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Donne, se fate figli è un problema vostro ed è

giusto che vi sottopaghino


Donne | 28 gennaio 2018

Elisabetta Ambrosi

Nella comunicazione vige una regola aurea: se un commento, un articolo o un’esternazione sono troppo
stupidi, patetici e soprattutto in malafede per essere commentati, la scelta migliore è lasciarli senza
risposta, affinché cadano nel dimenticatoio il più presto possibile. L’articolo di Vittorio Feltri, sui compensi
delle donne e delle madri, rientrava senz’altro in questa casistica, con l’aggravante di una scrittura da
bambino delle medie. Tuttavia, siccome il signore in questione, le cui argomentazioni hanno purtroppo
grande seguito tra gli uomini, è il direttore di un giornale, nonché giornalista assai presente nelle
trasmissioni tv, vale il caso di spendere qualche parola sulla sua complessa, sofisticata e brillante
argomentazione. Che è la seguente: le donne guadagnano meno, ma il motivo è che fanno figli, e facendo
figli si devono assentare dal lavoro e siccome quando si assentano dal lavoro non prendono soldi allora è
normale che guadagnino di meno.

In più, scrive l’acuta penna, fare figli non è un obbligo ma un hobby come coltivare le patate, per questo le
donne – “matrone che sfornano figli” – non possono pretendere, se fanno bambini, di essere retribuite come
gli uomini che fanno lavori “veri”, né tantomeno chiedere uno stipendio se vogliono fare le casalinghe. Fine
del profondo ragionamento. Che imbarazzerebbe, quanto a connessioni logiche, e soprattutto informazioni
sulla realtà, anche un’insegnante di una classe di adolescenti. Ah, dimenticavo, la base finemente filosofica
del pezzo di Feltri è che “la natura non è democratica” e quindi le donne devono accettare le asimmetrie
senza fiatare.

La prima riflessione da fare su questa non-riflessione è che ovviamente è in totale malafede. Com’è noto
Feltri ha figli, maschi e femmine, e nipoti, e non crediamo, ma le interessate ci scrivano se sbagliamo, che
Feltri consideri le proprie figlie e nuore “matrone sforna figli” e che protesti vivamente, ad esempio
telefonando ai loro datori di lavoro, affinché le sottopaghino rispetto agli uomini. Né crediamo consideri i
propri nipoti meno che nulla, come invece sembra valutare i figli delle donne comuni, anzi probabilmente
sarà un nonno che stravede per i suoi bambini, mentre sembra invece considerare ininfluente che esistano o
non esistano i bambini di altri. È la solita miopia dei potenti, nella storia ce ne sono stati a milioni così.
Affettuosi e amorevoli con i propri amati, sprezzanti verso il popolo senza nome né volto.

Ma veniamo all’ “argomentazione”. È del tutto evidente che un figlio si faccia in due. Ma il
“ragionamento” di Feltri è che la natura è antidemocratica e che quindi bisogna accettare che chi porta la
pancia sia penalizzato. Ma si tratta di una tesi che è eufemistico definire rischiosa. Se infatti vogliamo
azzerare la scienza e la cultura, che servono appunto a compensare le iniquità della natura, proteggendo i più
deboli e portando eguaglianza di diritti e di opportunità, dobbiamo immaginare un mondo selvaggio dove
non esista alcuna legge né diritto, e il più forte prevalga sul più debole. Non credo che questo convenga al
direttore di Libero, il quale, essendo anziano e dunque debole, sarebbe prontamente spazzato via dalla prima
belva, ma che dico, belvetta.
Ma parlando di ignoranza. A Feltri manca qualche elementare nozione di diritto del lavoro. Perché
dovrebbe sapere che quando una donna va in maternità esiste un istituto di previdenza che paga il suo
stipendio al datore di lavoro, mentre la donna riceve uno stipendio, sempre pagato anche con suoi contributi.
Tutto questo serve proprio a garantire una continuità sia al datore di lavoro che alla donna, che quando
ritorna dovrebbe trovare lo stesso posto e lo stesso stipendio di prima. Non è chiaro dunque perché la paga
della donna che fa figli dovrebbe essere inferiore a quella di un uomo di identica mansione che i figli li fa
pure lui, ma senza andare in maternità. O forse la carriera si gioca tutta in quei pochi mesi – trovatemi una
donna che oggi va in maternità per anni – in cui una madre è assente? Invece Feltri ci dovrebbe spiegare, ma
ovviamente non è in grado, perché a parità di mansione le donne, tranne che nei settori pubblici o molto
protetti, guadagnino meno degli uomini, perché inoltre abbiano stipendi molto più precari, perché prendano
pensioni ridicole in confronto a quelle degli uomini. E tutto questo,  anche senza figli (oggi una su due
donne resta senza) o facendo uno – uno! – solo. L’unica spiegazione possibile è che le donne italiane sono
penalizzate sui luoghi di lavoro esattamente in quanto donne, e non a caso tutti gli indicatori internazionali
ci mettono agli ultimi posti quanto a gender gap (che per Feltri non esiste), retribuzioni femminili, povertà
femminile e insieme, paradossalmente, numero di figli.

