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Capitolo undicesimo

Zombicapitalismo
Etnografia della diseguaglianza e discorsi (in)securitari in Gabon
Javier González Díez

1. Introduzione: frammenti di insicurezza all’equatore


Questo saggio prende le mosse da una mia ricerca sull’immaginario
del disordine e della stregoneria in Gabon. In precedenti
pubblicazioni ho cercato di presentare in maniera più sistematica i
dati etnografici da me raccolti sul fenomeno dei cosiddetti “crimini
rituali” e delle profanazioni di tombe, considerandoli l’espressione
più violenta ed estrema di un immaginario ben radicato nella società
locale1. Tale immaginario rappresenta una società in disordine, e
ho cercato di sostenere come sia riconducibile alle tensioni causate
dalle enormi diseguaglianze economiche e sociali causate dal capitalismo
neoliberale in Africa. Le mie tesi sono il frutto di un percorso
di studio progressivo, che mi ha portato a riflettere a più riprese
sull’insieme dei dati etnografici da me raccolti in Gabon fra il 2005
e il 20082, quindi ben oltre la conclusione della mia ricerca di campo.
Questo mio perdurare, quasi con accanimento, sui vari aspetti
del fenomeno, riflette le difficoltà interpretative che gli antropologi
spesso si ritrovano nell’affrontare lo studio della stregoneria africana.
Narrazioni spesso in apparenza divergenti o contraddittorie, fatti verificati
o immaginati, rumori, voci, articoli di giornale, programmi
di radio, testimonianze storiche, atti giudiziari, sono tutti elementi
che si sovrappongono creando una foresta di significati difficile da
sfrondare, nella quale diventa facile perdersi e perdere di vista i propri
obiettivi di ricerca.
1 I due lavori cui mi riferisco sono J. González Díez, Narrative della diseguaglianza:
crimini rituali, profanazioni di tombe e mercificazione del corpo nel Gabon contemporaneo,
in Studi Tanatologici, 2013, n. 6, pp. 69-100; Id., «Ces enquêtes restées
sans suite». Une analyse anthropologique des crimes rituels à travers les articles de la
presse gabonaise, in Enfance et sacrifice au Senegal, Mali, Gabon. Écoles coraniques.
Pratiques d’initiation. Abus et crimes rituels en Afrique, E. Pelizzari e O. Silla (a cura
di), L’Harmattan, Paris-Torino, 2014, pp. 98-111.
2 La ricerca etnografica cui faccio riferimento è stata svolta in due fasi, per un
totale di nove mesi, fra il 2005 e il 2008 nella periferia di Libreville, nell’ambito
dei miei studi di dottorato in Scienze antropologiche presso l’Università di Torino.
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Il mio saggio rappresenta dunque un tentativo multiplo di proseguire
su questo filone. Su un versante etnografico, cerco di arricchire
il corpus etnografico di questo multiforme e incoerente immaginario
del disordine, presentandone un’ulteriore parte, l’insieme delle
credenze nei kôn. Con questo termine – traducibile nel nostro immaginario
con zombie – si definiscono in Gabon gli spiriti dei morti
diventati schiavi e condannati a lavorare in eterno in piantagioni
mistiche o reali per produrre ricchezza per l’élite del paese. Su un
versante teorico, cercherò di proseguire nel mio percorso di interpretazione
del fenomeno, tentando di collegare la rappresentazione
della diseguaglianza alle pratiche discorsive di insecuritizzazione della
società. Il percorso di riflessione che propongo sarà in quest’occasione
meno sistematico e volutamente – se non necessariamente
– frammentato: partendo da narrazioni orali e articoli di giornale,
passerò poi alle testimonianze storiche e agli studi etnografici precedenti,
cercando di unire queste schegge in un orizzonte di significato,
sicuramente non esaustivo ma quantomeno, spero, almeno
fedele alla multiformità e complessità del fenomeno.
