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Cosmologia al bivio

(Alberto Bolognesi)

"It seems likely that redshift may not be due to an expanding


Universe, and much of the speculations on the structure of the
universe may require re-examination"
(Edwin Hubble, PASP, 1947)

La pentola vuota

Cosmologia e Filosofia della natura sembrano aver coronato le loro millenarie ricognizioni: la
materia proviene dal nulla. La chimica fondamentale dell'universo discende da una gigantesca
fornitura di idrogeno prodotta da nessuno ma a cui tutti possono attingere pronunciando il
termine magico "Big Bang". A partire da una regione priva di dimensioni e tuttavia dotata di
"densità" e di "temperatura" infinite, questo abracadabra termodinamico si rinormalizzò
attraverso le torsioni matematiche del super raffreddamento, commutando infine le proprietà
infinite in quantità finite. E l'universo fu.
Puramente e semplicemente creato. Ci voleva tanto? Ma non furono i quark, la radiazione, i
fotoni o gli joni pesanti ad accendere il fireball, fu la palla di fuoco proveniente dal nulla a
montare uno ad uno i suoi costituenti particellari. Occorre sempre ricordare che la
"nucleosintesi primordiale" è una conseguenza del Big Bang, non la causa. Struttura della
materia, costanti, leggi della fisica, spazio, tempo e gravitazione sono dunque il "residuo"
imperfetto di una omogeneità perfetta, la cosiddetta simmetria rotta, che accoppiata agli
pseudoconcetti di energia positiva e negativa consente di scrivere alla lavagna la prodigiosa
formula dell'universo a costo zero. Meno uno più uno uguale zero. Nel cilindro dei cosmologi
è il coniglio venuto dal nulla che materializza cappello, prestigiatore e pubblico plaudente.

Una volta acquisito il miracolo e agghindatolo con un lifting superluminale, la saga moderna
della Creazione si scrive da sola: se chiamiamo "tempo zero" l'attimo da cui tutta la materia
emerse istantaneamente da un punto che precedentemente non esisteva, la fisica e la
matematica sono in grado di compilare una rispettabile scaletta già a partire dai "primi"
centomiliardesimi di secondo.
In quei momenti la temperatura iniziale era già precipitata nel dominio delle quantità finite a
circa un bilione di kelvin e la sua densità ridotta "a soli" 10 14 grammi per centimetro cubo.
"Apparvero" fotoni primordiali che trasportavano una tale quantità di energia da essere
interscambiabili con coppie di particelle e di antiparticelle che si annichilavano
reciprocamente restituendo fotoni estremamente energetici. Naturalmente dovevano essere già
presenti neutrini e "particelle esotiche", mentre l'imbarazzante asimmetria attuale materia-
antimateria si può giustificare ipotizzando una lievissima inefficienza nei processi di
interazione, che alla fine avrebbe provocato una piccola ma fatale eccedenza delle particelle
rispetto alle antiparticelle. Quando l'intruglio si raffreddò ulteriormente, i fotoni non avevano
più energia sufficiente per produrre protoni e neutroni, così le particelle e le antiparticelle
appaiate si annichilarono lasciando un residuo di materia stabile. A quel punto (circa un
centesimo di secondo dalla "fine del nulla") solo le coppie più leggere formate da elettroni e
positroni continuavano a interagire nella danza con la radiazione.
Un decimo di secondo dopo, la temperatura era scesa a trenta miliardi di kelvin e c'erano
ormai solo protoni e un terzo di neutroni: i neutrini smisero di interagire con la materia
barionica e si disaccoppiarono. Man mano che la temperatura continuava a calare, presero a
formarsi i primi nuclei di deuterio e tre minuti dopo, con la temperatura "scemata" ormai a un
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miliardo di kelvin, anche l'elio cominciava a conservarsi nonostante le continue collisioni con
le altre particelle. Ancora sessanta secondi e un quarto dell'intero idrogeno si sarebbe
convertito in elio, ma ci volle un'interminabile mezz'ora per far pareggiare il numero degli
elettroni che si annichilavano con i restanti positroni al numero dei protoni e produrre così la
cosiddetta "radiazione di fondo". Occorsero poi trecentomila anni per scendere a seimila
kelvin e rendere i fotoni tanto deboli da non poter più strappare elettroni dagli atomi,
dopodiché la radiazione si congedò dalla materia e l'universo poté raffreddarsi in pace,
espandendosi uniformemente e aggregandosi in una moltitudine di palle di gas ammantate di
"materia oscura" e poi di protogalassie, che recedevano come sistemi indipendenti a causa
dell'espansione "dello spazio". Il nulla si era totalmente commutato in materia, e il caso e la
necessità potevano finalmente sbizzarrirsi in una infinità di combinazioni da alcune delle
quali si sviluppò accidentalmente la vita e la consapevolezza degli organismi più complessi.

