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“Si. Quel posto era colmo di cadaveri. Sarà stata qualche milizia o roba simile.”
“Milizia quelli?” parlò un altro Matoran. “Erano dei bipedi selvaggi appartenenti
a qualche tribù come minimo. Non li ho mai visti. A giudicarli dall’altezza
saranno stati alti poco meno di un Toa.”
Il terzo del gruppo squadrò il Toa dall’alto verso il basso. Matau se ne accorse
e con una delle sue solite battute rispose: “Cos’è, hai visto Mata Nui per
caso?”
“Mhh... sei davvero sicuro di essere Toa Matau? Da quel che so, non credo che
un Turaga possa tornare nelle sembianze di un Toa. La tua è per caso
un’armatura Toa sotto la quale si cela un Turaga?”
“Ma dove sei stato per tutto questo tempo? Su Bota Magna?”
Mentre i due Matoran discutevano, Matau vide una piccola pianticella che
sbucava dal terreno innevato.
“No affatto. In realtà è da tre mesi che questa terra viene logorata dalle
tempeste di neve. Noi e Turaga Kopeke siamo arrivati da non molto. A quanto
pare nei cinque arcipelaghi è avvenuta una serie di catastrofi naturali senza un
ordine preciso.”
“Il Turaga ha detto che a quanto pare la causa è stata la distruzione di una
lancia potente in grado di riparare l’intero Universo Matoran. Diceva che grazie
ad essa le isole rinnovavano la loro energia nella flora e nella fauna,
permettendo agli ecosistemi di rimanere intatti.”
“Si... come hai fatto a capirlo? Hai per caso parlato con quella pianta?”
Guardò le sfumature del cielo e realizzò. “Allora quel colore dorato... mmhh...
Matoran, portatemi subito dal vostro capo!”
Dopo una decina di minuti trovarono un essere muscoloso alto circa il doppio
di Matau. Era un Rahi creato apposta da Artakha per proteggere il Turaga. Al
suo fianco, un Avokh lo fermò prima che potesse scagliarsi sul Toa dell’Aria
senza esitazione.
“Whoa! Ehi, amico, tieni a bada il tuo scudiero prima che qualcuno si faccia
male!”
L’Avokh non lo guardò nemmeno e rimproverò i Matoran: “I Toa non possono
stare qui, dovreste saperlo...”
“E’ vero, nobile Avokh. Ma costui dice di essere uno de-”
“Ehi, sono migliaia di anni che rimpiangevo i miei anni da Toa! Ho il pieno
diritto di liberare il mio istin-”
L’Avokh si chinò con la testa rivolta alla sua sinistra, mentre il Rahi prese
l’individuo e se lo caricò sulla spalla.
“Si, ha funzionato, sono contento di vederti bla bla bla. Non c’è tempo per
queste smancerie ormai, Kopeke! Devi dirmi che sta succedendo!”
Il Turaga alzò la mano destra, invitando l’Avokh a portare via con sé i Matoran.
Poi, con dei modi di fare piuttosto strani, guardò alle spalle di Matau, come se
si aspettasse l’arrivo di qualcun altro.
“Sei solo?”
“Cosa?”
“Ci siamo divisi. Io e Nokama abbiamo preso il sentiero che si addentrava nella
foresta. Gli altri quattro invece hanno preso vie opposte.”
“E dov’è Nokama?”
Matau strinse i pugni. “Non è più qui. Qualcuno o qualcosa l’ha rapita. Ho
cercato di seguirli, e ho visto un dirigibile dall’aspetto famigliare.”
“Una nave di Le-Metru...”
“Esatto, proprio quelle! Poi ho incontrato quei quattro Matoran e mi hanno
detto che siamo ancora sul Robot e... non ci capisco più nulla!”
“Si. Mi spiace che vi siate risvegliati in queste condizioni, Turag-... Toa! Scusa
ma è l’abitudine, eheh!” ghignò con qualche colpo di tosse forte.
“Non sembri essere in forma, dico bene?”
“COUGH! COUGH! No, Matau... ma ora che so che il nostro dovere è stato
compiuto, potrò morire in pace quando arriverà il mio momento.”
Non sapendo cosa rispondere, forse per l’imbarazzo o per l’amarezza della
notizia, Matau alzò nuovamente lo sguardo verso l’oro opaco che decorava il
cielo.
Kopeke ordinò al Rahi di avvicinarsi al Toa e gli disse: “Magnifico e inquietante
allo stesso tempo, non è vero?”
“Ho visto di peggio diciamo.” e si voltò verso il Turaga con un’espressione
cupa. “Che sta succedendo?”
L’ex Tumaka del Ghiaccio guardò in basso esasperato. “Non saprei nemmeno
se la risposta che ti sto per dare ti sarà utile.”
Fece un lungo respiro e spiegò tutto. “Mata-Metru. E’ da lì che provengono
queste ondate energetiche responsabili dei cambiamenti naturali. Sappiamo
entrambi quale può essere l’unica causa.”
“Helryx?”
“No, Matau. La Ignika...”
“In che senso?”
“Il primo Toa ha ormai perso da tempo la consapevolezza in sé stessa. Gli altri
Turaga non erano convinti. Si sbagliavano. Solo Nuhrii mi ha dato ragione. Il
modo in cui ci guardava quel giorno...”
“Nuhrii? E’ ancora a servizio dell’Ordine?”
“Lo era. Devi sapere che durante la vostra assenza due nuove generazioni Toa
sono nate. La prima, quella ufficiale, era guidata da Vhisola, mentre il gruppo a
cui appartenevo io era composto da noi Cronisti e da un Onu-Matoran di Voya
Nui di nome Garan. All’inizio non era nei nostri piani di diventare Toa.
Volevamo a tutti i costi trovare i responsabili della morte di Kapura. Non
riuscivamo a sopportare l’indifferenza con cui l’Ordine trattò il caso. Ma uno di
loro, Takanuva, aveva altro da proporci, ovvero di indagare per conto
dell’Ordine sulla milizia dei Parenga. Noi ovviamente rifiutammo e si convinse a
partire con noi, abbandonando così il suo gruppo. Nel frattempo Artakha
stabilì un patto con i Toa Hagah e altri sei vennero scelti per diventare Toa,
con la scusa di cooperare con i nuovi Metru. Ma avevano fatto male i calcoli:
quel giorno al Colosseo ci fu un attentato Parenga, e tutti e sei i Matoran
morirono. Così il caso volle che fummo noi i nuovi prescelti, ma questa volta
era per contrastare Helryx e i suoi guerrieri. Un’ultima speranza contro un
male che lentamente stava sorgendo dal bene più assoluto. Helryx avrebbe
così dovuto cadere contro la stessa arma che utilizzò per la riconquista dei
cinque arcipelaghi. E infine arrivò il giorno dello scontro finale. Noi Tumaka ci
battemmo con i cinque Metru. Era uno scontro alla pari, che però non
sembrava voler determinare un vincitore in poco tempo. Poi accadde qualcosa
di insolito: uno strano individuo sulla cima del Codrex indicò la Stella Rossa e
questa come per magia esplose dinanzi agli occhi delle due armate. Sapevo chi
era... ricordo ancora adesso il suo viso... ero convinto che fosse morto quando
eravamo tutti intrappolati con lui nella Bolla della Realtà del Creato. Ero sicuro
che dopo il terremoto fosse stato sepolto dalle macerie, ma mi sbagliavo. E’
riuscito a fuggire e a tornare su Spherus Magna, e fino a quel giorno ha
pianificato con successo il suo ingresso all’interno del Robot. Ora le sue
armate si stanno scontrando contro l’Ordine e contro gli Eroi...”
“Eroi?!”
“Si, Matau.” e spiegò dell’alleanza che Axonn e Brutaka avrebbero dovuto
stipulare con il fondatore della Hero Factory.
Poi continuò il discorso e terminò con l’episodio del trasferimento del loro
potere al corpo dei sei Turaga.
“Questa è la nostra situazione, Toa.”
“Ma perché non farci risvegliare su Artakha?” insistette la curiosità di Matau.
“L’isola fu colta da un improvviso terremoto. Era il segno che il grande Robot
stesse tornando a muoversi. Così il Grande Essere ordinò a Tobduk e Mazeka
di portarvi in un luogo designato che potesse proteggervi da un eventuale
catastrofe. Anche noi Turaga nel frattempo abbandonammo l’isola. Tra tutti i
luoghi sicuri, Tamaru mi consigliò quest’isola sulla quale abitò per diverso
tempo con altre specie Matoran, prima dell’arrivo improvviso di Takanuva.”
“E dove siamo diretti?” cambiò il discorso Matau. “Helryx ha per caso detto
qualcosa e una vostra spia è venuto a saperlo o robe simili?”
“No. Helryx non è più fra noi. Ora è l’Ignika che decide e solo essa sa qual è la
prossima destinazione. Ma sarà l’ultima?” lasciò il dubbio.
“E noi in tutto questo cosa dobbiamo fare? Non crederete sul serio che
abbiamo il potere di controllare un gigante come il Robot, o peggio ancora di
stabilire un contatto con la Ignika, vero? Siamo dei semplici Toa come lo
eravate voi!”
“Ancora oggi la motivazione mi è del tutto sconosciuta. Torna su Artakha e va
dal Grande Essere. Lui saprà cosa dirti.”
“Non posso, Kopeke, non posso! Devo prima trovare Nokama!”
“Torna in te stesso, Toa dell’Aria! Non sei più un novellino, e per quel che so
sei il più esperto fra tutti noi. Al momento non puoi farci nulla per tua sorella.”
“Assegnami un gruppo di guerrieri e quel tuo Avokh, te ne prego! Dopo averla
trovata andremo dal Grande Essere, promesso!”
Kopeke tirò un sospiro di rammarico. “Purtroppo non conosci la potenza dei
nostri nemici. Anche se lo facessi rischiereste comunque! Va’ da Artakha. Per
favore...”
Passarono alcuni secondi di silenzio.
“Troverò i miei fratelli, anticipando il nostro ritrovo nel tempio, e insieme
decideremo cosa fare. Ti prego di rispettare la mia scelta, Turaga.”
La guerra non proseguì ovunque fortunatamente e ciò non era dovuto dal fatto
che era cominciata da neanche mezzo anno. Come ben si sa, gli eserciti
coinvolti nello scontro erano le forze degli Eroi, quelle di Darkness e infine, ma
non per importanza, le armate rimaste di Toa Helryx.
Ad osservare lo scontro invece c’erano per il momento i Parenga, che
uscirono molto indeboliti dalla riconquista dei cinque arcipelaghi avviata
dall’Ordine. In quei giorni la potenza di Helryx, infatti, era devastante e
superiore a chiunque. Probabilmente nemmeno coloro a servizio di Darkness
o della Hero Factory sarebbero riusciti a sconfiggerli. Eppure, con il solo volere
di un individuo (effettivamente di due...), cadde con grande facilità e
soprattutto ingenuità.
Ovviamente non poteva mancare all’appello la Mano di Artakha, che sarebbe
sicuramente tornata a muoversi ora che i Toa Metru si erano risvegliati. Gli
studi e gli esperimenti sulla Vahi diedero finalmente i loro frutti, lasciandosi alle
spalle i dubbi e le paranoie che gli alleati del Grande Essere si fecero in assenza
di risultati. Ognuno di loro di fatti gridò quasi fin da subito al fallimento,
soprattutto i Toa Hagah. A dire il vero era una scusa per ottenere il permesso
di abbandonare l’isola di Artakha. In ogni caso, conoscendo il temperamento di
Norik e Bomonga, sarebbero comunque partiti senza troppe spiegazioni.
A distanza di tempo, lo scontro su Voya Nui per il controllo del Codrex si
prolungò fino ai giorni nostri, ciascuno con la propria motivazione.
A capo dell’esercito di Darkness non poteva non esserci che Nektann,
affiancato dalla sua nuova spalla: Thorgai Drenaris. Infatti, dopo la caduta di
Tesara, lo Skrall si convinse di seguire Nektann per sapere di più sulle verità di
suo padre, Stronius, e dell’eredità che gli venne promessa. Inoltre tutti gli Skrall
rimasti (almeno la maggior parte) seguirono il signore della guerra Skakdi,
rivedendo in lui un degno erede della pazzia e tenacia di Tuma. Per Thorgai
dunque era più che giusto stare con la propria gente. Le promesse di Nektann
piovevano giorno dopo giorno, ognuna con un tono e un premio diverso.
Da sud-est invece la Hero Factory si muoveva principalmente per stabilire
l’egemonia sulle altre isole, ma anche essa era piuttosto interessata al Codrex
quando lo venne a sapere. Non a caso Makuro, come se sapesse che prima o
poi sarebbe giunta la sua morte, lasciò incustoditi alcuni appunti su ciò che da
solo riuscì a scoprire, o che già sapeva...
Fox, Valor, Puck e infine Flash erano i quattro comandanti Hero scelti.
Ovviamente la maggior parte degli ordini partivano dalla mente di Alpha
Leader Preston Stormer. Oltre a ciò gli Eroi avrebbero dovuto prestare
maggiore attenzione agli scontri e al numero di guerrieri impiegati, siccome i
rifornimenti e il personale erano limitati.
Trinuma e Krakua erano gli unici che ancora ci credevano; i soli che riuscirono
a buttarsi alle spalle la morte di Axonn e Brutaka, radunando circa novantamila
soldati Ruhnga. Poco più avanti però si dovettero separare quando si
confessarono a vicenda le loro vere intenzioni: mentre Trinuma era
concentrato a provare fedeltà a Helryx nonostante la sua attuale condizione,
Krakua si era rassegnato che ormai il primo Toa li aveva definitivamente
abbandonati. Si autoconvinse che da soli sarebbero riusciti a trovare una
soluzione, in un certo senso. Naturalmente le certezze, specie in quel periodo,
erano davvero scarse e per tale ragione si ritirò con i suoi squadroni. Trinuma
invece non attese e si lanciò alla difesa del Codrex occupando i tre quinti della
metropoli che si collegava alla Seconda Colonna, distrutta dai poteri di Toa
Tuyet.
I circa diecimila Parenga rimasti invece tentarono più che altro di difendersi.
Occupavano parte della coscia destra del Robot, affacciandosi sul nuovo
Quartier generale degli Eroi nella gamba sinistra, che dalla parte opposta aveva
l’armata di Nektann alle calcagna. La zona meridionale del Continente
Settentrionale invece era occupata da Trinuma e Krakua. Mentre Krakua avviò
la costruzione di una muraglia per proteggere gli alleati e i Matoran residenti
nell’isola, Trinuma mandò quotidianamente le prime spedizioni per
riconquistare/difendere il Codrex a tutti i costi.
I nomi importanti dei comandanti coinvolti conferirono allo scontro il nome di
“Battaglia dei Nove”.
Nessuno però sapeva quanto sarebbe stata mortale...
“Vakama, ancora quella visione?”
Il Toa del Fuoco sbracciò ancora per un po’ prima di calmarsi.
“Ah... si, Nuju. Quell’orrenda immagine mi perseguita di continuo. Non vuole
smettere!”
Il Metru di Ghiaccio fece un sorriso contenuto e guardò fuori dalla tenda. “Per
fortuna nessuno ci ha sentiti. Beh, non c’è da meravigliarsi in questo deserto
urbano.”
Vakama si toccava ancora l’addome dolorante. “Diamine... abbiamo finito le
foglie Tiaki?”
“Dovremmo uscire a fare rifornimento, fratello. Ti fa ancora male?”
“NGH! Si... e non poco direi. Quel maledetto Rahi...”
“Beh, almeno non si trattava di un Visorak.” scherzò Nuju, facendo richiamo ai
tempi passati.
Il leader dei Metru celò la sua risposta nel silenzio, rimanendo pensieroso.
‘Sarà stata la quindicesima volta che ho quella visione. Che vorrà mai dire?’ si
disse tra sé e sé.
“Dovremmo cercare qualche disco per te. Non puoi difenderti solamente con i
tuoi poteri elementali, specie ora che li stiamo riutilizzando da poco.” disse
Nuju mentre frugava tra la sua roba. “Vieni, ti aiuto io ad alzarti.”
“No, lascia. Ce la faccio.” lo fermò il fratello. “Non pensavo che gli artigli dei
Muaka facessero così male. AGH!”
“Cerca di fare piano!”
Nuju provò tanta pena nel vederlo dolorante. Spesso si chiedeva come
avrebbe fatto senza di lui.
“Che c’è da guardare?” gli disse Vakama infastidito.
“Nulla. Cerca solo di non mollare, fratello. Non ora che il Destino ci chiama
nuovamente all’appello.”
“Non lo farò. Andiamocene da qui.”
“Si. Dammi giusto il tempo di smontare la tenda.”
“Aspetta, ti do una mano.”
“No, Vakama, ci penso io.” rispose quasi irritato. “Tu nel frattempo assicurati
che non abbiamo visite indesiderate.”
“Okay... va bene.” accigliò lo sguardo.
La prima cosa che notò Vakama era la pesantezza che l’aria aveva acquisito
negli ultimi giorni. Da un paio di settimane dalla loro partenza, non
incontrarono nulla oltre al deserto. Molto spesso si incrociarono con alcune
rovine di villaggi o di città dalle modeste dimensioni, ma non ci fecero caso
siccome davano per scontato che si trattasse di alcuni centri vicini al fiume
Skrall. Non a caso erano gli unici due Toa Metru che ancora non sapevano di
trovarsi nel Robot.
“Questo cielo non mi convince per niente.” si lamentò Nuju.
“Spetta a noi scoprire perché è così.”
“Non aspettavo altre risposte, fratello!” si caricò di autostima. “Come va,
riesci a camminare?”
“Si, si. Ce la faccio.”
Poco più avanti intravidero il relitto di una macchina da guerra immersa per
metà nella sabbia. Per loro sfortuna (o fortuna) il simbolo dei suoi proprietari,
gli Eroi, era nascosto da una montagnetta sabbiosa.
“Vedi se c’è qualcosa che può tornarmi utile, Nuju. Magari hanno lasciato
qualche medicina.”
“Ci provo. Nel frattempo...” disse Nuju generando un altro cristallo di ghiaccio
attorno alla ferita di Vakama. “E’ meglio se perdi meno liquido vitale possibile.
Adesso aspetta qui, vado a vedere.”
“E chi si muove...” rispose il Toa del Fuoco con un briciolo d’ironia.
Il Toa del Ghiaccio fece una capriola dall’altra parte, guardando Vakama
compiaciuto di esserci riuscito, e si mise a cercare.
“Allora vediamo... si c’è qualcosa! Tieni!” e gli lanciò l’oggetto.
“Che cos’è?” chiese Vakama.
“Se non erro è una bomboletta spray.”
“Bombo che?”
“Ti faccio vedere.” e dopo averla agitata, cicatrizzò la ferita.
“AH! E’ più freddo del ghiaccio che hai generato!”
“Ahahah! Pazientati, Vakama. Sono sicuro che starai meglio. Se non erro
queste medicine appartenevano agli...”
Fu interrotto: era un rumore metallico che proveniva da lontano.
“Dobbiamo andare a controllare.”
“Scherzi? Devi riposare, Vakama!”
“Non è vero! Guardami. Potrei scalare un vulcano se necessario grazie a
questo aggeggio. Vediamo di non perderlo.” se lo mise nel portaoggetti sulla
schiena.
Nuju sospirò rassegnato. “Voi Toa del Fuoco... sempre con il vostro orgoglio
personale.”
…
Mentre correvano, Vakama si sentiva ancora un po’ giù a livello fisico. I suoi
poteri, così come la sua forma, avevano bisogno di un po’ di tempo per
recuperare. Intanto Nuju, che apriva la strada, guardava ogni tanto nella sua
direzione per assicurarsi che non stesse male o addirittura perdesse i sensi.
Non appena girarono l’angolo, videro il cadavere di quello che all’apparenza
sembrava essere un giovane Matoran.
“E’ ancora vivo?”
Nuju chinò la testa. “No, Vakama. Ma è morto da poco a quanto sembra.”
Poco più a destra il Toa del Fuoco trovò lo zaino della vittima e iniziò ad
indagare.
…
“E questa che cos’è?”
“Cos’hai trovato, fratello?” domandò Nuju.
“Sembra... una spilla. E’ dell’Ordine?!”
“E da quando portano queste divise? E la forma della spilla? Sei proprio
sicuro?”
“No, aspetta... forse non... non è dell’Ordine...” e tirò fuori una moneta da una
tasca del cadavere. “Vedi, c’è qualcosa. Sembra...”
“Ma quella è l’isola di Nynrah prima del Cataclisma!” affermò Nuju.
“Si, ma questo non è un Fe-Matoran. Da quando portano le spille dei Ruhnga?”
“Da quando i Parenga sono tornati!” udirono.
I due Toa non ci pensarono due volte. Valutando la distanza e la direzione di
provenienza della voce, fecero una capriola rispettivamente a destra e a
sinistra. Vakama caricò i suoi pugni di fuoco, mentre Nuju lanciò un cristallo
d’avvertimento a pochi passi dall’interlocutore.
Costui però non era solo. Era accompagnato da altri individui armati, che
iniziarono a gridare a squarciagola:
“A TERRA!”
“FERMI, O VI AMMAZZO!”
Erano Matoran. Vakama capì subito che quel cadavere era solo un’esca.
“Nuju, alza le mani.” bisbigliò.
“Cosa?! Non vorrai mica ascoltare questi pazzoidi ribelli!”
“Nuju. E’ un ordine. Non abbiamo altra scelta.”
“YAHOO! Due Toa in un colpo solo! Questa la deve sentire Zivix!” esclamò
uno dei Parenga.
Nuju osservò i nemici uno per uno, soffermandosi sul ghigno provocatorio di
alcuni. Era inammissibile per lui farsi catturare dopo neanche un mese da Toa.
L’unico che attirò la sua attenzione era un Onu-Matoran, che li osservava quasi
con timore.
“Allora? Dov’è il resto del vostro gruppo, eh?”
“Non siamo qui per invadere i vostri territori, Parenga.” rispose Vakama.
“Si certo, come no! Non ci si può fidare dei servi dell’Ordine neanche per un
istante!”
“Noi non serviamo l’Ordine!” questa volta ribatté Nuju. “Non sappiamo
nemmeno dove si trovano gli altri agenti!”
Era un chiaro tentativo per farsi spiegare la situazione dagli ostili.
“Ci credo! Siete stati tutti abbandonati in una gabbia di Muaka inferociti. E
pensa che ancora alcuni giurano fedeltà a Helryx! Ahahah!”
“Abbandonati da Helryx? Che vorresti dire?” gli si avvicinò Vakama sempre con
le mani alzate, ma uno dei Parenga gli puntò il fucile contro dicendo: “Ancora
un passo e ti ritrovi la testa sulla sabbia, Toa.”
Non sapendo allora cosa dire, Nuju guardò il cadavere che fungeva da esca e
domandò di sua iniziativa: “E quella spilla Ruhnga dove l’avete presa?”
“Un amichetto da Artidax ci ha fatto questo regalo. Grazie a lui siamo riusciti a
fare fuori già ben tre basi Ruhnga rimaste, ripulendo quasi del tutto quest’isola.
Diciamo che queste divise fanno il loro dovere, eheh!”
“Artidax?!”
“Ops! Per caso Artidax era la tua terra natale?” lo provocò ridacchiando.
“CAPO! NAVETTA NEMICA IN ARRIVO!”
“Tutti al riparo!” ordinò, e scavò una piccola fossa nella sabbia all’interno della
quale si nascose.
Nel giro di una manciata di secondi i due Metru si ritrovarono da soli.
“Dentro al carro!” suggerì Nuju.
La sentinella volante fece il giro della zona. La tipica H impressa ai lati non
poteva che ricondurre alla Hero Factory.
Nuju e Vakama si guardarono spaventati, mentre erano immersi tra gli
ingranaggi della macchina. Sfortunatamente, però, un pezzo della carrozzeria
appeso su una delle ruote distrutte fu erroneamente toccato da Vakama e
cadde su un altro pezzo arrugginito. Il rumore attirò subito l’attenzione della
sentinella, che si voltò di scatto individuando immediatamente la fonte.
Se i due Toa fossero stati scoperti, la notizia sarebbe subito giunta al Quartier
generale Hero. Qualcosa nella mente di Vakama lo obbligò indirettamente a far
sì che ciò non accadesse. Ma come poteva aggirar-
PUM!
La sentinella venne centrata in pieno.
“Che diamine stai facendo, Athuka?!” uscì fuori dalla sabbia il caposquadra
Parenga, seguito dagli altri.
“Cercavo solo di non farci beccare! Che ne sai che questi Toa non ci facevano
scoprire da quei cosi?”
Uno dei Matoran armati, lo stesso che puntò il fucile contro Vakama, lo guardò
in modo strano. “Da che parte stai, Athuka?”
“Dalla nostra, testa di Tarakava! Faresti meglio a non dimenticarlo!”
Infastidito, il Matoran prese la mira per colpirlo mentre era girato di schiena,
ma una fiamma-proiettile lo colpì sull’indice prima che potesse premere il
grilletto.
Il caposquadra non ci mise troppo a capire che si trattava di Vakama ed ordinò
ai suoi di caricare le armi.
Dall’altra parte, però, Vakama non si pentì di ciò che aveva appena fatto e
improvvisò: “E’ vero. Siamo stati mandati dagli agenti dell’Ordine per
assicurarci che quest’isola fosse stata definitivamente conquistata dai Parenga,
siccome erano settimane che non ricevevamo notizie dai nostri commilitoni.”
“Che cosa fai, Vakama?!” lo rimproverò Nuju a bassa voce.
“Shh! Lascia fare a me.” disse voltandosi verso il caposquadra, sempre con le
mani in alto. “Facciamo un patto, Parenga. Noi ce ne andremo da qui e
convinceremo i nostri che ormai questo territorio è in mano vostra.”
“Ahaha!” rise il leader ostile. “Credete seriamente che ci importi qualcosa di
voi Toa? Potete andare e fare ciò che volete, ma non so per quanto ancora
durerete...”
Vakama spalancò gli occhi stranito. Nuju invece restò immobile e silenzioso.
“Il numero della vostra specie sta diminuendo di giorno in giorno, ed è solo
questione di tempo prima che...” un muro ghiacciato lo racchiuse assieme al
resto del gruppo.
Il rapporto biochimico pressoché perfetto che si era stabilito tra flora e fauna
nelle settimane che seguirono la morte di Teridax iniziò lentamente a
decomporsi. Le poche foreste rimaste nelle varie zone del pianeta non
bastarono ad ospitare tutta la fauna presente poco prima della partenza del
Robot.
Al termine dello scontro tra i due Robot infatti, subito dopo l’atto finale del
Grande Spirito, sembrava di trovarsi sul pianeta di Bota Magna, sicuramente
quello più colmo di vita rispetto agli altri due.
Poi, col passare dei giorni, dei mesi e infine degli anni, il verde che costellava il
globo si ritirò lentamente a Tesara, vicino alla carcassa del grande Robot. La
foresta di Magarh, quella di Garal e infine l’ex laboratorio della Stella Rossa
erano gli unici appezzamenti di flora rimasti. A quanto pare tutto ciò non
sembrava avere una durata precisa.
In ogni caso, a nessuna delle potenze mondiali venne mai in mente di farci caso.
Questo perché naturalmente la propria cassaforte e la propria fame dovevano
essere le prime ad essere saziate a sufficienza. Ciò che accadeva al di fuori del
proprio interesse non meritava nessun tipo di attenzione...
Giorno dopo giorno, ogni mattino, Dume si affacciava dalla balconata della
torre del Colosseo, ricordando sempre ad Helryx di quanto sarebbe stata
magnifica la ricompensa una volta portato a termine il loro compito.
“La luce sarà per sempre dalla nostra parte!” diceva, ma non ebbe mai un
riscontro da parte della Toa, che come sempre preferì isolarsi nei suoi pensieri.
Le preoccupazioni di Dume per Helryx si legavano solamente ad un individuo,
che probabilmente era l’unico che entrambi non volevano più vedere per il
resto della loro esistenza: Darkness.
Come detto da Hydraxon al gruppo di Toa Tagahri infatti, lei e Dume erano i
soli a sapere del patto segreto stabilito con l’ex Cacciatore oscuro. Ancora
però non sapeva i dettagli, e nemmeno le vere ragioni che li spinsero a
commettere stragi di individui, a partire dai Matoran scelti per diventare Toa
Artakha.
L’ex Matoran di Mahri Nui aveva pensato sin dal primo momento che tra i due
(o forse tre, se contiamo Turaga Dume) ci sarebbe stata la condivisione di un
bene addirittura superiore alla stessa Ignika, ma non osava immaginare cosa.
Tra i tre, però, Helryx era l’unica ad aver compreso quanto questa “ricerca”
aveva portato.
Le bastò guardare fuori dalla finestra per una sola volta: il brusio di sottofondo
che accompagnava le strade della metropoli se n’era andato per sempre, oltre
alle molteplici luci che decoravano i grattacieli e le infrastrutture durante la
notte.
A volte provava una certa invidia quando le capitava di ricordare i Matoran
abbandonare il loro luogo di lavoro per incontrarsi poi con gli amici.
L’amicizia era un qualcosa che la abbandonò dallo stesso momento in cui
“obbligò” l’intera popolazione a far ritorno nel Robot, dando per scontato che
non ci sarebbero mai stati problemi siccome si trattava della loro vera casa.
Come si poteva parlare di amicizia se alcuni membri dell’Ordine come gli stessi
Toa Hagah, Mazeka e Tobduk sospettavano di lei?
E Trinuma? E Krakua? Brutaka ed Axonn?
Forse anche Dume stava bramando qualcosa alle sue spalle.
Forse davvero si era fatto corrompere e sconfiggere facilmente da Teridax...
Tutte queste paranoie sicuramente non portarono nulla di buono in lei, ma al
contrario la fecero cadere in un baratro oscuro dal quale non era per niente
facile uscire, anche perché non sapeva veramente cosa l’avrebbe attesa.
Era tutto un rischio... un grande rischio...
Lei però sapeva che era LA guida vera e propria. LEI era il leader dell’Ordine di
Mata Nui e LEI era a capo dei Matoran. LEI era l’ultima alla quale spettava la
scelta finale e LEI era la sola che poteva far crollare la nascita di una nuova
legge o decisione.
Gli altri agenti non dovevano osare minimamente opporsi, perché sapevano
quale fosse il suo vero, nuovo potere.
Stranamente, ogni volta che pensava alla Ignika riusciva ad acquisire un briciolo
di felicità, non sapendo però per quanto l’avrebbe accompagnata.
Molte volte Dume tentò di farsi presente invitandola a fare un giro nella città
isolata, anche perché sapeva che era uno dei suoi più grandi desideri, il quale
venne però interrotto in passato dalla minaccia dei Parenga, che avrebbero
potuto colpire da un momento all’altro.
“I Parenga non ci sono più, Helryx! Ora siamo solo io e te! Rallegrati, Toa! La
cupola dorata farà il suo dovere ora!”
“Che senso ha celebrare una vittoria che non abbiamo nemmeno conquistato
con le nostre mani?” ribatteva sempre.
E ogni volta Dume se ne usciva con una risposta differente pur di convincerla,
ma niente.
Era la Ignika la sola fonte di felicità che trasudava dagli occhi di Helryx.
Non osò abbandonare la camera all’interno della quale la Kanohi era
conservata nemmeno per un secondo. A suo malgrado, infatti, il mancato
risveglio all’interno del Codrex la obbligò a far ritorno immediato a Mata-
Metru grazie al potere della Seconda Colonna, che risucchiò dentro di sè
anche Turaga Dume.
A insaputa della gente che abitava la neo metropoli di Voya Nui, il leader
dell’Ordine aveva ordinato la costruzione di un macchinario all’interno del
Codrex che permetteva il collegamento tra il potere infinito della Ignika e il
grande Robot. Così Helryx e gli altri cinque Toa Metru avrebbero governato le
terre autonomamente, senza affidarsi interamente alla Ignika per il
funzionamento del Robot, ma anzi al loro volere.
Sfortunatamente, l’arrivo di un nemico potente come Darkness interruppe il
suo piano e...
“Helryx, basta pensare!” arrivò Dume, interrompendole il suo flusso di
pensieri notturni. “Di questo passo non sarai pronta quan-”
“LASCIAMI STARE!” e sbatté con violenza la porta dell’anticamera,
bloccandola dall’interno per non farsi più disturbare da nessuna presenza.
Dall’esterno, Dume si sentì molto a disagio, e si diede colpa per il tono con cui
si era rivolto a lei. Forse se ci fosse stato qualcuno al suo fianco per
confortarlo sarebbe stato meglio, sopratutto in quel momento così delicato.
In quell’istante si domandò se mai avrebbe rivisto i saggi Turaga della lontana
Metru Nui nuovamente al suo fianco, assieme ai pochi agenti che rimasero
fedeli alla Ignika...
La pioggia tormentava la foresta da giorni. Nelle ultime settimane, le anomalie
naturali e meteorologiche si fecero sentire maggiormente. Molti dei Rahi
dell’isola fecero fatica a trovare un luogo adatto dove potersi stabilire senza
che qualche tempesta violenta potesse spazzare via il loro nuovo habitat
facilmente.
Parte della flora andò incontro alla morte a causa dell’idratazione eccessiva, e
allo stesso tempo fu molto difficile stabilire una macchina idraulica in grado di
generare energia. Non a caso il terreno divenne talmente idratato che iniziò
immediatamente a modificarsi, assieme a parte delle piante del posto che
avviarono fin da subito un processo di cambiamento fisiologico per poter
assorbire i sali derivati dalle piogge acide. I risultati però furono molto scarsi
data la straordinaria combinazione di catastrofi e di elementi naturali.
L’unico abitante dell’isolotto era arrivato da qualche settimana. Quando arrivò,
trovò i cadaveri di una moltitudine di creature bioniche quadrupedi. Approfittò
della calma ambientale del momento ed indagò per sapere cosa fosse successo
in precedenza. A giudicare dai segni e dalla vegetazione in parte devastata,
suppose che ci fosse stato uno scontro piuttosto violento.
Per un guerriero della sua stazza era davvero difficile sbagliarsi, specie se un
tempo faceva parte dell’Ordine di Mata Nui.
Con l’uso dei suoi artigli e dei suoi coltelli, strappò e smontò parte dei
cadaveri bionici per poterli riciclare in marchingegni marini che gli sarebbero
tornati utili nella pesca e in altre faccende.
E così giorno dopo giorno iniziò a costruire il suo piccolo dominio, all’interno
di una caverna posta ai margini dell’isola.
Col passare del tempo, però, quella piccola pace che si creò venne spaccata
completamente da un antico nemico che era convinto di aver sconfitto e
seppellito nei meandri più oscuri della sua mente.
Dekar, questo era il suo nome.
Hydraxon ora più che mai era mentalmente instabile e con esso anche la sua
capacità di prendere decisioni spirituali per sé stesso e, a giudicare da quanto
successo col team di Toa Tagahri, per gli altri.
Tutto iniziò durante uno dei giorni di costruzione della sua nuova barca. Gli
capitò di vedere il suo riflesso nell’acqua, ma ciò che vide lo spaventò a morte.
Arrivò per assurdo a credere che ciò che stava facendo non era stato scelto
dalla sua persona, e ogni volta che ci pensava si chiudeva in sé stesso nel vano
tentativo di pensare ad altro.
…
All’alba del ventiquattresimo giorno, la costruzione della barca era terminata.
All’inizio Hydraxon voleva creare un mezzo grazie al quale sarebbe riuscito a
ritrovare degli alleati, ma ora la questione era differente: la mente dell’ex
cacciatore marino, così come il suo sguardo e i suoi obiettivi, erano
completamente cambiati.
L’apatia in sé fungeva ora come una maschera invisibile impressa sul suo volto.
Non era più in grado di distinguere il bene dal male. Probabilmente non
rientrava più nelle sue intenzioni.
Mentre azionava gli ultimi meccanismi per il funzionamento della barca, sentì
un rumore in lontananza. Immerse la sua mano nell’acqua, e captò le vibrazioni
provenienti dalle onde riuscendo a rilevare la fonte. A quanto pare una forte
esplosione era avvenuta circa tre isole più in là dalla sua posizione,
precisamente in vicinanza della spiaggia. Non era la prima che sentiva, ma date
le sue condizioni gli era impossibile raggiungere quei luoghi, anche perché il
mare si rivelò piuttosto ostile ultimamente.
Così avviò le eliche automatiche e partì. La prima isola distava venti kios. Non
avendo ancora riconosciuto l’intervallo di tempo col quale si manifestavano le
catastrofi naturali, decise di raggiungere il punto designato fermandosi di isola
in isola.
Una volta raggiunta la seconda, si mosse verso la zona che più si avvicinava
verso la fonte del boato. In corrispondenza di essa, trovò un’enorme statua di
Toa Helryx poggiata a terra, e con una serie di lunghe corde legate alla sua
cima. Era chiaro che quell’opera doveva essere eretta nel momento in cui
l’isolotto sarebbe finito definitivamente in mano ai soldati dell’Ordine, quando i
territori nelle gambe del Robot sarebbero state conquistate del tutto.
Facendo il giro, però, Hydraxon capì tutto: la schiena della statua era scavata
all’interno, segno evidente che qualche raggio energetico l’avesse colpita, e
senza alzare lo sguardo avvistò con la coda dell’occhio un proiettile volante
verso sud.
Corse subito alla barca e partì facendo il giro dell’isola dalla quale arrivò il
colpo, che secondo Hydraxon era troppo alto per supporre che fosse diretto a
lui. Non a caso sentì una serie di spari che confermarono la sua supposizione.
…
Si fermò circa mezzo kio prima in mezzo al mare, vicino alla riva, ed attivò i
sistemi di agganciamento al fondale che fecero sprofondare la barca per far sì
che non fosse visibile a nessuno.
Velocemente sorpassò la vegetazione, dove notò i primi indizi di
combattimento. I colpi di arma da fuoco provenivano sicuramente dalla città
più vicina. Studiando infatti la zona, formulò una possibile direzione dalla quale
provenivano i raggi energetici e si mosse verso di essa.
Poco più avanti, oltre una collinetta, vide quella che all’apparenza era una torre
di difesa in parte distrutta. Era chiaro che si trovava in una base militare.
Dopo aver sorpassato l’ultimo albero, notò una bandiera sventolare dalla
facciata posteriore della torre: si trattava della Ignika. Il rosso opaco che
contornava la maschera avrebbe traumatizzato qualsiasi ribelle Parenga, specie
dopo quanto successo fino ad alcuni mesi prima.
A quanto pare, però, non si poteva dire lo stesso dei gruppi ribelli che
Hydraxon avvistò all’interno della cittadella, subito dopo essersi nascosto
furtivamente tra le macerie. Ognuno di loro apriva il fuoco con la disperazione
rabbiosa che fuoriusciva dai loro occhi.
Durante lo scontro a distanza, uno di loro fu colpito al petto. Alcuni dei suoi
compagni se ne erano accorti, ma solamente uno si fermò a soccorrerlo. Gli
altri erano talmente trasportati dall’odio per il nemico che se n’erano
completamente dimenticati. Vedendo che ora il lato destro era completamente
scoperto, cambiarono posizione dandosi copertura a vicenda, e talvolta
lanciando qualche scudo a proiezione sul terreno.
Hydraxon voleva intervenire, o comunque studiare un piano d’azione, ma non
riusciva a non soffermarsi sulle espressioni facciali dei Parenga. Ognuno di loro
era corroso dalla disperazione, a quei tempi l’unico mezzo al quale quasi
chiunque poteva aggrapparsi.
Di chi ci si poteva fidare sennò?
Di Helryx, e quindi di un ipotetico giorno in cui la destinazione raggiunta dal
Robot gli avrebbe donato la pace stessa? Oppure con Artakha, che da mesi
aveva bisogno di recuperare i suoi ormai limitati poteri? Anche i Toa Hagah e
Toa Varian, che non potevano ancora mettere piede fuori dall’isola del Grande
Essere finché il Marendar era ancora in circolazione. Certo erano ancora
scoperti, ma Artakha sapeva che la macchina anti-Toa difficilmente si sarebbe
fatta come suo nemico (o forse no?).
In quel periodo, l’abbandono del concetto di bene e di male accomunava ora la
maggior parte degli individui presenti all’interno del Robot, chi con l’obiettivo
di sopravvivere, e chi invece con addirittura un vano tentativo di fuga.
Ma ora Hydraxon doveva smettere di pensare. Purtroppo c’era ancora una
parte di lui che non si era completamente abbandonata nell’apatia che lo
accompagnava da giorni. Dopo aver scrollato la testa, contò il numero di
individui presenti sul campo da battaglia. Chiaramente prese in considerazione
il fatto che quel numero sarebbe potenzialmente diminuito da un momento
all’altro.
Si spostò allora da un edificio crollato verso un veicolo distrutto in mezzo alla
strada. Per un momento rimase sorpreso quando, una volta vista la facciata
posteriore del mezzo, realizzò che si trattava di un carro armato. Non aveva
mai visto qualcosa di simile e all’apparenza così potente nella milizia
dell’Ordine. A quanto pare la mancanza di esseri potenti come gli agenti stessi
si stava facendo sentire già prima dell’attacco di Darkness.
“Nemico avvista- AAAAAHHH!” sentì poco più a sinistra.
L’esplosione travolse un terzo dello squadrone ribelle, che fino a quel
momento era riuscito a far fuori circa l’intera base nemica.
Ad un certo punto, però, Hydraxon vide uno dei Parenga fare il giro della
trincea per recuperare l’ultima scatola di munizioni al plasma, ma quando si
voltò incrociò lo sguardo del cacciatore marino.
Per un attimo i due si gelarono. Hydraxon si sorprese dell’armatura
semidistrutta e delle modeste ferite che il Matoran ribelle riportava. Il Parenga
l’aveva riconosciuto all’istante, credendo subito che il compito dell’agente fosse
quello di prenderli da dietro di soppiatto. E proprio mentre stava per gridarlo
ai suoi compagni, fu colpito in pieno petto da un coltello volante. Il punto era
stato accuratamente studiato dall’ex cacciatore marino per far sì che costui
cadesse col corpo apposta all’indietro, nascosto da un muro, cosicché i suoi
compagni non potessero vederlo.
Per Hydraxon era arrivato il momento giusto. Fece un respiro profondo,
cercando di sommergere la personalità di Dekar per qualche secondo, giusto il
tempo necessario per fare fuori quattordici Parenga.
Prese la corsa con le sue lame alla mano. I rilevatori che i Parenga erano
riusciti a rubare nella base Ruhnga non funzionarono (anche perché Hydraxon
disponeva ancora delle tecnologie degli agenti per risultarne invisibile), e per
l’ex guerriero dell’Ordine fu tutto più facile. Nessuno dei ribelli se ne accorse.
Non avevano sentito nemmeno le urla di dolore dei commilitoni.
Dall’altra parte, come per reazione, i Ruhnga si sorpresero del fuoco nemico
improvvisamente interrotto.
“Hitukha, avvio scansione.”
“Ricevuto... Ma... non è possibile!”
“Cosa succede?”
“I nemici... sono tutti morti?!”
Il caposquadra ordinò una scansione a rete dell’area per assicurarsi l’arrivo di
nuovi nemici dalle spiagge dell’isola, ma non arrivò nessuna risposta.
“Allora? Quanto ci vuo-” si gelò.
Hydraxon era lì, con una macchia di cadaveri dell’Ordine alle sue spalle.
Stranamente l’ex agente non gli puntò la lama al collo o lo minacciò con le
parole. Bastò solamente il suo sguardo, che alla vista del Ruhnga era a dir poco
spaventoso a giudicare dal colore degli occhi, adesso di un rosso spento
penetrante.
Si avvicinò al Ta-Matoran e lo guardò per qualche secondo dalla Kanohi ai piedi
prima di dire: “La riconosco, sai? Quella che provi... Paura... Anche io sono
stato una sua vittima quando ero Matoran. Siamo piccoli a confronto con il
nemico, o peggio ancora con chi ci difende... ma io non sono qui per perdere
tempo con qualche stupida morale. Ho smesso di nascondermi...”
Il Ruhnga non oppose la minima resistenza. In realtà una parte di sé voleva
aprirsi e cercare di capire chi fosse veramente, ma la presa possente dell’ex
cacciatore marino gli fece sbattere la testa ripetutamente contro lo scudo di
uno dei defunti. Il suo liquido vitale iniziò a fuoriuscire sporcando le mani di
Hydraxon.
“PERCHÉ LE ARMATE DELL’ORDINE SI STANNO ANCORA MUOVENDO
NELLE ISOLE MERIDIONALI?! CHE FINE HANNO FATTO GLI ALTRI
AGENTI?!” parlò per qualche secondo la coscienza di Hydraxon, che sperava
di riunirsi con gli ex compagni in futuro.
Il Ta-Matoran, appeso ad un muro, rispose dolorante: “Osi p-picchiare...
un t-tuo s-simile...”
Dekar, anzi, Hydraxon si sentì preso in giro. Gli occhi tornarono gialli e tirò
subito uno schiaffo potente al Matoran. “RISPONDI!”
Il caposquadra dell’Ordine aveva lo sguardo fisso nel vuoto, ormai privo di ogni
speranza.
“Gli Eroi... d-dovevamo... a-aiutare gli Eroi a r-ripulire l-le Isole Meridionali
subito dopo l’alleanza c-con loro... m-ma il nostro g-gruppo è a-andato in
avanscoperta. Noi s-siamo qui da d-due...”
“DA DOVE VENIVANO?! DOVE SONO LORO?!” ma non ebbe risposta, e
allora lo agitò nuovamente. “DOVE SONO, LURIDO SERVO DI HELRYX?!”
Questa volta era la morte che gli rispose.
Dekar riprese il controllo e capì di aver esagerato, ma ciò non lo fermò
comunque da una serie di calci ripetuti dietro alla testa del Ta-Matoran, che fu
schiacciata come sfogo.
Alla sua sinistra vide una pozzanghera. Voleva avvicinarsi per vedere di che
colore fossero gli occhi siccome non aveva ancora capito in che momenti le
due entità spirituali prendevano sopravvento.
Non ci riuscì. La testa gli stava scoppiando.
In quel momento si rese conto che non c’era tempo da perdere, e che doveva
continuare il suo cammino. Così, approfittando dell’assenza prolungata delle
catastrofi naturali, tornò alla barca, e impostò come prossima meta l’isola più a
nord.
Le risposte che cercava sarebbero dovute arrivare assolutamente, meglio
ancora se da un Eroe in persona...
Un gruppo di guerrieri stava correndo più in fretta che poteva. Da poco erano
usciti dalla Foresta degli Arbusti in rubino, a nord di Artidax. Di fronte si apriva
una terra rocciosa caratterizzata da larghi appezzamenti in pietra che
galleggiavano su un manto di nubi azzurre. Secondo le voci di alcuni
esploratori, non si sapeva ancora quale mondo si nascondeva al di sotto di
quella nebbia...
“Forza, sorelle!”
“Dobbiamo fermarci, Vokhai! Duaris non ce la fa più!”
“Ganakh ha ragione, troviamo un riparo!”
Erano quattro Toa. Due di loro, Ganakh e Atu, stavano trasportando il Toa
della Gravità Duaris mentre venivano guidati dal Toa del Fulmine Vokhai.
Quest’ultimo proveniva da una dimensione parallela, dalla quale fu prelevato
grazie al potere dell’Essere dorato, che lo mise a suo servizio all’interno della
Realtà del Creato. E fu proprio in quel mondo padre che il Toa incontrò i
restanti membri del suo team. Tutti e tre erano dei Matoran provenienti dallo
stesso universo, e resi Toa da una misteriosa fonte di energia che li colpì
durante l’attraversamento del portale dimensionale.
Quando poi scoppiò l’anomalia dimensionale durante la battaglia finale tra le
armate di Helryx, Tuma e l’Oscuro, vennero tutti catapultati su Spherus
Magna.
I quattro guerrieri furono assunti con la piena approvazione della Toa a capo
dell’Ordine, che non scelse neanche di metterli alla prova. Qualcosa in lei la
convinse a fidarsi quasi ciecamente.
Col passare dei decenni, una volta fatto ritorno nel Robot, i quattro
ricevettero il compito di assistere gli Eroi subito dopo l’alleanza con Makuro.
L’improvvisa esplosione della Stella Rossa, però, gli fece cambiare i piani,
soprattutto quando scoprirono l’effetto della barriera anti-Toa.
Senza che le forze della Mano di Artakha se ne accorgessero, i Toa si
rifugiarono vicino Artidax, dove rimasero bloccati a causa delle devastazioni
naturali.
Un giorno, però, mentre si stavano accordando su come poter tornare su
Mata-Metru senza farsi avvistare dal nemico, capitò che Toa Duaris fu
improvvisamente centrato al petto. Un raggio invisibile (talmente era elevata la
velocità del colpo) gli sfiorò il cuore bionico, impedendogli di poter reggersi in
piedi da solo. Probabilmente il nemico aveva scelto quel punto apposta per
impedirgli di scappare. Credendo che si trattava di un cecchino in
avanscoperta, decisero di arginare gli ostili per raggiungere l’isola più vicina,
con la speranza di incontrare qualche alleato.
Vokhai si girò in continuazione nella direzione opposta. Mancava poco alla loro
barca. Un leader come lui non poteva assolutamente abbandonare la squadra,
soprattutto in quel momento critico.
Così corse verso Duaris e se lo caricò da solo in spalla. “Vieni, Duaris, ci penso
io a...” non finì di parlare: la testa del Toa della Gravità esplose all’istante.
Toa Ganakh andò nel panico. Vokhai, inorridito, lasciò cadere il corpo del
compagno come se fosse la carcassa di qualche Rahi.
Atu aveva l’espressione più inquietante. Fu l’unica ad accorgersi di un individuo
fuori-emergere dalla nebbia azzurra, che come una forza invisibile tentava
inutilmente di trascinarlo dentro di sé.
Continuò a muoversi per qualche secondo, finché non si arrestò senza dire
nulla. I dati raccolti dal suo radar segnalavano la presenza di altri tre Toa, e
questo poteva dire una sola cosa: bersagli.
“Oh no... ci ha trovati.” si rassegnò Ganakh.
Vokhai non aggiunse altro e le lanciò un oggetto dalla forma irregolare. Le due
Toa dell’Acqua compresero che si trattava della chiave per accendere la barca
dell’Ordine, la barca Kaipuke, progettata apposta per i guerrieri di Helryx.
“Andate! Sapete cosa dovete fare!”
Ganakh si oppose: “Non se ne parla!”
“E’ un ordine, sorella!”
Atu, testarda addirittura più di un certo Toa Tehutti, si infischiò del litigio
momentaneo tra i due, e si lanciò all’attacco.
La macchina bionica agganciò il bersaglio con lo sguardo, e preparò la sua
cartuccia. Sfortunatamente non fece in tempo e Atu lo scaraventò nuovamente
nella nebbia con una potente onda.
I tre Toa erano circondati, così si misero schiena contro schiena.
“Ganakh?”
“Procedo, Atu.” e attivò la sua Akaku.
Si guardò attorno diverse volte, quando all’improvviso furono scossi da un
terremoto. Abbassando lo sguardo, notò che il Marendar si stava muovendo
scavando sotto terra. Non fece in tempo a dirlo che questo sbucò dal terreno
spaccando la guardia dei tre guerrieri ed afferrando la maschera di Ganakh,
distruggendola poi in frantumi.
Infine, per non dare il minimo tempo di reazione agli altri due, afferrò uno dei
coltelli in Araidermis che portava sulla schiena, e lo infilzò nella gola della
preda. A quel punto non era necessario proseguire il combattimento con la
Toa dell’Acqua.
Il contrattacco arrivò immediatamente da Atu, ma questa volta il Marendar
materializzò non un muro, bensì una gigantesca torre di lava che schiantò poi
sui due Toa, i quali non furono schiacciati per poco.
Atu più dei due era quella che aveva rischiato maggiormente. Ed era proprio lei
il prossimo obiettivo del Marendar, che non perse tempo e le sparò col suo
fucile personalizzato una serie di cartucce antagoniste al suo elemento.
Per la Toa fu molto difficile schivare i raggi energetici, soprattutto l’ultimo che
le arrivò di soppiatto, e che fu prontamente neutralizzato dal Toa del Fulmine
Vokhai.
Il leader voleva a tutti i costi dirle di scappare, ma ecco che la macchina anti-
Toa li attaccò di nuovo.
Le abilità di Vokhai gli permisero di tener testa contro gli attacchi ripetuti della
spada in Araidermis.
‘Non ce la faremo mai, maledizione!’ esclamò dentro di sé Atu.
Inutile dire che persino gli attacchi psichici che Vokhai imparò in passato dagli
agenti dell’Ordine non diedero frutti. Forse dietro a quella macchina c’era una
mente come in tutti i Biomeccanici. Evidentemente si stava sbagliando. Ne
avevano provate di ogni.
“Adesso basta...” gettò la sua arma a terra Atu. “Avvio un’esplosione Nova!”
“Cosa?!”
“E’ l’unica scelta, Vokhai. Presto, concentra tutta l’energia nella tua Hau!” e
sapendo che il Marendar non le avrebbe lasciato altro tempo, concentrò le sue
forze il più velocemente possibile.
E proprio mente stava rilasciando il botto, sua unica speranza rimasta, uno
strano aggeggio si appiccicò al petto, creando una bolla esterna.
Il Toa del Fulmine vide gli ultimi istanti di vita di Atu che provò a liberarsi dalla
trappola, per poi esplodere in una pozza di liquido vitale all’interno della sfera,
progettata apposta per invertire l’effetto delle Esplosioni Nova.
Restava solamente un bersaglio adesso...
Tutta l’audacia che aveva guidato Vokhai e il suo team fino a quel momento si
spense completamente. Non avrebbe mai pensato che il Marendar fosse così
forte. Già le dicerie che giravano su Spherus Magna poco prima del Risveglio
erano modeste. Inoltre la macchina era sorprendentemente silenziosa, quasi
più del suo nuovo “padrone”...
“Va bene.” parlò il Toa del Fulmine facendo oscurare il cielo istantaneamente.
Il Marendar comprese subito che il nemico stava avviando un contrattacco, così
si lanciò su di lui. Un fulmine possente generò un’ampia crepa tra lui e Vokhai.
L’appezzamento in pietra sul quale avvenne lo sterminio delle due Toa
dell’Acqua fu così scisso a metà. Dall’altra parte, un quieto Vokhai alzò la mano
e fu colpito da due lampi, che si tramutarono in due spade elettriche.
Secondo i radar Mana del Marendar, utilizzati anche dal Teridax lucente e dai
legionari all’interno della Realtà del Creato, la potenza del Toa era salita alle
stelle. Questo di certo non era una buona notizia, anche perché tra tutti i Toa
che aveva ucciso fino a quel momento, nessuno di loro era portavoce del
Fulmine.
Iniziò dunque uno scontro all’inizio piuttosto placato. Entrambi stavano
studiando le contromosse avversarie, in particolare Vokhai.
Per il Marendar si trattava della solita pre analisi per quando incontrava un
nuovo elemento. Quelli a sua disposizione fino a quel momento erano Fuoco,
Plasma, Ghiaccio, Acqua, Aria, Terra e Psichico. L’utilizzo dell’ultimo fu scartato
a prescindere nel momento in cui Vokhai rilasciò qualche offensiva mentale.
La lotta tra i due iniziò solamente con un continuo rumore di spade che
sbattevano l’una sull’altra: le due spade-fulmine di Vokhai contro quella in
Araidermis del Marendar.
In più, diverse volte il Toa riuscì a sganciare qualche pugno ben assestato sul
volto della macchina, che ovviamente non reagì dolorante. Per il momento la
velocità conferita dal Fulmine risultava di gran lunga maggiore a quella del
Marendar.
Vokhai però non sapeva che il robot si stava solamente scaldando.
Quando poi la macchina raggiunse il limite di sopportazione, si allontanò,
digitando una serie di tasti sull’avambraccio ed azionando il meccanismo
Kakama.
Ed ecco che la lotta si evolse in uno scontro perpetuo di saette da una parte
all’altra. Forse con l’utilizzo della Vahi sarebbe stato possibile vedere i due
abbattersi sull’altro giusto per qualche millisecondo.
Più di una volta il Toa si allontanò per tramutare le saette celesti in nuove armi
subito dopo che il Marendar gliele distruggeva. Prima provò con le spade, poi
con una lancia, successivamente con dei coltelli, e infine con delle asce. Per
ultimo creò una sorta di lanciatore potenziato, col quale avrebbe perso un po’
di tempo per mirare il Marendar nel tentativo di prendergli qualche punto
vitale. Anche questo tentativo si rivelò inutile.
Privo di idee, Vokhai restò a fissarlo per un attimo, sorpreso del fatto che il
Marendar non lo attaccò. Stava semplicemente attendendo la sua prossima
mossa, forse questa volta con qualcosa di più grande.
“Ti accontento subito...” gli disse.
Basta con le armi. Basta con i poteri della Kanohi. Ora rimase a mani nude,
con una moltitudine di fulmini che lo circondavano.
Il Marendar accettò la sfida. Impugnò la sua spada e rimase immobi-
CLANG!
Il Toa partì subito abbattendosi con l’intero corpo, trasformato ora in lampi
elettrici, sulla lama nemica. La macchina anti-Toa parò senza problemi.
…
Proseguirono addirittura per mezz’ora. Tutto rientrava nella strategia del
Marendar. Il valoroso Vokhai iniziò a prendere i primi colpi molto pesanti in
alcuni punti. Così facendo, il Marendar si assicurò che la muscolatura fosse la
prossima componente ad abbandonarlo dopo i suoi poteri. Per la prima volta,
però, la macchina robotica si trovò dinanzi ad un avversario sicuramente
interessante, ma nulla di più...
Ad un certo punto, il Marendar era palesemente scoperto sul lato destro.
Vokhai alzò il braccio, carico di elettricità come non mai, e fece per infilzarlo,
ma un tremolio irregolare lo fece arrestare a qualche millibio dal costato
avversario. Subito fece un balzo all’indietro per anticipare un’eventuale
contromossa. Anche le gambe però iniziarono a cedere.
Cadde a terra, il respiro irregolare ed affannato. Non gli era mai capitato.
Lentamente il Marendar si avvicinò alle sue prede.
Partì dalle due Toa dell’Acqua: con un coltello speciale incise la classica X sulla
schiena delle guerriere, riuscendo così ad assorbire la loro Essenza elementale.
Poi toccò a Vokhai. Prima di morire, sapendo anche che al Marendar
interessava poco di ciò che stava per dire, cantò in rima e con orgoglio:
“Corri, corri, nemico dei Toa, corri! Certo nessuno avrà dei limiti da porti! Ma
un giorno, quando i nostri esseri fluiranno nell’Unico, sarà tutto più facile e di
noi non avrai più l’immagine! Non avrai nemmeno nemici in file, poiché sarà
costui la tua fine!”