2. Racconto di un annegamento in mare
Partirò da una testimonianza raccolta nel corso della mia ricerca
etnografica. Nel 2008, durante la mia seconda permanenza sul campo
in Gabon, l’abitazione della famiglia che mi ospitava si trovava
nei pressi di un consultorio medico. Essendo una struttura privata,
che forniva servizi a pagamento, non era particolarmente frequentata
e infatti so che chiuse qualche tempo dopo la mia partenza. Ci
trovavamo ai margini di Okala, un antico villaggio fang inglobato
nella periferia della capitale, Libreville3. Benché una piccola parte
degli abitanti del villaggio/quartiere fosse relativamente benestante,
la maggior parte di loro preferiva rivolgersi al più economico dispensario
pubblico. Dato l’enorme tempo libero a disposizione, le infermiere,
presenti 24 ore su 24, spesso sedevano nella veranda chiacchierando
con vicini e passanti. Fu così che, nei momenti liberi, mi
trovai a essere incluso anche io nel loro circolo di conversazione.
3Per un’analisi del contesto sociale di Okala, cfr. J. González Díez, Libreville.
Vivere nella periferia della capitale del Gabon, in Antropologi in città, S. Allovio (a
cura di), Unicopli, Milano, 2011, pp. 143-166.
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Una delle infermiere più presenti, Jeanne4 era una giovane ragazza
fang, particolarmente intraprendente e chiacchierona, e con assiduità
mi riferiva volentieri le ultime notizie del quartiere ma anche le
storie dei suoi abitanti. Fu così che nell’ottobre del 2008 arrivai a
conoscere una storia abbastanza particolare avvenuta qualche anno
prima. Si trattava di una storia che riguardava l’annegamento di un
ragazzo, parente di Jeanne, in mare. Quel che rendeva particolare
quella storia era il suo contesto.
La storia iniziava l’ultimo giorno di scuola del 2000, quando
un gruppo di ragazzi quattordicenni aveva deciso di festeggiare la
fine delle lezioni andando nella spiaggia retrostante il Liceo. Presi
dall’entusiasmo, si erano gettati in acqua e avevano fatto il bagno.
Lì però erano iniziate a succedere delle cose strane. «Avevano sentito
in acqua della gente che li strattonava, ma nella gioia di divertirsi
erano usciti senza badarci troppo», mi raccontava Jeanne. Una volta
in spiaggia, però, i fatti strani si succedevano. A molti di loro sembrò
di vedere infatti un periscopio che, dall’acqua, li osservava. Non ci
badarono troppo neanche questa volta e consumarono la loro merenda
tranquillamente. Fu allora che uno di loro, Pierre, decise di
ritornare in acqua. I compagni lo esortarono ad attendere, ma lui si
ostinò. «“Ritorniamo a lavarci!”5, disse agli altri. Gli amici risposero
“No, bisogna aspettare” e lui “No, vado a lavarmi!”. Quando entrò
in acqua iniziò a urlare “Aiuto, aiuto, aiuto! Annego! Chiamate aiuto,
chiamate aiuto!”. Gli amici guardarono e lui annegò».
La famiglia del giovane Pierre fu avvertita immediatamente e,
benché nella disperazione, si attivò per cercare di recuperare il corpo.
Non avendo successo, la sera si rivolsero a uno nganga, un indovino/
guaritore tradizionale, che fece dei riti particolari. Seguendo le
sue indicazioni, la mattina dopo all’alba i parenti si recarono sulla
spiaggia per continuare le ricerche e lì ritrovarono il cadavere in
condizioni disastrose. «Era già rigido. Aveva dei vermi che uscivano
dalle narici, dei graffi sulla schiena, gli mancavano le orbite degli
occhi e in testa era come se fosse stato battuto e gli avessero tolto il
sangue». Le mutilazioni non furono interpretate dalla famiglia come
il frutto dell’azione degli agenti marini, ma come il risultato di un
crimine rituale. «Storie di questo tipo erano veramente frequenti in
4 Per rispettare la riservatezza della mia informatrice, ho cambiato tutti i nomi con
nomi di fantasia.