Sociologia della conoscenza

Si può forse credere a una favola così greve a due sole condizioni: che dal nulla possa
logicamente scaturire il tutto e che l'universo osservabile stia realmente espandendosi a partire
da un punto di raggio zero materializzatosi circa quindici miliardi di anni fa. Se cade la prima
condizione l'universo in espansione non è che la trasformazione di uno stato fisico
antecedente, se cade la seconda se ne vanno la Creazione, il Big Bang, lo spazio che si
espande e tutta la cosmologia contemporanea.
Non meno sorprendente è l'immenso credito che questa apparizione mariana ha riscosso
nell'ambito della comunità scientifica: di solito un paradigma si consolida attraverso la
costante verifica dei dati empirici, mentre qui, inaugurando un metodo che non ha precedenti
in tutta la storia della ricerca, si autentica una creazione a partire dal nulla e se ne
formalizzano le conseguenze in termini di fisica nota e di matematica. E' la polpetta
avvelenata lanciata dai cosmologi contemporanei alla "età dei lumi": si inventa una creazione
dal nulla e si cercano prove indiziarie!
E' perfino ovvio che la soluzione del Mondo, presentata ormai come una scoperta
astronomica, è solo apparente e che il suo contenuto di validità viene inesorabilmente relegato
al di là del primo invalicabile micromiliardesimo di secondo: "se niente in astrofisica può
prescindere dalla fisica nota - ha detto lo «screditato» Fred Hoyle - allora il Big Bang deve
essere considerato al di fuori della fisica nota". La replica dell'"apparato" è che "è molto
meglio sapere tutto dell'universo a partire dall'istante
10-43 che non saperne nulla", ma questo è il più vecchio dei trucchi dialettici smascherato da
Voltaire, che analiticamente equivale a: "meglio una finta risposta che nessuna risposta".
Il dorato segreto consegnato dai teorici alla comunità scientifica è dunque puramente e
semplicemente "boh": boh, ergo c'è stato un Big Bang. E che altro può fare un biochimico, un
matematico, un naturalista, un epistemologo, un letterato o un ragioniere che aspirano a
formarsi un'idea più approfondita sul Genitore universale, se non compulsare qualche
ponderoso manuale di cosmologia? I più introdotti possono tutt'al più contattare qualche
eminente collega di astrofisica dei piani superiori, che sistematicamente li rimanda al "Big
Bang" e al primo centomiliardesimo di secondo. Ma se il più scettico dei biochimici o dei
ragionieri si appella all'onestà intellettuale degli specialisti della creazione, gli viene
immediatamente riconosciuto "che il Big Bang è teoria, non una scoperta scientifica"; e se alla
luce di questa ammissione ne deduce che la "nucleosintesi primordiale" non è che una mera
congettura, gli zelanti "referenti scientifici" che operano nel campo della comunicazione e dei
media si affrettano a precisargli che "in realtà il Big Bang è molto, molto di più di una
semplice teoria" e che i luminari sono "per natura" troppi scrupolosi e modesti.
Nei fatti non c'è alcuna interdisciplinarità, ma una struttura piramidale che continua a calare
modelli dall'alto e che giungono sui tavoli degli accademici "sublunari" come conquiste della
scienza. E' terribilmente ovvio che non si possono affidare le chiavi del cielo ai ragionieri: ma
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i cosmologi possiedono davvero queste chiavi?


Di fatto i cosmologi controllano la fisica, la chimica, la biologia, l'epistemologia e perfino le
osservazioni al telescopio: ma chi controlla le affermazioni dei cosmologi? Non è forse
tramite il "Big Bang" che gli atei sono diventati "creazionisti", che i credenti si sono mutati in
"evoluzionisti" e che gli scettici si sono estinti? Lo stesso intangibile Jacques Monod sarebbe
oggi costretto a rimaneggiare tutta la sua filosofia naturale nel concedere che "l'immensità
indifferente da cui siamo emersi per caso" deriva in realtà da un numero fisso di particelle
senza il quale né galassie né cellule avrebbero mai potuto realizzarsi. Senza quel numero
magico, rigorosamente deterministico e non casuale, il Big Bang si sarebbe spiattellato su se
stesso o scivolato via fra le maglie del nulla, e nessuna ironia sarebbe più irresistibile di un
caso volontario sospinto dalla sua necessità.
Non è forse vero che quando si osservano ponti e filamenti di materia fra galassie con diverso
spostamento verso il rosso si devono sistematicamente invocare effetti di prospettiva ed
allineamenti accidentali lungo la nostra linea di vista? Non è forse vero che i jets o le
propaggini gassose che li connettono non possono che stare davanti o dietro nella profondità
del cielo a seconda del loro spostamento verso il rosso perché la relazione di Hubble non è
falsificabile? Non è forse vero che per tenere i quasar alle loro "distanze di redshift" si devono
assumere luminosità ed energie che nessuna fisica è in grado di avallare? E non è forse vero
che per "razionalizzare" gli spostamenti verso il rosso di lontane supernovae bisogna
presumere accelerazioni o rallentamenti radiali dello spazio cosmico che si "dilata"?.
Come portare questi epicicli grossolani alla conoscenza o all'analisi critica di un medico, di un
chimico o di uno zoologo, e via via a un De Duve, a un Prigogine o a un Dawkins? E come
consegnarli infine all'attenzione di un giovane laureato in fisica che è stato appena assunto in
un megagalattico acceleratore con il compito di individuare le "pesantissime" particelle del
Big Bang?