La macchina lo afferrò per il collo molle. Fece un’incisione sulla gola per
ucciderlo definitivamente, e lo girò poi di schiena assorbendo il poter del
Fulmine dentro di sé...
Hydraxon aveva appena finito di rovistare nei magazzini della base Ruhnga.
Oltre a qualche provvista e delle casse di munizioni, trovò una serie di mappe e
di tavolette in cui venivano mostrate quelle che sarebbero dovute essere le
prossime mosse dell’Ordine dopo la rinascita del Robot su Voya Nui.
Leggendo attentamente, capì che ciò che aveva detto il caposquadra Ruhnga
era vero: l’Ordine avrebbe supportato gli Eroi nella riconquista delle Isole
Meridionali, e viceversa. Successivamente gli Eroi ne avrebbero preso il
controllo, lasciando però spazio ai due Toa Metru Ehrye ed Orkahm per i
domini biomeccanici.
Tuttavia, non era questo il vero obiettivo del cacciatore, cangiante da un
momento all’altro.
Dekar e Hydraxon, due coscienze contrastanti, volevano intraprendere due
percorsi diversi, ma sembrava esserci un punto in comune, che andava oltre la
corporatura possente e che iniziava a risentire dei disturbi mentali.
Molto spesso, durante la ricerca, sfogò la sua ira tirando dei pugni al muro
oppure calciando la prima cosa che gli capitava sotto occhio, segno che le due
personalità stavano cercando di sovrapporsi l’una sull’altra. Quando Dekar
prendeva coscienza degli atti commessi fino a quel momento da Hydraxon,
doveva assolutamente sfogarsi per non essere riuscito a controllarlo.
Probabilmente la sua rabbia repressa poteva competere solamente con quelle
dei defunti Toa Metru messe assieme.
…
Non trovò nient’altro di utile, nemmeno qualche informazione sugli agenti.
Suppose quindi che quello squadrone era stato mandato sull’isola prima della
rinascita del Robot, con l’ordine di costruire una cittadella militare per i
prossimi sbarchi. Così uscì dall’ultimo magazzino e tornò alla barca.
Una volta salito a bordo, diede un’occhiata alle coste d’istinto. L’unica cosa che
vide gli fece scattare qualcosa in lui: alzò il braccio e col suo Blaster fece fuoco
sulla bandiera dell’Ordine che sventolava dalla torre in parte distrutta,
centrando alla perfezione il disegno della Ignika.
…
Proseguì per le acque del Mare d’Argento, avvistando lo stesso isolotto che fu
protagonista della morte del team di Toa Tagahri per mano del Marendar.
La paura iniziò a farsi sentire, nonostante la grande quantità di rabbia con la
quale poteva affrontare pressoché chiunque.
Azionò la leva alla sua destra per cambiare direzione, ma la vista di un
individuo col mantello sull’isolotto lo fece fermare. Aveva già visto qualcuno
con l’aspetto simile in passato e non poteva lasciarselo sfuggire.
Avvicinandosi si accorse che il sospetto stava ispezionando i cadaveri dei Toa.
“Chi sei?!” gli disse da dietro mentre prendeva la mira.
“Ho già visto quell’arma.” disse l’individuo senza nemmeno voltarsi. “E anche
quelle lame.”
Hydraxon si immobilizzò.
“Sembrava ieri che ti vedevo gironzolare per le stanze dell’Ordine adempiendo
ai tuoi doveri quotidiani.”
Il cacciatore marino ebbe la conferma che non poteva che trattarsi di un solo
individuo: “Darkness... che cosa avete combinato tu ed Helryx?! Parla, o giuro
che ti frantumo quella finta Kraahkan che porti!”
“Chi è Darkness?” rispose lo straniero.
“NON MENTIRE! Sei l’unico che attraverso l’ombra ha spiato per anni noi
agen-” si arrestò quando vide il suo interlocutore girarsi mostrando il viso.
“Johmak?! Ma che fine... h-hai f-fatto?”
La guerriera lasciò parlare il suo silenzio. C’era qualcosa che la disturbava. Si
approssimò e fece passare la mano sull’elmo di Hydraxon, notando le nuove
tonalità dell’armatura, soprattutto gli occhi vermigli alternarsi in continuazione
con un giallo acceso.
“Che cosa ti è successo?” gli domandò.
“Nulla, perché? Cosa c’è che non va?! Tu piuttosto dove sei stata fino adesso?”
ribatté un po’ infastidito.
Johmak abbassò lo sguardo. “E’ passato tanto tempo. Son cambiate troppe
cose. Tutti voi siete cambiati. La tentazione della conoscenza vi ha corrotti.”
“Cosa?! No, Johmak! Io non sto dalla parte di Helryx!”
L’ex agente lo guardò inorridita. Hydraxon non sapeva cosa dirle. Fece per
avvicinarsi, ma la guerriera rispose materializzando il suo scudo e mettendosi in
guardia. “Tu non sei Hydraxon... e quella che ha causato tutto ciò non è
Helryx... VOI NON SIETE L’ORDINE DI MATA NUI!”
“No, non è così, Johmak! Cerca di capire!”
“Sono tornata sul Robot il giorno del Risveglio per capire cosa avreste
combinato, ma non ho ricevuto altro che delusioni...”
“Lo so, Johmak, lo so! Ma devi... AAAHHH!” la testa iniziò a fargli male.
Dekar aveva lasciato troppo spazio ad Hydraxon fino a quel momento. Era
giunto il momento di farsi sentire. Con voce autoritaria parlò convinto: “Io
non servo Helryx. Non l’ho mai fatto. E’ stata quella maschera la mia rovina. Se
potessi, la distruggerei con le mie mani!”
Johmak accigliò lo sguardo.
“Pensi che mi faccia piacere vedere quello spettacolo alle tue spalle?” le indicò i
cadaveri Toa. “Li conoscevo. Uno per uno si erano ribellati ad Helryx, e come
me furono cacciati da Mata-Metru, con l’obiettivo in comune di ribaltare un
giorno questa maledetta tirannia.” disse, e gli occhi tornarono quelli di prima.
Johmak capì che qualcosa o qualcuno stava tormentando la mente di
Hydraxon. Forse portandolo con sé avrebbe potuto scoprire qualcosa di più, e
magari come curarlo. Non era la prima volta che incontrava individui con
problemi psico-fisici.
Dopo qualche secondo, parlò facendo finta di fidarsi: “Non è la prima X che
vedo sulla schiena di un Toa.”
Hydraxon spalancò gli occhi senza dire una parola.
Johmak, in cerca di conferme, insistette. “Non credevo che Helryx potesse mai
essere capace di questo...”
“Non è stata colpa sua.”
La guerriera lo guardò stranita. “E chi è stato allora? Che diamine sta
succedendo a questo mondo, Hydraxon?!”
Lui si sedette su una roccia vicino al cadavere di Toa Ikani e spiegò rassegnato:
“Le dicerie degli Agori erano vere, Johmak. Il Marendar esiste per davvero.”
“Mata Nui...” si spaventò. “E come facciamo a fermarlo?”
“Non si può fermare, credimi. L’ho visto coi miei occhi. La sua potenza è
ineguagliabile. Anche con tutti gli agenti dell’Ordine schierati contro, sarebbe
in grado di sconfiggerci in un battibaleno.”
“Forse col potere della Ignika però...”
“Forse col potere della Ignika nulla, Johmak! Qualcosa di insidioso risiede
nuovamente in quella maschera. E’ maledetta! Noi non possiamo fare nulla
contro di essa. Va distrutta... in un modo o nell’altro.”
“Come pensi di farlo? E i Toa? Li abbandoni così?”
“E chi ti ha detto che i Toa vanno aiutati?! Aiuteresti chi si è macchiato del
genocidio di migliaia di Matoran?! Aiuteresti chi si è lasciato andare di fronte
all’alleanza di due mostri che non desiderano altro che potere?!”
“Non capisco a cosa ti riferisci...”
Dekar rispose altro: “Tu, piuttosto, come osi ribattere?! Ci hai abbandonati
assieme ad altri! Credevate seriamente che una minaccia al pari di Teridax non
potesse mai tornare? Bene! Guardati attorno! Guardali, Johmak! Guarda a cosa
hanno condotto le vostre scelte!”
Con una velocità incalcolabile, fu ribaltato e minacciato dalla guerriera con lo
scudo. “Io non vi ho abbandonati. Voi avete abbandonato voi stessi. L’Ordine
può conquistare anche un mondo intero senza Johmak o con qualche membro
in meno.”
Lo fece poi alzare in piedi e tornò ad esaminare i cadaveri.
Infine disse: “Se non altro con loro ci è andato meno pesante.”
“Cosa intendi dire?”
“Qualche giorno fa assistetti allo scontro tra un gruppo di Toa e il Marendar.
Credevo fosse una sorta di creatura proveniente dalla Realtà del Creato, per
questo non lo riconobbi. Uno di loro lo tenne impegnato per parecchio
tempo, ma gli altri... gli altri caddero subito. Neanche i Makuta erano così
spietati...”
“Sicura che fosse un Toa l’avversario più duraturo?”
“Era un Toa del Fulmine. Non capisco però per quale ragione la macchina non
abbia utilizzato il suo stesso potere per assorbirlo come ha fatto con altri…”
Rifletterono per qualche minuto, finché: “Almeno l’ultima volta non era solo a
festeggiare.” ironizzò Johmak.
“Hai visto qualcuno con lui?”
“Si, Hydraxon. Veramente lo stava seguendo.”
“Chi era?” domandò con ansia.
“Non saprei. Portava un mantello nero e un elmo piuttosto strano. Sembrava
una sorta di... Kraahkan.”
Hydraxon/Dekar si alzò immediatamente in piedi. “Dove sono diretti?!”
“Vorrei proprio saperlo. Ero in procinto di seguirli, ma una devastazione
naturale mi ha obbligato la ritirata.”
“Diamine, Johmak! Da quando una come te si fa spaventare da una tempesta di
passaggio?!”
Johmak fece per rispondergli a dovere, ma sentì un pizzico sull’avambraccio:
era una goccia acida.
“Siamo scoperti. Presto, prendi!” gli lanciò una cintura dalla forma circolare.
“Che cos’è?”
“Mettila e basta!” e dopo averne indossata una tutta sua, uno scudo bluastro
trasparente si materializzò sulla testa. Le sostanze acide colarono subito ai
margini senza mai toccare il corpo della guerriera.
In assenza di alternative, Hydraxon/Dekar fece lo stesso.
“Vieni con me. Ho lasciato la mia imbarcazione Kaipuke dietro quella scogliera.
Torniamo alla mia abitazione, prima che finiscono le batterie.”
“Non se ne parla!” si oppose il cacciatore marino. “Posso venire anche con
la...” si girò per indicarle la sua barca, ma non restò altro che un ammasso
metallico sciolto a metà.
“Comandante Gobbs.”
“Si, soldato?”
“E’ appena stato convocato ad un incontro militare con i generali. L’attendono
al sesto piano.”
“Va bene, digli che arriverò tra non molto.”
“Subito, signore.”
L’Eroe del Recon Team stava avendo un dialogo con Rocka, che si sorprese di
non essere stato convocato, dato che anche lui faceva parte della squadra.
“Vedrai che non sarà nulla di che, Rocka.” lo rassicurò Gobbs, conosciuto per
essere un gigante buono, ma micidiale in battaglia. “Si tratterà delle ultime
razioni di materiale proveniente dal tallone sinistro del Robot, o come lo
chiamano da queste parti insomma...”
“Come? Le ultime razioni?”
“Si, sono già terminate.”
Rocka, incredulo, tentò di darsi una spiegazione e Gobbs lo comprese. “Non
siamo noi che siamo stati veloci, ragazzo. Sono anche i materiali che ci sono
rimasti. Di giorno in giorno scarseggiano. In più, se vogliamo mantenere questo
Quartier generale il più intatto possibile, dobbiamo assicurarci che le altre basi
militari siano abbastanza protette e ben difese.”
“Quindi non occupiamo più i luoghi nel piede del Robot?”
“E’ meglio avere tutto sotto controllo qui alla base e nelle zone circostanti. In
questo modo saremo più pronti a rispondere al nemico nel caso in cui... beh,
hai capito...”
“Non dirai sul serio, vero? Credi davvero che un giorno potremmo ritrovarci
assaliti dalle forze nemiche?” si stupì Rocka, che nutriva grande fiducia nella
potenza bellica Hero rimasta.
“Purtroppo è un rischio considerabile. Anche se stiamo riuscendo a strappare
alcuni territori sia da una parte che dall’altra, il numero di Eroi che perdiamo al
giorno è fin troppo alto. Stormer dovrebbe mettersi in testa che non ha più
senso proseguire questo conflitto, e annullare immediatamente la Battaglia dei
Nove. Credono che una straordinaria fonte di energia sia presente all’interno
di quella cupola gigante che i Matoran chiamano Codrex. Secondo i nostri
esperti ci permetterebbe di rinnovare gli Hero core e fabbricare tanta bella
roba a nostro favore. Senza volerlo, però, siamo capitati in mezzo a una guerra
a più fronti. E’ comprensibilissimo il senso di vendetta nei confronti di Makuro,
ma dobbiamo anche capire che le cose potevano e dovrebbero andare
diversamente.”
Rocka capì che il compagno aveva ragione. Fece per rispondergli, ma dalla radio
di Gobbs si sentì: “Allora, Gobbs, ti muovi? Stiamo aspettando solamente te!”
“Si, Puck, arrivo.” e guardò l’Eroe dorato. “Non una parola con gli altri su
quello che ti ho detto. A volte è meglio nascondere la dura verità. Speriamo
solamente che chi è al comando possa cambiare idea...”
Così Rocka rimase solo nel corridoio. L’unico rumore che sentiva erano le voci
in lontananza dei funzionari al Centro missioni. Cominciò allora a passeggiare,
per riflettere meglio su ciò che l’Eroe gli disse.
…
Gli capitò di giungere nella stanza in cui venivano organizzate le missioni del
Recon Team, con tanto di cartine digitali. Ricordò fin da subito con grande
gioia la diligenza con la quale Fortis spiegava i vari obiettivi o le mosse da
attuare nel corso delle spedizioni.
…
I suoi pensieri lo fecero proseguire fino al piano inferiore, e si fermò davanti ad
una porta che conosceva abbastanza bene. Prese la chiave magnetica e aprì
l’ingresso, trovandosi di fronte al buio più totale. Premette poi l’interruttore,
per illuminare il prigioniero della stanza.
“Che sorpresa...” disse Nokama con ironia.
Il guerriero Hero non fiatò. Dentro di sé si stava quasi pentendo, anche perché
non era concesso interrogare i prigionieri senza averlo comunicato al comando
centrale.
“Allora? Non hai nulla da dire? Sei passato da essere grezzo e irascibile alla
tenerezza di un piccolo Gukko.” continuò la Toa.
L’Eroe dorato rispose con una domanda: “Qual è lo scopo di Helryx da quel
che ricordi quando eri Turaga?”
Era palesemente confuso. Troppi pensieri per la testa.
“Oh, allora mi credi... A dire il vero non avevamo un vero obiettivo, se non
convivere in pace con gli Agori nella Nuova Atero. All’inizio stava andando...
bene. Poi arrivarono le novità sulla Realtà del Creato e sul nuovo compito dei
Toa Nuva.”
“Realtà del Creato? Intendi quel luogo in cui i Toa Nuva dovevano recarsi per
consegnare la... Ignika, corretto?” disse mentre riprendeva i suoi appunti digitali
sulla storia biomeccanica.
“Si. Non avremmo mai pensato che la loro assenza potesse risultare così fatale
al punto di finire in guerra. Abbiamo perso troppa gente.”
Rocka si fermò. Voleva dirle che gli dispiaceva, ma non poteva dimenticare le
circostanze in cui si trovavano. Si limitò a dire: “Questa è la guerra.”
“Già...” rispose Nokama. “Dovrebbe nascere unicamente a difesa dei deboli e
soprattutto del bene. Ma non sempre è per tale ragione. Non lo è mai. Siamo
tutti responsabili del male che regna, in un certo senso. Tu però... mi sembri
diverso.”
Il guerriero Hero si zittì stupendosi.
Nokama continuò. “Ci sono poche persone in questo mondo che anche se
all’apparenza sono cattive, nascondono in realtà delle virtù forti e degli ideali
da seguire. Sai, ho visto per troppo tempo individui buoni che senza neanche
volerlo servivano i sentimenti più maligni che siano mai stati manifestati.
Matoran resi schiavi dal potere dell’ombra. Fratelli Toa che tradivano la loro
gente. Tu sei uno di quelli che può cambiare tutto questo! Aiuta me e i miei
fratelli, ti prego! Non puoi essere venuto da me senza un valido motivo!”
Rocka levò la sua mano di dosso. “Per chi mi hai preso?!”
“Per un persona afflitta, Eroe. Quella che hai in faccia è l’espressione che
solamente gli orrori della guerra possono suscitare. Voi Eroi siete finiti in un
conflitto che non potete gestire da soli. Non riuscirete mai a sconfiggere una
come Helryx. Se è vero ciò che mi hai detto, l’oggetto che possiede è in grado
di mettere in ginocchio chiunque!”
L’Eroe si alzò allora disperato. “E cosa dovrei fare allora?! Fidarmi di voi come
abbiamo fatto fino adesso con l’Ordine?!”
“Allora perché sei qui?” ribatté zittendolo. “Lasciate fare a noi. Siamo gli unici
che possono e devono rimediare. E’ il nostro dovere, e per compierlo
dobbiamo lavorare in unità, per adempiere poi al nostro destino.”
“Mi hai già fatto la morale su tutte queste fandonie!” urlò Daniel ad alta voce.
Nokama lo guardò rassegnata. Pensandoci bene, però, Rocka si rese conto che
non aveva altre opzioni. Forse per una volta il ribelle che era in lui poteva
portare risultati, e magari convincere Alpha Leader a prendere la strada più
giusta per tutti.
“E come... come potrei aiutarvi?” le chiese per pura curiosità.
La Toa lo comprese e disse un po’ titubante: “Ecco, c’è... un incontro.”
“Un incontro?”
“Si. I tre gruppi in cui ci siamo divisi dovranno rincontrarsi nello stesso tempio
in cui ci eravamo risvegliati tra non meno di due mesi.”
“Dove si trova?”
Nokama fece un respiro profondo, sapendo che molto probabilmente quello
che stava per fare non avrebbe portato nulla di buono. Ma d’altronde anche lei,
come Rocka, era priva di alternative. Non sapeva dove erano Matau e i suoi
fratelli. Forse erano morti, forse vivi, ma non poteva comunque aspettare in
prigionia.
E alla fine parlò...
Era sera.
Le spedizioni diurne si arrestarono. Il freddo tipico delle escursioni termiche
era uno dei segnali di stop. Sulla superficie desertica furono edificate le prime
file di capanne, riservate unicamente, almeno per il momento, a Glatorian e
responsabili ai lavori. Altri gruppi invece si occupavano della raccolta di frutta
Huai dalla foresta di Garal, quella più vicina. Alcuni di loro si avventurarono
addirittura più in là, giungendo ai piedi dell’abbandonata Wha-Nui (o ciò che
rimaneva).
La città, un tempo al centro del cosiddetto “Circolo”, si mostrò chiaramente
più in rovina rispetto alle ultime visite. Per tutto il tempo che comprendeva il
suo abbandono dopo la Seconda Guerra del Nucleo fino ad oggi, nessun
individuo si era avventurato al suo interno, nemmeno le forze di Darkness.
Quella nube tossica, protagonista della sua caduta a opera dei Parenga, impedì
all’Ordine e ai suoi nemici di farci ritorno. A dire il vero, la posizione in campo
aperto in cui si trovava era davvero difficile da mantenere. Per Helryx invece
non meritava ulteriori considerazioni. Preferì piuttosto una nuova Daxia, come
se fosse per tornare indietro nel tempo.
“921... 922... e 923. Bene, ci sono tutti.” affermò l’Agori responsabile della
conta dei lavoratori al termine della giornata.
“Ottimo, Juix.” rispose il suo aiutante, un Le-Matoran. “Avrei scommesso
qualche morte o scomparsa improvvisa fin dal primo giorno!”
“Voi Matoran dell’Aria avete contagiato gli abitanti di Tesara con la vostra
ironia!”
“E’ la nostra filosofia di vita! Dovresti fare anche tu così. Sai, a volte un po’ di
ironia permette di sdrammatizzare e mantenere gli obiettivi in prospettiva,
senza lasciarsi andare in inutili piagnistei come una Ga-Matoran.”
“Si, si, me lo dici ogni volta che te lo faccio notare.”
“Beh, è semplice: perché continui a fare diversamente, eheh!”
“Va bene, ho capito!” si infastidì. “Prendi quella cassa e portala alla carrucola.”
“Hanno già bisogno di materiale?”
“Si, sembra che si sono velocizzati ultimamente.”
“Agli ordini, Toa Tahu...” borbottò il Le-Matoran.
“Che cosa hai detto?!”
“Come? Cosa? Non ti sento, sto entrando nella cavernaaa. Qui si sente solo il
mio ecooo!” riuscì a strappare un sorrisetto a Juix.
Era da tempo che non ne faceva uno. Spesso era troppo preso dal suo lavoro,
per aiutare gli Agori o Matoran che facevano difficoltà, oppure per dare il suo
contributo nelle catene di montaggio.
Si affacciò dalla sua postazione, come faceva ogni volta che finiva il turno a fine
giornata. Nel laboratorio sotterraneo scoperto da Takanuva, le due
popolazioni si distribuivano a livelli concentrici, all’interno di piccole strutture
scavate nella roccia.
Per fortuna pietre artificiali come le Avohkii non servivano più di tanto, dato
che un’estensione a sprazzi di rocce minerarie illuminava in più punti la
voragine. Al centro di essa, in un punto discretamente illuminato da una luce
azzurra, avvenivano le varie discussioni tra i Glatorian e Takanuva. Un giorno
quest’ultimo, quasi per puro caso, scoprì un meccanismo che, quando attivato,
permetteva un isolamento acustico dal resto della voragine. Pensando ancora ai
Grandi Creatori, ipotizzò che si trattava di un luogo in cui costoro
effettuavano degli incontri pubblici, con tanto di opinioni da parte dei loro
collaboratori, ma non riusciva a immaginarsi per quale motivo costruire un
congegno simile.
Prima di andare a riposarsi, fece il solito giro per i vari livelli, assicurandosi che
chiunque stesse bene fisicamente, soprattutto mentalmente. Questo per lui
era un dovere scontato, essendo anche l’unico Toa.
Per primo andò da Giriah ed Uxis, gli unici due rimasti dei protettori delle
Città-Stato. La vita sottoterra non fu per niente facile, soprattutto per Uxis.
Aveva ancora i fantasmi della sua cieca fiducia nei confronti di Pretorius, che lo
portò a nascondere la verità ai Glatorian.
Nei mesi che seguirono la fuga del Robot da Spherus Magna, i sopravvissuti
Glatorian, gli unici a conoscere la verità il giorno in cui Pretorius la tirò fuori
volontariamente, arrivarono difficilmente a perdonare Uxis. Non avrebbero
mai potuto isolarlo, anche perché tutti loro erano i primi ad esserlo. Lui però
andò avanti a darsi contro. Ciononostante fece il massimo per aiutare gli altri,
sentendosi parte di quel misterioso senso di dolore comune che legava tutti i
superstiti.
Giriah al contrario era ormai abituata a perdere cose e persone a lei care. Uxis
di certo non poteva non prenderlo in considerazione come motivazione. Tra le
varie armi di Giriah, forse era proprio il sorriso l’arma migliore. Non c’era
dubbio sul tipo di guerriera che era e che stava diventando, ma sicuramente la
sua indifferenza di fronte al dolore la distingueva più di chiunque altro.
Takanuva poi andò da Kerix e Dinia, amici inseparabili persino nelle liti
giornaliere. Ultimamente i due Matoran allacciarono maggiormente i rapporti
con i Turaga Mahri, che avevano ormai abbracciato gli insegnamenti tipici da
anziano saggio. Ogni sera infatti, come con i Toa Tumaka, si incontravano con
alcuni Matoran per raccontargli delle loro gesta e della morale che traspariva
da esse.
Ciò che più attirava l’attenzione di Takanuva però era Cedaka: non si staccava
per un momento da Turaga Hahli. Gli ultimi anni per lei furono fin troppo
difficili per fidarsi degli altri. Anche il semplice contatto visivo la spaventava.
L’apparente cinismo di Takanuva però si legava maggiormente ai motivi per i
quali lei sapeva che il Robot sarebbe tornato in funzione, e prima o poi li
avrebbe scoperti ad ogni costo.
Per ultimi vide Tarix e Kiina dialogare fra loro.
“...lo so lo so, Kiina, ma dobbiamo darci una sbrigata!”
“Ogni cosa ha il suo tempo, Tarix. Torneremo a vivere in superficie, questo lo
sai meglio di me.”
Il veterano di Tajun prese una pila di fogli e li caricò sul tavolo. “Guarda, il
numero delle risorse di questa zona diminuisce di continuo. Quando finiranno
cosa gli diremo? Che siamo stati sfortunati come dicono quegli anziani canta-
storie? Che tutte le promesse che ci hanno mantenuto i Toa erano al pari degli
escrementi di Skopio?!”
“Se solo tu tornassi con me a Tajun...”
“TAJUN E’ DISTRUTTA, KIINA!” urlò. “Il laboratorio che avevi scoperto sarà
bello che sepolto. Scommetto che i Grandi Creatori sarebbero contenti se lo
sapessero...”
“Ma i livelli di Protodermis energizzato che erano sottoterra...”
“Sono andati anche quelli, non lo capisci?!”
“Interrompo qualcosa?” giunse Takanuva cercando di sdrammatizzare.
Tarix si appoggiò al muro per quietarsi.
Kiina rispose al Toa: “Va tutto bene, Takanuva. Abbiamo solo bisogno di
riflettere su come andare avanti.”
“Si, capisco. Credo abbiate bisogno di un po’ di riposo. Sapete, anche io ero
stacanovista come voi in passato. Non mi ha fatto per niente bene. E’ giusto
che anche gli altri facciano così. Ultimamente li vedo troppo preoccupati. Pare
che la voce sulla mancanza di materiali abbia fatto il giro...”
“E’ un imprevisto che sapremo risolvere, vedrai.” rispose Tarix sforzandosi di
mantenere la calma. Già il fatto che Takanuva glielo stava ricordando non era di
suo gradimento.
“Lo spero, Tarix. Non posso vederli soffrire di continuo.”
Con un filo di rabbia addosso, Tarix si staccò velocemente dal muro e gli andò
vicino. “Cosa proponi di fare allora? Eh?! Sentiamo!”
“Tarix!”
“Tranquilla, Kiina. Sto c-cercando di capire meglio.” balbettò per non
esplodere.
“Non mi stare troppo vicino...” lo minacciò Takanuva guardando alla sua
sinistra.
“No, avanti! Sentiamo, Toa della Luce! Perchè non crei un po’ di luce nei nostri
cuori e ci rendi un po’ felici?!” si prese gioco del Toa, che rispose con un
sorriso.
“Lo trovi divertente?! EH?! QUESTA SITUAZIONE TI FA RIDERE,
TAKANUVA?!”
Kiina si pose tra i due, cercando di allontanare Tarix spingendolo. “TARIX,
FERMO!”
Le urla furono udite quasi da chiunque. Takanuva fece per andarsene, ma fu
fermato dall’improvviso arrivo di Ackar.
Il veterano guardò in faccia a Tarix e Kiina. Poi domandò severamente: “Che
sta succedendo qui?”
“Ah!” esclamò il Toa. “Non è niente di che. Stavamo solamente...” cercò di
dare una spiegazione. Lo sguardo serio del Glatorian lo zittì.
“Kiina, Tarix, fuori.” ordinò l’ex capo dei Villaggi Uniti.
“Ma Ackar...”
“Ho detto fuori.” ripete con tranquillità, dimostrando la sua pacatezza in una
situazione difficile come quella.
Lui e Takanuva rimasero soli. Il veterano si incamminò lentamente verso il
tavolo sul quale Tarix aveva lasciato i dati sulle scorte di Protodermis, senza
dire nulla. Controllò veloce se per caso ci fossero novità.
“Quindi?” domandò impaziente il guerriero lucente. “Cosa c’è?”
“Dimmi, Takanuva... quante volte sei venuto da me a chiedermi notizie, o lo hai
fatto per obbligarmi indirettamente a fare come vuoi?” chiese dopo essersi
seduto.
“Che intendi dire?”
“Credi che sia stupido?”
“Cosa?! Io non credo che tu... senti, abbiamo un obiettivo comune io e te.
Tutti noi lo abbiamo, e cioè ridare la vita alla nostra gente.”
“Ecco! E’ qui che ti sbagli!” alzò il dito Ackar. “Questa non mi sembra proprio
la nostra gente. A me sembra che tu voglia prendere le redini dell’intero carro,
cercando di guidare la TUA di gente.”
“Noi Toa facciamo così. Non c’è bisogno di spiegazioni.”
“Allora prego! Illustrami la tua idea.” disse con una leggera provocazione.
“Così forse riesco a capire per quali ragioni ti allontani dagli impianti di
montaggio ultimamente, girovagando per il pianeta.”
La parte oscura del Toa voleva farsi sentire, ma preferì dire la verità. “Ho
ritrovato... delle tecnologie.”
“Ah, tecnologie! E poi?” ironizzò Ackar.
“Con questo rilevatore potrei rintracciare alcuni agenti dell’Ordine. Ognuno di
noi ne aveva uno. Inizialmente furono progettati per un ipotetico ritorno nella
Realtà del Creato per riportare qui i Toa Nuva, così non ci saremmo persi.
Potremmo trovare i pezzi necessari in ciò che rimane dei laboratori
sotterranei per costruire un mezzo che ci possa permettere di raggiungere i
nostri compagni nel Robot. Hanno bisogno del nostro aiuto, Ackar, non lo
capisci?”
Il Glatorian non ribatté. Prese in mano il rilevatore di Takanuva e lo esaminò
con una certa attenzione.
Poi inaspettatamente lo tirò più forte che poteva contro il muro,
distruggendolo.
Il Toa della Luce era talmente infuriato che non cacciò una singola parola dalla
bocca. Continuò ad osservare minacciosamente Ackar, che dopo essergli
arrivato a pochi centimetri dalla Kanohi gli disse: “Se ne sono andati, Takanuva.
Non torneranno più. Forse è meglio così. Anche se il Robot ha assorbito la
maggior parte del Protodermis rimasto... è meglio così.”
Takanuva continuò a fissarlo.
“Non osare guardarmi così. Sai benissimo che ho fatto la cosa giusta. Lo sai
meglio di me che quella che hai detto è una pazzia, così come quelle che
raccontano i tuoi amichetti invecchiati ogni sera. Se vuoi tornare a combattere
per quei pazzi fai pure, ma non pensare che rischierò nuovamente la vita della
MIA gente. Ne ho persa fin troppa per i comodi di Helryx. Ora noi ci
rialzeremo, che tu lo voglia o no. Non butterò via questa nuova vita che ci
aspetta alle porte, qui, sul nostro pianeta.”
Si voltò di scatto e tornò al tavolo. Aveva già perso fin troppo tempo per
quell’inutile discussione.
Il Toa invece raccolse uno per uno gli ingranaggi del rilevatore sparsi sul
terreno, e prima di uscire giurò su sé stesso. “Troverò i pezzi che i miei padri e
le mie madri ci hanno lasciato, e costruirò un veicolo che potrà portare in
salvo chiunque da questo pianeta morente. Quando avrò terminato tornerò, e
lì vedremo da che parte starà la NOSTRA gente...” e senza aggiungere altro se
ne andò.
Passarono alcune settimane da quell’incontro.
Il Toa della Luce aveva quindi deciso di far vincere il suo orgoglio, il che era
talmente grande che non si degnò nemmeno di portare il rilevatore distrutto
da qualche riparatore per farlo aggiustare.
A dire il vero, prima di andarsene del tutto, si recò di soppiatto nelle capanne
in cui c’erano gli attrezzi e ne rubò alcuni senza farsi problemi. Migliaia di anni
fa aveva già fatto qualche corso da costruttore con Huki, ma l’esperienza non
si rivelò un granché. Ciononostante si ricordava ancora qualche dritta per
aggiustare vecchi rottami. Forse ci sarebbe riuscito con un mezzo super raro e
complicato come quello.
Molti si preoccuparono della sua assenza, in particolare Jaller e compagni. Ogni
volta che chiesero il motivo ad Ackar, egli rispose con una scusa diversa da
quella precedente. A quel punto in alcuni sorse l’idea di cercarlo per
convincerlo a tornare, ma ultimamente l’ambiente si rivelò piuttosto ostile:
tempeste di sabbia, terremoti e infine mulinelli nel terreno obbligarono i
sopravvissuti a prestare maggiore attenzione. Come conseguenza di ciò, le
spedizioni diminuirono notevolmente, lasciando il compito di
approvvigionamento ai Glatorian e agli esperti.
Il buio della voragine e della disperazione tornò così nei cuori delle due
popolazioni in un attimo...
Dopo un mese circa, Takanuva era riuscito a recuperare i primi pezzi per il
veicolo, ma erano davvero pochi. Molte volte (quasi sempre) i passaggi
sotterranei in cui vennero immagazzinate le diverse parti di ricambio per il
prototipo Robot furono completamente sommersi dalla sabbia, e tirarle fuori
era davvero difficile data la loro grandezza e pesantezza. Pare che i Grandi
Creatori fossero riusciti a creare praticamente un mondo sotterra, le cui
entrate però sembravano molto difficili da aprire, o comunque vennero
bloccate dall’interno, quando i padri e le madri fondatrici regnavano ancora
sotto Bara Magna prima di partire.
Il Toa della Luce però non voleva arrendersi. Con quel poco che riuscì a
racimolare, tentò di ricostruire alcuni impianti per sollevare le poche parti
metalliche dal deserto, seguendo le istruzioni rubate. E più ne sollevava, più
grande era il peso che riusciva a caricare con le nuove componenti che
venivano continuamente aggiunte.
Col passare dei giorni e successivamente dei viaggi planetari, dopo essere
scampato ai pericoli che infestavano il globo, iniziò ad avere maggiori difficoltà
nell’accesso ai passaggi segreti, la cui maggior parte era serrata con
l’Araidermis. Non c’era modo di oltrepassarli. L’Ordine non riuscì mai a
scoprirli, avendo anche dei motivi più importanti a cui pensare.
In lui iniziò a fiorire l’idea di abbandonare tutto e di chiedere aiuto a coloro
che erano intenzionati a seguirlo per la costruzione della navicella con quel
poco di cui disponeva.
Ma come poteva? Da quando un Toa aveva bisogno degli altri? Tahu, Lhikan,
Matoro o lo stesso Jaller avrebbero mai fatto lo stesso?
Non si trattava dei suoi fratelli Toa, ma di Matoran! E per lui sarebbe stata una
vera e propria forma di debolezza.
Una notte si accampò in una foresta vicino quella di Garal. La prima cosa che
notò erano centinaia di luci accese al suo interno. Evidentemente i
sopravvissuti trovarono il modo di abitare quella zona, che però era fin troppo
ristretta per ospitare l’intera popolazione. Non si sorprese del fatto che le
foreste che stavano al di sopra dei grandi laboratori fossero rimaste intatte dai
disastri che si stavano verificando.
Gli capitò inoltre di sentire le tipiche canzoni che Kongu, Tamaru e altri Le-
Matoran cantavano nella graziosa Le-Wahi.
Voleva tornare, non c’era dubbio, ma il suo senso del dovere era più
importante. Era convinto che solamente facendo tutto da solo sarebbe riuscito
a convincere chiunque ad andare con lui, persino lo stesso Ackar. Questo era
ciò che la sua parte repressa gli stava facendo credere fino a quel momento, o
forse era davvero lui che la pensava così...
Al momento era occupato col rilevatore che Ackar gli aveva distrutto di
proposito. Era riuscito a sistemare qualcosa, ma nulla di che. Da tempo infatti
si era reso ormai conto che nessuno dei circuiti corrispondevano a quelli coi
quali aveva avuto a che fare in passato. Persino gli attrezzi che utilizzò erano
inadatti. Ogni volta che credeva di aver sbagliato un passaggio, si arrabbiò con
sé stesso, alimentando allo stesso tempo il fatto che la sua idea era veramente
una pazzia.
‘No, non può essere... è tutta colpa della mia ombra... è tutta colpa della mia
ombra...’ si ripeteva all’infinito per calmarsi, ma quella sera accadde qualcosa di
insolito.
Si concentrò più forte che poteva, ascoltando una strana sensazione interiore
che richiamava la sua attenzione di continuo, ed ecco che sentì qualcosa
all’interno della vegetazione. Sembravano dei rumori animaleschi, riconducibili
a qualche Rahi dalla modeste dimensioni.
Dopo essersi avvicinato, a giudicare dal rumore irregolare, sembrò che
l’animale si stesse sfrusciando in continuazione contro le piante. Velocemente
tagliò i cespugli dinanzi a lui con l’utilizzo della sua falce, e si prese un colpo nel
vedere il Toa dell’Aria Lesovikk girarsi a terra su sé stesso come se qualcosa lo
stesse strozzando.
Quando vide Takanuva, infatti, gli allungò la mano in richiesta di soccorso. Il
Toa lucente non sapeva cosa fare. Solamente abbassando lo sguardo capì che il
responsabile era proprio lui: un’ombra oscura serpeggiante sembrava unire
quelle dei due guerrieri elementali.
Fece il massimo per smaterializzarla, ma non ci riuscì. Il disordine mentale era
troppo potente in lui. Ora poteva anche controllare il potere dell’Ombra?
In assenza di alternative, utilizzò la sua Falce dorata, caricandola di un’elevata
quantità di luce e facendo un taglio netto.
“COUGH! COUGH!” tossì Lesovikk. “G-grazie...”
Takua rispose recuperando fiato: “Che cosa ci fai qui?! Sono decenni che non ti
vedo! Credevo che fossi morto! Come hai fatto a sopravvivere alla
devastazione causata dal Robot?!”
“E’ una lunga storia...”
Subito dopo il ritorno su Spherus Magna dalla Realtà del Creato, Lesovikk si
isolò volontariamente dalla società, ma prima di andarsene disse a tutti gli
agenti e Toa che la morte di Karzahni non avvenne per mano sua. Nessuno dei
presenti obiettò. Forse i Nuva lo avrebbero fatto, ma purtroppo non era
possibile. Takanuva invece, rinchiuso nell’Osservatorio di Tesara per
combattere la sua battaglia spirituale dopo la guerra, non vide Lesovikk
neanche una volta. Quando la situazione migliorò, si fece raccontare tutto dai
Toa Mahri, che lo informarono alla fine della sua decisione.
“Ci ho provato, Takanuva...” si disperò durante la sua spiegazione. “Ho cercato
di convincerli a cercare Velika a tutti i costi, ma il ritorno di Helryx dal coma si
è messo di mezzo. Per lei erano più importanti le ristrutturazioni dei villaggi e
la serenità delle persone, ma sapevo fin da subito che c’era qualcos’altro di
losco dietro. Lei e Dume lo sapevano.”
“Dume?”
“Si. Ogni sera si incontravano di nascosto per farfugliare qualcosa. Tutti gli
andarono dietro come un branco di Lupi di ferro. Erano fissati con la ricerca
dei Grandi Creatori, e chi invece voleva far di tutto per tornare dai Nuva nella
Realtà del Creato. Ciascuno di loro si stava facendo trascinare in un qualcosa di
super egoistico. Così provai a cercarti, ma mi dissero che le tue condizioni
erano gravi... almeno così si diceva. Perciò presi una decisione. Non potevo più
aspettare. Quel mondo non faceva più parte di me. Sapevo che qualcosa di
grave sarebbe successo e infatti fu così. Il Robot tornò a essere abitato, e per
cosa? Io e Johmak non smettemmo di porci questa domanda.”
“Johmak era con te?”
“Proprio così. La trovai ai confini dimenticati del pianeta, e anche lei come me
cercava distacco da quella società. Poi un giorno incontrammo un
commerciante di nome Magis, con il quale spesso effettuavamo diversi scambi.
Ci disse che un terremoto si scatenò vicino Tesara. Io e Johmak non lo
percepimmo. Infine si collegò al giorno del Risveglio. Lei non ci pensò due volte
e fece ritorno senza che Helryx lo sapesse. Non l’ho più rivista da quel
giorno...”
“E perché non sei andato con lei?”
“Avevo trovato il mio equilibrio, Toa della Luce. Ognuno di noi dovrebbe farlo.
Johmak invece si è fatta sopraffare dal suo passato in un batter d’occhio.”
Lanciò un sasso per sfogo. “E ora se ne sono andati tutti. Mi chiedo cosa
sperano di ottenere.”
Il raggi dell’alba iniziarono ad infilarsi tra le foglie della foresta, e Takanuva notò
qualcosa di luccicante dietro al mantello di Lesovikk. “Che cos’è?”
Il Toa dell’Aria glielo mostrò. Era una piccola pietra color azzurro, dalla forma
allungata sull’apice. “E’ una chiave. Ce l’ho da quando ero nella Realtà del
Creato. Serve ad aprire serrature in Araidermis. Alcuni servi dell’Essere dorato
che erano con me mi dissero che l’avevano rubata a un Grande Creatore.
Ognuno di loro ne ha almeno una.”
Takanuva pensò immediatamente ai sigilli in Araidermis nei passaggi sotterranei
che trovò. “Dobbiamo andare subito, Lesovikk! Ti spiegherò tutto strada
facendo!”
“Non serve.” rispose inaspettatamente. “So benissimo a cosa ti riferisci.”
Il Toa della Luce si voltò. Il suo entusiasmo si spense subito. “Cioè?”
“Sono giorni che ti seguo. Dovevo accertarmi che tu fossi il Toa della Luce che
conosco e non qualche versione che era a servizio dell’Essere dorato. Il fatto
che tu non fossi in possesso di una chiave come questa mi ha fatto pensare
diversamente. Quasi ognuno dei servitori ne aveva una. Al tempo l’Essere
dorato assegnò molti di noi a sorvegliare le prigioni che furono interamente
fabbricate in Araidermis.”
“Quindi sai che c’è un mondo nascosto sotto la superficie!”
“C’è molto di più. Ma ti dico subito che non posso aiutarti.”
“Come?! Perchè mai?!” gli andò vicino quasi con fare minaccioso.
“So che stai cercando delle parti metalliche, e che stai costruendo qualcosa.
Purtroppo però molti dei luoghi che non sei ancora riuscito ad aprire sono già
stati svuotati...”
“COSA?! E da chi?!”
“Non saprei dirtelo con esattezza. Erano degli individui totalmente differenti
l’uno dall’altro, ma non sono riuscito a distinguerli bene. Li avvistai per puro
caso non molto tempo fa. Decisi di seguirli, e venni a sapere anch’io dei
passaggi sotto al deserto. Poi li persi di vista, e giusto qualche settimana dopo
ho trovato te. Forse tu puoi aiutarmi a capire chi sono... Non siamo soli su
questo pianeta, fratello.”
Johmak e Hydraxon/Dekar erano in viaggio sulla montagna dove si trovava il
rifugio dell’ex guerriera dell’Ordine. Il cammino era lungo e insidioso, ricco di
strettoie e sentieri ripidi.
“Non potevi sceglierti un posto migliore?” domandò Hydraxon.
Johmak fece una piccola risata. “Tra non molto saremo arrivati.”
…
Giunsero su un promontorio. Oltre alla vista di buona parte dell’isola non c’era
nulla però.
Il cacciatore allargò le braccia. “Immagino che ora materializzerai la tua casa dal
nulla, giusto? ... Johmak?”
“Ti ho sentito.”
Voltandosi però non vide nessuno. La voce era la stessa della guerriera.
Improvvisamente i suoi riflessi gli fecero afferrare qualcosa di invisibile che
iniziò ad agitarsi.
“Che diamine è?!” esclamò.
Johmak, che si era nascosta poco prima, premette un pulsante che mostrò
l’aspetto della creatura che aveva assalito Hydraxon: un Vahki.
“Ma che cosa...”
“Allora funziona... bene.” si complimentò con sé stessa la guerriera. “L’ultima
volta stava per esplodere.”
Dekar prese la macchina quadrupede e la scansò violentemente. Per poco non
la gettò dal dirupo.
“Non ti azzardare a farlo di nuovo...” le puntò il dito contro.
“Rilassati, era un test.”
Si pulì l’armatura dalla polvere del Vahki. “Sei fortunata che in questo
momento sia sorprendentemente più calmo del solito.”
Johmak sorvolò la questione. Con un altro comando intanto rese visibile il
rifugio.
“Ti piace? E’ tecnologia Hero. Mi basta prendere quel piccolo dispositivo che
vedi a terra e in pochi secondi ho un arsenale tutto mio.”
“Mi stavo giusto chiedendo come avessi fatto a portare tutto quel materiale
passando per i sentieri di prima... Quindi l’hai rubato agli Eroi? Ti sei infiltrata
in una loro base?”
“No. Questa mi è stata venduta a caro prezzo da un Agori del Villaggio del
Ferro, Magis. Non so come se la sia procurata. Perlomeno ho questo tesorino
fra le mani. Vieni, hai bisogno di riparazioni all’armatura. Mettiti pure lì,
preparo gli attrezzi.”
…
“E il Vahki?” domandò Hydraxon mentre Johmak faceva il suo lavoro.
“L’ho trovato qui vicino. Pare che tempo fa l’Ordine abbia deciso di costruirne
qualche decina per supportare le prime esplorazioni del sostituto di Botar
nelle Isole Meridionali.”
“Strano, non ne sapevo nulla...”
“Ci credo, era una missione segreta. Trovai infatti una nota nel cadavere del
Sostituto. Helryx stava architettando qualcosa da tempo. A giudicare dagli
indizi che ho raccolto, sembra che ci sia stato uno scontro con un gran
numero di individui qui attorno. Prima di attaccare però hanno agganciato uno
strano meccanismo al Sostituto, per impedirgli di teletrasportarsi su Mata-
Metru o da qualche altra parte. Si vedevano i segni sul suo collo. Non so come
sia possibile.”
“Erano Parenga?”
“No, non avevano il loro tipico equipaggiamento. C’erano troppi lanciatori
Thornax e resti di armatura fin troppo grandi per un Agori o un Matoran.
Quando trovai i resti dei Vahki, decisi di fabbricarmene uno tutto per me,
come guardia personale.”
“E prima invece? Come hai fatto ad entrare nel Robot?” pose la domanda il
cacciatore per capire quale fosse stato il ruolo di Johmak fino a quel momento.
“Conoscevo un’entrata che utilizzai durante lo scontro tra i due Robot. Si
collegava direttamente alla tibia sinistra. Noi ora ci troviamo nel ginocchio
destro. Raggiungere il Continente meridionale per poi voltare a sud senza farsi
scoprire è stato davvero duro. L’ambiente nelle isole opposte a noi era
completamente inabitabile. Per fortuna sono arrivata qui prima dell’attacco al
Codrex.”
“Sai dell’attentato su Voya Nui?” si stupì Hydraxon mentre si girava dall’altro
lato per farsi riparare l’anca.
“Ho avuto qualche contatto diciamo. Ora sta fermo... fatto! Come va
l’impianto muscolare?”
“Per ora nessun dolore.” rispose facendo roteare le spalle. “Grazie.”
“Beh... sono sicura che avresti fatto lo stesso.” gli disse senza guardarlo.
Ma ecco che Dekar prese il sopravvento, alzandosi come un forsennato
nonostante i circuiti aperti. “Devo andarmene.”
“Aspetta, devo ancora finire!”
“Non c’è tempo, ho un compito da svolgere. Tu che fai, vieni?”
“Devo venire! Non ti lascerò rovinare un’ora del mio tempo per nulla! Basta
che mi spiegherai cos’hai in mente di fare...”
“Che non accada mai più, Athuka!”
“Se non l’avessi fatto, a quest’ora ci ritroveremmo circondati dagli Eroi! Il
nostro piano sarebbe salta-”
“Non mi importa! Non devi più azzardarti a prendere idee di tua iniziativa!”
Il gruppo Parenga che incrociò Vakama e Nuju riuscì quindi a fuggire dalla
trappola di ghiaccio, grazie all’afa del deserto che sciolse metà del muro nel
giro di un’ora.
Ora però per colpa di Athuka rischiavano guai seri. Per far sì che gli Eroi non
potessero avere indizi, raccolsero i resti della sentinella Hero che per poco
non scopriva i due Metru, dopodiché ripiegarono.
Il loro piano di conquista dell’ultimo avamposto Hero in piena segretezza
rischiava di andare in frantumi. Purtroppo per loro infatti non c’erano i mezzi
necessari per affrontare gli Eroi a viso aperto.
Secondo il loro piano, avrebbero atteso che buona parte dei nemici se ne
andasse dall’isola per fornire supporto militare e materiale altrove, siccome
vennero a sapere dell’abbandono improvviso di molte basi Hero per il ritorno
al Quartier generale. Le altre procedure però erano ancora da pianificare.
Inutile quindi dire che tra tutte le armate quella Parenga era la più
disorganizzata e malridotta, in particolare gli squadroni a cui appartenevano
Athuka e i suoi compagni.
…
Qualche ora più tardi fecero ritorno all’accampamento. Prima di fare ingresso,
videro passare velocemente un gruppo della Terza squadra. Stavano
trasportando un ferito in condizioni gravissime: parte delle sue interiora
metalliche fuoriusciva da un taglio al petto.
Il gruppo di Athuka rimase scioccato come il resto dell’accampamento, situato
vicino ad una torre abbandonata nell’unico passo innevato dal quale si vedeva
Artidax. La Terza squadra, composta dai migliori combattenti dello squadrone,
doveva inizialmente tenere impegnati gli Eroi alcune isole più a ovest.
Qui si fermava il piano. A causa di una grande perdita, infatti, il loro generale si
rinchiuse con la continua scusa di escogitare nuovi piani.
Era un Agori del Villaggio del Ghiaccio di nome Sakovius. Come tutti i Parenga,
entrò volontario poco prima della guerra sulla riformata Spherus Magna. Il suo
Tama, Zoik, si unì a lui poco dopo, disobbedendo agli ordini iniziali del
genitore. Durante una spedizione in avanscoperta dopo l’attentato al Codrex,
lui e il suo team furono assaliti dagli Hagahkuta, in perlustrazione per capire
che fine avessero fatto i Toa Tumaka (anche se il vero obiettivo era un altro...)
La morte di Zoik fu istantanea. Sakovius fu l’unico che sopravvisse, e quando
tornò fu nominato generale dell’accampamento come riconoscimento.
Nessuno dei Parenga però sapeva la verità: Zoik fu travolto dall’esplosione
generata da un raggio dell’Hagahkuta Iruini. Anche Sakovius fu coinvolto, ma
sopravvisse. La morte del suo Tama di fronte a sé scatenò un qualcosa di
violento in cui, ma quel giorno vinse la paura.
Gli Hagahkuta erano mostruosi contro i ribelli. Sakovius, rimasto ad osservare
la scena all’interno di un cunicolo, non ebbe la forza di reagire, specie quando
vide gli occhi rossi del Kualus mutato. Da quel giorno la paura ebbe sempre la
meglio.
All’interno della torre dell’accampamento si creò quindi una zona di comfort,
dalla quale non uscì per nessuna ragione. Solo col cadavere rianimato di Zoik
avrebbe fatto diversamente, ma questo era del tutto impossibile.
Come effetto di ciò, buona parte delle sue truppe Parenga cadde come niente
di fronte alla potenza nemica.
I ribelli avevano attualmente il controllo di un numero ristretto di territori. Col
passare dei mesi, molti dei generali furono costretti a scappare il più lontano
possibile, lasciando il loro dominio in mano agli ostili. Sakovius, al contrario,
era l’unico in possesso dell’arsenale più forte. Ovviamente ciò era dovuto al
fatto che non lo impiegò mai, ma anzi preferì sacrificare solamente qualche
pedina...
Nella coscia sinistra del Robot intanto si tenne la fatidica assemblea alla quale
partecipò Gobbs.
Anche Alpha Leader era presente all’incontro, più inquieto che mai. Ciò non
era dovuto al peso di dover dirigere un’intera milizia da solo, ma per la rabbia
che ancora provava dopo la morte di Makuro.
Sicuramente avrebbe potuto insegnare ancora molto, soprattutto alle nuove
generazioni di Eroi. A differenza di questi ultimi, però, Stormer era l’unico ad
avere delle informazioni in più sul suo creatore. Oltre alla Battaglia dei Nove,
l’interesse dell’Alpha Leader si focalizzò infatti su una ricerca privata riguardo
Makuro. Voleva a tutti i costi approfondire le poche conoscenze che aveva su di
lui, e soprattutto capire cosa c’entrava la Ignika.
“Stormer, sei con noi?” domandò Valor.
“Si, si... dove eravamo rimasti?” rispose scrollando la testa.
Davanti a lui c’erano una serie di mappe geografiche. Si avvicinò e le sfogliò una
per una. “Allora, vediamo un po’...”
Gli altri Eroi erano molto straniti. Si vedeva infatti che era palesemente in
sovrappensiero.
“Preston...” intervenne Puck. “Abbiamo già visto la cartina.”
“Si, lo so lo so!” si infastidì. “Stavo solo pensando a qualcosa di nuovo.”
Dopo un paio di minuti, la porta si aprì di colpo. Furno, Breeze e Surge si
intromisero dal nulla. Dietro di loro apparve un soldato semplice, che si scusò
imbarazzato per non essere riuscito a fermarli.
“Vi ho già detto che non c’entrate niente voi tre!” si arrabbiò Fox. “Ora fuori!”
Gobbs si incuriosì e gli ordinò di non andarsene. Il nuovo leader del Recon
Team si irritò col compagno, ma Gobbs rispose: “Sono un membro della
squadra, Fox. Pertanto è giusto che sappia cosa ti hanno detto.”
Anche Stormer non voleva intromissioni, ma preferì ascoltare le parole di
Furno per curiosità. L’Eroe dall’armatura rossa spiegò la sua opinione in base a
ciò che vide durante le spedizioni nel punto d’ingresso della Hero Factory
qualche settimana prima, per fornire aiuto col trasporto del Quaza.
“Dovete fermare questa guerra, ecco cosa c’è! Non capite che stiamo
rischiando di farci accerchiare facilmente dall’Ordine?! I dati sulle perdite e sui
materiali non corrispondono a quelli veri, e andando avanti così andremo
solamente incontro alla morte!”
“Tutte queste sono falsità!” si oppose Fox, che già aveva discusso con i tre Eroi
nei giorni precedenti. “Stormer, siamo vicini a qualcosa di grosso. Se
riuscissimo a concentrare le nostre forze nel Continente meridionale,
potremmo prendere il controllo del Codrex in un battibaleno. Manca poco al
rinforzamento delle basi circostanti, e quando lo sarà, potremo pensare
unicamente a Voya Nui.”
“E quando conquisterete il Codrex cosa farete?” ribatté Breeze.
Fox si voltò lentamente minaccioso verso di lei. Poi si avvicinò a Stormer per
convincerlo. “Tu lo vuoi vendicare Makuro, vero, Preston? O vuoi farla passare
liscia all’Ordine e dimenticare Evo e Nex come questi tre? C’è qualcosa di
potente all’interno di quella cupola che può tornarci utile contro Helryx.
Faremo confessare a quella Toa dell’Acqua che abbiamo catturato tutto quello
che sa con ogni mezzo necessario. Vale la pena rischiare.”
“Questo se vuoi morire.” rispose a dovere Surge.
“Davvero, Surge?” ribatté Valor. “E se Helryx si fosse messa in testa di
attaccare Makuhero City o peggio ancora i nostri pianeti alleati con il controllo
del Robot? Volete andarvene e aspettare che questo gigante meccanico arrivi
da noi?! Bisogna distruggerlo dall’interno, non c’è altra soluzione!”
Entrambi i fronti avevano fornito motivazioni logiche. Alpha leader però era
confuso.
“Dobbiamo andarcene, Stormer.” parlò Furno con calma. “Questa non è più
una guerra, ma una carneficina.”
La decisione sul proseguimento della Battaglia dei Nove cadde così fra le sue
mani. Le sue insicurezze spodestarono la sua diplomazia all’istante.
E proprio quando stava per decidere: “Stormer! Ce l’abbiamo fatta!”
Era Zib. Nessuno degli Eroi capì a cosa si stesse riferendo.
“Spiegati meglio.” lo invitò Puck.
“Il video di Fortis... siamo riusciti a recuperarlo! Ora non ci resta che
decriptare la parte mancante. Forse questo potrà aiutarci a capire su come
muoverci.” strizzò l’occhio a Furno, facendogli capire che era dalla sua parte.
Il contenuto restante era ancora un mistero unico. Era assurdo pensare che
alcuni secondi di video avrebbero potuto cambiare con molta probabilità le
sorti della loro guerra, annullandola o addirittura incrementandola. Forse
Stormer sarebbe venuto per assurdo a sapere qualcosa di più sulla vera identità
di Makuro, ed era proprio questa la ragione che lo spinse ad accettare
sospendendo la sua decisione finale...
Hydraxon e Johmak si mossero a nord, sorpassando Artidax e avvicinandosi di
più al Continente meridionale. In quelle zone la guerra raggiungeva il suo apice,
e l’Ordine deteneva il controllo momentaneo.
Fecero un percorso largo per non farsi avvistare dalle imbarcazioni Ruhnga,
muovendosi lungo il fianco destro delle isole.
Da lontano si sentivano spari e rimbombi in continuazione, a causa delle
battaglie navali che occupavano i mari della costa del Continente meridionale.
Sotto quel punto di vista, invece, gli Eroi stavano avendo la meglio. Questo
perché l’Ordine preferì concentrare la maggior parte della flotta altrove...
L’obiettivo degli Eroi, a giudicare dalla posizione e dalle risorse presenti, era
proprio Artidax, dove il dominio di Helryx si arrestava. Analizzando la
situazione in cui si trovavano, sarebbe stato infatti un grande aiuto per poter
infine invadere i territori a settentrione. Le restanti isole erano tappezzate di
popolazioni Parenga e non.
Johmak mise il pilota automatico e raggiunse Hydraxon sulla stiva. Era da ore
che se ne stava fisso a osservare l’ovest, dove stavano avvenendo i vari scontri.
La guerriera si affacciò un po’ sbilanciandosi, e vide che gli occhi dell’ex agente
erano ancora rossi.
Stando quindi al gioco, gli disse preoccupata: “Dekar... va tutto bene?”
Il cacciatore la guardò. Il suo occhio sinistro era di colore giallo, mentre quello
destro era rosso, senza motivo.
Johmak pensò subito che le due personalità sembravano aver trovato un
equilibrio momentaneo, allorché domandò: “A cosa stai pensando?”
