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La pagina bianca: piccoli trucchi per non farsi prendere dal panico

di Luisa CARRADA

La sindrome della pagina bianca la conosciamo tutti, almeno dai tempi della scuola: il foglio vuoto, il
traguardo delle quattro colonne del foglio protocollo, il tempo che passa e il panico che incalza. Un panico
che continua a ripresentarsi ogni volta che sul lavoro dobbiamo scrivere un documento: una lettera, una
brochure per la nostra azienda, la risposta a un bando di gara, la presentazione di un progetto. Chi è abituato
a scrivere molto, nel tempo elabora una serie di trucchi che mette in azione alle prime avvisaglie di panico. I
trucchi possono essere molti e molto personali, ma il migliore è quello di non trovarsi di fronte alla pagina
bianca.
Ecco una serie di suggerimenti e di regole utili:

1. Non aspettate l’ispirazione, progettate il vostro testo. Preparate con cura la scaletta, appuntandovi tutte
le idee e i contenuti che volete esprimere, anche alla rinfusa. Continuate con il metterli in ordine e
numerandoli, dando loro senso e sequenzialità. A margine, o in una seconda colonna, scrivete con chiarezza
e in neretto l’obiettivo del vostro documento, i messaggi più importanti, gli elementi di attenzione.

2. Preparate una lista di parole chiave, quelle più attinenti al vostro argomento, cui potrete attingere in fase
di redazione.

3. Una volta ultimata la scaletta, non siete più davanti alla pagina bianca, ma al progetto del vostro testo.
Avete la sensazione di aver fatto già una buona dose di lavoro e soprattutto di avere le idee chiare su quello
che dovete scrivere.

4. Un altro vantaggio che ora avete è quello di poter cominciare da dove volete, anche dalla fine se vi riesce
più facile. Mettetevi davanti alla scaletta e cominciate da un punto qualunque. Tanto avete ormai la vostra
griglia sotto gli occhi e non rischiate di perdere il controllo del documento. Man mano che andate avanti nel
lavoro di scrittura, spuntate tutte le parti già scritte. Potete così visualizzare i progressi e andare spediti verso
la conclusione.

5. Dimenticate la sindrome da "tema in classe". Non pretendete di partire con una grande apertura, di avere
una grande idea, una grande metafora, per cominciare. È molto meglio avere tante piccole buone idee.
Spesso, anzi, i migliori incipit si scrivono alla fine, quando il testo ha acquisito un suo senso e una sua
compiutezza.

6. Un altro utile consiglio, una volta completata la scaletta, è quello di abbordare subito le parti peggiori,
quelle che pensiamo ci daranno più grattacapi. Una volta completate, il resto vi sembrerà uno scherzo.

7. Progettate anche i tempi di lavoro: tot per la scaletta, tot per la prima stesura, tot per la revisione. E
impegnatevi a rispettarli: contrariamente a quanto si pensa, i tempi stretti sono non solo un buon antidoto per
la "sindrome della pagina bianca", ma anche un ingrediente che spesso fa lievitare la qualità e la
scorrevolezza del testo.

8. In sintesi: per la prima stesura non preoccupatevi troppo degli aspetti formali e buttatevi! Fate finta di
scrivere a un amico, se vi aiuta, e incominciate il vostro documento con "caro Paolo", oppure con "quello
che vorrei dire è che...". Ognuno può elaborare le sue frasi "di appoggio", quelle che servono per cominciare
e che poi dobbiamo essere pronti a tagliare. L’importante è lasciarsi un buon margine di tempo per la
revisione, perché è lì che il vero lavoro comincia.

E per finire, ecco alcuni consigli per una buona scrittura. Umberto Eco li raccoglie in una delle sue Bustine,
dicendo di averli trovati in internet, senza conoscere l’autore. Si tratta in realtà della traduzione e
adattamento delle Fumblerules on Grammar scritte da William Safire nel 1979.

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.


2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
9. Non generalizzare mai.
10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: «Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai
tu».
12. I paragoni sono come le frasi fatte.
13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza
s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
15. Sii sempre più o meno specifico.
16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
19. Metti, le virgole, al posto giusto.
20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn
del buso.
22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi
lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il
tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie
quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di
questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore
lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così
stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
34. Non andare troppo sovente a capo.

Almeno, non quando non serve.

35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero
così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures
rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e
inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di
chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
40. Una frase compiuta deve avere.

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