Da Galileo alla materia oscura

I quasar sono connessi alle galassie. Questa evidenza già segnalata da alcuni astronomi verso
la metà degli anni Sessanta ha continuato ad accumularsi ininterrottamente ed è divenuta
schiacciante con la messa in orbita di telescopi operanti nelle bande delle alte energie, come il
ROSAT, l'Einstein, il Newton e il Chandra. Nell'indifferenza generale questi strumenti hanno
rilevato che la stragrande maggioranza delle sorgenti X e gamma (ULX) immerse nel campo
delle galassie sono state confermate spettroscopicamente come … quasar e regioni HII ad alto
redshift. Una esaustiva raccolta di questi casi si trova ora nel recentissimo "Catalogue of
Discordant Redshift Associations" (Apeiron, Canada 2003) dell'"incaponito" Halton Arp, che
assieme ai coniugi "brontoloni" Margaret e Geoffrey Burbidge, al "rimbambito" (e defunto)
Fred Hoyle e allo "stravagante" Jack Sulentic hanno compromesso le loro reputazioni
cercando di confermare osservativamente queste connessioni (vedi nota bibliografica).
Quasar spazialmente annessi alle galassie significano puramente e semplicemente che
l'assunzione fondamentale della cosmologia è contraddetta dalle osservazioni e che la
relazione redshift-magnitudine apparente non riflette né una distanza né una velocità.
Significa sostanzialmente che la teoria del Big Bang è inadeguata, che lo spazio che si dilata
mantenendo ferme le galassie e facendo recedere …le distanze è un "nightmare" geometrico
che ha paralizzato settantanni di ricerche della struttura cosmica, e che il sogno tolemaico di
chiudere la partita con l'intero universo si è di nuovo dissolto.
Significa essenzialmente che le leggi "note" con le quali affrontiamo la dimensione cosmica
sono chiaramente incomplete, che il libro della fisica è ben lungi dall'essere ultimato e che gli
assiomi di invarianza su cui poggiano le più celebrate equazioni della natura sono contraddetti
dai dati sperimentali. Significa tecnicamente che le "righe" spettrali emesse dagli atomi che
costituiscono gli oggetti cosmici non vengono spostate da un fenomeno cinematico
equivalente all'effetto Doppler, ma che quelle righe si trovano realmente alle frequenze e alle
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lunghezze d'onda osservate. Nuova fisica dunque, nuovi isotopi e nuovi stati della materia. Ed
è una sfida straordinaria che dovrebbe esaltare e non deprimere i ricercatori veri,
moltiplicando l'immaginazione, la sagacia e il talento dei fisici teorici che non hanno fatto poi
un gran servizio alle leggi "note" introducendo "energie oscure", particelle "esotiche",
"quintessenze" e "geometrie accelerate" per salvare l'espansione dello spazio.
Se siamo ancora animati dal desiderio di esplorare l'universo e non di omologarlo, non restano
che due alternative per intendere il fenomeno intrinseco dello spostamento spettrale degli
oggetti cosmici: trascurando l'effetto gravitazionale (effetto Einestein) - che dovrebbe crescere
sistematicamente dalla periferia al nucleo delle galassie e dei quasar e che non è supportato
dalle misurazioni spettroscopiche - o gli spettri elettromagnetici rendono conto di nuove
varietà della materia, oppure sono una diretta conseguenza del loro tempo di formazione, in
pratica della loro "età evolutiva". Nel primo caso avremmo nuovi isotopi e nuove costanti da
catalogare e da determinare, nel secondo masse variabili col tempo a partire dal momento
della loro formazione. In entrambi, evidentemente, una rivoluzione come forse mai ci siamo
trovati a fronteggiare.
La maggioranza è unanime nel rilevare che questo equivale "a buttare la fisica nota che
abbiamo tanto faticosamente costruito", quasi omettendo che la parte di fisica "nota" viene
salvaguardata in cosmologia da almeno novanta parti di fisica ignota, invisibile e trasparente
allo spettro elettromagnetico. Per gli eredi di Galileo, quando un pallone sonda veleggia
nell'alta atmosfera o un satellite artificiale viene immesso nello spazio circostante per
indagare un fondo uniforme di microonde che ci avvolge, questa scansione è considerata "la
testimonianza fossile del lampo primigenio del Big Bang e la brillante conferma dell'esistenza
della materia oscura".

I barbieri di Baltimora

M 82
Un piccolo blitz osservativo sarà utile per integrare la discussione. La casistica sui redshift
discordi, oramai sterminata (vedi references), porterebbe cifre a sei zeri se la si estende alle
cosiddette "dispersioni delle velocità" e ai "moti peculiari" delle galassie, che vengono
spiegati perlopiù con materie invisibili, "deviazioni di flusso" ed espansioni asimmetriche
dell'universo. Per i fini che si pone questo articolo inserirò solo tre casi nei quali la
connessione dei quasar alle galassie è direttamente coinvolta, e a cui ne aggiungerò alla fine
un quarto dove un giovane studente di fisica italiano ha avuto un ruolo determinante.

Fig. 1 - M 82 (da E.M. Burbidge et al.)


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La prima immagine illustra le stupefacenti concentrazioni di quasar individuati nel campo


della "starbust" M 82 (3C 281), una celebre e vicina galassia attiva molto luminosa anche in
radio e nei raggi X. L'immagine è così eloquente da rendere infinitesima la chance di un
affollamento accidentale, ed è importante rilevare che i due raggruppamenti si trovano
sistematicamente sulle linee di emissioni X e in radio che si diramano in direzioni opposte
attraverso l'asse minore di questa galassia esplosiva.

I quasar finora catalogati da Arp, i coniugi Burbidge e l'italiano Stefano Zibetti (Astroph
0303625) sono quindici (!) ma vi sono ancora altre sorgenti X candidate BSO da esaminare.
Una di queste, rilevata dal satellite ASCA vicina al centro di M 82, suggerisce che possa
trattarsi di un quasar colto nell'atto in cui viene veicolato dal nucleo verso lo spazio esterno e
del quale, secondo le stime dei ricercatori, potrebbe essere rilevato strumentalmente un moto
proprio nel giro di una decina d'anni.

NCG 4319/MKN 205


La "goccia nera" della cosmologia è il quasar Markarian 205. Venne trovato nel 1970 quasi
nel grembo della contorta spirale NGC 4319 da un astronomo armeno che impiegava un
piccolo telescopio Schmidt per selezionare oggetti dotati di forte emissione continua
nell'ultravioletto. L'americano D. Weldman ne ottenne poco dopo gli spettri rilevando z =
0.006 per la spirale e z = 0.070 per l'oggetto Markarian, che in termini convenzionali di
recessione radiale corrispondono rispettivamente a 1.700 km/sec e 21.000 km/sec.
Arp esaminò immediatamente il sistema e dopo un'esposizione di quattro ore al fuoco
primario del riflettore di 5 metri del Palomar, trovò una connessione luminosa fra il quasar e
la galassia, all'interno della quale era anche distinguibile un filamento sinuoso e ininterrotto
più stretto. I due oggetti apparivano visibilmente connessi.
Come ovvio la polemica divampò subito perché un simile collegamento minava alla radice
non solo l'inviolabile assunzione che gli oggetti con spostamento verso il rosso molto diversi
non possono essere fisicamente vicini, ma tutta la cornice dell'espansione cosmica. Vennero
fatte prontamente circolare fotografie che non mostravano il collegamento e Arp toccò i
vertici della sua crescente impopolarità quando, al Convegno d'Australia del 1973 mostrò ciò
che qualsiasi fotografo del cielo è in grado di fare, e che cioè è facilissimo ottenere immagini
senza mostrare le connessioni.
La conflittualità si mantenne altissima fino a che Jack Sulentic alcuni anni più tardi, con le
potenti risorse dei grandi analizzatori di immagini del Jet Propulsion di Pasadena, sottopose le
migliori lastre ottenute col 5 metri del Palomar e col 4 metri del KPNO al vaglio elettronico,
ottenendo un inequivocabile ponte luminoso fra la galassia e il quasar di cui qui sotto
riproduciamo l'immagine.