“Al passato. Vorrei poter tornare indietro nel tempo, quando vincemmo
contro Teridax. Sia io che lui eravamo spensierati.”
Johmak abbassò lo sguardo. “Si, hai ragione... a volte hai l’impressione che i bei
momenti durino poco. Poi devi riprendere a combattere... e a soffrire... e poi ti
chiedi sempre il perché, magari avendo dei rimpianti su ciò che avresti potuto
fare, o sulle scelte che hai preso. Ciò che però mi domando è... è giusto,
Hydraxon? E’ giusto che i buoni debbano sempre patire maggiormente rispetto
a chi invece fa del male?”
“E tu sei veramente sicura che chi fa del male non soffra? Per quel che mi
riguarda, al giorno d’oggi non si può più distinguere il bene dal male. Creare e
distruggere fanno parte della vita, e non esiste nessun giudice che regola tutto
ciò. La giustizia ce la creiamo noi, da soli. Io ho smesso di credere nell'auto
redenzione... ho smesso di credere nell’amicizia... ho smesso di credere
nell’odio. Sai, da quando entrai a contatto con quella maschera, ho sempre
pensato che è stata questa vita a scegliere me, non il contrario.”
Johmak annuì. “Suppongo quindi che sia la vendetta contro di essa il tuo
obiettivo finale.”
“A dire il vero no. Seguo solamente il mio istinto, senza curarmi del bene
altrui.”
“Ti capisco. Nemmeno io riesco a dimenticare i casini che quella Kanohi ha
causato. Vorrei ci fosse un modo per far sì che tutto questo non fosse mai
successo. Però, sai... a volte credo che senza il dolore non avrei mai raggiunto
questa consapevolezza.” e afferrò l’avambraccio del guerriero. “Non sono per
forza le nostre esperienze a plasmarci, ma come reagiamo ad esse, Dekar!
Sono convinta che un giorno, quando sarà tutto finito, troverai il tuo
equilibrio.”
Lo stesso entusiasmo però non si leggeva nello sguardo di Hydraxon, che
rispose sorvolando l’argomento: “Fermati su quell’isolotto. Vedi se c’è qualche
punto d’attracco.”
Non era sicuro proseguire oltre infatti. Rischiavano di farsi avvistare...
Più tardi videro una serie di imbarcazioni Hero vicino alla spiaggia.
“Li senti anche tu?” domandò Johmak mentre attraccava l’imbarcazione
Kaipuke.
“Spari...” capì Hydraxon. “Sono vicini. Seguimi!”
…
Trovarono alcuni veicoli Ruhnga parcheggiati al termine di una foresta. Oltre
c’erano dei gruppetti di villaggi distribuiti all’interno del verde insulare, e non
ancora completi siccome il Protodermis che fu impiegato all’inizio non venne
rimodellato completamente a causa dello scoppio della guerra. Diverse parti
della zona erano infuocate e fumanti. Si vedevano anche dei raggi energetici
volare in cielo e verso l’interno dei boschi.
“Gli Eroi hanno voluto prenderli da dietro.” suppose Johmak dopo aver tirato
fuori il binocolo. “Allora... si, eccoli! Ci sono degli Eroi impegnati in quel
punto.”
“Quanti sono?”
“Non saprei, è molto difficile vederli da qui. La vegetazione è molto fitta.
Saranno qualche decina.”
In realtà Hydraxon/Dekar stava facendo il calcolo del tempo necessario per
farli fuori tutti, tranne uno...
“D’accordo.” disse. “Muoviamoci scendendo da quella collina. Li coglieremo di
soppia-”
“Aspetta, c’è... un carro armato?!”
Hydraxon sospirò. “Si. Credevo che ci sarebbe voluto ancora del tempo per
testarli. Conviene stare attenti.”
“A terra!” si spinse Johmak su di lui.
Sopra le loro teste volò una coppia di jet Rangai. Stavano per bombardare il
punto in cui si trovavano gli Eroi, ma l’arrivo degli aerei Hero glielo impedì. Nei
cieli scoppiò uno scontro quasi alla pari di quello tra i Falconi dorati e la
squadra di Trinuma.
“Andiamo, Dekar, prima che ci vedano.”
…
Sfruttarono i fusti degli alberi per non farsi avvistare, mentre si davano
copertura a vicenda. Avevano quasi raggiunto il gruppo di Eroi.
Johmak si fermò in un punto specifico. Da lì l’unica cosa che riusciva a vedere
era la squadra Hero, che però aveva caratteristiche particolari, e la guerriera lo
notò subito.
“Cosa stiamo aspettando?” si infastidì il compagno.
“Non possiamo attaccarli...”
“Cosa?!”
“Sono Bersaglieri, macchine che sono state assegnate alla Recon Team. Uno di
loro potrebbe far fuori una coppia di Toa facilmente. Ora capisco perché i
Ruhnga abbiano deciso di schierare l’artiglieria pesante. Quel Parenga che
incontrai aveva ragione, maledizione... Questo può voler dire una sola cosa...”
“Ovvero?”
“Significa che la penultima base Parenga a sud è stata conquistata dagli Eroi. Da
quel che ho scoperto, fino a quel momento i Bersaglieri erano stati tutti
schierati e sterminati consecutivamente dall’Ordine, anche se non riuscivo ad
immaginarmi con che cosa... In ogni caso, sembra che le risorse siano state
interamente sfruttate per fabbricare quei nuovi androidi. Dobbiamo muoverci
con cautela.”
BOOM!
Un’esplosione scoppiò al fronte dell’Ordine, rifugiato nel villaggio. Rimanevano
poche forze all’interno e lo schieramento dei mezzi da combattimento fu
praticamente obbligatorio.
“Kavers, sincronizzati con quel Bersagliere. Voglio un blitz in quell’edificio
prima di avanzare.” ordinò un team leader al soldato Hero.
La macchina fu attivata e si mosse in fretta. In meno di venti secondi furono
scovati cinque Matoran, con un equipaggiamento designato come anti-
Bersagliere. Cosa più assurda era che i Matoran non erano Ruhnga, ma semplici
abitanti innocui, probabilmente ingaggiati dall’Ordine.
La scarsità di personale stava iniziando ad aver maggior peso anche fra loro...
“Nemici in arrivo dal settore est!” sentirono Hydraxon e Johmak.
Gli spari aumentarono senza interruzione. Gli altri team Hero fecero irruzione,
supportati da due dei sette Bersaglieri.
“Kavers, ordina agli altri di fornire fuoco di supporto!”
“Ricevuto.”
Hydraxon/Dekar e Johmak avevano il via libera. Raggiunsero così il punto
precedentemente occupato dagli Eroi. L’ex guardiano del Pozzo stava
preparandosi ad un attacco furtivo contro i Ruhnga, calcolando che gli Eroi
sarebbero stati impegnati col carro armato.
Prima di partire all’attacco però: “Fermo!” disse Johmak. “Guarda le armi di
quei Matoran. Hanno degli strani proiettili azzurri nel caricatore.”
Inizialmente Hydraxon non la stava ascoltando, ma quando sentì la descrizione
dei colpi cambiò espressione, allargando gli occhi. “Fa vedere!”
Dopo averli esaminati, collegò tutto: “Araidermis?!”
“Ara... che?” domandò Johmak.
“Non importa. Prendi!” le lanciò il fucile anti-Bersagliere. “E fai la scorta di
colpi!”
“Uh... va bene...” non riusciva a capire.
Dopo essersi armati, cercarono di studiare la situazione.
Mentre i due aerei, uno dell’Ordine e uno Hero, erano rimasti a darsi la caccia
nei cieli, gli altri squadroni ostili si fronteggiarono a viso aperto,
abbandonandosi allo scontro corpo a corpo per alcuni.
Una nuova serie di rimbombi scoppiò dall’altra parte dell’isola.
“Stanno combattendo ovunque...” affermò la guerriera. “Non so che cosa hai
intenzione di fare quando avrai catturato un Eroe, ma fallo presto, Dekar!”
Il silenzio del cacciatore lo accompagnò mentre si gettava a capofitto dal
secondo piano, e Johmak lo seguì.
Improvvisamente alzò la mano fermandola. Dopo qualche secondo, una
gigantesca corazza volante si mosse lentamente dinanzi a loro. Il carro armato
prese la mira e fece fuoco negli edifici in cui si stavano verificando gli scontri.
Il rumore dello sparo era talmente assordante che i due urlarono per
l’intensità, facendosi sentire erroneamente.
Il carro rimase immobile per qualche attimo, dopodiché si voltò verso di loro
prendendo la mira.
Hydraxon non ci pensò due volte e prese dalla sua cintura uno speciale scudo
a proiezione anti-Araidermis. Sfortunatamente, però, la barriera si attivò per
metà, all’altezza del bacino. Lui e Johmak furono travolti dall’esplosione.
Per fortuna sopravvissero, ma l’impatto contro le macerie fece perdere i sensi
ad entrambi.
…
“Kavers, qui Dragon 4-1-6. Bersaglio nemico neutralizzato... Kavers, mi ricevi? ...
Kavers? Comando centrale, qui Dragon 4-1-6. Ho perso il contatto col Bolt Team.
Richiedo nuovi ordin-”
CRASH!
La radio fu schiacciata da un soldato Ruhnga.
Ventiquattro dei sessanta Ruhnga rimasti ebbero la meglio sul nemico. Il carro
armato dell’Ordine, caricato con proiettili in Araidermis, l’unica sostanza in
grado di recare danno ai Bersaglieri Hero, fece fuori i restanti nemici con un
solo colpo. Tuttavia alcuni sopravvissero, e furono fatti prigionieri dai soldati
dell’Ordine per un interrogatorio.
“Solo quattro?” si meravigliò un Ruhnga. “Speravo che il numero fosse
maggiore oggi. Ancora questi non si rendono conto di con chi hanno a che
fare.”
L’Eroe Kavers, ancora in vita ma senza un braccio, lo guardò minaccioso.
“Cos’hai da guardare?” gli rispose il Ruhnga.
“Soldato!” udì dietro di sé. “Dov’è il tuo comandante?”
Era un Toa dell’Aria.
“Toa Xhana... si, è q-qui d-da qualche parte.” balbettò. “P-per caso devo
informarlo di qualcosa?”
“Abbiamo nuovi prigionieri.”
“Eroi?”
“No. Traditori...” intervenne un altro Toa: Kadani, della Pietra.
Scaricò i corpi ancora incoscienti di Hydraxon e Johmak dopo aver fatto
utilizzo della sua Pakari.
“Sapevo che questo Roodaka aveva ancora il nostro equipaggiamento.” si riferì
ad Hydraxon mentre si spolverava l’armatura. “Stava per immunizzarsi dal
colpo del carro con uno dei nostri scudi a proiezione. Lurido schifoso...”
I due Toa, piloti del carro armato, li portarono dagli altri prigionieri. Arrivò poi
il comandante dello squadrone, iniziando a interrogare quelli che gli
sembravano più consci.
Nel frattempo Johmak si riprese. Si guardò attorno quando tutti erano girati
dall’altra parte. Doveva trovare un modo per liberarsi delle manette in
Protoacciaio a tutti i costi. “NGH! Ehi, Toa!”
“Oh, vedo che ci siamo ripresi subito, traditrice...” parlò Kadani mentre si
avvicinava a lei.
“Risparmia il fiato! Non ho nulla da rimproverarmi!”
“Voglio proprio vedere.” si voltò afferrando la sua arma da fuoco, e puntandola
sulla testa di Hydraxon. “Che questo sia da esempio a tutti i nemici
dell’Ordine!”
“Fermo!” gridò l’ex agente guerriera. “Come puoi ostinarti a servire Helryx
dopo ciò che vi ha fatto?! Non credete voi due che sia giusto opporsi e
ribaltare questa situazione? E dimmi, da quant’è che non vedi Helryx? Mesi?
Anni? Vi ha sguinzagliato come se foste Lupi del ferro, facendo sì che la sua
barriera protettiva si estendesse sempre di p-”
“STA’ ZITTA!”
Johmak abbassò lo sguardo addolorata. Fece di no con la tesa, dicendo: “Tu
non sai cosa sta per arrivare... no, non puoi saperlo... Ogni Toa è in pericolo
ora, nessuno escluso. Nemmeno Helryx...”
Poi si soffermò sugli occhi spalancati e inquietanti di Hydraxon, che dopo aver
atteso il momento giusto si liberò della presa e colpì Kadani alle spalle.
La Calix di Xhana gli fece schivare l’attacco con semplicità, e infilzò il
cacciatore con una daga sul ginocchio sinistro.
Ma lui non poteva cedere così: con una velocità fulminea, estrasse uno dei suoi
coltelli ed afferrò alle spalle Xhana, spaccandogli il braccio destro e
bloccandolo.
Gli altri soldati si misero in guardia già da quando sentirono il gemito di dolore
di Hydraxon. Johmak intanto si girò nel terreno, alzandosi infine in piedi ancora
ammanettata.
In quella situazione di stallo, i Ruhnga stavano puntando le loro armi contro
l’aggressore di Xhana, dolorante a causa dell’arto rotto.
“NGH! Adesso ascoltami bene, traditore... AHHH!”
“Non ti lascerò una sola parola, Xhana. Non mi sei mai stato simpatico se
proprio vuoi saperlo...”
“Ti conviene abbassare le armi, Dekar. Se lo fai ti prometto che le torture da
parte di Helryx saranno meno doloro-”
“TU NON SAI NIENTE DI HELRYX! VOI TUTTI NON SAPETE NULLA SU
DI LEI!”
“Hydraxon, cerca di controllarti!” suggerì la compagna di viaggio.
“NO! PORTAMI PURE SU MATA-METRU, XHANA! MA QUANDO AVRÒ
FINITO CON LEI, SARAI IL PROSSIMO!”
Sentì poi una leggera pressione sulla nuca: Kadani gli stava puntando il
lanciatore. “E dimmi allora, riusciresti a uccidere Helryx da morto?”
Il cacciatore si voltò di qualche millimetro a sinistra. Poi, andando praticamente
a sensazione, lo prese col gomito sul mento, e si girò picchiandolo senza
fermarsi. Xhana però glielo impedì, e lo colpì ripetutamente in diversi punti
dell’impianto muscolare, indebolendolo.
I soldati Ruhnga non sapevano cosa fare.
“Sparate...” ordinò il caposquadra inaspettatamente.
“Signore?!” si stupì uno degli ufficiali.
“HO DETTO SPARATE! COSI’ QUEI LURIDI TOA CI PENSERANNO DUE
VOLTE PRIMA DI CACCIARCI IN NUOVI CASINI! NOI MATORAN
ABBIAMO GIA’ SOFFERTO ABBASTANZA! ORA OBBEDITE!”
Alcuni tremarono. Il caposquadra, su tutte le furie, andò da uno di loro e si
mise dietro per aiutarlo a premere il grilletto. Con voce pacata gli disse: “Ecco,
così... Spara, soldato... Spara...”
“NO, NON FARLO!” gridò Johmak con i polsi lacerati a causa delle manette
laser.
Guardò subito terrorizzata i tre combattenti élite, ma si prese un colpo
quando vide solamente Dekar in piedi e con una luce dorata che fuoriusciva
dal suo sguardo. I due Toa si guardarono l’un l’altro perplessi. Lo stesso effetto
accadde ai Ruhnga, rimasti anch’essi paralizzati.
Tutti guardavano verso nord-est, in direzione di Mata-Metru.
Infine si incamminarono in sincronia seguendo quella misteriosa scia. La
guerriera provò diverse volte a chiamare Dekar e gli altri soldati, ma nessuno le
rispose...
L’isola che si affacciava su Artidax stava affrontando le medesime battaglie. Gli
Eroi erano più che mai determinati a dare il massimo per prenderne il
controllo.
Giusto qualche giorno prima rilasciarono degli enormi impianti per la raccolta
del Protodermis, modificati apposta per sostenere i guerrieri Hero in mare
aperto. Queste strutture, non potendo più prelevare nessuna quantità di
Protodermis dal fondale marino, vennero mutate in gigantesche macchine a
quattro zampe, grandi quanto un’intera regione, e all’interno delle quali
risiedevano migliaia di Eroi assegnati in settori diversi. In più punti furono
posizionate delle torrette che si rivelarono molto utili contro le navi Ruhnga,
che proprio per rinforzare i propri confini avviarono un piano di conquista
forzato dell’isola in mano al generale Sakovius (tecnicamente), in cui si
trovavano tutti i Toa Metru risvegliati.
Ora i sei dovevano prestare maggiore attenzione. Ma chi li avrebbe avvisati?
Solo Vakama e Nuju ricevettero degli avvertimenti tramite le infinite visioni del
Toa del Fuoco.
Attualmente, i due guerrieri elementali se ne stavano appostati dalla cima di un
grattacielo ad osservare uno scontro tra Parenga e i fedeli dell’Ordine.
Passò giusto qualche settimana dall’incontro con il gruppo di Athuka, e loro
credevano di essere gli unici a non aver trovato ancora delle rispose. A dire il
vero, come gli altri quattro fratelli, scoprirono, o meglio intuirono che il
deserto in cui riaprirono gli occhi non era lo stesso di Roxtus. Ciononostante
rimasero obbligati a fare supposizioni in base a ciò che gli capitava di fronte.
“Che facciamo, Vakama?”
Per l’ennesima volta, il Toa del Fuoco non rispose a Nuju. Era sull’orlo di
intervenire, ma così facendo avrebbe mandato all’aria tutte le visioni che lo
tormentavano ormai da tempo. Negli ultimi giorni continuò a chiedersi la
stessa cosa: e se i tre individui della visione fossero il vero motivo per cui la
voce gli suggerì inizialmente di “agire nelle tenebre”?
Chi erano veramente? Ogni volta si sforzò di intravedere il loro volto, ma non
riusciva a riconoscerli.
“Vakama! Allora?!”
Il Toa del Fuoco scrollò la testa. “C-ci s-sono, fratello. Allora...”
Una serie di esplosioni a raffica interrompevano i suoi pensieri di continuo.
Non riusciva a ragionare...
Dopo aver ingrandito con la sua lente, Nuju avvistò qualcosa: “Guarda! Quelli
sono i Parenga che abbiamo incontrato, ricordi? E c’è anche il Matoran che ha
distrutto la sentinella Hero.”
“Si, li vedo... però... Non possiamo rischiare, Nuju! Dobbiamo dare ascolto alle
visioni!”
“Non ti biasimo, fratello, ma come vedi ci stanno rendendo ciechi. Dobbiamo
cercare delle risposte!”
Il Toa del Ghiacciò continuò a parlare per diverso tempo, ma Vakama non lo
stava ascoltando. Avvertì qualcosa di strano avvicinarsi.
“...quindi se non facciamo nulla, rischiam-”
“Lo senti anche tu?!”
“No... Di che stai parlando?” si accigliò Nuju.
“Sento qualcosa... qualcosa di potente vicino a noi.”
“Si... ora lo sento anch’io...”
La causa di tutto ciò si presentò dinanzi ai loro occhi, come accadde con
Johmak. Lo stesso fenomeno che intrappolò al suo interno Hydraxon e gli altri
Ruhnga si manifestò nuovamente nel mezzo della battaglia. I due Toa sentirono
solamente la magnifica energia di quella misteriosa scia dorata che si diramava
nella mente dei Ruhnga rimasti.
Non tutti però: solamente coloro che furono vittime della rottura della loro
Kanohi infatti vennero richiamati. Nelle loro menti udirono una graziosa voce
femminile richiamarli di continuo, mentre pronunciava il loro nome.
“Che sta succedendo?!” si stupì il caposquadra dello squadrone di Athuka,
abbassando l’arma.
Il suo secondo in comando ebbe la risposta pronta: “Qualcosa li sta
trascinando verso di sé... che sia l’Essere dorato?!”
“Ne dubito.” rispose un altro. “Forse è qualcosa più potente...”
“Sono solo stupidaggini!” intervenne il Parenga più determinato di tutti. “Vi
faccio vedere io come ammazzarli in poco tempo!” ma come premette il
grilletto, ci fu un’esplosione dell’intero blaster tra le sue mani.
Una chiazza di liquido vitale e parti organiche si cosparse addosso ai ribelli più
vicini. Nemmeno il tempo di gridare che subito un altro Matoran disse al
proprio commilitone: “Ikanu, dove vai? Mi stai ascoltando, Ikanu?! IKANU?!
IKANU, FERMATI!” ma non c’era verso.
“AIUTATEMI!” urlò senza ricevere aiuto da nessuno, siccome temevano di
esplodere anche loro dal nulla. Si limitarono a portarlo via per evitare che gli
accadesse la stessa fine tragica.
“LASCIATEMI ANDARE! DEVO AIUTARLO!”
Decine di Parenga subirono lo stesso destino. I loro visi erano cosparsi di gioia,
come se fossero improvvisamente stati catapultati in un mondo perfetto e
felice. E anche loro si misero in cammino, trasportati da quelle sensazioni
metafisiche...
“Cosa facciamo, signore?”
“Non saprei cosa risponderti, Athuka. Per ora torniamo alla base e riferiamo
tutto a Sakovius.”
“Si, signore. Lo avete sentito, ragazzi? Ritirata! Ritirata!”
“Ecco, Nuju.” rispose d’istinto Vakama. “Ora abbiamo una nuova pista.”
“Vuoi seriamente pedinarli?! Ricordi che ce l’hanno a morte con noi Toa, vero?
Se mettessimo piede nel loro fortino, finiremmo in pasto a qualche Rahi!”
“Abbiamo qualche altra scelta? Non sappiamo da dove proviene quella scia
dorata, anche se potrei supporlo...”
Nuju allargò subito lo sguardo. “Allora anche tu credi che...”
“Si, fratello. Credo sia tutta opera della Ignika. Nessun altro oggetto può
rilasciare un potere simile.”
“O forse è stata Helryx...” lo corresse il Toa del Ghiaccio. “Va bene allora.
Faremo come hai detto. Spero solo che gli altri stiano bene...”
3150 giorni prima del Risveglio…
“Dov’è?”
“Tu l’hai visto?”
“Voi invece?”
“Era qui qualche ora fa.”
“L’ultima volta che ero con lui era vicino all’abitazione di Sylak.” vociferarono
tra di loro i Matoran.
“ YEEEEEAAAAHH!”
“Oggi è un giorno importantissimo per tutti voi tifosi! La magnifica potenza di
Wai-Nui si scontrerà con le enormi abilità di Whe-Nui!”
E mentre l’annunciatore parlava riassumendo l’andamento delle scorse partite,
Ahkmou si guardò attorno rendendosi conto del tifo accentuato di alcuni tifosi,
che mancarono subito di rispetto nei confronti della squadra/villaggio
avversario. Ognuno di loro fu investito da un sentimento rabbioso e fomentato
allo stesso tempo, accompagnato da cori denigratori e razzisti contro gli Agori
o i Matoran.
“Odio. Mancanza di unità. Razzismo. Egocentrismo ed egoismo. Virtù
sicuramente negative...” cominciò il suo discorso Darkness. “Tutto questo per
un semplice sport, nato ai vostri tempi per unificare i popoli sotto lo sguardo
solenne del Grande Spirito Mata Nui. Buffo di come a distanza di anni dal
termine della guerra non sia cambiato nulla, ma anzi, che si sia addirittura
diffuso nel linguaggio e nella semplicità comune. Come vedi tutto inizia dalle
piccole cose, Ahkmou...”
“Nel volto di alcuni però vedo felicità, spensieratezza. Sembrano entusiasti di
vedere la partita che sta per cominciare.”
“E quanto pensi che dureranno? Quanto tempo passerà prima che anche loro
si trasformino in quegli orrendi mostri? Anche quello è razzismo in una delle
sue differenti e tristi forme. Non dovranno esistere razze un giorno, Matoran.
Esisterà un unificatore che terrà dentro di sé il liquido vitale di più esseri. Ma
non era solamente questo che volevo farti notare. Guarda là...”
Improvvisamente nell’arena fece invasione un Onu-Matoran qualunque. Corse
fino al centro dell’arena, prima che le guardie glatoriane potessero acciuffarlo, e
gridò ad alta voce: “Le partite sono tutte truccate! Là fuori c’è gente che
muore di fame e che ha ancora bisogno di una casa! Non potete stare qui a
seguire le orme di tre Roodaka come loro mentre i nostri fratelli se ne stanno
a marcire!”
La folla fece un verso collettivo di stupore. Uno dei tre giudici, seduto sul suo
trono, rispose con serena tranquillità: “Bene dunque, mostraci cosa dovremmo
fare allora...”
Gli spettatori scoppiarono a ridere. Il Matoran provò più volte a rispondere a
dovere, ma il menefreghismo dei tre giudici oltrepassò ogni sua offensiva.
Anche se questo aveva ragione, fu comunque preso in giro dai presenti che
non volevano mettersi dalla sua parte.
“Ecco, Ahkmou.” parlò nuovamente Darkness. “Ecco perché chi osa alzare la
testa viene immediatamente tramortito dal pensiero comune. Ecco perché fino
alla fine ci sarà sempre una discriminazione totale di questi individui. E per
quale ragione? Perchè forse si tratta di uno dei pochi Parenga rimasti? E’
naturale: come rischi di ribaltare l’equilibrio che si era e che si sta creando,
diventi in automatico un “cattivone”. Guarda come questo branco di Mahi si
lascia abbandonare al pensiero collettivo a favore di quei tre stolti, come se
fossero proprio loro a donare cibo ed abitazioni alla gente del Circolo. Vedi,
molti di loro sono depensanti che preferirebbero vivere come quei tre in
mezzo alla ricchezza. Tu non hai mai visto come li acclamano ogni volta che si
trovano a pochi metri da loro. Ma farebbero lo stesso con un Matoran, un
Glatorian, un Agori, o addirittura un Toa che sta morendo di fame?”
“Beh... alcuni lo farebbero. C’è ancora gente che lotta per il bene, ne sono più
che sicuro!”
“Non è una quantità sufficiente, Ahkmou. Non tutti lo fanno perché lo
desiderano veramente. Molti che si reputano profeti del bene comune e
dell’altruismo lo fanno solamente per attirare attenzione e complimenti. Se
vuoi che regni pace nel tuo dominio, devi prima capire che la prima cosa che
deve esistere non è la felicità, ma la serenità personale con sé stessi. Ognuno
di loro combatte una guerra spirituale che però esplicita in maniera
completamente scorretta, affidandosi a tre avidi come loro e non per esempio
agli altri Toa.”
“Pensavo che odiassi i Toa...” si sorprese Ahkmou.
“Io provo odio nei confronti della società che ci circonda. E non me ne starò
fermo a osservare il tempo e la vita passarmi di fronte. Non più ormai... Siamo
tutti accomunati dall’odio contro un qualcosa che tutto sommato non
sappiamo cosa sia, e lo tiriamo fuori, coi fatti, facendo talvolta del male ad altri,
senza rendercene conto e fregandoci delle possibili conseguenze. Helryx non
ha insegnato questo a voi Matoran. Il Grande Spirito non l’ha fatto. Non
l’hanno fatto i suoi portavoce, ovvero i Turaga, e non l’hanno fatto nemmeno i
Grandi Creatori. Si sono inventati questa futile politica dell’Unità, del Dovere e
del Destino. Ma come vedi non esiste maligno che non sia nato dal buono...”
“Cosa dovremmo fare allora?”
Darkness non fiatò. Restò ad osservare il proseguimento dello scontro verbale.
“E’ facile parlare per voi tre!” disse il protestante mentre due guardie
glatoriane lo afferrarono per le braccia. “Basta che vi alzate, veniate qui,
facciate il vostro spettacolino per poi tornarvene nei vostri alloggi, senza che
una minima mole di preoccupazioni invada il vostro pensiero!”
La folla iniziò a fischiargli contro: “Tornatene a casa!”
“Buffone!”
“Sporco ribelle!”
Uno dei tre Agori si alzò a braccia aperte, credendosi una sorta di divinità.
“Non li vedi? Riesci a vedere da che parte stanno loro? Credi che uno stupido
Parenga come te possa fargli cambiare idea? Perchè allora non sei a combattere
per i tuoi diritti? Sei davvero convinto che così facendo otterrai qualcosa?
Ricordati che mentre tu sei qui a inveirci contro, ci sono persone che stanno
peggio di te, e per la quale nessuno dei presenti può farci qualcosa. Siamo nel
dopoguerra, e solo l’Ordine può darci le risposte che cerchiamo da millenni!”
“L’Ordine vi farà solamente ammazzare! Quanti Matoran e Agori sono morti
per la sete imperialistica di tre mostri?!”
“Meglio sottostare a Helryx che ai figli dell’anarchia se proprio me lo chiedi,
eheh!” e rise assieme alla folla. “Va bene, ne ho avuto abbastanza adesso.
Portatelo via!”
“No! Fermi! Ribellatevi, fratelli miei! Ricorda-” fu ammutolito da una guardia
finché non giunsero nei tunnel sotterranei all’arena, dove fu martoriato
violentemente dinanzi agli occhi dei lavoratori.
Nessuno sentì le sue grida di dolore. Le esultanze della folla per il gol segnato
dalla Ga-Matoran Nahuil si fecero sentire in ogni angolo di Tesara.
Ahkmou guardò subito Darkness spaventato, ed egli gli disse: “Tutto questo
non cambierà mai, Ahkmou, dovrai rassegnarti. Ormai è diventata una ruota
che non smetterà mai di girare proprio perché è alimentata da questa scarica
di emozioni forti che quegli stolti provano. Perchè mai dover interrompere
un’usanza come questa, si chiederebbero. Cosa ancora più triste, è che quelli
che si opporrebbero, chi follemente e chi giustamente, verranno visti in
maniera negativa. Ecco perché la nostra politica agirà sempre all’oscuro di tutti.
Per cambiare il mondo, dovremo puntare a un unico momento che
capovolgerà obbligatoriamente la vita di tutti... Ma non è solamente questo di
cui ti voglio parlare. Non sono per forza la corruzione, l’avidità e il
conformismo a rovinare questa società. Vieni con me, siamo solo all’inizio.”
2289 giorni prima del Risveglio…
“Va bene, Kapura. Forse sentirai del dolore mentre si avvierà il processo di
trasformazione. Sei pronto?”
Il Ta-Matoran fece un respiro profondo. “Okay, cominciamo...”
Trinuma e Krakua attivarono il meccanismo subito dopo aver preparato il
cristallo del Marchingegno. “Avvio sincronizzazione con la Stella Rossa.
Percentuale in crescita...”
Anche Toa Helryx era presente, desiderosa di verificare il corretto
funzionamento della macchina.
“Sincronizzazione coi Kestora effettuata.”
“Avviare il comando 3.”
“Si, signora.” rispose il geniere. “Inizio...”
Prima di premere il pulsante, però, si accorse che la macchina stava emettendo
delle scintille in diverse parti degli ingranaggi. Lo spense di conseguenza.
“Perchè ti sei fermato, Matoran?” chiese severamente Trinuma.
“Signore, n-non credo che convenga c-continuare. Guardi lì.” indicò i motori.
L’agente dell’Ordine si avvicinò immediatamente per esaminare la natura del
possibile guasto.
Prima di dire la sua però: “Continuate.” ordinò Helryx. “Non possiamo
perdere altro tempo. E’ un rischio che dobbiamo correre.”
E il Matoran obbedì. Per un momento Kapura si domandò per quale ragione ci
stessero mettendo così tanto tempo. L’impatto improvviso del raggio della
Stella Rossa sul suo corpo fu più doloroso di quanto si era immaginato.
“AAAAAAHHH!”
Poi tutto si concluse con successo. La sua nuova armatura era più resistente
del Protoacciaio.
Quando si alzò in piedi, si meravigliò del fatto che il suo sguardo fosse allineato
con la mensola che qualche minuto prima non raggiungeva nemmeno se si
fosse messo in punta di piedi.
Dall’altra sala giunsero gli studiosi ed Helryx, che restò a fissare il Toa
compiaciuta della sua riuscita.
“Come ti senti, ragazzo?” domandò il Toa del Sonico.
“Più... forte.” rispose fiero.
Entrambi sorrisero. Krakua lo prese dolcemente per la Kanohi, ammirandone
la compattezza. La sua nuova stazza era più imponente rispetto agli altri Toa.
“Molto bene allora.” disse Krakua. “Aspettaci qui. Dobbiamo ancora fare degli
accertamenti.”
“Va bene.”
Il Toa del Sonico si allontanò nell’altro studio assieme agli scienziati. Helryx
invece restò ancora per qualche secondo a guardare Kapura, e quando egli se
ne accorse, ella ricambiò con uno sguardo di pura felicità e se ne andò.
Il nuovo Toa del Fuoco, però, voleva sapere di più sul suo stato fisico. Fece per
seguire gli altri membri del gruppo, ma perse improvvisamente le forze senza
che nessuno lo vedesse. Il suo respiro divenne di colpo più lento e affannoso.
“Che mi succede?! Sarà forse l’effetto immediato della trasformazione? No,
non può... Meglio non pensarci. Passerà di sicuro, ne sono certo. Non voglio
perdermi il divertimento proprio ora!”
Prima che il raggio della Stella Rossa colpì il Ta-Matoran, però, esso si divise in
due. All’interno del secondo, più piccolo rispetto a quello che impattò su
Kapura, c’era un altro individuo che atterrò poi nel mezzo del deserto.
Dopo qualche ora, passò un semplice mercenario a bordo del suo Sand Stalker,
muovendosi subito verso il cratere creato dalla Stella. “Ma che diamine è
successo qui?!”
Arrivò sul punto più alto ed avvistò lo straniero al centro della voragine. La sua
armatura era color arancio, alternato con un bianco spento sugli spallacci e
nelle gambe. Indossava anche un elmo tipico Glatorian.
“COUGH! COUGH! Hey! Hey, mi senti?” domandò mentre tentava di
scacciare il fumo rossastro.
L’individuo riaprì gli occhi. “Dove mi trovo? Prima era tutto rosso e ora c’è
tanta luce.” rispose mentre si copriva la vista dai raggi del sole.
“Beh, non so dove ti trovavi prima, ma ora sei nel deserto, mio caro.”
“Nel deserto?!” si stupì.
Si guardò attorno nuovamente. Niente di ciò che lo circondava era mai stato
visto da lui. Fu però la Stella Rossa alta nel cielo a cogliere la sua attenzione. Il
suo sguardo si spalancò all’improvviso.
Il mercenario, mettendosi dal suo punto di vista, collegò il tutto.
“E’ impossibile...” rise mentre si toccava l’elmo. “Tu non puoi venire da lassù.
Non può essere!”
“Come? Io non mi ricordo quasi niente. Ho solo una parola che mi echeggia
nella mente... Pretorius... sai che cosa significa?”
“Dev’essere il tuo nome.” rispose il Glatorian mercenario, focalizzandosi poi
sulla sua statura. “Però non sei male... Sai combattere?”
“Come, combattere?”
“Si.”
“No, non credo. A dire il vero non so nemmeno cosa significhi.”
“Allora vieni con me, il mio insegnante sarà felice di ospitarti!” e fece per dargli
la mano, ma questa fu scansata violentemente dal misterioso individuo.
“Perchè dovrei venire con te?!”
“Perchè non hai altra scelta. Se vuoi che qualche Skrall o Cacciatore di ossa ti
catturi, fai pure. Non mi opporrò.”
“Skrall che?”
“Ah, lascia perdere...”
Oggi…
“ Vieni da me...” sentirono nella loro testa i tre agenti. Una riunione con
Helryx e Dume li attendeva nella torre del Colosseo.
…
“E’ bello riavervi qui, guerrieri di Mata Nui.” disse Dume senza le tipiche
introduzioni formali. “Quello di cui disponete ora è un grande privilegio.
Abbiamo bisogno di voi. Il male che c’è fuori di qui va spazzato via
dall’esistenza.”
“Esattamente...” giunse Helryx con una scia dorata che gli faceva da mantello.
Pare che stesse levitando. “Questa gente ha bisogno di una guida. Dovrà essere
pronta per il mondo che verrà.”
Guardò poi Trinuma e disse: “Trinuma, ti faccio i miei più sinceri complimenti
per la lealtà che hai preservato negli ultimi mesi. Grazie a te il Continente
meridionale è quasi sotto il nostro controllo.”
“Si, Helryx. Le armate mie e di Krakua attendono il nostro ritorno per
completare l’impresa. Non manca molto.”
Per un attimo Helryx si era dimenticata del Toa Sonico, anche se fu comunque
richiamato per la fedeltà che mostrò fino all’attacco di Darkness. “Oh, giusto.
Le armate di te e Krakua, ovvio. A voi affido un nuovo esercito. La riconquista
del Continente meridionale è solo una tappa di ciò che dovrete fare. Dovrete
assicurarvi il pieno controllo del Codrex, ed erigere una difesa che nessun
essere potrà penetrare. Abbiate fiducia, l’Ignika è dalla vostra parte. Sarò io ad
aiutarvi, ora che ho imparato a controllare parte dei suoi poteri.”
Hydraxon/Dekar nel frattempo rimase in silenzio ad ascoltare il dialogo tra i
quattro, con i suoi complessi interiori. Helryx ovviamente se ne accorse. Si
vedeva che quello non era più il suo posto, e se fosse stato per il primo Toa
non ci sarebbe stata nemmeno la sua ombra. Il suo comportamento inoltre era
completamente differente da come l’aveva lasciato. Perchè i suoi occhi erano
rossi e non gialli come prima? Cosa gli era successo?
Non venne calcolato, almeno per questa volta. Gli altri due agenti intanto
abbandonarono la torre per raggiungere il famigerato esercito di Mata-Metru.
Una nube dorata li accompagnò fino al loro arrivo, ma stranamente trovarono
solamente migliaia di pezzi d’armatura Ruhnga arrugginiti.
“Cosa ci rappresenta tutto questo, Helryx?” questionò Krakua.
Dall’alto, la voce divina della Toa rispose: “Osservate...”
Come per magia, tutte le armature furono sollevate da un respiro dorato che
creò dentro di esse delle anime luminose, e formando dei guerrieri immortali.
Secondo la spiegazione di Helryx, quelle corazze furono recuperate dal
cadavere di molti Matoran Parenga nel Continente settentrionale. Solamente la
distruzione della Ignika avrebbe causato la loro inattivazione.
“D’ora in poi non importa quanti Ruhnga morranno. La loro Essenza si unirà
alla nube dorata che sarà sopra le vostre teste. Quella sarà l’occhio della Ignika
che vi assisterà sempre, e che sarà in grado di rigenerare le corazze dei morti
recuperate sul campo da battaglia. Il Codrex è per noi un punto fondamentale
da tenere sotto controllo. Sapete benissimo cosa c’è al suo interno e non
potete permettere che il nemico possa impossessarsene.”
“Si, Helryx.” chinarono la testa.
“Andate ora...”
Dopo il rientro nel Robot, l’est fu conquistato piuttosto facilmente dalle
armate di Nektann e dei Barraki, suoi sottotenenti. L’arcipelago orientale
divenne così la base principale dalla quale Darkness avviava quotidianamente la
sua offensiva. Egli però era l’unico a sapere cosa c’era veramente all’interno del
Codrex e del perché Helryx l’avrebbe difeso a tutti i costi, motivo per il quale
partecipò alla Battaglia dei Nove.
Gli eserciti ostili all’Ordine furono respinti con successo quasi alle coste del
Continente meridionale, sebbene alcuni settori del Codrex fossero ancora
suddivisi senza un vero e proprio dominatore.
Era solo questione di tempo prima che Krakua e Trinuma tornassero con le
cosiddette Corazze dei non morti...
Un giorno Darkness fece ritorno per incontrarsi nuovamente con Tuyet, gli
Hagahkuta, ancora in cerca della Lancia di Rewerax, i Barraki, e infine Okoth e
Ahkmou. Le due spie erano maturate notevolmente, quasi superando il livello
di un certo Mazeka. Anche il combattimento non era da meno, nonostante
non fossero dalla stazza di un Muaka. L’ex Cacciatore oscuro poteva
sicuramente contare su di loro, grazie ai quali diverse basi nemiche furono
studiate e conquistate con successo.
“Anche stavolta Nektann e quel Thorgai Drenaris non si sono fatti presenti.”
fece notare Tuyet.
“Già, credo sia arrivato il momento di sbarazzarsene!” giudicò il Kualus mutato.
“Creerà solamente scompiglio tra i suoi soldati.” disse saggiamente Kalmah.
“Non dimenticate che grazie ad essi una buona parte della nostra guerriglia è
riuscita a sbarcare sulla baia orientale di Voya Nui.”
Pridak voleva intervenire per dire che si sentiva perfetto come sostituto di
Nektann, ma il silenzio di Darkness durante l’intero incontro militare catturò
la sua attenzione. Non si dimenticò di quando accompagnò l’Oscuro alla corte
di Kabrua e di come l’ex Cacciatore oscuro li osservava a lungo, studiando ogni
lato del loro carattere.
Questa volta il suo sguardo si focalizzò principalmente sulla pazzia dei tre
Hagahkuta, in contrasto con la mascherata sete di potere di Tuyet. Cosa
sperava di ottenerci cosi facendo? Perchè doveva sempre starsene in disparte
sul soffitto ad osservarli tutti prima di fare il suo intervento?
“Pridak, stiamo aspettando il tuo rapporto.” parlò Tuyet, il cui fucile fatto con
la Pietra Nui illuminava gran parte della sua armatura.
“Vuoi che ti aiuta? Potrei chiamare delle mosche Rere che possono entrarti
nella testa e leggere il tuo pensiero velocemente...” scherzò l’Hagahkuta del
Ghiaccio, o forse no...
Pridak scrollò la testa e parlò, mentre si sentiva lo sguardo inquietante di
Darkness addosso a lui: “Abbiamo constatato che in queste zone c’è una
buona copertura dal territorio, siccome lì le radiazioni d’energia della Ignika
fanno fatica a insidiarsi. Questa fascia più a nord invece sembra essere
impossibile da controllare. Io e gli altri Barraki vedremo di recarci verso quei
punti.”
“Che mi dici del Codrex? Avete ottenuto un riscontro dagli squadroni di
Cacciatori oscuri inviati in avanscoperta?” domandò la Toa dell’Acqua.
“Qualche settimana fa la presenza di alcuni Toa dell’Ordine ficcanaso ci ha
complicato le cose, ma fortunatamente il Marendar sta facendo il suo lavoro...”
“Ma quanti Toa mancano, si può sapere?!” si irritò la mutata Gaaki.
“Non pensare che i Toa uccisi da Darkness su Voya Nui fossero gli unici. Il
Marchingegno Whetu è stato in grado di generarne degli altri prima del nostro
attacco. Occorre attendere.” affermò Mantax.
“Non ne sarei così convinta.” intervenne Okoth. “Ultimamente ho notato degli
strani movimenti da parte di alcuni. Pare che la loro fuga dal Marendar sia in
realtà un’esca per coprire qualcosa di più grosso, tipo una controffensiva... ed è
ciò che intendo scoprire.”
Il discorso fu interrotto dal leader dell’Equilibrio, che scese dalle travi del
soffitto con delicatezza, muovendosi poi con un andamento sinuoso verso il
tavolo dei suoi alleati. Restarono in silenzio. Anche un essere potente come
Tuyet aveva un minimo di timore per lui.
Si fermò vicino Okoth ed Ahkmou, e mentre osservava la mappa appoggiò le
braccia attorno a loro, come per far vedere agli altri membri di quanto fosse
orgoglioso dei due Matoran.
Tuttavia non disse nulla, infatti Ehlek chiese: “Non parli?”
Lentamente la figura corvina lo fissò, e fece no con la testa.
…
“Guardate, Maestro! Un fiore Puawai!” esultò Ahkmou, che restò ad osservare
le stelle assieme a Darkness quella notte.
In realtà il suo leader non era lì presente, ma ormai il Po-Matoran si era
abituato al fatto che potesse materializzarsi dall’ombra, anche se limitatamente
d’ora in poi. Non a caso, dopo la morte del team di Toa Vhisola, la Lancia fu
volontariamente distrutta da Darkness, il quale si giustificò sempre dicendo
che il desiderio di Ahkmou era stato esaudito. La Lancia gli serviva
principalmente per altri scopi in realtà. Ciononostante era riuscito ad
ammaestrare la capacità di apparire e scomparire dai luoghi bui, ma non in
quasi ogni luogo come quando aveva la Lancia. Subito dopo la morte dei
Metru, una serie di emozioni negative lo tramortirono finché, preso dalla
disperazione, la distrusse dinanzi agli occhi di Ahkmou. Non voleva
assolutamente fare la fine di Helryx che, secondo il suo pensiero, si era fatta
corrompere facilmente dalle tentazioni della Ignika.
“E cosa sarebbe questo fiore Puawai?” domandò al suo futuro erede.
“Si dice che quando una stella cade, essa si fonda col terreno e nascono questi
fiori. In realtà sono delle specie vegetali super rare nel Robot, però i Turag-
ehm... i v-vecchi ciarlatani dicevano che esprimendo un desiderio esso si
avverava tra non più di sette mesi. Io l’ho già espresso. Tu cosa chiederesti?”
“Potrei star qui a dirti che desidererei un mondo senza pregiudizi, senza
pensieri, e dove ognuno possa coltivare la sua nicchia di felicità ogni giorno,
lontani dalle preoccupazioni che verrebbero risolte unicamente in gruppo.
Desidererei un mondo in cui chi è potente diventa sempre meno potente, e
viceversa. Ma soprattutto desidererei un mondo in cui la propria ideologia non
viene ridotta unicamente ad una corrente di pensiero da coloro che si limitano
a giudicare. Ognuno è differente e portavoce delle proprie idee. Mi piacerebbe
se ognuno di noi potesse diventare l’eroe della propria vita, dando senso
all’esistenza altrui. Come vedi questa è un’utopia, ed è ciò che ti avrei detto se
mi avessi conosciuto migliaia di anni fa...”
“Quante illusioni...” si intromise Tuyet. “Non capite che questo ciclo non finirà
mai di ripetersi? Non capite che l’unica soluzione risiede nel potere, e che
grazie ad esso si è in grado di controllare tutto? Siete davvero tutti sicuri, in
particolare tu, Darkness, che chi voglia salire al potere sia necessariamente un
tiranno o un ladro di speranze? Che ne sai che in futuro quell’individuo non
possa ridare felicità alle persone, e perché no, obbligandole ad avere una linea
di pensiero comune. Se ci pensate bene tutte le grandi guerre sono nate da
idee contrastanti, da scopi differenti! I Matoran e i Turaga credono che il
mondo sia bello perché non la pensiamo tutti ugualmente e perché è giusto
mettersi in discussione con gli altri? E dove sta in tutto questo la tolleranza se
anche in due su un milione si picchiano per le loro opinioni? Dove stanno la
spada e la frusta quando servono, affinché tutti possano prendere esempio e
non ripetere tutto questo? Se solo fosse possibile tagliare il tempo e ricucirlo
nel momento esatto in cui quel “tiranno” avrà finalmente regalato la pace
interiore agli altri, allora si che il desiderio sarebbe esaudito. Allora si che
potremmo toccare concretamente questa condanna che chiamiamo felicità.
Non si può non combattere o non sottomettere le volontà altrui se veramente
si vuole plasmare il mondo a propria immagine. Non esistono cattivi, ma eroi i
cui scopi non sono stati compresi.”
“La libertà, Ahkmou...” finì il discorso Darkness. “La libertà non esiste
veramente. Per tutto questo tempo voi ed io siamo stati schiavi indiretti dei
Grandi Creatori e della scia di folli che sono momentaneamente al potere. La
libertà è legata anche ai doveri che abbiamo verso gli altri. E queste due parole
devono essere trasformate in libero arbitrio e volere personale. Chi non vuole
seguirlo è perfettamente libero di non farne parte, purché non intervenga e
distrugga tutto ciò per il quale hai lottato. Sul tuo cammino incontrerai sempre
persone tristi e nullafacenti che giudicano, con l’odio nei propri cuori, e
persone che credono di cambiare il mondo con qualche stupida frase ad
effetto o con futili proteste. Avrai chi combatterà e chi invece resterà fermo a
guardare, a giudicare, o peggio ancora a voler cambiare tutto con le parole.
Noi abbiamo preso la nostra scelta, perché le virtù di cui siamo fatti non
conoscono altra opzione, e fin quando le avremo non ci sarà modo differente
di ragionare...”
Le ricerche di Takanuva e Lesovikk sui misteriosi individui continuarono per
diversi mesi. Contemporaneamente a ciò, il Toa della Luce continuò con la
costruzione della nave da trasporto per poter tornare sul Robot ed aiutare la
Mano di Artakha. Purtroppo le parole di Lesovikk erano vere: i materiali
presenti nelle gallerie sotterranee furono quasi tutti smantellati dai loro
ricercati. Da quando Takanuva e Lesovikk si rincontrarono, però, non ci fu più
nessun avvistamento, ma nonostante ciò i due non si rassegnarono.
Durante una notte, i Toa si accamparono in vicinanza di Toka-Nui, il loro
prossimo punto di ricerca. Accesero un falò, senza preoccuparsi del possibile
arrivo di qualche nemico in quella landa desolata e ormai priva di vita. Senza
che lo sapessero, però, furono avvistati da un piccolo individuo che si mosse
subito nella loro direzione...
“Quante provviste ci rimangono, Lesovikk?”
Il Toa dell’Aria fece un rapido controllo delle borse. “Poche. Dovremmo
sbrigarci e tornare il prima possibile alla foresta di Magarh.”
“Forse troveremo qualcosa a Toka-Nui.” suppose Takanuva.
“Ne dubito. Il Creep Canyon è crollato quasi completamente. Esistono tre
passaggi sotterranei però che possiamo ancora controllare. Sono gli ultimi fra
quelli che ho trovato finora...”
Fissò poi il fuoco pensieroso e il Toa della Luce chiese: “Cosa ti turba,
fratello?”
“E se... se non dovessimo trovarli? Se la nave da trasporto non dovesse essere
ultimata? Cosa faremo, ritorneremo dagli altri?”
Takanuva cambiò espressione, diventando più serio. Non voleva nemmeno
pensarci a tornare da Ackar e gli altri. Dopotutto, si trattava di una questione
d’orgoglio personale.
“Troveremo un modo, vedrai. Abbiamo ancora molto da esplorare.”
Il Toa dell’Aria però non lo stava ascoltando. La sua attenzione era rivolta
all’oscurità della notte. “Lo vedi pure tu o è un effetto della fame?”
“Di cosa parli?”
“Quello. Sembra una specie di...”
“UXIS?!” esclamò il Takanuva. “Ma che cosa ci fai qui?!”
L’Agori si avvicinò al falò, e senza dire nulla lasciò cadere il suo zaino, con tanto
di provviste per uno squadrone. Subito i due guerrieri elementali si saziarono
assorbendone l’energia.
“Come ci hai trovato?” domandò il Toa della Luce.
“La nostra ricerca è stata più lunga del previsto, ma alla fine ne è valsa la pena.”
“Nostra?” ripeté Lesovikk senza farlo finire.
“Si. Non sono venuto da solo. C’è stata Giriah con me, Takanuva.”
“E dov’è ora?” si alzò in piedi, tentando di avvistarla.
“E’ tornata al rifugio. Ha perso le speranze. Era convinta che fossi riuscito a
costruire la tua nave, e che te ne fossi andato da questo pianeta senza pensare
a noi sopravvissuti. Anch’io per un momento l’ho pensata così, ma ho voluto
intestardirmi.”
“Beh, piccoletto, non so che aspettative ti sei fatto, ma sia io che Takanuva non
abbiamo ottenuto un granché in tutto questo tempo. A dire il vero, il nostro
obiettivo è un altro.” spiegò Lesovikk
Uxis accigliò lo sguardo, e il Toa dell’Aria continuò: “Siamo sulle tracce di un
gruppo di stranieri che si è già impossessato dei materiali ricercati da Takanuva,
però non li abbiamo più visti...”
L’Agori allargò gli occhi, spaventato. Preferì dire altro, suscitando un po’ di
sospetto da parte dei due Toa. “Takanuva, andrò diretto al punto: Ackar vuole
che torni. Lui ha bisogno di te. Noi abbiamo bisogno di te. Tornate con me al
villaggio, ve ne prego!”
Valutando le condizioni in cui si erano trovati fino a quel momento, Lesovikk
rispose: “A me sta bene. Se non altro potrò dormire su un letto comodo.
Magari dopo una bella ricarica sarà un gioco da ragazzi rimettersi in viaggio.”
Ma il Toa della Luce ebbe da ridire, mentre osservava il falò irritato. “Proprio
ora?! Proprio ora ci ha ripensato quel vecchio?!”
“Cerca di comprendere Ackar. Non è facile gestire una situazione come la
nostra.”
“No, io ho fatto di tutto per aiutarvi! Ma nessuna mano mi è stata donata
indietro. Tutte le porte mi sono state chiuse!”
“Come puoi mettere il tuo orgoglio di fronte a questa situazione?!” si infuriò
Uxis. “Osi abbandonarci dopo che...”
“Voi mi avete abbandonato, non io!” camminò avanti e indietro gesticolando.
“Che senso ha ammirare un eroe se non si è disposti a seguirlo proprio
quando egli propone la soluzione più assurda?! Abbandonare la speranza non fa
parte della mia natura, Uxis. Sono obbligato a fare di tutto per portarvi dove
meritate. Non è stata una mia scelta diventare Toa!”
“Takanuva...” intervenne Lesovikk. “Guardati attorno. Ha davvero senso
continuare ad ostinarsi per rischiare di finire seppelliti dalla sabbia? Non
commettere il mio stesso errore. Torniamo dalla nostra gente che ci ha già
perdonato per i nostri peccati.”
“Io non posso aver sbagliato, Lesovikk!”
“Eppure ora sei lontano da loro. Hanno bisogno di una figura d’esempio che
lotti fino alla fine. C’è ancora della fratellanza in questo mondo colmo di
morte. Siamo Toa, non possiamo non coltivarla ed incrementarla.”
Gli tese la mano. “Forza, andiamo...”
I due Toa Metru Vakama e Nuju stavano pedinando il gruppo di Athuka
attraverso i passaggi nevosi che portavano alla base Parenga. Li seguirono fino
ad un tratto in cui la strada era stretta e ripida.
Si fermarono. Agli occhi dei due Toa, sembrava che stessero parlando con
l’aria.
“Cosa staranno facendo?” domandò infatti il Toa del Fuoco.
Nuju ingrandì con la sua lente. “Non vedo niente... Aspetta! Forse...”
Dal nulla, un gruppo di Parenga di guardia si levò un mantello che gli
permetteva di essere invisibili, e salutarono Athuka e compagni. “Signore, siete
tornato prima del previsto. Per caso ci sono state complicazioni?”
“Abbiamo perso parecchi guerrieri.” confessò il leader del gruppo di Athuka.
“Ma non è stata la morte a portarceli via. Qualcosa di più grande li ha attirati
verso di sé.”
La guardia si sbalordì. “Allora è capitato anche a voi...”
“E’ successo anche qui?!” esclamò Athuka.
“Per fortuna no, ma alcune spie della Terza squadra sono tornate dicendo che
è successo su molte isole.” parlò un’altra guardia.
“Sakovius?”
“Non è ancora uscito dal suo studio. All’accampamento sono molto
preoccupati. Venite...”
I due Toa non poterono restare in quella posizione ulteriormente. Rischiavano
di farsi avvistare. Così, seguendo il suggerimento di Nuju, fecero il giro
passando per un rilievo a tratti ghiacciato che stava più avanti rispetto ai due
gruppi Parenga. Sfruttando dei ponti creati appositamente dal Toa del Ghiaccio,
riuscirono a raggiungere un punto rialzato, quello dal quale era possibile
intravvedere l’isola di Artidax.
“Mata Nui... ma quella non è...”
“E’ come temevo, Nuju. Siamo ancora nel mondo che fu. Dobbiamo
assolutamente scoprire come è potuto riaccadere.”
Il Toa del Ghiaccio tentò di concentrarsi. “Com’è possibile che non ci
ricordiamo nulla prima del nostro ritorno sotto forma di guerrieri Toa?!”
“Me lo chiedo anch’io.”
“E i nostri fratelli? Saranno all’oscuro di tutto? Dobbiamo tornare da loro e
avvisarli prima che gli accada qualcosa!”
Gli occhi di Vakama intanto erano concentrati su altro. “Guarda, lo vedi?”
Una figura bianca, posta sulla torre più alta dell’accampamento Parenga, si
trovava seduta su una passerella di legno, al di sotto della quale c’era una
distanza di qualche kio dal suolo.
“Che sta facendo?” osservò Nuju mentre ingrandiva con la sua lente. “E’ un
Agori!”
“Descrivimelo.” ordinò Vakama, che non riuscì a distinguerne i dettagli a causa
della tempesta di neve.
“Porta un mantello blu scuro. Il suo viso sembra essere digrignato dalla
tristezza.”
Pensando al dialogo tra le due squadre Parenga e collegando il tutto, Vakama
intuì che si trattava del capo della legione. “Forse lui può aiutarci.”
“Non dimenticare cosa ti hanno detto le visioni, Vakama. Dobbiamo agire
nell’ombra!”
Il leader dei Metru sapeva che Nuju aveva ragione. Ma ancora, come quando
decise di seguire il gruppo di Athuka, si accorse di non avere altra scelta. Non
potevano perdere altro tempo a gironzolare. Parlare col capo
dell’accampamento era sicuramente rischioso, siccome sarebbe stato un
attimo chiamare le guardie.
“Ecco cosa faremo, Nuju. Io mi muoverò col potere della mia maschera fino a
quel cancello che si affaccia sulla sporgenza a sinistra. Al mio segnale, azionerai
la leva che mi permetterà di entrare.”
“Un momento, e io?”
“Resterai qui ad attendermi. Se mi dovessero catturare, torna immediatamente
dai nostri fratelli e attendili al tempio.”
“Sei pazzo?! Non posso abbandonarti!”
“Nuju, questo è un ordine.”
…
“Generale Sakovius, va tutto bene?” bussò alla porta un Parenga.
L’Agori di Iconox era nel pieno della depressione, specie dopo la notizia
arrivata dalla Terza squadra.
“Signore? ... Signore?”
Nessuna risposta. La visuale della valle innevata dinanzi a lui lo stava distraendo
con discreto successo. Ogni tanto si sbilanciava guardando in avanti. L’altezza
sembrava aumentare ogni volta che lo faceva.
“Lasciami passare!” arrivò con urgenza un messaggero dall’esterno. “Generale
Sakovius, fatemi entrare vi prego! Ho una notizia importante!”
L’Agori non gli diede retta. Era come sentire il canto degli uccelli Gukko nei
periodi caldi. Gli mancava tanto Spherus Magna, prima che tutti i casini causati
dai Grandi Creatori si insediarono nella vita di tutti. Sembrava che la fredda
brezza gli stesse accarezzando il viso.
Voleva goderseli per bene quei suoi ultimi momenti di vita...