5 In francese gabonese “se laver” ha il significato di “fare il bagno”.

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Gabon nell’anno 2000», mi spiegava infatti Jeanne. «Si mutilavano
i bambini e li si ritrovava in spiaggia, sopratutto in quella del Liceo
Nazionale Leon Mba, che era un luogo molto pericoloso per il pubblico
». Seguendo un copione molto diffuso in questi casi, la famiglia
si rivolse alla polizia, ma l’inchiesta per trovare i presunti assassini
non ebbe successo. Fu allora che la famiglia tornò a rivolgersi a uno
nganga per consultarlo sul problema. Il responso fu lapidario: «Io
non vi consulto, perché lo spirito di vostro fratello è schiavo, in questo
momento lavora per il paese», disse, aggiungendo poi «Aspettate di
andare a dormire e ciascuno di voi avrà un sogno, lui verrà a spiegarvi
come è morto». Effettivamente, quando i familiari si addormentarono,
ebbero tutti lo stesso sogno: il giovane Pierre apparse loro e
iniziò a spiegare «come era accaduto, come avevano potuto togliergli
gli occhi e svuotarlo del suo sangue». Fu un duro colpo: questa era
per i parenti la prova definitiva che il giovane Pierre era stato assassinato
intenzionalmente, e ormai loro non potevano fare altro se non
pregare per lui. Il suo corpo mutilato era stato seppellito, ma il suo
spirito vagava ancora schiavo dei suoi assassini.
3. Cronaca di una retata di polizia
Nel corso degli stessi mesi di ricerca sul campo, avevo iniziato
a interessarmi alle notizie riguardanti i cosiddetti “crimini rituali”,
come quello riguardante il giovane Pierre. Cercavo di inquadrare
il fenomeno attraverso una collezione di casi che mi permettesse
individuarne le caratteristiche e la portata. Oltre ad annotare tutte
le storie che mi erano riferite, o che ascoltavo di sfuggita nei taxi
collettivi o nei bar – dove questi argomenti di conversazione erano
abbastanza frequenti – avevo anche passato in rassegna gli archivi del
giornale locale, “L’Union”, raccogliendo notizie degli ultimi anni.
Compravo questo quotidiano ogni giorno, in modo da monitorare il
fenomeno. La mattina di martedì 11 novembre del 2008, mi imbattei
però nelle pagine interne (p. 10) in un altro tipo di notizia, non
riguardante direttamente un crimine rituale, ma una particolare retata
di polizia avvenuta nel nord del paese. Per le sue caratteristiche,
la notizia poteva collegarsi però al racconto della morte del giovane
Pierre. La sezione in cui era collocato l’articolo veniva denominata
per l’occasione Sorcellerie. L’autore era Jonas Moulenda, un giornali263
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sta specializzato in questi temi, mentre il titolo sembrava allarmante:
“Encore le Kohng dans le Ntem”, ancora il kohng6 nella regione
del Ntem. L’articolo riportava che, una decina di giorni prima, 23
persone erano state arrestate e imprigionate nella città di Oyen, nel
nord del paese, ed erano lì trattenute in attesa di giudizio. L’accusa
per loro era appartenere a una rete segreta di praticanti del kohng,
una pratica magica mirante a uccidere le persone con lo scopo di
poi schiavizzarle e costringerle a lavorare da morte in piantagioni.
Schiavi mistici per piantagioni reali. Morti condannati a lavorare per
produrre ricchezza per l’élite del paese.
L’articolo descriveva il contesto dell’inchiesta mediante cui queste
persone erano state arrestate, e allo stesso tempo si dilungava a
riportare una serie di informazioni molto dettagliate sulla pratica del
kohng. Secondo quanto riportato dal giornalista, essa sarebbe apparsa
per la prima volta nella regione gabonese del Woleu-Ntem nell’anno
2000, proveniente dai confinanti Camerun e Guinea Equatoriale.