Fig. 2 - NGC 4319/MKN 205 (da J. Sulentic)


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La questione sembrò finalmente risolta e si cominciò tiepidamente ad ammettere che "in


qualche raro caso" fosse possibile ipotizzare un redshift anomalo di natura ignota. Nel
frattempo, col rapido progresso dell'astronomia amatoriale vennero ottenute evidentissime
fotografie del "ponte" fra il quasar Markarian e la galassia, una delle quali, ottenuta nel 1998
dai cieli d'Inghilterra con un telescopio di 50 cm di apertura (!!), sembra davvero tagliare la
testa la toro.

Fig. 3 - (D. Strange, 1998)

Ma in cauda venenum. Nell'ottobre 2002 un team di osservatori collegato alla NASA ha


prodotto una fotografia ottenuta dall'Huble Space Telescope e diramato un comunicato
stampa nel quale "si esclude l'esistenza di qualsiasi connessione" (Fig. 4). "Le apparenze
ingannano" aggiungono i ricercatori dell'Heritage Team parafrasando una precedente opinione
di Isaac Asimov: "la coppia è spaiata e separata nel tempo e nello spazio".
Se mi si perdona il riferimento, appena venni a conoscenza della release chiesi a Daniele
Carosati dell'Osservatorio di Armenzano di produrmi la migliore stampa possibile
direttamente dal sito HST, l'appoggiai sul vetro di una finestra … e la connessione apparve
evidentissima! Quasi contemporaneamente Jack Sulentic riprocessò l'immagine solo
aumentando il contrasto e con lui centinaia e centinaia di professionisti e di dilettanti che
immediatamente reclamarono l'esistenza del ponte.
Ebbi in seguito anche uno scambio epistolare con gli astronomi Calvani e Marziani di Padova
che avevano preparato un articolo sui quasar per una rivista di astronomia in edicola e a cui
avevano allegato (inutilmente) l'immagine processata da Sulentic.
I due professionisti riconobbero l'evidenza del filamento e si dolsero che la rivista in
questione non avesse pubblicato l'elaborazione fornita appositamente dallo stesso Sulentic,
ma mi precisarono che "l'interpretazione più plausibile sembra quella di una caratteristica
morfologica associata a Markarian 205, probabilmente un ramo mareale casualmente
orientato verso NGC 4319". Naturalmente ribattei che il solo motivo che può indurre a
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respingere la connessione è la discordanza di redshift, senza la quale il punto di vista


convenzionale invocherebbe immancabilmente la "fusione" tra i due oggetti.

Figg. 4-5-6 (HST ed elaborazioni)

La magra consolazione fu in pratica l'ammissione che i componenti dell'Heritage Team non


guardavano con sufficiente attenzione le foto che loro stessi pubblicavano, ma fu l'analisi
approfondita che ripetei personalmente sulle immagini originali che mi lasciò perplesso. La
foto è insolitamente molto buia ed è stata ottenuta con tempi di posa del tutto insufficienti,
mentre il filamento, inquadrato dal sensore HST meno sensibile e solitamente dedicato alle
riprese planetarie, appare proprio nel canale blu come "spogliato" delle sue informazioni
primarie. Mi rivolsi ad alcuni fra i migliori analisti d'immagine italiani - che qui preferisco
non menzionare - e tutti furono concordi nel riconoscere che il "chip" era "deteriorato". Uno
di essi mi scrisse testualmente: "E' roba da barbieri, non da astronomi". Così tentai una carta
estrema, telefonando a un influente amico di Los Angeles, un tempo "agnostico" ma oggi
convinto "bigbanger", e la sua risposta fu che sollecitare una nuova ripresa con la più
sofisticata camera ACS gli sembrava "un'idea bizzarra".
Attualmente, e con l'Huble Space Telescope avviato alla pensione, la versione ufficiale è che
il filamento non c'è, e se c'è, è un ramo mareale di NGC 4319 che cade accidentalmente
davanti a Mrk 205, oppure un ramo mareale di Mrk 205 che si protende accidentalmente
dietro a NGC 4319.

NGC 7603 A e B
Ovvero "lo strano" caso in cui due galassie collegate da un braccio di spirale, ma con redshift
discorde, esibiscono due oggetti di tipo quasar all'interno del braccio stesso …
La storia di questa decisiva configurazione affonda nello scorso millennio, e ha inizio una
notte senza luna del 1970 al Monte Palomar.
Nel corso di una survey su galassie peculiari selezionate in precedenza, Halton Arp misurò gli
spostamenti verso il rosso in un sistema binario, che viene mostrato nella Fig. 7 in una bella
immagine ottenuta da Nigel Sharp e Roger Lynds. E' considerato uno dei casi più
sorprendenti di "redshift discordi" anche dall'ortodossia, perché nessun astronomo di credo
convenzionale si è mai sentito di invocare apertamente l'accidente prospettico. Il compagno
minore compare infatti perfettamente allineato alla fine del braccio di spirale dell'oggetto più
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massiccio ma se si assume che lo spostamento verso il rosso misuri invariabilmente la


distanza e la velocità di recessione, essi devono recedere rispettivamente a 8.700 e a 17.000
km/sec e quindi trovarsi separati a enormi distanze nella profondità dello spazio l'uno
dall'altro. Questa connessione è così imbarazzante che nessuno studio approfondito fu più
effettuato dopo la scoperta di Arp, né con i nuovi giganti costruiti a terra né col Telescopio
Spaziale.