Poi passeggiò sulla passerella, tremando come un cucciolo di Rahi indifeso. Il
cuore gli batteva forte. Non riusciva nemmeno ad alzare un braccio. Sapeva che
ciò che stava per fare non era la soluzione giusta, ma anzi era quella più
semplice...
“FERMATI!” sentì alle sue spalle.
Lo spavento che prese non gli diede nemmeno il tempo di girarsi per vedere
chi era, e perse l’equilibrio cadendo nel vuoto. “AAAAAAHHH!”
Il suo interlocutore si gettò senza pensarci due volte, e dopo averlo afferrato
generò un turbine infuocato dalla sua arma, che gli permise di tornare sulla
passerella.
L’Agori fu posto delicatamente a terra. Una maestosa Huna rossa lo osservava
con attenzione.
“U-un T-Toa?!” esclamò Sakovius.
“Non è il giorno giusto per arrendersi, Parenga.” affermò valoroso Vakama.
“Non puoi abbandonare la tua gente così.”
Sakovius si alzò per allontanarsi. “Come può un Toa avermi salvato?! Chi sei?!”
“Il mio nome è la cosa meno importante in questo momento, generale.”
“Come fai a sapere chi sono?!”
Vakama sorvolò la domanda. “Alzatevi. Tornate a dare l’esempio a chi vi sta
seguendo!”
L’atteggiamento di Sakovius si quietò. Perchè mai tra tutti gli esseri che
popolavano il Robot fu proprio un Toa ad averlo salvato dal suicidio? Cosa
sperava di ottenerci in cambio? Forse l’Ordine stava cercando un’alleanza? Era
questa la notizia che il messaggero doveva portargli?
“Perchè sei qui?” si limitò a chiedere.
Per Vakama sarebbe stato semplice rispondere: “Ho bisogno di sapere come
siamo tornati nel Robot.” ma la risposta fu un’altra. “So cosa significa essere un
capo, e di quanto sia pesante prendere delle scelte. Il peso che io e te
portiamo addosso è pesante più di qualsiasi altra cosa in certi momenti. Ho
perso la mia squadra qualche mese fa. Ora non mi resta che un’armatura Toa
all’interno della quale sono intrappolato, ma ciò non significa che mi debba
arrendere. Siamo stati abbandonati da... d-da Helryx.”
“Aspetta... ora ho capito. Tu sei... Toa Vakama, non è così?” domandò Sakovius
smascherando la sua copertura improvvisata. “Sei diverso però da come
ricordavo. L’ultima volta che ti vidi era prima del ritorno delle popolazioni
Matoran nel Robot. Voi Turaga li accompagnaste assieme agli altri agenti
dell’Ordine. Che cosa ti è successo? Come sei ridiventato Toa?”
Vakama fu costretto a vuotare il sacco. “Devo ancora scoprirlo. Io e i miei
fratelli dobbiamo farlo...”
Il generale allora gli diede una spiegazione di cos’era successo fino a quel
momento. Vakama rimase a bocca aperta ogni volta che veniva nominata
un’atrocità commessa da Helryx...
Poi il racconto si concluse e il Toa del Fuoco rimase silenzioso per lo shock. La
delusione e la vendetta gli ribollivano da dentro, ma era obbligato a contenersi
e a non commettere gli stessi errori dei suoi primi anni da Toa.
Il generale invece fu felice all’improvviso. “E’ incredibile... Sai, mi sono sempre
appassionato alla vostra specie. Prima di unirmi ai Parenga, ero uno studioso di
Iconox. Quando poi divenni capo della mia squadra, mi ispiravo sempre a
grandi nomi come il tuo. La storia di voi Toa mi ha insegnato molto, ma mi ha
anche lasciato dell’amaro. Gli attuali Toa se ne sono sempre infischiati di quelli
come noi. Non potranno mai essere come te. Tu sei un vero eroe, Vakama.”
“No.” rispose severamente il leader dei rinati Toa Metru. “Non ringraziarmi.
Tutti i veri eroi sono morti, dando la loro vita per il nostro futuro. Lhikan,
Matoro, Mata Nui... Io sono qui. Sono stato solo fortunato. Se sono tornato
con questo aspetto, significa che il Destino ha ancora qualcosa in serbo per
me.”
Sakovius era senza parole. Una parte di lui era ancora affranta dalle
circostanze, ma l’arrivo improvviso del Toa cambiò i suoi piani. “Come posso
ringraziarti allora?”
“Continua a combattere. Così facendo ringrazierai anche te stesso. Nei
momenti più bui bisogna pensare a una nostra versione futura, che
sicuramente ci ringrazierà per esserci rialzati e andati avanti in passato. Così si
diventa un eroe non per gli altri, ma per sé stessi. Tutto il resto viene da sé.”
“Lascia allora che ti aiuti. Ti assegnerò un gruppo Parenga. Ti aiuteranno a
ritrovare i tuoi fratelli e a scoprire la vostra strada.”
Vakama non poté accettare. La voce delle visioni gli parlò nella mente per un
millisecondo. “Non posso... no, non posso. Per qualche strana ragione non mi
è concesso uscire alla luce. Ti prometto però che tornerò. Fino ad allora, non
dovrai dire a nessuno del nostro incontro, intesi?”
“SIGNORE! APRITE LA PORTA, SIAMO QUI PER VOI!” udirono.
Sakovius guardò Vakama alla svelta.
“Responsabilità e coraggio.” profetizzò il Toa. “Ora va’, noi due ci
rincontreremo.” e se ne andò.
…
“Oh, signore, finalmente! Eravamo così preoccupati.”
“Ti ringrazio, soldato. Io ero... occupato, diciamo... Ad ogni modo, c’è qualcosa
che dovevi dirmi?”
Il messaggero parlò senza sosta: “Ci hanno attaccati, generale, ci hanno
attaccati dappertutto! I nostri territori su Artidax sono stati rasi al suolo da
un’armata di esseri dorati e immortali. C’entra l’Ordine in tutto questo, ne
sono certo! Hanno preso anche il controllo del Continente meridionale, oltre
al Codrex. Abbiamo solamente le isole alleate che possono offrirci supporto,
nessun altro!”
Il Sakovius di qualche minuto prima avrebbe subito ordinato la resa, e invece:
“Dì agli altri caporali di eseguire una controffensiva. Schiereremo tutti i mezzi
che la nostra base non ha utilizzato finora! Torneremo a vincere, messaggero,
te lo prometto!”
Tobduk, Mazeka e i due Toa Metru erano finalmente giunti sull’isola che si
affacciava su Artakha. Solamente una grande distesa d’acqua con una nebbia
fitta li separava dal ricongiungimento col Grande Costruttore. Fuggire
dall’occhio del nemico non fu poi così difficile per loro.
“Eccoci arrivati. Tobduk, dovrebbe esserci una barca Avokh qui vicino. Sai
dov’è?”
“Ora la cerco, Mazeka.” ribatté infastidito. Provava ancora rabbia per non
essere tornato dagli altri agenti.
Si allontanò per un attimo dal resto del gruppo. Percorse una discesa che
conduceva ad una caverna, nella quale in teoria si trovava l’imbarcazione.
“Eccola.” disse quando la vide.
Andò a prepararla per uscire in mare aperto e recarsi nel punto in cui aveva
lasciato gli altri tre.
Mentre disattivava il meccanismo d’attracco magnetico, notò che l’acqua iniziò
a vibrare per una manciata di secondi. Si sentì, dall’esterno della caverna, come
una folata di vento molto potente. Eppure non riusciva a capire cosa fosse.
Quando uscì, però, capì chi era il responsabile: un Falcone dorato lo attendeva
appollaiato sul rilievo che stava al di sopra della caverna. Mazeka e gli altri due
Toa erano sulla sua schiena.
“Sali, Tobduk.” la voce era quella di Varises, il servitore di Artakha.
“Era ora che vi faceste sentire voi altri!” si infuriò Tobduk mentre Mazeka lo
invitava coi gesti a zittirsi. Era una scena buffa da vedere.
Il servitore di Artakha non fece in tempo a dare una spiegazione che il peso
eccessivo della creatura dorata fece crollare l’intero rilievo sulla caverna, la
quale non poté più reggere il suo peso. L’enorme onda che si creò allontanò
Tobduk dalla riva.
“Vi chiedo di perdonarmi.” spiegò il Falcone dorato. “Non ci è stato possibile
abbandonare l’isola ultimamente. L’Ordine è tornato sui nostri passi.”
“Cosa intendi dire?” chiese Onewa mentre si aggrappava con tutto sé stesso
alle piume della creatura.
“Oltre quella nebbia, Toa della Pietra. L’intera flotta dell’Ordine è stata
schierata per evitare che sia Artakha che i Toa possano abbandonare o arrivare
sull’isola e interferire così coi suoi piani. Questo Falcone ha lasciato la sua casa
prima che la flotta arrivasse e lo vedesse. Temo però che il viaggio di ritorno
sarà più rischioso. Quanto a voi, Toa Metru, abbiamo una cosa da darvi quando
verrete qui...”
“Non abbiamo altra scelta allora, Varises. Riportaci indietro!” disse Mazeka.
“Tenetevi forte.”
La creatura spiccò il volo. Tentò di raggiungere il punto più alto nel cielo, vicino
alla Barriera esterna. Una coppia di jet Rangai la costrinse a muoversi più in
basso per non dare nell’occhio.
“Per poco!” esclamò Onewa.
Le nuvole che ostacolavano il ritorno iniziavano a scarseggiare. La sagoma della
creatura alata risultava sempre più visibile. Ai Ruhnga sarebbe bastato alzare lo
sguardo per veder-
WHAAAM!
Un colpo di blaster volò a pochi metri dal Falcone, dando inizio a una pioggia
d’attacco. I guerrieri a bordo furono colti alla sprovvista e si sbilanciarono
siccome il Falcone fu costretto a fare una serie di manovre evasive.
“WHENUAA!” gridò Onewa.
Il Toa della Terra perse la presa e cadde in picchiata sbracciando. Gli avrebbe
fatto comodo uno come Matau in quel momento...
“Signore.” disse un Ruhnga della flotta al suo superiore. “Lo vede? C’è qualcosa
che sta cadendo dal cielo.”
“Fammi vedere...” prese il binocolo.
Se il Falcone non fosse riuscito a prenderlo in tempo, il Toa della Terra, così
come gli altri Metru, sarebbero stati scoperti dall’Ordine e a quel punto
l’offensiva sull’isola di Artakha sarebbe potuta iniziare in ogni momento.
Comunicò alla radio l’ordine: “Masoras, individuo non identificato in volo
vicino a voi. Prendetelo.”
“Si, signore.”
“Ruhnga, muoviamoci con le navi verso riva!” ordinò al resto della flotta.
Il Falcone e i due jet stavano per scontrarsi nel tentativo di acciuffare il Toa
della Terra in caduta. Senza che Mazeka e Onewa se lo aspettassero, i due Jet,
freschi di novità tecnologiche appurate dall’inizio della Battaglia dei Nove,
aumentarono la velocità. Il Falcone dorato si ritrovò costretto a generare un
lampo di luce che accecò momentaneamente i due piloti Ruhnga, obbligandoli
a cambiare direzione per non finire nel Mare d’argento.
Whenua non fu avvistato per fortuna. Quando riottenne la vista dopo il
bagliore di luce, vide però un enorme bocca dentellata inghiottirlo dentro di
sé.
“Che sta facendo, Mazeka?!”
“Non preoccuparti, Toa.” spiegò la voce di Varises. “Il Toa della Terra sarà
meno in pericolo rispetto a voi due.”
WHAAAM!
Un altro colpo volante da parte dei mezzi nemici. L’Ordine non voleva dargli
tregua. La coppia di Rangai si gettò subito all’inseguimento, riuscendo a vedere
due figure sulla schiena del Rahi di Artakha.
“Adesso basta. Apro il fuoco!” disse uno dei due piloti.
“No!” lo fermò il compagno di squadra. “Non abbiamo ricevuto l’ordine di
attaccare l’isola, non ancora almeno. In questo momento l’Ordine non può
permettersi uno scontro contro le forze di Artakha.”
“Cosa facciamo allora?” comunicò alla radio un Ruhnga della flotta.
Il comandante d’élite prese la sua decisione: “Lasciateli andare, non possiamo
rischia-”
“GUARDATE!” richiamò l’attenzione di tutti un soldato Ruhnga. “Qualcosa ha
colpito il Falcone!”
Infatti fu così: un raggio di luce rossa dal nulla penetrò l’ala sinistra. Nessuno
dei fuggitivi se l’aspettava, anche perché ormai stavano per atterrare. Il
responsabile fu lo stesso “cacciatore” che colpì il Falcone dorato quando
Takanuva e i Cronisti stavano scappando dalla morsa del mostro marino.
La creazione di Artakha urlò dolorante mentre si avvicinava con grande
velocità verso il suolo.
“Svelti!” urlò Tobduk. “Afferrate l’ala destra! Io afferrerò quella sinistra.”
Onewa e Mazeka obbedirono e il Falcone riuscì a planare, facendo comunque
una brutta caduta. Per poco non persero Whenua, che rischiò di farsi
erroneamente infilzare da una delle dentellature interne alla bocca.
Tutti e quattro i guerrieri sopravvissero, ma non il Rahi di Artakha, che fu
corroso rapidamente nel punto in cui fu colpito.
Per sicurezza, la flotta dell’Ordine formò due file. La prima rivolta verso la
costa e la seconda alla ricerca visiva del cacciatore che aveva attaccato il
Falcone.
Nessuno riuscì ad intravvederlo...
…
“Sta arrivando qualcuno!” disse Whenua utilizzando la sua Ruru nel mezzo
della nebbia. “Toa Hagah?!”
In realtà era Varian. Il Toa della Terra era ancora un po’ arrugginito. Doveva
riprendere l’utilizzo dei suoi poteri ancora per bene.
“Oh no...” disse la Toa quando vide il cadavere del volatile.
Non c’era più nulla da fare: la ferita si espanse ovunque, cristallizzandosi in ogni
punto.
Mazeka e Onewa intanto scesero indeboliti, scortati da Tobduk.
“Lascia che ti aiuti.” si offrì la Toa dello Psichico.
Whenua fece lo stesso, caricandosi Mazeka in spalla.
…
Entrarono in città, mentre sentivano continui spari vicino alle coste. Gli Avokh
sopravvissuti all’attacco su Voya Nui li condussero nella fortezza del Grande
Costruttore. Al momento l’isola era ancora in fase di ristrutturazione.
“Perchè Artakha non li sta aiutando?” domandò Whenua.
“Dopo la nostra ultima battaglia si è indebolito ulteriormente.” spiegò Varian.
“La quantità di poteri impiegata per il controllo dei Rotovian è stata fin troppo
elevata, e le energie provenienti dal Flusso della Realtà del Creato iniziano a
scarseggiare anche per lui.”
Whenua non capiva a cosa si stesse riferendo. Parte della sua memoria si
ricordava ancora del viaggio dei Nuva nella Realtà del Creato, ma non sapeva
nulla su questo Flusso di cui parlava la Toa dello Psichico.
“Egli vi spiegherà tutto. A proposito, quali sono le condizioni di Artakha,
guerriero Avokh?”
“Debolezza... incertezza... dolore...”
Difficilmente gli Avokh usavano la lingua comune. Gli era solito parlare con i
nomi delle emozioni che riuscivano a percepire. Tra di loro, invece, la
comunicazione era immediata e telepatica.
Sui bastioni della fortezza di Artakha, i tre Toa Hagah Norik, Pouks e Bomonga
stavano immobili come degli avvoltoi a sorvegliare l’orizzonte.
Non appena videro i due Metru, si guardarono sbalorditi l’un l’altro. Erano
infatti i primi ad aver dubitato della macchina di Artakha e a voler tornare
all’azione il prima possibile.
Corsero subito dal Grande Essere, seduto sul suo trono fluttuante e col
mento appoggiata sul palmo della mano in segno di attesa.
“Artakha! Loro...”
Il Grande Costruttore lo zittì alzando la mano. “Questa presenza... che
siano...?!”
“Si, sono i Metru!” disse Norik con gioia.
“Avokh, fateli entrare!”
…
Whenua stava ancora facendo delle domande a Varian, ma ecco che la Toa
svanì completamente così come gli altri alleati. In un millisecondo, si
ritrovarono nella maestosa sala di Artakha, che non perse tempo dandogli
subito il benvenuto.
Una coppia di Av-Matoran (tra le poche decine che ancora popolavano l’isola)
si avvicinò ai due Toa per esaminarli, assicurandosi che non mostravano effetti
collaterali dalla trasformazione.
“Qui dice che è tutto nella norma, Grande Essere.”
“Molto bene.”
“No, Artakha, non va affatto bene! Ora siamo noi e te, dicci la verità!” si
infuriò Onewa mentre recuperava le energie.
Guardando Tobduk e Mazeka, il costruttore rispose: “Credo che loro due vi
abbiano dato già abbastanza risposte. Avete un dovere da compie-”
“Peccato però che abbia preso tu la decisione di rapirci dopo il Risveglio, dico
bene? Perchè noi e non gli altri Toa che sono sopravvissuti alla cupola generata
da Darkness?” gli tagliò le parole Whenua.
Il pavimento sotto di loro cambiò aspetto, facendo vedere ripetute immagini di
ciò che gli attuali Toa rimasti stavano facendo.
“Perdita della ragione... Abbandono di sé stessi e del senso di giustizia...
Rapine... Uccisioni... Sarebbero questi i guerrieri ai quali affidare le nostre
ultime speranze? Non posso farlo, Toa. Non posso nemmeno combattere al
vostro fianco.”
“Perchè mai?” domandò Whenua per sapere di più su ciò che gli disse Varian.
“Il Flusso, Toa. Esso è una corrente che collega tutte le miliardi di Essenze,
provenienti dai mondi multiversali e da quello di Spherus Magna, alla Realtà del
Creato. Da quando quest’ultima è stata sigillata definitivamente da noi
legionari, non c’è stato nessun altro modo di tornare indietro, e il Flusso
continua a trasmettersi irregolarmente. E’ stata una scelta forzata per impedire
ad altri individui pericolosi di farvi ingresso. L’ultima volta la Corte ha rischiato
fin troppo. L’unica chiave in grado di sbloccare il blocco risiede nell’unico
oggetto destinato a farci ritorno.”
“La Ignika...” ragionò Whenua.
“Per l’appunto. Io non posso fare molto con le condizioni in cui mi trovo.
Attualmente il mio spirito riesce a manifestarsi qui, sulla mia isola. Fisicamente,
invece, riesco solo nella realtà madre. Io, i Toa Nuva e Rakau abbiamo già
provato a metterci in contatto con Nuiaha, ma egli ha profetizzato che il solo
arrivo della Ignika potrà capovolgere la situazione. Ma non sarà la Maschera
della Vita il vostro vero obiettivo.”
“Come sarebbe a dire?!” si meravigliarono Tobduk e gli altri membri della
Mano di Artakha, ai quali fu detto diversamente.
“E’ Mata-Metru... Io e Varises ci siamo consultati ed abbiamo studiato il
movimento degli astri che il Robot percorreva di notte. Il percorso designato
non corrisponde però con quello della Realtà del Creato. Pare che Helryx
voglia muoversi altrove pilotando dalla grande metropoli, ma non sappiamo
ancora dove. Tutti voi sapete qual è il luogo finale della Ignika. Non possiamo
permettere che accada diversamente.”
“Cosa stiamo aspettando allora? Avvisiamo subito i nostri fratelli, Whenua!”
“Aspettate...” li fermò estraendo la Vahi. “Avrete bisogno di questa durante il
vostro cammino.”
Apparve un’immagine sul pavimento: era la macchina all’interno del quale i sei
Turaga furono “immagazzinati” per tanto tempo.
“E’ stato difficile studiare gli effetti di questa Maschera. La visione di Gaaki mi
ha fatto capire che prima o poi sarebbe tornata protagonista, motivo per il
quale ordinai di recuperarla per me. Ora la vostra Essenza è stata
completamente sostituita con quella della Vahi, perciò non potrete essere
rintracciati dal Marendar. Temo però che ci sarà qualcun altro a darvi la caccia.
Non avevo altra scelta...”
Onewa e Whenua non fiatarono. Aspettarono direttamente il nome da
Artakha.
Dopo qualche secondo di riflessione, incrociando lo sguardo dei suoi alleati:
“Voporak...”
“NON DIRAI SUL SERIO, VERO?! COME POSSIAMO ABBATTERE HELRYX
CON QUEL COSO ALLE CALCAGNA?!”
“Lascia che ti spieghi, Toa!”
“No... hai già fatto abbastanza... Ora dacci la Maschera e finiamo tutta questa
faccenda!”
“Non posso, non ancora. Questa ampolla contiene tutto il suo potere ed è
fatta apposta per essere sorretta da sei di voi. Se ve la dessi ora, in due
rischiereste di collassare, o peggio... Tornate dagli altri Toa. Informateli del
nostro incontro, e riportateli qui da me. Da allora non potrete separarvi dalla
Vahi, o farle subire danni. Se lo farete, essa potrebbe risucchiarvi
definitivamente all’interno di essa, cosa che purtroppo sta già facendo
lentamente... Nel frattempo noi prepareremo segretamente il nostro esercito
senza che l’Ordine ci possa scoprire.”
“Come faremo ad andarcene? L’Ordine ha circondato l’isola!” ribatté Onewa.
Artakha chiuse gli occhi, concentrandosi. Il terreno cominciò a tremare, ma
questa volta era tutta opera sua e non della Ignika. Dopo centinaia di anni, si
trovò costretto a liberare nuovamente i quattro grandi Serpenti di Cristallo,
che in passato riuscì a richiamare a sé dopo che questi migrarono ai confini di
Spherus Magna.
Due Falconi giunsero per i guerrieri. Il primo sarebbe stato utilizzato dai due
Metru alla ricerca di Nokama e Matau, mentre il secondo, guidato dalla mente
di Varises, avrebbe trovato Nuju e Vakama.
Vicino alla costa, intanto, la flotta dell’Ordine ebbe grandi difficoltà contro i
mostri marini.
“Incredibile, non pensavo che ci sarebbe riuscito con i poteri che gli
rimangono...”
“Già.” disse Mazeka a Toa Pouks. “Il dispositivo che Egli ha creato per il
controllo mentale sui quattro Serpenti ha funzionato. Spero solo che non
svenga come la scorsa volta...”
“Spiegati meglio.” lo invitò Onewa.
“In teoria, i quattro Serpenti dovevano essere rilasciati al nostro fianco il
giorno dell’attacco su Voya Nui, invece dei Rotovian. Negli scorsi secoli, però,
hanno sviluppato una schermatura mentale che ha costretto Artakha a trovare
una soluzione alternativa, per evitare che questi potessero addirittura cibarsi
dell’intera popolazione del Robot senza darsi una tregua. La quantità d’energia
richiesta per il controllo mentale è al momento troppo elevata per il Grande
Essere e la prima volta in cui ci fu il test scomparve dinanzi ai nostri occhi,
segno che era svenuto. Dopo qualche giorno, riuscì a materializzarsi
nuovamente dalla Realtà del Creato, con l’intenzione di costruire i Rotovian.”
Whenua però non era attento alla spiegazione. Dalla balconata sulla quale lui e
gli altri alleati di Artakha si trovavano, notò per primo una strage di Ruhnga.
“Fermati!” ordinò al Grande Essere. “I Ruhnga non sono colpevoli! La colpa è
solamente di Helryx. Non capisci che agiscono con la paura di mettersi contro
di lei? Distraili affinché possiamo fuggire!”
Ognuno dei presenti si mise dalla parte di Whenua. Artakha, però, era
titubante. Si limitò a fissare il vuoto tutto pensieroso. La preoccupazione si
insidiò fra i suoi occhi.
“Grande Essere, lo avete sentito? ... ARTAKHA!” urlò Varises.
Quando poi il suo padrone si voltò a fissarlo, Varises gli fece un’espressione
strana, come se sia lui che il Grande Costruttore stessero nascondendo
qualcosa...
“Allora?!”
“Oh, ehm... certamente, Toa. Ma dovrete sbrigarvi.”
“Muoviamoci allora, Onewa!”
“Si, Toa della Pietra, poiché avremo ancora molto di cui parlare quando
tornerete coi vostri fratelli...”
La fuga avvenne con successo e Artakha ritirò i quattro Serpenti. I jet Rangai
non poterono fare nulla e la flotta dell’Ordine perse molti dei suoi
combattenti, Quando Helryx venne a saperlo, tuttavia, non dichiarò guerra.
Sapeva benissimo, nonostante i poteri di cui disponeva ora, che non le
conveniva. Anzi, rimproverò severamente i generali che fecero ritorno su
Mata-Metru, traumatizzando gli altri agenti dell’Ordine per la rabbia che aveva.
Lo fece nell’arena del Colosseo, davanti a tutti i Matoran presenti. Quel giorno
era programmato un incontro coi grandi capi dell’esercito, assieme ai tre
agenti.
Tra i cittadini di Mata-Metru seduti sugli spalti, c’era un gruppetto d’amici di
vecchia data, che come tutti i presenti si spaventò nel vedere l’ira di Helryx.
“La situazione sta peggiorando, Lorin.”
“Si, Jakho, son tempi bui per tutti noi. Pensavo che qui su Mata-Metru
saremmo stati al sicuro dai pericoli che regnano là fuori. Mi sbagliavo.”
“Cosa dici?” disse un Ko-Matoran al loro fianco. “Non li senti gli annunci di
Helryx ogni mattina? Presto ci ricongiungeremo coi Grandi Creatori! E’ solo
questione di tempo.”
“Ma ce la farà Helryx?” domandò un altro cittadino. “Ultimamente ho sentito
che alcuni Matoran si sono ricreduti e stanno organizzando delle rivolte in
diversi punti della Metru. Per fortuna abbiamo questi squarci sulle nostre
Kanohi, altrimenti col potere anche di un solo Toa ci sarebbe stata la
rivoluzione...”
“Credo sia importante per Helryx non tornare dai Grandi Creatori coi Toa.
Forse la scelta di averli abbandonati all’esterno della cupola è stata presa
affinché il resto del Robot sia terreno da caccia per il Marendar.” ipotizzò
Zovrius, amico di Lorin e Jakho.
“Per concludere, Helryx, vorrei dire un’ultima cosa...” disse uno dei generali in
mezzo all’arena. “Settimana scorsa una delle mie squadre è tornata da una
perlustrazione nelle isole a ovest del Continente meridionale. Hanno avvistato
il Marendar.”
La folla tentò di celare il suo stupore. Tuttavia, il silenzio che si generò era
inevitabile: si sentiva ancora la mancanza di protettori simili ai Toa.
“Mi dicono che era circondato da una squadra di dieci Toa d’élite, ma non
hanno potuto fare nulla. Non c’è modo di fermarlo, Helryx!”
Il primo Toa si alzò dal suo trono. Si era sorprendentemente calmata dalla
sfuriata di qualche minuto prima. “Quando io e Krakua saremo gli ultimi due
rimasti, sarò io ad affrontarlo. Così vi renderete conto da quale parte sta il
Grande Spirito dormiente... Riposatevi ora. Questa sera farete ritorno sul
campo da battaglia: il fatto che avete da poco conquistato il Codrex non
significa che dovete abbassare la guardia. Trinuma, Krakua, Hydraxon, voi tre
raggiungetemi subito.”
Così la riunione davanti ai milioni di Matoran finì. Ognuno tornò nelle sue
abitazioni, così come i soldati dell’Ordine che vennero accolti dalle vecchie
caserme. Uno di loro, però, si allontanò dal suo squadrone per far visita ad un
caro amico.
…
“Dicci pure, Helryx.” disse Trinuma mentre entrarono nel salone. Il leader
dell’Ordine però non era presente.
C’era solamente Dume, il quale non perse ulteriore tempo e li informò: “C’è
stato un cambio di programma. Krakua, Hydraxon, voi due resterete qui.
Stanno nascendo dei movimenti rivoltosi ultimamente e dovrete capire chi è al
comando.”
“Tutto questo è assurdo! L’Ignika ha scelto i suoi servitori più fedeli. Perchè
mai i Matoran dovrebbero ribellarsi contro di noi proprio ora che stiamo per
ricongiungerci coi Grandi Creatori?!”
“Non possiamo prevedere il comportamento della Kanohi, tanto meno i suoi
prescelti. Di questo non dovrai preoccupartene, Trinuma. A te Helryx ha
affidato il pieno comando sull’esercito dell’Ordine. Manca poco all’arrivo, ne
siamo certi. Difendi il Codrex con tutto te stesso, E AMMAZZA OGNI
RIBELLE CHE SI PORRÀ DI FRONTE A TE!” gridò a squarciagola Dume,
sfogandosi per la rabbia repressa che aveva.
L’agente dell’Ordine sembrava titubante. Non era di certo per dubitare delle
parole del primo Toa: “Come possono... come possono ribellarsi a Helryx?!
Quale folle oserebbe fare una cosa del genere? Nessuna potenza mondiale può
sovrastare la nostra!”
Dume sorrise, compiaciuto dell’estrema fedeltà. “Tornate al lavoro ora. Che il
Grande Spirito sia con voi.”
Trinuma fece il saluto Ruhnga, e così anche Hydraxon e Krakua. A differenza
del primo, però, i due erano timorosi per il futuro che sarebbe arrivato. Il
cacciatore di Nuova Mahri Nui, soprattutto, era in continuo contrasto tra le
due personalità.
Anche Trinuma in realtà non era tranquillo: una volta uscito dalla nuova Sala
del Potere, si fermò ad osservare il tramonto, con le mani appoggiate alla
ringhiera della balconata.
Ora era tutto nelle sue mani. Il timore della morte per mano di Helryx, in caso
di fallimento, si fece sentire più di prima. Per la prima volta nella sua vita, la
freddezza crollò di fronte a migliaia di incertezze. Per lui era impossibile che un
esercito qualsiasi riuscisse a sfondare le difese dell’Ordine. Non a caso, la sua
forte fiducia in sé stesso era sicuramente un’arma sulla quale poteva contare.
“No, non posso farmi abbindolare così facilmente dalle mie emozioni... Devo
combattere... Devo combattere...”
…
“Disturbo?”
“Ganaik!” esclamarono in coro Jakho, Lorin e Zovrius.
“E’ bello riaverti fra noi!”
“Non dirlo a me, Jakho! Quanti anni saranno passati dal ritorno nel Robot? Ho
perso il conto ormai!” fece una risata.
Era un Ta-Matoran audace e sicuro di sé, un aspetto ormai tipico per dei
potenziali Toa del Fuoco. Prima del Risveglio, provò ad entrare nelle forze
Ruhnga, riuscendo poi ad essere ammesso come uno dei migliori. Attualmente
rivestiva il ruolo di vice comandante, al quale venivano affidati i rapporti delle
battaglie e i dati sulle raccolte di Protodermis.
“Come procede là fuori?” chiese Zovrius.
Lui, Jakho, Lorin, Ganaik e un Ko-Matoran di nome Odis erano un tempo amici
inseparabili, ed abitavano a Toka-Nui. Spesso si riunivano la sera e raramente
nel pomeriggio per discutere di politica moderna.
“Non ci lamentiamo.” gli rispose Ganaik. “La conquista definitiva del Codrex ci
ha dato una botta di ottimismo. Avresti dovuto vedere le Corazze immortali,
una bomba per gli occhi! E tutto questo grazie a Helryx e la Ignika!”
Jakho, un Le-Matoran, gli sorrise. Era entusiasta di vedere un caro amico come
lui sotto l’armatura di un Ruhnga. Ad un tratto, la sua espressione divenne più
cupa e chiese: “E Odis? L’hai più visto?”
“Odis?! Bah! E’ come se mi avessi parlato di uno Skakdi nel mezzo di un
discorso sui Toa! Per me quel traditore Parenga può marcire in qualunque
angolo egli si trova. L’unica cosa che spero è che la mia spia prima o poi torni
dicendo di averlo trovato morto nella tana di un Muaka!” andò giù pesante.
“Hai una spia?” domandò Jakho, allungando il discorso.
“Si. Ci siamo lasciati subito dopo l’attacco a Voya Nui. Sto ancora aspettando
un incontro con lui. Quei maledetti Parenga non sembrano dargli un momento
libero...”
Dal nulla sbucarono Zovrius e Lorin, il quale disse: “A me sinceramente manca
Odis. Secondo me non è entrato autonomamente nei ribelli, ma è stato rapito
apposta dai Parenga per le sue abilità combattive.”
“Scherzi?!” ribatté Ganaik fiero di sé. “Fino a prova contraria sono io ad essere
un vice comandante Ruhnga, e non lui!”
Ciascuno di loro in realtà sapeva che Odis era molto più abile di Ganaik.
“E poi ora i Parenga sono l’ultima cosa di cui dobbiamo preoccuparci! Dico
bene?”
“Si... certo, Ganaik.” rispose Lorin.
“Devo andare ora. Tra poco le navi dell’Ordine suoneranno i corni per dirci di
tornare. Al nostro prossimo incontro, amici miei!”
“Vedi di non morire!” gli augurò Zovrius.
“Non accadrà!”
…
Qualche minuto più tardi, dopo essersi assicurato che se ne fosse andato,
Jakho domandò: “Ce li avete?”
“Eccoli.” tirò fuori una pila di documenti Lorin, rubati di nascosto dalla sacca di
Ganaik. “Aveva ragione, l’Ordine è riuscito veramente a conquistare il
Continente meridionale.”
“Diamine!” esclamò Jakho. “Se non altro siamo riusciti a raccogliere una buona
mole d’informazioni.”
“E non è tutto...” invitò ad ascoltarlo Zovrius. “C’è una sezione in queste olo-
pagine che descrivono le terribili condizioni di buona parte dei Ruhnga. Cosa
farebbero i Matoran di Mata-Metru se dovessero scoprirlo, sapendo che un
giorno potrebbero finire al fianco delle Corazze immortali come sostituti dei
soldati defunti?”
“E’ ciò che dobbiamo fare, ragazzi. Se la rivoluzione non potrà scoppiare
dall’esterno, vorrà dire che verrà fatta dall’interno. E’ l’unica soluzione per
porre fine alla dittatura di Helryx!”
“Ben detto, Jakho!”
I corni delle navi suonarono. Come per effetto, circa novemila soldati, sui
cinquecentomila che furono schierati a meridione, salirono a bordo delle
imbarcazioni guidati da un Trinuma molto combattuto.
Turaga Dume rimase ad osservare la scena affiancato da due Korero. Persino le
sentinelle Horomia, pronte a cominciare il loro nuovo turno di sorveglianza
notturna, rimasero affascinate dalla partenza dell’esercito. Milioni di luci nei
palazzi dei Matoran rimasero accese, e mentre i guerrieri si allontanavano,
furono cantati gli stessi inni solenni che furono intonati durante il ritorno su
Mata-Metru. Era un chiaro invito a non fargli dimenticare che anche
nell’oscurità più profonda, come quella della notte, si poteva trovare la grande
luce del coraggio. I Ruhnga erano tutti girati con le lacrime agli occhi mentre
osservavano questo spettacolo unico. La gente di Mata-Metru era dalla loro
parte, e restava un ultimo passo per la gloria tanto promessa da Helryx.
L’unico, o meglio, l’unica che non salutò gli squadroni era proprio la Toa
dell’Acqua. Si rinchiuse nella sua stanza subito dopo aver convocato i tre agenti
nella Sala del Potere. Il suo incontro fu impedito dalla voce inquietante della
Ignika, che la obbligò ad appartarsi in un punto in cui nessuno poteva vederla e
sentirla.
“Che cosa c’è ora?!”
“La tua ira ti impedirà di andare oltre se continuerai a farti
corrompere da essa...”
“Sei Tu ad aver deciso di non attaccare l’isola di Artakha, non io!”
“Se vuoi che una delle parti anatomiche del Robot venga
compromessa, fa pure. Così facendo rischierai di interrompere il
nostro grande viaggio, e io non te lo permetterò...”
La Toa si caricò di rabbia e paura contemporaneamente. “Spero solo che ciò
che dici sia vero. La responsabilità che mi fai portare giorno dopo giorno sta
diventando sempre più pesante per me. Si può sapere quanto manca?! La
nostra gente attende una risposta!”
BOOOM!
Ai due lati del tempio ci fu una violenta esplosione. Nuju fece in tempo a
evitare che i pezzi dei muri si scagliassero contro gli altri fratelli con la sua
Matatu.
“Mettetevi in cerchio!” ordinò subito Vakama.
I cinque Toa erano spalla contro spalla. Continuavano a girarsi in senso orario
guardando tutte le direzioni.
“Whenua, usa la tua Ruru. Cosa vedi?”
Il Toa della Terra questa volta doveva concentrarsi più di quando confuse gli
Hagah con Varian. Ancora però: “Niente non ci riesco, maledizione!”
“Va bene, è troppo buio qui. Vedo se riesco a creare un po’ di luce.” disse il
leader del gruppo, e lanciò quattro fiammelle agli angoli del tempio.
L’illuminazione fu sufficiente a permettergli di vedere le due nuove entrate.
“Provo a controllare fuori?” si propose Matau mentre apriva le ali.
“No, aspetta!” lo fermò Onewa. “Non possiamo rischiare adesso.”
Sentirono ancora la voce del silenzio per qualche attimo, finché il Toa dell’Aria
gridò dal nulla: “Ecco, lo sapevo! Siamo già stati rintracciati da Voporak!”
“VOPORAK CI STA CACCIANDO?! PERCHÉ NON CE L’AVETE DETTO
SUBITO?!” esclamò Nuju.
“Ve lo stavo per dire, fiocco di neve!”
“State zitti!” si infuriò Whenua mentre toccava il pavimento. “Rilevo
movimento verso quell’entrata.”
Tutti si voltarono a destra. Improvvisamente il simbolo sulla loro spalla divenne
sempre più luminoso, e questo poteva dire solo una cosa...
Improvvisamente sentirono dall’esterno: “GAS!”
Una serie di bombette vennero gettate vicino al gruppo Toa. La nube rilasciata
li fece tossire pesantemente.
“M-Matau, fa q-qualcosa! COUGH, COUGH!” ordinò con voce rauca Vakama.
Il Toa dell’Aria generò una cupola ventilata attorno ai cinque, ma ecco che
sette individui armati penetrarono lo scudo elementale mettendoli fuori gioco
uno dopo l’altro.
Vakama era rimasto da solo. Il gas stava facendo il suo sporco effetto. Poco
dopo si fece avanti il leader del gruppo ostile, che portava un H verde sul suo
petto e racchiusa da un’armatura dorata.
Eroi...
Il Toa non lo fece neanche parlare e partì all’attacco. Prima di sganciare il
pugno, però, fu afferrato al braccio da un altro Eroe, questa volta rosso. In due
secondi lo fece volare con una mossa, dopodiché lo stordì con un colpo
preciso.
“Ci sono tutti?”
“Si, Rocka. Corrispondono a quelli di cui ha parlato la Toa dell’Acqua.”
“Molto bene. Tutti sul dirigibile coi prigionieri! Si fa ritorno al Quartier
generale!”
2240 giorni prima del Risveglio…
“Menefreghismo...” parlò Darkness. “Per alcuni, il fatto che la vita possa finire
da un giorno all’altro è un’ulteriore scusa per viversela a modo proprio,
lasciandosi scivolare le cose negative. Certo molti saranno anche buoni verso il
prossimo, ma altri, credendo che un giorno moriremo tutti e che la nostra
coscienza verrà ripristinata da zero, si sentono liberi di comportarsi come
vogliono. Che gli importa se ciò che lasciano contribuisce a sporcare ancora di
più questo mondo dall’interno e soprattutto lentamente?”
“Non hai tutti i torti.” disse Ganaik. “A proposito, sono riuscito ad entrare
nella lista Ruhnga!”
“Grandioso!” esclamò Jakho. “Quando inizierai?”
“A dire il vero dovrò sostenere un addestramento finale per entrare del tutto,
ma andrà buon fine. Fidati, Zovrius, l’Ordine smetterà di fare l’imperialista.
Difenderemo ogni angolo di questo pianeta!”
“Perchè non provi ad entrare anche tu, Odis?” propose il Le-Matoran. “Le tue
abilità torneranno sicuramente utili a...”
“No. Sapete che sono contrario alla violenza.” rispose turbato.
Ganaik, irradiato dall’invidia per l’agilità di Odis, di gran lunga superiore alla sua,
disse: “Lascia perdere allora. Questo mondo non è più adatto per i deboli di
cuore.”
“Concordo.” si aggiunse Zovrius, che nonostante non fosse d’accordo con
Ganaik lo appoggiò quasi sempre quando si trattava di dare contro a Odis.
“Ricordati che lui non potrebbe assolutamente alzare un dito nemmeno contro
una mosca Rere, eheh! Il Grande Spirito lo punirebbe all’istante, aiuto!”
“Smettetela!” urlò Odis, ma i due continuarono. Per non passare dalla parte
del torto, si giustificavano dicendo che erano delle battute da niente, giusto per
riderci insieme sopra.
Ma Odis ci rimase davvero male. Non si sentiva rispettato. “Tu dici così perché
in realtà mi invidi, non è così, Ganaik?! E tu, Zovrius, ti fai sempre vivo quando
si tratta di darmi contro, non è vero?!”
“Adesso stai esagerando...” cambiò tono il Ta-Matoran.
“No, tu stai esagerando! Perchè sono sempre io a sbagliare solo perché la
penso diversamente da voi?!” e se ne andò infuriato.
“Vedi, Ahkmou, in ogni gruppo ci saranno sempre degli individui come loro.
L’anticonformismo verrà visto come una delle tanti radici del male da molti.
Non potrai mai avere una corrente unica di pensiero. Certo è giusto che sia
così, ma perché quel Ko-Matoran deve andare avanti a soffrire solo perché le
sue ideologie sono buone e invece chi si comporta male con lui e con gli altri
ha diritto ad avere quasi tutto il successo? Quale orrenda mente regola tutto
ciò? Il Destino? Se è veramente così deve essere distrutto senza esitazione...”
“Avete ragione. A volte mi chiedo perché i buoni devono essere quelli a
soffrire maggiormente rispetto ad altri.”
“Non è così che funziona in realtà. Ognuno ha adempito al successo e alla
felicità istantanea in modi differenti. Ecco dove sta la differenza. C’è chi per
raggiungerla arriverebbe addirittura ad ammazzare la persona più cara o a
tradirla, e chi invece deve sopperire perché l’onesta è un peso troppo grande
da portare per tutti quanti, nessuno escluso.”
“Uccidiamo quei due allora, Maestro. Iniziamo fin da subito a fare giustizia!”
“No, Ahkmou. Verrà un giorno in cui la vita di tutti loro sarà capovolta, e quel
giorno sia io che te saremo presenti, ed assisteremo alla caduta di un impero
così come l’abbiamo conosciuto. Non c’è altro modo. In quel caso si vedrà
veramente chi è buono e chi invece tradirà i propri sentimenti come un finto
moralista...”
…
Quando tornarono all’accampamento, la domanda di Okoth fu sempre la
stessa: “Cos’hai imparato oggi, Ahkmou?”
2200 giorni prima del Risveglio...
“Pretorius! Ancora che spii Magis?!” subì una botta sull’elmo dal suo
addestratore.
“Questa mi ha fatto male, OUCH!” confessò mentre si massaggiava la nuca.
“Dico, ma si può sapere cosa ti importa dei suoi affari?!”
“Non è quello, signore.” tentò di spiegare il giovane guerriero. “E’ solo che...”
“Solo che cosa?” aggrottò lo sguardo.
“Ecco, io... volevo sapere che fine avessero fatto i guerrieri che se ne sono
andati via. Dove li hanno portati quei carri?”
L’addestratore Glatorian tirò un sospiro di rassegnazione. “Non se ne sono
andati via, Pretorius, almeno non secondo il loro volere. Io e il capitano
Hogaris eravamo venuti a saperlo. A differenza sua, ero convinto che ciò
avrebbe potuto portare maggior esperienza fra i nostri ranghi in futuro, o
meglio ancora più ricchezze da investire per la nostra scuola. Sai, me lo chiedo
pure io dove siano finiti quei ragazzi. Non vorrei per nessuna ragione trovarmi
nella loro situazione. Preferirei fare l’orrenda fine che ha fatto Hogaris.”
Il corno del pranzo di gruppo tagliò il dialogo fra i due.
“Parleremo più tardi, signore.” disse convinto Pretorius.
“No, ragazzo. Voglio dimenticare quanto successo il prima possibile.”
Non era l’unico a desiderare la morte dell’Agori del Ferro dopo quanto
accaduto. Molti intendevano progettare una morte a sorpresa per il loro padre
fondatore, ma coloro che si opponevano erano in troppi, a partire dallo stesso
Hluzek, il quale era convinto che questa storia dei guerrieri venduti era tutta
una fandonia. In realtà non ebbe nemmeno il tempo di darci troppa
importanza, siccome fu promosso come caporale dell’Esercito di Certavus.
“Metti apposto le armi e poi raggiungimi assieme agli altri, okay?”
“Si, signore.” chinò la testa Pretorius.
Accompagnò il suo superiore all’uscita, dopodiché si mise subito al lavoro.
Dentro di sé era molto felice di non avere più nulla a che fare con quello
strano Skakdi dall’armatura verde, dato che fu uno dei mercenari venduti.
Le spade che contornavano il terreno erano levigate con attenzione,
nonostante non furono mai utilizzate in battaglia. Fino a quel momento,
Pretorius non aveva ancora trovato l’arma adatta al suo stile di combattimento.
Prese così la prima che gli capitò sott’occhio e fece diversi fendenti nel vuoto
giusto per prenderci la mano.
“Mai dare la spada in mano a un Matoran...” sentì ad un tratto.
“EH?! CHI HA PARLATO?!” saltò in aria per lo spavento.
Afferrò due spade e si mise in guardia. “Fatti vedere!”
“Sei tu quello che in realtà si sta nascondendo dietro ad uno stupido elmo...”
Pretorius capì tutto e fece un ghigno. “Stai tentando di confondermi... Stai
aspettando il momento giusto per uscire fuori dall’ombra e attaccarmi, dico
bene?”
“Se veramente volessi, potresti donare a questa stanza il bagliore di una
fiamma ardente.”
“Per chi mi hai preso, per un Toa del Fuoco?!”
Non udì nulla per qualche secondo...
“Allora? Che c’è, hai finito le parole intimidatorie?” ma ancora nessuna
risposta.
Delle statuette di sabbia si materializzarono senza ragione sul terreno,
attirando l’attenzione del giovane.
“Conosci la definizione di potere? Sai com’è nata e soprattutto chi l’ha
inventata? Immagina un gruppo di individui che si considerano uguale all’altro
sotto tutti i punti di vista. Poi improvvisamente uno di loro scopre di avere un
qualcosa che non sapeva di possedere: un dono. Ma chi sarà stato a
donarglielo? Il Destino? Qualcun altro di più potente che si era stancato del
suo di dono? Chi può dirlo... Fatto sta che quell’individuo ha poi deciso di
sfruttare le sue abilità per far fare agli altri ciò che voleva, senza impiegare il
minimo sforzo nelle attività quotidiane.”
Nove delle dieci statuette circondarono poi quella centrale, più grande delle
altre. “Tuttavia, non sempre il più forte è destinato a regnare a lungo. Questo
perché si dimentica di avere a disposizione l’unico vero dono che la vita ci
offre: il tempo. Ogni radice del male deve essere sterminata fin da subito, in un
unico istante che chiunque dimenticherà difficilmente. Ecco cosa differenzia il
potere dalla diplomazia. Se si ha un dono, lo si deve sfruttare fino alla fine,
attendendo il momento giusto in cui tirarlo fuori per eliminare gli ostili...”
Una delle nove del cerchio infatti fece crollare le altre otto colonnette dopo
che queste sconfissero quella centrale. Poi anch’essa si sbriciolò in un
millisecondo, per poi unirsi in una scia sabbiosa che si fermò nell’angolo più
buio della stanza. Si formò una colonna, che prendendo forma diede origine ad
una Kraahkan di sabbia.
L’oscura voce parlò nuovamente: “Un dono è la benedizione di un qualcosa
che è sicuramente più grande di tutti noi. Peccato però che in molti si facciano
domande su cosa ce l’abbia regalato, invece di sfruttarlo per dare un senso alla
propria vita. Basta un tocco per entrare in contatto con esso, conoscerlo,
guardarlo, dormirci assieme, e infine accettarlo nel bene... e nel male...”
Il giovane Glatorian avvicinò lentamente il suo dito alla maschera in sabbia. Il
suo cuore meccanico batteva a mille. Ma ecco che quando la toccò, questa si
frantumò senza motivo.
Era tutta un’illusione. Forse era stata creata dalla sua mente, o forse era una
proiezione di ciò che accadde prima del suo teletrasporto dalla Stella Rossa.
Si voltò per tornare ai suoi doveri. Una figura corvina con una postura sinuosa
lo osservava dal centro della stanza.
Pretorius fece per urlare, ma un ammasso di sabbia glielo impedì. Tutta opera
di Devastator, artefice dello “spettacolino” con le statuette.
“Non è saggio cantare mentre gli altri dormono, Pretorius...” disse l’ombrosa
figura, Darkness.
Il giovane Glatorian (Toa) si spaventò. Devastator smaterializzò la mano che
impediva al ragazzo di urlare.
“Tu sei quello che ha parlato con Magis... Come sai il mio nome? Per caso
Magis ti ha parlato di me?”
“In tal caso, sarebbe stata un’informazione che già possedevo.”
“Che cosa?! Allora sai chi sono?”
“Sono qui apposta.” fece un sorriso maligno l’ex Cacciatore oscuro.
“Sfortunatamente il caso ci ha allontanati dopo il tuo teletrasporto dalla Stella
Rossa. E’ lì dove sei stato creato. Tu non sei un Glatorian come gli altri...”
“Non dirai sul serio! E’ impossibile! Cosa sarei allora?! E che cosa vuoi da
me?!”
“La tua natura si avvicina più all’Ordine che all’Esercito di Certavus, anche se
sei nato per non servire nessuno dei due.”
“L’Ordine? Io sarei un agente dell’Ordine?”
“Peggio ancora, direbbe un Parenga. Saresti una delle tante marionette che
quella stupida organizzazione sfrutta a suo vantaggio. Sei un Toa, Pretorius,
creato per sfruttare in contemporanea il potere della Terra e quello del
Fuoco.”
“Non può essere... I libri dicono che i Toa non possono usare più di un potere!
Ogni Matoran ha la sua Essenza elementale predefinita!”
“Smetti di interromperlo, ragazzo.” parlò Devastator scontroso.
Darkness, infastidito dall’intervento inopportuno di Devastator, nonostante
fosse in sua difesa, spiegò: “Tu non eri e non sei mai stato un Matoran...”
Indicò la Stella Rossa dopo essersi spostato tramite l’ombra sul bordo della
finestra. “Ecco cosa ti ha creato. Sei il risultato di centinaia di esperimenti che
l’Ordine aveva già avviato in passato, partendo dalla vivisezione di molte Ce-
Matoran per scoprire i loro poteri nascosti. Poi, non contenti abbastanza,
hanno ben deciso di riparare la Stella Rossa in cambio della costruzione di una
macchina in grado di mutare ogni Matoran in Toa. Quando lo venni a sapere,
non aspettai ulteriormente. Ho fatto a mia volta un patto coi Kestora...”
“Che cosa gli hai promesso in cambio?” chiese Pretorius, il quale all’improvviso
si preoccupò dei suoi veri creatori.
“Sicuramente non gli ho portato il cadaveri di molti alleati come fatto
dall’Ordine. Gli ho promesso qualcosa di più grande, e loro accettarono. Ed
ecco che sei nato tu. Loro hanno seguito e aspettato il momento giusto in cui
quel Ta-Matoran sarebbe diventato Toa. Il tuo corpo privo di coscienza è stato
interposto tra il raggio della Stella e il Matoran, riuscendo a risucchiare parte
dell’Essenza del Fuoco del Ta-Matoran nella tua. Ecco perché puoi controllare il
Fuoco, accompagnata da della terra che pare sia stata assorbita per puro
errore durante il processo. Questo spiega di come tu possa avere il controllo
su questa...” disse mentre lasciava cadere una manciata di sabbia.
Pretorius aveva le idee confuse. Fu una botta psicologica, soprattutto dopo
alcuni mesi di “vita”.
“Quindi tu... saresti mio... padre?”
Darkness lasciò calare il silenzio, per poi dire: “No. Tu sarai la chiave,
Glatorian.”
“Glatorian? Ma se hai appena detto che sono un...”
“Lo so. C’è molto di cui dobbiamo parlare, ragazzo. Una nuova e vera vita ti
aspetta. Se non erro, sei anche curioso di sapere che fine abbiano fatto gli altri
tuoi compagni. Li vuoi rivedere?”
E così il giovane accettò. Anche senza le parole di Darkness, sapeva che prima
o poi l’Ordine avrebbe messo occhio tra le faccende della scuola di Magis,
magari obbligando i suoi guerrieri e lui stesso a combattere per dei finti ideali e
per delle ragioni che in realtà non gli appartenevano. In realtà, qualche giorno
dopo la sua nascita e dopo il ritorno col mercenario di Magis dal luogo in cui fu
teletrasportato, si mise in testa l’obiettivo di conoscere ad ogni costo il suo
padre, secondo le parole utilizzate da Agori e Glatorian.
Così si misero in viaggio. Pretorius abbandonò di nascosto l’accampamento e si
incamminò nel deserto solamente nelle ore diurne, mentre un Darkness
nascosto nella sua ombra lo guidava...
2173 giorni prima del Risveglio...
I cinque Metru erano ammassati l’uno sopra l’altro, incoscienti. Tre Eroi d’élite
erano presenti, in attesa del loro risveglio. Il loro superiore gli aveva ordinato
severamente di non staccargli gli occhi di dosso nemmeno per un istante. Non
c’era da fidarsi, specie se, secondo quanto descritto da Toa Nokama, erano
abili guerrieri colmi di esperienza.
Uno di loro era abbagliato dalla magnifica armatura che tutti e cinque
portavano. A dire il vero, non aveva mai avuto la possibilità di vedere un Toa da
vicino. Di recente anche gli Eroi erano venuti a sapere di questa creatura
meccanica che stava facendo stragi a dismisura tra i guerrieri elementali.
Le ipotesi erano tante: chi credeva che qualcuno fosse dalla loro parte, o che
questo essere si volesse unire a loro in seguito; chi voleva cercare questa
macchina per proporgli un’alleanza, e infine chi non ci voleva avere nulla a che
fare.
“COUGH! COUGH!” sentirono tossire.
Si alzarono in piedi all’istante. Facendo il giro, si accorsero che Toa Matau, il
primo a riprendersi, stava tentando di liberarsi da quell’affannoso peso che si
trovava sopra il suo corpo. Con le giuste misure, due degli Eroi lo aiutarono,
mentre il terzo lo bloccò al collo con uno speciale collare elettrico collegato
ad una sorta di bastone.
Poco dopo si risvegliarono anche gli altri quattro. Arrivò quindi una nuova
scorta Hero per aiutare le tre guardie presenti.
“Ehi, piano con quel coso!” strillò Matau a causa delle scosse generate
dall’arma ostile.
“Che state facendo?! Liberateci!” gridò Onewa, e anche per lui la risposta fu la
stessa per Matau, con un leggero aumento del voltaggio elettrico.
Nuju tentò di liberarsi dalla trappola con il potere della sua Kanohi, senza farsi
notare.
Nulla da fare, gli Eroi l’avevano previsto. Ora, per qualche ragione a loro
sconosciuta, non potevano più fare affidamento sui loro poteri.
Vakama guardò subito il Toa del Ghiaccio, collegando il tutto. Erano
praticamente obbligati a collaborare.
“Siete voi che avete rapito Nokama, non è così?! AAAHHH!” urlò Matau
subito dopo aver ricevuto un’ulteriore scossa come punizione.
“Smettila, Matau! AAAHHH!”
Il messaggio di Whenua non servette a calmarlo. Entrambi vennero trattati
come Rahi inferociti...
Passò ancora qualche minuto, finché dalla porta entrò un caposquadra Hero.
“Vedo che abbiamo riaperto gli occhi, molto bene...”
…
Il dirigibile su cui si trovavano era molto più grande rispetto alle navi di Le-
Metru, la prima cosa che gli ricordava. Non a caso, gli Eroi partirono dalle
navicelle da trasporto per fabbricarci, con l’uso studiato del Protodermis,
imponenti mezzi da trasporto, adatti anche per scopi guerriglieri.
Il gruppo si stava muovendo per i vari tunnel della nave con una certa velocità.
Dovevano infatti incontrarsi con Rocka il prima possibile, e non solo...
L’antica Metru Nui godeva certamente di tecnologie super avanzate, ma mai
come quelle che i cinque Toa stavano ammirando. Pare che col primo oggetto
che gli capitava di fronte fosse possibile fare qualsiasi cosa.
Passarono poi in un punto dove il lato destro del corridoio era rivestito per
metà da una lastra di vetro, al di là della quale c’era un’immensa stanza
d’allenamento. Una decina di Eroi appena creati, e con addosso l’armatura
Ultimate, si stava addestrando con la serietà di una macchina impassibile e
priva di emozioni.
Uno di loro incrociò lo sguardo con Vakama, che per un istante rimase quasi
intimorito. Erano davvero formidabili a vedersi. Anche se si fossero liberati,
sarebbe stata davvero dura evadere con della gentaglia del genere in quel
luogo.
Anche se non ne parlarono fra di loro, i cinque Metru si stavano ponendo
contemporaneamente la stessa domanda: come facevano gli Eroi a sapere del
tempio?
“Siamo arrivati.” comunicò loro il caposquadra Hero, mentre faceva passare la
sua tessera di transito sulla porta.
All’interno della stanza c’era soltanto Rocka. Solamente entrando, però, si
accorsero che un’incatenata Nokama li stava osservando dall’altra parte, con
una barriera spessa che li separava.
I cinque Toa non erano più novellini. Non c’era bisogno di fare qualche
sceneggiata per poi ricevere un’ulteriore scossa. Persino lo stesso Matau se ne
stette fermo. Gli bastò vedere che stava bene, nonostante le laceranti catene
che ella portava.
Quando li vide, Rocka rimase un attimo colpito dalla scia di maestosità che
faceva da ombra ai cinque guerrieri di fronte a lui. Non era un caso che la
storia raccontatagli da Nokama alcune settimane prima lo aveva fatto
emozionare non poco. Dei guerrieri come loro sarebbero stati di grande
esempio per le future generazioni Hero.
Restò a fissarli ancora per un po’, tra l’ammirazione e lo studio di un eventuale
punto vitale da colpire, nel caso in cui questi si fossero mostrati ostili. Poi
parlò: “Lasciateli.”
“Come, signore?!”
“Ho detto di liberarli. Penserò io a loro.”
