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Il sogno dellaccesso universale al sapere

- Andrea Capocci, 13.01.2019

Didattica online. La spinta verso un'istruzione dematerializzata si è condensata in una sigla


misteriosa, Mooc (lezioni aperte di massa su Internet, gratuite). Ma le varie piattaforme si stanno
rapidamente riciclando, fungendo da agenzie per le università tradizionali

Le profezie sull’impatto di Internet sulla scuola non mancano e di solito si presentano sotto forma di
terremoti, rottamazioni, attentati dinamitardi. Nel suo ultimo saggio The Game, ad esempio,
Alessandro Baricco scrive «le prime cose che andranno al macero, dritte dritte, saranno la classe, la
materia, l’insegnante di una materia, l’anno scolastico, l’esame. Strutture monolitiche che vanno
contro ogni inclinazione del game».
Il «game», se fosse sfuggito a qualcuno, è il nostro attuale modo di vivere con lo smartphone
perennemente in mano, in cui ogni attività (dalle chiacchiere alle corse in metropolitana) prende le
sembianze di un videogioco, o si estingue.

UNO DEI FATTORI che avrebbe dovuto far esplodere le aule scolastiche è proprio la didattica
online: perché obbligare maestri professori e alunni a frequentare edifici fatiscenti intitolati a
lontanissimi eroi risorgimentali per imparare la matematica e l’italiano, quando si può fare da casa
(o dalla metropolitana) grazie al suddetto smartphone? I vantaggi sono evidenti. Per i docenti, basta
con la monotona ripetizione di lezioni che possono essere videoregistrate una volta per tutte (ma
forse basta anche con lo stipendio). Per gli alunni, addio a sveglie all’alba, interminabili seste ore e
bagni senza carta igienica.
Nell’ultimo decennio, questo desiderio di un’istruzione che si dematerializza si è condensato in una
sigla misteriosa: Mooc. Sta per «Massive Open Online Courses», cioè Lezioni aperte di massa su
Internet. Con questa sigla si indicano i corsi organizzati dagli atenei di tutto il mondo e che possono
essere seguiti a distanza, basta disporre di una connessione a Internet. Se a qualche lettore viene in
mente il mitico «Progetto Nettuno», quello dei corsi televisivi di ingegneria meccanica all’una del
mattino di tanti anni fa, è sulla buona strada. Solo che adesso, grazie a Internet, si può imparare
gratis a progettare una trivella seduti sulla tazza con un tablet sulle ginocchia, ricevendo pure un
«certificato di frequenza». E con poche decine di euro in più, i test online verificano le competenze
apprese e forniscono un vero diploma in formato pdf.

QUESTE LEZIONI sono offerte ormai da moltissime università in tutto il mondo, dalla Sorbona a
Berkeley, dall’Università di Hong Kong alla Sapienza, più le tante aziende e enti no-profit del settore
educativo. Già nel medioevo, i sapienti avevano capito che unire tutti gli insegnamenti in un unico
posto poteva facilitarne la fruizione e inventarono le università. La stessa cosa avviene online: i
Mooc sono riuniti in poche «piattaforme» digitali, che si chiamano EdX, Coursera o Emma, il portale
messo su dall’Unione europea per fare concorrenza agli americani.

LE UNIVERSITÀ statunitensi sono partite prima, avvantaggiate dalla lingua inglese. D’altronde, se
un docente del Mit di Boston si mette a spiegare microeconomia su Internet, troverà milioni di
studenti interessati in Cina, India, Sudafrica. Ma oggi anche le università europee sono ben presenti
sul web. Attenzione: non stiamo parlando di «università telematiche», come ce ne sono molte già in
Italia. Lì ci sono lezioni online, ma poi all’università ci si va davvero per fare gli esami e parlare con i
tutor, e l’iscrizione costa anche più che in un’università tradizionale. No: i Mooc sono
tendenzialmente gratuiti, non ci sono corsi di laurea, il docente lo si vede solo sullo schermo e non
c’è alcun bisogno di muoversi da casa.
Quando la fondatrice della piattaforma Coursera, Daphne Koller, si presentò nel 2012 parlò di
«accesso universale all’educazione»: per la prima volta, avrebbe dato la possibilità a chiunque,
indipendentemente dalle risorse economiche, la possibilità di accedere a un’istruzione di alta qualità.
Una cosa molto simile alla rivoluzione, bisogna dire. Ha funzionato? Se lo sono chiesto anche Justin
Reich e José A. Ruipérez-Valiente. I due studiano i sistemi di istruzione telematici per il Mit di
Boston dov’è stata fondata EdX, una delle piattaforme più popolari per seguire corsi online. Reich e
Ruipérez-Valiente hanno analizzato i dati sulle iscrizioni e sugli esiti dei corsi disponibili su EdX dal
2012 al 2018.

