignika ha perso molto potere negli ultimi
secoli. Non è come quella degli anni in cui i Toa Mahri stavano determinando il
nostro futuro. Se impiantata nel processore del nucleo, avrebbe comunque
avuto delle grosse mancanze energetiche e funzionali. Così facendo avrebbe
fornito abbastanza energia ai cinque arcipelaghi, dai quali i vecchi Metru
avrebbero esercitato il loro comando manua-”
CRAASSSHH!!!
Un’enorme esplosione li fece sbattere contro la parete in Protoacciaio. Della
macchina non restò nulla...

“COUGH! State tutti bene?”
Il fumo non permetteva a Vakama di vedere i sopravvissuti. In un certo punto
inciampò sul cadavere di un Ruhnga. Alcuni erano ancora vivi. Per non farli
morire intossicati, si fece aiutare dagli altri Toa, e li portarono sulla piattaforma
all’esterno. Essendo ancora distrutta, dovettero organizzare lo spazio
occupato, in quei pochi punti in cui risultava ancora stabile.
“Whenua... ah... vedi se riesci ad individuare qualcun altro con la tua Ruru.”
“Purtroppo l’ho già fatto, Vakama...”
“Che intendi dire con purtroppo?”
Il Toa della Terra spiegò di aver visto una ventina di Matoran e Agori morti
assieme a Tobduk. Johmak e Mazeka invece vennero feriti gravemente. Non a
caso erano coloro rimasti più vicino alla macchina.
Nokama si mise subito al lavoro. Onewa, Nuju e Matau nel mentre
esportarono i cadaveri dei due agenti della Mano di Artakha.
L’unico responsabile abitava a Mata-Metru...
Più tardi uscirono anche Rocka e Furno, reduci di un’altra perdita, quella di
Sadar. Inutile dire che c’era un forte sentimento vendicativo nell’aria.
Tuttavia, fu di dovere chiedersi perché Helryx fece un atto simile. Ora era suo
dovere guidare da sola il Robot da Mata-Metru, senza fare affidamento sul
ripetitore d’energia, ovvero il Codrex. L’energia attuale, inoltre, non era
sufficiente per il funzionamento corretto dell’Universo Matoran.

“ Non osare sfidare il Destino...”


Questa fu la sola risposta che le diede la Maschera della Vita...
“Furno! Furno!”
“Surge? Che cosa c’è?!”
“La cupola di Mata-Metru è caduta! Ce l’avete fatta!”
Sull’avambraccio dell’Eroe rosso arrivarono le immagini scattate dalle sonde
Hero. Mata-Metru era completamente indifesa. Surge però non sapeva che ciò
era proprio dovuto a colei che aveva l’obbligo di isolare la metropoli ad ogni
costo.
Furno non tentò nemmeno di dirgli che era tutto successo a loro insaputa. Lo
congedò, dandosi un punto di ritrovo sulla costa settentrionale.

Il litigio tra Helryx e la Kanohi leggendaria proseguì. Per volere della Ignika, la
Toa fu costretta a levarla dal macchinario che creò nel processore del nucleo, a
sua volta connesso con lo stesso presente nel Codrex. L’energia che metteva
in connessione i due gemelli meccanici fu tagliata, causando un’esplosione nel
luogo in cui si trovavano i Metru e i loro alleati. Come conseguenza di ciò ci fu
un blackout: la cupola dorata si dissolse e il Robot stava proseguendo a
velocità costante nello spazio cosmico. I propulsori presenti nelle mani e nei
piedi si spensero.
“Destino?! Tu credi che difendere Mata-Metru dal nostro nemico sia mettersi
contro il Destino?!”

Quelli che
La Maschera lasciò passare qualche secondo prima di rispondere. “

tu definisci nemici non sono altro che le pedine di un gioco nel


quale persino il mio potere è coinvolto, e non c’è modo di
opporsi.”
“Di che gioco stai parlando? Quando la finirai di nasconderti nel mistero,
grande Kanohi?! Io devo sapere!”

“La visione della Maschera della Chiaroveggenza ha parlato


chiaro. Un piano da seguire. E’ stato tutto progettato affinché
il tempo torni come prima.”
“Noi siamo gli unici che seguono quella previsione futura! Persino Darkness ha
osato sfidare il Destino. A lui non importano più i Toa da portare al suo fianco,
e lo stesso vale per tutti gli altri abitanti di questa mostruosità meccanica!”

“Non curarti di chi ha la possibilità di ammirare la luce della


verità, ma preferisce invece giocare con la propria fantasia.
Lascia che io prenda il controllo del Robot, Toa. E’ l’unica
soluzione.”
Helryx singhiozzò trattenendosi le lacrime. “Ho un dovere da compiere. Io
devo salvare i Matoran. Io devo portare alto il nome dei Toa!”

“Non raccontare il falso in mia presenza, Toa. Conosco le tue


idee e i tuoi obiettivi. Tu vuoi essere l’unica a consegnarmi in
mano ai Grandi Creatori. Non ti importa né dei Toa e né dei
Matoran. Vuoi solo il potere. Non sei altro che un pozzo
infinito di imperialismo... Ma forse mi sono fatto troppe
aspettative da un essere dotato di virtù. Ti accontenterò
allora, ma dovrò per forza risparmiare le energie per
raggiungere la Realtà del Creato.”
Il leader dell’Ordine avrebbe preferito non sentire quella parola, siccome la
destinazione finale avrebbe dovuto essere il pianeta dei Grandi Creatori, le cui
coordinate furono trovate durante lo studio dei due processori presenti sotto
Mata-Metru e nel Codrex. Sia lei che Darkness erano gli unici ad averle.
“Cosa hai intenzione di fare?” chiese titubante alla Kanohi.

“La mia energia verrebbe sprigionata in quanti irregolari in


assenza di un ripetitore come il Codrex. Ora che abbiamo
perso il collegamento con Voya Nui, non possiamo fare
affidamento sugli arti terminali del Robot dall’interno, ma
dall’esterno si... Concentrando tutte le mie energie sulla
barriera dorata che scontorna il Robot, potrei creare delle
radici in grado di manipolarlo, come una sorta di manichino...
Ma non avrò potenza sufficiente per difendere Mata-Metru
con la cupola dorata. Rischierei di generare ulteriori ondate
distruttive in ogni direzione, anche verso l’interno. ”
La Toa sapeva che il potere della Maschera non era più quello di una volta,
anche se ciononostante era ancora in grado di commettere degli atti
stupefacenti e irripetibili da chiunque.
“Accetto...”
Prese dunque la Ignika e la piantò nel processore originale, al dì sotto del
Colosseo. La macchina planetaria tornò in funzione. Le parole della Kanohi
leggendaria si rivelarono veritiere. La difesa che fino a qualche minuto prima
circondava Mata-Metru non fu rigenerata. Ai Matoran fu ordinato di mantenere
funzionanti i circuiti della grande metropoli fino al loro arrivo, abbandonando i
compiti precedenti.
Mancava poco all’arrivo, ed Helryx doveva difendere la sua amata metropoli ad
ogni costo, e questa volta avrebbe ottenuto il pieno appoggio della Ignika.
Perché però questa non la aiutò su Voya Nui? A quanto pare c’era bisogno di
tempo per avvicinarsi alla loro destinazione. Capì che in ogni caso il Destino li
avrebbe condotti nella Realtà del Creato.
Uno squadrone di appena sessantasette Ruhnga riuscì a scappare dallo scontro
dei quattro eserciti. Due settimane dopo fecero ritorno su Mata-Metru, accolti
dallo stupore degli abitanti. La smaterializzazione della cupola non fu di per sé
un buon presagio. Generò infatti una grande preoccupazione, che fu poi
confermata dalle condizioni orribili dei sopravvissuti.
Erano a bordo della loro imbarcazione, mentre migliaia di Matoran si
ammassavano sulle sponde dell’affluente in Protodermis che conduceva al
Colosseo, spinti dalla curiosità.
I soldati volevano nascondersi per l’imbarazzo. Forse il dolore delle ferite era
l’unica cosa che superava in negativo la vergogna che provavano. I cittadini lo
capirono. Alcuni si misero addirittura a ridere e nessuno intervenne.
Probabilmente meritavano una punizione simile. Jakho, Zovrius e Lorin erano
in mezzo alla folla.
“Vedete Ganaik?” chiese il Le-Matoran.
Lorin e Zovrius negarono. Un Po-Matoran a sua volta incappucciato si avvicinò
a Jakho. “Anche dall’altra sponda confermano di non averlo visto.”
In quel periodo il numero di ribelli interni raggiunse il suo massimo. Il loro
obiettivo, fino a qualche settimana prima, era una rivoluzione totale contro il
leader dell’Ordine, e per farlo avrebbero dovuto rinforzarsi a sufficienza per
assaltare il Colosseo. La struttura che sovrastava il processore del nucleo era
difesa rigidamente dagli squadroni di Korero che comunicavano costantemente
con le sentinelle Horomia, ancora attive.
Per Jakho e le poche migliaia di insorti che riuscirono a radunare negli altri
Metru, la caduta della calotta dorata fu una grande notizia per la loro causa.
Volendo potevano scappare dall’isola alla ricerca di armi altrove, ma non era
possibile: l’Ordine non si fece trovare impreparato e schierò immediatamente
la sua ultima grande difesa in ogni spigolo dell’isola, soprattutto a meridione.
Questa volta non c’erano più dei “semplici” Ruhnga a difenderla, bensì circa
mille Korero, supportati dagli occhi sincronizzati delle Horomia. Non restava
che attendere l’arrivo del presunto vincitore della Battaglia dei Nove, e ciò
ovviamente poteva essere controproducente siccome poteva anche trattarsi
degli Eroi.
Non potendo avere ulteriori informazioni da Ganaik, al quale rubarono una
buona dose d’informazioni circa la battaglia dei nove generali, tornarono in
città. Già osservando il contesto della popolazione residente era possibile
notare delle somiglianze fra la situazione delle Terre Esterne e quella attuale
nella metropoli della Vita, a partire dalle minoranze lasciate indietro e da
questa spaccatura che si creò tra i fedeli di Helryx e i ribelli nascosti. La città,
al contrario, era uno spettacolo unico. Ogni Metru godeva di privilegi
panoramici unici, facendo credere ai suoi cittadini di abitare in un paradiso
tecnologico e paesaggistico.
I tre amici di Ganaik si trovavano con una scorta di ribelli in un vicolo di Le-
Metru. Sopra le loro teste c’era uno Chute largo quanto una Torre della
conoscenza. Al suo interno era possibile vedere dei materiali di grosse
dimensioni circolare in direzione del Colosseo.
“Forse vogliono iniziare a barricarsi, che dite?” domandò Lorin.
“Può essere.” suppose Zovrius. “Non mi sorprenderei se Helryx avesse preso
una decisione simile. La vita di noi Matoran non conta più nulla per lei.”
“Già. Finirà tutto qui. Eroi o meno, appoggeremo chiunque riuscirà ad entrare
su Mata-Metru. Non possiamo fare altro.” suggerì Jakho.
Qualche secondo prima, un De-Matoran della scorta udì dei movimenti
sospetti sui tetti sopra di loro, e infatti aveva ragione, ma non riuscì a dirlo in
tempo ai suoi compagni. Ben sette Horomia li assalirono attaccandoli da ogni
lato. L’intera scena accadde allo sbocco in una piazza. I Matoran che si
trovavano sul posto rimasero stupefatti dalla cattiveria con cui le sentinelle li
braccarono.
Una di loro attivò il sistema di riconoscimento, associando la Kanohi e
l’aspetto di Jakho con quello di uno dei ricercati che mesi prima diedero fuoco
ad una centrale di Po-Metru. Gli ordini di Helryx erano chiari: uccidere
all’istante. Una delle poche cose che imparò da Darkness, soprattutto durante
la pulizia delle isole, era lo sterminio del male e/o della ribellione partendo
dalle sue radici, senza fare nemmeno un prigioniero.
Qualcosa però si posò sul viso della sentinella bionica. Era molto leggera e
sottile come un foglio di carta Pepkha. La Horomia la prese per non perdere di
vista l’obiettivo, ma si accorse che quel volantino riportava una serie di
immagini. Molte altre piovvero dal nulla. Tutta opera di uno dei ribelli che non
perse tempo lanciando i fogli da un balcone dopo aver visto i compagni in
difficoltà. Ognuno di essi rappresentava delle macabre immagini scattate nei
vari Metru, raffiguranti decine di cadaveri Matoran martoriati solo perché
erano dei presunti sospetti. Fino a quel momento l’Ordine ordinò infatti di
nascondere ogni traccia a riguardo per evitare inutili rivolte.
La reazione dei presenti ovviamente non fu positiva. Molti iniziarono a insultare
le sentinelle bioniche. Altri invece passarono direttamente all’azione tentando
di colpirli. Ciò permise a Lorin, Zovrius e Jakho di scappare.
In quel preciso istante, in una delle sale del Colosseo, un Korero a comando
dell’intera squadra Horomia stava per ordinare a tutte sette di uccidere i ribelli
che si trovavano nella piazza.
“Fermo, Korero!”
Il Rahi si voltò di scatto non riuscendo a riconoscere la voce dell’interlocutore.
Questo perché furono in due a dirlo: Krakua e Hydraxon.
“Non uccidete nessuno. Mettetevi sulle tracce dei tre Matoran tramite le
sentinelle. Cercate ovunque. Non possono scappare dall’isola.”
“E quando li avremo trovati?”
“Krakua ed io arriveremo sul posto.”
Il Toa del Sonico ebbe da ridire, dato che la direttiva doveva essere un’altra.
“Cosa?! Non possiamo rischiare di buttarci in mezzo alla mischia! Vuoi fare la
fine di Trinuma, Hydraxon?!”
“Voglio sapere di più su questi ribelli. In più le voci sull’episodio che è appena
successo si spargeranno in ogni regione, e questo noi non lo possiamo
controllare.”
“Si invece! Helryx ha già dato i suoi ordini: ognuno di loro deve morire!”
“Allora andrò da solo ad interrogarli, Toa, che tu lo voglia o meno. Se ciò ci
aiuterà a purificare la razza Matoran, che sia! Non pretendo il tuo appoggio...”
Gli Eroi, i Parenga e i Toa diedero un’idonea sepoltura ai guerrieri caduti prima
di abbandonare Voya Nui. Ora il Codrex non era altro che un’immensa
struttura, la cui utilità però era andata persa.
La morte di Tobduk era ancora difficile da assimilare. Mazeka, più di tutti, era
profondamente addolorato dalla scomparsa dell’ex agente dell’Ordine,
diventato un caro amico fino agli ultimi istanti prima dell’esplosione.
Per il momento, l’alleanza di Mata-Kuro non poteva permettersi di stabilirsi in
una base sulla terraferma. I due Alpha leader e Vakama decisero di sfruttare la
portaerei principale Hero come Quartier generale temporaneo.
Ciononostante, Voya Nui rimase in mano loro per approfondire la consistenza
della barriera dorata che scontornava il Robot. L’unica soluzione che poteva
permettere la fuga era nel processore del nucleo, e prendeva il nome di Ignika.
Nel frattempo Darkness e i suoi erano scomparsi totalmente dai radar degli
Eroi. Conoscendo l’atteggiamento furtivo dell’ex Cacciatore oscuro, i due
Alpha leader preferirono rimandare mantenendo comunque la guardia per ogni
imprevisto. In effetti non c’era tempo da perdere, non ora che la cupola di
Mata-Metru era caduta. Probabilmente Helryx stava trovando un modo per
ripristinarla il prima possibile secondo le loro ipotesi.
La rotta verso nord, precisamente il Continente settentrionale, proseguiva da
settimane. Vakama e gli altri Toa si trovavano sul ponte di coperta. Furno e
Rocka invece stavano discutendo con Fox e i membri del Recon Team riguardo
eventuali ostacoli che avrebbero potuto incontrare sul loro tragitto. Vi erano
infatti alcune paia di isolotti che potevano tranquillamente evitare. La manovra
di viraggio infatti andava fatta diversi centibios prima, sotto indicazione delle
squadre Hero mandate in avanscoperta.
“Alpha leader, qui Jack Klark, mi ricevete?”
Furno alzò la cornetta. “Si, caporale Klark. Avete novità?”
“Immagino siano le solite direttive per l’ennesima isoletta.” dedusse Surge
annoiato.
“Abbiamo un nuovo arrivato, signore...”
Rocka accigliò lo sguardo fissando il vuoto. “Ovvero?”
Anche Fox e Gobbs si osservarono dubbiosi.
“Non siamo riusciti a capire a quale razza appartenga.”
Fox chiese diretto, avvicinandosi al microfono del comunicatore. “Cosa vuole?”
“Un dialogo con i Toa Metru, signore. Dice di avere delle cose importanti da dirgli.”
I due Alpha leader non sapevano se era il caso di fidarsi. A giudicare dallo
sguardo di Fox, quell’individuo poteva benissimo restarsene dove l’avevano
trovato. Gobbs al contrario propose di avvicinarsi con un’imbarcazione per
capire l’identità dello sconosciuto. Surge e Breeze, ai comandi, erano
d’accordo. Prima di chiudere la comunicazione, Klark disse che costui non
sembrava un malintenzionato. Era troppo desideroso di incontrare i sei Metru.
Così Furno e Rocka si recarono dai Toa. Dopo avergli riassunto il dialogo con
l’Eroe Klark, decisero di avvicinarsi con la portaerei vicino alla spiaggia per non
correre rischi.
In effetti, una volta arrivati, le sembianze dello sconosciuto erano piuttosto
bizzarre. Era basso, quasi quanto un Matoran. Con la sua lente, Nuju affermò
di vedere anche il team di Klark. In ogni caso preferirono restare a bordo,
comunicando a distanza via radio. Poteva anche essere una trappola di Toa
Cadryuk, del quale non si seppe più nulla.
La portaerei era lontana circa tre centinaia di bios dalla costa dell’isolotto. Era
comunque possibile vedere i loro interlocutori.
Rocka aprì la conversazione. “Mi vedi, Klark? Siamo sulla prua.”
“Si, vi vediamo.”
Prima di continuare, l’Eroe dorato memorizzò l’aspetto del piccoletto. “E’ lui?”
“Affermativo, Alpha leader. Accendo il vivavoce.”
Furno iniziò a far domande. “Chi sei?”
“Sono un Ko-Matoran. Ho bisogno urgente di parlare con i Toa Metru. Ho saputo
che sono con voi adesso.”
Ancora non si fecero vedere per sicurezza. Rocka domandò: “Per quale
motivo, Matoran?”
“E’ per metterli in guardia... e anche perché ho bisogno del loro aiuto.”
Furno e Rocka ragionarono. Gobbs invece pose un’ulteriore domanda: “Come
ti chiami?”
“Odis.”
Nuju corse subito mostrandosi, e scansando i due Alpha leader. “Odis?!”
“Nuju? Sei lì allora!” si rallegrò.
Un tempo erano buoni amici, allievi del maestro Ihu a Ko-Metru, nelle sagge
Torri della Conoscenza. Da lui Nuju imparò lo studio delle stelle e degli astri.
Odis, al contrario, preferiva una vita più movimentata, ragione per cui decise di
abbandonare la regione di Ghiaccio per iniziarne una nuova.
Difficilmente poteva trattarsi di un’illusione di Toa Cadryuk. I ricordi evocati
dal Ko-Matoran (amico dei tre ribelli su Mata-Metru) erano fin troppo
dettagliati per farli dubitare, andando allo stesso tempo al di là dei poteri del
Toa multiversale della Nebbia. La notizia che però riportò, successivamente
all’arrivo degli altri cinque Toa, non era delle migliori: “Il Marendar ha finito di
dare la caccia ai Toa rimasti. Non ne resta più nessuno oltre a coloro tornati nella
grande metropoli.”
In realtà non era una preoccupazione per gli Eroi, ma siccome i sei rimasti
erano gli unici che potevano aiutarli a scappare dal Robot, furono obbligati a
interessarsi.
Whenua si impensierì. “Speriamo che il lavoro di Artakha abbia funzionato
veramente, e che questa Kanohi faccia il suo dovere.”
Odis non capì e gli venne fatta una piccola sintesi sul nuovo “parassita” dei sei
Metru, forse peggiore del veleno Hordika.
“Facciamolo salire a bordo!” se ne uscì all’improvviso Matau.
“No.” rispose proprio Vakama. “Sentiamo cosa ha da dirci... Ko-Matoran, cosa
ci fai qui su quest’isola?”
“Questo è un luogo d’incontro, Toa. Molti della tua specie hanno solcato queste
acque per giungere fin qui, alla ricerca dell’Unico.”
Il leader di Fuoco spalancò gli occhi. “L’Unico è lì?! E dov’è?!”
Una risposta inaspettata: “Sono io, Vakama.”
“Come?! Tutte le speranze della razza Toa sono state affidate a un Ko-Matoran
qualsiasi? Perchè non poteva essere un affascinante Le-Matoran?” fece la
battuta il solito Matau.
Anche gli Eroi del team di Klark guardarono il Ko-Matoran con stupore.
“A volte l’aspetto inganna, Toa Matau. Non potete capire per quanto tempo ho
cercato la vostra Essenza...” e prese in mano una piccola pietra rossa. “Ma non
so perché questo aggeggio non me l’ha permesso.”
La lente di Nuju gli permise di fare un’affermazione pesante. “Quella è la Pietra
Nui! Come hai fatto ad averla?!”
Furno preferì non correre rischi, ed ordinò a Klark di tenersi pronto ad
attaccare. Nokama li invitò ad abbassare le armi, ma fu ignorata.
Odis sorvolò, iniziando il suo racconto: “Ero nei Parenga delle isole centro
occidentali. Il piano di pulizia insulare era appena cominciato. A qualche settimana
dall’inizio, io e il mio squadrone fummo catturati. Ci divisero: una parte rimase per
la lavorazione del Protodermis nei cinque arcipelaghi, mentre il resto fu spedito al
dì sotto del Codrex.”
“Come, sotto al Codrex?”
“Proprio così, Nuju. Esiste una prigione in ciò che rimane di Karda Nui, sotto l’isola
di Voya Nui, e la grande cupola fa tuttora da tappo impedendo la fuga dall’alto.”
“Ci sono dei sopravvissuti?” domandò Nokama.
“A dire il vero non ne sono sicuro. Ma se fossero ancora vivi, sarebbero molti, forse
centinaia.”
“E col Protodermis? Cosa voleva costruire Helryx?”
“Dei collegamenti subacquei che potessero creare un circuito tra gli arti del Robot.
Tuttavia, il braccio destro, nel quale fui impiegato, terminò la progettazione in
ritardo. Ricordo ancora quel giorno come se fosse ieri... Una delle flotte Ruhnga che
salvaguardavano le coste occidentali venne attaccata da una creatura marina
imponente. Ci ordinarono di nasconderci nel bunker, siccome lo scontro stava
avvenendo vicino alla costa. Io però volevo sapere a tutti i costi cosa stava
succedendo, e quando uscii di soppiatto, vidi l’artefice di quei tuoni: una creatura
alata dalle piume d’oro. Aveva appena sconfitto una sottospecie di mostro marino e
stava scendendo in picchiata verso il mare aperto. Qualcuno o qualcosa colpì il
volatile da una scogliera più a est. Ci andai subito, ma trovai solamente questa
pietra rossa. Aveva la forma di un proiettile, lungo e appuntito. Ricordo che
emetteva una luce intensa ed emanava del fumo. Non appena lo presi, avvertii una
strana energia dappertutto. Sentì un formicolio che lentamente si trasformò in un
dolore lancinante. Era come sentire degli aghi penetrarmi il cerebro. Ancora provo i
brividi... Una gloriosa armatura di cristallo vermiglio fuoriuscì dal mio corpo. Mi
sentivo... potente, e potevo percepire i poteri di ogni Toa nel raggio di diversi kios.
Ma quella festa durò per qualche secondo. Capii che dovevo assorbire una grande
quantità d’energia per poter materializzare l’armatura. Così tornai da un Onu-
Matoran che lavorava con me al bunker. All’inizio ne approfittammo per
guadagnare qualche Widget, ma poi l’Ordine ci trovò nuovamente, e dopo alcuni
mesi ci siamo ritrovati anche noi su Voya Nui.”
“Perchè non hai usato i tuoi poteri quando vi hanno arrestato?” chiese Matau.
“Non sapevo come usarli, a dire il vero. Compresi tutto troppo tardi, dopo l’attacco
della Mano di Artakha su Voya Nui. Io e altri Matoran infatti fummo guidati in
salvo da un Toa dell’Ordine che ci scortò fino alla costiera a nord, ma fu ferito
durante la fuga. Si chiamava Bodrehg ed era un Toa del Verde. Un tempo era
affiliato ad una squadra Toa che l’Ordine istituì per la bonifica delle paludi di
Tesara. I miei compagni ed io lo facemmo rifugiare in una grotta, per curarlo prima
di partire da Voya Nui. Quel giorno i rumori della guerra gridavano più forte che
mai. Le ferite però erano troppo profonde. Nel nostro gruppo non c’era nessuna Ga-
Matoran e i pochi Le-Matoran presenti non sapevano come utilizzare le foglie Tiaki.
Prima di andarsene, Bodrehg utilizzò per un’ultima volta la sua Kanohi, una Kahuri.
Essa permette al portatore di avvertire il pericolo prima che questo possa colpire.
Non so perché, ma sapeva di me e della Pietra Nui. Forse è stato il mio amico Onu-
Matoran a dirglielo. Prima di lasciarci, mi consegnò la sua Maschera, avvertendo
ognuno di noi che un’orrenda macchina col compito di sterminare i Toa era appena
stata rilasciata, pregandomi di trovare un modo per distruggerla. Da allora feci una
promessa.”
Si tolse la Kanohi Kahuri, mostrandola agli Eroi. “Compresi quale fosse il mio
Destino. Questa Maschera funge tuttora da contenitore energetico, in grado di
donarmi l’armatura cristalloide.”
I Toa capirono tutto. Vakama però voleva sapere dell’altro: “Come hai fatto a
convincere gli altri Toa a cercarti?”
“Abbiamo utilizzato dei messaggeri volatili di diverso tipo: dai Klakk, ai
Gukko... Ognuno di essi portava un messaggio. Nel giro di una settimana e
mezza riuscii a rintracciare quasi tutti i Toa rimasti, o per lo meno quelli che
non erano ancora stati uccisi. Ci mettemmo d’accordo che, una volta
raggiunto questo luogo, mi avrebbero donato il loro potere dissipandosi in
questa... Pietra Nui.”
“Quindi avete pensato di combattere il Marendar semplicemente aumentando
il potere Toa?”
“Esattamente. Quella macchina è un pozzo senza fine, in grado di assorbire poteri
elementali. Forse battendosi con un essere in grado di sprigionare una grande
quantità energetica, o al contrario donandogliela, potrebbe cadere. E’ solo
un’ipotesi, ma non avevamo altra scelta. Più volte abbiamo provato a contattare
Helryx, senza nessuna risposta. Nell’ultimo periodo ho anche cercato le forze
dell’Ordine in ogni isola qui attorno, riuscendo poi a scoprire dei nuovi Metru per
puro caso. Ora io e voi siamo gli unici Toa a popolare il Robot.”
“Anche tu?”
“Esatto, Eroe. Io sono Toa Nui, l’Unico, e racchiudo in me lo spirito di molti
combattenti che hanno deciso di affidarmi la loro Essenza. Vi ho detto tutto ora,
lasciate che il mio potere possa esservi d’aiuto, Toa Vahi. Aiutatemi a trovare il
Marendar e a sconfiggerlo.”
“Egli non è il nostro obiettivo, Odis.” precisò il Metru del Ghiaccio. “Non lo è
mai stato in realtà. Se siamo qui è per altri. motivi. La salvezza dei Matoran è
ciò che più conta in questo momento, ma dovremo sbrigarci. E’ tutta una lotta
contro il tempo per svariate ragioni ormai. Saremmo felici di accoglierti tra di
noi, fratello...”
I due Alpha leader approvarono l’arrivo di Odis, lanciandogli comunque un
occhio di riguardo, siccome non ci si poteva più fidare di nessuno. Non a caso,
per evitare un nuovo caso Stormer, impedirono al Toa Nui di salire a bordo
della portaerei, affidandogli una barca tutta sua.
Le parole del Ko-Matoran sulla prigione al di sotto del Codrex non lasciarono i
membri dell’alleanza di Mata-Kuro con le mani in mano. Una squadra di
ricognizione Hero venne inviata immediatamente su Voya Nui, col compito di
trovare un modo per raggiungere il nuovo Pozzo e salvare gli eventuali
sopravvissuti.
Tra non molto la portaerei avrebbe raggiunto il Continente settentrionale, il
quale era sorprendentemente inabitato. Le sonde inviate scoprirono che né
l’Ordine e nemmeno l’esercito dell’Equilibrio dimoravano in quelle zone.
Restava solamente il problema su come “assalire” Mata-Metru. Un attacco
frontale al porto di Le-Metru sarebbe stato rischioso, anche perché non
disponevano di abbastanza mezzi e armi necessari. A tal proposito giunse in
soccorso Mazeka, guarito da qualche giorno. Invitò i suoi alleati a fare nuove
ricerche sui circuiti che collegavano le due macchine artificiali create
dall’Ordine. Ci furono infatti delle scoperte notevoli: un grande buco, causato
molto probabilmente dal cortocircuito che il primo Toa causò estraendo la
Ignika, permetteva l’ingresso nei canali di Jerbraz tra l’isola di Zakaz e quella di
Karzahni. Tali passaggi segreti si trovavano poco più sotto ai collegamenti
principali tra i due arcipelaghi. Toa Nokama ovviamente si propose fin da
subito, siccome veniva messo in gioco il suo elemento. In questo modo, con la
fortuna a favore, sarebbero riusciti a invadere Mata-Metru dall’interno. Alla
flotta dell’Ordine invece ci avrebbero pensato le armate di Artakha, ancora
impaziente di raggiungere la grande metropoli in contemporanea con i sei Toa.
Ma ecco che durante una fredda mattinata arrivarono delle novità inaspettate
su un vecchio caso, che per gli Eroi aveva perso di senso. Il manager missioni
Zib corse frettoloso verso l’aula dei due Alpha leader, nel mezzo di una
discussione tattica. C’erano anche Breeze, Surge, Vakama e Whenua.
“L’abbiamo decifrato, l’abbiamo decifrato!” esultò mentre sventolava i suoi
appunti digitali.
Furno inclinò la testa imbarazzato.
“Di che parli?” chiese Rocka.
“Hah, hah... il video di Fortis, Alpha leader... Qui dentro abbiamo le risposte
che cerchiamo da più di un anno!”
L’Eroe rosso fu preso dall’ansia. Temeva che le parole aggiuntive di Fortis
potessero far crollare l’alleanza con i Parenga in un batter d’occhio. Rocka, al
contrario, preferì continuare e i due Toa si adeguarono alla sua scelta.
Zib annuì e prese posto alla scrivania nell’angolo della sala. Inviò il file del video
al computer, che elaborò trasmettendolo sullo schermo più grande,
normalmente usato come mappa dei territori circostanti.
Le luci vennero spente. L’attesa e la suspense crebbero. Lo sfondo degli interni
della Stella Rossa, una volta proiettato il video, colorarono le pareti attorno ai
sette individui. Il file fu riprodotto dall’inizio per rendere partecipi i Toa su
quanto accaduto.