“Ma Rocka...” intervenne l’Eroe caposquadra avvicinandosi a lui. “E se ti
saltassero addosso come quei tre che abbiamo incontrato sull’isola di
Tegohar?”
“Non lo faranno, ne sono sicuro. Leggo nei loro occhi paura per la Toa
dell’Acqua. Fidati di me.”
“Come vuoi...” e alzò la mano andandosene con i soldati.
Una volta soli, l’Eroe cominciò a passeggiare avanti e indietro. L’analizzatore del
suo elmo stava verificando l’identità dei cinque, quando ad un tratto apparve
un segnale d’errore.
ERRORE: PROTODERMIS DI TIPO 6 NON IDENTIFICATO
Rocka premette il pulsante di disattivazione, rasserenato. Onewa aggrottò lo
sguardo.
Matau, a differenza degli altri, era l’unico a cui non interessava nulla dell’Eroe.
Continuava a guardare in direzione di Nokama. I loro sguardi erano più
profondi e significativi di cento parole. Gli bastò per dirle col solo pensiero che
gli dispiaceva tanto per lei, e che forse era stata davvero colpa della sua
sfacciataggine se ora si trovava incatenata. Lei a sua volta lo stava perdonando.
In un modo o nell’altro erano tutti riuniti, e c’era tanto di cui discutere.
Ma non in presenza di un Eroe così importante, che andò subito al punto:
“Siete voi, non c’è dubbio...”
Poggiò il suo apparecchio di rilevamento del Protodermis, e Nuju chiese delle
spiegazioni.
“Questo aggeggio ci è tornato molto utile negli scorsi mesi. E’ stato Alpha
leader a crearlo grazie agli ultimi appunti di Makuro. Ci permette di rilevare
quello che voi chiamate Protodermis nelle sue varie forme vitali: da quelle di
un Rahi, a quelle di un Matoran, Vortixx, Skakdi, e infine Toa. I membri della
vostra specie godono di una quantità notevole di Protodermis energizzato nel
nucleo dei vostri elmetti, anche se Nokama mi ha spiegato diversamente
diciamo.”
“E con ciò?” domandò Nuju.
“Ogni volta che catturiamo un prigioniero, abbiamo il dovere di registrare ogni
cosa su di lui. Altezza, descrizione, poteri, razza biomeccanica e per finire il
tipo di Protodermis. Quello di tipo 6 appartiene ai Toa ed è quello con
l’energia cinetica più alta... almeno prima dell’incontro con Nokama.”
Anche la Toa dell’Acqua rimase stranita. Durante quelle poche ore passate a
collaborare con l’Eroe dorato per il rintracciamento dei suoi fratelli, egli non le
parlò mai di questo meccanismo di riconoscimento per i biomeccanici.
Rocka continuò: “Ero convinto di trovarmi di fronte all’ennesimo piccolo Toa,
ma i radar andarono improvvisamente in cortocircuito. Pare che non sia il
Protodermis a comporre il corpo della vostra compagna, e potrei dire lo
stesso di voi. Voglio delle spiegazioni.”
I Toa non fiatarono. Vakama stava escogitando una risposta esaustiva affinché
l’Eroe potesse lasciarli.
Nel momento in cui Whenua si voltò verso il Toa della Pietra per bisbigliare
qualcosa, Rocka notò il marchio Vahi sulla spalla sinistra, collegandolo
immediatamente con quello di Nokama.
“Eroe...” parlò Vakama. “Io e i miei fratelli non siamo venuti con l’intenzione di
attaccare i vostri territori. Non è questa la nostra guerra...”
In realtà non sapeva nemmeno quale fosse ora la sua vera guerra.
Rocka però rispose proiettando sul muro un ologramma grande quanto metà
stanza: era la Vahi.
“Ecco cosa servite voi. Che cos’è questo oggetto?!” alzò il tono della voce.
I simboli impressi sul loro corpo lo provavano. Non c’era modo di mentire.
Con le mani aperte, come se stesse tentando di calmarlo, Vakama spiegò. “E’
un qualcosa di molto, troppo potente per voi Eroi.”
Daniel lo fissò per qualche secondo quasi incredulo. Poi svuotò il sacco:
“Allora potrai dirmi cos’è ciò che ti sto per mostrare, Toa.” e spense
immediatamente le luci della stanza.
Sul muro videro una proiezione poco visibile per il momento. Ci volle un po’ di
tempo per rivelare i dettagli al massimo.
All’inizio sembrava di vedere un contrasto irregolare di forme oscure e chiare.
Poi la risoluzione aumentò e pian piano si capì che era in realtà una... spiaggia.
“La riconoscete?” chiese l’Eroe.
“Una spiaggia come le altre. A giudicare dal colore e dal tipo di roccia pare che
si tratti di qualche isola orientale. Mi ricorda le isole a nord di Artidax...”
ipotizzò Whenua. “Ma perché ce la stai mostrando?”
Rocka spostò l’immagine più sulla sinistra. “E’ stata scattata la settimana
scorsa. Quello che state vedendo è materiale riservato unicamente ai generali
scelti da Alpha leader. Senza che se ne accorgessero, sono riuscito a
intrufolarmi nel database e a farne una copia tutta per me. Ora osservate lì.
Vedete niente?”
Anche con la lente di Nuju non si notò nulla di nuovo. L’immagine era sempre
ferma su un appezzamento della spiaggia.
“Non capisco...” affermò Onewa.
“E va bene, guardate qua. Spero che almeno voi riusciate a dirmi cos’è quella
cosa...”
La risoluzione fu aumentata di una certa percentuale, ma non era ancora
visibile del tutto. Tuttavia, bastò per spaventare a morte i sei Metru, che
riconobbero facilmente la spaventosa creatura immortalata nello scatto.
Il loro silenzio lasciò il commento a Rocka. “Non sembra essere quello che la
vostra specie chiama Marendar. Quella creatura non coincide con la sua
descrizione...”
“No affatto.” rispose secco Vakama. “Quell’essere è la ragione per cui non
dovete assolutamente mettervi sulle tracce di quella maschera.” indicò
l’ologramma della Vahi.
“Di che cosa si tratta allora? Almeno voi datemi delle risposte!”
Prima che arrivasse la spiegazione, Onewa, in fondo al gruppo, si accorse che i
simboli sulle spalle dei compagni si stavano illuminando sempre di più, come
accadde poco prima della loro cattura nel tempio. “Un momen-”
CRAASSSHH!!!
Tutti e sette persero l’equilibrio. L’intero dirigibile Hero stava precipitando in
picchiata. Qualcosa o qualcuno aveva colpito gli ingranaggi di volo.
Ora era come se la porta d’ingresso fosse una botola sul soffitto. Matau era
l’unico a essere rimasto agganciato vicino ad essa, mentre tutti gli altri erano
ammassati l’uno sull’altro addosso alla parete.
Dopo essere saltato fuori dalla stanza, l’aereo riprese improvvisamente quota,
ma si sentiva che qualche oggetto aggravava il peso sull’ala destra. Con la
pendenza a sfavore, il Toa dell’Aria si recò velocemente nella sala comando che
percorsero poco prima dell’incontro con Rocka. Le immagini poste all’esterno
del velivolo mostravano la stessa spaventosa creatura che l’Eroe dorato rivelò
segretamente: Voporak.
Subito arrivarono i suoi compagni, scortati da Daniel.
“Signore, stiamo tentando di colpirlo con ogni mezzo, ma non c’è modo di
abbatterlo! Pare che ogni colpo si dissolva prima di prenderlo. Ma che diamine
è?!”
L’ex Cacciatore oscuro guardò in direzione della telecamera posta all’esterno
del dirigibile. I suoi artigli erano affondati nelle lamine metalliche che
ricoprivano una delle due ali, precisamente quella di destra. Delle folate di
vento provenienti da una tempesta gli stavano rallentando il tempo di arrivo
alla botola principale, posta guarda caso al dì sopra della sala comando.
Le continue turbolenze causarono un via e vai di individui da una parte all’altra,
saltando e schiantandosi sul pavimento violentemente. Non c’era modo di fare
neanche un passo in pieno equilibrio.
“Preparate una misura di evacuazione immediata!”
“Cosa?! Non ce la faremo mai a scappare tutti prima che quel coso riesca ad
entrare, Rocka!”
“Sigillate allora tutti gli ingressi! In un modo o nell’altro ce la faremo!”
“Negativo, signore.” rispose uno dei pochi che aveva fra le mani un computer
collegato con le macchine del velivolo. “Non c’è energia a sufficienza per farlo.
E’ diminuita all’improvvi-”
CRASH!
Una serie di unghie vennero affondate ai margini circolari della botola sopra di
loro. Voporak era già arrivato.
A giudicare dalla posizione in cui si trovava qualche secondo prima, pare che ci
sarebbe voluto ancora qualche minuto per arrivare nel punto in cui si
trovavano gli Eroi e i cinque Metru, considerando anche le violenti turbolenze.
Per fortuna l’aereo aveva smesso di perdere quota. Non a caso, un grande
ammasso sferico di energia temporale attorno alla nave stava rallentando
notevolmente l’impatto con la superficie del mare.
“Svelti, dietro di noi!” gridarono i compagni di Vakama, che fu il primo a
posizionarsi in corrispondenza dell’ingresso sul soffitto.
La sua proto adrenalina stava salendo alle stelle, così come quella dei suoi
fratelli. Sembrava ieri quando avvenne il fatidico incontro con l’ex servitore
dell’Oscuro su Metru-Nui.
I suoi pugni si infiammarono. Le armi di Whenua iniziarono a girare
ininterrottamente. Le aereolame di Matau erano pronte, così come i proto
arpioni di Onewa e le mazze di cristallo di Nuju.
Qualcosa però attirò l’attenzione del Voporak. Come per effetto, ritirò i suoi
artigli. I cinque si stavano aspettando un colpo ben assestato da un momento
all’altro, ma una coraggiosa Toa dell’Acqua inquadrata dalle telecamere esterne
gli fece ricredere. L’energia elettrica che la teneva bloccata fu anch’essa
risucchiata dalla creatura per creare il suo terreno di caccia.
Volteggiava a sinistra e a destra del dirigibile, mentre le sue idrolame si
allungavano e accorciavano agganciandosi fermamente in vari punti. Sembrava
di vedere un certo Kongu sfruttare le liane di Le-Wahi per giungere alla sua
dimora.
Voporak scagliò fin da subito una serie di raggi energetici dalla mano destra,
mentre quella sinistra si aggrappava. Non centrò Nokama nemmeno una volta,
la quale però iniziò a risentire della fatica dovuta ai ripetuti cambiamenti di
posizione mentre era in aria.
“Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo lasciarla da sola!” esclamò Matau.
“No! Se rientriamo nel suo raggio d’azione rischiamo la degradazione
organica!” affermò Vakama, con l’esperienza che parlava al posto suo.
Osservando meglio la scena, Nuju si accorse che Vakama aveva ragione.
Voporak era troppo vicino rispetto la botola. Se fossero usciti, sarebbero stati
risucchiati dalla sua aura temporale. Dovevano trovare un modo per spostare
la creatura su una delle due ali, causando si un’ulteriore perdita dell’equilibrio,
ma avendo allo stesso tempo abbastanza spazio per uscire tutti insieme e
combatterlo.
Intanto gli Eroi furono accompagnati dai loro caporali verso le uscite di
emergenza, ma anche lì la presenza della trappola sferica attorno al velivolo gli
impediva la fuga. Rocka fu l’unico a rimanere coi cinque Toa.
Nuju allora si mosse verso una delle scrivanie di sua iniziativa, attivando un
pulsante bluastro. “Nokama? Nokama, mi senti?”
La sua voce venne trasmessa da un altoparlante all’esterno.
“NO, NOKAMA!”
Entrambe le idrolame vennero afferrate con rabbia dal Voporak, che iniziò a
tirare con forza verso di sé. La Toa non poteva nulla contro la sua possenza. Se
avesse lasciato la presa, si sarebbe sciolta per intero nella sfera temporale
attorno al velivolo.
Dietro di lei fuoriuscì inaspettatamente un cannone speciale. Era Rocka che lo
stava pilotando all’interno della cabina. Voporak non volle ulteriori interruzioni,
e lasciò andare la presa indirizzandosi verso il suo nuovo bersaglio.
La Toa riuscì a salvarsi infilzando le sue armi.
“ORA, FRATELLI!” gridò Nuju, e tutti e cinque balzarono fuori dalla botola. La
distanza dal mostro fu sufficiente.
L’aereonave iniziò a pendere sempre più a destra. Per tutti e sei fu difficile
puntare sulla resistenza delle loro armi, ma soprattutto sulle leghe metalliche
che ricoprivano il dirigibile.
“Insieme!” gridò Vakama, e dalle diverse parti su cui si erano ancorati
generarono un fascio combinato elementale.
Bersaglio colpito!
Di certo non se l’aspettavano. Credevano che l’aura esterna di Voporak
avrebbe polverizzato l’attacco prima che la minima particella potesse toccarlo.
Il tiranno temporale si voltò più furioso rispetto a prima. Così lasciò cadere i
suoi pugni sul pavimento metallico, che iniziò a deteriorarsi velocemente e
staccando la presa di Nuju, Onewa e Whenua.
“Vai, Matau!” ordinò il leader dei Metru.
“Al volooo!”
Aprì le sue ali e volò più veloce che poteva per afferrare i tre eroi in caduta dal
dirigibile.
Voporak era convinto di averne fatto fuori quattro in un solo colpo. Ne
mancavano due. Vakama era aggrappato ad un piccolo appiglio che non era
stato raggiunto dai poteri della creatura. Preparò allora il suo colpo definitivo.
E in quel momento, Nokama decise di rischiare il tutto per tutto in una
semplice stupida mossa che voleva testare poco prima, non sapendo però quali
possibili effetti negativi ci sarebbero stati.
Il raggio partì. La Toa agganciò una delle sue idrolame atterrando davanti
Vakama, e fece roteare l’altra creando uno dei suoi tipici scudi circolari.
Nessun effetto.
Alle sue spalle, il Toa del Fuoco era a bocca aperta. Il simbolo di lei però era
ancora più luminoso, sicché fece un’ipotesi assurda: ora loro potevano
sfruttare i poteri della Vahi, o perlomeno erano immuni agli attacchi temporali.
Pensarono lo stesso anche gli altri Toa, che furono catapultati come una
bomba in volo da Matau. Nuju sferrò una mazzata sul costato. Whenua colpì il
petto, e infine Onewa lo infilzò a livello delle spalle sfruttando l’inerzia per
lanciarlo con forza in aria.
La creatura vantava sicuramente di poteri inarrivabili, ma non sapeva volare...
Così il suo corpo impattò sulla gigantesca sfera che circumnavigava lo scontro
aereo, e cadde violentemente in mare.
Per il momento, fu tutto rimandato...
Ma non c’era tempo per festeggiare: “Stiamo precipitando!”
L’allarme provenne dall’interno. Rocka si era riunito con gli altri Eroi nella sala
comando. Stavano tentando in ogni modo di ripristinare l’energia, ma anche gli
impianti di riserva vennero svuotati per intero da Voporak.
“Signore, abbiamo quaranta secondi prima dell’impatto! Dobbiamo trovare un
modo per tornare ad alta quota!”
I Toa affacciati dalla botola non ebbero nemmeno il tempo per escogitare un
piano. Matau aprì le ali e volò d’istinto al di sotto dell’ala destra per bilanciare il
velivolo. Per aiutarsi, generò una moltitudine di raffiche che gli potessero dare
una spinta dal basso.
Mancavano all’incirca venti secondi. Per alleggerire il peso, gli Eroi aprirono il
fuoco sui ganci che sorreggevano la aeronave d’emergenza sul retro, lasciandola
atterrare dopo aver aperto i paracaduti d’emergenza in mare.
Nokama si gettò subito in acqua per assicurarsi che Voporak non fosse per
qualche strano motivo nei paraggi, anche se era caduto qualche centinaio di
bios più indietro.
Sott’acqua regnava infatti la tranquillità più assoluta...
Cercò in tutti i modi di intravedere qualcosa nelle zone più oscurate. C’era
solamente un enorme colonna che poggiava inclinata sul fondale sabbioso,
fondendosi con esso.
‘L’abbiamo seminato...’ pensò tra sé e sé.
Dovette ricredersi quando si accorse che l’enorme colonna che aveva di fronte
era in realtà un grosso tentacolo, il cui corpo sembrava essere molto più
distante dalla posizione della Toa.
Lentamente venne ritirato dal suo maestoso proprietario.
Poi Nokama sentì un tonfo alle sue spalle: l’aeronave Hero era atterrata in
acqua. Raggiunse la superficie, ed aiutò i suoi compagni e gli Eroi a portare il
resto dell’equipaggio in salvo sulla navicella d’emergenza.
“A-aspett-tate...” interruppe debolmente uno degli studiosi, mentre si
aggrappava al collo del suo salvatore. “C’è a-ancora un gruppo che è r-rimasto
bloccato...”
“Dobbiamo andare!” gridò d’istinto un Eroe dall’armatura verde.
“No, non possiamo!” avvertì Nokama.
I suoi compagni rimasero sbalorditi.
“C’è qualcosa in queste acque. Dobbiamo andarcene prima che si accorga della
nostra presenza!” ma i suoi fratelli erano quasi inorriditi dalle sue parole.
Gli sembrò assurdo vedere la propria sorella gettare nel fuoco la vite di alcuni
innocenti. I due Eroi lì vicino non ci pensarono due volte e attivarono le
procedure di immersione. Ora le loro armature erano dotate di boccali interni
e di valvole per il nuoto subacqueo. La loro velocità era cinque volte superiore
a quella di un semplice Toa dell’Acqua.
“Diamine!” si arrabbiò Nokama. “Ma perché non mi ascoltano?!”
Sospirò. “Vakama, portate gli altri sopravvissuti a bordo della nave
d’emergenza! Io vi raggiungerò.”
“Che hai intenzione di fare?!” chiese Matau, di nuovo con la paura di perderla
per una seconda volta.
“Mi assicurerò che quella creatura tentacolare non ci raggiunga. Fate la vostra
parte ora!”
Così si divisero per l’ennesima volta. Mentre i due Eroi stavano portando in
salvo gli studiosi rimasti in superficie, Nokama andò sott’acqua, ponendosi
qualche bios più avanti rispetto al velivolo abbandonato. Attivò i suoi sensori
subacquei nella pelle, come fece Macku durante la fuga dal mostro
sottomarino, lo stesso che la Toa aveva appena incrociato. Questa volta, però,
le sue dimensioni erano aumentate di circa sette volte rispetto a qualche anno
prima.
Avvertì fin da subito dei movimenti qualche decina di bios sotto di lei. Erano
degli squali spaventosi, ma non erano Squali Takea. Non aveva mai visto una
specie del genere. Sembrava provenissero da un altro mondo...
Nemmeno la sua Kanohi ebbe effetto. Lo scontro era inevitabile. Guardando a
sinistra, vide che alcuni dei sopravvissuti erano ancora bloccati, ma ecco che in
suo soccorso giunse uno dei due Eroi, dotato di lancia roteante.
“Diamine, sono Vorakx del pianeta Tumza-4, Rocka!” comunicò costui alla
radio.
“Cosa?! Come hanno fatto a raggiungere questo luogo?!”
I cinque Toa stavano osservando la superficie dell’acqua a bordo del nuovo
dirigibile, che fu attivato con successo. La battaglia subacquea nel frattempo
stava proseguendo senza esclusione di colpi. Intanto l’ultimo studioso fu
portato in salvo.
“MALEDIZIONE, ABBIAMO BISOGNO DI AIUTO QUI SOTTO!”
“Resistete! Vi stiamo raggiungendo!” comunicò Rocka, ma improvvisamente lo
sciame di Vorakx si disperse in una fuga strategica.
Avevano avvertito qualcosa che Nokama non fu in grado di identificare. Sentì
solamente un enorme spostamento di correnti sottomarine verso la sua
direzione. Non si trattava però dell’aeronave d’emergenza, la quale stava
qualche bio sopra di lei e che aveva già portato in salvo l’Eroe rimasto a
combattere.
“Dov’è la Toa?” gli chiese infatti Onewa allarmato.
“Non lo so... è rimasta lì sotto ad ammirare il fondale a quanto sembra.”
Chiaramente non gli importava della morte di un Toa qualsiasi, anche se
questo lo aveva aiutato a salvare i membri dell’equipaggio.
Matau non riusciva ad accettarlo, e si tuffò dopo aver legato una lunga corda
attorno a sé. Il poco tempo a disposizione però non gli permise di ancorare
l’altra estremità, così gli altri Metru la afferrarono in attesa.
La spaventosa creatura si stava avvicinando a grande velocità verso di loro.
Ciononostante, quando avvistò Nokama nel fondale, realizzò che ella non stava
guardando in direzione del mostro, ma bensì alla sua destra: c’era uno strano
essere dotato di lancia e ali. Tentò in ogni modo di riconoscerlo, siccome aveva
una sagoma piuttosto famigliare. Le ricordava qualcosa, ma non riusciva ad
identificarla nella sua mente.
Troppo tardi: il Toa dell’Aria l’aveva raggiunta nuotando contro i suoi limiti
fisici. La afferrò di forza, e i due vennero risucchiati all’esterno mentre erano
agganciati in aria.
“Mi devi quella famosa passeggiata romantica!” ironizzò Matau.
…
“Ti tengo, fratello!” disse Whenua mentre sollevava il Toa dell’Aria.
Nokama fu aiutata da Onewa, con le lacrime agli occhi. Non gli sembrava vero
di poterla toccare. Restarono a guardarsi l’un l’altro quasi increduli, prima di
darsi un abbraccio profondo al quale si aggiunsero Nuju e gli altri due Toa.
Vakama era l’ultimo, lontano dal gruppo.
Lei lo notò. Si staccò dalla presa amorosa dei suoi fratelli e si avvicinò al suo
beneamato leader.
“Sei ancora viva, vedo...” cercò di non lasciarsi andare.
“Vakama...”
Il capo Toa alzò la mano per arrestarla, ma non riuscì a fermare la morsa
calorosa della sorella. Ovviamente anche lui era contento di rivederla sana e
salva, ma lo scontro con Voporak lo aveva gettato nuovamente nel suo dissidio
interiore.
Di fronte all’amore amichevole di una come Nokama, rimase rigido come un
cristallo puro, testimone del fatto che quella felicità era destinata a durare
ancora per qualche secondo.
Così il dovere bussò nuovamente alla loro porta: “Venite, Toa.”
Il soldato Hero li condusse nella nuova sala comando, chiaramente più piccola
rispetto a quella del velivolo abbandonato in fondo al mare. Le dimensioni della
navicella d’emergenza erano circa tre volte inferiori, ma comunque sufficienti a
ospitare tutti i sopravvissuti.
Una volta raggiunto Rocka, questo si complimentò chinando la testa. Ogni
Eroe presente si stranì. Dopotutto erano prigionieri di guerra!
Tuttavia, non fece in tempo a ringraziarli: “Signore, siamo riusciti a sintonizzarci
con la linea generale Hero. La stazione X ci ha appena inviato un segnale di
soccorso.”
“Stazione X?!” si allarmò il secondo in comando di Rocka, Xanders, il quale
non ne sapeva nulla. Tutte le stazioni infatti erano solitamente accompagnate
da un numero che andava da 0.10 a 7.80.
Rocka non calcolò minimamente il suo secondo e si avvicinò al computer
dell’informatore, lasciando sospesi i ringraziamenti per i sei Toa. “Di cosa si
tratta?”
“C’è un video messa-”
“ASPETTA! Trasferiscilo al mio dispositivo. Sono informazioni... private.”
“Procedo.”
Dopo qualche secondo, iniziò una conversazione alla radio con qualcuno.
“Si... Si... Come?! ... Ma non posso adesso! ... Si siamo appena stati attaccati,
avevi ragione tu su quell’essere... No, la navicella non è fatta per scopi militari!
Come pensi che io possa... Va bene... Va bene, ti manderò dei soccorsi dal
Quartier generale il prima possibile, ma dovrai atte... COSA?!”
Un rumore irregolare proveniente dal dispositivo di comunicazione,
probabilmente un’esplosione, tagliò la chiamata.
Daniel fissò il muro tutto preoccupato. Non sapeva cosa fare.
“Signore, ci sono novità?”
I Metru si insospettirono lanciandosi sguardi dubbiosi. Speravano che almeno
su quello Nokama sapesse qualcosa, ma anche questa volta, ovviamente, si
sbagliarono.
L’Eroe dorato si mosse silenzioso alla scrivania principale. “Imposta queste
coordinate.”
“Ma comandante Rocka... così facendo torneremo indietro!”
“Fa’ come ti ho detto.”
“Io... d’accordo...” rispose perplesso.
“Non farlo.” si intromise il secondo in comando. “Esigo delle spiegazioni,
comandante. Da quando siamo partiti per questa missione abbiamo avuto
solamente casini! Per poco non morivamo per mano di quella mostruosa
creatura. Ora ci ordina di combattere nuovamente senza degnarsi di darci delle
spiegazioni?!”
Rocka tirò un sospiro rassegnato. “Abbiamo un contatto.”
“Un contatto? E chi sarebbe?”
“Un guerriero grazie al quale siamo riusciti a scovare la posizione di molteplici
fortini in mano all’Equilibrio.”
Subito Vakama collegò il tutto, sentendo quel nome. “Intendi l’esercito di...
Darkness?”
“Se solo fosse quello il suo vero nome...” parlò un Eroe élite. “Pare ci siano
molti nomi coi quali viene riconosciuto. Supponiamo sia per confonderci di
proposito. Le comunicazioni che siamo riusciti a intercettare sfruttano diversi
soprannomi per il loro capo.”
“E ora abbiamo la possibilità di catturarlo.” si alzò Rocka.
“Noi?!” esclamò Xanders. “I nostri non arrivano nemmeno a cento unità!
Questo mezzo non è adatto per combattere. E poi dobbiamo portare i sei Toa
al Quartier generale, prima che...”
“Ti ostini a ragionare come un novellino, Xanders! Da quel che mi è stato
detto, pare che la milizia dei Parenga abbia attuato un contrattacco rischioso
per occupare una posizione segreta nella gamba sinistra del Robot. Forse
l’attacco navale proveniva da una delle isole a sud di Artidax, precisamente dai
moli ghiacciati di Landrius.”
Nuju e Vakama capirono subito che il generale Sakovius stava muovendo le sue
pedine.
“Il nostro guerriero ha da poche ore partecipato allo scontro e io sono
obbligato a fornirgli supporto. Lui sa come trovare Darkness! Sai cosa
significherebbe questo, Xanders?!”
“Vi aiuteremo allora.”
“Oh no, non lo faremo, Vakama!”
“Allora ti chiedo nuovamente, fratello, quali altre scelte abbiamo? Non siamo
altro che piccoli individui che strisciano nell’oscurità al momento, e dobbiamo
rimanere come tali! D’ora in poi le nostre decisioni sono influenzate
unicamente da ciò che ci circonda...”
“Per l’appunto!” intervenne Whenua difendendo Nuju. “Non possiamo
sfruttare i nostri poteri per intero, lo hai dimenticato?! Cosa succederebbe se
solo uno di noi morisse? Cosa accadrebbe alla Vahi e a noi altri?”
“In teoria avreste minori probabilità di sopravvivenza se ora vi portassimo al
Quartier generale, Toa. Tuttavia, la vostra situazione potrebbe migliorare se ci
aiutaste contro l’Equilibrio. Se davvero Darkness si trova in quel luogo, allora la
vostra vita sarà sicuramente risparmiata una volta catturato!”
Vakama si avvicinò minaccioso a pochi centibios dal viso dell’Eroe. “Non
credere che i miei occhi possano dimenticare ciò che hanno visto in tutto
questo tempo. Voi e la vostra gente siete tuttora responsabili della morte di
centinaia di Matoran innocenti. Non so neanche se ti sei macchiato le mani del
loro liquido vitale, Rocka. Non ci uniremo mai alla vostra causa, sia ben chiaro!
Noi abbiamo la nostra battaglia e voi la vostra. Solo per questa volta i nostri
interessi si intrecciano fra loro, ma non pensare che per questo ti risparmierò
la vita un giorno.”
Rocka non fiatò. Nokama e due Eroi arrivarono subito per separarli...
La navicella Hero era quasi giunta a destinazione. Ci volle qualche ora per
raggiungere le coordinate inviate dall’alleato di Rocka.
I sei Toa attendevano impazienti in una delle quattro cabine. Nelle altre tre si
prepararono settantadue combattenti e venti mitraglieri Hero.
“Va tutto bene, Onewa?” chiese Whenua.
“Si, è solo che... sono stanco, fratello. Sembra che non ci sia mai una tregua in
questa vita. Ogni volta che ti sembra che sia tutto finito c’è sempre qualcosa
che ti trascina in basso...”
“Dimmi, questa sarebbe l’audacia di uno dei pochi Toa rimasti? Quindi cosa
vorresti fare, abbandonarci e andare per la tua strada?” fece un sorriso
prendendolo in giro.
“No, testa di Fikou. Anche i Toa provano sentimenti, nonostante la saggezza
che abbiamo da quando siamo diventati Turaga. Ora però capisco. Quella
saggezza non era altro che una stupida illusione che ci eravamo creati, siccome
sapevamo che mai più saremmo tornati in queste stupide armature!”
“Che mi dici allora della caduta di Po-Koro, mmhh? Quel giorno mi dicesti che
se i Bohrok si fossero trovati dinanzi a Toa Onewa non ci sarebbe stata storia!
Perchè ora ti comporti diversamente? Credi che noi altri non siamo spaventati
dall’enorme responsabilità che ci trasciniamo da diverso tempo? Gli attacchi di
Makuta sull’isola di Mata Nui invece duravano sempre?”
“Cosa c’entra con la nostra situazione?”
“Rispondimi, fratello.”
Onewa abbassò lo sguardo riflettendo. “No... a volte siamo riusciti a respingerli
solamente grazie ai Tohunga.”
“Precisamente. Prima dell’arrivo dei Toa Mata, la nostra vita era un susseguirsi
di pace e guerra, pace e guerra... ma sai qual è la cosa più divertente? E’ che
non è cambiata anche con l’arrivo dei sei protettori! Anzi, diverse volte
abbiamo dovuto aiutarli! Ecco perché anche quando il Grande Spirito ti
fornisce degli aiuti non vuole comunque dire che tutto diventi più difficile
oppure facile. L’unica cosa che possiamo fare è combattere, fratello. Siamo nati
per questo purtroppo.”
“Whenua, Onewa, manca poco.” giunse Nokama con le sue idrolame
equipaggiate.
“Bene.” affermò Whenua, porgendo il pugno Toa al fratello della Pietra.
“Andiamo, amico mio. Morte e verità ci attendono!”
…
Le cento unità vennero tutte riunite nella cabina di partenza. I sei Metru erano
distribuiti fra i soldati Hero. Rocka e Xanders stavano fornendo i dettagli per la
missione, ma ecco che la cella che si univa all’esterno si aprì all’improvviso.
Affacciandosi era possibile vedere dall’alto l’isolotto del nemico, immerso nella
tipica nebbia del sud e contornato da spari ed esplosioni ovunque. Le armate
di Sakovius era più agguerrite che mai.
Ancora però non sapevano chi aveva aperto la cella.
Non fecero in tempo a capirlo: Rocka e Xanders notarono del movimento in
mezzo ai commilitoni, finché cinque guerrieri elementali guidati dal Metru del
Fuoco si buttarono a capofitto dal velivolo.
Nessuno di loro stava sbracciando nel vuoto. Era come vedere sei Toa dell’Aria
coscienti della postura da tenere quando si è in picchiata verso il suolo.
“Non stiamocene fermi.” richiamò l’attenzione Xanders. “Via, Eroi!”
In poco tempo, il cielo sopra al fortino dell’Equilibrio si cosparse di una
miriade di paracaduti Hero. Per i Toa Metru non c’era nessun bisogno. Matau
afferrò Onewa e Whenua, i più pesanti del gruppo. Nuju creò uno scivolo di
ghiaccio sul quale venne seguito da Nokama, atterrando poi sulla terraferma
all’esterno della cittadella. Infine Vakama utilizzò il suo jetpack per levitare tra i
suoi compagni e il loro nuovo obiettivo.
Stranamente, però, non sentirono più nessun rumore. Di fronte a loro vi era
una coppia di colline maestose.
Nel mentre giunsero dal mare anche gli Eroi. Nuju e Whenua furono gli unici
ad accorgersene a causa della nebbia, la quale non permetteva di capire se
fosse addirittura notte o giorno.
“Qualcosa non mi convince, Vakama.” confessò Matau. “Proprio prima di
atterrare ho avvertito una strana forza che mi impediva di giungere all’interno
della base. Conviene stare attenti.”
“Riesci a fare qualcosa per questa nebbia?”
“Ci ho già provato. Credo sia la Ignika a causarla…”
“Dov’è il tuo contatto, Rocka?”
“Dovrebbe essere qui da qualche parte, Xanders.”
“Ah, diamine... non abbiamo molto tempo, lo sai o no?! Siamo cento individui
radunati su questa spiaggia senza un ologramma protettivo. Pensi che ci vorrà
ancora molto prima che ci attaccano?!”
“Sto cercando di capire!”
…
La foschia si fece più fitta col passare dei secondi.
E alla fine si mostrò uno straniero a pochi passi dallo squadrone. Zoppicava e
portava con sé uno scudo grosso quanto il doppio delle sue dimensioni. In
realtà gli serviva come rifugio per mimetizzarsi in mezzo alla bruma.
“Eroe dorato...” parlò con voce rauca.
“Cadryuk, sei tu?”
Ancora lo straniero non mostrò il suo aspetto. C’era solamente un possente
scudo dal quale fuoriusciva la sua voce. “Una schiera di soldati Hero e un
gruppo Toa... non credevo di essere così temibile ai tuoi occhi.”
“Hai mandato la tua richiesta, ed eccomi qui. Vi aiuteremo a trovare
Darkness.”
“Vi aiuteremo?” domandò a bassa voce Matau.
“Sentiamo cos’ha da dirci.” rassicurò Nokama.
Vakama era silenzioso come un predatore Rahi. Una brezza fredda si insidiava
spesso fra i due interlocutori, generando un silenzio tetro e tipico di un’isola
Makuta.
“Capisco. A dire il vero ti ho mentito, Eroe. In realtà se sono qui è perché
voglio che tu mi consegna loro” indicò i sei Toa. “Fallo e io ti dirò dove si trova
Darkness.”
Era tutto un piano studiato. Ma come faceva sapere dei sei Metru? La risposta
si palesò immediatamente alla vista di Whenua. Questa volta infatti la sua
Kanohi funzionò correttamente, e guardando attraverso lo scudo gli sembrò di
notare quello che i Toa Mahri e Hagah, secondo le informazioni che raccolsero
sulla Realtà del Creato, avevano indicato come rilevatore Mana.
“Quella pietra... sei un guardiano della Legione di Nuiaha! Come mai sei qui?!”
esclamò ad alta voce. “E quella Kanohi che porti... Sei... un Toa?!”
Lo straniero lasciò cadere lo scudo, rivelando il suo orrendo aspetto. Era
gobbo, malconcio, ed emanava un respiro affannoso. “Questa Gavaria mi è
stata donata prima di diventare uno come voi. Mi permette di creare
un’illusione nebbiosa attorno al mio avversario per confonderlo, cosicché io
possa colpirlo di sorpresa... Ma non sono più quella persona. Secoli fa la
Legione mi ha accolto fra i suoi guardiani. Purtroppo per un mio errore mi
cacciò via. Ora però ho la possibilità di riscattarmi. Noi tre l’abbiamo! I Grandi
Creatori hanno preso la loro decisione.”
“Voi tre?” parlò un soldato semplice.
Come per reazione, giunsero altri due individui incappucciati. Essi erano gli
unici che permisero a Toa Cadryuk, della dimensione 27, di scoprire la
posizione di Darkness all’interno del Robot.
“Un patto segreto ci lega.” spiegò Cadryuk aumentando la tensione
dell’incontro. “Credo però che la loro identità interessi maggiormente i sei
Metru.”
“Perchè non gli dici allora di rivelarsi, eh?” si preparò allo scontro Matau.
“Non credo che ti convenga, Toa dell’Aria. Uno di loro in particolare conosce
voi quasi meglio di chiunque altro fra i presenti.”
“Avanti, allora! Non vedo l’ora di scoprirlo coi miei occhi!”
“Non voglio parlare con te, Toa, ma con l’Eroe dorato. Nel mio mondo
vediamo il baratto come gesto di rispetto. Che sia la sua scelta a decidere per
voi sei...”
“Altrimenti?” si caricò anche Xanders.
“Altrimenti l’illusione nebbiosa svanirà assieme a noi tre, e voi vi ritroverete
circondati dal nemico.” e subito udirono degli spari in lontananza. “Li sentite i
rumori della guerra? Una gloriosa battaglia si sta svolgendo attorno a noi, ed è
solamente grazie alla mia Kanohi se i combattenti non ci vedono. Le forze
Parenga stanno avendo la meglio contro i servi dell’Equilibrio. Le probabilità di
sopravvivenza in caso di dissoluzione della nebbia sarebbero scarse per tutti.
Se voi Eroi bloccherete i sei Toa e ce li consegnerete, allora potremo spostarci
insieme alla nostra imbarcazione senza spiacevoli conseguenze.”
“Analisi degli altri due, Xanders?” sussurrò nel frattempo Rocka.
“Quello a destra sembra più alto, mentre l’altro pare abbia una mano robotica.
Tuttavia, non riesco a riconoscere il loro viso.”
Vakama li sentì, e prese in mano la situazione avvicinandosi con le mani alzate.
“Solamente un Cacciatore oscuro può rintracciare la posizione di un altro.
Dico bene, Lariska?”
Lo sconosciuto fece un passo indietro, colto alla sprovvista. Quale strano patto
poteva legare loro e un ex guardiano di Nuiaha?
“Volete un consiglio, Toa Cadryuk? Guardatevi bene le spalle quando girovagate
con tali individui, poiché non avreste nemmeno il tempo per pentirvene.”
“Tsk!” ridacchiò il Toa multidimensionale. “Per quel che mi riguarda, sono
disposto a fare patti anche con dei viscidi esseri come i Makuta pur di
difendere la realtà madre. Voi non sapete cosa e chi sta per arrivare. La vostra
collaborazione può cambiare le sorti di questa storia in maniera drastica!”
“No, vogliamo delle spiegazioni. Forse sei un mercenario qualunque in realtà,
assoldato da queste sporche fuggitive per i loro orrendi scopi!”
Rocka fu preda del suo dubbio. Forse era davvero arrivato il momento di
fermarsi, qualora fosse uscito vivo da quella situazione. Forse quel patto
segreto con Cadryuk, nonostante le basi nemiche conquistate con successo
grazie ai suoi suggerimenti, era davvero troppo per la missione degli Eroi
all’interno del Robot. Sarebbe stato ideale mollare tutto e seguire le idee di
Alpha leader e degli altri generali.
“Quindi?” insistette Matau. “Chi verrà, eh?! I legionari? I Grandi Creatori
stessi? Ne ho sentite di tutte le razze Rahi ormai!”
“Noi serviamo i Grandi Creatori, Toa. Ma la corsa alla Ignika, la VERA Ignika,
ha attirato l’attenzione di molti, anzi, troppi. Presto verranno qui, in un modo
o nell’altro, e noi tre, che ci crediate o meno, siamo gli unici che potranno
impedirlo. Se la barriera generata dalla Ignika cesserà di esistere allora
assisterete all’invasione definitiva.”
“E’ proprio quello che ci ha detto Artakha...” ragionò Onewa.
“Artakha?! No! Non dovete ascoltarlo! Cosa vi ha detto?! DITECELO!”
“Noi non sappiamo nulla, Cadryuk! Niente di niente!” sbracciò il Toa del
Fuoco. “Siamo stati gettati in questo mare di odio e guerra senza nessun
motivo.”
“Allora fate come vi diremo. Rocka mi ha detto che il vostro Protodermis non
coincide affatto con quello di un semplice Toa. C’entra la Vahi in tutto questo.
Consegnateci la Maschera del Tempo e tutto sarà risolto.”
Il solito Matau borbottò: “Si, certo come no! A quale sco-”
“ANCORA CHE PARLI?! MUORI!” gridò Roodaka, e lasciò partire il primo
raggio energetico.
Nel giro di qualche secondo, si generò un fuoco incrociato senza esclusione di
morti tra gli Eroi. I tre interlocutori furono molto abili a schivare i colpi degli
avversari.
Vakama si gettò all’inseguimento di Toa Cadryuk mentre riceveva copertura dai
suoi alleati contro Roodaka e Lariska. La lentezza del Toa multidimensionale gli
permise di raggiungerlo piuttosto facilmente.
“Fermo, Cadryuk!” urlò, ma ecco che si scontrò con un piccolo Matoran
sbucato dal nulla. Subito dopo ne apparve un altro, e un altro ancora.
La nebbia si ritirò lentamente e le fiamme della battaglia si insediarono con
maggiore velocità. Roodaka e Lariska, al contrario, rimasero stranamente in
campo. Ovunque guardavano, i sei Toa avevano un nemico col quale scontrarsi,
anche qualche Eroe che approfittò della guerriglia per scatenare la loro ira
contro di essi. Nel frattempo il numero di individui coinvolti diventava sempre
più grande: Eroi, servi del sud sotto il controllo indiretto di Nektann, i sei Toa,
i Parenga e infine le due ex Cacciatrici oscure.
La confusione regnava sovrana. Lo spazio tra i combattenti era talmente
minimo che l’unica cosa che potevano fare era accollarsi l’uno l’altro e spingere
in direzione opposta, senza riuscire ad alzare il braccio per fendere gli
avversari.
In ogni caso, Toa Cadryuk aveva ragione: Darkness non era presente. Più volte
confessò a Rocka che questa conoscenza riguardo alla misteriosa energia che
proveniva dall’interno del Codrex apparteneva unicamente a lui ed Helryx.
L’unica cosa che mancava al Toa per scoprirlo era una milizia in grado di
trovare Darkness, catturarlo e farsi rivelare tutto...
Qualcosa non andava però: dov’era Vakama? Tutti e cinque lo persero di vista
da parecchi minuti, e già la battaglia era iniziata da una buona mezz’ora. Il
potere di una Huna, soprattutto dopo l’incidente della Realtà del Creato, non
poteva durare così tanto. Dovettero aspettare ancora per rivederlo esausto e
col morale a terra, mentre camminava in mezzo ai tre fronti.
Qualcuno doveva intervenire. Onewa non attese e lo afferrò con forza. “Ci
faremo spiegare tutto dopo, Nokama, ora andiamocene!”
Gli altri Toa lo udirono e abbandonarono lo scontro a loro volta.
La battaglia si stava facendo sempre più cruenta. Lariska e Roodaka videro i sei
svignarsela mentre i Parenga guidati da Sakovius, che riconobbe fin da subito il
Toa del Fuoco, coprivano la fuga. A quel punto il generale Parenga schierò
tutto ciò che aveva a disposizione: gli squadroni di supporto sbarcarono sulla
spiaggia a bordo delle macchine da guerra di cui disponeva. I Cacciatori di ossa
e gli Skrall di Nektann sopperirono maggiormente.
“Ci stanno schiacciando, signore!” gridò un Eroe a Rocka, mentre fece
esplodere la testa di uno Skrall dopo avergli sparato.
L’Eroe dorato doveva a tutti i costi trovare una soluzione. In quel momento si
sarebbe dovuto trovare al QG Hero, con i sei Metru dietro le sbarre, e
contornato di complimenti da tutti. Chi l’avrebbe spiegato a Stormer? E del
patto segreto con Cadryuk? Inutile dire che la fiducia per quel poco di buono
che c’era nei biomeccanici, almeno dal punto di vista degli Eroi, era ora nullo.
In ogni caso, le parole del Toa dimensionale non furono dimenticate: Roodaka
e Lariska erano le uniche ad aver rintracciato la posizione di Darkness, il
misterioso leader dell’Equilibrio. Forse dopo la sconfitta per mano di Toa Tuyet
si misero alla ricerca senza sosta della fatidica Lancia di Artakha.
Non c’era tempo per fare ipotesi. Con lo squadrone Hero che veniva decimato
col passare del tempo, Rocka lanciò l’ordine di accerchiare immediatamente
Roodaka e Lariska, ma per farlo avrebbe dovuto oltrepassare l’onda di Parenga
di fronte a lui. Fu così che attivò il supporto aereo, ricevendo le armature
Titan per lui e Xanders. Anche Stringer e Bulk, giusto per fare un esempio, ne
possedevano una predefinita. I pezzi di armatura si staccarono dagli agganci
laterali del velivolo, attaccandosi poi ai due Eroi e aumentando le loro
dimensioni fisiche.
Innumerevoli Parenga furono trucidati brutalmente dai due Eroi, spinti dalla
rabbia del momento. Erano incontenibili. Sembrava di vedere Akamai e
Wairuha contro i Rahi infetti di Teridax.
Roodaka e Lariska erano prossime. Un forte sparo proveniente alle spalle di
Rocka causò un urlo di dolore che rimbombò come una bomba: Nuju era
stato ferito. Xanders era andato a segno.
“Che diamine fai?! I Toa ci potranno tornare utili!” gli abbassò il fucile Rocka.
Il secondo in comando gli afferrò il polso con cattiveria. “Non prendo più
ordini da te, Rocka! Se dovessimo sopravvivere, farò di tutto affinché tu possa
essere giustiziato per tradimento! Lo giuro sulla saggezza di Makuro!”
BOOM!
Dei veicoli Parenga fluttuanti iniziarono a fare stragi volteggiando in mezzo ai
nemici. Volavano ad un’altezza di mezzo bio dal terreno, decapitando chiunque
si trovava sul loro tragitto. La loro velocità era quasi comparabile a un Toa
dotato di Kakama.
Rocka materializzò immediatamente dei campi di forza attorno agli Eroi. In
questo modo le vittime furono unicamente i pochi guerrieri di Nektann. Ci
furono anche delle esplosioni provenienti dall’interno della fortezza. Ormai sul
campo da battaglia restavano solamente Parenga ed Eroi. In poche parole, la
cittadella in mano all’Equilibrio non era nient’altro che una delle piccole basi da
cui ripartì la rinascita del generale Sakovius. La scelta del luogo d’incontro fu
presa da Cadryuk sotto suggerimento delle due ex Cacciatrici oscure,
approfittando poi della battaglia in caso di fuga.
I campi creati da Rocka, e successivamente da Xanders, servirono a far
schiantare alcuni dei nemici contro di essi, lasciando intatti gli Eroi e i pochi
Parenga al loro interno.
Sakovius intanto fu costretto ad arretrare per schierare uno dei suoi esemplari
migliori che, secondo le dicerie, furono catturati dai Parenga durante lo
scontro finale della seconda guerra nucleare. Per Rocka e Xanders si presentò
il momento opportuno per stordire Roodaka e Lariska catturandole, e così fu:
la corazza Titan dei due Eroi fu disintegrata quasi del tutto dai nemici, ma non
sufficientemente per farli cadere. Un gruppo di dieci Eroi semplici attivarono i
jetpack fornendo loro fuoco di supporto dall’alto. Contemporaneamente a ciò,
la Toa dell’Acqua stava impiegando il massimo delle energie per curare Nuju,
mentre gli altri quattro facevano da scudo.
Ancora qualche metro...
Roodaka e Lariska erano in grande difficoltà. Di per sé i Parenga non erano un
problema, anche se il loro numero era schiacciante. Erano gli Skrall rimasti a
fare la differenza. La scelta di Nektann di inviare un buon numero di guerrieri
élite in quei luoghi si rivelò utile.
Per quale ragione allora persero così facilmente quel giorno?
Gli Eroi in volo atterrarono creando un cerchio attorno alle due guerriere.
Puntarono poi i loro fucili facendo fuoriuscire delle liane metalliche che
infilzarono unicamente la muscolatura di Roodaka. Non a caso, le corde erano
attratte dal Protodermis di tipo 5, proveniente in maggior parte dalla
smantellata isola di Xia.
“AAAHHH!” esclamò Roodaka dolorante. I suoi Lanciatori Rhotuka non
potevano nulla contro gli scudi degli Eroi.
Catturare Lariska non fu poi così difficile, nonostante le sue abilità e la sua
astuzia. Makuro aveva programmato quasi alla perfezione ogni metodo di
cattura contro qualunque essere biomeccanico, che fosse Toa, Cacciatore
oscuro, Rahi, Agori o altro.
Le conoscenze sulla posizione di Darkness erano ora nelle mani degli Eroi.
Le esultanze dei figli di Makuro furono immediatamente tagliate da una grande
esplosione, ma questa volta non era accanto a loro o poco più in là, sul resto
della spiaggia. Veniva dall’alto.
“No...” si disperò Xanders inginocchiandosi. I quaranta Eroi ancora vivi ebbero
la stessa reazione.
Il velivolo d’emergenza fu distrutto da un raggio energetico proveniente da una
delle armi sofisticate in mano ai Parenga.
In realtà non fu così: “Chi ha sparato?” domandò il generale Sakovius. “E come
ha fatto?” domandò ulteriormente sbalordendosi.
Qualcuno disobbedì ai suoi ordini prendendo iniziative.
“Generale...” parlò un Parenga vicino a lui. “In realtà i nostri cannoni non sono
stati ancora attivati dalle imbarcazioni del sottotenen-”
ZACK!
La testa del ribelle volò via. Sakovius fu infilzato all’addome. Una pioggia di
pietre infuocate iniziò a fare stragi tra i due fronti. Tutto accadde così
velocemente.
“AVVISTATO UN GRUPPO DI TOA IN CIMA ALLE COLLINE!” gridò un
Eroe all’improvviso.
“Gruppo Toa?!” si meravigliò Matau.
Vakama si sentì toccare la spalla sinistra. Si voltò di scatto e vide degli occhi
vermigli osservarlo, contenuti in una Kakama bianca.
“Siamo con voi, fratelli.” disse costui.
“Cosa?! Chi sei?!”
“Toa Kaiks, al vostro servizio.”
“Come avete fatto a raggiungerci?” chiese Whenua.
“Eravamo poco distanti da qui ed abbiamo sentito gli spari. State tranquilli vi
aiuteremo a fuggire, ma dovrete sbrigarvi.”
“ATTENZIONE!” urlò Onewa prima di sfondare una roccia infuocata che stava
per impattare sui Metru.
“Ci penso io...” disse Toa Kaiks generando un piccolo cristallo dalla sua mano.
Questo fece da segnale di stop per i suoi compagni, riflettendo la luce dei due
soli.
“Digli di stare più attenti!” si lamentò il Toa della Pietra.
“Quanti siete?” chiese Matau mentre osservava il gruppo di guerrieri
elementali discendere dalle colline e unirsi alla battaglia.
“Poco importa, fratello. Non possiamo perdere altro tempo, dovete andarvene
e donare le vostre Essenze all’Unico!”
“L’Unico?” domandarono in coro Onewa e Matau.
“Come, non ne sapete nulla?! Non avete ricevuto il messaggio dei Klakk
emissari? E’ il piano dei Toa rimasti per contrastare il Marendar! Un giorno sarà
l’Unico a raccogliere le Essenze dei Toa per avere energia a sufficienza per
sconfiggerlo!”
Il Metru dell’Aria fece ancora lo scontroso: “E come diamine facciamo noi a...”
“Quietati, Matau!” ordinò Vakama, col frastuono degli spari in sottofondo.
“Perdonalo, Toa Kaiks. In realtà sono stato l’unico del mio gruppo a ricevere il
messaggio. Tutti loro al contrario sono stati imprigionati dagli Eroi e sono
all’oscuro di tutto. Raggiungeremo immediatamente l’Unico se voi fratelli ci
aiuterete a fuggire da questa gabbia di Kane-Ra.”
“Sarà fatto, amici miei! La nostra imbarcazione si trova più a ovest. Prendete
quel sentiero e seguite il potere Toa che abbiamo infuso nell’ambiente.”
“Voi non venite?” domandò Nokama che arrivò con Nuju.
“No. Io e altri tre gruppi diamo la caccia al Marendar per rallentarlo,
garantendo così ai nostri confratelli dispersi nel Robot di raggiungere l’Unico.”
“Chi è codesto essere, si può sapere?”
“Non si sa ancora, sorella. Girano molte voci su di lui. Tutto tempo sprecato!”
“Ma Kaiks, se affronterete il Marendar morirete!”
“E’ il nostro dovere, Toa della Terra. Non abbiamo nemmeno la certezza che
questo piano possa funzionare, ma è comunque una speranza... Ed è l’unica
cosa alla quale noi Toa possiamo aggrapparci. Ora via di qui. Possano il Grande
Spirito dormiente e Toa Helryx tornare a vegliare su di voi!”
“Ehm... g-grazie.”
…
Dopo circa mezz’ora di fuga, i sei Metru si fermarono per riprendere fiato.
Matau al contrario fece un giro di ricognizione tra gli alberi.
La Toa dell’Acqua però non perse tempo: “Perchè hai raccontato il falso a quel
Toa, Vakama?”
“Non l’ho fatto, sorella. Il Marendar... l’Unico... il piano dei Toa... è tutto vero!
Toa Cadryuk me l’ha detto prima di sparire.”
“E per quale ragione ha avuto quella reazione quando ho nominato Artakha?
Cosa ci stanno nascondendo?! Non ne posso più!” affermò Whenua.
“Non lo so... davvero non so cosa dire...”
Matau atterrò violentemente in mezzo ai cespugli. Gli altri Metru si sorpresero
siccome non capitava sostanzialmente da migliaia di anni.
“E’ qui... Lui è qui!”
Nessuno ebbe il coraggio di chiedere a chi si stava riferendo. La risposta non
poteva che essere una sola.
“Si sta scontrando con i Toa sulla spiaggia. E’ inarrestabile... Svelti, dobbiamo
andarcene prima che ci trovi!”
“D’accordo.”
“Ma dove andremo, Vakama?” pose la domanda Nuju.
Tutti guardarono il Toa del Fuoco, che si appoggiò al fusto di un albero per
pensare. Poi disse: “Artakha... non so per quali ragioni ci hai rapiti in passato
per trasformarci in delle creature tenute in vita da una stupida Kanohi... MA
FARAI MEGLIO A DARCI DELLE RISPOSTE!”
“Frena, fratello.” lo fermò Nuju. “E se questo Unico fosse la soluzione giusta?”
“La prendi come una certezza questa? Non possiamo fare affidamento sulle
parole del primo individuo che incrociamo!”
“Ma così facendo non abbandoneremo i nostri fratelli e le nostre sorelle!”
“Loro però non hanno una Vahi a portata di mano, Nuju.” corresse Onewa.
“Abbiamo un oggetto da difendere e che non possiamo permetterci di
perdere. Vakama, io sono con te. Sono sicuro che Artakha ha ancora molto da
dirci. Vale la pena rischiare.”
Così ritrovarono la barca del gruppo Toa, sterminato brutalmente dal
Marendar, e si diressero verso nord-ovest, pronti a ritrovare verità nelle parole
di Artakha.
“Generale Fox, mi sente?”
“Xanders?! Dove ti trovi, e perché la tua armatura è danneggiata?!”
“Siamo stati attaccati, signore.”
“E il dirigibile?”
“Andato distrutto...”
“Vi mando immediatamente i soccorsi. Dove vi trovate?”
“Le mando le coordinate. Dica ai piloti di raggiungere la costa settentrionale e di
fare molta attenzione, ci sono ancora degli scontri qui vicino... E fate presto, vi
prego...”
“Daranno il massimo come sempre, lo sai. Fox chiudo...”
“Un momento, abbiamo due prigionieri. Se le voci sono vere, pare che sappiano
dove si trova il ricercato Darkness. Negli scorsi anni hanno collaborato con guerrieri
al servizio dell’Equilibrio come Thunder, Xplode, Voltix e non solo...”
“Come fai a saperlo?”
Xanders lasciò passare alcuni secondi prima di rispondere: “Uno dei nostri ci ha
traditi, signore...”
1500 giorni prima del Risveglio...
Il Creep Canyon fu il primo dei tanti luoghi in cui iniziarono gli scontri fra le
popolazioni Agori e Matoran. Due quinti del Protodermis distribuito
equamente furono derubati dal dominatore dell’Essere dorato.
Tutti preparativi per l’assalto finale a Tuma...
Mancavano solamente alcuni ingredienti da racimolare in una zona del mercato
di Toka-Nui. Ahkmou e Darkness ci andarono. Ormai il Po-Matoran si
aspettava la solita lezione filosofica del Maestro. Sicuramente molte servirono
a fargli comprendere non poche cose. Crebbe infatti sia come guerriero che
come persona. Ora era più scaltro, astuto, abile nelle decisioni, ma
perseguitato ancora dai suoi incubi più inconsci.
Un Agori del Villaggio del Ferro, mandato apposta da Magis, li incontrò in una
zona appartata, dove ci fu lo scambio di denaro. Darkness ebbe una certa
difficoltà a cedergli la sacca di Widgets non tanto per l’attaccamento al denaro,
ma al contrario per il suo odio verso di esso.
“Il denaro non rende felici, ma per la vita che siamo ormai abituati a vivere
alleggerisce di gran lunga la nostra esistenza.” così diceva. “E’ solamente un’arma
a doppio taglio. Possiamo usarla per far del male agli altri arricchendoci e quindi
incrementando la differenza tra ricchi e poveri, oppure farci schiacciare dagli avidi
che se ne infischiano di quelli come noi... E’ il potere a renderci ciò che siamo, non
le entità materiali che questo mondo ci ha donato. Intelligenza e superbia possono
si andare a braccetto, ma a volte è come vedere collaborare un Toa con un Makuta
per lo stesso obiettivo.”
Adesso i materiali erano pronti, ma non potevano girare tra le vie del villaggio
senza che le guardie dell’Ordine se ne accorgessero. Per fortuna buona parte
di questi venne distratta da alcuni alleati della scuola di Magis. I guerrieri di
quest’ultimo infatti aumentarono di numero nell’Esercito di Certavus, anche se
non tutti lo fecero per gli ideali dell’Ordine, ma al contrario per ribaltarli un
giorno grazie al “Maestro”.
Tuttavia, la bellezza paesaggistica e l’armonia che nacquero nel post-guerra,
nonostante gli edifici distrutti e i cadaveri sparsi ovunque nel deserto, persero
gradualmente colore con l’avanzamento dei giorni, dei mesi, e infine degli anni.
Ahkmou notò fin da subito che la popolazione Agori occupava dei punti
opposti rispetto alla posizione dei Matoran. Oltre a ciò, anche la povertà si
fece sentire: non erano pochi i senzatetto che se ne stavano con le gambe
raccolte, immersi in un pianto apparentemente eterno. Era orrenda la vista
degli edifici che crescevano a dismisura in contrasto con le emozioni di alcuni
abitanti.