I RISULTATI della loro analisi sono pubblicati sull’ultimo numero della rivista Science. L’enorme
base di dati, quasi sei milioni di studenti virtuali per un totale di dodici milioni di iscrizioni ai corsi,
potrebbe suggerire che la rivoluzione è in atto. Ma se si approfondisce, si scopre che gli iscritti
hanno raggiunto un picco nel 2016 e da due anni sono in calo. Inoltre, il 52% degli iscritti ai corsi
non inizia nemmeno a seguirli. Molti di loro, in effetti, si iscrivono giusto per dare un’occhiata. Degli
altri questi, secondo una ricerca precedente dello stesso Reich, poco più del 10% arriva in fondo al
corso. In totale, circa il 5% degli iscritti completa i corsi. Anche l’obiettivo di superare le barriere
globali sembra fallito. L’80% degli iscritti alle lezioni online proviene dai paesi con un Indice di
Sviluppo Umano «molto elevato» secondo la classificazione Onu. Gli iscritti dai paesi meno sviluppati
sono solo il 2-3%.

Fallito lobiettivo della rivoluzione didattica, spiega Reich, le varie piattaforme si stanno rapidamente
riciclando e stanno entrando nello stesso segmento delle «università telematiche». Sempre più
spesso fungono da agenzie a cui le università tradizionali esternalizzano la didattica a distanza a
pagamento, con buona pace della gratuità e del divario globale. In effetti, le loro potenti
infrastrutture digitali consentono di abbattere i costi per le università intenzionate a virtualizzarsi. E
il sogno del sapere universale sbiadisce nella logica del subappalto.

NOTIZIE BREVI DI SCIENZA

Onde radio dal cosmo


Il telescopio canadese Chime (Canadia Hydrogen Intensity Mapping Experiment) ha rilevato 13
lampi veloci di onde radio. Si tratta di radiazioni elettromagnetiche molto brevi provenienti dal
cosmo di cui gli astrofisici non conoscono ancora l’origine. Secondo gli astrofisici che hanno
pubblicato la scoperta sulla rivista Nature, si tratta di segnali provenienti dallo spazio esterno alla
Via Lattea, la galassia a cui appartiene anche il Sistema Solare. Un simile segnale dovrebbe essere
generato da oggetti di grande densità, come i buchi neri. Il telescopio è riuscito a rilevare anche
lampi ripetuti, cioè provenienti dalla stessa regione del cielo. Si tratta di un evento raro che
potrebbe rivelarsi decisivo nel capire la sorgente delle radiazioni. Potrebbe trattarsi di un oggetto
cosmico ancora sconosciuto. L’ipotesi che provengano da una civiltà extra-terrestre, molto suggerita
dai media, è in realtà solo un’invenzione giornalistica.

Loceano è sempre più caldo

Il 93% del calore accumulato dall’atmosfera (effetto serra) viene assorbito dagli oceani e ne causa il
riscaldamento. Una ricerca pubblicata su Science da un team di ricercatori cinesi e statunitensi
rivela che dal 1991 a oggi il tasso di riscaldamento degli oceani è raddoppiato rispetto ai decenni
precedenti. Dato che il riscaldamento dell’acqua ne provoca la dilatazione termica, gli scienziati
prevedono che il livello degli oceani nel 2100 sarà 30 cm superiore a quello attuale in assenza di
politiche climatiche efficaci. A questo innalzamento bisognerà sommare quello dovuto al riversarsi
nel mare dell’acqua contenuta nei ghiacciai terrestri.

Crispr per i nuovi antibiotici

La tecnica di modifica genetica Crispr è stata adattata in modo da capire quali siano i meccanismi su
cui agiscono gli antibiotici. La variante, denominata Mobile-Crispri, non serve a modificare, ma a
«spegnere» i geni che codificano la produzione delle proteine nei batteri. L’azione degli antibiotici è
mediata proprio dalle proteine, ma non sempre è chiaro il meccanismo di azione. Annullando
selettivamente la produzione delle proteine e osservando la variazione dell’effetto dell’antibiotico, si
può scoprire qual è la proteina responsabile dell’azione del farmaco. Chiarire questi meccanismi
potrebbe aiutare a sviluppare nuovi antibiotici. Quelli attualmente a disposizione risultano sempre
meno efficaci a causa della crescente resistenza sviluppata dai batteri più comuni. La scoperta,
realizzata dai biologi dell’università di Madison (Wisconsin, Usa) è stata pubblicata dalla rivista
Nature Microbiology.

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