Quell’anno sarebbe stata smantellata una prima rete di individui responsabili
della morte di una ventina di persone. La pratica si sarebbe
dunque ridotta negli anni successivi, ma sarebbe recentemente ripresa
in maniera consistente. Pur non fornendo dati precisi, il giornalista
riportava che «tutto il mondo è concorde nel riconoscere che essa
ha assunto recentemente proporzioni senza precedenti», causando
regolarmente la morte di adulti e bambini. Sulla base del ripetersi
di morti considerate sospette, la magistratura inquirente di Oyem,
capoluogo della regione, aveva aperto un’inchiesta per smantellare
le nuove reti occulte all’origine di questi decessi. Il tribunale «aveva
dato mandato a un eminente veggente, membro dell’Associazione
dei guaritori tradizionali del Gabon, di identificare i malfattori ed esiliare
i loro feticci». Il risultato erano stati i 23 arresti, ma – riportava il
giornalista – l’inchiesta era ancora in corso e altri arresti erano attesi.
L’articolo si dilungava poi sul problema di come la magistratura
avrebbe provato le proprie accuse, questione di certo non facile. Non
era infatti facile trovare “prove materiali” e la maggior parte degli
accusati negava ogni coinvolgimento. Tuttavia, questo appariva agli
6Il termine è stato trascritto con grafie molto diverse. Nel corso dell’articolo utilizzerò
prevalentemente la grafia kôn, prevalente nei testi e nei dizionari. Mi discosterò
da questa grafia, usando di volta in volta anche le altre forme, quando
saranno gli autori e i testi cui faccio riferimento a farlo, come nel caso di questo
articolo di giornale.
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occhi del giornalista come un problema secondario, una questione
tecnica che gli inquirenti avrebbero presto risolto. Per ora, la soluzione
condivisa era quella di usare come prove il ritrovamento di
reliquiari con resti umani nei domicili degli indagati. Nella prima
inchiesta del 2000, la prova era rappresentata dal possesso di «una
scatola contenente un teschio umano, un camaleonte disseccato e
un elenco nominativo di 34 persone, delle quali 20 erano già state
ritrovate morte in condizioni misteriose». Anche questa volta si replicava
lo schema, seppur con difficoltà. L’articolo riportava a questo
proposito una dichiarazione del Procuratore generale di Oyem:
«Continueremo a dare la caccia ai malfattori. Ma confesso che non
è semplice. In diritto, occorrono prove materiali. Noi ci sforziamo
giustamente di cercare queste prove. Ma il fatto di ritrovare dei reliquiari
nel domicilio di qualcuno è già una prova». Trovare questi
reliquiari non doveva essere troppo difficile, dal momento che il
possesso di reliquiari con resti degli antenati era una consuetudine
molto diffusa fra i fang, la popolazione del Woleu-Ntem. In passato
questi reliquiari erano alla base di un vero e proprio culto parentale,
il bieri, che dava legittimità ai capifamiglia e ai primogeniti
attraverso la conservazione e la trasmissione dei resti dell’antenato
fondatore del lignaggio. Distrutto nei primi decenni del XX secolo
dai missionari, esso sarebbe però sopravissuto in forma sporadica e
frammentaria in molti lignaggi fang7.
L’articolo di giornale completava il quadro con una dettagliata
descrizione della credenza del kohng secondo le informazioni raccolte
da Moulenda. Dopo aver riferito della sua provenienza straniera, si
faceva esplicito riferimento alle teorie sui suoi legami con il sistema
economico capitalista: «Le sue manifestazioni sarebbero simili al funzionamento
del sistema capitalista, tale e quale presentato dai marxisti,
con da una parte gli sfruttatori e dall’altra gli sfruttati». Seguivano
le dichiarazioni del presidente del “Sindacato dei guaritori tradizionali
del Gabon”, nonché allo stesso tempo presidente dell’Associazione
internazionale dei guaritori tradizionali dell’Africa centrale, che, interpellato
dal giornalista, illustrava a grandi linee le tipologie di kohng
e i modi attraverso cui le persone lo diventavano. Ciò che emergeva
maggiormente erano due elementi: da una parte la potenza di questo
7Cfr. R. Mayer, E. Ekankang, Dignes considérations sur les cultes d’ancêtres au Gabon.