Fig. 7 - NGC 7603 (N. Sharp e R. Lynds)

Nota a margine: nel descrivere questo sistema Arp notò due condensazioni compatte
all'interno del braccio di connessione e auspicò che gli spettrografi di futura generazione
potessero ricavare ulteriori informazioni da questo caso stupefacente.
Terzo millennio: La Palma, Canarie, un'altra notte senza luna, trentun anni dopo.
In una notte con seeing eccellente due giovani astronomi spagnoli, Martin Lopez Corredoira e
Carlos Manuel Gutierrez con lo strumento di 2,6 metri del NOT (Nordic Optical Telescope) al
Roque de los Muchachos, riescono a procurarsi gli spettri delle due condensazioni immerse
nel braccio. E incredibilmente compaiono le tipiche, compatte linee di emissione dei quasar
con redshift di z = 0.391 per l'oggetto angolarmente più vicino alla galassia principale e z =
0.243 per quello più prossimo alla compagna! Il mondo avrebbe dovuto fermarsi almeno per
un giorno, ma nessun referente scientifico della Big Science riportò la notizia …
Ci sono altre notevoli condensazioni nel campo di NGC 7603A: in particolare una molto
interessante che si intravede al "tip" di un braccio che incrocia quello principale e che si volge
in direzione opposta, e un'altra proprio all'uscita del nucleo a poche decine di secondi d'arco
dal quasar con z = 0.391. Ulteriori indagini di Corredoira e Gutierrez hanno evidenziato altri
oggetti ad alto redshift (!) e i risultati sono in corso di pubblicazione (Astroph
0401147vl2004); ma le richieste inoltrate da due Istituti di Ricerca per investigare a fondo il
sistema con il telescopio orbitale Chandra operante nei raggi X e con l'8 metri del VLT al
Cerro Paranal sono state respinte.
Secondo una prassi consolidata gli astrofisici più influenti hanno evitato di commentare la
scoperta di Corredoira e Gutierrez, ma un astronomo italiano associato all'Osservatorio di
Arcetri ha recentemente dichiarato su un mensile "che una rondine non fa primavera (?) e che
si tratta di un caso statisticamente atteso che non prova nulla". "Entia non sunt multiplicando
praeter necessitatem" ammonisce citando Occam: e considerato che c'è una chance contro una
cifra di nove zeri di trovare per caso una simile disposizione, è probabile che la massima non
sia mai stata citata tanto a sproposito.
"Ufficialmente", è l'ennesimo allineamento prospettico di quattro oggetti scorrelati e separati
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nel tempo e nello spazio, e poiché la galassia di primo piano deve ruotare su stessa con tutto il
braccio, i dottorandi in astronomia possono esercitarsi fin d'ora a farlo scorrere circolarmente
come la lancetta di un orologio per ottenere il "jackpot" e per rendersi conto che viviamo
davvero in tempi straordinari.

Fig. 8 - NGC 7603 (da Corredoira e Gutierrez)

Quasar nel Quintetto di Stephan

Nel momento in cui viene scritto questo articolo, Eleanor Margaret Burbidge sta
comunicando ad Atlanta, al Convegno dell'American Astronomical Society, la scoperta di
alcuni quasar nel grembo di uno dei cinque componenti del Quintetto di Stephan.
Questo spettacolare sistema ad interazione multipla è famoso anche per presentare forti
discordanze di redshift in due delle cinque galassie, alle quali poi è probabilmente legata
anche una piccola spirale che giace sul bordo esterno del gruppo (NGC 7320 c).

Fig. 9 - Quintetto e QSO (da "Coelum" n. 70, 2004)

Sestetto, Tripletto o Quartetto, il Quintetto di Stephan raccoglie ormai da mezzo secolo una
sterminata collezione di opinioni contrastanti. Gli spettri dei quasari sono stati ottenuti la notte
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del 2 ottobre 2003 allo spettrografo del 10 metri del Keck dalla Burbidge e da Arp, ma la
storia di questa ricerca che getta nuova benzina sul fuoco ha una parte tutta italiana che merita
di essere brevemente riportata. Un paio di anni fa, il giovane Pasquale Galianni di Taranto che
fra le pause dei suoi studi di fisica si divertiva a riprocessare le immagini HST del Quintetto,
notò un paio di oggetti - uno puntiforme e l'altro di aspetto nebulare - visibili ad alcune
lunghezze d'onda in corrispondenza di un jet che emerge circa 8 secondi d'arco a Sud del
nucleo della galassia di tipo Seyfert NGC 7319. Avvalendosi di una mappa in alta energia
ricavata da un'esplorazione della Professoressa Ginevra Trinchieri con il satellite Chandra,
Galianni stabilì correttamente le corrispondenze con le controparti ottiche e coinvolse nella
ricerca Arp e Margaret Burbdige, che l'anno successivo furono in grado di osservarli al
Mauna Kea.
Gli ULX (sorgenti X ultraluminose) sono diventati un "piatto" estremamente ambito per i
ricercatori, perché potrebbero localizzare buchi neri all'interno delle galassie sotto forma di
sistemi "binari", dove cioè la stella catturata dal "mostro invisibile" comincia a spiraleggiargli
vorticosamente intorno rilasciando nella sua caduta una grande quantità di particelle
energetiche X e gamma. Un piatto che tuttavia si è rivelato estremamente salato, perché la
maggior parte degli ULX finora indagati si sono rivelati quasi esclusivamente quasar e regioni
HII. Con giovanile entusiasmo, ma basandosi purtroppo su incertezze di catalogo, Galianni
rivendicò il moto proprio di una "binaria" e così alla fine la natura dell'oggetto da lui scoperta
veniva forzatamente rimandata alle analisi spettroscopiche che soltanto un grande telescopio
avrebbe potuto effettuare.
Ora, nell'imbarazzo degli stessi educatori di fisica di Pasquale, il "quasar Galianni" risplende
al centro del Quintetto di Stephan, con z = 2.267!