“...ma prima devo dirvi che ho appena scoperto una verità che mi ha colpito nel
profondo...”
“Eccoci, ci siamo.” affermò Surge impaziente.
Ora si entrava nel mistero. Vakama affilò lo sguardo, così come Whenua. Zib si
avvicinò allo schermo, pronto a registrare appunti.
Dopo una piccola pausa, Fortis spiegò: “Riguarda Makuro. Poco prima di
ucciderlo, lo hanno chiamat-”
“BZZZZZZZZZ... Furno, sono Stringer, rispondi! E’ un’emergenza!” si accese
improvvisamente la radio.
“Ah, non ora!” si indispettì l’Eroe rosso rispondendo alla chiamata. “Stringer, si
ti sento. Che cosa c’è? ... COME?! Ne sei sicuro? E dove... va bene... si, va bene
arriviamo subito. Furno, chiudo.”
“Cosa ti ha detto? Sembrava nel panico.” disse Breeze, ma Alpha leader non le
diede retta. Prese la cintura di gadget che lasciò appesa su una delle sedie, e la
indossò in meno di un secondo.
“Rispondi, Furno!” insistette Rocka afferrandolo per il polso.
“Non c’è tempo. Dobbiamo andare!”
“Fermati, ragazzo.” parlò con calma Whenua. “E spiegaci tutto.”
Mai si sarebbe aspettato una risposta simile: “Fox ha trovato Darkness!”
Nessuno rispose, talmente erano sconcertati. Fino a qualche secondo prima, la
loro mente era pronta a ricevere delle informazioni importanti riguardo la
morte di Makuro, ed ora avevano a che fare con la cattura di un ricercato
come Darkness per puro caso.
Eroi e Parenga furono informati. Pure Odis lo venne a sapere, ed insistette
affinché potesse raggiungerli nel punto indicato da Stringer. Ciascuno corse ai
posti di comando nel minor tempo possibile. La frenesia dettava la scena
dall’alto.
“Stringer, qui Alpha leader. Non attaccate, ripeto, non attaccate!” ordinò Furno
mentre correva coi suoi alleati nei corridoi ai piani inferiori.
“Non credo possiamo farlo...”
“Come sarebbe a dire?! Vi hanno catturato? Siete circondati?”
“Al contrario. Venite qui... e capirete.”

La posizione ricevuta era piuttosto vicina. Le tre squadre di Stringer
attendevano l’arrivo delle imbarcazioni sulla spiaggia. Come al solito, i due capi
della Hero Factory furono scortati dai guerrieri di Vakama. L’area era infestata
da una nebbia disturbante.
Rocka li rimproverò severamente. “Che diamine ci fate qui?! Dov’è il
ricercato?”
Uno degli Eroi alzò il dito, indicando verso l’alto. “Oltre questa collina,
signore.”
“L’avete imprigionato?”
“No. Veramente non c’è stato bisogno... Seguiteci.”

Il loro cammino si concluse su uno strapiombo dal quale non era possibile
distinguere i particolari del panorama. Una sagoma oscura li aspettava seduta
di spalle sul precipizio.
“Armi puntate su di lui, Team leader.” sussurrò Furno ad un caposquadra.
“Ricevuto.”
Si distribuirono in semicerchio attorno all’ex Cacciatore oscuro, che però non
sembrava minimamente preoccupato. C’era comunque della tensione nell’aria.
Rocka non perse tempo: “Dov’è il tuo esercito?”
Darkness lo guardò con la coda dell’occhio. “Esercito? Vedi per caso qualche
guardia del corpo qui attorno? Vedi una fortezza con le sue difese? Senti i canti
di guerra? Qui c’è solo la natura, come Il Grande Spirito l’ha creata...”
“Saranno nascosti qui vicino, ne sono certo! Whenua, usa la tua Ruru.” rispose
Matau.
“Apri gli occhi, piccolo Toa. Se ne sono andati. Tutti quanti. Hanno preferito
seguire la pazzia di Nektann, non contenti dell’esito dello scontro su Voya Nui.
Ma non ha più importanza...”
“E tu cosa farai allora?” domandò Nokama.
“Siedo... e aspetto...”
La voce con cui lo disse era a dir poco inquietante. Il velo di mistero che
sfruttava spesso nei suoi dialoghi stava iniziando a far innervosire gli alleati.
Ghignò. “Non mi sarei mai aspettato di vedere Eroi e Toa dalla stessa parte.”
“Basta con le battute, Darkness. Dove se ne sono andati i tuoi seguaci?”
intervenne Furno severamente.
“Lontani da qui, questo è certo. Vogliono Mata-Metru. Hanno intenzione di
distruggerla, come se avessero delle possibilità contro la Ignika...”
“E il Marendar?” parlò proprio colui che rimase in silenzio fino a quel
momento: Vakama.
“Eccoti finalmente.” disse il Maestro compiaciuto. “Non vedevo l’ora di
scambiare quattro parole con te... da solo...”
Lo sguardo fra i due era sincronizzato. Nokama lo capì e si oppose senza
esitazione. “Non ci pensare nemmeno, Vakama!”
“Va tutto bene, sorella. Non so perché... ma credo di avere la sua parola.” e
Darkness annuì come al suo solito.
Lei però era molto preoccupata. “Non me lo perdonerei, fratello... Non TE lo
perdonerei!”
“So quello che faccio. Per una volta, abbi fiducia.”
“Io ho sempre avuto fiducia in te! Noi tutti l’abbiamo avuta! Ti seguiremmo
fino alla morte se necessario!”
Whenua le arrivò da dietro, poggiando dolcemente la mano sulla sua spalla.
“Abbiamo un ordine, Nokama. Andiamo...”
Furno e Rocka guardarono negli occhi Vakama prima di dire agli Eroi presenti
di ritirarsi. Il leader dei Metru li rassicurò con certezza.
Così i due furono abbandonati. Vakama non sentì neanche il bisogno di
prendere il suo lancia-dischi. Forse era la prima volta in cui non si sentiva
minacciato dinanzi ad un potenziale nemico.
“Ora siamo solo io e te. Parla...”
Darkness si focalizzò sul Toa ancora per qualche secondo. Sembrava incredulo.
“Tutto questo tempo passato a giudicare i folli profeti del Grande Spirito... e
ora ne ho uno davanti a me. Tu lo sai quanto grande è il mio odio? Hai mai
passato settemila anni nascosto nella tua stessa ombra, pronto a dare il tuo
inutile giudizio su ciò che ti circonda?”
“Dove vuoi arrivare?”
L’ex Cacciatore oscuro rispose diversamente, aumentando il sospetto. “Mi
avevi chiesto che fine avesse fatto il Marendar... Se n’è andato per la sua strada.
In passato mi disse che una volta terminata la caccia delle sue prede, si sarebbe
messo alla ricerca di cinque poteri misteriosi rilevati dal suo radar.”
“Quindi non lavora per te.”
“No. Egli è un’entità indipendente e quasi impossibile da controllare. Io sono
solo riuscito a modificare parte dei suoi circuiti per impedirgli di uccidere i
pochi Toa che erano al mio servizio. Ora la solitudine è l’unica compagna che
ho, ma non per molto...”
“Mmhh?”
Darkness sorrise come un maniaco. “Tutti noi torneremo nella realtà che ha
dato inizio al Tutto, è sicuro. L’unica macchina che ora Helryx potrà sfruttare
sarà il processore del nucleo sotto al Colosseo. Non c’è modo di recarsi
altrove. Un tempo, sia io che lei puntavamo all’atterraggio sul nuovo pianeta
dei Grandi Creatori. Evidentemente ho osato troppo. Ho capito che è giusto
così. I miei servitori però non l’hanno approvato...”
“E perché finora sei stato fermo qui ad aspettare?”
“Io sto solamente seguendo i passaggi di una visione futura, Toa, ma a modo
mio. Il ritorno del Robot nella Realtà del Creato era programmato fin
dall’inizio. Tutto sta seguendo i piani di guerra...”
Vakama accigliò lo sguardo. “Piani di guerra?”
“Si, non manca molto. Non perderò del tempo a spiegarti cosa ci attenderà...
Voglio aiutarti Toa, perché so che la tua bontà ingenua aiuterà me.”
“Cosa te lo fa pensare?”
“Oh, potrei stare ore se non mesi a spiegarti il motivo. Potresti farlo anche tu,
semplicemente raccontando il tuo passato.”
Era evidente che voleva farlo crollare mentalmente. La furbizia era
probabilmente la migliore arma che Darkness poteva sfruttare.
“Li hai illusi, Turaga Vakama. Tutti i Matoran sono stati illusi dallo schifo che tu
e i tuoi compagni avete sputato per tutto questo tempo. Guarda a cosa hanno
condotto.” allargò le braccia pavoneggiandosi. “A me... La figura dell’eroe è la
vera causa del male che sta attorno a noi. Come il falso amore che avete
erroneamente diffuso fino ad ora, nasce per creare, finendo però col
distruggere tutto. Ognuno di noi è nato per... vivere, nient’altro. Nessuno
diventa criminale per puro caso. Nessuno uccide per puro caso. Nessuno
commette atti e pensieri impuri dal nulla. Nessuno dice il falso, tradisce, o
giudica il prossimo senza una causa che sta alla base... Così nacque una figura in
cui tutti ci dovevamo trovare a prescindere dalla razza, dai nostri sentimenti, o
dalla nostra condizione sociale. Noi tutti avremmo dovuto seguire
indirettamente quella figura maestosa, sicura di sé, ma che mette allo stesso
tempo molti in difficoltà, non facendoli sentire all’altezza di essere eroi. Hanno
abbracciato la debolezza perché gli sembrava l’arma migliore. Hanno seguito la
procrastinazione perché era l’armatura perfetta. Infine hanno scelto la rabbia e
il dolore perché erano i sentimenti adatti a definire il guerriero odierno. E tutti
quei valori positivi che avete profetizzato? DOVE SONO FINITI, VAKAMA?!
PERCHÉ NON POSSIAMO ESSERE EROI PER UN GIORNO?! PERCHÉ
DEVO SENTIRMI ADDOSSO IL PESO DI UN MONDO CORROTTO?!”
Si allontanò per la vergogna. Vakama non sapeva come reagire.
“Ti chiedo scusa.” sospirò Darkness con un piccolo sorriso. “Anche io ho le
mie debolezze, come tutti. A volte una parte... anzi... tutto me vorrebbe
lasciare perdere, tornare indietro, scappare. Ma non posso bruciare dei
momenti che ho aspettato per troppo tempo. Ora io sono vivo, Toa. Ora io
posso scrivere la mia versione del finale di questa storia. Tuttavia, non posso
farlo da solo.”
“Allora dimmi cosa diamine vuoi...” si infiammò di risentimento il Toa Metru.
La figura corvina si chinò e disegnò dei simboli sulla terra. “Mano di Artakha,
Parenga, Equilibrio... e infine Ordine di Mata Nui. Ognuno ha il proprio
obiettivo. Gli ultimi due invece sono destinati a combattersi per un’ultima
volta, che non sarà qui. E sarà per qualcosa di più grande della Ignika.”
Dentro di sé Vakama si sentiva fuori luogo e poco preso in causa. Darkness
infatti finì il disegno inserendo Eroi e Toa. “Infine ci siete voi. Dimmi, che cosa
volete veramente?”
Prese posto per cercare le parole giuste. “Non te lo so dire... Ho così tanti
dubbi nella testa. Vorrei solo che i Matoran fossero felici e che decidessero per
sé stessi, in una casa nuova.”
“E sai già come farlo? Sai come disattivare lo scudo esterno per poter scappare
con loro?”
Ovviamente non poteva rispondere altro: “La Ignika...”
“Esatto, Vakama. Ognuno di noi è destinato a tornare da essa. Adesso però io
sono stato abbandonato da coloro che mi chiamavano Maestro. Aiutatemi a
raggiungere la grande metropoli, e vi dirò come fuggire con tutti i Matoran in
una volta sola, non appena verrà disattivato lo scudo all’esterno del Robot.”
“Come posso aiutare degli individui che rischiano di morire innocentemente?!
Sei stato tu ad avergli causato lo squarcio delle loro Kanohi! Le loro
aspettative di vita si sono abbassate!”
“Quello non sarà un problema. Per riuscire a fare ciò, ho dovuto utilizzare
tecnologie sofisticate, che vanno ben oltre quelle della lontana Metru Nui. Se
avrò ancora quei materiali a disposizione, potrei creare un dispositivo in grado
di aggiustare le Maschere.”
“Dove possiamo trovarli?”
“Ce li avete già in realtà. Gli Eroi li hanno. In passato, io e il mio gruppo
abbiamo rubato ogni tipo di bene per costruire il nostro esercito, incluse le
tecnologie Hero. Quando le studiai, mi si aprirono grandi rivelazioni. Tu dovrai
solamente convincere gli Eroi a darmeli. Al resto ci penserò io. Suppongo che il
tragitto verso Mata-Metru sarà sufficiente per fabbricarlo...”
“Poi?”
“L’isola di Metru Nui ha sempre avuto migliaia di capsule d’emergenza sparse ai
piedi del Colosseo. Saranno la via di fuga dell’armata di Nektann non appena
avranno finito con Helryx. Sono state scoperte subito dopo il Risveglio per la
prima volta. Se il Robot fosse andato in contro ad un malfunzionamento, i due
Glatorian sarebbero stati risvegliati per pilotarlo e, nel caso in cui si rischiava
una distruzione dall’interno, avrebbero inserito delle specifiche coordinate
nelle capsule con all’interno i Matoran, facendoli atterrare in un posto sicuro.
Capirai benissimo che non tutti i pianeti sono adatti per la nostra vita.
Aiutatemi e in cambio vi darò quelle coordinate. Tutto ricomincerà da zero
per ognuno di voi.”
“Però dovremo dividerci e portare i Matoran in salvo.” ragionò il Toa.
“Dopo aver usato il mio dispositivo, ovviamente...” sogghignò. “Dunque?
Accetti?”
Vakama non si alzò dalla roccia sulla quale si sedette. Per l’ennesima volta fu
costretto ad accettare le condizioni che il Destino stesso gli imponeva.
“Come fai a sapere tutto questo? Perchè dovrei fidarmi di te?”
“Perchè io ho camminato in mezzo a voi senza che ve ne accorgeste. La mia
ombra ha osservato, ha studiato e ha provato emozioni dal vostro punto di
vista. Conosco quasi quanto Helryx, che al momento ha una conoscenza simile
a quella di un Grande Creatore, sempre grazie alla Maschera della Vita. Da lei
ho imparato, e lo stesso ha fatto lei con me, senza volerlo. Io e lei non siamo
altro che piccoli esseri che lottano per i propri scopi. Hai idea di quante guerre
vengono combattute ogni giorno?”
“Quindi tu saresti l’unico che potrebbe darci la pace?” si prese gioco di lui.
“Io sono solo io, nessun altro. Avete la piena libertà di sfruttare la mia
conoscenza o di affogare nella fatica e nel possibile fallimento.”
Il Toa del Fuoco si mise in piedi. “Deciderò assieme ai miei compagni dunque...
Prima di tornare da loro però c’è una cosa di cui vorrei parlarti. Da quando
sono tornato in queste sembianze, vengo continuamente tormentato da una
visione in cui c’erano tre individui di statura differente... e quello più alto
sembravi proprio tu. Quando prima arrivai qui con i miei compagni, ero
impressionato dal tuo aspetto, talmente mi ricordava la sagoma centrale di
quelle stramaledette visioni...”
“Ti sei chiesto chi fossero gli altri due?” chiese l’ex Cacciatore oscuro con un
sospiro affannoso.
“Uno era più piccolo. Sembrava un Matoran.”
“O forse un Turaga...”
“Un Turaga? Stai forse parlando... di Dume?”
“Proprio così.”
Vakama si mise un attimo a pensare, discostandosi dalle parole insidiose del
suo nuovo “alleato”.
Occhi gialli... Altezze diverse... Tutto tornava.
“Allora l’altra ombra era... Helryx?” e Darkness annuì.
“So che tu sei speciale, Vakama. Conosco la tua storia. Le visioni non sono
altro che distrazioni. Se te lo stessi chiedendo, è vero: io ho collaborato con
Helryx e Dume. Tutti e tre ci siamo affidati a questa previsione futura della
quale ho parlato col primo Toa. C’erano dei tempi da rispettare, ma ciò non è
stato fatto. Le decisioni prese dalla Toa, inoltre, potevano portare altri
conseguenze. Così sono intervenuto, facendo quello che dovresti fare tu
adesso.”
“Ovvero?”
“Sfidare il Destino, Vakama. Non temere ciò che potrebbe succedere. Non
allargare troppo la tua sete di conoscenza come hanno fatto i morti. Questa
non è la vostra guerra...”
Nokama e Matau corsero subito dal proprio leader non appena questo fece
ritorno. Darkness rimase seduto sull’orlo del precipizio in attesa di un
riscontro. Molti altri dettagli furono accennati nel corso della conversazione, e
spinsero Vakama a parlare il prima possibile con i propri fratelli.
Ciononostante, anche discutendone con loro e successivamente con i due
Alpha leader, si capì che potevano percorrere una sola strada. Perciò l’alleanza
di Mata-Kuro, priva di alternative, accettò.
A dire il vero c’era un’altra opzione da poter considerare, ma spaventò Vakama
al solo pensiero e venne immediatamente scartata da egli stesso...
Darkness salì a bordo della barca sulla quale c’era anche Odis. All’inizio non
scorsero buone acque fra i due, ovviamente. Intanto la portaerei si rimise in
viaggio verso la loro ultima destinazione. Il video di Fortis venne ripreso dal
punto in cui fu stoppato, ed uscì un nome che terrorizzò i sei Toa...
“Velika?” si chiese Surge ad alta voce.
Zib consultò gli appunti ufficiali. “Vediamo... ah sì! Qui dice che era un
ricercato dall’Ordine già prima della riformazione di Spherus Magna.” e
continuò a leggere in silenzio per qualche secondo. “Tutto qui, Toa? Se n’è
andato dal pianeta e non sapete altro? Mi auguro che i popolani coi quali
abbiamo parlato non sapessero tutto!”
“No appunto.” spiegò Vakama ancora stordito dalla notizia. “Egli era anche un
Grande Creatore, uno dei diciotto che crearono il Robot e la Maschera della
Vita. L’ultima volta che vide i Toa Nuva, giurò di distruggerci tutti quanti.
L’Ordine sarebbe stato il primo a pagarla cara.”
Prima di finire il video infatti Fortis fece una breve descrizione sull’ultimo
aspetto di Makuro non appena incontrarono i due agenti dell’Ordine. Parlò di
una maschera marrone, una Komau, che mostrò ai guerrieri Tehina poco prima
dell’esplosione, dicendo di averla usata fino a quel momento per non farsi
riconoscere neanche dagli Eroi.
“Quindi tutto questo tempo passato a fare i paladini della giustizia in giro per la
galassia... è stato solo per prepararci alla guerra?” si intristì Breeze.
Rocka la prese con sé. “Non ha senso darci troppo peso. Ora noi possiamo
cancellare questi oscuri segreti per dare inizio ad un nuovo capitolo! Toa
Metru, se davvero riusciremo a scappare da questo Robot, saremmo onorati di
ospitarvi a Makuhero City!”
Furno era d’accordo. “E non temete per i vostri compagni dispersi sul pianeta
1210. Noi Eroi troveremo un modo per portarli da noi prima che esploda.”
Il tutto finì con innumerevoli scuse. Chi si sarebbe mai immaginato una guerra
fra Eroi e biomeccanici finire così?
Il buonismo dei Metru gliele fece accogliere a braccia aperte. Un legame già
formato, ma con ancora molte idee da chiarire in passato, si era fortificato
definitivamente. Peccato però che l’unica vera luce presente in quel gigante
meccanico doveva per forza seguire le indicazioni fornitagli dalla conoscenza
oscura, ma allo stesso tempo corretta di Darkness...
“Li abbiamo trovati, signore.”
“Dove sono?”
“Onu-Metru, vicino al distretto 70. Si sono rintanati in un edificio
abbandonato.”
Hydraxon si sincronizzò con la visuale di una sentinella Horomia. Erano una
trentina, distribuite attorno alla struttura e pronte ad assalirla.
“Bene, controllate coi sensori che non ci siano passaggi sotterranei. Nel caso,
mandate delle unità per bloccarli. Sarò lì il prima possibile.”
Krakua era all’uscio della porta. Hydraxon si fermò a qualche passo,
ricambiando lo sguardo di sfida.
“Sai che questa potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo, giusto?”
“E’ un rischio che bisogna prendere...” rispose il cacciatore marino mentre gli
occhi sfumavano tra il rosso e il giallo. Le due personalità erano in simbiosi.
“Ora lasciami andare. Non starò fermo come ha fatto Trinuma.”
“Non osare...”
“Osare cosa, Krakua?! Ha fatto crollare le nostre certezze e i nostri
possedimenti al di là delle coste in men che non si dica! Se proprio vuoi
saperlo, non ho mai appoggiato Helryx!”
Ogni Korero si staccò dalle macchine di controllo delle Horomia per sentire le
parole di Hydraxon. Stava palesemente confessando il suo risentimento contro
il primo Toa.
“Ma adesso! Adesso dobbiamo per forza adeguarci a questa situazione! Da
quando è avvenuta quell’irruzione delle sentinelle nella piazza di Le-Metru, ci
sono state solo ribellioni e proteste. Ovviamente come pensi che abbiano
reagito i nostri Rahi, col dialogo?!”
Il Toa del Sonico non aveva nulla da aggiungere. Hydraxon gli ordinò di farlo
passare ed egli obbedì chinando la testa.
Prese subito uno Chute dal Colosseo e in poco tempo arrivò al distretto 70,
nella fascia occidentale di Onu-Metru. Un gruppo di Korero lo raggiunse dalla
costiera meridionale dell’isola, pronto a dargli supporto per l’incursione. Prima
di parlare, Hydraxon pianificò nella sua mente un piano d’entrata ed uno di
fuga, nel caso in cui i ribelli avessero piazzato delle trappole.
“Le sentinelle sono pronte, signore.”
“Avete già circondato il perimetro?”
“Certo. Aspettiamo solamente il vostro via.”
“Aspettate qui allora.”
Oltrepassò la linea di fuoco, avvicinandosi all’edificio. Le armi delle sentinelle
erano puntate verso di esso. Una decina circa era aggrappata al muro.
“E’ possibile scambiare quattro parole?” urlò ad alta voce.
I passanti si fermarono ad osservare. La domanda dell’agente di Helryx non
ricevette risposta.
“Non vogliamo che finisca male, vero ribelli?”
Ancora niente. Per un attimo gli venne il dubbio di aver sbagliato edificio per
assurdo.
“Permetti?” sentì dietro di lui.
“Krakua? Era ora direi.” gli sorrise.
Il Toa guardò l’edificio, studiandolo a fondo.
“Perchè questo silenzio?”
“Sto cercando di capire quale punto colpire.”
“No, cosa?!” esclamò Hydraxon. “Vuoi farlo crollare? Così rischierai di
ucciderli e addio informazioni! Non siamo qui per fare il compitino per
Helryx!”
“Lascia fare a me.” e fece un ulteriore passo in avanti.
La seconda finestra in alto a destra era perfetta come epicentro. Aprì le mani,
allargando le braccia con grande lentezza.
Hydraxon capì le sue intenzioni. “Tutti accovacciati, ora! Copritevi i sistemi
acustici!”
E subito dopo le mani del Toa sbatterono una contro l’altra creando un’onda
sonica che impattò perfettamente nel punto scelto. Come conseguenza di ciò,
l’edificio non cadde. Per qualche strana ragione le vibrazioni si erano propagate
all’interno della struttura. Lo capirono dalle urla di dolore dei ribelli, che
uscirono velocemente dall’ingresso principale.
Ognuna delle volate dei fucili venne rivolta verso loro tre. Le Horomia
aggrappate ai muri saltarono a terra per non dargli via di fuga. Potevano
solamente fuggire in avanti, andando incontro ai due agenti.
“Ben fatto, Krakua.” si complimentò il cacciatore marino.
Osservò i Matoran uno per uno. C’era tanta rabbia nei loro sguardi, mischiata
al dolore momentaneo delle onde sonore.
“I vostri nomi.” disse diretto il Toa Sonico.
Il Le-Matoran del trio rispose: “Jakh-”
“Non qui.” lo fermò Hydraxon. “Entriamo. Krakua, vorrei anche che venissi
pure tu.”
“Che hai intenzioni di fare?”
Il cacciatore gli si avvicinò parlando a bassa voce, che era comunque come
parlare con un tono normale in presenza di Krakua. “Non voglio che ci siano
gli occhi di Helryx mentre parlo con loro...”
Il Toa si guardò attorno per vedere le reazioni dei Korero, dopodiché accettò
facendo di sì con la testa.
Una volta dentro, si recarono nella stanza più vicina sulla loro destra. I due
agenti presero posto appoggiandosi al muro.
“Parlate.” disse Hydraxon.
“Poi cosa farete, ci ammazzerete?!” si ribellò Zovrius.
“Se avessi seguito le procedure, anzi, gli ordini di Helryx, a quest’ora saresti
morto, Matoran. Vogliamo solo parlare con voi.”
Krakua si accorse che i colori del cacciatore marino erano rossi. In quel
momento stava parlando Dekar.
Il Le-Matoran fece le presentazioni, prendendosi il rischio di dargli fiducia.
“Sono Jakho, e loro due sono Lorin e Zovrius. Ci siamo uniti alla ribellione da
quando c’è stato il ritorno su Mata-Metru.”
“Perché andate avanti a combattere?” chiese Hydraxon. “Ormai la cupola
dorata si è disciolta. Sarà questione di tempo prima che l’esercito che ha vinto
la Battaglia dei Nove arrivi qui.”
“Non ci importa!” ribatté prontamente Lorin. “Possono anche essere gli Eroi
per quel che mi riguarda!”
“Bada alle tue parole, Matoran!” lo avvertì il Toa. “Potrei farti esplodere i
timpani acustici da un momento all’altro!”
“Basta, Krakua!”
“A cosa importa tanto, agente Hydraxon?” disse Zovrius. “Il Toa del Sonico ha
già rifiutato la sua natura da tempo...”
“Con questo cosa vorresti dire?”
“Non nasconderti, Krakua.” continuò Jakho. “Sappiamo come la pensavi prima
di tornare su Mata-Metru. Non sono pochi i Ruhnga del Continente
settentrionale che ci hanno già raggiunto. Lavoravano con te e Trinuma prima
di unirsi a noi. Ci hanno detto di come fossi convinto che Helryx vi avesse
abbandonato tutti. Sei ancora un De-Matoran, un nostro pari. Hai preferito
rifugiarti nella paura...”
“Tu non sai cosa può fare quella maschera!”
“Ma so quanto odio ha causato. Noi siamo tutti figli della ribellione. Credi che
tu, un Toa, sarà risparmiato qualora riusciste a incontrare i Grandi Creatori?”
“Io! Io...” rimase senza parole.
Gli occhi vermigli di Hydraxon gli fecero concludere il discorso. “Vi capisco,
Matoran. Noi agenti e Toa abbiamo fallito, è vero, ma forse la colpa non è stata
nemmeno di Helryx. E’ quella stupida Kanohi. La distruggerei fra le mie mani
se ne avessi l’occasione.”
Nel mentre, Krakua si chiuse nella sua bolla a rimuginare. Le parole di Jakho
avevano un fondo di verità e lui non riusciva ad accettarlo. Non poteva
mettersi al pari di un Matoran qualsiasi. Quasi la rifiutava la sua vecchia natura.
Lorin si avvicinò entusiasta. “Allora lo avete capito finalmente! Potrete
aiutarci!”
“No, Matoran. Non ora almeno. L’occhio di Helryx vige ovunque al momento.
Noi due potremmo anche schierarci dalla vostra parte, ma il primo Toa
troverebbe comunque il modo di ucciderci alla prima occasione. Per ora è
meglio aspettare.”
Krakua voleva opporsi, ma era ancora affranto.
“Di chi possiamo fidarci allora? Credi che noi lavoratori possiamo rivoltarci
contro la Ignika? Anche se fossimo in milioni, non avremmo né fucili e spade!”
protestò Lorin.
Nemmeno i potenziali oppositori del primo Toa, nonché coloro che gli stavano
più vicino di ogni cittadino, potevano fare qualcosa. La Maschera della Vita era,
è, e sarà sempre vigile...
Hydraxon ebbe una proposta. “Potre-”