E veniamo all’ultima argomentazione. Da quanto dice Feltri, i figli in sé non sono un valore. Che ci siano o
meno non cambia nulla. Che le donne li facciano o meno non cambia nulla. Sono un hobby come il suo,
quello dell’orto, solo una questione privata. Evidentemente, il direttore di Libero ignora l’esistenza di una
disciplina che si chiama demografia. E che misura la salute di una società proprio in base alla questione del
ricambio tra generazioni. L’Italia è in una situazione gravissima, perché si trova in una sorta di piramide
rovesciata, dove a pochi giovani corrispondono tantissimi anziani. Detto in soldoni, questo significa che
tra poco per dieci anziani che prendono pensione e hanno bisogno di qualcuno che li curi ci saranno molti
meno giovani di quelli che sarebbero necessari. Vorrebbe Feltri essere uno di quelli a cui non capita
l’assistenza, e quindi rimanere sia senza pensione sia senza qualcuno che gli pulisca la bava quando non
potrà farlo da solo? Non credo. Dovrebbe essere grato a quella donna che ha partorito quel figlio che
presto lo imboccherà? Credo di sì. E credo, anzi sono sicura, che fare quel figlio non sia una questione
privata, appunto, ma pubblica. Ma se è pubblica lo Stato deve mettere le donne in condizioni di fare figli,
oltre che favorirle il più possibile quando intendano farlo, come d’altronde in tutti i paesi civili del
mondo. E tutto questo solo da un punto di vista utilitaristico, al netto cioè della felicità che un figlio porta a
livello individuale e collettivo.

L’ultima battuta è sul “lavoro vero”, l’unico che secondo Feltri dovrebbe essere pagato. C’è da chiedersi se
sia più vero il lavoro di un giornalista che se ne sta comodo sulla sua sedia a scrivere commenti come
questo, peraltro riccamente finanziato da fondi pubblici, o quello di una madre precaria che oltre a
lavorare, magari andando alle sei del mattino a pulire le scale del Feltri-condominio, tira su due figli che
presto saranno utili alla società. Ma su questo spero che i commentatori di questo blog non abbiano dubbi.
Possiamo avere parere diversi sui ruoli dell’uomo e della donna e sulle istanze delle femministe. Ma
dovremmo invece avere opinioni identiche sui deliri di un giornalista al quale bisognerebbe obiettare una
cosa sola: mi scusi, ma lei che cavolo sta dicendo?
Paternità, otto ragioni per cui non ne resta più
nulla

Diritti | 27 novembre 2018

Marcello Adriano Mazzola Avvocato, rappresentante istituzionale avvocatura

Che cosa resta della paternità? Nulla, o quasi. Non perché non ve ne sia più la presenza, peraltro anche
forte come in questi anni, ma perché si vuole che non vi sia proprio più.

1. Partiamo da una riflessione banale: nell’ultimo decennio, almeno, i mass media propongono il modello
della donna forte, aggressive, dominatrice, vincente. Sullo sfondo compare specularmente un modello di
uomo, dominato, debole, efebico. Il messaggio implicito che si invia è semplice: è finito il tempo del
dominio dell’uomo (poco importa che in varie realtà esistano società interamente matriarcali), è cominciata
l’era del dominio delle donne.