Fig. 10 (da "Coelum" n. 70, 2004)


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Cosmologia al bivio

La triste vicenda di Herbert Dingle, prestigioso e influente "lettore" di Relatività all'Imperial


College del South Kensigton e poi caduto in disgrazia per via delle obiezioni che in seguito
sollevò alla coerenza della Relatività Ristretta e Speciale, dimostra che se di paradigmi si
vive, di paradigmi si può anche morire. E' stato provato che alcune sue eccezioni non vennero
formulate correttamente a causa di una "mal compresa" o "non rigorosa" applicazione degli
assiomi einsteiniani, ma nessuno è mai riuscito a dimostrare - se non attraverso idealizzazioni
di natura geometrica - che il tempo e lo spazio possono realmente dilatarsi o contrarsi.
Certo, i processi fisici accelerano o rallentano in presenza di masse o di moti accelerati, ma è
davvero il tempo (o lo spazio) a possedere requisiti e qualità "geometriche" intrinseche?
Siamo davvero in presenza di enti naturali che si incurvano e si appiattiscono o ne esprimiamo
una mera analogia attraverso un artificio matematico? Spaziotempo curvo - come obbietta il
fisico Tom Phipps - non è precisamente una contraddizione in termini?
Uno dei dilemmi più cruciali e drammatici che la fisica e la filosofia del Novecento hanno
consegnato al nuovo millennio è proprio il contenuto oggettivo o illusorio di questi "enti" e se
la struttura geometrica ideata da Minkowski per unificarli esiste realmente in natura o è un
semplice espediente operazionale. Una domanda davvero terribile dalla quale dipende in toto,
oltre alla fisica classica, la meccanica quantistica, il microcosmo, la fisica dei buchi neri e
l'avveniristica congettura delle supercorde. Una domanda dalla quale dipendono il principio di
causalità e i "viaggi nel tempo", e quindi le sorti dei logici, dei filosofi e degli scrittori di
fantascienza.
L'incalcolabile contributo epistemologico fornito da Einstein è stato di dimostrare che fra
misurante e misurato c'è un'indissolubile solidarietà, che spazio e tempo "assoluti" non hanno
alcun contenuto di oggettività e che la "direzione" del tempo attraverso lo spazio può essere
definita solo dall'azione causale. "Lo spazio tempo - ha scritto Einstein - non pretende di
avere una sua esistenza propria, ma solo di rappresentare una qualità strutturale del campo" e
che dunque i "coni di luce" o le "linee di universo" possiedono un'esistenza puramente
geometrica e non fisica. Ma allora, in quale misura una fisica dello spazio-tempo per la quale
gli enti geometrici quadridimensionali sono la fisica stessa possono sperare di rappresentare
una descrizione realistica della natura?
Poiché il sogno deterministico non morirà mai, si fa strada l'idea che l'approssimazione alla
"verità fisica" compirà un ulteriore balzo solo quando le equazioni saranno in grado di
integrare un'irreversibilità causale che prescinda da ogni espediente operazionale. Il che in
apparenza sembra impossibile, perché la nozione di temporalità è indissolubilmente legata
alla sfera di intendimento degli esseri pensanti e transitori che percepiscono e interagiscono
con l'ambiente, e che poi, in definitiva, è ciò che li ha prodotti. La teoria della massa variabile
di Narlikar e Hoyle che pure offre qualche appiglio alla suggestiva possibilità di equiparare
l'universo a una sorta di entità riproduttiva di reminiscenza organica, non sembra poter fare a
meno di un tempo cosmico dal momento che la massa delle particelle viene subordinata al
tempo e ne è anzi una funzione diretta. Ciò tuttavia è vero solo in apparenza, in quanto lo
sviluppo e la crescita di massa sono più sottilmente legati all'interscambio particellare, o
meglio alle particelle con le quali la protoparticella appena "emersa" è in grado di scambiare
interazioni e di mutuare "gravitoni" in un raggio che da "zero" si espande alla velocità della
luce. In questo quadro la massa di una particella è ciò che la massa stessa è in grado di
"vedere" o di scambiare in un orizzonte che si dilata alla velocità della luce. Dopo un secondo
è il prodotto di ciò che ha incontrato in trecentomila chilometri, dopo un'ora è quel che ha
"mutuato" dopo un'ora luce e dopo un milione di anni è il prodotto dell'interazione che è stata
in grado di realizzare in una sfera dal diametro di due milioni di anni luce. Poiché - a rigore -
le propagazioni elettromagnetiche non dipendono dal tempo ma dalle loro velocità di
propagazioni, abbiamo una teoria della materia essenzialmente machiana che non dipende dal
37

"Tempo" ma dagli effetti delle propagazioni. E' una situazione completamente nuova per la
fisica, una situazione che in termini grossolani equivale a dire che una massa è ciò con cui
interagisce dal momento della sua nascita. Che, ancora, non dipende dal Tempo, ma da ciò
che incontra e con cui interagisce. E' una distinzione cruciale, perché una "bolla interattiva"
creata a massa prossima a zero e che si espande alla velocità della luce, è anche funzione della
densità circostante in cui appare e si sviluppa. Sembrerebbe inevitabile che un "punto" di
creazione a m = 0 che emerga in una zona a bassa densità acquisisca massa a un tasso più
lento di un altro che venga a formarsi contemporaneamente in una regione di universo ad alta
densità.
Il formalismo matematico della cosmologia a massa variabile è, come noto, un universo non
in espansione e a spazio piatto (euclideo) in cui:

m = m(t),

= =1+z

e quindi Ho (costante di Hubble):