BOOOOM!
La finestra vicino alla quale Krakua si accostò andò in frantumi. Una squadra di
ribelli entrò con dei mini velivoli che rubarono da Le-Metru. Il messaggio di
soccorso mandato dai tre ribelli prima di uscire fece il suo sporco lavoro.
Zovrius, Lorin e Jakho, svenuto a causa dell’esplosione, furono scortati fino
allo Chute più vicino, mentre evitavano i raggi energetici lanciati dalle
sentinelle. La distanza dai Korero, inoltre, non fu sufficiente per permettere a
quest’ultimi di indebolirli psichicamente.
Entrarono subito da Hydraxon e Krakua per soccorrerli. In ogni Metru era
possibile udire i versi di agonia del Toa Sonico, che arrivarono addirittura fino
alla spiaggia settentrionale di Karzahni. Il botto gli fece perdere il braccio
destro, che era precedentemente appoggiato al muro. Il liquido vitale gli usciva
a fiumi. I muscoli della spalla erano completamente lacerati. Fu
immediatamente scortato all’esterno dai Rahi del primo Toa, che quando
venne a saperlo reagì come al suo solito con indifferenza...
Il Marendar era in viaggio per conto proprio. Era tempo per lui di prendersi
una pausa per riflettere. Le spiegazioni ricevute da Darkness non furono
abbastanza per togliergli ogni dubbio.
Da poco aveva superato gli appezzamenti insulari dell’isola di Odina, un tempo
patria dei Cacciatori oscuri. Necessitava di trovare un punto in cui sedersi per
capire come muoversi, e allo stesso tempo per cercare di ricordare meglio il
suo passato, a partire da ciò che avrebbe dovuto fare una volta terminata
l’uccisione dei Toa.
Durante il suo viaggio nel deserto arido in cui si trovava, si focalizzò sugli
sprazzi che ebbe circa la sua creazione. Gli sembrò di aver visto i Grandi
Creatori, i primi prototipi di Toa testati sulla sua armatura, la forgiatura della
spada in Araidermis ad opera del fabbro Patu. Era quindi certo che la sua
creazione avvenne dopo l’inizio della Realtà del Creato. Gli sovvennero anche
gli ambienti che accompagnarono i suoi primi mesi su quella che pareva essere
Bara Magna.
Tuttavia, non si accorse che qualcosa o qualcuno si stava avvicinando
lentamente a lui. Era un predatore dalla corazza nera. Le sue movenze erano
animalesche. Quando poi trovò il momento perfetto per colpire, si scagliò sul
Marendar senza esitazione saltandogli sulla schiena. La macchina anti-Toa era
alta il doppio, a malapena gli arrivava all’altezza del bacino. La prima cosa che
fece fu affondare le sue spine colme di veleno sulla schiena, ma ovviamente non
ebbero effetto. Il Marendar era una creatura completamente inorganica.
Per la macchina bionica fu un canto di Gukko liberarsi dalla presa del
predatore. La reazione fu istantanea: afferrò l’essere per i polsi mentre questo
si dimenava a mezz’aria, e lo infilzò ripetutamente sul costato con la spada,
lanciandolo poi come un peso morto a terra.
Schifato, si ripulì del liquido vitale che cadde sulla sua armatura, ma accadde un
nuovo fatto. Arrivarono altri tre presunti predatori. In due si lanciarono sul
cadavere per cibarsi delle sue carni come forsennati. Il terzo invece restò a
guardare quasi con disgusto. Il Marendar rimase a sua volta indignato, e allo
stesso tempo incuriosito dalla reazione del terzo “cacciatore”.
Attivò il riconoscimento razziale. Il dispositivo diceva Barraki. Quello di fronte
a lui era Kalmah e gli altri due erano Pridak ed Ehlek. Inutile quindi dire che
quello che uccise era Mantax. Tutti e quattro portavano degli strani collari.
Al Marendar però non importava. Era solo sorpreso dall’apatia di Kalmah.
“Alla fine uno di noi è finalmente morto...” disse costui.
“Lo dici come se steste aspettando da tanto tempo.” suppose la voce robotica del
Marendar.
“In realtà è così. Siamo stati condannati a questo fardello. Lui ci ha
condannati...”
“Chi?”
“Non voglio più dire quel nome. E’ diventato ormai un lontano ricordo ed
anche una tortura giornaliera. Lo abbiamo servito senza opposizione, a
differenza di altri che erano sotto il suo comando. Non ha accettato i nostri
fallimenti qui, negli arcipelaghi settentrionali, e ci ha tolto tutto, volendo
applicare questa sua stupida legge equilibratrice.”
La macchina anti-Toa sapeva che Darkness aveva molti seguaci ed un esercito
invidiabile. Fosse stato per lui, avrebbe abbandonato i cannibali al loro triste
destino che li attendeva.
Decise tuttavia di proseguire il dialogo: “Quei collari... ve li ha donati... lui?”
Nel mentre si sentivano i denti di Pridak ed Ehlek affondare nei muscoli e nelle
interiora di Mantax, morto ad occhi aperti. Furono anche bravi a non prendere
dei punti specifici in cui era concentrato il veleno.
“Donati è sbagliato. Ce li ha fatti mettere con la forza. Siamo stati martoriati
come inutili Rahi, perché sapeva che avremmo lottato fino all’ultimo. Ci
impediscono di ucciderci l’un l’altro. In tal caso avremmo subito una scossa
elettrica potente, ma non sufficiente per ammazzarci. Si sarebbero spenti solo
in caso di morte naturale... o suicidio. E quella per noi è una strada che solo i
deboli possono percorrere. E’ da mesi che ci ritroviamo in questa condizione.
Abbiamo perso la concezione del tempo, vagando nel deserto come morti
viventi, privati della nostra forza e della nostra sanità mentale. Ehlek per dire
non riesce nemmeno a concludere una parola.”
“Darkness... è Darkness che vi ha ridotti così?” suppose la macchina.
Kalmah cambiò espressione, rannicchiandosi come una bestia indifesa ed
iniziando a piangere. “Basta! Non nominarlo! BASTA!”
La risposta era quindi un si. Le vere intenzioni di Darkness erano un’incognita
per il Marendar.
Prese il Barraki per le spalle sollevandolo con foga, chiedendogli quale fosse
l’obiettivo dell’ex Cacciatore oscuro. Non ebbe un briciolo di compassione.
“I Grandi Creatori... vuole ucciderli tutti quanti.”
“Cosa?! E come pensa di farlo?!”
“Non lo so... non me ne importa più nulla ormai. Lui e tutta la sua stupida
filosofia rivoluzionaria possono anche morire con Helryx. Prima o poi lo scudo
di Mata-Metru cadrà, e per me potranno anche ammazzarsi a vicenda.”
La macchina bionica lasciò la presa, cadendo nel dubbio esistenziale. Pridak ed
Ehlek nel frattempo finirono di banchettare. Avevano ancora la bava che gli
usciva dalla bocca, sporchi del liquido vitale di Mantax. Erano ancora affamati e
il Marendar gli sembrava la preda perfetta, anche se non mostrava parti
organiche.
Lo puntarono avvicinandosi a quattro zampe, come bestie fameliche.
Ringhiavano, mostravano i denti. Non c’era modo di farli tornare sani.
Ehlek partì per primo saltando all’altezza delle ginocchia. Il Marendar fece
perno sul piede destro ruotando verso sinistra, tagliando poi il Barraki a metà.
Pridak non ebbe il tempo di escogitare un nuovo attacco che subito fu
agganciato al terreno da dei magneti elettrici, sparati dal fucile automatico
dell’avversario. Questa per il Marendar era la tecnica migliore: anticipare
l’avversario prima che questo potesse addirittura iniziare a pensare.
Kalmah invece fu risparmiato, ma solo perché non voleva cibarsi di lui, e fu
abbandonato con la stessa indifferenza di Darkness, se non peggio.
La macchina anti-Toa si allontanò a passo lento dai tre individui, con i pianti di
Kalmah che facevano da sfondo sonoro. Per un essere sapiente come lui, però,
fu difficile credere a spada tratta alle parole di un malato mentale.
Sapeva già cosa fare...
Tre settimane dopo, l’alleanza di Mata-Kuro era già nel pieno dell’occupazione
del Continente settentrionale, incluse Karzahni e Zakaz. Darkness ricevette
dagli Eroi il materiale necessario per costruire il marchingegno che promise a
Vakama. Era pronto, ma non c’era tempo per testarlo.
Si divisero in tre gruppi: Vakama e Whenua raggiunsero i Colli vulcanici, dalla
parte opposta rispetto alla Penisola di Tren Krom. Con loro c’erano anche
sette squadre di Eroi e Sadar. Mazeka, Johmak, e i due membri del Recon Team,
Fox e Gobbs, si mossero con le loro unità nelle paludi di Zakaz. Nuju e suo
fratello Onewa si trovavano sulla spaventosa isola un tempo in mano al
portatore della Kanohi Olisi, accompagnati da Puck, Valor, Flash, Markus e
diversi Parenga.
In quelle zone c’era un forte odore di morte pressoché ovunque. Alle altre due
squadre andò bene insomma. Comunicavano fra di loro tramite delle radio
sincronizzate dal ripetitore di frequenze presente sulla portaerei. I due Alpha
leader, Matau e Odis erano a bordo.
Nokama infine guidava le imbarcazioni Hero nel punto in cui si creò il buco
causato dall’esplosione delle due macchine artificiali. I canali di Jerbraz,
secondo i sensori degli Eroi, si trovavano a 230 bios di profondità. Solo
Nokama e alcuni soldati Hero, con tanto di equipaggiamento adatto, potevano
arrivaci. In base alla spiegazione di Mazeka, in condizioni d’emergenza vi erano
delle lame a scudo che tagliavano a segmenti dei canali, bloccando il passaggio
tra di loro. C’era un apposito meccanismo da entrambi i lati che permetteva lo
sblocco di tali barriere, la cui attivazione pareva automatica come la risposta di
un organismo in condizioni di stress.
Mentre i tre gruppi attendevano un riscontro dalla Toa dell’Acqua, la cui visuale
era collegata allo schermo della sala di comando tramite una minuscola
videocamera agganciata alla Kanohi, avevano il compito di ripulire le aree
assegnate dalla presenza di nemici.
“Vedete qualcosa?” attivò la comunicazione Nuju.
“Niente.”
“No nulla.” risposero Vakama e Fox, a capo rispettivamente del gruppo Hoto e
Ghekula. L’ultimo era il gruppo Zivon.
Ognuno di loro aveva a disposizione una sua videocamera. In questo modo i
due Alpha leader avevano sotto controllo la situazione di ogni squadra.
Darkness intanto fu portato a bordo della portaerei in una cella speciale ai
piani inferiori, col “compagno” Odis. La nave da guerra si fermò in mezzo al
Mare d’argento, in un punto quasi equidistante dalle coste delle tre isole. Non
restava che attendere novità dalla squadra Hydruka in mano a Nokama.
Più volte Toa Whenua toccò il terreno per rilevare movimenti sospetti. Non
accadde nulla di nuovo, come nei mesi precedenti. Vakama propose di
distribuire le truppe su più linee distanziate adeguatamente. Tre di queste
aprivano la strada con le guide assegnate.
Nokama intanto era quasi arrivata nel punto segnalato dalle sonde Hero.
Oltrepassò i collegamenti dell’Ordine piuttosto facilmente, intravvedendo la
frattura dei canali di Jerbraz.
“L’ho trovata.” lo comunicò ai due Alpha leader.
Si sforzarono di vedere meglio, nonostante avessero già raggiunto la zona buia
dell’oceano.
“Markus, scansione della struttura.” disse Furno.
“Si, signore. Sfrutto i sistemi K16.”
“No.” corresse Zib. “Meglio se utilizzi i P223. Anche se sono meno sofisticati,
funzionano meglio nei fondali marini del Robot.”
“Okay...”
Il computer della sala di comando ricevette un’immagine che rappresentava
perfettamente il buco.
“Andiamo.”
Markus fermò la Toa di colpo. “Aspetta, Nokama. Alpha leader, cosa dicono i
radar?”
“Non rileviamo contatti particolari. Le uniche macchie che vediamo
corrispondo a semplici Rahi sottomarini. Permesso accordato.”
“Ricevuto. Eroi, dietro di me.”

Le terre laviche ricordavano molto il villaggio di Ta-Koro, un lontano ma tenero
ricordo nella mente di Vakama. Whenua lo notò e provo le stesse sensazioni,
ricordandosi dei primi tornei di Kohlii che si tennero in onore del Grande
Spirito. Poi l’oscurità di Teridax e dei suoi figli, i Rahkshi, bussò nuovamente
alle loro porte.
“Tutto bene?” chiese Sadar al Metru del Fuoco quando notò la sua espressione
malinconica.
“Si... grazie.”
“Sicuro, Toa? Già da come mi hai risposto si direbbe che stai reprimendo
qualcosa.”
Vakama tirò un calcio ad un sassolino per smorzare il tedio. “Sono solo vecchi
ricordi della mia vita passata. In realtà, potrei dire di averne avute molte.
Quando ero Matoran, quando diventai Toa, la terza da Turaga sull’isola di Mata
Nui e infine questa qui in cui mi trovo adesso.”
“Beh, hai un bagaglio d’esperienza davvero interessante, dovresti esserne
fiero.”
Il Toa rispose con un sorriso palesemente forzato. Sadar preferì non insistere.

“Ugh... non pensavo che queste paludi puzzassero così tanto!” esclamò
Johmak.
“Farai meglio ad abituarti allora. Ho sentito di peggio quando ero nella Palude
dei Segreti, credimi.”
“Diamoci una mossa allora!”
Era già un miracolo se le acque fetide che stavano solcando non li avevano già
mutati. Il livello del pozzo gli arrivava fino alle ginocchia. Le altre vie che
sboccavano sulla costa erano bloccate, costringendoli a prendere la strada più
veloce. Una volta confermata l’assenza di nemici, sarebbero partiti per
raggiungere i compagni su Karzahni, il cui compito era di edificare un piccolo
porto nel minor tempo possibile.
Alcuni degli Eroi erano già abituati a quegli ambienti degradati. Gobbs per
esempio diede la caccia ad un ricercato, noto come Phalgras, durante la fuga
dei prigionieri dalla Hero Factory in un ambiente simile.
“Cos’è stato?!” saltò in aria un Eroe. “Qualcosa mi ha toccato la gamba!”
“Sarà stato qualche Ruki.” ipotizzò Mazeka. “Non sono offensivi. Il loro
aspetto però è cambiato parecchio...”
“Un nuovo processo di evoluzione?” suppose Johmak.
“Ho paura invece che sia stata opera delle ondate energetiche del Codrex.” le
rispose.
Fox comunicò all’emittente. “Alpha leader, squadra Ghekula a rapporto.
Nessun ostile in vista. Solo Rahi e acque sporche.”
“Va bene, Fox, continuate pure. Dovreste trovare della terraferma tra due centinaia
di metri circa.”
“Si, Rocka.”
Due dei soldati stavano camminando vicini. Per un momento si allontanarono
dal gruppo per fare il giro lungo, siccome una grossa radice faceva da ostacolo.
Prima di ricongiungersi con la loro linea, uno di loro si voltò accorgendosi che
il fusto non c’era più.
“Lo hai notato anche tu?”
“Cosa?”
“La radice di prima. E’ come... scomparsa.”
Il soldato alzò le spalle. “Sarà effetto della nebbia. Faccio persino fatica a
vedere i nostri compagni. Muoviamoci ora se non vogliamo perderci.”

“Squadra Zivon, com’è la situazione?”
“Qui Nuju. Nulla di nuovo, Furno. Sembra di stare in un luogo infestato.”
“Insomma vi state divertendo.” scherzò per rompere la tensione.
“In realtà è tutto nella norma per chi conosce l’isola di Karzahni.”
Il dialogo fu interrotto da una segnalazione proveniente dalla quarta linea del
terzo gruppo. Zib lo esaminò a lungo prima di comunicarlo.
“Un momento, Toa. Mi è stato appena fatto presente di un terremoto più a
sud-est. Non l’avete sentito?”
“Uh... no? Dovete sapere che anche se fosse è piuttosto normale su quest’isola. Ha
perso di senso logico e fisico già dalla sua creazione.”
“Un sisma?” disse Rocka leggendo la segnalazione. “Mettetemi in contatto con
la quarta linea. Aspettate nuove direttive nel frattempo, Toa.”
“Va bene.”
“Quarta linea, mi ricevete? ... Pronto? ... Squadra Omicron? Ma perché non
rispondono?!”
“Vuoi che vada a controllare, Rocka?” si propose Matau. “Perchè se proprio
voleste saperlo mi sto annoiando! Perchè devo sempre rimanere con voi ad
aspettare?!”
“No, dobbiamo finire di montare la mitragliatrice automatica da mettere sulla
tua schiena. Ti sarà molto utile quando sarai in volo.”
“Surge, credo di aver trovato un tizio più noioso di te.” affermò Zib
ridacchiando.
“Grazie... aspetta, come?”
Breeze fece una risata. Matau saltò su uno dei macchinari posti in altezza, e si
mise seduto facendo una smorfia.
“Diamoci un taglio, ragazzi. Piuttosto ditemi se i segnali della Squadra Omicron
sono ancora attivi.”
“Confermo, Furno.” affermò Breeze mentre l’Alpha leader le si avvicinò. “Li
vedi?”
“Si... Per caso ci sono problemi al ripetitore, Zib?”
“Negativo, tutto funzionante.”
Rocka fece continuamente di no con la testa. “Dobbiamo capire perché è
così.”
“Non facciamo mosse avventate.” suggerì Furno. “Se la situazione persevera,
manderemo la terza linea a controllare.”

La Toa dell’Acqua raggiunse profondità maggiori, ordinando ai suoi
accompagnatori di aspettarla. Una volta all’interno del canale esploso, accese
una Avohkii che però non illuminava a sufficienza.
“Nessun problema, Toa.” disse Zib. “Nella videocamera presente sulla tua Kanohi
c’è un piccolo tastino sul retro.”
Nokama lo premette. Ora gli interni si vedevano decisamente meglio.
“Ti ringrazio.”
Zib ammirò a sua volta i particolari impressi sui muri del tunnel. “Credi che se
Makuro... o meglio... se Velika fosse stato qui avrebbe saputo aiutarci?”
“Ne dubito.” rispose Nokama. “Ma non si sa mai quali interessi spingono un
individuo a comportarsi come tale. Concentriamoci su ciò che abbiamo a
disposizione.”
L’unico oggetto da trovare era il fatidico meccanismo di cui parlava Mazeka, ed
era pressoché impossibile poiché ogni forma o sporgenza presente aveva
l’aspetto di un tipico pulsante di attivazione.
“Zib, mettimi in contatto con la squadra Ghekula. Devo parlare con Mazeka.”
“Subito.”
Zib corse subito nell’altra stanza dove c’erano i modem collegati al ripetitore
di frequenze. Gli scienziati Hero sequenziarono la trasmissione delle onde
radio per unire i due collegamenti.
“Generale Fox, devo necessariamente parlare con Mazeka.”
L’Eroe accese il vivavoce richiamando l’ex spia dell’Ordine.
“Nokama, eccomi.”
“Com’era l’aspetto del marchingegno di cui mi hai parlato?”
“Dunque... per caso ricordi la forma della moneta che l’Agori Berix donò a Mata
Nui? Quella che gli servì per raggiungere la Valle del Labirinto.”
“Si, ce l’ho presen-”
“CRAASSSHH!” sentì all’improvviso alla radio.
“Mazeka? ... Mazeka?! ... Che cosa è successo, Alpha leader?!! urlò sott’acqua.
“Stiamo facendo il possibile per capirlo, Toa! Resta in collegamento e pensa alla tua
ricerca.” replicò Rocka.
In realtà la situazione era più tragica di quanto si pensasse: una pianta dalle
dimensioni riconducibili alla spaventosa Morbuzakh intrappolò la maggior parte
della squadra Ghekula. Era una sorta di pianta carnivora gigante. Ognuna delle
vittime tentò di liberarsi con ogni mezzo possibile, che fossero fucili o coltelli.
Vakama sentì la reazione allarmata di Rocka nei confronti della sorella e chiese
subito spiegazioni.
“Non lo sappiamo.” spiegò l’Eroe dorato. “Abbiamo perso troppi segnali in così
poco tempo!”
“Allora fate qualcosa per capir-”
“TUTTI AL RIPARO!” gridò Whenua.
I suoi poteri gli fecero capire che qualcosa di grande si stava avvicinando a
grande velocità verso la prima linea e così fu: una creatura di lava sbucò per
metà dal fiume magmatico. Era alto una quindicina di bios circa e partì subito
all’attacco delle squadre Hero.
Il Toa del Fuoco si trovò costretto a combattere contro un essere del suo
stesso elemento. Lo stesso accadde a Onewa con il resto della squadra Zivon,
quando un’enorme sfera rocciosa, in grado di scomporsi per dare vita a dei
bipedi guerrieri, iniziò a colpirli. In più si aggiunsero innumerevoli terremoti.
Non c’era quindi dubbio che Karzahni fu l’isola maggiormente colpita.
I due Alpha leader dovettero osservare il tutto tramite le videocamere dei loro
inviati. Non avevano mai avuto a che fare con delle creature simili.
Matau scansò violentemente Surge dalla postazione per parlare con Nokama.
“Sorella, ci sei?!”
“Matau?”
“Stai bene, ti è successo qualcosa?!
“Sto bene, sto bene. Ho perso la comunicazione con Mazeka.”
“Gli hanno teso un’imboscata. E’ successo anche agli altri due gruppi.”
La Toa indietreggiò per lo spavento.
“Stanno lottando contro delle cose che non ho mai visto prima, non so come
spiegartelo! Sembrano provenire da un altro mondo!”
“Descrivim-” ma si zittì.
Vide una massa oscura cadere lentamente verso il pavimento del tunnel. Veniva
dall’alto. Puntò la torcia della Kanohi verso l’oggetto e questo si rivelò essere il
corpo tagliato a metà di un Eroe del suo team.
L’attacco a sorpresa si propagò persino da lei...
Mise la testa fuori dal canale di Jerbraz e intravide i guerrieri Hero scontrarsi
con un quinto essere elementale. Gli alleati sulla portaerei fecero manovra
dirigendosi dalla Toa dell’Acqua.
“Squadra Tau, sul ponte di coperta!”
“Si, Alpha leader!” risposero contemporaneamente.
L’alleanza infatti voleva avere una risposta pronta in caso di imprevisti, motivo
per cui riservò un team in più che potesse fornire supporto alla Toa
dell’Acqua.
I sette componenti si tuffarono una volta raggiunto il punto dell’esplosione.
“Cosa vedete?” domandò Rocka.
“Metà della squadra Zivon è deceduta, signore.” ribatté il team leader. “Ecco,
vedo il bersaglio... ma è un Glatorian!”
Matau lo sentì e prese subito il microfono di Rocka. “Hai detto Glatorian?!”
L’Eroe sott’acqua rispose solo dopo degli sforzi che fece per sfuggire
all’offensiva ostile. “Si... non so come sia possibile.”
“Sono gli Elementali!” confermò Onewa quando il segnale fu ristabilito dagli
scienziati.
“Li avete visti?” giunse la domanda dal segnale di Vakama.
“No, fratello. Si nascondono qui attorno approfittando dell’ambiente circostante per
fare i loro giochetti. Cosa facciamo? Non possiamo sconfiggerli se continuano a
rigenerare i loro attacchi di continuo. Dobbiamo prima trovarli!”
Il leader dei Metru stava per dire la sua, ma fu investito in pieno da un braccio
lavico largo quanto uno Chute. Whenua fu bravo a creare uno scudo
temporale attorno al compagno. Ciò però non impedì l’impatto violento
contro una roccia.

Darkness e Odis erano nella stessa stanza. Gli alleati non si fidavano ancora di
loro due. Per il Ko-Matoran portatore della Kanohi Kahuri, era una grave
offesa al suo scopo. L’ex Cacciatore oscuro lo stava fissando in modo
inquietante.
“Che hai da guardare, eh?”
Darkness diede spazio al suo tipico silenzio misterioso. Il Matoran si sentì
provocato e si alzò materializzando l’armatura in cristallo Nui. Era alto poco
più della figura corvina, che fu sbattuta al muro con foga.
“Hai voglia di divertirti, vero?! Lascia che ti aiuti!”
Dalla bocca di Darkness uscì una parola spezzettata: “G-Ganaik-k...”
“Come?” diminuì la stretta al collo.
Ansimò con difficoltà. “Hah... hah... Ganaik lo conosci, giusto?”
“Cosa ne sai di lui?!”
“Quanto basta...” si pulì la bocca. “Se non ero c’erano delle faide tra voi due
quando abitavate lo Scar Wall.”
La presa del Toa Nui divenne più forte. “NON TI RIGUARDA, BASTARDO!
DIMMI DOV'È LUI!”
“Qualche mese fa ricordai di vedere la Kanohi e il suo cranio triturati nella
bocca di un Muaka...” sorrise.
“IO TI AMMAZZO, MALEDETTO!”
“Perchè? Non desideravi così tanto la morte di Zovrius e Ganaik ai tempi?
Ricordo ancora quelle volte che ti chiudevi nella tua stanza a piangere, per poi
tornare da loro facendo finta che non fosse successo nulla. Come facevi a
perdonarli? Oh, non dirmi che l’avrai fatto di nuovo, Odis. Non farebbe tanto
onore la sottomissione di un guerriero, lo sai vero?”
Il Ko-Matoran perse gradualmente le sembianze da Toa Nui, piangendo come
un piccolo Agori. “Smettila! SIGH! Basta...”
“Come pensavo, hai scelto la strada del perdono. Siete tutti uguali. Speravo
fossi all’altezza.”
“All’altezza?”
CRASH!
Il soffitto sopra le loro teste crollò in un batter d’occhio. Un individuo cadde in
mezzo alla stanza fra i due: il Marendar. Il Toa Nui, ora Ko-Matoran, non fu più
in grado di tornare nelle sue sembianze da guerriero, siccome perse la
concentrazione che ancora doveva ammaestrare per bene.
La macchina anti-Toa si girò minaccioso verso Darkness, che gli disse: “Non è
ancora il momento.”
“Io invece credo proprio di si...” e lo afferrò portandolo via con sé.
Darkness non tentò nemmeno di opporsi alla presa della macchina, dato che
eguagliava quella di trenta Ash Bear. Qualcosa però cadde mentre spiccarono il
volo: il dispositivo per aggiustare le Kanohi. Forse quello per Odis sarebbe
stato un giorno utilissimo per ottenere l’Essenza dei Toa formati dalle Kanohi
riparate.
I due fuggitivi quindi spaccarono il pavimento del ponte di coperta. Il Marendar
non ebbe bisogno di aiuto contro gli Eroi che morirono invano contro la sua
spada in Araidermis. Tuttavia, si scoprì che i raggi elementali da loro rilasciati
ebbero un effetto interessante sulla sua armatura, e a tratti doloroso. I due
Alpha leader osservarono il piccolo massacro dalla cabina di comando.
Dopodiché, dopo aver ucciso l’ultimo ostile, il Marendar incrociò lo sguardo
con Matau, riconoscendo immediatamente l’identità Toa.
La sua reazione nei confronti di Darkness fu molto rabbiosa. “Bugiardo! Avevi
detto che gli unici Toa rimasti erano su Mata-Metru!”
“E ora posso dirti come ucciderli...”
“Lascia perdere, ci penserò io. Partirò con quello lassù!”
Matau accettò la sfida nel momento in cui vide il Marendar puntare la spada in
direzione della sala di comando. Velocemente si caricò in spalla la mitragliatrice
progettata dagli Eroi, per poi spaccare il vetro aprendo anche le ali. “FATTI
SOTTO!”
La macchina bionica gettò Darkness come un sacco pieno. Si infilò nella sua
quiete combattiva, tenendosi pronto. Matau si lanciò a tutta velocità sparando i
primi colpi, che colsero di sorpresa l’avversario.
La distanza fra i due diminuiva irregolarmente, data dall’incredibile
accelerazione che il Toa poteva ora sfruttare a suo favore. Ma ecco che prima
dello scontro di spade, si alzò in aria una grande onda alta il doppio della
portaerei, e separò i due combattenti schiantandosi a metà fra loro. Il
Marendar e Darkness furono prelevati forzatamente dal braccio acquatico del
Signore elementale dell’Acqua. Matau al contrario andò a vuoto cadendo lungo
diversi metri sul ponte di coperta.
“Stai bene?” chiese Surge dalla stazione.
“COUGH! COUGH! Almeno la costola che mi ha rotto Nektann si è
aggiustata. Non sento più dolore!”
“Aspetta a festeggiare. Nokama ha bisogno di te!”
Il Toa si affacciò. Vide i due fuggiaschi venire trasportati da una marea magica
verso nord-est.
Ai piedi della portaerei intanto scovò l’Elementale mentre controllava l’onda
da quella posizione. Nokama tentò inutilmente di colpirlo, proprio come
Vakama contro il Signore del Fuoco. Combattere l’elemento con la stessa
moneta non era di alcun aiuto.
“Non andare!” gridò Zib prima che il Toa dell’Aria potesse tuffarsi in volo. “Ho
appena attivato una riserva di fluido criogenico nella tua mitragliatrice. Ti aiuterà a
bloccare l’Elementale!”
“Grazie, piccoletto. Mi buttooo!”
Vederlo volare era semplicemente magnifico. Aveva un sorriso liberatorio
stampato sulla maschera ogni volta che lo faceva.
“Sorella!” gridò dall’alto a una distanza sufficiente per farsi sentire. “Distrailo
per me! Ci penserò io a metterlo fuori gioco!”
“Va bene!”