A propos du tournage d’un film sur le Byèri, in Cahiers gabonais d’anthropologie,
2006, n. 17, pp. 1927-1937.
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tipo di magia, che colpiva a distanze enormi, «persino in Francia»;
dall’altra, le sue cause: esso era praticato per il beneficio di persone
desiderose di ricchezza, promozione sociale o successo politico. I
kohng, infatti, lavorando come manodopera gratis nelle piantagioni,
garantivano un margine di profitto molto più ampio al possessore.
A completamento dell’esposizione, l’articolo presentava tre fotografie:
la prima, una piantagione di cacao che sarebbe stata affidata
a degli schiavi mistici; la seconda, un braccio intorno al quale era
legata una striscia di stoffa, indicata come amuleto protettivo contro
i kohng; la terza, infine, una veduta di un pontile su un fiume non
identificato, dove sarebbero stati ripescati grazie all’aiuto di un guaritore
tradizionale due teschi di vittime di questa magia.
4. Alla ricerca di una traccia interpretativa
Ho scelto di riportare sia la testimonianza di Jeanne, sia l’articolo
di Jonas Moulenda, poiché esemplificano e illustrano molto chiaramente
un tipo di credenza diffusasi negli ultimi anni in tutta l’Africa
centrale. Si tratta della credenza nei kôn, persone morte messe al servizio
dei vivi a causa di un incantesimo. Il mio arrivare a conoscenza
del fenomeno avvenne, similmente a come ho iniziato questo saggio,
in maniera molto frammentata: un insieme di racconti, allusioni,
articoli di giornale, conversazioni ascoltate per caso e così via. Unendo
questi frammenti, iniziai quindi a interessarmi anche a questa
particolare variante dell’immaginario degli omicidi rituali, che non
aveva come scopo tanto la fabbricazione di amuleti e feticci, quanto
la creazione di una forza-lavoro di schiavi mistici.
Ho già avuto modo di illustrare come le notizie riguardanti i crimini
rituali facciano parte di un immaginario assai diffuso che esprime
un disordine sociale, a sua volta espressione delle diseguaglianze
economiche e sociali che il capitalismo neoliberale ha originato in
Africa negli ultimi decenni8. In questo saggio, vorrei però avanzare
8Sugli effetti generali del neoliberismo in Africa crf. S. Latouche, L’autre Afrique.
Entre don et marché, Albin Michel, Paris, 1998 (traduzione italiana: L’altra Africa.
Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino, 2000); J. Ferguson, Global
shadows. Africa in the neoliberal world order, Duke University Press, Durham and
London, 2006. Sulla prospettiva di studi riguardante i legami fra capitalismo neoliberale
e stregoneria, cito solo alcuni dei contributi più significativi: P. Geschiere,
Sorcellerie et modernité en Afrique: la viande des autres, Karthala, Paris, 1995; J. &
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un’ulteriore traccia di analisi, sostenendo come questa narrativa della
diseguaglianza possa essere anche intesa come un discorso insecuritario
non ufficiale9. Essa, infatti, crea e induce nella popolazione delle
paure e delle sensazioni di rischio che riguardano in primo luogo la
vita quotidiana. Il rischio di essere uccisi e schiavizzati misticamente
è dietro l’angolo e può riguardare chiunque: per finire vittima
non è necessario avere avuto una condotta particolare, così come le
precauzioni messe in atto (amuleti, cautela nel modo di vivere, ecc)
possono rivelarsi inutili.
Prima di procedere nella mia riflessione, è doveroso fare una precisazione.
Alle orecchie e occhi della stragrande maggioranza dei
gabonesi le storie riguardanti kôn sono vere e reali, indicative del
pericolo quotidiano in cui vive la società. La prima reazione di un
ascoltatore o lettore “occidentale” è invece, quasi sempre, di incredulità
e scetticismo: queste storie e notizie sono considerate e trattate
senza sconti come l’ennesima prova della superstizione e arretratezza
degli africani, della potenza dell’irrazionalità delle loro credenze tradizionali
e del fallimento della “missione civilizzatrice” occidentale.