Ho = =

nella quale non compare un'ipotetica variabile xo (densità dell'orizzonte) che tuttavia potrebbe
essere ricavata empiricamente da misurazioni spettroscopiche della struttura fine e iperfine
degli oggetti ad altissimo spostamento verso il rosso (che secondo questa teoria sono
considerati i più intrinsecamente giovani).
Nuova fisica, evidentemente, variabilità delle costanti, masse differenziate delle particelle,
atomi ed elettroni … distinguibili in base all'età. Una rivoluzione da far tremare le vene ai
polsi: che tuttavia dovrebbe costituire una sfida irresistibile per i teorici e per gli sperimentali.
Forse le costanti fisiche che abbiamo determinato sulla terra - compresa quella gravitazionale
- potrebbero modificarsi se le trasportassimo in blocco fra le spire di NGC 7603? E' forse
quest'idea più strampalata di quella che teorizza viaggi lungo linee geometriche che
conducono a tempi in cui il nostro DNA non era ancora disponibile? Questa è la sfida.
Nel frattempo abbiamo una cosmologia che convive con la sua falsificazione osservativa, che
rivela galassie interagenti con redshift discordi in cui le più massicce sono sistematicamente
quelle con redshift più basso, dove i quasar cadono sistematicamente vicini o sono addirittura
immersi in quelle più attive, dove sistematicamente getti e controgetti spettacolarmente
collimati riversano immense quantità di materiale energetico nei gamma, negli X e in radio
verso punti dello spazio circostante. Materia che cade fuori: fuori e non dentro in un processo
moltiplicativo continuato e palesemente riproduttivo.
Quanto tempo occorrerà per riconoscere che i redshift non hanno a che vedere con la distanza
o con la velocità? Quanto tempo ancora occorrerà agli astronomi per domandarsi perché i
quasar sono finiti lì, nelle vicinanze delle galassie? Quanti altri "allineamenti prospettici"
saranno necessari per archiviare la sacra assunzione che ogni punto dell'universo deve trovarsi
alla distanza del suo spostamento spettrale? Si conoscono redshift a z = 4, 5, 6 e più, valori
che per la cinematica classica corrispondono a quattro, cinque, sei volte la velocità della luce
e che vengono integrati con una correzione di "estrazione relativistica" secondo la quale - e
per quanto alto possa essere z - il loro moto di recessione non può mai superare la velocità
della luce. E anche qui la domanda è: perché mai questa "ovvia" correzione se la velocità
effettiva di quegli oggetti è di fatto sempre inferiore a quella della luce?
38

La relazione di Hubble come relazione di età

Il risultato più sorprendente delle relazioni matematiche della massa variabile che abbiamo
riportato è che con queste si risolvono le altrimenti inspiegabili "anomalie" e discordanze di
redshift: più antico è l'oggetto osservato più basso è il suo spostamento spettrale, più giovane
è l'oggetto osservato più alto è il suo redshift. Per oggetti della medesima età ma che si
trovano a distanze molto diverse, la differenza di redshift è prodotta evidentemente dal solo
lookbacktime, che esibirà uno spostamento verso il rosso più alto rispetto all'oggetto che lo
osserva a causa della distanza spaziale che lo separa. E poiché nuova materia viene
continuamente a formarsi nell'universo, la determinazione delle distanze per chi compie le
misurazioni in base all'"età" del proprio sistema di riferimento diviene un affar serio quando
indicatori indipendenti (cefeidi, nebulose planetarie, regioni HII, supernovae etc.) non sono
disponibili. L'omologazione dei quasar a compagni giovani poco luminosi delle galassie (e
che dunque verosimilmente non potrebbero essere osservati alle più grandi distanze) rende
automaticamente l'universo molto più denso e contenuto e contemporaneamente le immense
distanze a cui ci aveva abituato la cosmologia dell'espansione si ridimensionano
drasticamente. Occorreranno molti decenni di osservazioni per inquadrare questo nuovo
scenario davanti al quale, per il momento, la tentazione è di identificare il Superammasso
Locale con tutto l'universo osservabile. Che cosa ci sia, e se si possa osservare
strumentalmente qualcosa al di là del Superammasso, è al momento una domanda pendente.
E' tuttavia sempre un notevole shock ricordarsi che se guardiamo una galassia posta alla
"breve" distanza di 3,26 milioni di anni luce, ciò che vediamo risale a 3,26 milioni di anni fa,
perché tanto ha impiegato quella luce partita dal passato a colmare la distanza fino a "noi-
ora". Se si tratta di una galassia molto simile alla nostra, le equazioni della massa variabile ci
forniscono l'informazione che il suo spostamento verso il rosso era in quel momento di un
ordine che in termini convenzionali di "velocità" ammonta a circa 45 km/sec di redshift
positivo rispetto allo spettro di riferimento. Ma 3,26 x 10 6 anni luce è uguale a 1 Megaparsec,
cosicché otteniamo una relazione redshift-distanza di circa 45  7 km/sec per Mpc che è
anche un valore abbastanza vicino a quello della "long distance" con Ho = 52 km/sec per Mpc.
Così lo shock può perpetuarsi nell'intuire all'improvviso che l'universo non ha alcun bisogno
di essere in espansione! L'enunciazione rigorosa per la cosmologia alternativa di Arp e
Narlikar è che per galassie che vengano a formarsi nello stesso momento (cioè per galassie
"coeve", qualitativamente simili alla nostra) l'accordo con la convenzionale legge di Hubble è
mantenuto, ma che la relazione empirica spostamento verso il rosso - magnitudine apparente è
immediatamente risolta in termini di età e di luminosità! Senza alcun bisogno di "dilatare" lo
spazio, di imbottire l'universo di materia "oscura", di attribuire ai quasar luminosità
prodigiose e di invocare sistematicamente accidenti di prospettiva.
Rimandando ai testi della bibliografia, possiamo qui concludere brevemente che la
trasformazione statica della soluzione di Friedman richiede operazionalmente due scale
temporali, una considerata dall'osservatore che è parte dell'età della sua propria galassia,
l'altra considerata da un osservatore in un sistema di riferimento esterno. Se dovessimo
guardare un oggetto molto giovane da un sistema molto più antico (come per esempio la
nostra Via Lattea) la scala temporale dei suoi processi fisici ci apparirebbe fortemente
rallentata poiché le masse delle particelle che lo costituiscono sono più piccole e quindi tutte
le oscillazioni - come orologi che ritardano - sono più lente. Come dice Arp "il significato di
queste due scale temporali è evidentemente che dobbiamo vivere per un periodo lungo per
poterci vedere come gli altri ci vedono". Dopo tutto la teoria della massa variabile è una teoria
di "massa crescente" in cui l'alto redshift intrinseco della materia che si condensa
nell'universo decade rapidamente man mano che l'oggetto evolve fino ad azzerarsi o a
volgersi addirittura in uno spostamento verso il blu. Il destino ultimo della materia "evoluta"
resta al momento una questione aperta, affascinante quanto irrisolta.
39

L'ironia è rappresentata dal fatto che se trasportassimo un cosmologo del Big Bang con il suo
spettrografo e le sue relazioni di distanze e velocità in un sistema neonato (ad altissimo
redshift intrinseco), questi sperimenterebbe un universo complessivamente spostato nel blu.
Ne dedurrebbe paradossalmente che viviamo in un universo in contrazione, che forse a partire
da uno stato di estensione infinita sta franando su se stesso per produrre una singolarità di
raggio zero. Un "big crunch", una "brama di unità" degna in tutto e per tutto
dell'immaginazione di Edgar Allan Poe, che realmente la descrisse nel suo poema cosmico
"Eureka" del 1848.