“Guerriero roccia alle tue spalle!”
Onewa lo spaccò col piccone, ringraziando poi il Toa del Ghiaccio.
Gli Eroi del team Zivon dovettero rinunciare ai blaster per fronteggiare il
nemico a viso aperto, armandosi di martelli e scudi al plasma. Le unità
concentrate nei Colli vulcanici del Continente settentrionale non poterono
fare lo stesso. Caricarono le armi con delle speciali bombe ad acqua, la cui
temperatura raggiungeva -273,15 gradi al contatto col corpo del bersaglio. In
poche parole diventava un cristallo perfetto.
Vakama e Whenua si focalizzarono sull’estrazione dei feriti, ma, come accadde
con le altre due squadre, fu molto difficile. Delle barriere elementali infatti
bloccavano la ritirata in ogni direzione, per impedirgli di dare manforte alla
portaerei.
Ad un certo punto, però, il muro di pietra su Karzahni crollò dal nulla.
Nessuno ne fu l’artefice. Non c’erano Ruhnga o scagnozzi di Nektann
all’orizzonte. Semplicemente il salvataggio di Darkness avvenne con successo.
Di conseguenza si sentì un forte boato, composto da quattro botti. Il primo
era il segnale per l’Elementale del Fuoco, mentre i successivi erano per la
Giungla, la Roccia e la Terra.
L’ultimo fu per il Signore dell’Acqua, anche se ci fu un grosso problema.
Coinvolse persino Matau e Nokama, che stavano tenendo testa al loro nemico.
La creatura marina che attaccò Takanuva e i Cronisti si presentò nuovamente.
Nessuno dei combattenti sapeva che anch’essa era attratta dal potere della
Ignika, ragione per cui si mosse in direzione della grande metropoli.
Il Toa dell’Aria si accorse per primo, quando un tentacolo enorme lo bloccò
come una mosca Rere. Nokama non poté soccorrerlo. Ci pensò Furno a
tagliare il tentacolo del mostro con il fuoco concentrato del suo fucile. Surge,
Breeze e altri soldati spararono contemporaneamente sulla creatura per
impedirle di avvicinarsi alla portaerei.
Lo scontro in mare aperto avvenne principalmente tra l’Elementale e l’invasore
deforme. Di volta in volta diventava sempre più grande.
“Allontanatevi con la nave, Alpha leader!” ordinò Stryker mentre guidava i jet
d’assalto. “Qui ci pensiamo noi.”
Zib ricevette il permesso dai due capi della Hero Factory, comandando i suoi
collaboratori di mettersi al lavoro. Ci vollero tre minuti per far cambiare
direzione all’intera portaerei, la cui dimensione era un decimo di una regione
Metru.
Matau e Nokama vennero supportati dalle decine di imbarcazioni alleate
provenienti dalle tre isole circostanti. In pochi sopravvissero quel giorno...
Ad allontanare la creatura marina, però, non furono né loro e nemmeno
l’Elementale dell’Acqua, che riuscì a dileguarsela sfruttando l’abisso come
copertura. Era come se qualcosa l’avesse improvvisamente colpita dall’interno,
facendole provare un dolore lancinante, costringendola a dileguarsela.
La giornata si concluse con un bilancio sicuramente negativo. Da una parte
c’era la conferma dell’inesistenza di basi segrete in mano all’Ordine o
all’Equilibrio; dall’altra c’erano perdite, mezzi distrutti e infine questo patto
inaspettato tra Darkness e i Lord elementali, con il Marendar di mezzo. Ora
mancava un’ultima tappa...
Alcune settimane prima della cattura di Darkness...

L’Equilibrio non esisteva più. Nektann e il resto del gruppo non riuscirono ad
accettare la brutta figura fatta su Voya Nui. Una notte, in un isolotto vicino
Odina, lo Skakdi tenne un solenne discorso motivazionale che convinse
praticamente tutti i presenti a seguirlo fino alla morte del primo Toa. Come
risultato di ciò, il Maestro perse il suo onore, i suoi diritti, i suoi poteri
decisionali. Fu abbandonato come un Rahi vecchio e malato dal resto del
branco. Gli unici che non seguirono l’ex luogotenente di Zakaz furono Tuyet,
gli Hagahkuta, Okoth e, ovviamente, il piccolo Ahkmou. Stranamente,
Darkness non reagì con rancore. Non si chiamava Nektann. Promise
comunque che un giorno lui e lo Skakdi si sarebbero incrociati nuovamente, e
che al momento i tre rimasti con lui potevano fare ben poco. L’unica carta da
giocare era il Marendar, fresco dell’uccisione di ogni Toa nei cinque arcipelaghi.
Qualche giorno più tardi, secondo quanto stabilito dal loro primo incontro, ci
fu un meeting segreto poco più a sud di Xia. La macchina anti-Toa volle delle
risposte in cambio del suo operato e Darkness lo accontentò parlandogli della
genesi dell’Equilibrio, senza rivelare le sue vere intenzioni. Sapeva infatti che la
missione del Marendar non era ancora terminata, e che il suo ultimo scopo
aveva qualcosa a che fare con i Grandi Creatori. Non a caso, durante la
conversazione, diede delle spiegazioni poco esaustive su chi fosse veramente.
Quando poi venne messo in mezzo l’Equilibrio, disse che lo tradirono
lasciandolo solo per delle ragioni a lui sconosciute.
“Ti credevo migliore. Che delusione...” disse la macchina.
Darkness lo ignorò palesemente, talmente era abituato nel suo primo passato
a ricevere insulti e offese. “Dimmi, dopo che avrai ucciso Helryx cosa farai?
Ora la cupola è disattivata. Sei libero di completare definitivamente la tua
opera, o forse c’è dell’altro?”
“Io... io speravo che potessi aiutarmi. Ricordo che c’erano delle iscrizioni nella
caverna in cui fui rinchiuso. Se non erro erano degli ulteriori compiti da portare a
termine. Sono costretto a chiederti se ne sai qualcosa.”
La figura corvina sorrise destando sospetto.
Applaudì. “Certo! Certo che lo so! Il Destino ha voluto che anche tu fossi
presente su Mata-Metru un giorno.”
“Davvero?”
“Si, poiché anche tu dovrai far ritorno nella Realtà del Creato.”
“Realtà del Creato? Si... mi sembra di averla già sentita. Ma cosa c’entro io con
quel luogo?”
“Oh, potrei stare ore a dirti il perché, ma sai anch’io devo andarci. Se sono qui
è per aiutarti, ovviamente.” mentì. “Come puoi ben notare non c’è nessuno
qui con me. Sono rimasto solo... Tempo fa mi dissi di aver rilevato altri poteri
oltre alle Essenze dei Toa. Sei riuscito a trovarli?”
“Si, ma non credo di aver mai visto delle creature così orrende. Sembravano Toa.
L’altezza corrispondeva alla media. ”
“Cosa avevano in comune con i Toa?”
“Le loro armature erano di colori differenti l’uno dall’altro, e sembravano più
organiche che meccaniche. Non possono essere dell’Universo Matoran.”
“Glatorian in grado di controllare gli elementi, corretto?”
“Si... si, è proprio così!”
“So cosa fare allora, ma mi dovrai accompagnare. Aiutami e ti dirò cosa fare
una volta raggiunta Mata-Metru.”
“Faresti meglio a non mentirmi, Cacciatore oscuro...”

La vecchia base dei Cacciatori oscuri fu smantellata molto prima del Risveglio.
Odina fu una delle isole che vennero degradate a favore della costruzione di
una nuova Voya Nui. Tuttavia, i servi dell’Equilibrio ai quali spettava la
conquista di quegli appezzamenti insulari, ovvero i Barraki, non riuscirono mai
a completare la missione. Già il loro esercito si decimò notevolmente al
termine della seconda guerra nucleare, in più molti si allontanarono dai quattro
lord senza una giustificazione valida. I responsabili risiedevano in ciò che rimase
della base un tempo in mano all’Oscuro.
Era quella la loro prossima destinazione.
L’unica arena che era chiusa come un anello si trovava nella zona centrale del
piccolo arcipelago.
“La fonte dei cinque poteri è lì dentro.” riferì il Marendar.
Darkness salì su una roccia, scrutando il territorio sabbioso. Non sapeva quali
dei sette Elementali potevano incontrare. Sapeva di avere poco da temere col
Marendar al proprio fianco.
“Ci muoveremo prendendo quelle dune. Questo è il ventesimo cono della
fortezza. Ci ho lavorato per parecchio tempo, quando l’Oscuro mi trovò per la
prima volta.”
“Quindi ti sei unito ai Cacciatori oscuri in seguito.” affermò la macchina anti-Toa.
“Sì. Ero un fuggitivo che cercava un posto in cui vivere. Questo fu il primo
luogo in cui capitai. L’Oscuro mi catturò prima che potessi rubare qualche
alimento dai suoi magazzini.”
“E da cosa stavi scappando esattamente?” si incuriosì.
Le informazioni dell’ex Cacciatore oscuro finirono lì. Aveva già detto
abbastanza. A distrarre la creatura bionica fu una scia di piccole pietre che si
mosse come un serpente in direzione della fortezza.
“Sanno che siamo qui.” disse Darkness quando la vide. “Hanno rilevato la
nostra presenza. Forse ci stanno invitando ad entrare.”
“Li accontento subito...”
“No, procediamo con calma. Li ho già visti all’opera. Non sono dei Toa
qualsiasi.”

Mancava poco all’entrata del ventesimo cono, l’unità con la quale si divideva la
fortezza dell’Oscuro. Darkness non provò nemmeno un briciolo di nostalgia.
Non poteva dimenticare gli orrori che fu costretto a subire quando venne
reclutato. C’era un Cacciatore, Greeder, che lo prese di mira più volte,
arrivando al punto da fargli perdere la pazienza e ucciderlo. Ciononostante, era
l’unico in quell’esercito di avidi ad avergli insegnato qualcosa di positivo
indirettamente. Grazie a lui, Darkness capì che uno se non il modo principale
per crescere e maturare era proprio il dolore.
“Un’altra visita?” sentì dall’alto.
Alzando lo sguardo notò una statua dalle fattezze ignote, poggiata su una trave
in Protodermis. Non ricordava di averla mai vista durante i centinaia di anni
passati ad assecondare i vizi dell’Oscuro.
Era scolpita nella roccia. L’unica cosa possibile da distinguere era un viso
esteticamente spaventoso ed orribile a vedersi. Due occhi rossi erano
incastonati poco sopra la bocca, digrignata, che però non si muoveva quando
parlava.
“Che cosa vuoi?”
Darkness rispose con un’altra domanda. “Sei solo tu? Mi aspettavo
un’accoglienza più numerosa.”
“Non prenderti gioco di me, straniero!”
“Non sono venuto per combattere, Elementale. Sono qui per parlare con tutti
voi. So del patto di Foedus...”
Dall’ammasso di roccia fuoriuscirono due braccia e due gambe, per poi saltare
a qualche passo da Darkness. Intervenne una colonna d’acqua che li separò.
“Fallo entrare, Signore della Roccia. Sentiamo cos’ha da dirci.”
L’arena era malridotta. Alcuni pezzi sembrava potessero cadere da un secondo
all’altro. Tuttavia, c’era spazio per armi, cibo e non poche provviste. Cinque
creature elementali attendevano l’ex Cacciatore oscuro impazienti.
Avrebbero potuto ucciderlo volendo, come con gli altri visitatori (o invasori)
che approdarono sull’isolotto. Quando però sentirono nominare il patto di
Foedus, sancito in piena segretezza con i Grandi Creatori molto prima della
Seconda Guerra del Nucleo, cambiarono idea.
Darkness si avvicinò con passo lento verso il centro dell’arena, un luogo
perfetto per dei guerrieri di origine glatoriana.
Li ammirò uno ad uno. “Non siete cambiati da quando tornaste dalla Realtà del
Creato.”
Il lord del Fuoco si indispettì. “Come fai a saperlo?! Ci hai seguiti fino
all’incontro con Hauran?!”
“In realtà non sapevo nemmeno cosa fosse la Realtà del Creato, o perché
esistesse.” mentì spudoratamente per non parlargli di Makuta Rewerax. “Ci
finii contro la mia volontà, e fui prigioniero del Grande Creatore maledetto per
parecchio tempo.”
“Cosa voleva da te?” chiese l’Elementale della Giungla.
“Sono sicuro che vi servirebbe a poco saperlo. Ditemi, siete qui per
completare il patto di Foedus?”
“Cosa sai a riguardo?” chiese la Signora della Terra.
Darkness riassunse correttamente i dettagli dell’alleanza segreta, concludendo
con una sua considerazione a riguardo. “E’ assurdo che crediate alle false
promosse che vi sono state fatte.”
“Abbiamo le nostre ragioni di conquista! Se non vuoi aiutarci posso benissimo
porre fine alla tua inutilità!” si infuriò la Roccia.
“Vi ritrovereste a combattere contro un nemico altamente impossibile da
sconfiggere, sia per potere che per numero.”
“Non ci interessa uccidere Helryx!” ribatté il Fuoco. “Attendiamo solo l’arrivo
nella Realtà del Creato.”
“E gli Agori che avevate promesso ai Grandi Creatori? Dove si sono nascosti?
Tutto quel casino nato dall’omicidio per mano vostra del fratello di Centurix
andrà in fumo così?”
Gli Elementali erano senza parole. Finalmente venne svelato anche il colpevole
di quel lontano caso.
Il fuoco dell’ex padrone di Vulcanus si accese con furore. “SONO SOLO
BUGIE!”
Il Marendar, nascosto fra gli spalti dell’arena, si convinse che l’Elementale
avrebbe attaccato Darkness a momenti. Così uscì allo scoperto dopo aver
caricato il suo fucile con dei proiettili acquatici. L’ex leader dell’Equilibrio non
la prese bene, ma non poté comunque intervenire per fermare lo scontro
siccome avrebbe rischiato seriamente grosso.
Gli altri lord si sentirono a loro volta minacciati ed aiutarono l’alleato,
credendo che si trattasse di un’imboscata.
Capirono immediatamente che le abilità del Marendar erano di gran lunga
superiori a quelle degli invasori precedentemente incontrati.
Descrivere il suo combattimento inoltre era piuttosto difficile, dato che
volteggiava da una parte all’altra dell’arena mentre gli avversari tentavano di
colpirlo inutilmente. Poteva anche ricevere degli attacchi lanciati a distanza di
pochi secondi, ma aveva sempre la risposta pronta, che fosse con l’uso della
spada o del suo fucile personalizzato.
Darkness non poté fare altro che sedersi ed ammirare la bellezza dello
scontro.
Radici che fuoriuscivano da ogni parte... stalattiti di magma... maree
devastanti... colonne di terra... sismi destabilizzanti. Nulla di questo servì
contro la macchina anti-Toa.
L’Elementale della Giungla fu il primo ad arrendersi, seguito nei minuti a venire
dagli altri tre. Il Fuoco fu l’ultimo a gettare le armi. Come per reazione, la
spada in Araidermis diventò un tutt’uno con l’acqua che fu riversata nell’arena.
Divenne una sorta di filo sottile, che avrebbe tagliato anche un blocco di
Protoacciaio al primo colpo.
Il Marendar si tenne posandosi con la punta della lama rivolta verso la fiamma
di Vulcanus.
“Smettila di combattere, Signore del Fuoco!” intervenne la Giungla.
“Ammettiamo le nostre colpe!”
“Il fuoco non smetterà mai di ardere! AAAAHHHH!”
I polsi gli vennero bloccati. La lava che componeva il corpo del lord non sciolse
l’armatura del Marendar, che restò come tale.
“Impossibile... NGH! Non provi neanche dolore?!”
La spada a filo d’acqua fu precedentemente infilzata nel terreno dalla macchina
bionica. Un piccolo braccio meccanico uscì dal suo fianco sinistro per
afferrarla, ma fu spezzato prima che potesse trafiggere il ventre
dell’Elementale. Tutta opera di Darkness, che diede una forte spinta al
Marendar facendolo indietreggiare.
“Direi che può bastare.” disse. “Ho cercato di convincervi a parole. Come
vedete non è servito...”
“Un momento. Prima voglio sapere come hai fatto a sapere del patto di Foedus
e dell’omicidio del Glatorian.” chiese il lord di Tesara.
Fu esaustivo, per una volta: “Una potente lancia mi ha permesso di sfruttare i
poteri delle tenebre per permettermi di uscire da ogni ombra che esistesse.
Un po’ inquietante, direste, ma mi ha fatto cambiare punto di vista su molte
cose.”
Fornì ulteriori dettagli, ribadendo più volte che gli conveniva unirsi a lui,
proprio come fece con Nektann. Oltre all’astuzia, era la parola un’arma che
sapeva sfruttare quasi alla perfezione.
Stanchi di dover aspettare per altre scomode verità, i lord accettarono di
seguire le orme di Darkness. Si trattava però di un’alleanza temporanea, che
sarebbe terminata una volta raggiunta Mata-Metru. Lì i signori avrebbero
portato a termine il loro compito rapendo più Matoran che potevano contro il
volere di Darkness, dal quale avrebbero ottenuto le posizioni delle capsule
d’emergenza nascoste su Mata-Metru.
Ora il patto di Foedus era definitivamente rotto. Agli Elementali non importava
più nulla dei Grandi Creatori e di questo loro futile tentativo di riconciliarsi
con gli Agori. Pensavano solo ad un futuro mondo in cui potevano dettare leggi
secondo il loro volere.
Prima però avrebbero dovuto aiutare il Maestro in una missione rischiosa, nella
quale centravano i sei Metru...
Il numero di guerrieri dell’Alleanza era troppo basso per sperare di raggiungere
il porto di Le-Metru. Certo potevano contare sugli Avokh di Artakha, ma gli
interessi del Grande Essere erano altri. Probabilmente li avrebbe aiutati per
bontà d’animo, o forse li avrebbe ignorati siccome il controllo del Robot da
Mata-Metru era prossimo.
Quello che arrivò dopo lo scontro con gli Elementali era l’ennesimo Falcone
dorato mandato da Artakha per capire quando lasciare la sua isola. I sei Toa
capirono sempre di più che era letteralmente accecato dal suo dovere.
E mentre questi pensarono ad un nuovo piano, i due Alpha leader ordinarono
l’evacuazione della portaerei, danneggiata nel lato destro dai tentacoli della
creatura marina, che scomparve in circostante misteriose.
Le unità rimaste erano poco meno di un migliaio. Si distribuirono nelle ultime
tre basi a quattro zampe mecha create dagli Eroi, che vennero immagazzinate
nell’unica base sulla terraferma a Voya Nui.
Ci volle un’intera notte per evacuare tutto il personale, inclusi i prigionieri.
Odis fu scortato da Sadar e Markus in una cella speciale. Quando entrò vide
due individui loschi seduti sui lettini.
Sadar ebbe un dubbio. Riprese il catalogo dei posti assegnati e chiese a Markus:
“Sicuro che debba stare con loro due?”
“Affermativo. Non abbiamo più posti, signore.”
Il Ko-Matoran si prese un colpo quando riconobbe Roodaka e Lariska.
Protestò: “Mi rifiuto di stare con loro due!”
Sadar lo fece calmare. “Ti prometto che parlerò con gli Alpha leader, Matoran.
Per il momento però ho bisogno che tu resti qui. Si tratta solo di una
situazione provvisoria.”
La porta della cella venne sigillata con forza dai due Eroi. Non potevano ancora
rischiare di lasciare il Toa Nui libero, anche se più volte i Metru insisterono
assumendosi la responsabilità. La ferita di Stormer, ancora aperta, e l’arrivo
improvviso del Marendar li scosse ulteriormente.
Nel frattempo la corsa alle armi su Mata-Metru giunse al termine. Le proteste
iniziarono a diminuire a causa della violenza con la quale l’Ordine rispose. Le
sentinelle Horomia controllate dalle sale di comando del Colosseo
colonizzarono le coste. I novecentoventitre Korero erano più determinati che
mai, disposti a difendere il primo Toa con le loro vite. La loro mentalità era
molto più rigida e severa dell’educazione Ruhnga. Erano Rahi, non semplici
combattenti. Uno bastava per uccidere un Toa qualsiasi, anche senza l’uso dei
loro poteri telepatici.
Il giorno dopo, Hydraxon e Krakua convocarono un consiglio urgente col capo
dell’Ordine, al quale partecipò anche Dume.
La Toa dell’Acqua non era ancora arrivata. Non ci fu dialogo con il Turaga della
grande metropoli, solo il silenzio dell’attesa.
“Quanto ci mette?!” esclamò Krakua dopo una ventina di minuti.
“Toa Helryx ha avuto molto da fare ultimamente. La grande Ignika ci ha detto
che tra qualche giorno saremo arrivati.” disse Dume.
“Io non ho tempo di aspettare!” si oppose il guerriero sonico.
Hydraxon lo guardò male. Non dovevano sbilanciarsi proprio adesso. Dume
era in procinto di rispondergli per bene, ed ecco che il portone della Sala del
Potere si aprì con un forte cigolio.
Due Korero accompagnarono il primo Toa che entrò tranquillamente dicendo:
“Cos’è questo baccano?”
“Ti disturba il caos in questa stanza, Helryx?!” si inasprì Krakua. “E di quello
che accade là fuori non ti importa più nulla? Non lo capisci che tra poco
avremo il resto del Robot contro di noi?!”
La Toa lo ignorò parlando con l’altro agente. “Hydraxon, alla fine li avete
trovati i tre fuggitivi di Onu-Metru?”
“Noi... uh... no, Helryx. Non ancora.”
“Tu invece, Dume? Hai qualcosa da aggiungere?”
Il Turaga rimase sorpreso dal tono che ella sfruttò. Sembrava stesse
contenendo la sua ira.
“Io ho qualcosa da aggiungere!” alzò ancora la voce Krakua, obbligando i
Korero a prendere precauzioni. “Mi sono fidato ciecamente di te per
l’ennesima volta. Ero addirittura disposto a vedere i traditori della nostra patria
venire uccisi brutalmente dalle sentinelle, ma ora non riesco nemmeno a
guardarli in faccia. Ero convinto che c’era bisogno di purificarli. Pensai che era
assurdo il fatto che molti dei Matoran potessero ribellarsi ancora contro di
noi, specie se ad averli scelti è stata la Ignika... LA IGNIKA, HELRYX, NON
NOI!”
Il capo dell’Ordine lo guardò con ammirazione durante il momento di quiete
che si creò. I Korero da una parte attendevano l’ordine di arrestare l’agente o
addirittura ucciderlo per le parole che aveva appena detto.
All’improvviso, uno di loro si sentì sfilare da Helryx il lanciatore che teneva
appeso alla cintura.
“Dammi la mano, Krakua.”
Il Toa del Sonico si intimorì non sapendo cosa fare.
“Avanti, dammela. E’ un ordine.” gli disse allegramente.
“Fai come ti è stato detto.” continuò Dume per mostrarsi dalla parte di
Helryx.
Il lanciatore venne messo nella mano di Krakua dopo che questo gliela porse
con non poca esitazione. Insieme a lui alzò la mira puntando sulla Maschera
della Psicometria della Toa.
“Coraggio, spara.”
Non era la prima volta che fece una proposta così pazza. Basti pensare a
quando invitò un Nuhrii furioso a combattere contro di lei qualche anno
prima.
“Krakua, ho detto di sparare.”
“NON FARLO!” gridò Hydraxon, appoggiato da Dume.
I Korero non poterono intervenire siccome sarebbe stato interpretato come
una vera e propria disobbedienza agli ordini. L’intero braccio del Toa sonico
cominciò a tremare, anche se una piccola parte di lui voleva premere il
grilletto.
“SPARAMI, KRAKUA! VOGLIO VEDERE DI COSA SEI CAPACE! FAMMI
SENTIRE IL TUO ODIO!”
“No!” urlò ancora Dume.
“FORZA, SPARA!” iniziò addirittura a piangere di gioia.
Hydraxon non ebbe scelta ed intervenne disarmandolo. Qualche istante prima
di farlo, però, delle unghie affilate e dorate uscirono come spine dalle dita del
primo Toa, che senza esitazione gli fece un taglio netto a livello degli occhi.

“AAAAAAHHH!!!!”

Nessuno si intromise. Krakua e Dume avevano entrambi paura di muovere


anche un solo muscolo, e lo stesso valeva per i Korero. Helryx sorrise quasi
come una pazza mentre Hydraxon si dimenava tappandosi la ferita.
“Ora tu non sarai né Dekar e nemmeno Hydraxon.” svuotò il sacco, facendogli
capire che sapeva di questo suo dualismo interiore. “Sarai solo uno dei miei
servi, e fidati che non lo si capirà dal colore dei tuoi occhi, ma da come ti
inchinerai quando sentirai la mia presenza nei paraggi.”
La vista di Dekar vide un’ultima luce prima di cadere lentamente nell’oscurità
assoluta. Guarda caso era quella della Ignika.
“La luce...” disse con voce strozzata. “La luce mi sta... tradendo...”
Le sensazioni che provo oggi? Non saprei definirle con certezza, ma prima
di tutte è la paura. Qui ci vedono quasi come degli esseri soprannaturali, e
non si preoccupano di come stiamo veramente. Di recente ho parlato con
Roodaka e Lariska, subito dopo aver convinto gli Eroi a rilasciare il Toa
Nui. Ero sicuro che non fosse una minaccia, e lo sono tutt’ora! Ad ogni
modo, con loro due ho parlato a lungo e mi sono fatto raccontare la loro storia,
soprattutto ciò che accadde dopo il rapimento di noi Turaga. La cosa che più
mi ha colpito è stata l’estrema facilità con la quale sono riuscite ad entrare su
Mata-Metru per rubare la Lancia di Artakha. Dicono di aver
incontrato Darkness, che fu l’unico a vederle. Vennero a conoscenza
dell’alleanza che aveva con Helryx. Il discorso poi, mi dissero, fu interrotto
dall’arrivo di tre creature alate che non avevano mai visto. Pare gli avessero
facilitato la fuga, scomparendo poi dal nulla dal quale erano arrivate. Se
solo Darkness fosse qui ora... Saremo costretti a cercarlo o comunque a
trovare quelle capsule nel minor tempo possibile. Almeno si è dimenticato il
marchingegno per le Kanohi qui. Pensate che l’ha terminato qualche ora
prima dell’arrivo del Marendar. L’abbiamo testato sui sopravvissuti del
nuovo Pozzo ed ha funzionato! Tuttavia ha una sua richiesta per
funzionare, ed è il potere di un Toa. Faremo lo stesso non appena salveremo i
restanti Matoran. Oggi è il quindicesimo giorno di viaggio. Domani in
teoria arriveremo sulle coste di Mata-Metru. Questa quindi potrebbe
essere la mia ultima pagina su questo diario

“Scrivi le tue memorie, Vakama?”