Ed ecco che iniziò l’ennesima protesta: una Agori si rivoltò contro dei Ruhnga
che le impedivano di scontrarsi con i Matoran, accusandoli di stare dalla parte
dei traditori e degli avidi per eccellenza. Nessuno osò mettersi in mezzo.
Ahkmou e Darkness restarono ad osservare la scena, ma questa volta lo fecero
per volere del Po-Matoran.
La Agori mostrava palesemente degli atteggiamenti tipici di un individuo che si
era abbandonato completamente nell’esaurimento nervoso. I Ruhnga erano
freddi con lei. Non la guardarono in viso nemmeno per un istante. Dall’altra
parte invece alcuni Matoran si misero a ridere.
“Forza, fa qualcosa, Ahkmou...” sospirò con la solita voce tenebrosa Darkness.
Il Po-Matoran allargò gli occhi spaventato. Se fosse intervenuto, lui e il Maestro
sarebbero stati scoperti in men che non si dica, e a quel punto tutto ciò che
avevano costruito fino a quel momento sarebbe crollato.
“Io... io non...”
Darkness non reagì. Non sembrava sorpreso, né tanto meno deluso.
L’unico a intervenire fu uno dei pochi senzatetto che tappezzavano la zona
mercato. Ahkmou esclamò riconoscendolo: “POTUK?!”
Non ci pensò due volte e si lanciò per raggiungere il suo vecchio amico, ma fu
fermato da Darkness.
“COSA FATE?! DEVO AIUTARLO, MAESTRO!”
“No, Ahkmou... non lo farai...”
I Korero presenti persero la pazienza. Allontanarono la giovane Agori dai
soldati dell’Ordine e presero da parte il senzatetto, iniziandolo a martoriare
davanti a tutti gli abitanti.
Persino i Ruhnga erano inorriditi...
Ahkmou fece di tutto per liberarsi dalla presa di Darkness, arrivando
addirittura a tirare fuori il suo coltello per tagliargli la mano, ma non servì a
nulla. Adesso poteva solamente vedere l’episodio da lontano, immerso in
quell’angolo buio che ormai gli faceva da tana.
Distolse lo sguardo piangendo, ma la rabbia di Darkness gli prese il viso per
fargli vedere la tortura del suo “vecchio amico” fino alla fine. La Kanohi di
Ahkmou venne a momenti schiacciata talmente era grande la collera di
Darkness, e le lacrime del Matoran sgocciolavano dalle dita dell’ex Cacciatore
oscuro, che arpionavano con cattiveria i buchi della maschera. Alcune si
agganciarono alla bocca del Po-Matoran, stonando il suo grido di disperazione.
“GUARDA, AHKMOU! E NON AZZARDARTI A PIANGERE, POICHÉ TALE
E’ LA CONSEGUENZA PER COLORO CHE SI DICHIARANO FALSI
PALADINI DELLA GIUSTIZIA! ECCO COSA SUCCEDE A CHI INTERVIENE
SOLAMENTE QUANDO CIO’ CHE E’ PIU’ CARO GLI VIENE TOCCATO!
ECCO PERCHÉ COMPASSIONE E FRATELLANZA HANNO PERSO DI
SIGNIFICATO IN QUESTO MONDO! SEI SOLO COME LORO: FERMO,
IMMOBILE, PARALIZZATO DALLA PAURA. ORA LA MORTE DI POTUK TI
PERSEGUITERÀ FINO ALLA FINE DEI TUOI GIORNI, COSICCHÉ NON
SARANNO SOLAMENTE LE MIE PAROLE A DARTI INSEGNAMENTO, MA
IL DOLORE STESSO!”
Ahkmou non scordò mai quelle parole. Erano come degli aghi impossibili da
estrarre dalla sua mente. Ben presto si accorse e si rassegnò che Potuk aveva
fatto la sua parte. Non riuscì a dimenticare l’indifferenza con la quale i presenti,
persino i Ruhnga, trattarono una tale scena violenta. E ogni sera prima di
andare a dormire gli sovvennero tutti questi orrendi dettagli, anche il giorno in
cui il tiranno di Roxtus, ovvero Tuma, morì...
Così cadde Tuma, signore di Roxtus, dominatore ed unificatore degli Skrall, servo
dell’Elementale della Roccia durante la Guerra del Nucleo e capo del Triumvirato...
Il team di Toa Tagahri aveva perso due membri importanti, Majul e Polekas. I
due Toa tornarono nei ranghi dell’Ordine per l’addestramento delle reclute
Ruhnga. Subito si partì con la ristrutturazione mondiale, anche sull’isola di
Artakha.
Il Grande Essere ordinò al Toa della Terra di recuperare il cristallo contenente
Voporak durante le migrazioni. Per non destare sospetti, si fece consegnare
l’esemplare in un particolare isolotto a sud del Continente meridionale.
Anche Darkness non restò fermo. Dopo aver scoperto la nuova base degli Eroi
nel Robot, mandò Tuyet alla ricerca di due popolazioni guerriere stabilitasi nei
luoghi attorno ad essi: i Vortixx e le Sorelle degli Skrall.
Nuovi amici, nuovi ripari...
Capì che i due popoli avrebbero potuto potenzialmente incontrarsi, data la
loro vicinanza. Così in caso avrebbero stabilito i loro domini, riuscendo poi ad
aver un dialogo vero e proprio con il fondatore della Hero Factory, Akiyama
Makuro. Gli Eroi erano sicuramente temibili dal punto di vista bellico e quindi
degli ottimi alleati. Inoltre c’era la possibilità di ottenere la famosa Lancia di
Rewerax senza bisogno di combattere.
L’esperienza di Tuyet nel multiverso le permise di negoziare tranquillamente
con entrambi, e dopo pochi mesi venne proclamata leader della neonata
alleanza di Wahine. Non restava che attendere il momento giusto...
“Eccomi, Toa Helryx.” fece un inchino Tagahri quando la raggiunse nella Sala
del Potere. “Mi è stato detto che avevi bisogno di me.”
Era quasi sera. Il sole stava lasciando spazio all’oscurità della notte. La Toa
dell’Acqua rimase ad osservare la vista di Mata-Metru dalla sua postazione.
Rispose senza girarsi, con l’orgoglio in corpo: “Volevo parlarti di una cosa...”
“Si, ascolto pure.”
La domanda che fece spaventò Tagahri: “Quanto tempo ci vorrebbe a
distribuire l’intera popolazione nel resto del Robot?”
“Non capisco.”
“Mmhh!” ghignò. “Non penserai mica che torneremo dai nostri creatori
abitando solamente questa metropoli. Credi che i nostri nemici non
cercheranno di entrare? Se non l’hanno già fatto ovviamente...”
Il Toa della Terra era titubante. “Dove vorreste arrivare?”
“Il viaggio che ci attende sarà lungo, Tagahri. Ho bisogno di tempo, tanto
tempo. Non posso rischiare che al di là di queste coste ci sia qualcuno che
potrebbe attaccarci da un momento all’altro.”
“Allora saremo pronti a rispondere!”
“Non basta.” troncò il finto entusiasmo del Toa. “Sai, la Seconda Guerra del
Nucleo mi ha fatto imparare una cosa, ovvero che il male non si dovrebbe
uccidere quando è grande, ma quando è piccolo... anche se inizialmente fa
parte del bene.”
Tagahri fece due passi in avanti. “Cosa vorreste che facessimo allora?”
“Una mossa che mai mi sarei aspettata di fare. Una conquista forzata delle
isole e, se servirà, anche una pulizia di ogni feccia che oserà opporsi.”
“E se dovessero esserci dei Matoran? Non per forza quelli che troveremo
saranno nemici, Helryx!”
Risposta secca: “Non mi importa. I veri figli della Ignika hanno sempre abitato
nei villaggi che abbiamo tentato di difendere fino alla fine. Chi li ha
abbandonati, ha abbandonato in automatico la nostra protezione. Non merita
di essere uno di noi.”
“Sei proprio sicura? Hai idea di cosa potrebbero pensare i Matoran di Mata-
Metru se dovessero venire a saperlo?”
“Non accadrà, Tagahri. Quando abiteranno il resto delle isole, verranno accolti
da magnifiche e splendenti città. A quel punto dubitare dell’Ordine sarebbe
cosa da pazzi.”
“E quando questo sarà compiuto che cosa faremo?”
L’espressione seria della Toa accompagnò la risposta. “Ti basterà sapere che tu
e il tuo team non sarete più mie guardie personali.”
“Cosa, e chi lo sarà? I Korero? Gli altri agenti? Non posso abbandonarvi,
Helryx! Non sarei tranquillo!”
Il leader dell’Ordine fece una risata di sollievo. “Non preoccuparti. Verranno
altri cinque nobili guerrieri. I cinque arcipelaghi avranno così una nuova
funzione.”
“Cinque? Cinque... Toa?”
“La nostra conversazione finisce qui. Torna dai tuoi fratelli ora. C’è ancora
molto lavoro da fare...”
Dopo qualche anno, Helryx fece la sua scelta. Nuhrii, Vhisola, Tehutti, Orkahm
e Ehrye divennero i cinque nuovi protettori col titolo di Toa Metru. Così
facendo, la Toa si circondò di individui sui quali poteva contare quasi
ciecamente, come suggeritole da Darkness quando le parlò della visione futura.
I mesi trascorsero. I cinque crebbero. Prima o poi sarebbe iniziata la pulizia
delle isole...
Nel frattempo nelle Terre Esterne fu elaborato il piano dal leader
dell’Equilibrio per intrufolarsi nel governo di Tesara e ribaltarla definitivamente.
Il giovane Pretorius, con maggiore esperienza dal giorno in cui riaprì gli occhi, e
Tuyet vennero mandati in missione. Quel giorno, durante la conversazione, ci
fu un’intromissione inaspettata.
“... quindi, Pretorius, tu ti farai trovare dai Glatorian dell’Esercito di Certavus
come un semplice sopravvissu-”
“Perdonate l’intrusione, Maestro.” disse Ahkmou. “Ma ho delle importanti
novità.”
Iruini fece per buttarlo fuori dalla stanza, ma Darkness ovviamente lo fermò.
“Dimmi, piccolo...”
Il Po-Matoran tornò dopo qualche minuto con un oggetto dalla forma
circolare. Si trattava di due anelli piatti e uniti da tre segmenti di Protodermis
indurito. “Ecco, signore. Giustamente non avete approvato la proposta degli
Hagahkuta di accedere al Robot nello stesso punto segreto degli Eroi. Sarebbe
stato un grosso e inutile rischio.”
I tre Toa mutati non la presero bene, iniziando a ringhiargli contro come bestie
fameliche.
Darkness li zittì mostrando semplicemente la Lancia dell’Oscurità, tanto
temuta dai tre mostri. “Va avanti, ti prego.”
“Io e Okoth siamo riusciti a rubare questo loro meccanismo in grado di
perforare una parte del Robot che mostra un assottigliamento della Barriera
esterna. Sono stati gli Eroi a progettarlo. Pare sia tutto merito della mente
geniale del loro creatore.”
Darkness si sentì soddisfatto. Quello non era l’Ahkmou spaventato di molti
anni prima. Era cambiato, così come Okoth. Spesso si mostrò duro con lui.
Questo perché non poteva dimenticare la visione di Gaaki. Per una ragione che
egli non rivelò a nessuno, c’era un motivo molto valido per cui la presenza di
Ahkmou all’interno dell’Equilibrio era ben pesante. Questa volta non si limitò
ai complimenti.
Si avvicinò mostrandogli un coltello particolare. “Ecco, Ahkmou, prendi.”
“E’ per me?”
Il Maestro sorrise malignamente. “Si. Un tempo era mio. Fu l’unica cosa che
ebbi per molto tempo. Ora lo lascio a te, ma dovrai farmi prima una
promessa.”
“Qualsiasi cosa!” rispose ammirando la lucentezza del pugnale.
“Lo userai solamente una volta, e sarà per un evento speciale...”
“Oh, grazie, grazie!”
“Prego. Puoi andare ora. Mostra a Tuyet come utilizzarlo. Torniamo a noi,
Pretorius. Il tuo compito quindi sarà di portare questa bomba a gas in un
punto specifico che ti verrà assegnato. Nessun errore sarà ammesso. Farai
parte della prima linea stanotte. L’Esercito di Certavus si oppone
maggiormente ad ovest. Dovremo colpirli per bene. Sei pronto?”
“SI, DARKNESS!”
Inutile dire che il piano non andò alla perfezione. Quella notte Pretorius non
riuscì a scappare, ma fu fermato e portato da Ackar e altri sopravvissuti come
prigioniero. La bomba però esplose, obbligando l’Esercito di Certavus a ritirare
i suoi confini.
Per rimediare al suo fallimento, Pretorius approfittò della scelta di Ackar di
accoglierlo fra i Glatorian per assassinarlo di soppiatto. Chiaramente Darkness,
con l’uso dei poteri dell’Oscurità, rimase ad osservarlo. Fu sorpreso dell’arte
recitativa che il Toa della Stella Rossa utilizzò per convincere i capi
dell’Esercito. Gli ricordava molto i modi di fare di un certo Nektann.
Nei corridoi della fortezza, riuscì a fermare in tempo il giovane, che subito
protestò: “Che state facendo, Maestro?! Lasciate che io possa rimediare al mio
errore! Ucciderò Ackar e Tesara sarà nostra!”
“Collega il cerebro, piccolo Toa. A quanto pare Nektann non ti ha insegnato la
tattica. Non mi sorprende...”
“Che intendete dire?”
“Credi che uccidendo Ackar stenderai in automatico un tappeto rosso verso
Tesara? Pensi seriamente che una razza come i Glatorian si farà abbattere così
facilmente? Certo il loro dolore sarà grande, ma io voglio vederli strisciare
agonizzanti. Egli non è di certo l’anello debole di tutta l’armata di Certavus.”
“Cosa volete che faccia?”
“Fatteli tuoi alleati. Dopotutto pare che ti sia specializzato nella recitazione.”
disse indispettendo il giovane guerriero. “Quando ti assicurerai di essere
l’unico individuo degno della loro fiducia, allora sarà il nostro momento...”
Nektann venne a sapere di questa nuova decisione di Darkness, e si mostrò
come al solito in disaccordo. Così cercò il momento esatto per fermare
Pretorius e dirgli cosa fare, fingendo che gli ordini fossero proprio del Maestro.
Tutto accadde dopo la morte di Vanisher per mano di Pretorius.
Il Toa era in viaggio tutto solo tra le dune afose per far ritorno da Ackar, e per
sbattere la sua riuscita in faccia a Gresh. Per assicurarsi che Darkness non
potesse sentirlo, nel caso in cui si trovasse nell’ombra del ragazzo, gli parlò
attraverso le corde del pensiero appartenenti all’Essere dorato. La sua maestria
nel controllo della creatura era migliorata, ma ancora limitata.
“Mi senti, Pretorius?”
“EH?! Chi ha parlato?!” si girò su sé stesso più volte col suo nuovo scudo
equipaggiato.
“Smettila di agitarti e prosegui il tuo cammino come se non
fosse successo nulla! Sono Nektann e ti sto comunicando
tramite l’Essere dorato.”
“Va bene.”
“No, non parlare ad alta voce! Potrebbe esserci Darkness
vicino a te e non lo sapresti nemmeno. Lascia che sia il tuo
pensiero a rispondermi.”
“Si...”
“Ascolta, c’è stato un cambio di piani.”
“Un altro?”
“Si. Darkness ha ordinato l’uccisione di tutti i Toa.”
“Cosa? Ma non si era detto che dovevamo imprigionarli nelle capsule di stasi?”
“No, Pretorius. Non so perché ha deciso di prendere questa
decisione.”
“Quindi, siccome anch’io sono un Toa dovrò...”
“Si, è la procedura. Sono sicuro che farai del tuo meglio.”
Era tutta una menzogna. Non c’era stato nessun cambio di piani. Nektann
invidiava a morte Darkness. Voleva colpirlo dall’interno come fece lui col resto
del mondo. Così un giorno si sarebbero tutti schierati dalla parte dello Skakdi.
Senza di lui, però, avrebbe girovagato con l’Equilibrio nelle sue mani senza una
meta precisa, e tutti i privilegi di cui avrebbe goduto grazie ad esso sarebbero
svaniti.
Il suo odio per i Toa sfociò quindi in una decisione che cambiò le sorti di molti
nei mesi a venire, dando inizio ad una lenta e atroce vendetta.
“Un’ultima cosa, ragazzo. Non sarai tu a far crollare
Tesara. Dobbiamo trovare un modo per tenerli impegnati. ci
sarà un attacco a sorpresa, e mi farò arrestare
volontariamente. Sono sicuro che i Glatorian non mi
uccideranno subito, con tutte quelle fandonie del Grande
Spirito...”
E allora si concordarono: mentre avrebbero aspettato l’integrazione di
Pretorius tra i Glatorian, si sarebbe programmato un assalto finale ad una base
vicino Iconox, sotto suggerimento di alcune spie dell’Equilibrio infiltrate. Quel
giorno, nelle terre di Quarzo bianco, i Glatorian avrebbero scoperto che
Nektann è il vero nemico delle Terre Esterne, così questo avrebbe subito
attaccato non appena sarebbero tornati a Tesara.
“Devo andare ora. Non farne parola con nessuno, nemmeno
con le nostre spie quando le incontrerai. Il mio potere sta
per finire...”
“Deve essere un pesante fardello.”
“E’ il mio punto di forza, Toa, ma soprattutto quello di
debolezza. Non posso ancora usarlo appieno. L’Essere
dorato tenta ogni volta di prendere il controllo della mia
mente. Sento già la sua voce... Se così fosse, verrebbe
probabilmente rintracciato dalla Ignika, a meno che non lo
abbia già fatto. Diverse volte mi ha detto che qualcosa di
tenebroso si nasconde dietro alla coscienza di quella
maschera...”
Tre anni e mezzo dopo il Risveglio...
Iniziarono i primi esperimenti sulla Vahi, in base alle ricerche effettuate sul
cristallo contenente Voporak. Oltre ad Artakha, sull’isolotto si recarono anche
Tagahri e il suo team, esiliati poco prima dell’arrivo dei cinque Metru da Toa
Helryx. Il piano di pulizia non fu per nulla approvato dai fratelli del Toa della
Terra, che iniziarono a litigare continuamente con gli agenti dell’Ordine. Stanca
di tutto, la proprietaria dell’Ignika non ci pensò due volte a cacciarli, come fece
con i nobili Mahri.
Un giorno, al termine di un test, il Grande Essere si accorse che in seguito ad
una forzatura potenziale della Vahi si creò una crepa nel cristallo. La decisione
fu immediata. Abbandonò le analisi per effettuare maggiori studi nella sua
fortezza. Non poteva rischiare la liberazione involontaria dell’ex Cacciatore
oscuro.
Tagahri e compagni ricevettero l’ordine di rinchiudere Voporak in una specifica
struttura creata da Artakha stesso sull’isolotto, dopodiché li lasciò
ordinandogli di sorvegliare la trappola ad ogni costo, e affermando che prima o
poi sarebbe tornato da loro con delle novità a riguardo.
Non fece mai più ritorno...
Quanto a Darkness, costui avviò una contromossa su due fronti. Prima di tutto
si rimise in contatto con Helryx, stabilendo poi un patto con una gran parte
dei Parenga. Da quel momento in poi avrebbero fatto affidamento sulla milizia
per ogni evenienza.
Dall’altra parte invece ci fu il tanto atteso incontro con il capo della Hero
Factory, non appena avvenne la cattura dei due Eroi Rocka e Fortis...
Stormer e Makuro partirono all’alba dal Quartier generale. La sera precedente,
giunse un messaggio sullo schermo dell’ufficio di Alpha leader: Rocka e Fortis
erano incatenati con delle radici tipiche delle Isole meridionali, e che gli Eroi
avevano già registrato nei loro database. Una voce all’esterno delle riprese
ordinò a Makuro di presentarsi nel punto indicato senza Eroi.
Akiyama (Velika) decise comunque di portare con sé Alpha leader.
Sfortunatamente, la posizione ricevuta non era molto lontana dal Quartier
generale. Questo voleva dire che il loro potenziale nemico avrebbe potuto
attaccare gli Eroi in ogni momento.
Sembrava di trovarsi sul pianeta in cui Stormer e gli altri Eroi furono alle prese
con il forsennato Witch Doctor.
“Statemi dietro, signore.” suggerì Preston.
“Va bene.”
Lo stato fisico di Velika peggiorava lentamente con l’avanzare del tempo. Ci fu
bisogno dell’aiuto di Stormer per farlo camminare.
…
Il viaggio fu accompagnato da qualche colpo di tosse del creatore, e dopo una
ventina di minuti arrivarono in un villaggio all’apparenza abbandonato. Stormer
si mosse furtivamente di capanna in capanna, scoprendo che non c’era
nessuno. L’unico essere vivente che incontrarono era una creatura alta e
slanciata, legata dalla testa ai piedi ad un palo largo.
Stormer si avvicinò subito per liberarla, ma questa gridò: “No, non farlo! Loro
mi troveranno e mi uccideranno! Non potrò mai nascondermi!”
Alpha leader balzò indietro per lo spavento imbracciando il lanciatore e
mettendo Makuro dietro di sé.
“Chi sei?!” gli chiese.
“Andatevene prima che vi trovino!” poi si rese conto di un particolare sul
petto di Stormer. “Un momento, ma voi... siete Eroi?!”
“Li hai già visti?” domandò Makuro per capire se conosceva Rocka e Fortis.
“Si, COUGH! COUGH!” tossì. “Erano in due, ma non so dove sono ora. Ho
commesso tradimento verso la mia gente, e ora sono condannato a rimanere
qui per sempre!”
In diverse parti del corpo riportava ferite profonde. Evidentemente oltre alla
condanna c’erano delle pesanti torture incluse.
“Siete arrivati, molto bene.” udirono.
La voce sembrava la stessa del video che ricevettero. Quando si girarono, si
accorsero subito che si trattava di un Toa. Makuro si sbalordì più dello stesso
Alpha leader. Temeva che quello sconosciuto avesse potuto scoprire la sua vera
identità.
“E’ un’imboscata, Stormer.”
“Signore?”
“Si!” andò di matto. “Quel Toa sarà di sicuro un alleato dell’Ordine, non c’è
nessun dubbio! Ammazzalo, AMMAZZALO!”
Come per reazione, una cinquantina di guerrieri, anzi, di guerriere sbucò con
lanciatori e frecce puntati verso i due. Urlarono tutti, ordinando a Stormer di
gettare la sua arma.
“Mi sembrava di aver detto nessuna scorta, signor Makuro.” ma non parlò il
Toa.
Arrivò un secondo sconosciuto. Il mantello nero e la finta Kraahkan non
potevano che ricondurre a un solo individuo...
“E tu chi saresti?”
“Non vi interessa sapere il mio nome. Quella che avete di fronte è una Toa a
capo dell’alleanza di Wahine.” la indicò.
“Alleanza di Wahine?” esclamò Preston.
“Due popolazioni biomeccaniche unite sotto un unico capo. Quelli che vedete
armati con artigli e archi sono i Vortixx. Gli altri sono le Sorelle degli Skrall.
Tuttavia, non siamo qui per una lezione di storia. Dobbiamo parlare, Grande
Creatore...”
Velika si aggrappò a Stormer per lo spavento. Quasi perse i sensi. Alpha leader
non sapeva come reagire, e si chiese perché lo straniero lo chiamò con quel
nome. Il piccolo capo della Hero Factory si mise con la faccia contro l’armatura
dell’Eroe come un bambino col proprio genitore quando si vergogna.
“Non serve nascondersi, capo della Hero Factory.” disse Tuyet sbeffeggiandolo.
“Il Grande Spirito ci ha sempre detto di affrontare i problemi a testa alta. Non
mi sembra stiate facendo lo stesso.”
“Makuro non ha niente a che fare con le vostre usanze!” lo difese Alpha leader.
Darkness e la Toa risposero con un sorriso contenuto.
“La conoscenza sul tuo creatore è piccola, Eroe. Non è nemmeno la punta di
un Thornax. Ora non perdiamo altro tempo e andiamo diretti al punto.”
“Che cosa volete?” si degnò di parlare Makuro con risentimento.
“Sappiamo quali sono le vostre intenzioni. Non avreste abitato parte delle Isole
meridionali altrimenti. Lo stesso vale per noi. Entrambi abbiamo lo stesso
obiettivo: Helryx.”
Makuro cambiò espressione interessandosi. Mentre si sfregava le mani disse:
“Continua.”
Stormer aveva poca voce in capitolo. Non restava che ascoltare.
“L’Ordine si sta potenziando a dismisura. Attualmente nessuno può
contrastarlo. Presto partirà alla conquista di ogni territorio su questo Robot.
Schiererà ogni arma, ogni soldato e ogni macchina a disposizione.”
Velika si lamentò dandogli ragione. “Se solo ci fosse stato il Marendar tutto
questo non sarebbe successo!”
Darkness lo fissò facendo un sorriso maniaco. La pazzia fuoriusciva a fiumi dai
suoi occhi. Tuyet rimase in silenzio, dandogli il tempo di ragionare. Makuro
allora capì che molto probabilmente i due avevano qualcosa a che fare con la
macchina anti-Toa, arrivando a supporre che lo sequestrarono di nascosto dalla
cripta prima che potesse entrarci.
“Quindi c-cosa p-proponete?” chiese intimidito, sentendosi con le spalle al
muro.
“Convincerò il leader dell’Ordine a stabilire un’alleanza con voi Eroi, in modo
tale che avrete il permesso di fare entrare l’intera armata dal Fiume Skrall.”
“Ma non potremo attaccarli subito. Saremo continuamente osservati!”
Tuyet spiegò: “Non servirà, Grande Creatore. L’Equilibrio sa come creare
scompiglio tra fratelli. Li metteremo uno contro l’altro, e allora sì che
colpiremo. Tutti insieme...”
Il dialogo proseguì. Alpha leader fu l’unico a opporsi addirittura severamente
contro il proprio capo, ma questo lo zittì immediatamente. Nel corso della
conversazione furono messi a punto altri dettagli. In ogni caso, il rancore di
Preston nei confronti di Makuro salì alle stelle...
Oggi...
Adesso era ufficiale: la Mano di Artakha era tornata. I sei Metru si erano
stancati di dover correre scoprendo delle verità sempre più disgustose. Non
volevano più saperne nulla, ma sapevano d’altronde che per ottenere la pace
era necessaria la guerra.
I generali Parenga ebbero un incontro positivo con Artakha. I rifornimenti di
materiale iniziarono fin da subito, all’oscuro dell’Ordine che aveva già
concentrato la sua attenzione sulla difesa di Voya Nui.
Era tutta una corsa agli armamenti. Chi per primo arrivava sulla costa
settentrionale del Continente meridionale aveva l’occasione vera e propria di
fronteggiarsi con le forze dell’Ordine. Il signore di quelle zone, Trinuma, era
pronto a tutto. La Battaglia dei Nove stava per giungere finalmente ad un
punto focale...
Perciò iniziarono le prime lotte anche per i nobili Toa, sebbene tentarono il più
possibile di non uccidere nessuno. Non era la loro politica.
Dopo qualche settimane dal ritorno della Mano, Tobduk, Whenua, Onewa e
Mazeka incontrarono per puro caso Rocka, che ordinò ai suoi di cessare il
fuoco.
L’Eroe confessò che Xanders aveva detto al generale Fox di aver lasciato
scappare i Toa quando ci fu l’incontro con Cadryuk, Toa multidimensionale
della Nebbia. Per tale ragione fu accusato di alto tradimento.
Al loro ritorno però Alpha leader non era presente. Da diversi mesi si era
recato in missione con altri Eroi per una ragione specifica. Non volendo
aspettare l’esito della guerra, Rocka riuscì a scappare con i suoi cinquanta
soldati alla ricerca di Stormer, per convincerlo a schierarsi dalla parte dei Toa.
Whenua e Onewa compresero alla perfezione la fuga disperata del giovane
Eroe. Anche loro furono costretti a fare lo stesso quando Turaga Dume,
ovvero Teridax, li cacciò dal Colosseo davanti a tutti Matoran, accusandoli del
decesso di Toa Lhikan.
Solamente sette giorni dopo quell’incontro, con la successiva alleanza tra le
due milizie, ci fu il ritorno di Stormer.
“Alpha leader, dove siete stato per tutto questo tempo?!” si infuriò Fox.
C’erano anche Gobbs, Furno e gli altri Eroi dell’Alpha Team.
“Non ce l’ho fatta...” continuò a ripete disperato, facendo preoccupare i
presenti. “Ho cercato con tutto me stesso di trovare una soluzione per
andarcene da qui. Abbiamo passato i giorni sotto la pioggia, prede delle nostre
preoccupazioni, e convincendoci che sarebbe stato tutto passeggero...”
Era l’occasione per Fox, con una mentalità opposta. “Ora capisci perché non
abbiamo altre strade. La sola cosa che dobbiamo fare è assalire il territori
settentrionali.”
Furno e i suoi due compagni avevano perso le speranze. Già il fatto che non
rispose alle chiamate gli fecero intuire che era davvero preso dal quel
perseguitante dovere.
‘Ma perché... perché la fiducia deve crollarci addosso così?! Perchè siamo
condannati a tutto questo?!’ si chiese Breeze tra sé e sé.
In silenzio, Alpha leader si alzò dalla sedia per riprendere gli appunti un tempo
appartenuti a Makuro riguardo il Codrex. Gli altri Eroi gli tennero lo sguardo
puntato addosso addolorati, fatta eccezione per Fox e gli altri tre comandanti
impiegati nella Battaglia dei Nove.
Fin dall’inizio, Valor, Puck e Flash appoggiarono ogni sua idea, ogni sua tattica
senza ripensamenti.
Ad un certo punto Preston alzò lo sguardo. Osservò il gruppo di Eroi turbato.
“Dov’è Rocka?”
“A tal proposito, Stormer, c’è una cosa che dovresti sapere...” si offrì di parlare
Fox, suscitando la preoccupazione di Furno, Breeze e Surge. “Ci ha traditi.”
“Traditi? Sei serio, comandante?”
“Potrei mai accusare un Eroe di un simile atto senza motivo?”
“E con chi ci avrebbe tradito, sentiamo.”
“Xanders era con lui. E’ riuscito a catturare i Toa che erano nella squadra della
Toa dell’Acqua che rapimmo. Non so come ma mi è stato riferito che ha
rubato delle foto super segrete raffiguranti il soggetto 16.”
“Soggetto 16?” esclamò Stormer mentre accese la lavagna digitale della sala,
tirando poi fuori la foto. “Questo qui?”
“Si, signore.”
“Abbiamo seriamente capito cos’è quella cosa?”
“Ha attaccato il dirigibile di Rocka qualche ora dopo la cattura dei Toa. Non si
sa come abbia fatto a rintracciarli. Fatto sta che sono riusciti a gettarlo in
mare. Poi, non contento del furto di materiale privato, ha ben deciso di
incontrarsi con dei contatti dei quali non parlò con nessuno. Xanders mi ha
detto che è stato per farsi dire la posizione del ricercato Darkness.”
“Ed è arrivata?”
“No, signore. E’ come se ad un tratto tutto ciò che era attorno ai nostri
guerrieri e a questi tre individui avesse smesso di esistere, gettandoli in uno
scontro impegnativo. Più volte Rocka ebbe la possibilità di riacciuffarli, ma non
lo ha fatto. Adesso è scappato, forse per incontrarsi con i suoi nuovi alleati...”
Diversamente da quanto ci si aspettava, Stormer reagì in un’altra maniera. “Se
non altro ha tentato nel suo piccolo di rimanere fedele ai nostri obiettivi.”
“Si, ma in che modo lo ha fatto, Preston? E’ imperdonabile!” protestò Valor.
“Lo troveremo, statene certi. Ora però abbiamo robe più importanti a cui
pensa-”
STONG!
Era tutta opera di Furno. Gli Eroi si stupirono quando notarono che aveva
appena spaccato un tavolo a causa della sua rabbia improvvisa.
“Ehi!” si infuriò Alpha leader. “Che diamine ti è preso, si può sapere?!”
I pugni dell’Eroe rosso tremavano. Respirava affannosamente. “Quel bastardo...
ho sempre pensato che nascondeva qualcosa...”
Fra tutti, Fox era quello più contento. Finalmente Furno stava capendo da che
parte stare. Realizzò infatti che ogni cosa che i Toa toccavano non portava
altro che morte altrove. Ed erano proprio gli Eroi ad andarci di mezzo quasi
sempre.
“Finiscila! Parleremo con Rocka e risolveremo tutto.”
“NO, STORMER! IO QUELLO LO AMMAZZO! NON LASCERÒ CHE ALTRI
MUOIANO PER I SUOI COMODI!” e uscì violentemente.
Breeze provò a mettersi di mezzo, ma la scansò via come un oggetto qualsiasi.
Tutti restarono di sasso, sconvolti.
“Alpha leader, non p-pensate che sia il caso di parlargli?” domandò Surge
ingenuamente.
Stormer lo squadrò infastidito, lasciando cadere i documenti sul tavolo da
lavoro, e si alzò in piedi. “Credi che i capricci di uno che dovrebbe mantenere
un atteggiamento composto mi importino qualcosa? Lasciatelo perdere, è un
ordine. La vita di ognuno di noi, e forse anche di Makuhero City, dipenderà
dalle nostre prossime mosse. Non possiamo correre dietro a dei ragazzini!”
…
Passò un’ora e mezza. Stringer e Bulk arrivarono con una notizia che spaventò
i due compagni dell’Eroe rosso. “Furno se n’è andato. Lo abbiamo cercato
ovunque, nei dormitori, nella sala d’addestramento, al Centro missioni, ma
niente. Sappiamo solamente che la sua moto è stata ritirata qualche minuto
fa.”
Stormer fece di no con la testa, quasi sorridendo per l’assurdità della
situazione.
Stringer insistette. “Che facciamo? Non possiamo lasciarlo solo là fuori,
Preston. Perderemmo un guerriero troppo importante!”
“D’ACCORDO, HO CAPITO! Mettetevi sulle sue tracce, e tenetemi
aggiornato. Breeze, Surge, è giusto che andiate con loro due.”
“Agli ordini, Alpha leader!” risposero in coro.
Per ordine di Sakovius, un gran numero di Matoran venne fatto riunire nella
piazza principale della cittadella innevata. Nokama e Vakama erano sul posto.
Subito i Matoran si chiesero cosa avrebbero detto o fatto.
Il Toa del Fuoco fece un passo avanti guardando Sakovius. “Sono tutti loro?”
“Si, Vakama. Come avevi detto.”
“Bene, iniziamo dal primo. Ko-Matoran, vieni avanti!” indicò l’unico della prima
fila.
Non si mosse. Un suo amico lo urtò alla spalla. “Forza, Danahk, fa’ come ti ha
detto!”
“Ma i-io... n-non so...”
“Non temere.” lo tranquillizzò Nokama con un sorriso confortante. “Vogliamo
solamente esaminarti un attimo. Poi potrai andare.”
Fece un passo, poi un altro, e poi un altro ancora. Il quarto era tutto
tremolante. Vakama gli fece una carezza sulla Kanohi con una piccola risatina.
“Rilassati. Sono un Toa. Non potrei farti del male.”
“Non credo sia d’accordo con te, Vakama.” corresse giustamente Sakovius
mentre arrivò un vento freddo dalle montagne nevose. “Danahk e molti che
vedi sono stati sfruttati e martoriati violentemente dai membri della tua
specie. Avevano perso la ragione e ora loro hanno perso la fiducia nel
prossimo. Sono da capire in fondo...”
Il Toa lo osservò, amareggiato dal terribile passato. Il Ko-Matoran non aveva
neanche il coraggio di guardarlo in faccia.
“Hai paura, non è vero? Chi sono io per non dire a te e a tutti voi di non
provarla? Come se fossimo sicuri che ella sia solo negativa... Ce la
immaginiamo come un orrendo pozzo dal quale è impossibile dare ritorno. Un
ammassa oscura gelatinosa che ci trascina nel baratro più profondo che esista.
Ma vi dirò, non la combattete. Abbracciatela, soldati! Per un’ultima volta! Non
sempre ciò che è maligno distrugge. Può anche aiutarci a costruire coraggio ed
esperienza! Non lo dimenticate.” e prese la mano del Matoran, creando poi
una piccola fiamma che lasciò sospesa un paio di centimetri sopra di essa.
Danahk sorrise. Non provava dolore. Nessuna ustione.
“L’Unione è il vero motore che ci permette di affrontare la paura. Non esitate
a farvi aiutare! Non siete perfetti! Non lo sono stato io, non lo è stato Toa
Lhikan e nemmeno Matoro. Hanno scritto una storia, col loro liquido vitale, e
non se ne sono pentiti. Hanno sofferto, e anche tanto, ma l’hanno fatto per
qualcosa di più grande. Perchè mi chiederete? Perchè hanno avuto coraggio! Ed
esso da dove è nato? Dalla paura! Senza non esisterebbe nemmeno nei nostri
pensieri! Quindi io vi dico, è giusto che sia così!”
Perciò Danahk accettò di farsi controllare. Aveva una sola cosa in comune con
gli altri Matoran radunati: lo squarcio sulla maschera causato dall’attacco di
Darkness su Voya Nui.
Nokama passò al fratello l’attrezzo di riparazione, ancora commossa dalle
parole del suo leader. Lentamente avvicinò lo strumento alla Kanohi del
piccolo, e questa si illuminò d’un rosso accesso, rilasciando una scarica
elettrica molto potente. Vakama si allontanò subito provando un forte
bruciore. Danahk si spaventò, credendo per assurdo che gli avrebbe dato la
colpa.
“Che è successo?” domandò la Toa dell’Acqua al compagno.
“AGH!” esclamò. “La sua maschera è... è irreparabile, maledizione!”
“Proviamo con un altro allora!” suppose Sakovius, ma si rivelò un fallimento.
Sbagliarono altre sei volte. Non c’era modo di portare a termine il compito
assegnatogli da Artakha. Anche se questo non l’avesse voluto, l’avrebbero
dovuto fare comunque.
Da un po’ di tempo, i Matoran soggetti alla rottura della propria maschera
stavano sperimentando un peggioramento della salute. L’Essenza fungeva anche
da energia auto rinnovabile per l’intero organismo.
“Troveremo una soluzione, fratello. Nel frattempo io e Matau prepareremo
delle soluzioni di radici Bhongahr, un toccasana per tutti loro.”
“Farò si che avremo i magazzini pieni.” affermò l’Agori a capo dei Parenga.
“Ti ringrazio, Sakovius.” chinò la testa cordialmente.
Vakama, come sempre, era irritato dalla situazione. Erano solo all’inizio dei
guai che sicuramente avrebbero incontrato d’ora in avanti.
Dovette rimandare l’appuntamento coi suoi conflitti interiori: Matau era
appena arrivato. Atterrò con la gracilità di un Muaka in mezzo a tutti,
pavoneggiandosi come sempre.
“Porto novità da sud, fratelli. Abbiamo un nuovo alleato.”
“L’Unico?!” ipotizzò stupidamente Nokama, che voleva conoscere tale essere a
tutti i costi.
“No, sorella. Johmak...”
“Johmak?” si sbalordì Vakama. “E’ qui sul Robot? Saranno secoli che non la
vediamo.”
“Già. L’abbiamo salvata per poco. A quanto pare, Helryx ha deciso di
sterminare tutti gli ex membri che non sono stati scelti dalla Ignika, temendo
che potessero unirsi a noi potenziandoci.”
“O forse perché sapevano qualcosa riguardo al Codrex...”
“Può essere, Nokama. Per primo è caduto Umbra, poi le spie di Nynrah.
Johmak sarebbe stata l’ultima. I loro corpi sono stati fatti a pezzi senza
esitazione.”
Un comandante Parenga gli chiese dove si trovava l’ex agente dell’Ordine al
momento.
“E’ con Tobduk e Mazeka nell’accampamento a ovest. Tra non molto loro,
Nuju, Whenua e Onewa partiranno per insediarsi nel Continente
meridionale.”
“Avete già conquistato Artidax?!” si riempì di felicita Vakama per il primo
grande obiettivo raggiunto, a poche settimane dalla loro entrata in guerra.
“Per chi ci hai preso? Avresti dovuto vedere Tobduk. Era incontenibile. Ora
fatemi riposare e datemi qualcosa per riscaldarmi! Sono settimane che non
assorbo del cibo!”
L’indecisione tormentava Ackar da molti giorni ormai. I sopravvissuti, freschi
del ritrovamento di Hauran ed entusiasti di avere un Grande Creatore al loro
fianco, attendevano solamente il suo responso. Takanuva aveva già preso la sua
decisione e così anche gli altri Glatorian, ma spettava ad Ackar il via libera.
Quale delle due alternative avrebbe dovuto scegliere dunque? Rimanere sul
pianeta esplodendo con esso, oppure abbandonarlo e raggiungere
forzatamente il Robot per morire comunque?
Il suo periodo di riflessione nella caverna-rifugio durò a malapena due giorni.
Decise poi di uscire. Aveva bisogno di tempo, di spazio, di libertà dalle sue
responsabilità.
Fece visita a diversi luoghi: Tajun, Tesara, Vulcanus. Mai avrebbe pensato che i
vecchi villaggi potessero essere distrutti così esageratamente. Non rimase
nulla.
In ogni caso, alcune strutture sepolte dalla sabbia gli fecero venire in mente dei
lontani ricordi della sua gioventù, quando l’addestratore Derik lo accolse a
braccia aperte. Ackar crebbe con gli occhi puntati addosso giorno e notte,
abituandosi al nonnismo frequente degli altri Glatorian. In quel tempo, il
Signore elementale del Fuoco stava già progettando le prime mosse per la
Guerra del Nucleo. Nel suo corso, Ackar fu toccato profondamente dagli
orrori che esso poteva scatenare. L’esperienza che accumulò lo fece diventare
la prima scelta per i combattimenti che si sarebbero tenuti in futuro. Ma il
prezzo per tale fama, naturalmente, furono i cadaveri dei valorosi guerrieri che
si sacrificarono per novellini come lui.
Gli capitò di giungere alla sua vecchia casa, Vulcanus, sepolta da un vasto strato
di lava solidificato. Ricordò fin da subito i secoli passati a difendere il titolo di
miglior guerriero nei Grandi tornei. Poi gli sovvenne un episodio particolare:
l’incontro con Rubix. Forse risolvendo quel caso, avrebbe scoperto l’identità
che stava dietro ai rapimenti e ai furti di Protodermis, annullando
automaticamente le ostilità fra le due popolazioni del Circolo.
Infine si incamminò nel canyon in cui lui, Kiina e Mata Nui furono assaliti dai
Cacciatori di ossa e Skopio. Le rocce che popolavano la cima del canyon
furono riversate per intero all’interno, a causa dei maestosi venti generati dalle
turbine del Robot.
Notò che il masso roccioso che Mata Nui spezzò perfettamente con la sua
spada era ancora lì, intatto, ma giusto un paio di centibios più avanti intravide
degli strani disegni sul muro di pietra: una Tryna e una Ruru.
Toa Macku li aveva incisi prima di partire coi suoi compagni.
“FUOCOOOOOO!”
Decine di migliaia di raggi energetici volarono verso la costa, generando senza
volerlo un vasto mantello che oscurò le armature senz’anima. Lo Skakdi e i
suoi si misero a correre mentre ci furono le prime perdite tra le loro fila.
“CONTINUATE! CONTINUATE!” ordinò nuovamente Trinuma.
I Cacciatori oscuri e i mercenari un tempo prigionieri della Hero Factory
furono coperti con successo dalle bestie di Rewerax in prima linea, comandate
dagli Hagahkuta. Non fu poi così difficile avanzare.
In poco tempo, la spiaggia si riempì di decine di migliaia di combattenti.
Ahkmou, deciso a restare dopo le parole del Maestro, si unì a lui durante
l’avanzamento. Non lo vedeva in azione da quando uccise brutalmente i vecchi
Metru. Toa Tuyet aveva il suo solito fucile ricavato per intero dalla Pietra Nui.
Fu Darkness a costruirglielo dopo l’incontro nella caverna del Marendar. Di
quest’ultimo però non c’era traccia, e nemmeno dei temibili Barraki...
Toa Gildas ebbe la libertà come la settimana prima di sganciare bombe acide a
ripetizione, intrappolando allo stesso tempo le Corazze immortali nelle piante
che faceva fuoriuscire dal terreno. Anche Thorgai Drenaris e gli Hagahkuta non
ebbero limiti.
Ma mettere fuorigioco le armature controllate da Toa Helryx era praticamente
impossibile. Non avevano punti deboli. Ogni volta che veniva tagliata l’anima
dorata che le abitava, queste si rigeneravano automaticamente dopo cinque
secondi. Era un vano spreco di energie e combattenti. Darkness l’aveva
previsto, per tale ragione preferì sacrificare le bestie della Realtà del Creato.
L’unica arma che poteva schierare contro la potenza della Ignika era proprio
Nektann. Purtroppo però, lo Skakdi si rifiutò di liberare per intero l’Essere
dorato. Secondo lui, non era ancora il momento.
Nel mentre, sette squadre di aerei Rangai guidati a distanza da Trinuma si
contrastarono contro i Cacciatori oscuri volatili, tra cui Airwatcher. La bellezza
e l’orrore della lotta erano magnifici, ma difficilmente avrebbero raggiunto il
pathos che si creò quando i jet si abbatterono sui Falconi dorati guidati da
Takanuva e i cinque Tumaka.
E in tutto questo gli Eroi e la Mano non erano presenti, non ancora almeno. Si
stavano semplicemente nascondendo, attendendo il momento esatto per
sfondare la muraglia ad ovest.
Si mossero cauti, nascondendosi dall’occhio dei due eserciti, che stavano
facendo stragi a vicenda. I tiratori scelti dell’Equilibrio iniziarono ad uccidere i
primi cecchini Ruhnga, supportati dai Cacciatori volatili che a gruppi
atterravano sui palazzi. Trinuma sbagliò a mandare tutte le truppe Ruhnga
specializzate nel corpo a corpo vicino alla muraglia. L’abilità di quelli appostati
nei grattacieli non fu sufficiente per sconfiggere i guerrieri scelti dal Maestro.
A quel punto ordinò alle unità di terra di dividersi in due. Una parte avrebbe
difeso la muraglia attivando i due cannoni posti ai suoi margini, mentre l’altra
sarebbe arretrata verso il Codrex, pronti a combattere gli invasori interni.
Circa settecento Cacciatori oscuri sopravvissero alla battaglia sui palazzi.
Scesero poi a turno nelle strade silenziose della metropoli. I Ruhnga ai piedi del
Codrex si allargarono coprendo metà faccia della cupola. Il resto invece veniva
raggiunto posteriormente dalle montagne fino a metà della sua altezza.
“Li vedo.” disse Schoper con la sua lente. “Il Codrex è alle loro spalle. Stanno
aspettando solamente noi. C’è anche Trinuma...”
“Accontentiamoli allora.” rispose prontamente Airwatcher.
Savage partì alla carica, seguito dagli ex servitori dell’Oscuro. I Ruhnga erano
numericamente maggiori, ma non disponevano di poteri soprannaturali come i
Cacciatori. In più c’era ancora qualche conto in sospeso dalla fine della
Seconda Guerra nucleare da sistemare.
Uno di loro, Phantom, si spostò più ad est, in un punto in cui i Ruhnga non
potevano vederlo. Volò sulla muraglia senza farsi notare, dando poi il segnale a
una colonna di sabbia che volteggiava ai margini delle mura...
“Phantom ha dato il via libera. I Ruhnga sulle mura sono scoperti se li
attaccassimo da dietro, Darkness.” riferì Devastator.
Il Maestro evitò che un raggio energetico colpisse Ahkmou prima di
rispondere. “Va bene... arretrate.”
“Come?!”
“Fate come vi ho detto. Un terzo dello squadrone di Spinner farà il giro da
dietro, passando per la costa ad ovest. La’ c’è la Mano di Artakha pronta a
entrare in azione.”
“Cosa dovremmo fare, spingerli verso le mura?”
“Esattamente.”
“Ma in che modo? Hanno i Toa dalla loro! Hanno poteri che non abbiamo mai
affrontato!”
“Non ci sarà bisogno. Sarà Spinner a pensarci. Ordinagli di creare una nube
tossica. Amphibax e i suoi gli eviteranno la fuga in mare. Così facendo avremo
campo libero.”
“D’accordo...”
…
Vakama e Onewa erano riparati dietro ad uno degli scogli neri che decoravano
la spiaggia. Così fecero anche i duemila della spedizione. Tutte le Ga-Matoran al
contrario attesero l’ordine di uscire dall’acqua.
L’Alpha leader dorato parlò ai comunicatori radio consegnati ai sei Metru.
“Toa, rileviamo movimento a sud della vostra posizione.”
Vakama premette il pulsante per parlare. “Ne sei convinto, Rocka? Noi non
vediamo nulla.”
“Aspetta, fratello.” affermò Whenua mentre infuse le mani nella sabbia. “Sento
qualcosa... Le acque si stanno muovendo!”
“Saranno mica le Ga-Matoran Parenga?” suppose Matau alla radio, dalla stiva del
dirigibile Hero attualmente invisibile. Era impaziente di scendere in battaglia.
“Negativo. I segnali erano troppo distanti e ora si stanno avvicinando a grande
velocità. Dovete fare qualcosa!”
“Vado!” disse Nokama. “Non le toccheranno nemmeno con una cellula di
Protodermis!”
“Aspetta, Nokama!” provò a fermarla Nuju, ma non venne ascoltato.
Si gettò all’inseguimento della sorella, quando una nube tossica aumentò la
distanza fra i due, separandoli definitivamente. La Toa non se n’era nemmeno
accorta e si tuffò in acqua, raggiungendo le Ga-Matoran con la velocità di una
Kakama.
Sfortunatamente, la maggior parte di loro era già deceduta...
Amphibax e i trenta che gli andarono dietro avevano già raggiunto il bottino di
sessantadue uccisioni, sui restanti quarantacinque.
Nokama non si lasciò andare per fortuna, ma fece comunque di tutto per
mantenere la linea di difesa, anche perché non poteva tornare sulla spiaggia a
causa del gas tossico.
“Resisti, Toa. Ti mandiamo i rinforzi!”
“No, non adesso, Furno!” ordinò Vakama.
Fu ignorato. Le imbarcazioni Hero e le gigantesche macchine a quattro zampe
degli Eroi disattivarono il filtro d’invisibilità, navigando verso la costa.
Il leader dei Metru prese il comunicatore e lo gettò a terra furioso.
“Maledizione! Così ci faranno scoprire!”
Sadar, un Eroe cecchino a qualche passo col suo team, gli rispose. “E’ ora di
finirla di nascondersi, Toa. Abbiamo la nostra potenza, sfruttiamola! Eroi, con
me!”
Non appena misero la testa fuori dalla roccia, un immenso raggio dorato li
illuminò dall’alto, dal primo all’ultimo.
Non accadde nulla di particolare. Nessuno fu ferito. A Mata-Metru, però, agli
occhi del primo Toa, arrivò la conferma che i Turaga un tempo rapiti in
circostanze misteriose erano tornati all’interno di un’armatura Toa.
Non si chiese come ciò fosse possibile. Passò direttamente all’azione: l’intera
armata delle Corazze immortali lasciò scoperta la muraglia della metropoli,
dirigendosi verso il fronte alla loro destra.
“Arrivano! Tutti pronti a fare fuoco!” lanciò il segnale Sadar, e fu ascoltato
anche dai Parenga di Sakovius.
Presero posto, rifugiandosi dietro le rocce nere della spiaggia.
“Non ancora!” urlò Sadar.
Persino i Metru attesero il via libera per non avere altre incomprensioni.
Quando il momento fu opportuno, Phil Sadar cacciò un grido: “ORA,
ROCKA!”
Il dirigibile trasse guadagno dalla distrazione transitoria di Helryx per sganciare
dei missili sulle Corazze immortali. Inutile dire che dopo una breve esultanza,
accompagnata dalla sorpresa dei Metru che di certo non se l’aspettavano, le
armature dei non morti tornarono in vita. Andò tutto in fumo.
Per garantire l’avanzata, inoltre, i jet guidati dall’unità di Stryker spararono a
vista sugli aerei Rangai, proseguendo lo scontro aereo che questi avevano
momentaneamente sospeso.
“Che succede, perché non avanzano?!” domandò alla radio Stryker.
Matau e Furno, equipaggiato con un jetpack speciale, si catapultarono dalla
stiva. A turno bombardavano le linee di Darkness, costrette a sfruttare gli
scudi energetici un tempo appartenenti a Kabrua.
“Devono essere i soldati immortali di cui ci ha parlato il Matoran Mazeka.” intuì
Rocka.
“Non importa, pensate a fornire supporto a Nokama.” disse Vakama dopo
aver ricevuto in prestito la radio da Onewa.
“Come pensate di sconfiggerli?”
“Helryx vuole solamente noi ora, Rocka. Nessun altro.”
Stanca di aspettare ancora infatti, alzò la Ignika dal processore nel quale
condusse l’assalto. Le bastava un raggio fatto per bene e con la giusta intensità
per farli fuori in un colpo solo. L’oro in cielo si intensificò come per reazione.
“Eccola...” disse Onewa quasi rassegnato.
Alcuni jet Hero si staccarono da Stryker disobbedendogli, per impedire una
nuova strage, ma servì a poco.
Improvvisamente, però, tutto si spense. Le Corazze immortali crollarono di
fronte ai milleduecento della Mano che rimasero in vita. Il grigio tipico delle
nuvole tornò a colorarle.
BOOM!
Il risultato esplosivo non travolse nessuno dei sette, né tanto meno gli Eroi che
erano appena riusciti a perforare la cupola. La sola cosa che si generò era una
tempesta energetica, simile a quelle che popolavano Karda Nui, con un effetto
travolgente di gran lunga maggiore.
Per l’ennesima volta, lo scontro fu rimandato.
“Via! Via! Dentro al Codrex, sorella!” le ordinò Whenua.
Matau fece di tutto per contenere l’aria scatenata dalla tempesta, ma era
impossibile. Mai gli capitò di ammirare un fenomeno del genere.
“Non abbiamo tempo per fare gli eroi, Toa dell’Aria, andiamocene!” lo afferrò
per il polso Vakama.
“NO! TORNATE QUI, CODARDI! VI FATE SPAVENTARE DA UNA misera
Tempesta?! AVETE COSI’ TANTA... così tanta...”
Le forze gli mancarono. Nektann svenne nel cuore della tempesta. Aveva
esagerato. Poteva comunque essere orgoglioso della facilità con cui contrastò i
sei Metru, che gli diedero sicuramente del filo da torcere.
Ma ecco che accadde un fatto inspiegabile: proprio mentre l’elettricità rossa
stava per disintegrare Nektann, si materializzò l’Hagahkuta Iruini che lo
teletrasportò via con sé. Nokama fu l’unica a essere girata e a vederlo,
spaventandosi del suo macabro aspetto. Stava per addentrarsi nell’oscurità più
assoluta con i suoi compagni. Gli Eroi e i nuovi Parenga li stavano già
aspettando.
“ATTENTA!” sentì alla sua sinistra.
Un grosso edificio stava per schiantarsi su di lei e sull’entrata del Codrex. I
cinque Toa, appena arrivati, non esitarono e allargarono le dita facendo
fuoriuscire dei portali temporali. Questi andarono subito a contrastare la
caduta dell’infrastruttura sulla testa di Nokama.
“Sbrigati, Nokama! NGH!”
“Non so per quanto ancora resisterò!” si lamentò Matau dolorante.
La Toa fece dunque un balzo in alto, afferrando le sue idrolame. Le sciolse,
facendo partire il gancio affilato fino all’interno della cupola. Infine premette il
pulsante e la corda di Protoacciaio si accorciò velocemente, permettendole di
arrivare prima che le macerie dell’edificio potessero tappare l’entrata...
Non si poteva tornare indietro. Il grattacielo bloccava la fuga, immergendo il
gruppo di sopravvissuti nel buio. Anche le trivelle vennero distrutte.
In un primo momento, fu davvero difficile proseguire, siccome erano ancora
addolorati per la perdita del generale Sakovius.
“BZZZZZZZZZ Rocka, qui Fox, mi senti?”
“Si, ma il segnale è debole. Rapporto, comandante.”
“L’Equilibrio si è ritirato. Siamo riusciti a respingerli nelle acque orientali. Poi non li
abbiamo più visti. Sono come scomparsi nel nulla.”
“Che ne è del ricercato Darkness?”
“E’ scappato. Troveremo un modo per tirarvi fuori di lì.”
“Va bene. Rocka, chiudo.” e spense la comunicazione.
Vakama condusse il cammino degli alleati infiammando le mani. Gli Eroi
accesero le luci dei dispositivi sulle armature. In ogni caso, si vedeva poco. Gli
unici particolari che si potevano distinguere erano le incisioni tipiche presenti
sul pavimento come decorazione.
“Accendo il radar.” disse Furno mentre sorreggeva un dispositivo
quadrangolare. “L’energia del Codrex sembra provenire da lì.”
La misteriosa fonte energetica si trovava in altezza, probabilmente ad un livello
concentrico superiore.
Giunsero nel punto in cui i Nuva partirono all’inseguimento di Makuta Antroz.
“Così questo è il luogo in cui i Toa Mata furono rinchiusi... incredibile.”
“Si, Tobduk.” disse Mazeka. “In passato mi è capitato di rivisitare questo luogo
assieme ad Helryx. Erano passati cinque mesi dal Risveglio. E se non erro...
ecco! Lì ci sono dei comandi per gli altri tre velivoli dei Nuva.”
Si avvicinò, seguito da Rocka che illuminò le iscrizioni. “Sander T1, Kotrax T2 e
Norak T14...”
“Suppongo siano i mezzi di Tahu, Gali e Onua. Ancora però non sappiamo
perchè sono stati creati da Artakha...” si domandò Johmak.
“Ci sono delle scritture qui!” attirò l’attenzione Whenua usando la sua Kanohi.
Vakama e gli Eroi illuminarono sufficientemente. I sei Toa erano proprio ai
piedi del muro, accerchiati dai loro alleati. I caratteri però non sembravano
combaciare né con la lingua Matoran e nemmeno con quella Agori.
“Non ho mai visto una calligrafia simile...” disse Nokama.
“Riesci a decifrarla?”
La Toa negò con la testa. “Temo di no, Nuju. Non sembra essere stata
registrata in questa Rau. Quei disegni però... mi ricordano... i Rahi.”
Aveva ragione: una serie di figure animalesche erano rappresentate in degli
schemi riassuntivi. Vi erano anche altri esseri stilizzati a due gambe, difficili da
riconoscere.
“Non sembrano Toa... e neanche Glatorian.” pensò Tobduk.
“No infatti.” analizzò Sadar dopo aver preso una tavola digitale. “Quando noi
Eroi arrivammo sul pianeta 1210, Spherus Magna per intenderci, abbiamo avuto
delle conversazioni con una popolazione del posto. Erano Agori.”