E' possibile un cambio in cosmologia?

La cosmologia è una scienza impossibile. Nessuno può dire che cos'è l'universo, se mai è
"cominciato", se mai "finirà" o se invece è il prodotto di infinite trasformazioni. Ma possiamo
decidere sperimentalmente se i quasar sono connessi alle galassie e se l'interpretazione dello
spostamento verso il rosso degli oggetti cosmici in termini di recessione e di dilatazione dello
spazio è smentita dalle osservazioni.
I libri e gli atlanti di Arp sono noti in tutto il mondo ma, soprattutto i primi, non facilmente
reperibili: l'edizione italiana di "Quasars, Redshifts and Controversies" (1987) è praticamente
introvabile mentre la traduzione di "Seeing Red" (Apeiron, Canada, 1998) annunciata da
quattro anni dalle Edizioni Coelum sta ancora lottando con problemi di "brochure" o di
rilegatura.
Con il permesso dell'Autore, concludiamo riproducendo il paragrafo finale di un suo articolo
di una dozzina di anni fa, pubblicato in italiano dall'Editore "Il Poligrafo" (1994) [H. Arp,
"Cosmologia: Una ricerca per il passato e per il futuro", 1993].

"Se è corretta la teoria di un non expanding universe e in creazione continua come ho


ricavato in base ai dati dell'osservazione, allora non può esserlo quella basata sulla comune
credenza che l'universo sia sorto da un big bang. Nasce così l'obiezione di come abbia potuto
essere così drammaticamente sbagliata l'immagine fondamentale dell'universo che viene
fornita da tanti decenni. Ogni lettore o persona interessata ai fatti dovrà, come ovvio,
formarsi un'opinione in base ai dati osservativi e alle argomentazioni che sarà in grado di
raccogliere, ma se il modello a creazione continua è quello corretto, la mia opinione sul
perché il Big Bang sia stato inculcato in modo così sistematico e che i dati osservativi che lo
confutano sono stati semplicemente soppressi.
La mia esperienza è che i primi dati contraddittori apparsi nel 1966 furono pubblicati
puntualmente e riscossero notevole attenzione, ma non appena le conseguenze cosmologiche
divennero chiare, fu sempre più problematico pubblicare e discutere le osservazioni che
minavano l'assunzione per la quale il redshift è sempre e comunque un indicatore di distanza
e di velocità. Con i dati contrari che diventavano sempre più forti, referee e curatori
stabilirono semplicemente che non potevano essere corretti e bloccarono queste
comunicazioni. I comitati per la gestione dei grandi telescopi furono pronti a considerare
queste ricerche alternative come "prive di significato" e non venne concesso ulteriormente
l'accesso a quei telescopi. Come inibitore particolarmente potente, perfino le promozioni e in
ultima analisi l'impiego vennero regolati sull'adesione alle visioni ortodosse.
Se quanto detto è vero, è facile capire come un'impostazione teorica non corretta possa
essere custodita e persino rafforzata con "scoperte" di materia invisibile, geometrie
"accelerate" e schemi sempre più complicati per la formazione e l'evoluzione delle galassie.
Come gli epicicli di Tolomeo, ogni contraddizione della teoria poté essere reinterpretata
come un ulteriore abbellimento dell'assunzione che regola l'interpretazione dei redshift
extragalattici. Ma come il lungo periodo trascorso da Aristarco a Copernico, non c'è al
momento alcuna garanzia che le argomentazioni e i dati reali, anche se esaminati, potranno
aprire un varco nella massiccia ortodossia istituzionalizzata.
40

Come si fa allora a decidere che cosa sia "corretto"? L'unica possibilità di cambiamento è
che il pubblico interessato a questi grandi temi si convinca autonomamente e individualmente
circa ciò che è "corretto". Molte persone tuttavia, anche fra gli addetti ai lavori, esitano a
prendere una decisione che indiscutibilmente presenta degli elementi conflittuali. I più
disponibili possono tutt'al più dire: "Gradiremmo maggiori dati e maggiore discussione
prima di decidere che cosa riteniamo sia giusto". L'importante messaggio che reca questo
articolo è che, se le persone desiderano avere questi dati ulteriori e questa maggiore
discussione, dovrà essere compiuta una riforma assai difficile nell'ambito accademico
dell'astronomia extragalattica, della libertà di indagine e di accesso alla comunicazione.
Questa riforma mi sembra attualmente così ardua e temeraria che sarei portato a supporre
con tristezza che solo attraverso coloro che cercano articoli come questo su riviste non
professionali, i singoli individui potranno man mano consolidare un'opinione di massa che
forzi un cambiamento nel modo con cui è condotta questa disciplina così speculativa e
controversa. Mi sembra che la moltitudine crescente dei non professionisti e degli
appassionati che già comprendono questi argomenti contrari sia al momento ciò che
maggiormente può alimentare la speranza di condurci a una revisione nella cosmologia e
nella scienza, i cui effetti potrebbero essere paragonabili a quella rivoluzione nella
democrazia politica che fu provocata dall'Illuminismo".
Halton Arp

La radiosorgente doppia 3C 343.1. La coppia galassia-quasar ha una separazione di 0,25"


(z = 0.34 per la radiogalassia e z = 0.75 per il QSO) e risulta fisicamente connessa da materiale radio.
(Radiomappa a 1.6 GHz di Fanti et al. 1985).

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[Una presentazione dell'autore si trova nel numero 2 di Episteme.]

gmorelli@infotel.it

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