“Matau, ti ho già detto di non disturbarmi mentre faccio le mie cose!”
“Lo so, ma è da quando hai parlato con Darkness che non fai altro. Te ne stai
sempre lì con le tavolette digitali che ti sei fatto imprestare dagli Eroi e non
parli più con noi!”
“E allora? Hai qualche problema? Sei molto lontano dal Turaga Matau che
conoscevo.”
“Ehi, piano con le parole! Vuoi veramente dirmi che non ti è mancato il mio
aspetto affascinante? Bah!”
Vakama sogghignò. “Peccato che Nokama non la pensi ugualmente...”
“Beh prima o poi lo farà, vedrai!”
Suo fratello però stava pensando ad altro. Perse subito la voglia di scherzare.
Arrivarono Onewa e Nuju. “Avete visto nostra sorella?” chiese quest’ultimo.
“Ero convinto fosse con voi.” ipotizzò Matau.
Anche lei aveva i suoi momenti in cui aveva bisogno di isolarsi. Perse
quell’abitudine quando era Turaga. In quel periodo le preoccupazioni c’erano,
ma erano davvero ridotte grazie all’arrivo del settimo Toa, Takanuva. Capì di
aver volontariamente abbandonato quella lontana responsabilità che secondo
lei non le apparteneva più ormai.
Scese nel punto più basso di una gamba posteriore della base mobile. Osservò
l’acqua che scorreva tutta pensierosa. Da quella posizione, e anche in altre
parti del mecha a quattro zampe, era possibile intravvedere la sagoma del
Colosseo. Come al solito, non ci fu nessuna presenza dell’Equilibrio. Solamente
Artakha attendeva il loro segnale, nascosto col suo esercito nella nebbia
dell’ovest.
Nokama continuò a guardare il riflesso della sua Rau fra le onde, finché questa
non assunse un aspetto quasi triangolare. Una coppia di occhi gialli si
manifestarono fissandola costantemente.
“Nokama...”
La Toa riconobbe la voce. “Helryx?!”
“E’ bello rivederti in questo glorioso aspetto.”
“Perchè sei qui?!”
“Oh... due care amiche non possono scambiare quattro parole dopo
tanto tempo?”
“Io e te non siamo più dalla stessa parte! Stanno venendo a prenderti, leader
dell’Ordine di Mata Nui, e sappi che non avranno pietà!”
“E tu da che parte stai? ... Perchè dici loro ma non utilizzi il noi?”
“Noi Toa non facciamo parte di questo orrendo gioco che tu e Darkness avete
architettato!”
“Sai almeno perché? Ve lo ha detto? No... figuriamoci se l’ha fatto. Vi
credete fatti e finiti, quando in realtà non siete a conoscenza di nulla. Lo
scontro tra me e Darkness non sarà qui, su Mata-Metru, ma altrove.
Sappi solo che i Toa avranno un’ultima voce in capitolo quando questo
succederà. Siete ancora in tempo per scegliere il vostro destino.”
Si dimenticò per assurdo dei Toa che isolò dalla città.
“Il nostro destino?! Noi non abbiamo più un destino! Ce l’avete tolto, Helryx!
Tu, Artakha, Darkness, i Grandi Creatori! E per cosa, per una stupida visione
futura che conoscete solo tu e Darkness?!”
“La Ignika è l’unica ragione per cui ho deciso di seguire la sua proposta,
quando mi alleai con lui. La Maschera mi disse subito di accettare. E’
l’unica a sapere cosa accadrà e come accadrà. Si è collegata alla
costellazione della Maschera di Toa Gaaki presente nei cieli della Realtà
del Creato. Da lì ha visto tutto. Noi non stiamo correndo dietro ad una
profezia. Stiamo semplicemente seguendo un piano. Darkness invece
vuole plasmarlo secondo il suo volere.”
“Allora morite nella vostra corsa al potere. Noi finiremo la nostra salvando i
Matoran, come un vero Toa dovrebbe fare.”
L’immagine della Maschera di Helryx continuò a rimanere riflessa nell’acqua per
una manciata di secondi, come se avesse ancora qualcosa da dire. Pronunciò
solamente queste parole prima di scomparire: “Non sono io...”
“...e non ci saranno altri dei, miti, sovrani, re o nuove
autorità a comandarvi. Il futuro vi attende. Quando
entreremo nel Flusso della Realtà del Creato, potrete
finalmente staccarvi dalle macchine con cui avete
lavorato, meritando il vostro giusto riposo. Gioite,
MATORAN, gioite...”

Un altro discorso giornaliero si concluse. Ogni mattino la voce del primo Toa
veniva propagata in tutti e sei i Metru come buongiorno per i Matoran,
ricordandogli al tempo stesso la grande fortuna che fra poco avrebbero
condiviso.
Ancora nessun nemico in vista da sud. Anche quel giorno quindi i cittadini di
Le-Metru, almeno quelli che non trovarono rifugio altrove, potevano stare
tranquilli. Lo stesso però non si poteva dire per il clima che regnava all’interno
del Colosseo. Dopo il litigio con Krakua e la successiva cecità di Hydraxon, ci
fu una nuova discussione, questa volta con Dume. Il Turaga utilizzò una strada
più pacifica e accontentante, ottenendo solamente l’indifferenza della Toa
come risposta. Quando alzò lievemente i toni, scoppiò un nuovo casino,
precisamente fuori dalla stanza del processore.
Quel giorno Dume stava passeggiando fra i corridoi della torre principale. Non
riusciva a smettere di pensare alla collera di Helryx e alle orrende parole con
cui gli rispose. Ben presto quello stato di disperazione gli fece venire in mente
dei lontani episodi che ebbero luogo poco dopo il ritorno nel Robot, quando
ci fu un nuovo incontro tra il leader dell’Ordine e Darkness. Quest’ultimo
invitò il Turaga a parlargli in privato, ma furono scoperti dalla curiosità infinita
del primo Toa che voleva essere assolutamente al corrente di tutto. E proprio
quando Dume stava per risponderle, scoprirono Hydraxon spiarli. Darkness
scomparve immediatamente, materializzandosi poi dietro al cacciatore
bloccandolo. Mentre la Toa stava avvertendo l’agente dell’Ordine dell’alleanza
segreta, e del fatto che dovesse rimanere in piena segretezza, Darkness ne
approfittò per mettere in guardia Dume.
“Attento a Helryx, Turaga. La Ignika vede, studia e agisce. Anche un individuo
mentalmente potente come lei può farsi corrompere facilmente dall’interno,
cosicché non possa accorgersene.” gli disse.
Dume, ovviamente, trovò quelle parole indecenti e offensive nei confronti della
sua beneamata capa.
Ci vollero parecchi anni, oltre all’assalto su Voya Nui da parte della Mano, la
caduta del Codrex, la partenza da Spherus Magna col Robot e molto altro per
fargli cambiare idea.
Ora si convinse che la colpa non era di Helryx, ma della Maschera della Vita.
Era ora di farla finita. La prima cosa che fece fu recarsi al trentaduesimo piano
sottoterra per scegliere l’arnese più adatto a ciò che stava per fare.
Poi, giusto una decina di minuti più tardi, si trovò solo nel processore del
nucleo. La Toa non era presente per una buona volta. La stanza era unicamente
arredata con i due macchinari, quello originale e l’altro artificiale inutilizzabile.
Una dorata Kanohi leggendaria era incastonata nel marchingegno principale. Il
Turaga si avvicinò, facendo molto fatica a trasportare l’oggetto che stava per
utilizzare. Lo sollevò con la sua debolezza da anzianotto, rimpiangendo per
un’istante la vecchia potenza di cui vantava da Toa. Fermò la testa del martello
a pochi centimetri dalla Maschera, rifacendolo lentamente per diverse volte.
Si preparò. Portò la penna del martello dietro la nuca caricando il colpo.
Troppi pensieri gli passarono per la testa, a partire dalle terribili conseguenze
che ci sarebbero state. D’altronde però a cosa serviva andare avanti ad
ascoltare un individuo che aveva perso la ragione? Perchè seguire il piano di
una maschera che non si curava minimamente delle sorti dei Matoran? Quanti
altri sarebbero dovuti morire per raggiungere questa fatidica pace?
Così fece un respiro profondo e la colpì con tutte le forze. L’esplosione che si
creò scosse ogni individuo nel raggio di centinaia di kios. I Metru, gli Eroi, il
nuovo Equilibrio, Darkness, il Marendar, gli Elementali, Artakha... tutti lo
percepirono. Il Turaga sbatté col corpicino delicato contro al muro ed ebbe
anche delle visioni: gli parve di vedere dei territori completamente deserti, e al
tempo stesso c’era un’enorme sfera in fase di costruzione. Vicino al suo punto
vista, notò dei guerrieri dalle fattezze simili ai Glatorian. Per ultimo vide il Toa
della Luce, Takanuva. Non c’era ombra di dubbio: si trovava su Spherus Magna,
capendo anche che gli occhi con cui si sincronizzò erano quelli di un individuo
che, come nella visione, riusciva a dare vita a ogni cosa che toccava, ovvero
Hauran.
Era sicuramente una grande novità sapere che c’erano dei sopravvissuti. Forse
sarebbe stato il caso di dirlo ai Toa Metru, qualora fossero stati i vincitori della
Battaglia dei Nove, anche per confermargli che c’era ancora vita su Spherus
Magna.
Quando irruppe Helryx però era un incrocio tra dolore e rabbia. Era come se
Dume non esistesse. Corse subito dalla Maschera, sulla quale notò un orrendo
squarcio a livello del mento, e si mise ad accarezzarla dondolandosi mentre era
seduta a terra. Per il Turaga era l’occasione perfetta per scappare.
Solo dopo cinque minuti di fuga si sentì l’eco del primo Toa nominare il suo
nome furibonda: lo stava chiaramente inseguendo.
Ma perché la Ignika non si difese prima di venire colpita dal martello?
I Korero si misero subito a cercarlo senza che Helryx glielo ordinasse. Krakua
portò con sé l’agente accecato a fare lo stesso.
Il Turaga di Metru Nui prese un ascensore che lo portò nel punto
d’osservazione volto verso l’interno dello stadio. Da lì era possibile vedere
gran parte della città. Helryx fu la prima a raggiungerlo.
Aveva il respiro pesante ed era palesemente indebolita, ora che lei e la Ignika
erano quasi la stessa cosa. “Tu... lurido Roodaka... COME HAI OSATO?!”
Dume tremava come un cucciolo di Gukko di fronte a un Drago Kanohi. Non
poteva minimamente difendersi dalle mani possenti della Toa che gli
afferrarono il collo. Lo trascinò verso l’orlo della piattaforma, lasciandolo
sospeso nel vuoto.
“FERMA, HELRYX!” giunsero Krakua e il povero Hydraxon, che non poteva
fare altro che appoggiarsi alla parete.
Il Toa del Sonico tentò di farla ragionare, ma non ebbe nemmeno la possibilità
di iniziare. Una serie di tonfi lontani si ripeterono per i successivi secondi.
Guardarono verso meridione e vennero letteralmente traumatizzati da un
muro di fumo che si elevò verso l’alto. Raccoglieva in sé tutta la costiera
portuale.
L’assalto di Mata-Metru era ufficialmente cominciato...
Le sentinelle a bordo delle imbarcazioni rimaste caddero come nulla di fronte
alla potenza combinata dell’alleanza di Mata-Kuro, soprattutto contro ciò che
rimaneva dell’esercito di Artakha. Forse avrebbero potuto evitarlo. A loro
malgrado, però, l’attacco fu studiato alla perfezione.
Dume sentì le dita del primo Toa stringere di meno, finché non cadde ai
margini della piattaforma scampando al pericolo. Helryx non restò immobile
come fece a Voya Nui.
“Non adesso... NON ADESSO!” si accasciò a terra colpendo coi pugni il
pavimento, causando delle crepe notevoli.
Si alzò, quasi andando nel panico, e ordinò ai suoi Rahi di seguirla all’istante.
Krakua e Hydraxon furono obbligati dalla loro morale a fare lo stesso. Ad
Helryx infatti non importava più nulla di loro due. Contavano solo i suoi
Korero e, ovviamente, la Maschera della Vita.

Dume restò solo, risvegliandosi dopo una quarantina di minuti. Si mise in piedi,
afferrando il primo oggetto che poteva fargli da bastone. Camminò fino al
bordo del punto d’osservazione. Rimase tutto come prima. Le forze
dell’Ordine contenerono le centinaia di migliaia di nemici con successo,
momentaneamente almeno...
Ad ogni modo, non fu sufficiente a fargli dimenticare ciò che vide quando colpì
la Kanohi. Chiunque fosse riuscito a giungere ai piedi del Colosseo, che fossero
i Toa, Artakha, gli Eroi o Darkness, doveva assolutamente sapere che Hauran, il
Grande Creatore maledetto, era ancora vivo, e risiedeva su Spherus Magna.
Di punto in bianco, però, fece di no con la testa con un’espressione apatica.
Restò ad osservare tutti i particolari che anche lui, come Helryx quando si
isolò per la prima volta nella grande metropoli col Turaga, non aveva ancora
ammirato. Poi la testa gli divenne più pesante, cominciando ad abbassarsi in
avanti piano piano. E dopo di essa, la seguì anche il resto del corpo, cadendo
nel vuoto per propria volontà. Il cadavere suicida di Dume divenne il primo
nella lista che avrebbe successivamente decorato lo stadio del Colosseo...
Il mantello nuvoloso che copriva la costa non si era ancora dissoluto. Da
destra a sinistra c’erano i Cacciatori oscuri e gli Skrall sotto il comando di
Nektann. Tutti i Rahi della Realtà del Creato invece vennero sterminati dalle
Corazze immortali su Voya Nui. Poi c’era l’alleanza di Mata-Kuro, con degli
intrepidi Toa che aprivano la strada contro le sentinelle Horomia. Infine
avanzava qualche centinaio di Avokh, guidato dai Toa Hagah e Varian. Artakha
era responsabile della coltre di fumo magica, controllandola dalla sua isola.
Sorprendentemente inoltre, non ci fu ancora uno scontro diretto tra gli alleati
del Grande Essere e i servi dello Skakdi.
Le Horomia erano semplicemente troppe. Le loro abilità venivano spesso
associate con il comportamento tipico dei Vahki. I Korero stavano per arrivare
dai distretti centrali, pronti a sfruttare i loro poteri psichici per sbarazzarsi
degli invasori il prima possibile.
La coscienza di Norik, a capo delle legioni bianco-dorate, era unita al pensiero
di Artakha, che fu abile nel riuscire a sfuggire dal potere intimidatorio di
Nektann. Più volte il Toa del Fuoco chiese al Grande Essere se intendeva
proseguire con l’uso dei pochi poteri che gli rimanevano. Il periodo passato ad
aspettare l’arrivo dei Toa Metru infatti fu utile per concedergli un adeguato
riposo, con conseguente rigenerazione in piccola parte della sua potenza.
Varian e i suoi fratelli si sentivano liberi dopo tutto quel tempo passato a stare
rinchiusi. Gli Avokh, come sempre, si dimostrarono incredibili nell’arte del
combattimento. Costituivano la prima linea che, per scelta tattica, si batté
contro i Korero, non essendo degli esseri in grado di provare emozioni. Non a
caso furono gli unici a non sopperire di fronte alla psiche dei Rahi. Johmak si
accaparrò un gruppo per liberare la strada ai suoi compagni. Tutti gli altri
invece erano potenzialmente instabili, soprattutto l’Essere dorato. Nektann
infatti ebbe delle grandi difficoltà a proseguire, siccome riusciva a percepire i
pensieri devastanti degli oppositori anche senza scontrarsi con essi. La strage
avvenne principalmente tra le sue legioni, fatta eccezione per qualche
Cacciatore oscuro.
Dopo svariato tempo, la linea difensiva dell’Ordine fu obbligata ad arretrare in
certi punti, mentre in altri spingeva gli assalitori fino alle imbarcazioni arenate
sulla spiaggia. Prima o poi però sarebbe caduta, e ciò avvenne, ma solo dopo
tre ore dall’inizio...
“Artakha.” gli parlò nuovamente Norik tramite le corde del pensiero. “Credi di
riuscire a farcela ancora per un po’? Devi garantirci l’arrivo nei vicoli della città,
altrimenti saremmo scoperti.”
Il portatore della Maschera della Creazione non replicò. Il Toa del Fuoco infatti
provò una strana sensazione poco prima di contattarlo.
Varises confermò allarmato: “E’ svenuto, Norik!”
La reazione fu immediata. L’intera nube che il Grande Essere controllò cessò di
esistere, rivelando tutti i dettagli ambientali che circondavano i combattenti.
Ciascuno dei tre squadroni si trovava in posizioni differenti. Dovettero
attendere l’arrivo della luce dei due soli per capirlo. Le forze di Norik e dell’ex
luogotenente di Zakaz erano più arretrate rispetto agli Eroi e ai Toa, vicini più
di tutti alle porte della regione Metru.
Per un istante, quando la nebbia scomparve completamente, si guardarono
sorpresi. Quasi non volevano continuare a combattere contro i nemici con i
quali si erano battuti negli ultimi anni, soprattutto ora che la difesa di Le-Metru
era caduta.
Matau senza dire nulla toccò la spalla di Vakama, invitandolo a guardarsi dietro.
Darkness, il Marendar, gli Hagahkuta e i due Matoran erano ancora più vicini
all’ingresso in città. Nessuno li avvistò durante la battaglia, neanche Whenua.
Gli Elementali invece si trovavano più ad est, vicino Ta-Metru. Era infatti una
pazzia provare ad assalire l’isola da quel punto. I più esperti ricordavano
sicuramente quanto quella zona, coincidente con l’estuario del fiume in
Protodermis che circondava il Colosseo, fosse pericolosa. I vecchi Cacciatori e
l’Oscuro non lo dimenticarono dai tempi in cui c’era la guerra con i Toa di
Lhikan. Tale informazione, in un modo o nell’altro, si propagò ovunque nel
resto delle isole. Perciò gli Elementali erano giustificati, in quanto abitanti di
Spherus Magna, ma non si poteva dire per quanto ancora avrebbero resistito...
Il cielo tornò a dorarsi nuovamente. L’occhio della Ignika era finalmente
tornato sulle loro teste. Ciononostante, non ci fu nessuna comunicazione
importante per loro. Arrivò solamente la notizia della loro piccola vittoria ad
Helryx, che reagì d’istinto come una pazza, afferrando la Ignika e portandola
con sé all’ingresso dello stadio.
C’erano praticamente tutti. Non mancava nessuno all’appello, tranne i Barraki,
i caduti in guerra e Toa Tuyet, che scappò come una codarda la sera prima. Il
motivo della sua fuga era ancora ignoto. Darkness infatti, quando i piccoli
Matoran glielo riferirono, la giudicò come una traditrice, in primis di sé stessa.
Gli eserciti, posizionati diversamente e abbastanza lontani gli uni dagli altri,
erano in procinto di muoversi, ma ecco che arrivò l’ultimo contendente:
occupava metà della riva, e giunse dalla destra dei Cacciatori oscuri. Tutti se ne
accorsero, disgustandolo per il suo aspetto orripilante. La creatura marina
confermò così la sua presenza per la terza volta nel corso delle vicende che
infestavano gli interni del Robot. Già a causa del suo ultimo intervento si
ostruirono permanentemente i canali di Jerbraz che Nokama stava per aprire ai
suoi alleati.
Per i pochi Parenga che parteciparono all’assalto era già finita. Non si poteva
sconfiggere la possenza di quell’essere. Nokama al contrario notò un qualcosa
di strano, a partire dai suoi movimenti goffi e ritardati. Anche il colore della
pelle non era più bianca pallida come settimane prima. Uno strano grigio
scuro tappezzava a macchie il derma.
“Posizione di combattimento!” gridò un generale di Nektann, preparando i
suoi al conflitto.
Infastidito, il mostro del Mare d’argento colpì diverse decine con un solo
tentacolo, che però ritrasse immediatamente emettendo dei versi dolorante.
No, nessuno l’aveva ferito. Il dolore fu causato da qualcosa che evidentemente
proveniva dall’interno del suo corpo. Forse era malato.
“O forse ha mangiato qualcosa che non doveva.” suppose Matau rispondendo a
Mazeka.
Nessuno dei due ci azzeccò. Senza che nessuno se l’aspettasse, si creò un
taglio nel fianco sinistro della creatura. Il bolo che uscì dalle interiora non era
altri che un individuo alto e rabbioso... tanto rabbioso.
Voporak...
Il mostro dei mari morì dissanguato. I Cacciatori oscuri, spaventati alla sola
vista del loro ex comandante, furono travolti dalla sua furia incontenibile. Il suo
obiettivo, come si poteva dedurre, non era Nektann ma i sei Toa. Mai, dopo
così tanto tempo d’attesa nella pancia di quell’abominio, si trovò vicino alla
Maschera del Tempo.
Vakama ordinò ai suoi di mettersi in guardia, mentre le stragi di Skrall e
Cacciatori proseguivano. Norik e Darkness, con i loro compagni, restarono a
guardare. E accadde un nuovo fatto: proprio quando Voporak aveva strada
libera verso le sue sei prede, lanciandosi poi contro di loro, una barriera dorata
lo tagliò in due.
Fu una morte inaspettata, ma che fece capire una cosa importante a Darkness:
“Abbiamo oltrepassato il Flusso della Realtà del Creato...”

Adesso, Toa.
Helryx ebbe finalmente il via libera dalla Maschera della Vita. “

Sfogati, lasciati andare. Siamo entrati nel campo gravitazionale


della Realtà del Creato. I miei poteri per far funzionare il
Robot non sono più necessari. Esso verrà attratto dal suolo
della Corte di Nuiaha, e mentre aspetterai potrai divertirti con
gli altri. Tra poco loro sanno qui...”
“Chi?!” esclamò.

“I Grandi Creatori. Ho mantenuto la mia parola e li ho


contattati subito dopo la perdita del Codrex. ”
“Che ne sarà di quelli che sono rimasti all’esterno?”

“ Moriranno...”
Così lo scudo protettivo fu materializzato nuovamente. La parte degli eserciti
che fu rinchiusa al suo interno, però, non era neanche un dito a confronto.
Solo i Toa Metru, gli Hagah, Odis, Mazeka, Darkness, il Marendar, i due
Matoran, gli Hagahkuta e circa cento Skrall rimasero.
Vakama corse subito ai piedi della barriera per parlare con i due Alpha leader.
Non sentì la loro voce, capendo che in questo modo gli abitanti di Mata-Metru
non potevano sentire i rumori della guerra provenienti dalle isole vicine.
Nemmeno le onde radio potevano penetrare la struttura. Tuttavia, sia Rocka
che Furno ricevettero una comunicazione importante: “Alpha leader! Sono
Stryker. La barriera che contornava il Robot è scomparsa! Ora possiamo scappare
da qui!”

Le direttive furono immediate: “ EROI! RITIRIAMOCI SU


VOYA NUI!”
“Surge.” disse Furno. “Fate più viaggi coi dirigibili per portare il maggior
numero possibile di Eroi.”
“Vi aiuteremo noi.” si unì Varian. “I Falconi del Grande Essere ci torneranno
utili.”
“Artakha e Varises, invece?” chiese uno dei Parenga rimasti.
“Entrambi sono entità concrete che per tutto questo tempo hanno vissuto
sull’isola di Artakha. Il loro spirito tornerà nei rispettivi corpi quando
arriveremo. E’ questione di ore...”
Anche senza volerlo, quindi, il Grande Essere ci era riuscito. La Maschera della
Vita, come disse giustamente a Whenua ed Onewa nel primo incontro, fu
l’unica chiave in grado di sbloccare tutta la Realtà del Creato. Il Cerebro di
Takenga, per effetto di ciò, tornò a funzionare perfettamente come una volta.
La legione di Nuiaha si mise subito in viaggio per raggiungere la Corte il prima
possibile.
I sopravvissuti alla cupola potevano fare poco ora. Come predetto dalla Ignika,
non c’era più modo di tornare indietro. La voce di Helryx si propagò con un
eco inquietante dallo stadio del Colosseo.
“Che il migliore fra voi possa giungere fin qui. Mi sono stancata di
nascondermi. Venite, flagelli della Ignika... VI AMMAZZER0’ CON LE
MIE MANI! ”
Solo il Marendar restò indifferente. Rimase silenzioso da quando ci fu il
salvataggio di Darkness. Fino a quel momento si sentì tradito e allo stesso
tempo deluso dalla sua saggezza, adulata troppo facilmente dall’astuzia del
Maestro. All’improvviso scappò in città davanti agli occhi di tutti, ignorando
chiaramente i sei Metru e gli Hagah che non erano più un obiettivo...
Odis era pronto a inseguirlo. Aveva un conto in sospeso con lui, anche se
questo probabilmente non sapeva nemmeno chi fosse. L’Unico si sentiva
addosso il peso delle vite, oltre alle Essenze, di tutti i Toa che erano
sopravvissuti alla cupola anti-Toa.
“No, non andare.” disse Vakama senza il bisogno di urlare. “Ha scelto la sua
strada, e così faremo pure noi.”

“Che facciamo, lo rincorriamo?” chiese l’Hagahkuta Kualus a Darkness, ed egli


negò.
La cosa più importante a cui pensare nei secondi a venire era una sola: “Skrall,
il Signore della Roccia è qui.”
I guerrieri di Roxtus si sbalordirono, guardandosi increduli l’un l’altro.
“Lui e altri suoi aiutanti sono entrati in città dalla regione di Ta-Metru.” ma
ovviamente non era vero, poiché anche gli Elementali non furono incubati nella
calotta dorata. “Vi sta aspettando...”
“Quali prove hai?” domandò con arroganza un guerriero d’élite.
Darkness allargò lentamente le braccia facendo un piccolo sorriso. “Nessuna.
La scelta spetta solamente a voi. Volete stare qui a girovagare e a combattere
senza una meta precisa o volete incontrare il vostro signore alle porte del
Colosseo? Non vi rendete conto di essere gli unici della vostra razza a essere
degni di essere giunti fin qui?”
Accettarono dunque.
“Cosa vogliamo fare allora, Vakama?” alzò la voce il Maestro. “Moriremo
inutilmente su questa spiaggia?”
I due gruppi si avvicinarono quindi per dialogare.
Vakama rispose: “Io e te abbiamo obiettivi completamente differenti. Andate
per la vostra strada. Noi abbiamo un popolo da salvare.”
“E Helryx, Vakama?” si oppose Norik. “Vuoi che metta piede nella Realtà del
Creato facendo quello che le pare con quella Maschera?!”
“Non mi importa più nulla di lei, Norik. Io e i miei fratelli siamo qui per salvare
i Matoran. Se voi Hagah non sarete con noi...”
“AAAAHHHH!” gridò dal nulla la Gaaki mutata.
La testa iniziò a farle male. Dentro di sé stava cercando di combattere i pochi
ricordi che conservava sul suo passato. Darkness non intervenne per non
complicare la situazione.
Improvvisamente la Toa mutata pronunciò ripetutamente: “Norik... Norik...
NORIK!”
Tutti gli sguardi si indirizzarono verso l’Hagah del Fuoco.
“Taci!” le tirò uno schiaffo Kualus.
Iruini si teletrasportò a pochi passi per separarli. A quel punto i tre Toa di
Artakha collegarono il tutto.
Bomonga lasciò cadere le armi e cadde in ginocchio con le lacrime agli occhi.
“Fratelli...”
Purtroppo però gli aerei dell’Ordine pilotati dalle sentinelle interruppero la
scena, svolazzando in mezzo alle nuvole dorate per non farsi vedere dagli
eventuali soldati con armi antiaeree. Nuju tentò di individuarli con la sua lente
per segnalarli al Toa dell’Aria.
“Credo sia ora di andare.” disse Darkness a Kualus e Iruini, nonostante
quest’ultimo fosse un po’ titubante.
Pertanto, i due squadroni scelsero il loro percorso indipendente. Non aveva
comunque senso combattersi per rimanere con pochi combattenti alla fine.
Toa Helryx aveva lanciato apertamente una sfida a ognuno di loro. Era disposta
a sacrificare ogni cosa ormai.
“Muoviamoci, figli di Roxtus.” disse Darkness. “Prenderemo il ponte che
collega Le-Metru con Ta-Metru. A ovest della Grande Fornace ci aspettano i
nostri alleati.”
L’altro gruppo prese la strada opposta. I tre Hagah però non si mossero.
Nessuno si degnò di dirgli di muoversi. D’altronde era comprensibile.
Mentre la squadra di Darkness si allontanava verso la regione rossa, Vakama si
approssimò all’altro Toa del Fuoco. “Non è facile accettare la realtà dei fatti.
Me l’hai insegnato tu quando diventammo Hordika. Ricordo che nei tuoi occhi
giaceva nient’altro che rassegnazione. Eri convinto che il vostro stato fisico da
Rahaga era immutabile. E ora siamo nuovamente qui, a decidere le sorti dei
Matoran come in passa-”
“Taci, Vakama.” rispose furioso. “Ne ho abbastanza di questi discorsi moralisti.
Che tu lo voglia o no Helryx la pagherà. Lo giuro sulla mia vita. Artakha potrà
pure creare altri individui che possano portargli la Vahi quando tutto questo
sarà finito, nella Legione di Nuiaha. Io ne sto fuori.”
Bomonga e Pouks, ancora addolorati dalla notizia e allo stesso tempo irradiati
dalla vendetta, approvarono. Si convinsero che tutta quella pazzia era in fin dei
conti scaturita da un tiranno che non era comparabile a nessun altro.
“Fate pure quello che volete coi Matoran. Ci uniremo anche a voi, ma sappiate
che prima o poi noi tre andremo avanti da soli.”
Il leader dei Metru non poté fare altro che acconsentire. Sapeva che quel tipo
di mentalità così aggressiva e vendicativa era praticamente irreversibile. Forse
anche Artakha gliel’aveva causata indirettamente.
Infine si misero in viaggio correndo al massimo, prendendo la direzione
contraria dell’ex Cacciatore oscuro. Mazeka difatti conosceva una scorciatoia.
Nektann osservò incredulo dall’esterno. Le sue mani erano appoggiate come
quelle di un prigioniero sulla superficie d’oro. Gli Eroi erano già partiti da tre
quarti d’ora. Il lavoro fu facilitato dai volatili di Artakha guidati dal Grande
Falcone reale, che ne trasportò in grandi quantità. Varian fu un’altra che perse
la motivazione riguardo quella inutile guerra, non vedendo l’ora di raggiungere i
rimanenti alleati su Voya Nui.
Il resto dell’Equilibrio fu la sola componente che occupava la spiaggia
meridionale del porto di Le-Metru. Thorgai Drenaris, secondo in comando, era
finalmente soddisfatto. Tutto quel tempo passato dietro l’ombra di Nektann,
visto dagli Skrall come un dio che tutto poteva e aveva, gli fece provare tanto
odio e risentimento. Come accadde in passato, capitò che più volte Darkness
gli promise che prima o poi il potere si sarebbe ritorto contro a coloro che ne
avevano a dismisura, a meno che qualcuno non glielo toglieva prima con la falce
della morte.
Lo Skakdi cominciò ad urlare, sbraitando ad alta voce con il ruggito di una
creatura feroce e selvaggia. Questa volta si mise anche la rabbia dell’Essere
dorato di mezzo. Tirò pugni e calci inutilmente contro la barriera, restandoci a
lungo. Le legioni al suo servizio non potevano fare altro che guardare
attendendo nuovi ordini. Thorgai aveva uno sguardo compiaciuto e sicuro di sé,
quasi più dello stesso Nektann qualche secondo prima di restare bloccato
all’esterno. Dopodiché, stanco di fare da spettatore al teatrino, se ne andò con
un gran numero di Skrall, con i quali parlò nel corso della marcia verso nord
convincendoli. Il resto di Roxtus fece ugualmente.