É inevitabile cadere in questa dicotomia? Il dovere dell’antropologo
è cercare di evitarlo, provando a tracciare una pista interpretativa
possiamo dire intermedia10. Questa posizione intermedia é spesso
complicata, e l’antropologo è spesso accusato da entrambe le parti
di appartenere all’altra. I suoi sforzi di analisi e interpretazione hanno
buona probabilità di valergli l’accusa di scetticismo e arroganza
intellettuale da parte di un gabonese, di eccessiva indulgenza nei
confronti di credenze locali da parte di un europeo.
Consapevole quindi degli ostacoli e difficoltà in cui si corre il
rischio di imbattersi ogni volta che si affronta questo tipo di argomenti,
ma convinto delle potenzialità dell’etnografia nel dare voce
e significato a discorsi in apparenza strani e contraddittori, cercherò
nelle pagine seguenti di contestualizzare da un punto di vista storico,
sociale e culturale la credenza nel kôn così come si presenta in Gabon
J. Comaroff, Occult Economies and the Violence of Abstraction: Notes from the South
Africa Postcolony, in American Ethnologist, 1999, vol. 26, n. 2, pp. 279-303; J.
Tonda, Le Souverain moderne. Le corps du pouvoir en Afrique centrale (Congo, Gabon),
Karthala, Paris, 2005.
9 Cfr. il saggio mio e di Ana Cristina Vargas nel presente volume, pp. 11-38.
10 Ho trattato questo tema nell’ultima parte del mio precedente saggio: «Ces enquêtes
restées sans suite», cit. Cfr. anche P. Geschiere, op. cit, in particolare il paragrafo
La question de la verité, pp. 28-36.
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e nei paesi confinanti. Il mio tentativo sarà evidenziare come il kôn
non sia il frutto di superstizioni e retaggi di un passato arcaico o primitivo,
ma un discorso molto attuale che fornisce delle spiegazioni
e delle valutazioni politiche sugli assetti economici e di potere nelle
società in cui si presenta. Può sicuramente apparire forzato scindere
la credenza nel kôn da tutto l’immaginario contemporaneo africano
sulla stregoneria, sui crimini rituali e sulla profanazione delle tombe.
Il kôn infatti è un aspetto fra i tanti di un sistema di pensiero molto
variegato e complesso, che ha come tratto comune un’idea molto negativa
della ricchezza e una concezione pessimista dei rapporti fra gli
esseri umani. L’ampia gamma di elementi che compongono questo
sistema accresce però il rischio di frammentazione e disorientamento,
per cui ritengo che esaminare la credenza nel kôn in maniera autonoma
possa essere utile per tracciare un percorso di analisi all’interno
di questo immaginario. Basta avere chiaro che il kôn non esaurisce
minimamente le credenze nella stregoneria ma è solo uno dei tanti
aspetti attraverso cui questo immaginario si manifesta.
5. A ritroso: una credenza vecchia ma nuova
La prima questione che affronterò riguarda la collocazione temporale
e storica della credenza nel kôn e la sua contestualizzazione nel
contesto dell’Africa Equatoriale. Come abbiamo visto dall’articolo
di giornale de “L’Union”, il kôn è presentato come una forma di stregoneria
arrivata da poco, anzi da pochissimo, nel nord del Gabon. È
davvero così? Si tratta effettivamente di un nuovo tipo di credenza
arrivata dall’esterno? In questo caso, quali sarebbero le ragioni che
portano alla sua diffusione e al fatto che abbia trovato un buon terreno
di adattamento prima nel nord del paese e poi nella zona costiera
della capitale? Per rispondere a queste domande è utile fare un percorso
a ritroso per cercare di capire in che maniera la credenza nel
kôn o in figure simili – quelle chiamate convenzionalmente zombies
– fosse presente in passato in Gabon.