2. Altra, recente, constatazione: solo una settimana fa l’attrice Angela Finocchiaro descriveva in prima
serata su Rai3 (e a una vasta platea di ascoltatori, tra cui certo molti bambini e adolescenti) la seguente
chiara locuzione/mantra: “ricordate che gli uomini sono tutti pezzi di merda” e su domanda di una bambina
se lo fosse anche il suo papà, replicava: “soprattutto il tuo papà”. Con Serena Dandini che, nel ricordare poi
che in realtà i bambini non stavano interagendo con la Finocchiaro, ha aggiunto “peccato”. Pertanto tutti gli
uomini – soprattutto se padri – sarebbero delle merde, secondo questo nobile insegnamento (evidentemente
misandrico). Un pensiero, questo, che traspare neanche tanto isolato se si seguono attentamente i social.
Ovviamente fosse accaduto l’inverso, descrivendo le donne e madri in tal modo, sarebbe già intervenuto
l’Onu.

3. Ogni donna ha la libertà di abortire nel rispetto della c.d. legge sull’aborto, 22 maggio 1978, n.194, che
non discuto in quanto è stato il frutto di una legittima conquista. Invito tuttavia a un’altra riflessione: quanto
conta il parere del “divenendo padre” dinanzi alla volontà di abortire della corrispettiva donna (all’interno di
un’unione tra i due ovviamente)? Zero.

4. Esiste un’ampia giurisprudenza che riconosce la responsabilità civile per deprivazione genitoriale (con
la conseguente condanna al pagamento di sontuosi danni patrimoniali e danni non patrimoniali, anche a
centinaia di migliaia di euro) del padre che si sarebbe sottratto all’accudimento (cura, mantenimento, etc.)
dei figli, ancorché egli abbia dimostrato che i figli non siano stati da lui voluti o che addirittura egli ne sia
stato escluso sin dall’inizio.

5. Nel caso di “falsa attribuzione della paternità”, ossia quando la donna/madre lascia credere
all’uomo/padre di essere il genitore biologico del figlio, per anni se non per la vita intera, improvvisamente
la responsabilità civile per i danni riportati dal beffato diviene miserrima (tra tutte: il Tribunale di Taranto
nel gennaio 2015 riconobbe un risarcimento del danno in 10mila euro anche se il padre aveva creduto essere
suo figlio biologico il minore per 15 anni; nel febbraio 2015, il Tribunale di Firenze risarcì con 5mila euro il
padre che aveva fatto legittimo affidamento sulla paternità per 15 mesi).
6. La persistente cultura matriarcale nelle corti di giustizia che pretende di assegnare un ruolo marginale al
padre (frequentatore, visitatore, al pari di un turista etc.) e un ruolo di dominio assoluto alla madre (non a
caso definito genitore “collocatario”, così scelta nel 95% dei casi) anche in tutte (e oramai tante) situazioni
familiari in cui c’è un’equa ripartizione dei compiti genitoriali.

7. Conseguente alla sesta, la pervicace e surreale accusa al Ddl Pillon (il cui scopo principale è solo di
realizzare il “rapporto equilibrato e continuativo”, ex art. 337 ter cod. civ. secondo cui “il figlio minore ha il
diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”, preteso dal legislatore
anche con la legge sull’affidamento condiviso, in favore della bigenitorialità e dunque dell’autentico
interesse del minore) di volere restaurare una cultura patriarcale, attraverso una nuova patria potestà.

8. Lo scarso peso che si continua a dare al congedo parentale paterno, quando invece occorrerebbe
riconoscere un serio periodo di congedo, così da responsabilizzare i tanti padri che pure lo desiderino.

In conclusione: la società è molto cambiata ma c’è chi vuol continuare a farci credere che sia rimasta al
1970/1975. C’è bisogno invece, per il benessere di tutta la società, che la paternità venga rispettata, tutelata e
sostenuta. Non denigrata e ostacolata.

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