Poco dopo, lo Skakdi si allontanò per riposare. Aveva impiegato troppa
potenza spirituale per sfogarsi, ma ancora non era abbastanza.
Si voltò con l’intenzione di dire a Thorgai di aspettare ancora, realizzando però
che era assente.
“Dov’è?!” chiese con la rabbia negli occhi.
Nessun Cacciatore oscuro si degnò di spiegargli che lo Skrall se n’era andato
già da diverso tempo.

“ DOV'È?!” urlò nuovamente, questa volta con l’ira dell’Essere dorato.


“S-signore...” balbettò un piccolo Cacciatore oscuro esperto di circuiti
biomeccanici di nome Fixer. “S-si è allontanato d-da quasi u-un’ora con gli
Skrall.”
“Abbiamo cercato di fermarli, dovete crederci!” disse un altro Cacciatore. I
compagni vicino a lui lo appoggiavano.
Nektann allungò la grande mano dorata per afferrare il primo che gli capitava,
per poi strizzarlo come un frutto di Le-Wahi. Il liquido vitale uscì a fiumi,
sporcando le corazze dei commilitoni. Ad alcuni gli finirono dei pezzi di carne
addosso o peggio ancora negli occhi.
Egli però non era che il primo. Nektann infatti doveva ancora finire di sfogarsi,
ora che non c’era più nulla da fare per migliorare la situazione. Dunque li prese
uno ad uno, o in gruppi, causando una carneficina senza eguali. Scelse di
impiegare tutte le sue energie rimaste per sterminare le migliaia di Cacciatori
oscuri che lo avrebbero ancora seguito, se non fosse stata per la sua insana
pazzia...
I primi ad usare le armi furono i cittadini Matoran. Nonostante il loro
fallimento, difatti, gli Elementali servirono a qualcosa. Il punto che occuparono
con successo era la base principale delle Horomia a sud-ovest di Ta-Metru. I
più esperti riuscirono a sfondare le difese raggiungendo la sala di comando
posta in cima. Da lì disattivarono ben trentasette depositi d’armi nei vari
Metru. Inutile quindi dire che la rivoluzione scoppiò pressoché ovunque. Per
tale motivo, i Korero si dovettero dividere irregolarmente. In seguito, il capo
dell’Ordine comandò loro di lasciare dei margini di vittoria per aver più
possibilità di incontrare i Toa, ma soprattutto Darkness.

Vakama e gli altri arrivarono nel cuore di Le-Metru, nei pressi della Tacca. Lo
scontro contro la resistenza dell’Ordine sembrava scoppiato da non poco.
Matau, il quale si sentì una maggior responsabilità addosso per essere nel suo
territorio natio, volò in fretta da un gruppo di fucilieri ribelli.
“Uh... salve! Allora ditemi, come siete messi?”
“Un Toa!” puntò l’arma un oppositore.
“Abbassalo!” lo zittì un altro mentre i raggi ostili volavano poco sopra le loro
teste. “Ci tengono testa. Le Horomia sono quasi cadute.”
“Bene!” fece stretching Matau. “Non sarà un problema eliminare le altre.
Ormai mi sono abituato a combattere in mezzo al fuoco incrociato!”
“Toa...” avvisò un terzo Matoran. “E’ dei Korero che vi dovete preoccupare,
non di noi! Possiamo badare alle Horomia se manteniamo una certa distanza, e
lo stesso dovreste farlo voi con i Rahi di Helryx. Girano voci che in un
quartiere di Ga-Metru siano riusciti a eliminarne quaranta con la loro psiche.”
“Così non va bene.” ragionò Odis.
Gli Hagah, agguerriti come non mai, aiutavano rispondendo al fuoco con le
loro lance. Erano ancora in attesa di un contrattacco. In più non c’erano
macchine Hero o carri armati sui quali affidarsi. Avevano solo il numero
schiacciante dalla loro parte: ben sette milioni sulle poche decine di migliaia,
tra Korero e Horomia, che circondavano il Colosseo richiamando il famoso
Circolo di Wha-Nui.
“Toa Bodrehg?!” domandò un Le-Matoran affiancandosi all’Unico.
“Ehm... no, mi spiace. Sono il Toa Nui, ma puoi anche chiamarmi Odis.”
“ODIS?! Non mi riconosci?! Sono io, Jakho!”
“Jakho?”
“Per la morte di Mata Nui! Dove sei stato per tutto questo tempo?”
“Ho così tanto da raccontarti, mio vecchio amico. Che fino ha fatto la tua Miru
azzurra? Non ti avevo riconosciuto.”
“Cambiamenti!” disse mentre sparò con un lanciarazzi. “Fanno sempre parte
della vita, lo sai!”
Odis rilasciò un’onda rossastra che centrò in pieno un edificio, il quale si
schiantò sulla strada principale schiacciando un buon numero di Horomia.
“Immaginavo! Dove sono Zovrius e Lorin?”
“Ci siamo divisi. Fino all’altro giorno eravamo in fuga dagli agenti dell’Ordine.
Sai, ce la siamo vista davvero brutta ultimamente. Menomale che siete arrivati
voi. Zovrius e Lorin al momento stanno attaccando gli Archivi di Onu-Metru.
Vogliono scatenare il panico fra i nemici.”
“MATAU!” strillò di colpo Nuju. “Cinque aerei dell’Ordine in vista! Vengono
verso di noi e stanno per aprire i cannoni!”
“Vado! Nokama?”
La Toa allungò le corde delle idrolame facendogli afferrare le due estremità,
dopodiché girò su sé stessa fino a lanciarlo verso i jet. Matau nel mentre aprì le
ali per prendere quota. Stava per tirare un pugno assestante carico d’aria a una
delle due ali. Il Korero che comandava la sentinella dal Colosseo fu bravo a
smaterializzare il velivolo, facendolo andare a vuoto.
Ci riprovò altre due volte. Whenua gli ordinò dal basso di colpirli di sorpresa.
“E come?”
“Questa è casa tua, fratello. Nessuno conosce questa zona come te! Distraili e
fatti inseguire. Noi intanto troveremo un modo per intrappolarli... attento,
stanno tornando!”
I jet bombardarono la trincea Matoran poco prima di gettarsi all’inseguimento
del Toa, che partì cercando di seminarli nella rete di Chute posta a un kio da
terra. Vakama e gli altri furono bravi a portarli in tempo al riparo.
Restarono per parecchio tempo ad aspettare nel bunker. Mazeka riprese una
piccola cartina digitale per vedere se c’era qualche passaggio per i canali di
Jerbraz nelle vicinanze. Odis escogitò col Metru della Terra un piano d’attacco
a favore di Matau.
Ad un tratto qualcuno perse la pazienza: “Io vado. Voi nel fratte-”
“No, Onewa.” lo afferrò per il braccio Bomonga. “Andremo noi tre. Se questo
ci aiuterà a proseguire verso lo stadio, ben venga.”
“Dovrete fare attenzione però.” avvertì Jakho. “Non sono riuscito a
rintracciare gli altri quattro fronti di Le-Metru. Non so com’è la loro
situazione. Può essere che siano...”
Si zittì, accorgendosi di parlare da solo. L’attenzione dei rifugiati era rivolta
verso un vecchio Matoran rimasto nella parte di trincea sulla strada principale.
Improvvisamente uscì allo scoperto sbracciando. “BASTA! BASTA! BASTA
SPARARE! NON CE LA FACCIO PIU’!”
“Cosa fai, Velas?! Torna qui!” lo avvertì un suo amico in fuga con lui. “Ti farai
ammazzare!”
Nessuno dei due si era schierato dalla parte dei ribelli.
Velas, un Po-Matoran, continuò ad urlare dando l’impressione di aver perso il
senno. “Basta... basta, vi prego... FINITELA!”
La reazione di Vakama fu automatica, lo testimoniavano i suoi occhi spalancati.
Era in preda al panico per l’anziano. Scansò Bomonga, rimasto all’entrata del
bunker.
“Sei pazzo?!” lo trattenne un ribelle. “Non sei tu che devi morire, Toa.
Ricordati perché sei qui!”
Vakama incrociò lo sguardo con Norik, quasi per puro caso. Era come se la
domanda l’avesse posta anche lui.
Si caricò di audacia: “IO SONO QUI PER VOI!” e si lanciò in direzione del
vecchietto, che restò di stucco quando lo vide.
“NO, VAKAMA!” tentò di acciuffarlo Nokama, ma fu bloccata da quattro dei
Toa.
Il leader infuocò il jetpack per velocizzare la corsa...
Velas si reggeva a malapena in piedi...
Col passare dei secondi la distanza fra i due diminuiva rapidamente...
BANG! BANG! BANG!
Come sentì i tre spari, Vakama smise di correre, facendo una piccola scivolata
con le ginocchia. L’anziano Matoran era ancora in piedi, ma ecco che anche
esso si accovacciò di punto in bianco. Una piccola scia di fumo fuoriusciva dalla
sua schiena.
La Horomia aveva colpito il bersaglio...
Non fece in tempo a fare doppio centro: Matau si avvicinò in picchiata
riuscendo a far schiantare uno dei jet sull’edificio dal quale provenne il colpo.
Volò spedito, rallentando di poco quando si trovava nei pressi del bunker,
giusto per avere il tempo di dire ai compagni: “Dovete aiutarmi! Non so per
quanto ancora ce la farò!”
“D’accordo, muoviamoci, Hagah!” comandò Norik.
In pochi attimi arrivarono da Vakama per soccorrerlo.
“Stai bene?”
“Come va?”
“Ti hanno colpito?” gli chiesero ripetutamente.
Lo sguardo del Toa, però, era fisso sul terreno, le mani appoggiate a terra. Non
si era mai sentito così colpevole di qualcosa, nemmeno quando Lhikan fu
catturato da Nidhiki e Krekka.
Il cinismo di Bomonga fu tempestivo, e dall’altra parte obbligato se non
volevano che Matau facesse una brutta fine: “Ci penseranno gli altri Toa a
consolarlo. Forza, Norik!”
Per un secondo sembrava di rivedere Vakama nelle sembianze Hordika e Norik
trasformato in Rahaga. Come migliaia di secoli fa, quindi, condividevano ancora
lo stesso dolore. E quando quest’ultimo vide i restanti Toa approssimarsi in
fretta non esitò ad andarsene, e lasciò una pesante scia di rimpianto alle sue
spalle.
Nuju cercò di avvistare altri possibili cecchini. Nokama abbracciò Vakama da
dietro senza dire nulla. Sapeva la reazione che ci sarebbe stata da lì a poco.
Onewa e Whenua fecero lo stesso, e così anche Nuju.
Il Toa del Fuoco si lasciò andare in un pianto disperato e agonizzante.
“Cerca di combatterlo, fratello! Noi siamo qui con te!”
Ci volle un po’ per farlo calmare. Per assurdo si sentivano più le sue urla che gli
spari e le esplosioni nel resto dell’isola.
Nel contempo i tre Hagah salirono sulla cima del grattacielo più alto nei
dintorni. La Tacca era esplosa in alcune parti, rischiando di collassare su sé
stessa. Matau non riuscì a portare gli inseguitori altrove, anche perché era un
ambiente perfetto per intrappolarli.
Norik si preparò a fare un salto per atterrare su uno dei jet. Una pazzia pura
insomma.
Quando arrivò il momento giusto, subito dopo che Matau passò per la quinta
volta dopo aver finito l’ennesimo giro, contò qualche secondo per poi lanciarsi.
Ci riuscì. La sentinella Horomia all’interno della cabina cercò di staccare la
lancia del Toa con la quale si incagliò al velivolo. Norik la staccò infilzando lo
scudo, e generò un turbine infuocato che fece andare a fuoco i circuiti interni.
“Meno uno!” esultò Pouks.
“Dobbiamo trovare un nuovo modo per sistemare gli altri. E’ troppo rischioso
per no-”
“Ho un’idea!” passò in volo il Toa dell’Aria. “Speriamo che funzioni... ma cosa
dico, certo che funzionerà! Non devo pensare a cosa succede se fallisco, ma a
cosa accadrebbe se ce la facessi!”
Con l’aiuto delle due spade cambiò la direzione puntando verso il cielo. I
quattro aerei lo seguirono senza farsi troppe domande. Matau fece bene a
considerare il fatto che era più piccolo rispetto ai suoi inseguitori, perciò ci
sarebbe voluta una minore distanza per invertire la rotta una volta raggiunto il
limite della cupola. Le Horomia infatti lo smisero di inseguire per girarsi a testa
in giù proprio come fece il Toa, ma molto più in alto rispetto a loro. In
sostanza, era riuscito a capovolgere l’inseguimento. Li aveva in pugno.
“Allora... se non erro dovrebbe essere questo pulsante... Si! Funziona, AHAH!
WOHOO!”
La mitragliatrice che gli Eroi gli montarono sulla schiena sparò all’impazzata
colpendo i target rimanenti. Sull’ultimo di questi c’era Norik, che per poco
non mollò la presa.
Matau stava cercando di disattivare i comandi: nessun Eroe gli spiegò come
farlo. A dire il vero mancava ancora qualche dettaglio da rifinire.
“Li vedo!” disse il Toa del Ghiaccio ai compagni mentre stavano portando via il
cadavere di Velas. “C’è Norik sul velivolo. Dobbiamo fermarlo!”
“Cosa, Norik è sull’aereo?!” si sbalordì Onewa. “Come diamine ha fatto?”
“Ci penso io!” si propose Odis, che non appena ebbe il permesso di Nokama
generò un’ampia struttura cristalloide grazie alla quale afferrò in tempo
l’ultimo jet nemico. Per effetto dell’inerzia, il leader degli Hagah si staccò
precipitando ad alta velocità in avanti. Matau sistemò il meccanismo della
mitragliatrice in tempo e lo afferrò a pochi bios da terra. Bomonga e Pouks li
raggiunsero in fretta, dicendogli poi di aver visto da lontano la Grande Fornace
crollare.
“La lava starà seppellendo tutti ora...” si dispiacque l’Hagah della Pietra.
Vakama non reagì. Rimase insensibile, tanto che aveva perso il conto delle
inutili morti che vide da quando tornò nell’armatura Toa.
“Noi che faremo?” chiese Jakho all’amico Odis.
L’Unico replicò in automatico: “Troveremo gli altri e ci uniremo a loro. Il fatto
che la Grande Fornace sia caduta è sicuramente un buon segno.”
“Si, effettivamente era un punto focale per l’Ordine su Ta-Metru. Tuttavia non
sappiamo com’è la situazione altrove...”
“Mancano pochi distretti all’ingresso del Colosseo. Approfittiamone ora che
abbiamo la strada momentaneamente libera, ragazzi!” alzò il pugno Matau.
“No.” corresse Norik. “Converrà spostarci sfruttando gli edifici come
copertura. Ci sposteremo a nord-est ora.”
Poi guardò l’altro Toa del Fuoco, e gli chiese con il timore di come avrebbe
reagito: “Vakama, sei con noi?”
Nokama rispose al posto suo. “Sta bene, Norik. Possiamo proseguire. Nel
frattempo vediamo di radunare abbastanza Matoran per guarirli con il
marchingegno.”

Darkness perse solamente venti combattenti. I Matoran che occuparono la
Grande Fornace sembravano infiniti. La maggior parte sfruttò gli Chute per
dare supporto dalle altre regioni, e infatti apportarono innumerevoli armi
sofisticate. Per fortuna non ebbero molti Korero a ostacolarli. Gli bastò
mantenere la giusta distanza dalle sette squadre che li attaccarono.
Ahkmou e Okoth, più di tutti, provarono un’immensa nostalgia a far ritorno in
quei luoghi. La prima cosa che venne in mente al Po-Matoran furono i ricordi
della sua vita passata assieme a Nuhrii. Il caso volle che il punto da cui
garantivano l’avanzata ai ribelli era qualche piano sopra alla fucina del suo
defunto amico. Ovviamente, tra i vari ricordi, c’era anche il ritrovamento
durante l’attacco al Codrex. La Stella Rossa era appena esplosa. I cinque Metru
avevano battuto i Tumaka, rimasti al fianco del vendicativo Toa Garan. Era tutta
una miscela d’emozioni contrastanti per il Po-Matoran. Non riuscì a capire
l’affetto che a Nuhrii mancava da tanto tempo.
A volte si distaccava dai suoi pensieri per ammirare le abilità mostruose di
Darkness contro le Horomia di guardia. Ormai si sapeva, vantava di una
velocità straordinaria, oltre ai riflessi sicuramente invidiabili. Probabilmente il
Marendar era l’unico che si esentava.
Kualus invece, a differenza di Iruini ma soprattutto di Gaaki, fece il suo come
doveva. Venivano costantemente tormentati dal passato. L’oscurità
dell’Antidermis non intendeva dargli pace.
Le unità di supporto che giunsero dagli Chute confermarono la liberazione
completa di Onu- e Po-Metru. Nella regione d’acqua il fronte rivoluzionario si
bloccava al Grande Tempio, mentre a Ko-Metru furono costretti alla resa.
Chiaramente l’Ordine non si limitò ad arrestarli...
“Ho sentito anche che un gruppo di Toa ha appena superato la Tacca nel Metru
verde. Dicono che stanno iniziando a portare in salvo i Matoran.”
“Come? E dove scusa?”
“Non saprei dirtelo con esattezza. Pare che ci siano dei sistemi d’espulsione su
quest’isola e per tutti questi migliaia di millenni non ce ne siamo accorti.”
“Smettetela di parlare voi due!” li zittì quello che sembrava essere un
caposquadra dei ribelli. “A noi non deve importare a meno che non vogliamo
ricadere negli stessi errori.”
“E se invece questi fossero dalla nostra parte? E’ strano il fatto che stiano
combattendo per noi.”
“Non mi importa!”
“Ah! Sei sempre il solito, Ganaik!”

“Ganaik?” si stupì Ahkmou mentre si nascose in un angolo buio con il Maestro,


a quel punto un’abitudine. “Mica l’avevi ucciso, Darkness? Mi dissi anche di
averlo detto all’Unico per provocarlo.”
“Lo stavo solamente mettendo alla prova. Vedi, Ahkmou, gli individui che ho
avuto al mio fianco fino ad ora non li ho scelti per puro caso. Ho intenzione di
scegliere il marcio che questo mondo ha indirettamente creato in ogni sua
sfaccettatura. Così facendo posso studiarli da vicino e trovare una potenziale
cura comportamentale, o peggio. Nektann ha rappresentato l’avidità e la
visione divina che aveva nei confronti della ricchezza. Thorgai fu il primo a
capirlo. Quella codarda di Tuyet raffigurava la sete di potere, oltre al
tradimento vero e proprio. Potrei andare avanti all’infinito, elencandoti buona
parte dei Cacciatori oscuri.”
Ahkmou chiese intimorito. “E d-ditemi... qual è il peggior peccato che avete i-
incontrato fino adesso e chi ne è il suo rappresentante?”
Darkness fu diretto. “La paura... Ma non ha senso stare qui a spiegarti il
perché. Vieni, abbiamo un Colosseo da assalire...”
Passarono alcune ore. Le forze di difesa dell’Ordine arretrarono ai margini
dello stadio. Il fatto che Ko- e Ga-Metru caddero non fece altro che rimandare
la resa dell’esercito di Helryx. I ribelli riuscirono a rubare anche molti mezzi da
combattimento tra cui carri armati e unità antiaeree. I Matoran sopravvissuti
all’inizio della rivoluzione erano circa due milioni. I Korero e le sentinelle,
attualmente dimezzati, ne sterminarono a non finire soprattutto nella regione
di ghiaccio. L’unica cosa sulla quale i rivoluzionari potevano contare erano le
armi da distanza, oltre all’importante supporto degli invasori dalle isole
esterne. A causa della loro statura non potevano affrontare i nemici nello
scontro corpo a corpo.
I Toa dovettero fare di tutto per salvare più vite possibili, lo stesso per
Darkness che aveva il medesimo obiettivo. Ancora i due gruppi non si
incontrarono sul campo da battaglia. Osservando dall’alto si capiva che i Metru
e Odis erano più vicini alle porte del Colosseo rispetto all’ex Cacciatore
oscuro.
La terza ondata proveniente da Ko-Metru fu l’ultima. Ne mancava ancora una
che per il momento non uscì allo scoperto. Era tutto programmato affinché si
potessero avvicinare al distretto 5. Matau fece un giro di ricognizione, ma non
li avvistò. Diede il via libera ai compagni, dal quarto piano di un edificio. Odis
finì di radunare i cittadini che si nascosero in ogni abitazione. Vakama guardò il
fratello dal basso, annuendo con serietà.
Proseguirono sfruttando i fumi delle macerie e degli incendi come copertura.
Non potevano sapere cosa li aspettava...
Le sovrastrutture che facevano da colonne alla strada principale caddero
improvvisamente una per una. Una serie di bombe vennero piazzate prima che
i Toa potessero arrivarci.
Erano alte un decimo del Colosseo. La loro lunghezza si estendeva per tre
distretti, circa un paio di kios. In poche parole non c’era via di fuga. La
contromossa dei Metru fu automatica: rivolsero le mani in direzione degli
edifici in caduta. Una gigantesca aura arancione fu proiettata per rallentare la
precipitazione.
“Sbrigatevi!” urlò Nuju a Odis, Mazeka e gli Hagah, che passarono subito
all’azione.
Era tutta una corsa contro il tempo, che non sapevano quanto sarebbe durato.
Tutto dipendeva dalla resistenza dei sei Toa.
Anche con la velocità dei quattro Toa, però, non era abbastanza. C’era bisogno
di una mano in più.
“Ah! ... Vai M-Matau!” ordinò Nokama.
“N-non posso!”
“Vai... AGH! Ci pensiamo n-noi!”
“Maledizione!” e si staccò dalla morsa temporale.
Prese il volo per l’ennesima volta. Ciò che fece in seguito aveva dell’incredibile,
e poteva essere ricordata come una delle migliori imprese nella storia dei Toa.
I primi ammassi di macerie riuscirono a oltrepassare l’ampio scudo temporale.
La rapidità del volatore risultò utilissima, riuscendo a salvarne decine su decine
in una manciata di secondi. Era un qualcosa di sovrannaturale, e tutto senza
bisogno di poteri speciali o mezzi particolari. Solo il peso schiacciante della
responsabilità.
Ad un tratto si unì anche Vakama. Non lo disse ai suoi. Preferì lasciarli soffrire
piuttosto che vedere altre vite innocenti venire sacrificate. Fu però difficile
eguagliare il record di Matau, che in quel momento sembrava impossessato da
qualche entità.
“Bomonga, Pouks!” urlò Norik indicando in alto.
I due Hagah capirono e infilzarono le lance nel terreno, creando un tetto largo
in pietra. In questo modo coprirono i buchi lasciati da Vakama e Matau.
C’era un’intesa assurda. Tutte le abilità e riflessi dei Toa vennero messi in gioco
alla massima difficoltà.
I Matoran non sapevano da che parte guardare. Purtroppo alcuni di loro non
furono fortunati e i Toa non potevano darci grande peso per non avere un
nuovo collasso psicologico. Capitò per esempio che un braccio mozzato cadde
a due passi dalla Toa dell’Acqua.
Pianse. Doveva avere i nervi di Protoacciaio e tirare fuori l’insensibilità massima
che aveva dentro di sé, già bassissima di suo.
Infine, dopo infiniti sforzi, ci riuscirono. Al termine del salvataggio erano sfiniti.
Matau dovette faticare un’ultima volta per creare abbastanza ossigeno che
permettesse a tutti di essere sufficientemente ventilati. In caso contrario
sarebbero probabilmente svenuti.
Si lasciarono andare, sdraiandosi supini e a braccia aperte.
Vakama fissò il cielo dorato, chiedendosi quando sarebbe finita. Quanto altro
sudore ci sarebbe voluto per garantire la sopravvivenza dei Matoran?
Negò con la testa in silenzio, arrivando perfino a sorridere.
Gli sembrava di trovarsi nello strano liquido delle visioni. Ancora non smetteva
di chiedersi l’identità della voce femminile che sentiva spesso.
Poi si sentì toccare la Kanohi da dietro. Convinto che fosse Nokama o un suo
fratello, si mise seduto. “Si, si... ci sono, ragazzi.”
In realtà era un Matoran qualsiasi. Al suo fianco ce n’erano molti altri. I Toa e
Mazeka osservavano in mezzo alla folla.
Si distribuirono in massa attorno al Toa del Fuoco, facendogli capire non solo
che erano lì per lui, ma anche che avrebbero continuato insieme fino alla fine.
Lo aiutarono a rialzare, tenendolo per mano come dei bambini. Gli
asciugarono le lacrime sulla Kanohi e si prepararono a seguirlo. Non occorreva
qualche discorso speciale e motivazionale. Bastava quella corrente d’amore,
che ancora si poteva scorgere nella brutalità della guerra...
L’aiuto dei Falconi di Artakha si rivelò essenziale. Sfortunatamente l’esperienza
e i mezzi degli Eroi non poterono tornare utili. Restava un’ultima carta da
giocare, e avrebbe fatto il suo lavoro altrove. I poteri della Lancia di Rewerax,
quando Makuro scelse di oltrepassare il blocco di Solis Magna senza aspettare i
legionari, furono memorizzati nei sistemi dei dirigibili. Dunque gli Eroi erano gli
unici in grado di sorpassare la barriera interna del Flusso. In ogni caso senza
l’ingresso col corpo del Robot probabilmente non ce l’avrebbero fatta, quindi
furono anche fortunati per una volta.
Stryker, Furno, Surge, Valor e Stringer andarono in avanscoperta. Rocka, Fox e
il resto si collegarono via radio dalla base su Voya Nui. Le settimane che ci
vollero per raggiungere Mata-Metru permisero a Stryker di dirigere i lavori
grazie ai quali ampliarono l’apertura del Codrex. Così facendo garantirono
l’ingresso a più individui, e soprattutto ai velivoli.
L’avanguardia ripercorse il tunnel che i Metru intrapresero quando entrarono
nel Codrex. Dopo la solita mezz’ora di viaggio, ebbero la conferma definitiva
che non c’era nessun mantello protettivo a ridosso del Robot.
“Okay, Furno. Vi mandiamo i primi dirigibili.”
“Restiamo in attesa, Rocka.”
Nel frattempo Surge e Stringer fecero la raccolta dati, tra cui accelerazione di
gravità, composizione dei gas, registrazione delle Quaza particelle presenti ecc.
Anche loro si accorsero della grande somiglianza estetica tra le costellazioni
della Realtà del Creato e le Kanohi dei biomeccanici.
“Non ti sembra l’elmo di quella Toa dell’Acqua?”
“Intendi Nokama, Surge?” pensò Stringer.
“Si, esatto!”
“In effetti è molto strano... Ehm... ragazzi? Per caso i Toa hanno mai parlato di
esseri che popolano i cieli della Realtà del Creato? Guardate là.”
Furno si mise dal suo punto di vista, tentando di identificare la stessa cosa che
vide Stringer. Era una sorta di gigantesca nube bianca, dalle dimensioni di
un’astronave. Si smaterializzò, dividendosi in migliaia esseri. L’ipotesi che si
trattasse dei Grandi Creatori fu scartata.
Cavalcavano delle creature alate a quattro zampe ed erano dotati di lance che
si potevano allungare senza limiti...
“Rocka!”
“Furno?! Cos’è suc-”
“Siamo sotto attacco! Richiediamo rinforzi immediati!”
“Chi vi sta attaccando?!”
“Non lo sappiamo. Sembrano intenzionati a volere entrare. Sono infiniti!”
Si sentirono rumori ripetuti di spari. Stryker e Valor difendevano i tre Eroi a
bordo dei jet corazzati. I cavalieri misteriosi cavalcavano su delle scie bianche
generate dalle scintille fuoriuscenti dagli artigli delle zampe. La loro corsa nel
vuoto dello spazio era fatta apposta per far sì che durante il coordinamento
degli arti riuscissero a sfregare gli unghioni.
Chi li aveva mandati, e per cosa? Dov’erano i Grandi Creatori annunciati in
precedenza dalla Maschera della Vita?
Naturalmente la difesa dei soli cinque Eroi non fu sufficiente, anche perché non
potevano fare altro che aggirarli come fece Matau con i jet dell’Ordine, e
tentare di colpirne qualcuno quando avevano abbastanza spazio.
I cavalieri entrarono a ondate nell’apertura posteriore. Le estremità delle loro
lance agganciarono delle luci artificiali ai lati del tunnel. Per fortuna arrivarono
in tempo i rinforzi e, tra l’interno del passaggio e la schiena del Robot, si
generò uno scontro aereo senza eguali.
Dovettero stringere i denti se volevano dare speranza ai Matoran, o meglio
ancora ai sopravvissuti di Spherus Magna, la cui ristrutturazione della Stella
Rossa era nel pieno dei lavori.
Trascorse un giorno e mezzo dall’inizio della rivoluzione. Il popolo ebbe la
meglio. Persino gli occupanti di Ko- e Ga-Metru sopperirono. Krakua fu
sguinzagliato dal primo Toa per gestire la situazione, raccomandandogli però di
essere “clemente” con gli invasori esterni. Voleva dargli la concreta possibilità
di scontrarsi con lei. Hydraxon al contrario le restò accanto come uno schiavo
col suo padrone. Non sapeva che a pochi passi da lui, precisamente sulla
destra, c’era il cadavere di Turaga Dume. Helryx lo vide con la coda
dell’occhio, fregandosene altamente. Aspettava solamente che il vincitore
facesse ingresso, attendendo allo stesso tempo il fatidico arrivo dei Grandi
Creatori. La Ignika difatti non la informò della loro assenza inaspettata.
Tutto si sarebbe deciso ai confini del Colosseo. L’attacco a sorpresa che colpì i
Toa li rallentò notevolmente, dando la possibilità a Darkness di superarli. I
Korero vennero fatti ritirare apposta da Krakua per riempire gli ingressi nei
Metru di trappole sonore. Il meccanismo sarebbe partito nel momento in cui
Krakua avrebbe battuto le mani con forza, causando una propagazione sonora
devastante.
L’Iruini mutato ebbe il compito di teletrasportarsi sul tetto di un edificio poco
distante per informare poi il suo leader. Non ci riuscì però. Questo perché
iniziò ad avvertire il potere della Ignika, che come un’aura incontrastabile gli
impediva di teletrasportarsi oltre.
Darkness optò per un’opzione a dir poco matta...
Camminò coi suoi soldati verso l’ingresso più vicino. Si unirono anche i
Matoran, che all’inizio erano dieci, poi cinquantasette, trecentodue e infine
diverse migliaia. Il Destino così aveva deciso: sui milioni che imbracciarono le
armi, solamente qualche millesimo era destinato ad andare avanti. Accolsero
apertamente le idee di Darkness, arrivando addirittura a sorvolare il fatto che
Ahkmou era sotto la sua protezione. Molte furono le promesse del Maestro, a
partire da questo marchingegno che circolava nella regione dell’aria, e che i Toa
Metru stavano sfruttando per riparare le Kanohi dei sopravvissuti.
Chiaramente, quando gli chiesero chi fosse stato a procuragli lo squarcio, egli
nominò Helryx...