Scorse i dati finché non trovò un’immagine che combaciava con quella del
bipede sul muro. “Ecco, vedete? Secondo quanto riferito dalle popolazioni
Agoriane, quelle creature sono una razza ancestrale dal quale sono nati i
Glatorian e successivamente gli Agori.”
“Vi hanno detto qualcosa riguardo i Rahi?” si informò Onewa.
“In realtà no. Migliaia di millenni fa fecero diverse ricerche in merito a quegli
esseri, ma non si è mai scoperto nulla. Pare che tutto il sapere fosse morto
con quella specie...”
Una voce debole lo interruppe. “Non esattamente. Venite qui.”
Era Vakama. La lettura dei disegni andava da destra a sinistra. Durante lo studio
delle incisioni, il Toa del Fuoco realizzò che la razza ancestrale era nata per
assurdo dai Rahi. L’immagine rappresentata fu molto difficile da digerire:
raffigurava un antenato fuoriuscire dal grembo di un Rahi.
Era quindi quella la verità dietro alla nascita degli animali che popolavano il
Robot?
Ci furono altre novità: “Quelli sono dei Glatorian!” affermò Matau osservando
il resto delle incisioni.
“Mi ricordano i due che trovammo nel processore del nucleo. Se non erro
morirono a causa del Grande Cataclisma.” suppose la spia di Artakha.
“Già. Uno della Tribù del Fuoco e l’altro della Giungla. Perché guidare il Robot
in due e non uno solo?”
Furno e Rocka intanto rimasero colpiti dall’aspetto possente di un essere che
occupava metà del muro. Sotto di esso ce ne erano altri simili.
Quando arrivarono gli agenti e i sei Toa ci fu uno spavento collettivo: “Quello
è Makuta Miserix! E ci sono anche gli altri!” esclamò il Toa della Terra.
“Ecco Teridax.” indicò Nokama, ancora impaurita dall’immagine della
Kraahkan. “Riuscite a capire cosa stanno mettendo nei Rahi, lo vedete?”
“Si...” le rispose Nuju con la sua lente bionica. “Una specie di sostanza liquida.
E se fosse... un Virus?!”
“Ora capisco.” confermò Johmak. “Queste non sono delle semplici
rappresentazioni commemorative. Sono istruzioni per i Makuta!”
Capirono che i Virus servivano da embrioni per far sì che i Rahi, in
determinate condizioni, potessero partorire dei Glatorian.
Vakama invece ne aveva abbastanza. “Forse stiamo andando oltre, ragazzi...
forse non dovremmo neanche sapere tutto questo. Stiamo perdendo del
tempo utile. A questo punto non ci riguarda più nulla di questa storia.
Andiamo...”
…
Raggiunsero un’area protetta all’interno di un anticamera, sempre a forma
sferica. Si potevano specchiare col pavimento. C’era anche una struttura che
richiamava la Meridiana su Mata Nui, grazie alla quale era possibile accedere al
Mangaia. Un percorso delineato congiungeva il salone dei velivoli con quello.
Mancava un particolare in più da scoprire...
“Toa Vakama.” disse un ex Ruhnga, riferendosi alla Meridiana. “Pare che ci
siano due agganci ai bordi di questa piattaforma circolare. Forse col giusto
meccanismo si potrebbe aprire un passaggio segreto.”
“Sadar, analisi.” ordinò l’Alpha leader Furno.
“Vediamo... si, c’è una specie di tunnel.”
“Quanto è profondo?”
“Molto, Rocka. Conto come minimo... centomila piedi?!”
La Ruru di Whenua confermò. “Non riesco a percepire il fondale. Vedo solo le
pareti del tunnel fondersi col buio.”
“Hai detto centomila piedi, Sadar?”
“Si, Daniel, perché?”
Rocka ebbe un’intuizione. “Proietta un ologramma del Robot. Inserisci il
numero di unità che mi hai appena detto disegnando una linea.”
“Solo un secondo... fatto.”
“Adesso ruota l’ologramma del Robot mettendolo in posizione prona.”
Fece lo zoom, provando a individuare il punto in cui si trovavano. Poi prese la
proiezione della linea rossa, corrispondente ai centomila piedi di cui parlava
Sadar, e la inserì per vedere dove questa terminava.
“Arriva fino alla schiena del Robot!” esclamò Sadar entusiasta. “Finalmente
abbiamo una via d’uscita!”
Nuju fece un collegamento. “Se non erro in quel punto si doveva trovare la
Stella Rossa per i viaggi nello spazio. Ha senso...”
Ora dovevano chiedersi come avrebbero fatto a far entrare sessantamila
soldati nella cupola, passando per il tunnel.
I due Alpha leader, come gli altri della compagnia, stentarono a crederci.
“Vale la pena proseguire allora, Rocka?” gli chiese Phil preoccupato. “E poi, non
siamo nemmeno sicuri se questo passaggio è sicuro.”
“Allora lo scopriremo noi. In sella ai velivoli, Toa!”
“Si, Vakama!” risposero contemporaneamente.
L’unicità dei velivoli consisteva nel fatto che rispondevano solamente ai poteri
di un Toa. Anche se fossero saliti gli Eroi, quindi, non sarebbe successo nulla.
Matau, Nuju e Onewa ritrovarono l’Axalara T9, il Jetrax T6 e il Rockoh T3.
All’inizio fu difficile prendere il decollo. Grazie ai consigli di un “veterano”
pilota come Matau, riuscirono a stabilizzare i motori.
I poteri elementali dei sei Toa impattarono sulla stele incastonata al centro
della Meridiana. Come effetto di ciò, la piattaforma circolare si rovesciò a testa
in giù, facendo cadere nel vuoto anche i sei velivoli. Non fu però una caduta
verso il basso, bensì verso l’alto. Era come se il centro di gravità fosse stato
cambiato di netto. Per il momento procedettero cauti, seguendo le indicazioni
della Ruru di Whenua.
…
Ci volle una mezz’ora di viaggio per fargli intravvedere uno spiraglio di luce.
Matau esultò mentre una quantità elevata di vento faceva da attrito, talmente
era alta la velocità alla quale stavano viaggiando. “Eccola, ragazzi! Seguiamo la
luce!”
Lo spiraglio bianco si mutò lentamente in un oro fosforescente, stranendoli
particolarmente...
“Rallentate.” disse senza ragione Vakama.
“Cosa?” urlò Matau.
“HO DETTO RALLENTATE!”
Fortunatamente lo fecero in tempo. Già, poiché una volta raggiunta la schiena
del Robot si accorsero che a qualche decina di metri di distanza dalla superficie
si estendeva una maestosa barriera dorata e trasparente. Anche lì la Ignika ci
mise il suo zampino.
“Una meteora! Sta per schiantarsi addosso a noi!” si allarmò Onewa.
Il manto protettivo che circondava l’intero gigante meccanico impedì l’impatto.
Sicuramente era un bene, poiché per tutto quel tempo avevano viaggiato col
rischio di venire investiti ripetutamente da degli asteroidi giganti, i quali
avrebbero potuto compromettere le funzionalità delle turbine o dei motori.
“Solo... come faremo a scappare?” pose la questione Whenua.
Vakama, deluso dalla triste notizia, si sedette portandosi le mani al viso. “Non
possiamo farlo, fratello... E’ assurdo... O distruggiamo la Ignika, o per noi e gli
Eroi è finita. Siamo obbligati a raggiungere Mata-Metru.”
“Ma come faremo a disattivare la cupola dorata che la circonda?”
“Non lo so, Nokama. Davvero non lo so...”
“Vakama, mi ricevi?” si sentì l’audio di Rocka.
Il Toa del Fuoco rispose. “Si, ti sento. Ascolta, Eroe, siamo riusciti a trovare
una via di fuga. E’ come dicevi te, solo che...”
“Ci direte il resto dopo, Toa. Prima è meglio che torniate il prima possibile da noi.”
Vakama cominciò a passeggiare avanti e indietro dal nervoso. I cinque di fronte
a lui si guardarono perplessi.
“Che è successo? C’è qualcuno lì con voi?”
“Venite e basta. Rocka, chiudo.”
“Allora?” domandò Nokama dopo che il fratello spense la radio.
“Dobbiamo tornare.” ribatté serio e allo stesso tempo preoccupato.
Non se lo fecero ripetere un’altra volta. Salirono subito e partirono. Vakama
invece restò ancora per un paio di secondi ad osservare la barriera attorno al
Robot.
…
Al loro arrivo, il gruppo non era presente. Subito si allarmarono. Vakama prese
il respiro e sputò del fuoco in aria per illuminare meglio la stanza: nessuno
oltre a loro.
“Rocka... Eroe!”
“BZZZZZZZZZ Siete tornati?”
“Si, dove vi trovate?”
“Poco più a destra della stele in mezzo alla piattaforma dovrebbe esserci un altro
ingresso. Li troverete un ascensore per salire in alto. Raggiungeteci
immediatamente. C’è qualcosa che dovreste vedere...”
“Si, arriviamo.”
…
La nuova sala era in parte colpita dai raggi di luce che provenivano dal soffitto.
Era un vero e proprio collegamento con l’esterno. Spinti dalla sete di
luminosità, i sei uscirono senza preambolo, finendo sulla piattaforma che si
spezzò dopo il conflitto tra il team di Toa Vhisola e i cinque Tumaka. C’erano
anche dei resti della Seconda Colonna, un progetto che si rivelò un fallimento
data la caduta di Voya Nui.
Prima di tornare dentro, dovettero contemplare l’orrenda vista dei cadaveri di
Vhisola, Tehutti, Orkahm ed Ehrye (o quel che rimaneva) appesi ad un
supporto orizzontale, come se fossero stati impiccati. L’Ordine rivendicava
quei corpi come trofeo di battaglia, anche se non morirono per mano del
primo Toa.
Dentro la struttura in cui Trinuma operò per molto tempo da quando fu
proclamato comandante delle armate Ruhnga, si trovava una macchina alta
quanto un Kane-Ra e larga come un Drago Kanohi in lunghezza.
Gli Eroi avevano già fatto abbastanza analisi per fare un’affermazione pesante:
“Grazie a questa è possibile controllare il Robot. Fox e gli altri hanno appena
fatto crollare la diga tra le due punte settentrionali di Voya Nui. E’ stato
trovato un collegamento che partiva dal Codrex dirigendosi verso nord. In
poche parole, siamo riusciti a ricostruire il modellino della connessione e
abbiamo capito che si unisce a Mata-Metru. Da qui dunque è possibile
coordinare gli arti del Robot purché questa macchina venga alimentata dal
processore del nucleo. C’è dell’altro...”
Matau irruppe con una domanda insolita. “E se percorressimo questa linea
congiungente? Forse riusciremmo a oltrepassare la cupola di Mata-Metru
entrando dall’interno della metropoli.”
Rocka negò. “Non possiamo. Rischieremmo di farci investire dalle ondate di
energia che partono dalla Ignika. Queste poi vanno a propagarsi nelle isole a
sud, generando le catastrofi naturali di cui siamo stati vittime. Tutto combacia
finalmente. Oh, e ci sono anche altri quattro collegamenti verso gli arti del
Robot, ma sono stati tranciati di netto.”
“Quindi Helryx ha costruito questa macchina per pilotare il Robot da Voya Nui
con l’aiuto coordinato dei Toa guidati da Vhisola!” capì Mazeka. “Perché però
non è rimasta su Mata-Metru?”
“Non dimenticare Mazeka che il Codrex può funzionare anche da ripetitore di
energia, e quella della Ignika è perfetta. Ci sarebbe voluto l’utilizzo della Lancia
di Artakha per far sì che gli altri arti funzionassero autonomamente, ma così
non è stato.” corresse Tobduk. “La Ignika ha perso molto potere negli ultimi
secoli. Non è come quella degli anni in cui i Toa Mahri stavano determinando il
nostro futuro. Se impiantata nel processore del nucleo, avrebbe comunque
avuto delle grosse mancanze energetiche e funzionali. Così facendo avrebbe
fornito abbastanza energia ai cinque arcipelaghi, dai quali i vecchi Metru
avrebbero esercitato il loro comando manua-”
CRAASSSHH!!!
Un’enorme esplosione li fece sbattere contro la parete in Protoacciaio. Della
macchina non restò nulla...
…
“COUGH! State tutti bene?”
Il fumo non permetteva a Vakama di vedere i sopravvissuti. In un certo punto
inciampò sul cadavere di un Ruhnga. Alcuni erano ancora vivi. Per non farli
morire intossicati, si fece aiutare dagli altri Toa, e li portarono sulla piattaforma
all’esterno. Essendo ancora distrutta, dovettero organizzare lo spazio
occupato, in quei pochi punti in cui risultava ancora stabile.
“Whenua... ah... vedi se riesci ad individuare qualcun altro con la tua Ruru.”
“Purtroppo l’ho già fatto, Vakama...”
“Che intendi dire con purtroppo?”
Il Toa della Terra spiegò di aver visto una ventina di Matoran e Agori morti
assieme a Tobduk. Johmak e Mazeka invece vennero feriti gravemente. Non a
caso erano coloro rimasti più vicino alla macchina.
Nokama si mise subito al lavoro. Onewa, Nuju e Matau nel mentre
esportarono i cadaveri dei due agenti della Mano di Artakha.
L’unico responsabile abitava a Mata-Metru...
Più tardi uscirono anche Rocka e Furno, reduci di un’altra perdita, quella di
Sadar. Inutile dire che c’era un forte sentimento vendicativo nell’aria.
Tuttavia, fu di dovere chiedersi perché Helryx fece un atto simile. Ora era suo
dovere guidare da sola il Robot da Mata-Metru, senza fare affidamento sul
ripetitore d’energia, ovvero il Codrex. L’energia attuale, inoltre, non era
sufficiente per il funzionamento corretto dell’Universo Matoran.
Quelli che
La Maschera lasciò passare qualche secondo prima di rispondere. “
BOOOOM!
La finestra vicino alla quale Krakua si accostò andò in frantumi. Una squadra di
ribelli entrò con dei mini velivoli che rubarono da Le-Metru. Il messaggio di
soccorso mandato dai tre ribelli prima di uscire fece il suo sporco lavoro.
Zovrius, Lorin e Jakho, svenuto a causa dell’esplosione, furono scortati fino
allo Chute più vicino, mentre evitavano i raggi energetici lanciati dalle
sentinelle. La distanza dai Korero, inoltre, non fu sufficiente per permettere a
quest’ultimi di indebolirli psichicamente.
Entrarono subito da Hydraxon e Krakua per soccorrerli. In ogni Metru era
possibile udire i versi di agonia del Toa Sonico, che arrivarono addirittura fino
alla spiaggia settentrionale di Karzahni. Il botto gli fece perdere il braccio
destro, che era precedentemente appoggiato al muro. Il liquido vitale gli usciva
a fiumi. I muscoli della spalla erano completamente lacerati. Fu
immediatamente scortato all’esterno dai Rahi del primo Toa, che quando
venne a saperlo reagì come al suo solito con indifferenza...
Il Marendar era in viaggio per conto proprio. Era tempo per lui di prendersi
una pausa per riflettere. Le spiegazioni ricevute da Darkness non furono
abbastanza per togliergli ogni dubbio.
Da poco aveva superato gli appezzamenti insulari dell’isola di Odina, un tempo
patria dei Cacciatori oscuri. Necessitava di trovare un punto in cui sedersi per
capire come muoversi, e allo stesso tempo per cercare di ricordare meglio il
suo passato, a partire da ciò che avrebbe dovuto fare una volta terminata
l’uccisione dei Toa.
Durante il suo viaggio nel deserto arido in cui si trovava, si focalizzò sugli
sprazzi che ebbe circa la sua creazione. Gli sembrò di aver visto i Grandi
Creatori, i primi prototipi di Toa testati sulla sua armatura, la forgiatura della
spada in Araidermis ad opera del fabbro Patu. Era quindi certo che la sua
creazione avvenne dopo l’inizio della Realtà del Creato. Gli sovvennero anche
gli ambienti che accompagnarono i suoi primi mesi su quella che pareva essere
Bara Magna.
Tuttavia, non si accorse che qualcosa o qualcuno si stava avvicinando
lentamente a lui. Era un predatore dalla corazza nera. Le sue movenze erano
animalesche. Quando poi trovò il momento perfetto per colpire, si scagliò sul
Marendar senza esitazione saltandogli sulla schiena. La macchina anti-Toa era
alta il doppio, a malapena gli arrivava all’altezza del bacino. La prima cosa che
fece fu affondare le sue spine colme di veleno sulla schiena, ma ovviamente non
ebbero effetto. Il Marendar era una creatura completamente inorganica.
Per la macchina bionica fu un canto di Gukko liberarsi dalla presa del
predatore. La reazione fu istantanea: afferrò l’essere per i polsi mentre questo
si dimenava a mezz’aria, e lo infilzò ripetutamente sul costato con la spada,
lanciandolo poi come un peso morto a terra.
Schifato, si ripulì del liquido vitale che cadde sulla sua armatura, ma accadde un
nuovo fatto. Arrivarono altri tre presunti predatori. In due si lanciarono sul
cadavere per cibarsi delle sue carni come forsennati. Il terzo invece restò a
guardare quasi con disgusto. Il Marendar rimase a sua volta indignato, e allo
stesso tempo incuriosito dalla reazione del terzo “cacciatore”.
Attivò il riconoscimento razziale. Il dispositivo diceva Barraki. Quello di fronte
a lui era Kalmah e gli altri due erano Pridak ed Ehlek. Inutile quindi dire che
quello che uccise era Mantax. Tutti e quattro portavano degli strani collari.
Al Marendar però non importava. Era solo sorpreso dall’apatia di Kalmah.
“Alla fine uno di noi è finalmente morto...” disse costui.
“Lo dici come se steste aspettando da tanto tempo.” suppose la voce robotica del
Marendar.
“In realtà è così. Siamo stati condannati a questo fardello. Lui ci ha
condannati...”
“Chi?”
“Non voglio più dire quel nome. E’ diventato ormai un lontano ricordo ed
anche una tortura giornaliera. Lo abbiamo servito senza opposizione, a
differenza di altri che erano sotto il suo comando. Non ha accettato i nostri
fallimenti qui, negli arcipelaghi settentrionali, e ci ha tolto tutto, volendo
applicare questa sua stupida legge equilibratrice.”
La macchina anti-Toa sapeva che Darkness aveva molti seguaci ed un esercito
invidiabile. Fosse stato per lui, avrebbe abbandonato i cannibali al loro triste
destino che li attendeva.
Decise tuttavia di proseguire il dialogo: “Quei collari... ve li ha donati... lui?”
Nel mentre si sentivano i denti di Pridak ed Ehlek affondare nei muscoli e nelle
interiora di Mantax, morto ad occhi aperti. Furono anche bravi a non prendere
dei punti specifici in cui era concentrato il veleno.
“Donati è sbagliato. Ce li ha fatti mettere con la forza. Siamo stati martoriati
come inutili Rahi, perché sapeva che avremmo lottato fino all’ultimo. Ci
impediscono di ucciderci l’un l’altro. In tal caso avremmo subito una scossa
elettrica potente, ma non sufficiente per ammazzarci. Si sarebbero spenti solo
in caso di morte naturale... o suicidio. E quella per noi è una strada che solo i
deboli possono percorrere. E’ da mesi che ci ritroviamo in questa condizione.
Abbiamo perso la concezione del tempo, vagando nel deserto come morti
viventi, privati della nostra forza e della nostra sanità mentale. Ehlek per dire
non riesce nemmeno a concludere una parola.”
“Darkness... è Darkness che vi ha ridotti così?” suppose la macchina.
Kalmah cambiò espressione, rannicchiandosi come una bestia indifesa ed
iniziando a piangere. “Basta! Non nominarlo! BASTA!”
La risposta era quindi un si. Le vere intenzioni di Darkness erano un’incognita
per il Marendar.
Prese il Barraki per le spalle sollevandolo con foga, chiedendogli quale fosse
l’obiettivo dell’ex Cacciatore oscuro. Non ebbe un briciolo di compassione.
“I Grandi Creatori... vuole ucciderli tutti quanti.”
“Cosa?! E come pensa di farlo?!”
“Non lo so... non me ne importa più nulla ormai. Lui e tutta la sua stupida
filosofia rivoluzionaria possono anche morire con Helryx. Prima o poi lo scudo
di Mata-Metru cadrà, e per me potranno anche ammazzarsi a vicenda.”
La macchina bionica lasciò la presa, cadendo nel dubbio esistenziale. Pridak ed
Ehlek nel frattempo finirono di banchettare. Avevano ancora la bava che gli
usciva dalla bocca, sporchi del liquido vitale di Mantax. Erano ancora affamati e
il Marendar gli sembrava la preda perfetta, anche se non mostrava parti
organiche.
Lo puntarono avvicinandosi a quattro zampe, come bestie fameliche.
Ringhiavano, mostravano i denti. Non c’era modo di farli tornare sani.
Ehlek partì per primo saltando all’altezza delle ginocchia. Il Marendar fece
perno sul piede destro ruotando verso sinistra, tagliando poi il Barraki a metà.
Pridak non ebbe il tempo di escogitare un nuovo attacco che subito fu
agganciato al terreno da dei magneti elettrici, sparati dal fucile automatico
dell’avversario. Questa per il Marendar era la tecnica migliore: anticipare
l’avversario prima che questo potesse addirittura iniziare a pensare.
Kalmah invece fu risparmiato, ma solo perché non voleva cibarsi di lui, e fu
abbandonato con la stessa indifferenza di Darkness, se non peggio.
La macchina anti-Toa si allontanò a passo lento dai tre individui, con i pianti di
Kalmah che facevano da sfondo sonoro. Per un essere sapiente come lui, però,
fu difficile credere a spada tratta alle parole di un malato mentale.
Sapeva già cosa fare...
Tre settimane dopo, l’alleanza di Mata-Kuro era già nel pieno dell’occupazione
del Continente settentrionale, incluse Karzahni e Zakaz. Darkness ricevette
dagli Eroi il materiale necessario per costruire il marchingegno che promise a
Vakama. Era pronto, ma non c’era tempo per testarlo.
Si divisero in tre gruppi: Vakama e Whenua raggiunsero i Colli vulcanici, dalla
parte opposta rispetto alla Penisola di Tren Krom. Con loro c’erano anche
sette squadre di Eroi e Sadar. Mazeka, Johmak, e i due membri del Recon Team,
Fox e Gobbs, si mossero con le loro unità nelle paludi di Zakaz. Nuju e suo
fratello Onewa si trovavano sulla spaventosa isola un tempo in mano al
portatore della Kanohi Olisi, accompagnati da Puck, Valor, Flash, Markus e
diversi Parenga.
In quelle zone c’era un forte odore di morte pressoché ovunque. Alle altre due
squadre andò bene insomma. Comunicavano fra di loro tramite delle radio
sincronizzate dal ripetitore di frequenze presente sulla portaerei. I due Alpha
leader, Matau e Odis erano a bordo.
Nokama infine guidava le imbarcazioni Hero nel punto in cui si creò il buco
causato dall’esplosione delle due macchine artificiali. I canali di Jerbraz,
secondo i sensori degli Eroi, si trovavano a 230 bios di profondità. Solo
Nokama e alcuni soldati Hero, con tanto di equipaggiamento adatto, potevano
arrivaci. In base alla spiegazione di Mazeka, in condizioni d’emergenza vi erano
delle lame a scudo che tagliavano a segmenti dei canali, bloccando il passaggio
tra di loro. C’era un apposito meccanismo da entrambi i lati che permetteva lo
sblocco di tali barriere, la cui attivazione pareva automatica come la risposta di
un organismo in condizioni di stress.
Mentre i tre gruppi attendevano un riscontro dalla Toa dell’Acqua, la cui visuale
era collegata allo schermo della sala di comando tramite una minuscola
videocamera agganciata alla Kanohi, avevano il compito di ripulire le aree
assegnate dalla presenza di nemici.
“Vedete qualcosa?” attivò la comunicazione Nuju.
“Niente.”
“No nulla.” risposero Vakama e Fox, a capo rispettivamente del gruppo Hoto e
Ghekula. L’ultimo era il gruppo Zivon.
Ognuno di loro aveva a disposizione una sua videocamera. In questo modo i
due Alpha leader avevano sotto controllo la situazione di ogni squadra.
Darkness intanto fu portato a bordo della portaerei in una cella speciale ai
piani inferiori, col “compagno” Odis. La nave da guerra si fermò in mezzo al
Mare d’argento, in un punto quasi equidistante dalle coste delle tre isole. Non
restava che attendere novità dalla squadra Hydruka in mano a Nokama.
Più volte Toa Whenua toccò il terreno per rilevare movimenti sospetti. Non
accadde nulla di nuovo, come nei mesi precedenti. Vakama propose di
distribuire le truppe su più linee distanziate adeguatamente. Tre di queste
aprivano la strada con le guide assegnate.
Nokama intanto era quasi arrivata nel punto segnalato dalle sonde Hero.
Oltrepassò i collegamenti dell’Ordine piuttosto facilmente, intravvedendo la
frattura dei canali di Jerbraz.
“L’ho trovata.” lo comunicò ai due Alpha leader.
Si sforzarono di vedere meglio, nonostante avessero già raggiunto la zona buia
dell’oceano.
“Markus, scansione della struttura.” disse Furno.
“Si, signore. Sfrutto i sistemi K16.”
“No.” corresse Zib. “Meglio se utilizzi i P223. Anche se sono meno sofisticati,
funzionano meglio nei fondali marini del Robot.”
“Okay...”
Il computer della sala di comando ricevette un’immagine che rappresentava
perfettamente il buco.
“Andiamo.”
Markus fermò la Toa di colpo. “Aspetta, Nokama. Alpha leader, cosa dicono i
radar?”
“Non rileviamo contatti particolari. Le uniche macchie che vediamo
corrispondo a semplici Rahi sottomarini. Permesso accordato.”
“Ricevuto. Eroi, dietro di me.”
…
Le terre laviche ricordavano molto il villaggio di Ta-Koro, un lontano ma tenero
ricordo nella mente di Vakama. Whenua lo notò e provo le stesse sensazioni,
ricordandosi dei primi tornei di Kohlii che si tennero in onore del Grande
Spirito. Poi l’oscurità di Teridax e dei suoi figli, i Rahkshi, bussò nuovamente
alle loro porte.
“Tutto bene?” chiese Sadar al Metru del Fuoco quando notò la sua espressione
malinconica.
“Si... grazie.”
“Sicuro, Toa? Già da come mi hai risposto si direbbe che stai reprimendo
qualcosa.”
Vakama tirò un calcio ad un sassolino per smorzare il tedio. “Sono solo vecchi
ricordi della mia vita passata. In realtà, potrei dire di averne avute molte.
Quando ero Matoran, quando diventai Toa, la terza da Turaga sull’isola di Mata
Nui e infine questa qui in cui mi trovo adesso.”
“Beh, hai un bagaglio d’esperienza davvero interessante, dovresti esserne
fiero.”
Il Toa rispose con un sorriso palesemente forzato. Sadar preferì non insistere.
…
“Ugh... non pensavo che queste paludi puzzassero così tanto!” esclamò
Johmak.
“Farai meglio ad abituarti allora. Ho sentito di peggio quando ero nella Palude
dei Segreti, credimi.”
“Diamoci una mossa allora!”
Era già un miracolo se le acque fetide che stavano solcando non li avevano già
mutati. Il livello del pozzo gli arrivava fino alle ginocchia. Le altre vie che
sboccavano sulla costa erano bloccate, costringendoli a prendere la strada più
veloce. Una volta confermata l’assenza di nemici, sarebbero partiti per
raggiungere i compagni su Karzahni, il cui compito era di edificare un piccolo
porto nel minor tempo possibile.
Alcuni degli Eroi erano già abituati a quegli ambienti degradati. Gobbs per
esempio diede la caccia ad un ricercato, noto come Phalgras, durante la fuga
dei prigionieri dalla Hero Factory in un ambiente simile.
“Cos’è stato?!” saltò in aria un Eroe. “Qualcosa mi ha toccato la gamba!”
“Sarà stato qualche Ruki.” ipotizzò Mazeka. “Non sono offensivi. Il loro
aspetto però è cambiato parecchio...”
“Un nuovo processo di evoluzione?” suppose Johmak.
“Ho paura invece che sia stata opera delle ondate energetiche del Codrex.” le
rispose.
Fox comunicò all’emittente. “Alpha leader, squadra Ghekula a rapporto.
Nessun ostile in vista. Solo Rahi e acque sporche.”
“Va bene, Fox, continuate pure. Dovreste trovare della terraferma tra due centinaia
di metri circa.”
“Si, Rocka.”
Due dei soldati stavano camminando vicini. Per un momento si allontanarono
dal gruppo per fare il giro lungo, siccome una grossa radice faceva da ostacolo.
Prima di ricongiungersi con la loro linea, uno di loro si voltò accorgendosi che
il fusto non c’era più.
“Lo hai notato anche tu?”
“Cosa?”
“La radice di prima. E’ come... scomparsa.”
Il soldato alzò le spalle. “Sarà effetto della nebbia. Faccio persino fatica a
vedere i nostri compagni. Muoviamoci ora se non vogliamo perderci.”
…
“Squadra Zivon, com’è la situazione?”
“Qui Nuju. Nulla di nuovo, Furno. Sembra di stare in un luogo infestato.”
“Insomma vi state divertendo.” scherzò per rompere la tensione.
“In realtà è tutto nella norma per chi conosce l’isola di Karzahni.”
Il dialogo fu interrotto da una segnalazione proveniente dalla quarta linea del
terzo gruppo. Zib lo esaminò a lungo prima di comunicarlo.
“Un momento, Toa. Mi è stato appena fatto presente di un terremoto più a
sud-est. Non l’avete sentito?”
“Uh... no? Dovete sapere che anche se fosse è piuttosto normale su quest’isola. Ha
perso di senso logico e fisico già dalla sua creazione.”
“Un sisma?” disse Rocka leggendo la segnalazione. “Mettetemi in contatto con
la quarta linea. Aspettate nuove direttive nel frattempo, Toa.”
“Va bene.”
“Quarta linea, mi ricevete? ... Pronto? ... Squadra Omicron? Ma perché non
rispondono?!”
“Vuoi che vada a controllare, Rocka?” si propose Matau. “Perchè se proprio
voleste saperlo mi sto annoiando! Perchè devo sempre rimanere con voi ad
aspettare?!”
“No, dobbiamo finire di montare la mitragliatrice automatica da mettere sulla
tua schiena. Ti sarà molto utile quando sarai in volo.”
“Surge, credo di aver trovato un tizio più noioso di te.” affermò Zib
ridacchiando.
“Grazie... aspetta, come?”
Breeze fece una risata. Matau saltò su uno dei macchinari posti in altezza, e si
mise seduto facendo una smorfia.
“Diamoci un taglio, ragazzi. Piuttosto ditemi se i segnali della Squadra Omicron
sono ancora attivi.”
“Confermo, Furno.” affermò Breeze mentre l’Alpha leader le si avvicinò. “Li
vedi?”
“Si... Per caso ci sono problemi al ripetitore, Zib?”
“Negativo, tutto funzionante.”
Rocka fece continuamente di no con la testa. “Dobbiamo capire perché è
così.”
“Non facciamo mosse avventate.” suggerì Furno. “Se la situazione persevera,
manderemo la terza linea a controllare.”
…
La Toa dell’Acqua raggiunse profondità maggiori, ordinando ai suoi
accompagnatori di aspettarla. Una volta all’interno del canale esploso, accese
una Avohkii che però non illuminava a sufficienza.
“Nessun problema, Toa.” disse Zib. “Nella videocamera presente sulla tua Kanohi
c’è un piccolo tastino sul retro.”
Nokama lo premette. Ora gli interni si vedevano decisamente meglio.
“Ti ringrazio.”
Zib ammirò a sua volta i particolari impressi sui muri del tunnel. “Credi che se
Makuro... o meglio... se Velika fosse stato qui avrebbe saputo aiutarci?”
“Ne dubito.” rispose Nokama. “Ma non si sa mai quali interessi spingono un
individuo a comportarsi come tale. Concentriamoci su ciò che abbiamo a
disposizione.”
L’unico oggetto da trovare era il fatidico meccanismo di cui parlava Mazeka, ed
era pressoché impossibile poiché ogni forma o sporgenza presente aveva
l’aspetto di un tipico pulsante di attivazione.
“Zib, mettimi in contatto con la squadra Ghekula. Devo parlare con Mazeka.”
“Subito.”
Zib corse subito nell’altra stanza dove c’erano i modem collegati al ripetitore
di frequenze. Gli scienziati Hero sequenziarono la trasmissione delle onde
radio per unire i due collegamenti.
“Generale Fox, devo necessariamente parlare con Mazeka.”
L’Eroe accese il vivavoce richiamando l’ex spia dell’Ordine.
“Nokama, eccomi.”
“Com’era l’aspetto del marchingegno di cui mi hai parlato?”
“Dunque... per caso ricordi la forma della moneta che l’Agori Berix donò a Mata
Nui? Quella che gli servì per raggiungere la Valle del Labirinto.”
“Si, ce l’ho presen-”
“CRAASSSHH!” sentì all’improvviso alla radio.
“Mazeka? ... Mazeka?! ... Che cosa è successo, Alpha leader?!! urlò sott’acqua.
“Stiamo facendo il possibile per capirlo, Toa! Resta in collegamento e pensa alla tua
ricerca.” replicò Rocka.
In realtà la situazione era più tragica di quanto si pensasse: una pianta dalle
dimensioni riconducibili alla spaventosa Morbuzakh intrappolò la maggior parte
della squadra Ghekula. Era una sorta di pianta carnivora gigante. Ognuna delle
vittime tentò di liberarsi con ogni mezzo possibile, che fossero fucili o coltelli.
Vakama sentì la reazione allarmata di Rocka nei confronti della sorella e chiese
subito spiegazioni.
“Non lo sappiamo.” spiegò l’Eroe dorato. “Abbiamo perso troppi segnali in così
poco tempo!”
“Allora fate qualcosa per capir-”
“TUTTI AL RIPARO!” gridò Whenua.
I suoi poteri gli fecero capire che qualcosa di grande si stava avvicinando a
grande velocità verso la prima linea e così fu: una creatura di lava sbucò per
metà dal fiume magmatico. Era alto una quindicina di bios circa e partì subito
all’attacco delle squadre Hero.
Il Toa del Fuoco si trovò costretto a combattere contro un essere del suo
stesso elemento. Lo stesso accadde a Onewa con il resto della squadra Zivon,
quando un’enorme sfera rocciosa, in grado di scomporsi per dare vita a dei
bipedi guerrieri, iniziò a colpirli. In più si aggiunsero innumerevoli terremoti.
Non c’era quindi dubbio che Karzahni fu l’isola maggiormente colpita.
I due Alpha leader dovettero osservare il tutto tramite le videocamere dei loro
inviati. Non avevano mai avuto a che fare con delle creature simili.
Matau scansò violentemente Surge dalla postazione per parlare con Nokama.
“Sorella, ci sei?!”
“Matau?”
“Stai bene, ti è successo qualcosa?!
“Sto bene, sto bene. Ho perso la comunicazione con Mazeka.”
“Gli hanno teso un’imboscata. E’ successo anche agli altri due gruppi.”
La Toa indietreggiò per lo spavento.
“Stanno lottando contro delle cose che non ho mai visto prima, non so come
spiegartelo! Sembrano provenire da un altro mondo!”
“Descrivim-” ma si zittì.
Vide una massa oscura cadere lentamente verso il pavimento del tunnel. Veniva
dall’alto. Puntò la torcia della Kanohi verso l’oggetto e questo si rivelò essere il
corpo tagliato a metà di un Eroe del suo team.
L’attacco a sorpresa si propagò persino da lei...
Mise la testa fuori dal canale di Jerbraz e intravide i guerrieri Hero scontrarsi
con un quinto essere elementale. Gli alleati sulla portaerei fecero manovra
dirigendosi dalla Toa dell’Acqua.
“Squadra Tau, sul ponte di coperta!”
“Si, Alpha leader!” risposero contemporaneamente.
L’alleanza infatti voleva avere una risposta pronta in caso di imprevisti, motivo
per cui riservò un team in più che potesse fornire supporto alla Toa
dell’Acqua.
I sette componenti si tuffarono una volta raggiunto il punto dell’esplosione.
“Cosa vedete?” domandò Rocka.
“Metà della squadra Zivon è deceduta, signore.” ribatté il team leader. “Ecco,
vedo il bersaglio... ma è un Glatorian!”
Matau lo sentì e prese subito il microfono di Rocka. “Hai detto Glatorian?!”
L’Eroe sott’acqua rispose solo dopo degli sforzi che fece per sfuggire
all’offensiva ostile. “Si... non so come sia possibile.”
“Sono gli Elementali!” confermò Onewa quando il segnale fu ristabilito dagli
scienziati.
“Li avete visti?” giunse la domanda dal segnale di Vakama.
“No, fratello. Si nascondono qui attorno approfittando dell’ambiente circostante per
fare i loro giochetti. Cosa facciamo? Non possiamo sconfiggerli se continuano a
rigenerare i loro attacchi di continuo. Dobbiamo prima trovarli!”
Il leader dei Metru stava per dire la sua, ma fu investito in pieno da un braccio
lavico largo quanto uno Chute. Whenua fu bravo a creare uno scudo
temporale attorno al compagno. Ciò però non impedì l’impatto violento
contro una roccia.
…
Darkness e Odis erano nella stessa stanza. Gli alleati non si fidavano ancora di
loro due. Per il Ko-Matoran portatore della Kanohi Kahuri, era una grave
offesa al suo scopo. L’ex Cacciatore oscuro lo stava fissando in modo
inquietante.
“Che hai da guardare, eh?”
Darkness diede spazio al suo tipico silenzio misterioso. Il Matoran si sentì
provocato e si alzò materializzando l’armatura in cristallo Nui. Era alto poco
più della figura corvina, che fu sbattuta al muro con foga.
“Hai voglia di divertirti, vero?! Lascia che ti aiuti!”
Dalla bocca di Darkness uscì una parola spezzettata: “G-Ganaik-k...”
“Come?” diminuì la stretta al collo.
Ansimò con difficoltà. “Hah... hah... Ganaik lo conosci, giusto?”
“Cosa ne sai di lui?!”
“Quanto basta...” si pulì la bocca. “Se non ero c’erano delle faide tra voi due
quando abitavate lo Scar Wall.”
La presa del Toa Nui divenne più forte. “NON TI RIGUARDA, BASTARDO!
DIMMI DOV'È LUI!”
“Qualche mese fa ricordai di vedere la Kanohi e il suo cranio triturati nella
bocca di un Muaka...” sorrise.
“IO TI AMMAZZO, MALEDETTO!”
“Perchè? Non desideravi così tanto la morte di Zovrius e Ganaik ai tempi?
Ricordo ancora quelle volte che ti chiudevi nella tua stanza a piangere, per poi
tornare da loro facendo finta che non fosse successo nulla. Come facevi a
perdonarli? Oh, non dirmi che l’avrai fatto di nuovo, Odis. Non farebbe tanto
onore la sottomissione di un guerriero, lo sai vero?”
Il Ko-Matoran perse gradualmente le sembianze da Toa Nui, piangendo come
un piccolo Agori. “Smettila! SIGH! Basta...”
“Come pensavo, hai scelto la strada del perdono. Siete tutti uguali. Speravo
fossi all’altezza.”
“All’altezza?”
CRASH!
Il soffitto sopra le loro teste crollò in un batter d’occhio. Un individuo cadde in
mezzo alla stanza fra i due: il Marendar. Il Toa Nui, ora Ko-Matoran, non fu più
in grado di tornare nelle sue sembianze da guerriero, siccome perse la
concentrazione che ancora doveva ammaestrare per bene.
La macchina anti-Toa si girò minaccioso verso Darkness, che gli disse: “Non è
ancora il momento.”
“Io invece credo proprio di si...” e lo afferrò portandolo via con sé.
Darkness non tentò nemmeno di opporsi alla presa della macchina, dato che
eguagliava quella di trenta Ash Bear. Qualcosa però cadde mentre spiccarono il
volo: il dispositivo per aggiustare le Kanohi. Forse quello per Odis sarebbe
stato un giorno utilissimo per ottenere l’Essenza dei Toa formati dalle Kanohi
riparate.
I due fuggitivi quindi spaccarono il pavimento del ponte di coperta. Il Marendar
non ebbe bisogno di aiuto contro gli Eroi che morirono invano contro la sua
spada in Araidermis. Tuttavia, si scoprì che i raggi elementali da loro rilasciati
ebbero un effetto interessante sulla sua armatura, e a tratti doloroso. I due
Alpha leader osservarono il piccolo massacro dalla cabina di comando.
Dopodiché, dopo aver ucciso l’ultimo ostile, il Marendar incrociò lo sguardo
con Matau, riconoscendo immediatamente l’identità Toa.
La sua reazione nei confronti di Darkness fu molto rabbiosa. “Bugiardo! Avevi
detto che gli unici Toa rimasti erano su Mata-Metru!”
“E ora posso dirti come ucciderli...”
“Lascia perdere, ci penserò io. Partirò con quello lassù!”
Matau accettò la sfida nel momento in cui vide il Marendar puntare la spada in
direzione della sala di comando. Velocemente si caricò in spalla la mitragliatrice
progettata dagli Eroi, per poi spaccare il vetro aprendo anche le ali. “FATTI
SOTTO!”
La macchina bionica gettò Darkness come un sacco pieno. Si infilò nella sua
quiete combattiva, tenendosi pronto. Matau si lanciò a tutta velocità sparando i
primi colpi, che colsero di sorpresa l’avversario.
La distanza fra i due diminuiva irregolarmente, data dall’incredibile
accelerazione che il Toa poteva ora sfruttare a suo favore. Ma ecco che prima
dello scontro di spade, si alzò in aria una grande onda alta il doppio della
portaerei, e separò i due combattenti schiantandosi a metà fra loro. Il
Marendar e Darkness furono prelevati forzatamente dal braccio acquatico del
Signore elementale dell’Acqua. Matau al contrario andò a vuoto cadendo lungo
diversi metri sul ponte di coperta.
“Stai bene?” chiese Surge dalla stazione.
“COUGH! COUGH! Almeno la costola che mi ha rotto Nektann si è
aggiustata. Non sento più dolore!”
“Aspetta a festeggiare. Nokama ha bisogno di te!”
Il Toa si affacciò. Vide i due fuggiaschi venire trasportati da una marea magica
verso nord-est.
Ai piedi della portaerei intanto scovò l’Elementale mentre controllava l’onda
da quella posizione. Nokama tentò inutilmente di colpirlo, proprio come
Vakama contro il Signore del Fuoco. Combattere l’elemento con la stessa
moneta non era di alcun aiuto.
“Non andare!” gridò Zib prima che il Toa dell’Aria potesse tuffarsi in volo. “Ho
appena attivato una riserva di fluido criogenico nella tua mitragliatrice. Ti aiuterà a
bloccare l’Elementale!”
“Grazie, piccoletto. Mi buttooo!”
Vederlo volare era semplicemente magnifico. Aveva un sorriso liberatorio
stampato sulla maschera ogni volta che lo faceva.
“Sorella!” gridò dall’alto a una distanza sufficiente per farsi sentire. “Distrailo
per me! Ci penserò io a metterlo fuori gioco!”
“Va bene!”
…
“Guerriero roccia alle tue spalle!”
Onewa lo spaccò col piccone, ringraziando poi il Toa del Ghiaccio.
Gli Eroi del team Zivon dovettero rinunciare ai blaster per fronteggiare il
nemico a viso aperto, armandosi di martelli e scudi al plasma. Le unità
concentrate nei Colli vulcanici del Continente settentrionale non poterono
fare lo stesso. Caricarono le armi con delle speciali bombe ad acqua, la cui
temperatura raggiungeva -273,15 gradi al contatto col corpo del bersaglio. In
poche parole diventava un cristallo perfetto.
Vakama e Whenua si focalizzarono sull’estrazione dei feriti, ma, come accadde
con le altre due squadre, fu molto difficile. Delle barriere elementali infatti
bloccavano la ritirata in ogni direzione, per impedirgli di dare manforte alla
portaerei.
Ad un certo punto, però, il muro di pietra su Karzahni crollò dal nulla.
Nessuno ne fu l’artefice. Non c’erano Ruhnga o scagnozzi di Nektann
all’orizzonte. Semplicemente il salvataggio di Darkness avvenne con successo.
Di conseguenza si sentì un forte boato, composto da quattro botti. Il primo
era il segnale per l’Elementale del Fuoco, mentre i successivi erano per la
Giungla, la Roccia e la Terra.
L’ultimo fu per il Signore dell’Acqua, anche se ci fu un grosso problema.
Coinvolse persino Matau e Nokama, che stavano tenendo testa al loro nemico.
La creatura marina che attaccò Takanuva e i Cronisti si presentò nuovamente.
Nessuno dei combattenti sapeva che anch’essa era attratta dal potere della
Ignika, ragione per cui si mosse in direzione della grande metropoli.
Il Toa dell’Aria si accorse per primo, quando un tentacolo enorme lo bloccò
come una mosca Rere. Nokama non poté soccorrerlo. Ci pensò Furno a
tagliare il tentacolo del mostro con il fuoco concentrato del suo fucile. Surge,
Breeze e altri soldati spararono contemporaneamente sulla creatura per
impedirle di avvicinarsi alla portaerei.
Lo scontro in mare aperto avvenne principalmente tra l’Elementale e l’invasore
deforme. Di volta in volta diventava sempre più grande.
“Allontanatevi con la nave, Alpha leader!” ordinò Stryker mentre guidava i jet
d’assalto. “Qui ci pensiamo noi.”
Zib ricevette il permesso dai due capi della Hero Factory, comandando i suoi
collaboratori di mettersi al lavoro. Ci vollero tre minuti per far cambiare
direzione all’intera portaerei, la cui dimensione era un decimo di una regione
Metru.
Matau e Nokama vennero supportati dalle decine di imbarcazioni alleate
provenienti dalle tre isole circostanti. In pochi sopravvissero quel giorno...
Ad allontanare la creatura marina, però, non furono né loro e nemmeno
l’Elementale dell’Acqua, che riuscì a dileguarsela sfruttando l’abisso come
copertura. Era come se qualcosa l’avesse improvvisamente colpita dall’interno,
facendole provare un dolore lancinante, costringendola a dileguarsela.
La giornata si concluse con un bilancio sicuramente negativo. Da una parte
c’era la conferma dell’inesistenza di basi segrete in mano all’Ordine o
all’Equilibrio; dall’altra c’erano perdite, mezzi distrutti e infine questo patto
inaspettato tra Darkness e i Lord elementali, con il Marendar di mezzo. Ora
mancava un’ultima tappa...
Alcune settimane prima della cattura di Darkness...
L’Equilibrio non esisteva più. Nektann e il resto del gruppo non riuscirono ad
accettare la brutta figura fatta su Voya Nui. Una notte, in un isolotto vicino
Odina, lo Skakdi tenne un solenne discorso motivazionale che convinse
praticamente tutti i presenti a seguirlo fino alla morte del primo Toa. Come
risultato di ciò, il Maestro perse il suo onore, i suoi diritti, i suoi poteri
decisionali. Fu abbandonato come un Rahi vecchio e malato dal resto del
branco. Gli unici che non seguirono l’ex luogotenente di Zakaz furono Tuyet,
gli Hagahkuta, Okoth e, ovviamente, il piccolo Ahkmou. Stranamente,
Darkness non reagì con rancore. Non si chiamava Nektann. Promise
comunque che un giorno lui e lo Skakdi si sarebbero incrociati nuovamente, e
che al momento i tre rimasti con lui potevano fare ben poco. L’unica carta da
giocare era il Marendar, fresco dell’uccisione di ogni Toa nei cinque arcipelaghi.
Qualche giorno più tardi, secondo quanto stabilito dal loro primo incontro, ci
fu un meeting segreto poco più a sud di Xia. La macchina anti-Toa volle delle
risposte in cambio del suo operato e Darkness lo accontentò parlandogli della
genesi dell’Equilibrio, senza rivelare le sue vere intenzioni. Sapeva infatti che la
missione del Marendar non era ancora terminata, e che il suo ultimo scopo
aveva qualcosa a che fare con i Grandi Creatori. Non a caso, durante la
conversazione, diede delle spiegazioni poco esaustive su chi fosse veramente.
Quando poi venne messo in mezzo l’Equilibrio, disse che lo tradirono
lasciandolo solo per delle ragioni a lui sconosciute.
“Ti credevo migliore. Che delusione...” disse la macchina.
Darkness lo ignorò palesemente, talmente era abituato nel suo primo passato
a ricevere insulti e offese. “Dimmi, dopo che avrai ucciso Helryx cosa farai?
Ora la cupola è disattivata. Sei libero di completare definitivamente la tua
opera, o forse c’è dell’altro?”
“Io... io speravo che potessi aiutarmi. Ricordo che c’erano delle iscrizioni nella
caverna in cui fui rinchiuso. Se non erro erano degli ulteriori compiti da portare a
termine. Sono costretto a chiederti se ne sai qualcosa.”
La figura corvina sorrise destando sospetto.
Applaudì. “Certo! Certo che lo so! Il Destino ha voluto che anche tu fossi
presente su Mata-Metru un giorno.”
“Davvero?”
“Si, poiché anche tu dovrai far ritorno nella Realtà del Creato.”
“Realtà del Creato? Si... mi sembra di averla già sentita. Ma cosa c’entro io con
quel luogo?”
“Oh, potrei stare ore a dirti il perché, ma sai anch’io devo andarci. Se sono qui
è per aiutarti, ovviamente.” mentì. “Come puoi ben notare non c’è nessuno
qui con me. Sono rimasto solo... Tempo fa mi dissi di aver rilevato altri poteri
oltre alle Essenze dei Toa. Sei riuscito a trovarli?”
“Si, ma non credo di aver mai visto delle creature così orrende. Sembravano Toa.
L’altezza corrispondeva alla media. ”
“Cosa avevano in comune con i Toa?”
“Le loro armature erano di colori differenti l’uno dall’altro, e sembravano più
organiche che meccaniche. Non possono essere dell’Universo Matoran.”
“Glatorian in grado di controllare gli elementi, corretto?”
“Si... si, è proprio così!”
“So cosa fare allora, ma mi dovrai accompagnare. Aiutami e ti dirò cosa fare
una volta raggiunta Mata-Metru.”
“Faresti meglio a non mentirmi, Cacciatore oscuro...”
…
La vecchia base dei Cacciatori oscuri fu smantellata molto prima del Risveglio.
Odina fu una delle isole che vennero degradate a favore della costruzione di
una nuova Voya Nui. Tuttavia, i servi dell’Equilibrio ai quali spettava la
conquista di quegli appezzamenti insulari, ovvero i Barraki, non riuscirono mai
a completare la missione. Già il loro esercito si decimò notevolmente al
termine della seconda guerra nucleare, in più molti si allontanarono dai quattro
lord senza una giustificazione valida. I responsabili risiedevano in ciò che rimase
della base un tempo in mano all’Oscuro.
Era quella la loro prossima destinazione.
L’unica arena che era chiusa come un anello si trovava nella zona centrale del
piccolo arcipelago.
“La fonte dei cinque poteri è lì dentro.” riferì il Marendar.
Darkness salì su una roccia, scrutando il territorio sabbioso. Non sapeva quali
dei sette Elementali potevano incontrare. Sapeva di avere poco da temere col
Marendar al proprio fianco.
“Ci muoveremo prendendo quelle dune. Questo è il ventesimo cono della
fortezza. Ci ho lavorato per parecchio tempo, quando l’Oscuro mi trovò per la
prima volta.”
“Quindi ti sei unito ai Cacciatori oscuri in seguito.” affermò la macchina anti-Toa.
“Sì. Ero un fuggitivo che cercava un posto in cui vivere. Questo fu il primo
luogo in cui capitai. L’Oscuro mi catturò prima che potessi rubare qualche
alimento dai suoi magazzini.”
“E da cosa stavi scappando esattamente?” si incuriosì.
Le informazioni dell’ex Cacciatore oscuro finirono lì. Aveva già detto
abbastanza. A distrarre la creatura bionica fu una scia di piccole pietre che si
mosse come un serpente in direzione della fortezza.
“Sanno che siamo qui.” disse Darkness quando la vide. “Hanno rilevato la
nostra presenza. Forse ci stanno invitando ad entrare.”
“Li accontento subito...”
“No, procediamo con calma. Li ho già visti all’opera. Non sono dei Toa
qualsiasi.”
…
Mancava poco all’entrata del ventesimo cono, l’unità con la quale si divideva la
fortezza dell’Oscuro. Darkness non provò nemmeno un briciolo di nostalgia.
Non poteva dimenticare gli orrori che fu costretto a subire quando venne
reclutato. C’era un Cacciatore, Greeder, che lo prese di mira più volte,
arrivando al punto da fargli perdere la pazienza e ucciderlo. Ciononostante, era
l’unico in quell’esercito di avidi ad avergli insegnato qualcosa di positivo
indirettamente. Grazie a lui, Darkness capì che uno se non il modo principale
per crescere e maturare era proprio il dolore.
“Un’altra visita?” sentì dall’alto.
Alzando lo sguardo notò una statua dalle fattezze ignote, poggiata su una trave
in Protodermis. Non ricordava di averla mai vista durante i centinaia di anni
passati ad assecondare i vizi dell’Oscuro.
Era scolpita nella roccia. L’unica cosa possibile da distinguere era un viso
esteticamente spaventoso ed orribile a vedersi. Due occhi rossi erano
incastonati poco sopra la bocca, digrignata, che però non si muoveva quando
parlava.
“Che cosa vuoi?”
Darkness rispose con un’altra domanda. “Sei solo tu? Mi aspettavo
un’accoglienza più numerosa.”
“Non prenderti gioco di me, straniero!”
“Non sono venuto per combattere, Elementale. Sono qui per parlare con tutti
voi. So del patto di Foedus...”
Dall’ammasso di roccia fuoriuscirono due braccia e due gambe, per poi saltare
a qualche passo da Darkness. Intervenne una colonna d’acqua che li separò.
“Fallo entrare, Signore della Roccia. Sentiamo cos’ha da dirci.”
L’arena era malridotta. Alcuni pezzi sembrava potessero cadere da un secondo
all’altro. Tuttavia, c’era spazio per armi, cibo e non poche provviste. Cinque
creature elementali attendevano l’ex Cacciatore oscuro impazienti.
Avrebbero potuto ucciderlo volendo, come con gli altri visitatori (o invasori)
che approdarono sull’isolotto. Quando però sentirono nominare il patto di
Foedus, sancito in piena segretezza con i Grandi Creatori molto prima della
Seconda Guerra del Nucleo, cambiarono idea.
Darkness si avvicinò con passo lento verso il centro dell’arena, un luogo
perfetto per dei guerrieri di origine glatoriana.
Li ammirò uno ad uno. “Non siete cambiati da quando tornaste dalla Realtà del
Creato.”
Il lord del Fuoco si indispettì. “Come fai a saperlo?! Ci hai seguiti fino
all’incontro con Hauran?!”
“In realtà non sapevo nemmeno cosa fosse la Realtà del Creato, o perché
esistesse.” mentì spudoratamente per non parlargli di Makuta Rewerax. “Ci
finii contro la mia volontà, e fui prigioniero del Grande Creatore maledetto per
parecchio tempo.”
“Cosa voleva da te?” chiese l’Elementale della Giungla.
“Sono sicuro che vi servirebbe a poco saperlo. Ditemi, siete qui per
completare il patto di Foedus?”
“Cosa sai a riguardo?” chiese la Signora della Terra.
Darkness riassunse correttamente i dettagli dell’alleanza segreta, concludendo
con una sua considerazione a riguardo. “E’ assurdo che crediate alle false
promosse che vi sono state fatte.”
“Abbiamo le nostre ragioni di conquista! Se non vuoi aiutarci posso benissimo
porre fine alla tua inutilità!” si infuriò la Roccia.
“Vi ritrovereste a combattere contro un nemico altamente impossibile da
sconfiggere, sia per potere che per numero.”
“Non ci interessa uccidere Helryx!” ribatté il Fuoco. “Attendiamo solo l’arrivo
nella Realtà del Creato.”
“E gli Agori che avevate promesso ai Grandi Creatori? Dove si sono nascosti?
Tutto quel casino nato dall’omicidio per mano vostra del fratello di Centurix
andrà in fumo così?”
Gli Elementali erano senza parole. Finalmente venne svelato anche il colpevole
di quel lontano caso.
Il fuoco dell’ex padrone di Vulcanus si accese con furore. “SONO SOLO
BUGIE!”
Il Marendar, nascosto fra gli spalti dell’arena, si convinse che l’Elementale
avrebbe attaccato Darkness a momenti. Così uscì allo scoperto dopo aver
caricato il suo fucile con dei proiettili acquatici. L’ex leader dell’Equilibrio non
la prese bene, ma non poté comunque intervenire per fermare lo scontro
siccome avrebbe rischiato seriamente grosso.
Gli altri lord si sentirono a loro volta minacciati ed aiutarono l’alleato,
credendo che si trattasse di un’imboscata.
Capirono immediatamente che le abilità del Marendar erano di gran lunga
superiori a quelle degli invasori precedentemente incontrati.
Descrivere il suo combattimento inoltre era piuttosto difficile, dato che
volteggiava da una parte all’altra dell’arena mentre gli avversari tentavano di
colpirlo inutilmente. Poteva anche ricevere degli attacchi lanciati a distanza di
pochi secondi, ma aveva sempre la risposta pronta, che fosse con l’uso della
spada o del suo fucile personalizzato.
Darkness non poté fare altro che sedersi ed ammirare la bellezza dello
scontro.
Radici che fuoriuscivano da ogni parte... stalattiti di magma... maree
devastanti... colonne di terra... sismi destabilizzanti. Nulla di questo servì
contro la macchina anti-Toa.
L’Elementale della Giungla fu il primo ad arrendersi, seguito nei minuti a venire
dagli altri tre. Il Fuoco fu l’ultimo a gettare le armi. Come per reazione, la
spada in Araidermis diventò un tutt’uno con l’acqua che fu riversata nell’arena.
Divenne una sorta di filo sottile, che avrebbe tagliato anche un blocco di
Protoacciaio al primo colpo.
Il Marendar si tenne posandosi con la punta della lama rivolta verso la fiamma
di Vulcanus.
“Smettila di combattere, Signore del Fuoco!” intervenne la Giungla.
“Ammettiamo le nostre colpe!”
“Il fuoco non smetterà mai di ardere! AAAAHHHH!”
I polsi gli vennero bloccati. La lava che componeva il corpo del lord non sciolse
l’armatura del Marendar, che restò come tale.
“Impossibile... NGH! Non provi neanche dolore?!”