Krakua era circondato a sua volta da Korero. Quando vide la spaventosa
macchia armata di Darkness, provò un po’ di timore.
Le due guide si avvicinarono, mantenendo una certa distanza.
La figura corvina osservò le file di Korero, impassibili e pronti all’azione,
l’esatto opposto dei ribelli.
Krakua gli fece una domanda inaspettata: “Cosa gli hai promesso per farli
passare dalla tua parte?”
“Un nuovo mondo. Non so dirti se sarà roseo o oscuro. Sarà comunque
l’inizio di un’altra storia.”
“Sei davvero convinto che non ci saranno altre guerre, giudizi, soprusi o
violenze? Credi veramente che una figura simile ad Helryx non nascerà
nuovamente, Darkness?! Fa parte della nostra natura crescere tramite gli
errori!”
“Allora perché non ti trovi al mio fianco?”
Il Toa esitò a rispondere. Rifletté per qualche secondo. “Perchè ho paura,
Darkness, di tutti e due. Non c’è modo che io mi possa fidare ciecam-”
La mano destra si alzò senza motivo. Così anche quella sinistra. Non era lui
però a comandarle. Non c’è bisogno di dire chi c’era dietro. Voleva
intrappolare il nemico, così obbligò indirettamente Krakua a battere le mani,
quasi spaccandogliele. Le trappole entrarono in funzione stordendo molti
Matoran, qualche Skrall e persino i tre Hagahkuta, che chiudevano la fila.
Darkness rimase con le spalle al muro in così poco tempo, supportato da
appena un terzo dell’armata con la quale arrivò. Ahkmou e Okoth rimasero
nascosti nel suo mantello, come di consuetudine.
Sferrò un colpo mortale al Toa sonico colpendolo al cuore.
Sorprendentemente, non fu contagiato dalle radiazioni dorate che coloravano
l’armatura di Krakua. Sapeva che Helryx non l’avrebbe terminato così
facilmente, ma anzi che preferiva ucciderlo personalmente. Occorre ricordare
che momentaneamente la Ignika lasciò spazio libero ad Helryx, che ordinò ai
Korero attorno a Darkness di non azzardarsi a toccarlo.
La scena si trasformò in una sommossa unica tra Matoran e Rahi del primo
Toa. Si ammassarono l’uno sull’altro, senza avere la possibilità di colpirsi a
vicenda.
Giusto qualche quarto d’ora più tardi arrivarono i dieci Toa. In precedenza
svoltarono verso nord-est, imboccando la strada percorsa dall’ex Cacciatore
oscuro. Oltre a ciò fecero un’importantissima scoperta: le capsule di cui
parlava Darkness esistevano veramente. Restavano le fatidiche coordinate e
solo lui poteva dargliele...
I tre Hagah videro per primi gli Hagahkuta, ancora vivi ma incoscienti.
“Che facciamo?” chiese Pouks.
Norik non aveva nulla in mente. Teneva in braccio il corpo di Iruini, non
facendo caso all’aspetto mostruoso che aveva. Basta pensare ai suoi anni da
Rahaga, grazie ai quali si abituò all’estetica bestiale dei compagni.
Bomonga fece una proposta: “Portiamoli alla Legione di Nuiaha. Forse Rakau
potrà aiutarci.”
Poco più a destra, le trappole sonore causarono la frantumazione e la
conseguente caduta di alcuni edifici, creando una sorta di diga. Onewa si
arrampicò con l’uso del suo arnese per capire cosa stesse accadendo al di là
del muro di macerie.
“Cosa vedi, fratello?” gli chiese Matau.
“Solo un grosso polverone, e non sto scherzando.”
Il Toa dell’Aria si stranì. “In che senso?”
Onewa stava cercando di distinguere dei particolari utili in mezzo a quella
bolgia.
“Ecco, vedo Darkness!”
L’ex Cacciatore oscuro stava per entrare nel Colosseo col suo mini esercito di
guerrieri Skrall. Ahkmou era con lui, mentre Okoth si gettò in massa con gli
altri Matoran. Sfruttarono la maggioranza numerica per confondere i Korero il
più possibile, impedendogli di poterli indebolire telepaticamente.
“Separate i Matoran e radunateli!” ordinò Vakama.
“E i Korero?”
Prima di allontanarsi definitivamente, disse senza esitazione: “Uccideteli!”
Helryx li aveva obbligati a diventare e ragionare come lei. In passato non si
sarebbe mai parlato di uccidere qualcuno. La disperazione li portò a liberarsi
del dolore nell’unico modo che condannavano.
“Fermati, Darkness!” gridò Vakama alle spalle dei figli di Roxtus.
Lo chiamò a voce alta innumerevoli volte senza ricevere risposta. Darkness si
era stancato di sentire il finto eroismo dei Toa. Per un attimo ebbe la seria
intenzione di abbandonare i suoi fratelli per seguirlo all’interno dell’arena,
abbandonando la figura dell’eroe che tanto lo perseguitava.
Come un cucciolo indifeso non ne fu in grado, e tornò dai fratelli per dargli
man forte.

Non rimase nulla dei Korero. I dieci Toa tirarono fuori il peggio che potevano
dare. Anche i Matoran subirono le conseguenze a livello numerico.
I Toa circumnavigarono quattro entrate del Colosseo per radunare i ribelli.
Nel mentre i guerrieri di Darkness presero gli ascensori che conducevano
nell’arena. Helryx li aspettava impazientemente. La sua mazza e il suo scudo
erano pronti. Non voleva ancora usare la Ignika. Era convinta di potercela fare
anche da sola. Dei Grandi Creatori intanto non si seppe ancora nulla.
“Perchè ci avete portato qui, Toa?” chiese una Ga-Matoran a Nokama,
ricordandole lei quando era ancora una semplice insegnante.
La Toa si accovacciò, mettendole una mano sulla spalla. Era molto difficile
sorridere in quel momento di forte preoccupazione. “Siamo qui per aiutarvi.”
“Prendetevi per mano.” disse Vakama alla fila di Matoran dinanzi a lui. “Prima di
farvi entrare nelle capsule d’emergenza procederemo con la riparazione delle
vostre Kanohi.”
Ancora non sapevano di aver oltrepassato il Flusso. Dovevano sperare di
riuscire ad oltrepassare la barriera con le navicelle. In caso contrario, sarebbero
stati obbligati a trovare rifugio in uno dei pianeti uniti alla Realtà del Creato.
E se i Grandi Creatori, come detto da Darkness, si fossero messi sulle loro
tracce in seguito? Era troppo presto per discuterne. Non sapevano nemmeno
se l’arrivo sul suolo della Corte di Nuiaha sarebbe stato incolume.
“Bene, Mazeka, prendi pure il marchingegno.”
“Eccolo.”
“Tocca a noi, fratelli.”
I fasci di energia si unirono ancora, come fatto con successo nelle settimane
precedenti. Darkness aveva lo stesso obiettivo dei Toa, motivo per cui lo
progettò. Per primo però veniva la morte di Helryx.
Ad un certo punto la Kanohi Kahuri di Odis gli fece provare una strana
sensazione. Ebbe un gran mal di testa: stava per succedere qualcosa. La
Maschera aveva il compito di intensificare il dolore man mano che si avvicinava
alla fonte del pericolo.
La trovò subito ed era nelle mani del Toa Metru del Fuoco. Il dispositivo creato
da Darkness stava per esplodere. L’alleanza che stipulò era solo una scusa per
poter creare quella trappola mortale.

“ VAKAMA!” lo spinse confiscandogli l’aggeggio.


Provò a volare creando una colonna di cristallo rosso che cresceva
costantemente in altezza, in modo da estraniare i presenti dal raggio
dell’esplosione. Preso dall’ansia, e credendo che molto probabilmente non ce
l’avrebbe fatta, coprì la bomba con il proprio corpo, senza riuscire a
contenerne l’effetto. La luce sprigionata dalla trappola fu l’ultima cosa che in
molti videro.
Norik si sentì aprire la mano, avvertendo il peso di un oggetto. Abbassò lo
sguardo per capire cosa fosse, in quei pochi istanti di vita che gli rimanevano:
c’era la Vahi.
Gliela diede Vakama, subito dopo aver materializzato un’aura temporale
protettiva attorno ai tre Hagah e Mazeka. Il tempo attorno ai due si rallentò
per qualche secondo. Norik fu così abbandonato mentre le fiamme
dell’esplosione divoravano il corpo di Vakama, che morì al fianco dei suoi
compagni con un sorriso di liberazione in viso...
I componenti della squadra di Darkness entrarono uno ad uno nell’arena dello
stadio. Il botto che si udì all’esterno confermò a Darkness l’uccisione definitiva
dei Toa.
Helryx fu sorpresa dal piccolo numero che la raggiunse. Si aspettava
decisamente di meglio. Allo stesso tempo non vedeva l’ora di iniziare. Si
trovava ai piedi della torre dal quale si buttò Dume, in un punto rialzato che si
collegava all’arena con due apposite scalinate semicircolari che partivano ai lati.
Fece direttamente un balzo atletico, dimostrando ai presenti che si sentiva
carica. Lei e Darkness avevano molto da dirsi, ma bastò lo sguardo di sfida al
posto delle parole.
Piegò le ginocchia mettendosi in posa, e poi partì. L’attacco del primo Skrall fu
prontamente schivato e risposto con un colpo di mazza fra gli occhi. Lo stesso
anche per il secondo, il terzo e così via fino al decimo.
Si sporcò del liquido vitale di Roxtus dalla testa ai piedi.
“FATTI AVANTI, DARKNESS, E CHIUDIAMOLA QUA! QUESTO E’ SOLO
UN PICCOLO RISCALDAMENTO PER ME!” impazzì.
I riflessi le vennero in realtà donati dalla Ignika, che la guidò al 60%. Non se la
sentiva ancora di utilizzarla al massimo. Gli Skrall sapevano che nel singolo non
potevano fare la differenza. Sacrificarono le prime linee per circondarla
lentamente. Tutto stava finendo nella morsa di Darkness, che stava preparando
un attacco furtivo.

La Ignika decise di intervenire richiamando Helryx nei suoi pensieri. “ E’


ora...”
“No, aspetta! Ce la posso fare!”

“Hai un dovere, Toa Helryx. Lasciati andare... lasciati


andare...” e seguì la tentazione.
Prima abbandonò le forze. I guerrieri circostanti non sapevano se lo faceva
apposta per un’eventuale contromossa, e si allontanarono intimoriti. Una luce
intensa iniziò a splendere nel centro dell’arena. Helryx e la Ignika, a qualche
centimetro dal suo viso, si sollevarono in aria finché tutto ciò che li attorniava
divenne bianco. Non esisteva più l’ombra.
Ed ecco che iniziò l’ennesima strage. Vedendo solamente bianco, sentirono la
mazza del primo Toa schiacciare le teste Skrall a non finire. Anche se Darkness
avesse avuto ancora i poteri dell’oscurità donatagli dalla Lancia di Teridax, non
sarebbe stato comunque possibile contrattaccare.

Al dolore dei guerrieri di Roxtus si aggiunsero le risate fuori di senno della Toa.
Fu una carneficina senza tregua.
Per la Ignika poteva bastare: qualcuno trafisse la Toa alle spalle. Il responsabile
era potenzialmente meno pericoloso persino di Ahkmou, ovvero Hydraxon.
Helryx si accasciò a terra. La luce generata dalla Maschera della Vita svanì
completamente. Ognuno dei presenti dovette attendere qualche minuto per
riottenere la vista, riuscendo a distinguere i primi colori.
Non disse nulla all’agente dell’Ordine. Afferrò la mazza con rabbia e lo prese
sulla tempia quasi uccidendolo. Poteva sicuramente metterci più forza, ma
preferì risparmiarla per il resto dei nemici.
Continuò con tutto ciò che le rimase. Prima o poi però avrebbe dovuto
cedere, e ciò avvenne molto prima della sua previsione.
Le mancava il fiato. Il liquido vitale non era sufficiente per garantire gli scambi
gassosi con le parti organiche. Si mise in posizione supina tirando l’ultimo
respiro. A pochi passi c’erano Ahkmou e, ovviamente, Darkness. Tuttavia, non
spettava a quest’ultimo il colpo di grazia.
“Coraggio, Ahkmou.” disse difatti il Maestro al proprio allievo. “Prendi la sua
arma.”
Il Po-Matoran tornò in pochi secondi come quello di una volta, impaurito e
tremolante. D’altronde però era lì per quello e Okoth si avvicinò per
ricordarglielo, partendo dal suo isolamento volontario dopo la caduta di Wha-
Nui.
Uccidere Helryx significava uccidere Gildas, squartato vivo dalla potenza
dell’Essere dorato. Significava anche uccidere i Toa Metru per come lo
trattarono, i Matoran che lo picchiarono al termine della Guerra del Destino, e
soprattutto i suoi vecchi “amici”, in particolare Nuhrii.
Non si trattava di vendetta, ma di un vero e proprio rito per spazzare
concretamente i propri ricordi negativi, ciò che lo bloccavano continuamente
causandogli nient’altro che paura. Ne era quindi lui il vero rappresentante
secondo Darkness. La identificò come un peccato a tutti gli effetti, dal quale
nascono egoismo, fame e, conseguentemente, sopravvivenza. Insomma era
giustificato, non secondo le idee del Maestro.
“Forza, afferrala.” lo spronò nuovamente.
La mazza pesava parecchio, e non perché il timore raggiunse il livello massimo.
Nessun essere normale poteva brandire quell’arma così facilmente secondo
Ahkmou.
La caricò sulla spalla destra, barcollando. Non se la sentiva a dire il vero. Gli
Skrall lo incitarono a lungo, cantando una canzone nella loro lingua originale. E
lentamente quelle melodie si tramutarono in voci tenebrose che lo spinsero a
commettere l’omicidio.
La visione futura di Gaaki, caricata sulle navicelle d’emergenza con gli altri due
Hagahkuta, si dimostrò un bluff. Questo perché Darkness sfidò il Destino dal
giorno in cui la Stella Rossa esplose. Le varie teorie che spiegò ai Toa erano
falsità che raccontò per una causa più grande di ognuno di loro.
“Un momento...” disse al Po-Matoran pronto ad andarsene. “C’è ancora una
cosa da fare.”
“Eh?”
“Tagliale la testa. E’ una promessa che ho fatto a loro.”
Ahkmou si guardò in giro alla ricerca di un oggetto affilato. La mazza di Helryx
ovviamente non poteva tornargli utile, al che si sentì toccare la spalla dal
Maestro, che pacatamente gli consigliò: “Prendi il tuo coltello, Ahkmou.
Questa è l’occasione di cui ti ho sempre parlato da quando te lo regalai.”
I cori degli Skrall aumentarono d’intensità nel momento esatto in cui il Po-
Matoran la sollevò in aria, bagnandosi del liquido vitale dorato.
Mancava la Ignika, ed ecco che ci fu un nuovo colpo di scena: il Marendar si
presentò sbucando dal nulla, tenendo in mano la grande Kanohi che cadde a
pochi passi. Da poco aveva concluso l’uccisione di Toa Krakua.
“Lasciala...” disse Darkness con una schiera di guerrieri minacciosi alle sue
spalle.
All’improvviso, i Korero sfondarono gli ingressi provenienti da Ga- e Ko-Metru,
mentre dall’altra parte irruppero i Matoran che vinsero nei restanti distretti.
Gli Skrall si disposero in cerchio automaticamente. La macchina anti-Toa
ignorò la situazione, incamminandosi per raggiungere la torre del Colosseo con
l’intento di raggiungere il processore del nucleo.
All’improvviso qualcosa gli afferrò la gamba da dietro: Hydraxon.
“Non andare, chiunque tu sia! Avverto il potere della Ignika dai tuoi passi! Ti
prego, aiutami a liberarmi di questo dualismo interiore! E’ il vero motivo per
cui ho cercato la Maschera fino ad oggi. Mi ha detto che sarei stato io ad
uccidere Helryx quando sarebbe giunto il momento, ma non mi ha ancora
ricompensato. Lasciami vivere i miei ultimi secondi da Hydraxon...” gli occhi
divennero rossi. “...e da Dekar.”
Le due coscienze parlarono distintamente. Il radar del Marendar non rivelò
nessun pericolo. Non era un Toa, anche se aveva qualcosa a che fare con i
Matoran. Decise dunque di accontentarlo, senza proferire parola.
Lo toccò con la Kanohi leggendaria ed ebbe una strana apparizione...
Una cella buia ed umida. Al suo interno alloggiavano due individui, Hydraxon e
Dekar. La stanza era illuminata da una piccola luce che si accendeva a
intermittenza senza un ordine preciso. Erano molto deboli a vedersi. Il
Matoran era seduto a terra, appoggiato al muro, mentre Hydraxon stava in
piedi che osservava la brillantezza proveniente dall’unica finestra presente con
le sbarre. Entrambi però non riuscivano a vedere sempre quella strana luce, e
quando uno la vedeva al contrario dell’altro lo scansava violentemente
tirandogli calci e pugni. Ecco come la personalità dei due cangiava
irregolarmente.
Nel mondo reale, l’agente si mise a sbracciare agonizzante in mezzo alla lotta
tra le tre armate.
Poi smise di colpo sdraiandosi dolcemente a terra, recitando delle parole
solenni: “Non sento più nulla... Quelle voci... se ne sono andate. Ora sono uno.
Grazie... grazie...”
Dekar tornò nelle sembianze di quando abitava Mahri Nui. Hydraxon al
contrario si dissociò tornando una triste armatura vuota e arrugginita,
depositata al fianco del Po-Matoran. Il suo desiderio venne finalmente esaudito.
La guerra all’interno dell’arena si intensificò col passare dei minuti, così come i
combattenti che aumentavano a dismisura. Il Marendar non aveva nulla a che
farci e scappò allontanandosi con la Ignika. Questo Darkness non lo poteva
accettare, non sapendo cosa avrebbe combinato con essa e si lanciò
all’inseguimento, che sarebbe proseguito guarda caso nel processore del
nucleo.
Ahkmou gli strattonò il mantello. “Voglio venire con te! Finiremo tutto questo
insieme, fino alla fine. Me lo hai promesso!”
Darkness sospirò accovacciandosi in mezzo alla mischia. Accarezzò dolcemente
la Kanohi del Matoran. “No, hai già fatto la tua parte. Raggiungi il porto e
recati su quest’isola...” gli consegnò una piccola mappa progettata nelle
settimane precedenti. “Fai in fretta. Questo odio che ci circonda non ti
appartiene più. Non meriti di vederlo più di quanto io ti abbia già costretto.
Vattene ora...”
Iniziò la fuga del Po-Matoran. L’immagine del Maestro si dissolse man mano che
si allontanava da lui. I Korero e addirittura qualche Matoran che aveva lontani
ricordi di lui lo riconobbero, dandogli la caccia.
Ahkmou si fece spazio tra i soldati urtando e spintonandoli con foga. Gli occhi
erano spalancati e intrisi di paura. I Matoran che erano ancora ammassati
all’ingresso in attesa di entrare per supportare i loro compagni si stranirono
nel vederlo correre controcorrente.
Alla fine riuscì ad uscire.
I guai però non erano ancora finiti poiché la battaglia all’esterno della fortezza
circolare non era ancora terminata. Anzi, si propagò nei quartieri più vicini allo
stadio.
“Coraggio, Ahkmou.” si disse.
Saltò dalla cima di una scalinata cadendo volontariamente in sella ad uno Sand
Stalker, e cavalcando tra i bombardamenti che perseguitavano Le-Metru. La
fortuna gli durò giusto qualche decina di minuti, quando un enorme edificio
crollò tagliandogli la strada facendolo svenire.

Un piccolo fischio disturbò i suoi impianti acustici. Non aveva ancora la forza di
aprire gli occhi. Poi questo divenne sempre più forte, tramutandosi in una
piccola e deliziosa voce, quella di Okoth.
“Ahkmou! Ahkmou, svegliati!”
Aveva perso il conto delle volte in cui la Ga-Matoran si presentò in suo
soccorso. Non si chiese nemmeno come l’avesse trovato, o se sapeva dell’isola
indicatagli dal Maestro. Era semplicemente felice.
“Eccolo!” gridò un Ko-Matoran che rincorse Ahkmou da quando questo lasciò
il Colosseo. “Ammazziamolo, ragazzi!”
Okoth d’istinto lo sollevò da terra con tutta sé stessa. I due fuggirono
all’interno degli edifici, non avendo altri ripari dietro ai quali rifugiarsi.
Sembrava di vedere due esperti nella corsa acrobatica, talmente lunghi furono
gli anni d’addestramento come spie.
“AAAAAHHHH!!!”gridò improvvisamente il Po-Matoran dopo che una trave
gli crollò addosso.
La gamba sinistra era bloccata e assottigliata violentemente da quel peso
impossibile da sollevare. Okoth andò nel panico mettendosi a piangere, non
facendo altro che darsi colpe continuamente.
“SMETTILA DI FRIGNARE!” gli disse con la furia tipica del defunto Tobduk.
“LAMENTARSI NON TI DARÀ NULLA, LO VUOI CAPIRE?! NON HAI
PROVATO ABBASTANZA DOLORE DA CAPIRE CHE DEVI REAGIRE
QUANDO TI TROVI IN QUESTE SITUAZIONI?!”
“Ahkmou... io non volevo...”
“Taci! Hai parlato abbastanza. Prendi questa mappa e scappa!”
Okoth la prese, ma non ebbe il coraggio di muoversi. Le gambe e le mani
tremavano.
“TI HO DETTO CHE TE NE DEVI ANDARE! PRESTO SARANNO QUI!”
La Ga-Matoran uscì senza proferire parola, e tornò qualche minuto più tardi
con un Sand Stalker. Legò la corda al ventre dell’animale, mentre l’altra
estremità venne fatta passare da un supporto circolare posto sul soffitto della
stanza, terminando sulla trave che bloccava il Po-Matoran.
Okoth, amante dei Rahi dai suoi tempi lontani su Metru Nui, tirò uno schiaffo
sulla coscia posteriore dell’animale obbligandolo a sollevare la trave. Una serie
di rumori provenienti dall’altra stanza fece capire a loro che gli inseguitori li
avevano trovati.
“Dammi il lanciatore!” le ordinò Ahkmou dolorante.
Anche se gliel’avesse dato, non era comunque nelle condizioni di prendere la
mira. Poteva anche colpirla senza accorgersene.
La Ga-Matoran lo caricò in sella facendolo partire contro la sua volontà.
“NO, OKOTH!!!”
Lei sorrise, accettando la sua ultima responsabilità. I cacciatori di Ahkmou
entrarono facendo irruzione, ed uccidendo la Matoran senza pensarci troppo.
In quel momento, il cuore del presunto Erede si fermò. Non provò mai una
simile agonia.
Mentre cavalcava verso il porto di Le-Metru, gridava a braccia aperte
guardando il cielo oscurato dalle nubi:

PERCHÉ!? PERCHÉ FA COSI’


MALE?!?!?!”
“Com’è la situazione?” chiese Gobbs a Fox.
“Abbiamo perso le comunicazioni da poco. Che io sappia li stanno respingendo
dal tunnel che comunica con la schiena del Robot.”
“Ma cosa sono? Dalle immagini non sembravano creature registrate nel nostro
database.”
Fox negò con la testa. “Non so davvero cosa risponderti. Voglio andarmene il
prima possibile da qui.”
“Movimento da terra!” riferì ad un tratto Sadar con un rilevatore speciale.
“Viene dal Codrex!”
“Dacci maggiori dettagli.” affermò il capo del Recon Team.
“I segnali sono infiniti. La distanza sta diminuendo velocemente. Arrivano!”
I membri della base adiacente al Codrex corsero ai posti di combattimento. Le
armi furono caricate, così come i cannoni. A quanto pare la battaglia nei cieli
della Realtà del Creato si era conclusa, anche se non sapevano che i dirigibili
guidati da Stryker, Furno, Surge, Breeze, Stringer e Rocka riuscirono a fuggire
oltrepassando il Flusso. A bordo contavano nove decine di soldati Hero, tutti
diretti verso il pianeta 1210, Spherus Magna.

Il viaggio nel cosmo durò sei ore. Gli avvenimenti che ebbero luogo nella testa
del Robot erano appena terminati, e necessitavano a tutti i costi di sapere
com’era andata.
Intravidero nel mezzo dello spazio un loro ripetitore di frequenze che fungeva
anche da satellite. In passato ne distribuirono molti in giro per la galassia.
“Surge.” disse Furno. “Cerca di collegarti con la base di Voya Nui. Vedi se ci
sono novità.”
Dopo qualche minuto, l’Eroe dall’armatura blu spiegò che non era possibile.
“Le onde radio T6 non sono riuscite ad oltrepassare la membrana del Flusso, e
neanche le K87. Mi dispiace.”
Rocka abbassò lo sguardo, facendosi prendere dalle sue paranoie. Era difficile
essere ottimisti in quel momento così delicato.
“E va bene...” rispose. “Non ci resta che proseguire. Stryker, continuiamo pure
sulla nostra rotta.”
“Subito, signore.”
Furono molto fortunati a non sapere cos’era successo: gli Eroi rimanenti, i
Parenga, Varian e tutti gli altri individui che si trovavano all’esterno di Mata-
Metru vennero sterminati appositamente dalle creature che popolavano lo
spazio della Realtà, fuoriuscendo dal buco creato dalle trivelle Hero.
Persino i Matoran che abitarono il villaggio innevato di Turaga Kopeke, morto
diversi mesi prima, furono uccisi senza pietà.
Ad averli mandati furono proprio i Grandi Creatori. Ecco perché la Ignika disse
ad Helryx che tutti coloro che non vennero contenuti nella nuova cupola della
grande metropoli sarebbero morti.
Ma a quale scopo?

Takanuva era seduto a riflettere. Di fronte a lui l’intera popolazione Agori e
Matoran stava lottando contro il tempo per terminare la ricostruzione della
Stella Rossa. C’era un valido motivo per cui si isolò invece di aiutarli. Chiamò
Hauran a parlare urgentemente con lui.
“Eccomi, Takanuva.”
Il Toa della Luce andò al punto. “L’altro giorno mi trovavo in una delle sale del
tuo laboratorio...”
Dalla sua sacca estrasse una Kanohi della Chiaroveggenza. “Ti dice qualcosa?”
Hauran non parlò, capendo che si riferiva al cadavere di un Toa che Takanuva
trovò nello studio.
“Allora? Era per caso uno degli individui bloccati sulla Stella Rossa? O forse c’è
altro che devo sapere.” aggravò la voce cercando comunque di mantenere la
calma.
La spiegazione del Grande Creatore lo spiazzò: “Non l’ho ucciso io. Lo trovai
qualche mese prima del nostro incontro a sud della foresta di Tesara, in quelli
che sembravano i resti di una cittadella abbandonata. Presentava tecnologie
particolari. Impossibile che si trattasse di qualche villaggio, anche considerando
le armi contenute nei magazzini.”
“Nuova Daxia...” ragionò Takanuva inquietandosi. “Vorresti dire che facevano
esperimenti sui Toa?”
“Non mi importa sinceramente. Sappi solo che le macchine alle quali trovai il
cadavere attaccato mi ricordavano quelle sfruttate dalla Legione di Nuiaha.”
Takanuva ragionò a lungo. L’unico che poteva replicare delle tecnologie così
sofisticate, e che nessun altro biomeccanico conosceva così a fondo, non
poteva che essere Artakha. Effettivamente quando ci fu la costruzione di
Nuova Daxia fu ospitato assieme ai suoi aiutanti nel quartiere occidentale della
fortezza, dove proseguì degli esperimenti super segreti.
Che cosa c’entrava un Toa dotato della Maschera della Chiaroveggenza?
Inoltre, non poteva nemmeno avere a che fare con la Vahi siccome, secondo
Hauran, le ferite riportate dal Toa risalivano a centinaia di anni prima.
Insomma si aggiunse un nuovo mistero, ma allo stesso tempo un motivo in più
per cui appoggiare Hauran, che se ne uscì dal nulla con una domanda piuttosto
insolita: “Perchè si sono fermati?”
Takanuva si accorse che tutti i lavoratori abbandonarono gli attrezzi guardando
in cielo.
Si affacciarono uscendo dalla caverna sul rilievo, e osservarono l’arrivo di alcuni
velivoli a loro sconosciuti. I radar permisero a questi di rilevare le uniche forme
di vita presenti nel pianeta, concentrate tutte in quel misero punto disperso
nel deserto.
“SONO EROI!” lanciò l’allarme un Agori.
“Che siano venuti a salvarci?” disse per assurdo un Ta-Matoran.
“Tarix! Chiama Ackar! Digli di raggiungerci il prima possibile!”
“Sì, Kiina!”

Furno e Rocka scesero senza una scorta in mezzo al deserto, a qualche
centibio dal rilievo di Hauran. Si sapeva, non avevano intenzioni guerrafondaie.
Il problema era farlo capire ai popolani di Spherus Magna.
L’ex capo dei Villaggi Uniti arrivò con una legione armata anticipando Hauran e
Takanuva.
L’Alpha leader dall’armatura rossa alzò le mani, mostrandosi comunque severo.
“Abbassate quelle stupide armi, Glatorian! Siamo qui per voi!”
“Ci mancava solo questa!” caricò il colpo un Agori di Tesara.
“TACI!” rispose Ackar. “E’ da quando siete arrivati che si è rotto l’equilibrio
del post-guerra. L’intero Circolo era in via di ricostruzione, e voi con i vostri
Checkpoint avete inquinato la nostra patria!”
La Signora della Sabbia e quello del Ghiaccio volevano interromperli per sapere
che fine avessero fatto i loro “compagni”.
“Noi rimpiangiamo tutto questo!” replicò Rocka. “Siamo stati ciechi per
servire il nostro padre creatore, che abbiamo scoperto essere in realtà un
Grande Creatore sotto copertura.”
Hauran, arrivato da qualche attimo, si incuriosì. “Di chi parli, Eroe?”
“Velika. Lo conosci?”
“Velika?! Ovvio che lo conosco. Fu uno dei diciotto. Nessuno di noi è mai
riuscito a scoprire il suo vero nome. C’è molto da dire su di lui...”
“Temo che non abbiamo tempo.” parlò Breeze tramite il comunicatore della
nave alle loro spalle, spaventando qualche Agori che sicuramente non se
l’aspettava. “Prima di entrare nel sistema di Solis Magna, abbiamo constatato che
l’aspetto di Spherus Magna è molto differente dall’ultima volta.”
“Per forza!” protestò Tarix. “Il Robot era l’unica fonte d’energia rinnovabile
per il pianeta. Solo Mata Nui sa dove ve ne siete andati!”
Hauran gli rispose facendo al tempo stesso una domanda agli Eroi. “La Realtà...
del Creato?”
“Come sarebbe a dire?” si intromise Takanuva. “Mica era una dimensione
parallela?”
“No.” precisò il Creatore maledetto. “E’ un pianeta che la Ignika creò a causa
di un incidente. Fu un raggio che essa sprigionò colpendo qualcosa che stava a
distanza di molti anni luce da Solis Magna. Iniziammo a farci qualche domanda
quando la stessa sostanza che scoprimmo, il Protodermis energizzato, iniziò a
piovere dal cielo tramite dei meteoriti. All’inizio credemmo si trattasse di un
ciclo naturale, come quello dell’acqua, ma capimmo subito che non proveniva
dall’atmosfera. Cercammo di rintracciare la fonte di Protodermis, scoprendo
per primo che non era contenuto nel nostro sistema solare. Infine trovammo
questo nuovo pianeta, circondato da una barriera che solo la Ignika, in quanto
sua creatrice, poteva oltrepassare. Per raggiungerlo rischiammo molto,
siccome ci sono tutt’ora un’infinita serie di anomalie spaziotemporali causate
dalla Kanohi. Pensate ad una sorta di campo minato. Tutti gli universi paralleli
di cui parlate non sono altro che mondi creati dalla Realtà del Creato
perché...”

BOOM!
E subito dopo ne sentirono un altro più forte del precedente.
Le esplosioni del nucleo planetario iniziarono senza tregua. Era questo ciò che
gli Eroi volevano dire fin dall’inizio. I sopravvissuti lo sapevano già, ma non gli
venne detto che, secondo i pochi dati che gli Eroi raccolsero, sarebbero
iniziate da lì a breve.
“Tutti sulla Stella Rossa!” ordinò Takanuva.
“Ma, Takua, non siamo riusciti a finirla!” spiegò Uxis nel panico. “Non ci sono
posti a sufficienza per tutti!”
Anche gli Eroi avevano un limite, siccome si aspettavano di raggiungere il
pianeta con maggior personale, che venne però sterminato dai cavalieri
misteriosi.
Era una situazione altamente instabile. Il tempo non smetteva di correre.
Potevano benissimo saltare in aria da un momento all’altro. Occorreva
ragionare: di sicuro non potevano sacrificare Hauran, il quale aveva l’obbligo
morale di fargli da guida per il nuovo viaggio che li avrebbe attesi. Lo stesso per
Takanuva che sapeva come regolare il marchingegno che gli permetteva di
rintracciare gli agenti (ex) dell’Ordine.
Takanuva si sentì toccare la spalla da Ackar, che disse con calma: “Resteremo
noi qui. Tu va’.”
“Stai scherzando, vero?!” esclamò Lesovikk.
Il Glatorian alzò la voce rivolgendosi agli Agori. “Figli di Spherus Magna! Nelle
vostre mani c’è una scelta importante da fare. Gli Eroi vi aiuteranno con quel
che possono a raggiungere la salvezza altrove. Non tutti però potranno farcela.
Vi chiedo non da vostro capo, ma da vostro compaesano, commilitone,
compagno, fratello... di scegliere per voi. Decidete in fretta. Per coloro che
opteranno la fuga, sappiate che il vostro non sarà mai un gesto da codardi. Voi
porterete alto il ricordo di questa terra, la nostra terra! E sono sicuro che in
futuro combatterete non più per il vostro nome, ma per la patria che vi ha
cresciuto fino ad ora.”
“Anche i Matoran faranno lo stesso!” si indispettì il Toa.
“No, Takanuva. Quello che ti sto offrendo è il mio perdono, e allo stesso
tempo le mie scuse. Che questo giorno sancisca definitivamente la fine della
Guerra fra le nostre razze. Volendolo o no siamo tutti figli di questo mondo.
Noi però ci siamo cresciuti, l’abbiamo protetto, sentiamo ancora la sua voce
che parla tramite la brezza mattutina. La vostra pace invece potrete trovarla
solamente altrove. Andate ora, ve ne prego.”
Takanuva lo abbracciò, ritrovando in lui il calore amoroso che solamente Jala
poteva offrirgli. Il resto dei Matoran lo seguì.
Non erano altro che individui erranti in quella tappa di storia...
Gli Eroi agganciarono in poco tempo i dirigibili alla Stella Rossa, che purtroppo
non poteva ancora funzionare autonomamente.
Salparono da terra, osservando Ackar, Kiina, Kizu, Tarix e gli Agori per
un’ultima volta. La Glatorian di Tajun e il veterano di Vulcanus si presero per
mano accettando la loro sorte. Non a caso, non ci fu nessuna protesta da
parte loro. Probabilmente si erano anche stancati di rincorrere un destino che
non gli apparteneva. Pochi inoltre furono gli Agori che abbandonarono il
pianeta, convinti che un giorno sarebbero riusciti ad abitare un nuovo mondo.
Ma la sfortuna giocò un’altra carta, impedendogli di scappare. L’esplosione
dell’intero pianeta li inghiottì prima che potessero allontanarsi a sufficienza...
Hauran e gli Elementali furono così lasciati per sempre da quella speranza che
li teneva legati al Robot (e anche da quella piccola sete di potere che li nutriva
ogni maledetto giorno). Takanuva e Lesovikk divennero tristemente gli ultimi
Toa che il sistema di Solis Magna ospitò. Il loro ricordo, assieme a quello degli
Eroi, si spense come una misera stella dispersa nell’universo.
Il Colosseo continuò a venire travagliato dallo scontro dei tre eserciti. Non
sembrava voler raggiungere una tregua. Da una parte i Matoran stavano dando
tutto per congiungersi con i propri simili all’esterno della struttura, coadiuvati
da Mazeka. Le prime capsule d’espulsione vennero attivate, e si allontanarono
nel cosmo che componeva il Flusso. Gli Skrall non potevano che sperare nella
riuscita di Darkness, così da poter scrivere dei nuovi capitoli nel futuro che li
avrebbe attesi. I Korero invece erano senza un vero leader. La morte di Helryx
causò in loro un forte disturbo emotivo che non gli permise di concentrarsi
adeguatamente mentre utilizzavano il potere psichico.
Okoth morì come tanti altri quel giorno, che fossero su Mata-Metru, nelle
isole o su Spherus Magna. La fine di Ahkmou, sapendo che i cavalieri erano
ancora in circolazione nei cinque arcipelaghi alla ricerca di superstiti, rimase un
mistero.
Darkness se ne infischiò. I millenni passati nella sua stessa ombra lo abituarono
a tutto quell’odio, che tentò forzatamente di ficcare nella testa del presunto
Erede dell’Antidermis. Si rivelò un fallimento. La profezia, nonché un piano
sfruttato inutilmente dalla Ignika in seguito, fu spezzata dal suo coraggio.
Mancava la morte dei Grandi Creatori per completare la lista dei suoi obiettivi,
e l’avrebbe fatto con l’uso del Robot o della Ignika contro di essi. Purtroppo,
come ben sappiamo, intervenne il Marendar, il quale si fece inseguire
dall’ombra dell’Oscuro fino al processore del nucleo, dove si tenne una
battaglia spaventosa fra i due. Gli Hagah furono gli unici a contemplarla quando
arrivarono in grande ritardo. Tra le mani di Norik c’era la leggendaria Maschera
del Tempo, donatagli da Vakama assieme ad alcune parole che però non finì di
dire...
Lui, Bomonga e Pouks erano gli ultimi Toa che “abitavano” la testa del Robot,
destinato a fare ritorno nella Corte di Nuiaha dove lo attendevano i legionari,
inclusi i Toa Nuva, Varises e, naturalmente, Artakha. I due abitanti dell’isola del
Grande Essere dissociarono i loro spiriti poco prima dell’arrivo dei cavalieri
alati, riunendosi con i corpi che regnavano nel quartier generale di Rakau.
Lo stile di combattimento di Darkness si completava se messo a confronto con
le abilità del Marendar. La sua elasticità si rivelò piuttosto utile contro la
velocità repentina della macchina. Era quasi un peccato interromperli. Si poteva
solamente imparare.
La Ignika restò a terra nel centro dell’aula. Essa era il vero oggetto che i due si
stavano contendendo con così tanta ossessione.
Tuttavia, le intenzioni del Marendar non vennero mai rivelate. Un mistero quasi
impossibile da decifrare...
Darkness capì che lo scontro sarebbe finito con uno dei due che avrebbe
ceduto per mancanza di forze, e sarebbe stato chiaramente quello con la
componente organica in corpo. Solo la Ignika poteva aiutarlo, ma valeva
davvero la pena rischiare di farsi corrompere per un nemico qualunque?
Non ebbe scelta. Si lanciò con un balzo in avanti per afferrarla. Il Marendar fece
lo stesso, toccandola nello stesso istante dell’ex Cacciatore oscuro. Come
accadde con Hydraxon, si aprì una nuova visione. Questa volta era Helryx la
protagonista.
Era completamente spogliata delle sue armature e legata agli arti con delle
catene che sembravano terminare in una sorta di manto di luce e ombra allo
stesso tempo, il quale faceva da sfondo decorativo all’apparizione. Tale era la
sorte che la Toa fu costretta ad accettare nell’esatto momento in cui la Kanohi
le ordinò di toccarla, quando Hauran stava per conquistare la Corte di Nuiaha
grazie all’aiuto degli Elementali. I ricordi di Helryx iniziarono ad affiorare senza
un ordine logico.
“C’è... c’è qualcuno?” alzò improvvisamente la testa, avendo la sensazione che
qualcuno fosse lì con lei.
“MI SENTITE?! ... RISPONDETE! ... LO SO CHE SIETE LI’!”
Non si poteva non provare pietà dinanzi uno spettacolo simile. In altre parole,
quella che combatterono fino a qualche ora prima non era la vera Helryx, ma
una stupida replica che la Ignika creò a partire dal suo corpo, imprigionato in
quell’incubo reale.
“Chiunque voi siate, vi prego, datemi la vostra mano. Tiratemi fuori da qui.
RIPORTATEMI NELLA REALTA’!”

“Eccoli!” esclamò Pouks entrando con i due Toa. “Ma che stanno facendo?”
“La Ignika li ha bloccati. Occorre stare attenti.” si augurò Bomonga. “Si
deciderà tutto adesso, fratelli.”
Darkness era in procinto di porle la mano, spinto da una piccola percentuale di
compassione che aveva ancora dentro di sé, non sapendo però che se lo avesse
fatto avrebbe scambiato la sua coscienza, e di conseguenza il suo corpo, con
quella della Toa. Una forza esterna glielo impedì, tirando fuori sia lui che il
Marendar in un battibaleno, condannando il primo Toa per l’eternità...
I cinque combattenti furono scaraventati contro la parete che scontornava il
processore.
Si rialzarono con molta fatica. Nel farlo, il Marendar premette accidentalmente
una fessura che Helryx non riuscì mai a decifrare. Una nicchia nel muro si aprì,
mostrando un equipaggiamento speciale che, a giudicare dalle dimensioni e
dalle fattezze, sembrava fatto appositamente per lui. Le iscrizioni riportate
avevano gli stessi caratteri che i Metru e gli Eroi trovarono nei dipinti sui Rahi
all’interno del Codrex. Erano fatte apposta per venire decifrate sì dai due
Glatorian, ma anche dal Marendar che scoprì il passo che seguiva l’uccisione
dei Toa.
“Io posso... posso pilotare il Robot?!” affermò senza fare caso ai nemici.
Darkness era senza parole.
Le istruzioni riportavano dell’altro: “Lo sterminatore di Toa dovrà essere
prelevato da Spherus Magna. I due Glatorian, Corias e Melenius, potranno rimanere
nel loro pianeta, affidando il controllo del Robot al Marendar per il ritorno definitivo
nella Realtà del Creato grazie ad una copia delle due chiavi kī. Esso aiuterà la
Ignika a riparare le devastazioni del Tutto a bordo dell’Universo Matoran, oltre che
difenderla dalle possibili minacce esterne o interne, inclusi i Toa...
Un nuovo comando lo incuriosì, e lo premette per sapere di più. Da un angolo
della parete uscirono quelle che sembravano essere due capsule d’espulsione,
programmate apposta per Corias e Melenius. Non era di certo una notizia
positiva per i tre Toa, nell’ipotetico caso in cui fossero stati obbligati ad
utilizzarle.
C’era anche una strana serratura che poteva essere aperta con questa chiave
kī. In realtà il Marendar sapeva di averla di suo, custodendola gelosamente in un
residuo refrattario che fu posto all’interno delle sue costole, e che Darkness
cercò più volte di aprire in passato. Fino a quel momento, però, non sapeva a
cosa servisse.
Ora invece si...
Norik si stancò di aspettare un altro colpo di scena. “Attaccate da entrambi i
lati! Penserò io alla Maschera della Vita. Nessuno di loro dovrà uscire vivo
oggi!”
“D’accordo!” ribatterono in coro.
Toa contro Marendar. Vahi contro Ignika. Dovevano dare il massimo o non ci
sarebbe stata una seconda occasione. Ne valeva del futuro di molti.
La macchina bionica ebbe grandi difficoltà contro i poteri del Tempo comandati
dal Toa del Fuoco, l’unico vantaggio che teneva i tre Hagah ancora in vita. La
velocità di Darkness, una delle armi migliori di cui disponeva, gli venne tolta
non appena cominciò la lotta.
“Tenetemelo a bada, penserò io al Marendar!”
Norik caricò di lava la lancia, girandola in continuazione per scatenare una
pioggia magmatica. Pouks si allontanò per un istante dall’avversario per
infondere delle rocce nell’attacco elementale. La creatura robotica fu aiutata
dall’Araidermis affilato. Non aveva il tempo materiale per sfruttare il fucile in
sua dotazione. Sarebbe stato un inutile e rischioso spreco.
“CHE COSA FATE?!” urlò Darkness dopo che lo bloccarono. “Dovete mettere
la Ignika nella macchina se non volete schiantarvi sul suolo della Corte, o
peggio ancora contro la fortezza!”
Norik pensava solo a rispondere agli attacchi del Marendar. Senza la Vahi
sarebbe stato praticamente impossibile. Già di per sé rischiò non poche volte.
Darkness prese la lancia di Bomonga e lo bloccò facendo pressione col manico
sul collo, al punto da farlo quasi svenire. Pouks intervenne generando una
roccia al posto del pugno con il quale lo prese in pieno viso. Il Maestro perse
solamente l’Equilibrio. Bomonga ebbe abbastanza spazio da girare la presa per
poi lanciarlo con tutta la sua forza all’interno di una delle due capsule.
“Attivala, Pouks!”
“Si!”
Come risultato di ciò, la navicella fu espulsa migliaia di kios prima dell’arrivo a
destinazione. Non rientrò nemmeno nel campo gravitazionale del pianeta,
finendo disperso nello spazio anomalo...
Norik era ancora nel pieno del conflitto. Il Marendar non intendeva dargli
tregua, un gesto classico da parte sua. I fratelli della Terra e della Roccia
giunsero in soccorso per ucciderlo definitivamente, ma sfortunatamente
qualcosa impattò sulla testa del Robot. Era una meteorite, il primo di uno
sciame che da lì a poco avrebbe investito l’intero gigante.
“Svelti, vicino a me!” comandò Norik.
Il Toa li abbracciò calorosamente, quasi facendoli sentire a casa.
Negli anni precedenti ci misero troppo per cercarne una. Scoprirono infatti
che l’amore reciproco era il vero rifugio nel quale potevano recarsi quando
stavano male.
Un’aura temporale protesse i tre senza dare la possibilità al Marendar di
entrarci. Nei secondi a venire, furono colti da un terremoto continuo, che li
fece sbattere da una parte all’altra in continuazione, senza però riuscire a ferirli
minimamente.
Funzionò alle perfezione, nonostante fosse la prima volta che il Toa del Fuoco
sfruttò i poteri della Vahi. Sapeva di avere un compito troppo importante da
portare a termine, oltre al salvataggio dei due compagni.
L’atmosfera della Realtà del Creato fu sfondata da un Robot deteriorato
dappertutto. Lo sciame di asteroidi era una sorta di forza difensiva che fu
messa per impedire a grossi mezzi di atterrare sul pianeta. Con il potere della
Ignika in uso, sarebbe stato attraversato dalle meteore senza riportare neanche
un graffio. Come ben sappiamo, non accadde, e si decompose in svariati pezzi
al suo arrivo. I legamenti che tenevano uniti i cinque arcipelaghi, frutto di anni e
anni di lavoro da parte dell’Ordine, decaddero con esso.
Il Robot si schiantò molti kios prima della Corte di Nuiaha, spingendo la
Legione a muoversi un’altra volta ancora.
I Nuva non stavano nella pelle. Attendevano con ansia di vedere coloro che
sopravvissero per ricevere la Maschera della Vita...
Toa Lewa arrivò prima di tutti. Volteggiò attorno ai detriti del gigante
meccanico, al fine di individuare i possibili superstiti. Ci mise parecchio tempo
viste le dimensioni imponenti del gigante. Sette Zolle vennero distrutte
durante l’atterraggio.
Per non perdere tempo, Lykodax seguì il suggerimento di Artakha dalla Corte.
“Spero che il Grande Essere abbia ragione!” affermò Pohatu mentre era a
bordo di un mezzo da trasporto della Legione.
“Non ti do torto.” gli rispose Onua. “Ancora adesso faccio fatica a credergli
riguardo Helryx.”
Gali si sentiva addolorata, tradita. Non riusciva a digerire il tradimento morale
del primo Toa.
Kopaka al contrario ebbe un’opinione differente. “Prima incontriamo i
portatori della Ignika e prima riceveremo spiegazioni. Non può esserci una sola
spiegazione da un unico punto di vista quando si è in guerra. Se Helryx è
ancora viva, ci dirà cos’è successo e a quel punto prenderemo la nostra
decisione.”
Il ragionamento che fece era tipico di un qualsiasi Toa del Fuoco. L’aspetto e il
morale del leader Nuva, intanto, cambiò molto da quando restò bloccato in
quel mondo.
Rewerax era attualmente incatenato nell’abisso di Torehre. Non potevano
ucciderlo quando la Seconda Guerra del Nucleo terminò. Fu imprigionato e
costretto ad insegnare a Tahu come controllare l’Antidermis, dato che al
momento ne era il maggiore rappresentante, nonché unico guardiano. La difesa
della sostanza madre dei Makuta era essenziale per garantire l’esistenza al
Tutto.
Dovevano sbrigarsi. Presto i mondi figli della Realtà del Creato avrebbero
iniziato il loro pellegrinaggio per ammirare la Maschera della Vita, prima di
sciogliersi nelle sue nuove e definitive creazioni. Nuiaha aspettava
impazientemente, non vedendo l’ora di staccarsi da quelle orrende macchine
della Corte che gli impedivano di vivere come voleva. Non c’era giorno che
rimpiangeva di aver accettato un compito simile.
Gli Avokh incrementarono la velocità dei mezzi dopo aver visto un movimento
di nuvole parecchio insolito. Lewa lo stava causando, restando in zona da non
poco tempo.
Il filtro della sua voce scese col vento, raggiungendo il suolo: “Ho trovato la
testa, fratelli! Venite!”
La Zolla di Gaesh fu vittima dell’impatto. Essa era una delle regioni deputate
alla distribuzione di materiale roccioso ai Toa della Terra e della Pietra nei
mondi alternativi, incluso il sistema di Solis Magna chiaramente.
I Toa scesero prima di arrivare, aumentando il passo con l’uso degli elementi.
Si arrampicarono sulla superficie esterna cercando qualche buco dal quale
poter fare ingresso.
“Trovato qualcosa?” chiese Lewa dal punto più alto.
“Niente!”
“No nulla!” risposero Onua e Pohatu.
I legionari parcheggiarono i veicoli e si incamminarono con Lykodax alla guida.
Dall’orecchio destro uscì un fumo arancione molto denso.
“Lo vedete anche voi o è un’illusione Zarthra?” domandò il Nuva dell’Aria.
“Non può essere.” ragionò Gali. “Se non ricordo male causavano una perdita
dei sensi per chi si trovava in prossimità. Io non provo nulla.”
“Già nemmeno io.” confermò Pohatu.
L’Akaku di Kopaka gli permise di individuare Tahu in mezzo alla nebbia
misteriosa, scoprendo che non era solo.
“Ci sono degli individui con lui.”
“Quanti sono?” chiese Gali da un segmento rialzato.
“Tre.”
“Riesci a riconoscerli?”
“Faccio molta fatica. Onua, Pohatu, cercate di raggiungerlo.”
“No, non andate!” fermò Gali. “Non vorrei che sia un nuovo tipo di illusione.
Lewa, riesci a fare qualcosa?”
“Mi spiace, sorella. Quella nube arancione è dotata di proto-particelle che non
posso controllare.”
“VENITE!” li chiamò Tahu all’improvviso.
C’era da fidarsi? Non potevano saperlo senza raggiungerlo.
I creatori della nube densa li convinsero smaterializzandola. I flussi fumosi
ritirarono le loro radici facendo ingresso nella fonte dalla quale provenivano: la
Vahi. Norik la stava indossando.
Pouks si guardò attorno, meravigliato. “Eravamo destinati a tornare qui,
fratelli...”
“Toa Hagah!” si riempì di gioia Gali.
Non si aspettava di vedere così pochi sopravvissuti, e infatti: “Siete solo voi?
Dove sono i Toa Metru?”
“Andati.” disse Bomonga addolorato. “Sono morti per salvarci. La Vahi li
assorbiti quando è stata consegnata a Norik.”
L’aria calda della Zolla distrutta coprì la disperazione silenziosa dei Nuva. Tahu
si mostrò impassibile.
“E i Matoran?”
“Non lo sappiamo, Pohatu. In teoria sono stati portati in salvo da Mazeka. Con
loro c’erano anche i nostri tre fratelli.”
“Li avete trovati?!” si sbalordì la Nuva dell’Acqua.
Bomonga strinse i pugni frustrato. Credeva di averli persi per sempre.
“Sono stati messi nelle capsule d’espulsione del Robot. Per caso li avete
trovati?”
“No, Norik, mi spiace.”
“Quando è avvenuta l’espulsione, Toa? Spero per voi che l’abbiate fatto dopo
essere entrati nell’atmosfera...” interruppe Lykodax.
“Temo sia successo molto prima, generale.”
“Diamine!” si infuriò col caso Pohatu. “Ho paura che non li ritroveremo ancora
vivi...”
Pouks si sbalordì allargando gli occhi. “Come?!”
“Non è detto.” sorvolò la questione Kopaka. Sia lui che gli altri Nuva erano a
disposizione di un maggior numero d’informazioni da quando abitavano la
Realtà del Creato. “Forse sono atterrati su un pianeta del Flusso.”
“O forse sono stati assorbiti da un buco nero...” peggiorò la situazione Onua.
“Dobbiamo cercarli allora.” si caricò di responsabilità la sorella.
“Sei impazzita?!” esclamò Lykodax. “Voi non sapete ancora cosa c’è là fuori.
Avete un compito più importante!”
Difatti, Tahu appoggiò le parole del generale facendo una domanda. Gli Hagah
si erano quasi dimenticati della sua voce.
“Dov’è la Maschera della Vita?”
Il suo dovere era chiaro. Non gli importava di altro. Anche il ruolo che ora
ricopriva glielo fece capire maggiormente.
Norik fece un passo in avanti, ma vennero interrotti da una strana luce
fuoriuscente dalla Vahi, generata apposta dall’Hagah del Fuoco.
Durò una manciata di secondi, dando l’impressione che non volesse smettere
di brillare. Infine si spense molto lentamente...
Quando riaprirono gli occhi, non videro nulla di nuovo.
“Tahu...” sentirono da dietro.
Si girarono in fretta. Una figura arancio-trasparente li osservava con uno
sguardo incuriosito.
L’arma di Tahu gli cadde dalle mani, cambiando il suo carattere come per magia.
“V-Vakama...”
L’immagine gli sorrise, dando la sensazione di sentirsi in quella pace tanto
sudata. Il suggerimento che disse a Norik prima di andarsene gli permise di
materializzarlo.
Aveva un importante messaggio: “La mia Essenza e quella della Vahi sono una
cosa unica adesso. Tutti noi lo siamo...”
Ed apparirono anche Matau, Nokama, Nuju, Onewa e per ultimo Whenua.
“Fino alla fine abbiamo lottato per donare speranza ai Matoran. Questo è il
Destino di un Toa. Siamo nati per essere liberi di combattere per ciò che
abbiamo. Non esistono Kanohi, Makuta o altri esseri malvagi che possono e
potranno decidere al posto nostro. Te lo chiedo per favore, Tahu, e non lo
faccio da Turaga ma da fratello a fratello.”
Il capo dei Nuva si lasciò andare. Dopo centinaia di anni si mise a piangere a
dismisura, inginocchiandosi. Si sentiva debole. Sei mani gli vennero date per
aiutarlo a rialzarsi.

In piedi, Toa. Reagisci, Toa.


I Metru parlarono in coro: “

Coltiva il dolore, Toa. Piangi, Toa. Ama, Toa.


Non perdere mai contro la paura, Toa...”
Uno per uno li abbracciarono in un trionfo commovente e strappalacrime.
Mancava una cosa da dirgli, ma qualcuno la interruppe volontariamente facendo
scomparire le sei apparizioni.
Artakha e il suo servo Varises giunsero dalla Corte. Vakama gli avrebbe
chiaramente parlato degli atteggiamenti sospetti che ebbe quando si
avventurarono sulla sua isola.
I segreti dovevano rimanere tali ad ogni costo per il Grande Essere...
“La Vahi, Toa Hagah. Consegnatecela.” e così fu.
Varises però non era soddisfatto: “E la Maschera della Vita?”
“Abbiamo ripreso conoscenza pochi minuti fa, Varises. Non l’abbiamo trovata,
mi spiace...”
“NO, NO, NO, NO!” andò su tutte le furie Artakha, perdendo il suo classico
carisma da grande saggio. “SAPETE ORA COSA ACCADRÀ?! LO SAPETE?!
GUERRA, GUERRA OVUNQUE! I MONDI PARALLELI NON LO
ACCETTERANNO. NUIAHA STESSO NON LO ACCETTERÀ!”
Un’altra disperata ricerca fu obbligatoria. Una nuova corsa contro il tempo
iniziò. Gli Hagah e i Nuva furono scortati nella nuova base della Legione per
prepararsi. Difficilmente dimenticarono la collera del Grande Essere, da una
parte giustificata.
A migliaia di kios di distanza, nel frattempo, uno straniero si stava
incamminando per la sua strada. Fu costretto ad attivare i macchinari deputati
al riscaldamento della corazza per fronteggiare il vento gelido della Zolla
ghiacciata in cui si trovava, quella di Cafrar.
Tra le mani teneva l’oggetto che d’ora in avanti gli avrebbe descritto
costantemente il percorso da seguire per adempiere al proprio destino: la
Ignika.

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