La spada a filo d’acqua fu precedentemente infilzata nel terreno dalla macchina
bionica. Un piccolo braccio meccanico uscì dal suo fianco sinistro per
afferrarla, ma fu spezzato prima che potesse trafiggere il ventre
dell’Elementale. Tutta opera di Darkness, che diede una forte spinta al
Marendar facendolo indietreggiare.
“Direi che può bastare.” disse. “Ho cercato di convincervi a parole. Come
vedete non è servito...”
“Un momento. Prima voglio sapere come hai fatto a sapere del patto di Foedus
e dell’omicidio del Glatorian.” chiese il lord di Tesara.
Fu esaustivo, per una volta: “Una potente lancia mi ha permesso di sfruttare i
poteri delle tenebre per permettermi di uscire da ogni ombra che esistesse.
Un po’ inquietante, direste, ma mi ha fatto cambiare punto di vista su molte
cose.”
Fornì ulteriori dettagli, ribadendo più volte che gli conveniva unirsi a lui,
proprio come fece con Nektann. Oltre all’astuzia, era la parola un’arma che
sapeva sfruttare quasi alla perfezione.
Stanchi di dover aspettare per altre scomode verità, i lord accettarono di
seguire le orme di Darkness. Si trattava però di un’alleanza temporanea, che
sarebbe terminata una volta raggiunta Mata-Metru. Lì i signori avrebbero
portato a termine il loro compito rapendo più Matoran che potevano contro il
volere di Darkness, dal quale avrebbero ottenuto le posizioni delle capsule
d’emergenza nascoste su Mata-Metru.
Ora il patto di Foedus era definitivamente rotto. Agli Elementali non importava
più nulla dei Grandi Creatori e di questo loro futile tentativo di riconciliarsi
con gli Agori. Pensavano solo ad un futuro mondo in cui potevano dettare leggi
secondo il loro volere.
Prima però avrebbero dovuto aiutare il Maestro in una missione rischiosa, nella
quale centravano i sei Metru...
Il numero di guerrieri dell’Alleanza era troppo basso per sperare di raggiungere
il porto di Le-Metru. Certo potevano contare sugli Avokh di Artakha, ma gli
interessi del Grande Essere erano altri. Probabilmente li avrebbe aiutati per
bontà d’animo, o forse li avrebbe ignorati siccome il controllo del Robot da
Mata-Metru era prossimo.
Quello che arrivò dopo lo scontro con gli Elementali era l’ennesimo Falcone
dorato mandato da Artakha per capire quando lasciare la sua isola. I sei Toa
capirono sempre di più che era letteralmente accecato dal suo dovere.
E mentre questi pensarono ad un nuovo piano, i due Alpha leader ordinarono
l’evacuazione della portaerei, danneggiata nel lato destro dai tentacoli della
creatura marina, che scomparve in circostante misteriose.
Le unità rimaste erano poco meno di un migliaio. Si distribuirono nelle ultime
tre basi a quattro zampe mecha create dagli Eroi, che vennero immagazzinate
nell’unica base sulla terraferma a Voya Nui.
Ci volle un’intera notte per evacuare tutto il personale, inclusi i prigionieri.
Odis fu scortato da Sadar e Markus in una cella speciale. Quando entrò vide
due individui loschi seduti sui lettini.
Sadar ebbe un dubbio. Riprese il catalogo dei posti assegnati e chiese a Markus:
“Sicuro che debba stare con loro due?”
“Affermativo. Non abbiamo più posti, signore.”
Il Ko-Matoran si prese un colpo quando riconobbe Roodaka e Lariska.
Protestò: “Mi rifiuto di stare con loro due!”
Sadar lo fece calmare. “Ti prometto che parlerò con gli Alpha leader, Matoran.
Per il momento però ho bisogno che tu resti qui. Si tratta solo di una
situazione provvisoria.”
La porta della cella venne sigillata con forza dai due Eroi. Non potevano ancora
rischiare di lasciare il Toa Nui libero, anche se più volte i Metru insisterono
assumendosi la responsabilità. La ferita di Stormer, ancora aperta, e l’arrivo
improvviso del Marendar li scosse ulteriormente.
Nel frattempo la corsa alle armi su Mata-Metru giunse al termine. Le proteste
iniziarono a diminuire a causa della violenza con la quale l’Ordine rispose. Le
sentinelle Horomia controllate dalle sale di comando del Colosseo
colonizzarono le coste. I novecentoventitre Korero erano più determinati che
mai, disposti a difendere il primo Toa con le loro vite. La loro mentalità era
molto più rigida e severa dell’educazione Ruhnga. Erano Rahi, non semplici
combattenti. Uno bastava per uccidere un Toa qualsiasi, anche senza l’uso dei
loro poteri telepatici.
Il giorno dopo, Hydraxon e Krakua convocarono un consiglio urgente col capo
dell’Ordine, al quale partecipò anche Dume.
La Toa dell’Acqua non era ancora arrivata. Non ci fu dialogo con il Turaga della
grande metropoli, solo il silenzio dell’attesa.
“Quanto ci mette?!” esclamò Krakua dopo una ventina di minuti.
“Toa Helryx ha avuto molto da fare ultimamente. La grande Ignika ci ha detto
che tra qualche giorno saremo arrivati.” disse Dume.
“Io non ho tempo di aspettare!” si oppose il guerriero sonico.
Hydraxon lo guardò male. Non dovevano sbilanciarsi proprio adesso. Dume
era in procinto di rispondergli per bene, ed ecco che il portone della Sala del
Potere si aprì con un forte cigolio.
Due Korero accompagnarono il primo Toa che entrò tranquillamente dicendo:
“Cos’è questo baccano?”
“Ti disturba il caos in questa stanza, Helryx?!” si inasprì Krakua. “E di quello
che accade là fuori non ti importa più nulla? Non lo capisci che tra poco
avremo il resto del Robot contro di noi?!”
La Toa lo ignorò parlando con l’altro agente. “Hydraxon, alla fine li avete
trovati i tre fuggitivi di Onu-Metru?”
“Noi... uh... no, Helryx. Non ancora.”
“Tu invece, Dume? Hai qualcosa da aggiungere?”
Il Turaga rimase sorpreso dal tono che ella sfruttò. Sembrava stesse
contenendo la sua ira.
“Io ho qualcosa da aggiungere!” alzò ancora la voce Krakua, obbligando i
Korero a prendere precauzioni. “Mi sono fidato ciecamente di te per
l’ennesima volta. Ero addirittura disposto a vedere i traditori della nostra patria
venire uccisi brutalmente dalle sentinelle, ma ora non riesco nemmeno a
guardarli in faccia. Ero convinto che c’era bisogno di purificarli. Pensai che era
assurdo il fatto che molti dei Matoran potessero ribellarsi ancora contro di
noi, specie se ad averli scelti è stata la Ignika... LA IGNIKA, HELRYX, NON
NOI!”
Il capo dell’Ordine lo guardò con ammirazione durante il momento di quiete
che si creò. I Korero da una parte attendevano l’ordine di arrestare l’agente o
addirittura ucciderlo per le parole che aveva appena detto.
All’improvviso, uno di loro si sentì sfilare da Helryx il lanciatore che teneva
appeso alla cintura.
“Dammi la mano, Krakua.”
Il Toa del Sonico si intimorì non sapendo cosa fare.
“Avanti, dammela. E’ un ordine.” gli disse allegramente.
“Fai come ti è stato detto.” continuò Dume per mostrarsi dalla parte di
Helryx.
Il lanciatore venne messo nella mano di Krakua dopo che questo gliela porse
con non poca esitazione. Insieme a lui alzò la mira puntando sulla Maschera
della Psicometria della Toa.
“Coraggio, spara.”
Non era la prima volta che fece una proposta così pazza. Basti pensare a
quando invitò un Nuhrii furioso a combattere contro di lei qualche anno
prima.
“Krakua, ho detto di sparare.”
“NON FARLO!” gridò Hydraxon, appoggiato da Dume.
I Korero non poterono intervenire siccome sarebbe stato interpretato come
una vera e propria disobbedienza agli ordini. L’intero braccio del Toa sonico
cominciò a tremare, anche se una piccola parte di lui voleva premere il
grilletto.
“SPARAMI, KRAKUA! VOGLIO VEDERE DI COSA SEI CAPACE! FAMMI
SENTIRE IL TUO ODIO!”
“No!” urlò ancora Dume.
“FORZA, SPARA!” iniziò addirittura a piangere di gioia.
Hydraxon non ebbe scelta ed intervenne disarmandolo. Qualche istante prima
di farlo, però, delle unghie affilate e dorate uscirono come spine dalle dita del
primo Toa, che senza esitazione gli fece un taglio netto a livello degli occhi.
“AAAAAAHHH!!!!”
Un altro discorso giornaliero si concluse. Ogni mattino la voce del primo Toa
veniva propagata in tutti e sei i Metru come buongiorno per i Matoran,
ricordandogli al tempo stesso la grande fortuna che fra poco avrebbero
condiviso.
Ancora nessun nemico in vista da sud. Anche quel giorno quindi i cittadini di
Le-Metru, almeno quelli che non trovarono rifugio altrove, potevano stare
tranquilli. Lo stesso però non si poteva dire per il clima che regnava all’interno
del Colosseo. Dopo il litigio con Krakua e la successiva cecità di Hydraxon, ci
fu una nuova discussione, questa volta con Dume. Il Turaga utilizzò una strada
più pacifica e accontentante, ottenendo solamente l’indifferenza della Toa
come risposta. Quando alzò lievemente i toni, scoppiò un nuovo casino,
precisamente fuori dalla stanza del processore.
Quel giorno Dume stava passeggiando fra i corridoi della torre principale. Non
riusciva a smettere di pensare alla collera di Helryx e alle orrende parole con
cui gli rispose. Ben presto quello stato di disperazione gli fece venire in mente
dei lontani episodi che ebbero luogo poco dopo il ritorno nel Robot, quando
ci fu un nuovo incontro tra il leader dell’Ordine e Darkness. Quest’ultimo
invitò il Turaga a parlargli in privato, ma furono scoperti dalla curiosità infinita
del primo Toa che voleva essere assolutamente al corrente di tutto. E proprio
quando Dume stava per risponderle, scoprirono Hydraxon spiarli. Darkness
scomparve immediatamente, materializzandosi poi dietro al cacciatore
bloccandolo. Mentre la Toa stava avvertendo l’agente dell’Ordine dell’alleanza
segreta, e del fatto che dovesse rimanere in piena segretezza, Darkness ne
approfittò per mettere in guardia Dume.
“Attento a Helryx, Turaga. La Ignika vede, studia e agisce. Anche un individuo
mentalmente potente come lei può farsi corrompere facilmente dall’interno,
cosicché non possa accorgersene.” gli disse.
Dume, ovviamente, trovò quelle parole indecenti e offensive nei confronti della
sua beneamata capa.
Ci vollero parecchi anni, oltre all’assalto su Voya Nui da parte della Mano, la
caduta del Codrex, la partenza da Spherus Magna col Robot e molto altro per
fargli cambiare idea.
Ora si convinse che la colpa non era di Helryx, ma della Maschera della Vita.
Era ora di farla finita. La prima cosa che fece fu recarsi al trentaduesimo piano
sottoterra per scegliere l’arnese più adatto a ciò che stava per fare.
Poi, giusto una decina di minuti più tardi, si trovò solo nel processore del
nucleo. La Toa non era presente per una buona volta. La stanza era unicamente
arredata con i due macchinari, quello originale e l’altro artificiale inutilizzabile.
Una dorata Kanohi leggendaria era incastonata nel marchingegno principale. Il
Turaga si avvicinò, facendo molto fatica a trasportare l’oggetto che stava per
utilizzare. Lo sollevò con la sua debolezza da anzianotto, rimpiangendo per
un’istante la vecchia potenza di cui vantava da Toa. Fermò la testa del martello
a pochi centimetri dalla Maschera, rifacendolo lentamente per diverse volte.
Si preparò. Portò la penna del martello dietro la nuca caricando il colpo.
Troppi pensieri gli passarono per la testa, a partire dalle terribili conseguenze
che ci sarebbero state. D’altronde però a cosa serviva andare avanti ad
ascoltare un individuo che aveva perso la ragione? Perchè seguire il piano di
una maschera che non si curava minimamente delle sorti dei Matoran? Quanti
altri sarebbero dovuti morire per raggiungere questa fatidica pace?
Così fece un respiro profondo e la colpì con tutte le forze. L’esplosione che si
creò scosse ogni individuo nel raggio di centinaia di kios. I Metru, gli Eroi, il
nuovo Equilibrio, Darkness, il Marendar, gli Elementali, Artakha... tutti lo
percepirono. Il Turaga sbatté col corpicino delicato contro al muro ed ebbe
anche delle visioni: gli parve di vedere dei territori completamente deserti, e al
tempo stesso c’era un’enorme sfera in fase di costruzione. Vicino al suo punto
vista, notò dei guerrieri dalle fattezze simili ai Glatorian. Per ultimo vide il Toa
della Luce, Takanuva. Non c’era ombra di dubbio: si trovava su Spherus Magna,
capendo anche che gli occhi con cui si sincronizzò erano quelli di un individuo
che, come nella visione, riusciva a dare vita a ogni cosa che toccava, ovvero
Hauran.
Era sicuramente una grande novità sapere che c’erano dei sopravvissuti. Forse
sarebbe stato il caso di dirlo ai Toa Metru, qualora fossero stati i vincitori della
Battaglia dei Nove, anche per confermargli che c’era ancora vita su Spherus
Magna.
Quando irruppe Helryx però era un incrocio tra dolore e rabbia. Era come se
Dume non esistesse. Corse subito dalla Maschera, sulla quale notò un orrendo
squarcio a livello del mento, e si mise ad accarezzarla dondolandosi mentre era
seduta a terra. Per il Turaga era l’occasione perfetta per scappare.
Solo dopo cinque minuti di fuga si sentì l’eco del primo Toa nominare il suo
nome furibonda: lo stava chiaramente inseguendo.
Ma perché la Ignika non si difese prima di venire colpita dal martello?
I Korero si misero subito a cercarlo senza che Helryx glielo ordinasse. Krakua
portò con sé l’agente accecato a fare lo stesso.
Il Turaga di Metru Nui prese un ascensore che lo portò nel punto
d’osservazione volto verso l’interno dello stadio. Da lì era possibile vedere
gran parte della città. Helryx fu la prima a raggiungerlo.
Aveva il respiro pesante ed era palesemente indebolita, ora che lei e la Ignika
erano quasi la stessa cosa. “Tu... lurido Roodaka... COME HAI OSATO?!”
Dume tremava come un cucciolo di Gukko di fronte a un Drago Kanohi. Non
poteva minimamente difendersi dalle mani possenti della Toa che gli
afferrarono il collo. Lo trascinò verso l’orlo della piattaforma, lasciandolo
sospeso nel vuoto.
“FERMA, HELRYX!” giunsero Krakua e il povero Hydraxon, che non poteva
fare altro che appoggiarsi alla parete.
Il Toa del Sonico tentò di farla ragionare, ma non ebbe nemmeno la possibilità
di iniziare. Una serie di tonfi lontani si ripeterono per i successivi secondi.
Guardarono verso meridione e vennero letteralmente traumatizzati da un
muro di fumo che si elevò verso l’alto. Raccoglieva in sé tutta la costiera
portuale.
L’assalto di Mata-Metru era ufficialmente cominciato...
Le sentinelle a bordo delle imbarcazioni rimaste caddero come nulla di fronte
alla potenza combinata dell’alleanza di Mata-Kuro, soprattutto contro ciò che
rimaneva dell’esercito di Artakha. Forse avrebbero potuto evitarlo. A loro
malgrado, però, l’attacco fu studiato alla perfezione.
Dume sentì le dita del primo Toa stringere di meno, finché non cadde ai
margini della piattaforma scampando al pericolo. Helryx non restò immobile
come fece a Voya Nui.
“Non adesso... NON ADESSO!” si accasciò a terra colpendo coi pugni il
pavimento, causando delle crepe notevoli.
Si alzò, quasi andando nel panico, e ordinò ai suoi Rahi di seguirla all’istante.
Krakua e Hydraxon furono obbligati dalla loro morale a fare lo stesso. Ad
Helryx infatti non importava più nulla di loro due. Contavano solo i suoi
Korero e, ovviamente, la Maschera della Vita.
…
Dume restò solo, risvegliandosi dopo una quarantina di minuti. Si mise in piedi,
afferrando il primo oggetto che poteva fargli da bastone. Camminò fino al
bordo del punto d’osservazione. Rimase tutto come prima. Le forze
dell’Ordine contenerono le centinaia di migliaia di nemici con successo,
momentaneamente almeno...
Ad ogni modo, non fu sufficiente a fargli dimenticare ciò che vide quando colpì
la Kanohi. Chiunque fosse riuscito a giungere ai piedi del Colosseo, che fossero
i Toa, Artakha, gli Eroi o Darkness, doveva assolutamente sapere che Hauran, il
Grande Creatore maledetto, era ancora vivo, e risiedeva su Spherus Magna.
Di punto in bianco, però, fece di no con la testa con un’espressione apatica.
Restò ad osservare tutti i particolari che anche lui, come Helryx quando si
isolò per la prima volta nella grande metropoli col Turaga, non aveva ancora
ammirato. Poi la testa gli divenne più pesante, cominciando ad abbassarsi in
avanti piano piano. E dopo di essa, la seguì anche il resto del corpo, cadendo
nel vuoto per propria volontà. Il cadavere suicida di Dume divenne il primo
nella lista che avrebbe successivamente decorato lo stadio del Colosseo...
Il mantello nuvoloso che copriva la costa non si era ancora dissoluto. Da
destra a sinistra c’erano i Cacciatori oscuri e gli Skrall sotto il comando di
Nektann. Tutti i Rahi della Realtà del Creato invece vennero sterminati dalle
Corazze immortali su Voya Nui. Poi c’era l’alleanza di Mata-Kuro, con degli
intrepidi Toa che aprivano la strada contro le sentinelle Horomia. Infine
avanzava qualche centinaio di Avokh, guidato dai Toa Hagah e Varian. Artakha
era responsabile della coltre di fumo magica, controllandola dalla sua isola.
Sorprendentemente inoltre, non ci fu ancora uno scontro diretto tra gli alleati
del Grande Essere e i servi dello Skakdi.
Le Horomia erano semplicemente troppe. Le loro abilità venivano spesso
associate con il comportamento tipico dei Vahki. I Korero stavano per arrivare
dai distretti centrali, pronti a sfruttare i loro poteri psichici per sbarazzarsi
degli invasori il prima possibile.
La coscienza di Norik, a capo delle legioni bianco-dorate, era unita al pensiero
di Artakha, che fu abile nel riuscire a sfuggire dal potere intimidatorio di
Nektann. Più volte il Toa del Fuoco chiese al Grande Essere se intendeva
proseguire con l’uso dei pochi poteri che gli rimanevano. Il periodo passato ad
aspettare l’arrivo dei Toa Metru infatti fu utile per concedergli un adeguato
riposo, con conseguente rigenerazione in piccola parte della sua potenza.
Varian e i suoi fratelli si sentivano liberi dopo tutto quel tempo passato a stare
rinchiusi. Gli Avokh, come sempre, si dimostrarono incredibili nell’arte del
combattimento. Costituivano la prima linea che, per scelta tattica, si batté
contro i Korero, non essendo degli esseri in grado di provare emozioni. Non a
caso furono gli unici a non sopperire di fronte alla psiche dei Rahi. Johmak si
accaparrò un gruppo per liberare la strada ai suoi compagni. Tutti gli altri
invece erano potenzialmente instabili, soprattutto l’Essere dorato. Nektann
infatti ebbe delle grandi difficoltà a proseguire, siccome riusciva a percepire i
pensieri devastanti degli oppositori anche senza scontrarsi con essi. La strage
avvenne principalmente tra le sue legioni, fatta eccezione per qualche
Cacciatore oscuro.
Dopo svariato tempo, la linea difensiva dell’Ordine fu obbligata ad arretrare in
certi punti, mentre in altri spingeva gli assalitori fino alle imbarcazioni arenate
sulla spiaggia. Prima o poi però sarebbe caduta, e ciò avvenne, ma solo dopo
tre ore dall’inizio...
“Artakha.” gli parlò nuovamente Norik tramite le corde del pensiero. “Credi di
riuscire a farcela ancora per un po’? Devi garantirci l’arrivo nei vicoli della città,
altrimenti saremmo scoperti.”
Il portatore della Maschera della Creazione non replicò. Il Toa del Fuoco infatti
provò una strana sensazione poco prima di contattarlo.
Varises confermò allarmato: “E’ svenuto, Norik!”
La reazione fu immediata. L’intera nube che il Grande Essere controllò cessò di
esistere, rivelando tutti i dettagli ambientali che circondavano i combattenti.
Ciascuno dei tre squadroni si trovava in posizioni differenti. Dovettero
attendere l’arrivo della luce dei due soli per capirlo. Le forze di Norik e dell’ex
luogotenente di Zakaz erano più arretrate rispetto agli Eroi e ai Toa, vicini più
di tutti alle porte della regione Metru.
Per un istante, quando la nebbia scomparve completamente, si guardarono
sorpresi. Quasi non volevano continuare a combattere contro i nemici con i
quali si erano battuti negli ultimi anni, soprattutto ora che la difesa di Le-Metru
era caduta.
Matau senza dire nulla toccò la spalla di Vakama, invitandolo a guardarsi dietro.
Darkness, il Marendar, gli Hagahkuta e i due Matoran erano ancora più vicini
all’ingresso in città. Nessuno li avvistò durante la battaglia, neanche Whenua.
Gli Elementali invece si trovavano più ad est, vicino Ta-Metru. Era infatti una
pazzia provare ad assalire l’isola da quel punto. I più esperti ricordavano
sicuramente quanto quella zona, coincidente con l’estuario del fiume in
Protodermis che circondava il Colosseo, fosse pericolosa. I vecchi Cacciatori e
l’Oscuro non lo dimenticarono dai tempi in cui c’era la guerra con i Toa di
Lhikan. Tale informazione, in un modo o nell’altro, si propagò ovunque nel
resto delle isole. Perciò gli Elementali erano giustificati, in quanto abitanti di
Spherus Magna, ma non si poteva dire per quanto ancora avrebbero resistito...
Il cielo tornò a dorarsi nuovamente. L’occhio della Ignika era finalmente
tornato sulle loro teste. Ciononostante, non ci fu nessuna comunicazione
importante per loro. Arrivò solamente la notizia della loro piccola vittoria ad
Helryx, che reagì d’istinto come una pazza, afferrando la Ignika e portandola
con sé all’ingresso dello stadio.
C’erano praticamente tutti. Non mancava nessuno all’appello, tranne i Barraki,
i caduti in guerra e Toa Tuyet, che scappò come una codarda la sera prima. Il
motivo della sua fuga era ancora ignoto. Darkness infatti, quando i piccoli
Matoran glielo riferirono, la giudicò come una traditrice, in primis di sé stessa.
Gli eserciti, posizionati diversamente e abbastanza lontani gli uni dagli altri,
erano in procinto di muoversi, ma ecco che arrivò l’ultimo contendente:
occupava metà della riva, e giunse dalla destra dei Cacciatori oscuri. Tutti se ne
accorsero, disgustandolo per il suo aspetto orripilante. La creatura marina
confermò così la sua presenza per la terza volta nel corso delle vicende che
infestavano gli interni del Robot. Già a causa del suo ultimo intervento si
ostruirono permanentemente i canali di Jerbraz che Nokama stava per aprire ai
suoi alleati.
Per i pochi Parenga che parteciparono all’assalto era già finita. Non si poteva
sconfiggere la possenza di quell’essere. Nokama al contrario notò un qualcosa
di strano, a partire dai suoi movimenti goffi e ritardati. Anche il colore della
pelle non era più bianca pallida come settimane prima. Uno strano grigio
scuro tappezzava a macchie il derma.
“Posizione di combattimento!” gridò un generale di Nektann, preparando i
suoi al conflitto.
Infastidito, il mostro del Mare d’argento colpì diverse decine con un solo
tentacolo, che però ritrasse immediatamente emettendo dei versi dolorante.
No, nessuno l’aveva ferito. Il dolore fu causato da qualcosa che evidentemente
proveniva dall’interno del suo corpo. Forse era malato.
“O forse ha mangiato qualcosa che non doveva.” suppose Matau rispondendo a
Mazeka.
Nessuno dei due ci azzeccò. Senza che nessuno se l’aspettasse, si creò un
taglio nel fianco sinistro della creatura. Il bolo che uscì dalle interiora non era
altri che un individuo alto e rabbioso... tanto rabbioso.
Voporak...
Il mostro dei mari morì dissanguato. I Cacciatori oscuri, spaventati alla sola
vista del loro ex comandante, furono travolti dalla sua furia incontenibile. Il suo
obiettivo, come si poteva dedurre, non era Nektann ma i sei Toa. Mai, dopo
così tanto tempo d’attesa nella pancia di quell’abominio, si trovò vicino alla
Maschera del Tempo.
Vakama ordinò ai suoi di mettersi in guardia, mentre le stragi di Skrall e
Cacciatori proseguivano. Norik e Darkness, con i loro compagni, restarono a
guardare. E accadde un nuovo fatto: proprio quando Voporak aveva strada
libera verso le sue sei prede, lanciandosi poi contro di loro, una barriera dorata
lo tagliò in due.
Fu una morte inaspettata, ma che fece capire una cosa importante a Darkness:
“Abbiamo oltrepassato il Flusso della Realtà del Creato...”
Adesso, Toa.
Helryx ebbe finalmente il via libera dalla Maschera della Vita. “
“ Moriranno...”
Così lo scudo protettivo fu materializzato nuovamente. La parte degli eserciti
che fu rinchiusa al suo interno, però, non era neanche un dito a confronto.
Solo i Toa Metru, gli Hagah, Odis, Mazeka, Darkness, il Marendar, i due
Matoran, gli Hagahkuta e circa cento Skrall rimasero.
Vakama corse subito ai piedi della barriera per parlare con i due Alpha leader.
Non sentì la loro voce, capendo che in questo modo gli abitanti di Mata-Metru
non potevano sentire i rumori della guerra provenienti dalle isole vicine.
Nemmeno le onde radio potevano penetrare la struttura. Tuttavia, sia Rocka
che Furno ricevettero una comunicazione importante: “Alpha leader! Sono
Stryker. La barriera che contornava il Robot è scomparsa! Ora possiamo scappare
da qui!”
MALE?!?!?!”
“Com’è la situazione?” chiese Gobbs a Fox.
“Abbiamo perso le comunicazioni da poco. Che io sappia li stanno respingendo
dal tunnel che comunica con la schiena del Robot.”
“Ma cosa sono? Dalle immagini non sembravano creature registrate nel nostro
database.”
Fox negò con la testa. “Non so davvero cosa risponderti. Voglio andarmene il
prima possibile da qui.”
“Movimento da terra!” riferì ad un tratto Sadar con un rilevatore speciale.
“Viene dal Codrex!”
“Dacci maggiori dettagli.” affermò il capo del Recon Team.
“I segnali sono infiniti. La distanza sta diminuendo velocemente. Arrivano!”
I membri della base adiacente al Codrex corsero ai posti di combattimento. Le
armi furono caricate, così come i cannoni. A quanto pare la battaglia nei cieli
della Realtà del Creato si era conclusa, anche se non sapevano che i dirigibili
guidati da Stryker, Furno, Surge, Breeze, Stringer e Rocka riuscirono a fuggire
oltrepassando il Flusso. A bordo contavano nove decine di soldati Hero, tutti
diretti verso il pianeta 1210, Spherus Magna.
…
Il viaggio nel cosmo durò sei ore. Gli avvenimenti che ebbero luogo nella testa
del Robot erano appena terminati, e necessitavano a tutti i costi di sapere
com’era andata.
Intravidero nel mezzo dello spazio un loro ripetitore di frequenze che fungeva
anche da satellite. In passato ne distribuirono molti in giro per la galassia.
“Surge.” disse Furno. “Cerca di collegarti con la base di Voya Nui. Vedi se ci
sono novità.”
Dopo qualche minuto, l’Eroe dall’armatura blu spiegò che non era possibile.
“Le onde radio T6 non sono riuscite ad oltrepassare la membrana del Flusso, e
neanche le K87. Mi dispiace.”
Rocka abbassò lo sguardo, facendosi prendere dalle sue paranoie. Era difficile
essere ottimisti in quel momento così delicato.
“E va bene...” rispose. “Non ci resta che proseguire. Stryker, continuiamo pure
sulla nostra rotta.”
“Subito, signore.”
Furono molto fortunati a non sapere cos’era successo: gli Eroi rimanenti, i
Parenga, Varian e tutti gli altri individui che si trovavano all’esterno di Mata-
Metru vennero sterminati appositamente dalle creature che popolavano lo
spazio della Realtà, fuoriuscendo dal buco creato dalle trivelle Hero.
Persino i Matoran che abitarono il villaggio innevato di Turaga Kopeke, morto
diversi mesi prima, furono uccisi senza pietà.
Ad averli mandati furono proprio i Grandi Creatori. Ecco perché la Ignika disse
ad Helryx che tutti coloro che non vennero contenuti nella nuova cupola della
grande metropoli sarebbero morti.
Ma a quale scopo?
…
Takanuva era seduto a riflettere. Di fronte a lui l’intera popolazione Agori e
Matoran stava lottando contro il tempo per terminare la ricostruzione della
Stella Rossa. C’era un valido motivo per cui si isolò invece di aiutarli. Chiamò
Hauran a parlare urgentemente con lui.
“Eccomi, Takanuva.”
Il Toa della Luce andò al punto. “L’altro giorno mi trovavo in una delle sale del
tuo laboratorio...”
Dalla sua sacca estrasse una Kanohi della Chiaroveggenza. “Ti dice qualcosa?”
Hauran non parlò, capendo che si riferiva al cadavere di un Toa che Takanuva
trovò nello studio.
“Allora? Era per caso uno degli individui bloccati sulla Stella Rossa? O forse c’è
altro che devo sapere.” aggravò la voce cercando comunque di mantenere la
calma.
La spiegazione del Grande Creatore lo spiazzò: “Non l’ho ucciso io. Lo trovai
qualche mese prima del nostro incontro a sud della foresta di Tesara, in quelli
che sembravano i resti di una cittadella abbandonata. Presentava tecnologie
particolari. Impossibile che si trattasse di qualche villaggio, anche considerando
le armi contenute nei magazzini.”
“Nuova Daxia...” ragionò Takanuva inquietandosi. “Vorresti dire che facevano
esperimenti sui Toa?”
“Non mi importa sinceramente. Sappi solo che le macchine alle quali trovai il
cadavere attaccato mi ricordavano quelle sfruttate dalla Legione di Nuiaha.”
Takanuva ragionò a lungo. L’unico che poteva replicare delle tecnologie così
sofisticate, e che nessun altro biomeccanico conosceva così a fondo, non
poteva che essere Artakha. Effettivamente quando ci fu la costruzione di
Nuova Daxia fu ospitato assieme ai suoi aiutanti nel quartiere occidentale della
fortezza, dove proseguì degli esperimenti super segreti.
Che cosa c’entrava un Toa dotato della Maschera della Chiaroveggenza?
Inoltre, non poteva nemmeno avere a che fare con la Vahi siccome, secondo
Hauran, le ferite riportate dal Toa risalivano a centinaia di anni prima.
Insomma si aggiunse un nuovo mistero, ma allo stesso tempo un motivo in più
per cui appoggiare Hauran, che se ne uscì dal nulla con una domanda piuttosto
insolita: “Perchè si sono fermati?”
Takanuva si accorse che tutti i lavoratori abbandonarono gli attrezzi guardando
in cielo.
Si affacciarono uscendo dalla caverna sul rilievo, e osservarono l’arrivo di alcuni
velivoli a loro sconosciuti. I radar permisero a questi di rilevare le uniche forme
di vita presenti nel pianeta, concentrate tutte in quel misero punto disperso
nel deserto.
“SONO EROI!” lanciò l’allarme un Agori.
“Che siano venuti a salvarci?” disse per assurdo un Ta-Matoran.
“Tarix! Chiama Ackar! Digli di raggiungerci il prima possibile!”
“Sì, Kiina!”
…
Furno e Rocka scesero senza una scorta in mezzo al deserto, a qualche
centibio dal rilievo di Hauran. Si sapeva, non avevano intenzioni guerrafondaie.
Il problema era farlo capire ai popolani di Spherus Magna.
L’ex capo dei Villaggi Uniti arrivò con una legione armata anticipando Hauran e
Takanuva.
L’Alpha leader dall’armatura rossa alzò le mani, mostrandosi comunque severo.
“Abbassate quelle stupide armi, Glatorian! Siamo qui per voi!”
“Ci mancava solo questa!” caricò il colpo un Agori di Tesara.
“TACI!” rispose Ackar. “E’ da quando siete arrivati che si è rotto l’equilibrio
del post-guerra. L’intero Circolo era in via di ricostruzione, e voi con i vostri
Checkpoint avete inquinato la nostra patria!”
La Signora della Sabbia e quello del Ghiaccio volevano interromperli per sapere
che fine avessero fatto i loro “compagni”.
“Noi rimpiangiamo tutto questo!” replicò Rocka. “Siamo stati ciechi per
servire il nostro padre creatore, che abbiamo scoperto essere in realtà un
Grande Creatore sotto copertura.”
Hauran, arrivato da qualche attimo, si incuriosì. “Di chi parli, Eroe?”
“Velika. Lo conosci?”
“Velika?! Ovvio che lo conosco. Fu uno dei diciotto. Nessuno di noi è mai
riuscito a scoprire il suo vero nome. C’è molto da dire su di lui...”
“Temo che non abbiamo tempo.” parlò Breeze tramite il comunicatore della
nave alle loro spalle, spaventando qualche Agori che sicuramente non se
l’aspettava. “Prima di entrare nel sistema di Solis Magna, abbiamo constatato che
l’aspetto di Spherus Magna è molto differente dall’ultima volta.”
“Per forza!” protestò Tarix. “Il Robot era l’unica fonte d’energia rinnovabile
per il pianeta. Solo Mata Nui sa dove ve ne siete andati!”
Hauran gli rispose facendo al tempo stesso una domanda agli Eroi. “La Realtà...
del Creato?”
“Come sarebbe a dire?” si intromise Takanuva. “Mica era una dimensione
parallela?”
“No.” precisò il Creatore maledetto. “E’ un pianeta che la Ignika creò a causa
di un incidente. Fu un raggio che essa sprigionò colpendo qualcosa che stava a
distanza di molti anni luce da Solis Magna. Iniziammo a farci qualche domanda
quando la stessa sostanza che scoprimmo, il Protodermis energizzato, iniziò a
piovere dal cielo tramite dei meteoriti. All’inizio credemmo si trattasse di un
ciclo naturale, come quello dell’acqua, ma capimmo subito che non proveniva
dall’atmosfera. Cercammo di rintracciare la fonte di Protodermis, scoprendo
per primo che non era contenuto nel nostro sistema solare. Infine trovammo
questo nuovo pianeta, circondato da una barriera che solo la Ignika, in quanto
sua creatrice, poteva oltrepassare. Per raggiungerlo rischiammo molto,
siccome ci sono tutt’ora un’infinita serie di anomalie spaziotemporali causate
dalla Kanohi. Pensate ad una sorta di campo minato. Tutti gli universi paralleli
di cui parlate non sono altro che mondi creati dalla Realtà del Creato
perché...”
BOOM!
E subito dopo ne sentirono un altro più forte del precedente.
Le esplosioni del nucleo planetario iniziarono senza tregua. Era questo ciò che
gli Eroi volevano dire fin dall’inizio. I sopravvissuti lo sapevano già, ma non gli
venne detto che, secondo i pochi dati che gli Eroi raccolsero, sarebbero
iniziate da lì a breve.
“Tutti sulla Stella Rossa!” ordinò Takanuva.
“Ma, Takua, non siamo riusciti a finirla!” spiegò Uxis nel panico. “Non ci sono
posti a sufficienza per tutti!”
Anche gli Eroi avevano un limite, siccome si aspettavano di raggiungere il
pianeta con maggior personale, che venne però sterminato dai cavalieri
misteriosi.
Era una situazione altamente instabile. Il tempo non smetteva di correre.
Potevano benissimo saltare in aria da un momento all’altro. Occorreva
ragionare: di sicuro non potevano sacrificare Hauran, il quale aveva l’obbligo
morale di fargli da guida per il nuovo viaggio che li avrebbe attesi. Lo stesso per
Takanuva che sapeva come regolare il marchingegno che gli permetteva di
rintracciare gli agenti (ex) dell’Ordine.
Takanuva si sentì toccare la spalla da Ackar, che disse con calma: “Resteremo
noi qui. Tu va’.”
“Stai scherzando, vero?!” esclamò Lesovikk.
Il Glatorian alzò la voce rivolgendosi agli Agori. “Figli di Spherus Magna! Nelle
vostre mani c’è una scelta importante da fare. Gli Eroi vi aiuteranno con quel
che possono a raggiungere la salvezza altrove. Non tutti però potranno farcela.
Vi chiedo non da vostro capo, ma da vostro compaesano, commilitone,
compagno, fratello... di scegliere per voi. Decidete in fretta. Per coloro che
opteranno la fuga, sappiate che il vostro non sarà mai un gesto da codardi. Voi
porterete alto il ricordo di questa terra, la nostra terra! E sono sicuro che in
futuro combatterete non più per il vostro nome, ma per la patria che vi ha
cresciuto fino ad ora.”
“Anche i Matoran faranno lo stesso!” si indispettì il Toa.
“No, Takanuva. Quello che ti sto offrendo è il mio perdono, e allo stesso
tempo le mie scuse. Che questo giorno sancisca definitivamente la fine della
Guerra fra le nostre razze. Volendolo o no siamo tutti figli di questo mondo.
Noi però ci siamo cresciuti, l’abbiamo protetto, sentiamo ancora la sua voce
che parla tramite la brezza mattutina. La vostra pace invece potrete trovarla
solamente altrove. Andate ora, ve ne prego.”
Takanuva lo abbracciò, ritrovando in lui il calore amoroso che solamente Jala
poteva offrirgli. Il resto dei Matoran lo seguì.
Non erano altro che individui erranti in quella tappa di storia...
Gli Eroi agganciarono in poco tempo i dirigibili alla Stella Rossa, che purtroppo
non poteva ancora funzionare autonomamente.
Salparono da terra, osservando Ackar, Kiina, Kizu, Tarix e gli Agori per
un’ultima volta. La Glatorian di Tajun e il veterano di Vulcanus si presero per
mano accettando la loro sorte. Non a caso, non ci fu nessuna protesta da
parte loro. Probabilmente si erano anche stancati di rincorrere un destino che
non gli apparteneva. Pochi inoltre furono gli Agori che abbandonarono il
pianeta, convinti che un giorno sarebbero riusciti ad abitare un nuovo mondo.
Ma la sfortuna giocò un’altra carta, impedendogli di scappare. L’esplosione
dell’intero pianeta li inghiottì prima che potessero allontanarsi a sufficienza...
Hauran e gli Elementali furono così lasciati per sempre da quella speranza che
li teneva legati al Robot (e anche da quella piccola sete di potere che li nutriva
ogni maledetto giorno). Takanuva e Lesovikk divennero tristemente gli ultimi
Toa che il sistema di Solis Magna ospitò. Il loro ricordo, assieme a quello degli
Eroi, si spense come una misera stella dispersa nell’universo.
Il Colosseo continuò a venire travagliato dallo scontro dei tre eserciti. Non
sembrava voler raggiungere una tregua. Da una parte i Matoran stavano dando
tutto per congiungersi con i propri simili all’esterno della struttura, coadiuvati
da Mazeka. Le prime capsule d’espulsione vennero attivate, e si allontanarono
nel cosmo che componeva il Flusso. Gli Skrall non potevano che sperare nella
riuscita di Darkness, così da poter scrivere dei nuovi capitoli nel futuro che li
avrebbe attesi. I Korero invece erano senza un vero leader. La morte di Helryx
causò in loro un forte disturbo emotivo che non gli permise di concentrarsi
adeguatamente mentre utilizzavano il potere psichico.
Okoth morì come tanti altri quel giorno, che fossero su Mata-Metru, nelle
isole o su Spherus Magna. La fine di Ahkmou, sapendo che i cavalieri erano
ancora in circolazione nei cinque arcipelaghi alla ricerca di superstiti, rimase un
mistero.
Darkness se ne infischiò. I millenni passati nella sua stessa ombra lo abituarono
a tutto quell’odio, che tentò forzatamente di ficcare nella testa del presunto
Erede dell’Antidermis. Si rivelò un fallimento. La profezia, nonché un piano
sfruttato inutilmente dalla Ignika in seguito, fu spezzata dal suo coraggio.
Mancava la morte dei Grandi Creatori per completare la lista dei suoi obiettivi,
e l’avrebbe fatto con l’uso del Robot o della Ignika contro di essi. Purtroppo,
come ben sappiamo, intervenne il Marendar, il quale si fece inseguire
dall’ombra dell’Oscuro fino al processore del nucleo, dove si tenne una
battaglia spaventosa fra i due. Gli Hagah furono gli unici a contemplarla quando
arrivarono in grande ritardo. Tra le mani di Norik c’era la leggendaria Maschera
del Tempo, donatagli da Vakama assieme ad alcune parole che però non finì di
dire...
Lui, Bomonga e Pouks erano gli ultimi Toa che “abitavano” la testa del Robot,
destinato a fare ritorno nella Corte di Nuiaha dove lo attendevano i legionari,
inclusi i Toa Nuva, Varises e, naturalmente, Artakha. I due abitanti dell’isola del
Grande Essere dissociarono i loro spiriti poco prima dell’arrivo dei cavalieri
alati, riunendosi con i corpi che regnavano nel quartier generale di Rakau.
Lo stile di combattimento di Darkness si completava se messo a confronto con
le abilità del Marendar. La sua elasticità si rivelò piuttosto utile contro la
velocità repentina della macchina. Era quasi un peccato interromperli. Si poteva
solamente imparare.
La Ignika restò a terra nel centro dell’aula. Essa era il vero oggetto che i due si
stavano contendendo con così tanta ossessione.
Tuttavia, le intenzioni del Marendar non vennero mai rivelate. Un mistero quasi
impossibile da decifrare...
Darkness capì che lo scontro sarebbe finito con uno dei due che avrebbe
ceduto per mancanza di forze, e sarebbe stato chiaramente quello con la
componente organica in corpo. Solo la Ignika poteva aiutarlo, ma valeva
davvero la pena rischiare di farsi corrompere per un nemico qualunque?
Non ebbe scelta. Si lanciò con un balzo in avanti per afferrarla. Il Marendar fece
lo stesso, toccandola nello stesso istante dell’ex Cacciatore oscuro. Come
accadde con Hydraxon, si aprì una nuova visione. Questa volta era Helryx la
protagonista.
Era completamente spogliata delle sue armature e legata agli arti con delle
catene che sembravano terminare in una sorta di manto di luce e ombra allo
stesso tempo, il quale faceva da sfondo decorativo all’apparizione. Tale era la
sorte che la Toa fu costretta ad accettare nell’esatto momento in cui la Kanohi
le ordinò di toccarla, quando Hauran stava per conquistare la Corte di Nuiaha
grazie all’aiuto degli Elementali. I ricordi di Helryx iniziarono ad affiorare senza
un ordine logico.
“C’è... c’è qualcuno?” alzò improvvisamente la testa, avendo la sensazione che
qualcuno fosse lì con lei.
“MI SENTITE?! ... RISPONDETE! ... LO SO CHE SIETE LI’!”
Non si poteva non provare pietà dinanzi uno spettacolo simile. In altre parole,
quella che combatterono fino a qualche ora prima non era la vera Helryx, ma
una stupida replica che la Ignika creò a partire dal suo corpo, imprigionato in
quell’incubo reale.
“Chiunque voi siate, vi prego, datemi la vostra mano. Tiratemi fuori da qui.
RIPORTATEMI NELLA REALTA’!”
“Eccoli!” esclamò Pouks entrando con i due Toa. “Ma che stanno facendo?”
“La Ignika li ha bloccati. Occorre stare attenti.” si augurò Bomonga. “Si
deciderà tutto adesso, fratelli.”
Darkness era in procinto di porle la mano, spinto da una piccola percentuale di
compassione che aveva ancora dentro di sé, non sapendo però che se lo avesse
fatto avrebbe scambiato la sua coscienza, e di conseguenza il suo corpo, con
quella della Toa. Una forza esterna glielo impedì, tirando fuori sia lui che il
Marendar in un battibaleno, condannando il primo Toa per l’eternità...
I cinque combattenti furono scaraventati contro la parete che scontornava il
processore.
Si rialzarono con molta fatica. Nel farlo, il Marendar premette accidentalmente
una fessura che Helryx non riuscì mai a decifrare. Una nicchia nel muro si aprì,
mostrando un equipaggiamento speciale che, a giudicare dalle dimensioni e
dalle fattezze, sembrava fatto appositamente per lui. Le iscrizioni riportate
avevano gli stessi caratteri che i Metru e gli Eroi trovarono nei dipinti sui Rahi
all’interno del Codrex. Erano fatte apposta per venire decifrate sì dai due
Glatorian, ma anche dal Marendar che scoprì il passo che seguiva l’uccisione
dei Toa.
“Io posso... posso pilotare il Robot?!” affermò senza fare caso ai nemici.
Darkness era senza parole.
Le istruzioni riportavano dell’altro: “Lo sterminatore di Toa dovrà essere
prelevato da Spherus Magna. I due Glatorian, Corias e Melenius, potranno rimanere
nel loro pianeta, affidando il controllo del Robot al Marendar per il ritorno definitivo
nella Realtà del Creato grazie ad una copia delle due chiavi kī. Esso aiuterà la
Ignika a riparare le devastazioni del Tutto a bordo dell’Universo Matoran, oltre che
difenderla dalle possibili minacce esterne o interne, inclusi i Toa...
Un nuovo comando lo incuriosì, e lo premette per sapere di più. Da un angolo
della parete uscirono quelle che sembravano essere due capsule d’espulsione,
programmate apposta per Corias e Melenius. Non era di certo una notizia
positiva per i tre Toa, nell’ipotetico caso in cui fossero stati obbligati ad
utilizzarle.
C’era anche una strana serratura che poteva essere aperta con questa chiave
kī. In realtà il Marendar sapeva di averla di suo, custodendola gelosamente in un
residuo refrattario che fu posto all’interno delle sue costole, e che Darkness
cercò più volte di aprire in passato. Fino a quel momento, però, non sapeva a
cosa servisse.
Ora invece si...
Norik si stancò di aspettare un altro colpo di scena. “Attaccate da entrambi i
lati! Penserò io alla Maschera della Vita. Nessuno di loro dovrà uscire vivo
oggi!”
“D’accordo!” ribatterono in coro.
Toa contro Marendar. Vahi contro Ignika. Dovevano dare il massimo o non ci
sarebbe stata una seconda occasione. Ne valeva del futuro di molti.
La macchina bionica ebbe grandi difficoltà contro i poteri del Tempo comandati
dal Toa del Fuoco, l’unico vantaggio che teneva i tre Hagah ancora in vita. La
velocità di Darkness, una delle armi migliori di cui disponeva, gli venne tolta
non appena cominciò la lotta.
“Tenetemelo a bada, penserò io al Marendar!”
Norik caricò di lava la lancia, girandola in continuazione per scatenare una
pioggia magmatica. Pouks si allontanò per un istante dall’avversario per
infondere delle rocce nell’attacco elementale. La creatura robotica fu aiutata
dall’Araidermis affilato. Non aveva il tempo materiale per sfruttare il fucile in
sua dotazione. Sarebbe stato un inutile e rischioso spreco.
“CHE COSA FATE?!” urlò Darkness dopo che lo bloccarono. “Dovete mettere
la Ignika nella macchina se non volete schiantarvi sul suolo della Corte, o
peggio ancora contro la fortezza!”
Norik pensava solo a rispondere agli attacchi del Marendar. Senza la Vahi
sarebbe stato praticamente impossibile. Già di per sé rischiò non poche volte.
Darkness prese la lancia di Bomonga e lo bloccò facendo pressione col manico
sul collo, al punto da farlo quasi svenire. Pouks intervenne generando una
roccia al posto del pugno con il quale lo prese in pieno viso. Il Maestro perse
solamente l’Equilibrio. Bomonga ebbe abbastanza spazio da girare la presa per
poi lanciarlo con tutta la sua forza all’interno di una delle due capsule.
“Attivala, Pouks!”
“Si!”
Come risultato di ciò, la navicella fu espulsa migliaia di kios prima dell’arrivo a
destinazione. Non rientrò nemmeno nel campo gravitazionale del pianeta,
finendo disperso nello spazio anomalo...
Norik era ancora nel pieno del conflitto. Il Marendar non intendeva dargli
tregua, un gesto classico da parte sua. I fratelli della Terra e della Roccia
giunsero in soccorso per ucciderlo definitivamente, ma sfortunatamente
qualcosa impattò sulla testa del Robot. Era una meteorite, il primo di uno
sciame che da lì a poco avrebbe investito l’intero gigante.
“Svelti, vicino a me!” comandò Norik.
Il Toa li abbracciò calorosamente, quasi facendoli sentire a casa.
Negli anni precedenti ci misero troppo per cercarne una. Scoprirono infatti
che l’amore reciproco era il vero rifugio nel quale potevano recarsi quando
stavano male.
Un’aura temporale protesse i tre senza dare la possibilità al Marendar di
entrarci. Nei secondi a venire, furono colti da un terremoto continuo, che li
fece sbattere da una parte all’altra in continuazione, senza però riuscire a ferirli
minimamente.
Funzionò alle perfezione, nonostante fosse la prima volta che il Toa del Fuoco
sfruttò i poteri della Vahi. Sapeva di avere un compito troppo importante da
portare a termine, oltre al salvataggio dei due compagni.
L’atmosfera della Realtà del Creato fu sfondata da un Robot deteriorato
dappertutto. Lo sciame di asteroidi era una sorta di forza difensiva che fu
messa per impedire a grossi mezzi di atterrare sul pianeta. Con il potere della
Ignika in uso, sarebbe stato attraversato dalle meteore senza riportare neanche
un graffio. Come ben sappiamo, non accadde, e si decompose in svariati pezzi
al suo arrivo. I legamenti che tenevano uniti i cinque arcipelaghi, frutto di anni e
anni di lavoro da parte dell’Ordine, decaddero con esso.
Il Robot si schiantò molti kios prima della Corte di Nuiaha, spingendo la
Legione a muoversi un’altra volta ancora.
I Nuva non stavano nella pelle. Attendevano con ansia di vedere coloro che
sopravvissero per ricevere la Maschera della Vita...
Toa Lewa arrivò prima di tutti. Volteggiò attorno ai detriti del gigante
meccanico, al fine di individuare i possibili superstiti. Ci mise parecchio tempo
viste le dimensioni imponenti del gigante. Sette Zolle vennero distrutte
durante l’atterraggio.
Per non perdere tempo, Lykodax seguì il suggerimento di Artakha dalla Corte.
“Spero che il Grande Essere abbia ragione!” affermò Pohatu mentre era a
bordo di un mezzo da trasporto della Legione.
“Non ti do torto.” gli rispose Onua. “Ancora adesso faccio fatica a credergli
riguardo Helryx.”
Gali si sentiva addolorata, tradita. Non riusciva a digerire il tradimento morale
del primo Toa.
Kopaka al contrario ebbe un’opinione differente. “Prima incontriamo i
portatori della Ignika e prima riceveremo spiegazioni. Non può esserci una sola
spiegazione da un unico punto di vista quando si è in guerra. Se Helryx è
ancora viva, ci dirà cos’è successo e a quel punto prenderemo la nostra
decisione.”
Il ragionamento che fece era tipico di un qualsiasi Toa del Fuoco. L’aspetto e il
morale del leader Nuva, intanto, cambiò molto da quando restò bloccato in
quel mondo.
Rewerax era attualmente incatenato nell’abisso di Torehre. Non potevano
ucciderlo quando la Seconda Guerra del Nucleo terminò. Fu imprigionato e
costretto ad insegnare a Tahu come controllare l’Antidermis, dato che al
momento ne era il maggiore rappresentante, nonché unico guardiano. La difesa
della sostanza madre dei Makuta era essenziale per garantire l’esistenza al
Tutto.
Dovevano sbrigarsi. Presto i mondi figli della Realtà del Creato avrebbero
iniziato il loro pellegrinaggio per ammirare la Maschera della Vita, prima di
sciogliersi nelle sue nuove e definitive creazioni. Nuiaha aspettava
impazientemente, non vedendo l’ora di staccarsi da quelle orrende macchine
della Corte che gli impedivano di vivere come voleva. Non c’era giorno che
rimpiangeva di aver accettato un compito simile.
Gli Avokh incrementarono la velocità dei mezzi dopo aver visto un movimento
di nuvole parecchio insolito. Lewa lo stava causando, restando in zona da non
poco tempo.
Il filtro della sua voce scese col vento, raggiungendo il suolo: “Ho trovato la
testa, fratelli! Venite!”
La Zolla di Gaesh fu vittima dell’impatto. Essa era una delle regioni deputate
alla distribuzione di materiale roccioso ai Toa della Terra e della Pietra nei
mondi alternativi, incluso il sistema di Solis Magna chiaramente.
I Toa scesero prima di arrivare, aumentando il passo con l’uso degli elementi.
Si arrampicarono sulla superficie esterna cercando qualche buco dal quale
poter fare ingresso.
“Trovato qualcosa?” chiese Lewa dal punto più alto.
“Niente!”
“No nulla!” risposero Onua e Pohatu.
I legionari parcheggiarono i veicoli e si incamminarono con Lykodax alla guida.
Dall’orecchio destro uscì un fumo arancione molto denso.
“Lo vedete anche voi o è un’illusione Zarthra?” domandò il Nuva dell’Aria.
“Non può essere.” ragionò Gali. “Se non ricordo male causavano una perdita
dei sensi per chi si trovava in prossimità. Io non provo nulla.”
“Già nemmeno io.” confermò Pohatu.
L’Akaku di Kopaka gli permise di individuare Tahu in mezzo alla nebbia
misteriosa, scoprendo che non era solo.
“Ci sono degli individui con lui.”
“Quanti sono?” chiese Gali da un segmento rialzato.
“Tre.”
“Riesci a riconoscerli?”
“Faccio molta fatica. Onua, Pohatu, cercate di raggiungerlo.”
“No, non andate!” fermò Gali. “Non vorrei che sia un nuovo tipo di illusione.
Lewa, riesci a fare qualcosa?”
“Mi spiace, sorella. Quella nube arancione è dotata di proto-particelle che non
posso controllare.”
“VENITE!” li chiamò Tahu all’improvviso.
C’era da fidarsi? Non potevano saperlo senza raggiungerlo.
I creatori della nube densa li convinsero smaterializzandola. I flussi fumosi
ritirarono le loro radici facendo ingresso nella fonte dalla quale provenivano: la
Vahi. Norik la stava indossando.
Pouks si guardò attorno, meravigliato. “Eravamo destinati a tornare qui,
fratelli...”
“Toa Hagah!” si riempì di gioia Gali.
Non si aspettava di vedere così pochi sopravvissuti, e infatti: “Siete solo voi?
Dove sono i Toa Metru?”
“Andati.” disse Bomonga addolorato. “Sono morti per salvarci. La Vahi li
assorbiti quando è stata consegnata a Norik.”
L’aria calda della Zolla distrutta coprì la disperazione silenziosa dei Nuva. Tahu
si mostrò impassibile.
“E i Matoran?”
“Non lo sappiamo, Pohatu. In teoria sono stati portati in salvo da Mazeka. Con
loro c’erano anche i nostri tre fratelli.”
“Li avete trovati?!” si sbalordì la Nuva dell’Acqua.
Bomonga strinse i pugni frustrato. Credeva di averli persi per sempre.
“Sono stati messi nelle capsule d’espulsione del Robot. Per caso li avete
trovati?”
“No, Norik, mi spiace.”
“Quando è avvenuta l’espulsione, Toa? Spero per voi che l’abbiate fatto dopo
essere entrati nell’atmosfera...” interruppe Lykodax.
“Temo sia successo molto prima, generale.”
“Diamine!” si infuriò col caso Pohatu. “Ho paura che non li ritroveremo ancora
vivi...”
Pouks si sbalordì allargando gli occhi. “Come?!”
“Non è detto.” sorvolò la questione Kopaka. Sia lui che gli altri Nuva erano a
disposizione di un maggior numero d’informazioni da quando abitavano la
Realtà del Creato. “Forse sono atterrati su un pianeta del Flusso.”
“O forse sono stati assorbiti da un buco nero...” peggiorò la situazione Onua.
“Dobbiamo cercarli allora.” si caricò di responsabilità la sorella.
“Sei impazzita?!” esclamò Lykodax. “Voi non sapete ancora cosa c’è là fuori.
Avete un compito più importante!”
Difatti, Tahu appoggiò le parole del generale facendo una domanda. Gli Hagah
si erano quasi dimenticati della sua voce.
“Dov’è la Maschera della Vita?”
Il suo dovere era chiaro. Non gli importava di altro. Anche il ruolo che ora
ricopriva glielo fece capire maggiormente.
Norik fece un passo in avanti, ma vennero interrotti da una strana luce
fuoriuscente dalla Vahi, generata apposta dall’Hagah del Fuoco.
Durò una manciata di secondi, dando l’impressione che non volesse smettere
di brillare. Infine si spense molto lentamente...
Quando riaprirono gli occhi, non videro nulla di nuovo.
“Tahu...” sentirono da dietro.
Si girarono in fretta. Una figura arancio-trasparente li osservava con uno
sguardo incuriosito.
L’arma di Tahu gli cadde dalle mani, cambiando il suo carattere come per magia.
“V-Vakama...”
L’immagine gli sorrise, dando la sensazione di sentirsi in quella pace tanto
sudata. Il suggerimento che disse a Norik prima di andarsene gli permise di
materializzarlo.
Aveva un importante messaggio: “La mia Essenza e quella della Vahi sono una
cosa unica adesso. Tutti noi lo siamo...”
Ed apparirono anche Matau, Nokama, Nuju, Onewa e per ultimo Whenua.
“Fino alla fine abbiamo lottato per donare speranza ai Matoran. Questo è il
Destino di un Toa. Siamo nati per essere liberi di combattere per ciò che
abbiamo. Non esistono Kanohi, Makuta o altri esseri malvagi che possono e
potranno decidere al posto nostro. Te lo chiedo per favore, Tahu, e non lo
faccio da Turaga ma da fratello a fratello.”
Il capo dei Nuva si lasciò andare. Dopo centinaia di anni si mise a piangere a
dismisura, inginocchiandosi. Si sentiva debole. Sei mani gli vennero date per
aiutarlo a rialzarsi.