Che quella negli zombies non fosse sicuramente una credenza
molto diffusa è testimoniato dal fatto che Walker e Sillans non ne
parlano nel loro classico compendio sui riti e le credenze del Gabon,
datato 196211: è però vero che loro centrano il loro sguardo
11 A.R. Walker, R. Sillans, Rites et croyances des peuples du Gabon. Essai sur les pra 268
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sul Gabon centro-meridionale, escludendo le popolazioni fang del
nord e dell’estuario, che rimangono sempre sullo sfondo del loro
volume e che invece sono in primo piano nella nostra analisi12. Se
rivolgiamo invece lo sguardo proprio a questo gruppo di popolazioni,
qualche traccia la troviamo. Qualche anno prima, infatti, Alexandre
e Binet ne parlano riguardo ai pahouin, gruppo linguistico
di cui i fang fanno parte assieme ai boulou e ai beti13: essi parlano
del kôn o khun (plurale bekôn) dandogli il significato di “fantasma”;
non si tratta però di una persona che sia necessariamente morta
fisicamente: un tipo di stregoneria molto temibile legata a queste
figure consisterebbe infatti nel separare un individuo dalla sua anima,
dandogli l’apparenza di un cadavere; costui sarà poi risvegliato
dallo stregone per essere messo ai suoi ordini, per uccidere, rubare
o, semplicemente, coltivare le sue piantagioni. I kôn sono descritti
come persone pallide, con gesti lenti e sguardo vuoto, che hanno
vita breve, muoiono definitivamente dopo qualche mese. Si avanza
anche l’ipotesi che si tratti di una leggenda con fondo di realtà, in
quanto l’uso di pentotal produrrebbe effetti simili. Citano una testimonianza
riguardante un kôn morto in un ospedale del nord del
1947. Caratterizzare però le vittime di questo maleficio è difficile e
i due autori fanno emergere una serie di ambiguità: il kôn può essere
un vivo senza anima, ma anche uno spirito con apparenza di vivo,
molto più pallido. Può anche essere lo spettro di un individuo i cui
riti funerari non sono stati svolti correttamente, di un ex-stregone,
di una persona impura, ecc. Questi tipi di kôn sembrano però essere
minoritari, e in generale il termine sembra designare semplicemente
un “fantasma”.
Comunque, il fatto che la figura del kôn fosse conosciuta fra i
fang già in precedenza – sebbene solo come fantasma o spirito in
senso generale – è testimoniato ai primi del Novecento dall’etnotiques
religieuses d’autrefois et d’aujourd’hui, Présence Africaine, Paris, 1962.
12 Sull’atteggiamento escludente nei confronti dei fang di Walker e Sillans e sulle
sue ragioni ci sarebbe molto da scrivere. Sinteticamente, faccio solo notare che,
benché i fang fossero fin dai primi decenni del XX secolo il principale gruppo
linguistico del paese, il fatto che fossero arrivati nella zona relativamente di recente
(le migrazioni o “conquista” fang si collocano in un arco temporale che copre la
seconda metà del XIX secolo) li rende agli occhi di molti osservatori meno “gabonesi”
di altre popolazioni.
13 P. Alexandre, J. Binet, Le groupe dit pahouin (fang-boulou-beti), Presses Universitaires
de France, Paris, 1958, pp. 105-106
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grafo tedesco Tessman14 e dal dizionario fang-francese di Galley15,
quest’ultimo pubblicato postumo nel 1964 ma redatto in un arco di
tempo che va dagli anni Venti in poi. Nel dizionario, kôn è presentato
come un sinonimo del più popolare termine per spirito, nsisim,
ma dispone anche di una voce autonoma dove è definito come “spirito,
revenant, spirito di un morto”. Si cita l’espressione “andare dai
bekôn”, che ha il significato di “morire”, mentre “nlam bekôn” è il
nome dato al “paese dei morti”. Tessmann ne fa un rapido cenno, intendendolo
come anime dei morti in senso generale. Il termine kôn
esisteva quindi in precedenza, sebbene al momento non possiamo
essere troppo precisi e siamo quindi in grado di dire solo che esso è
attestato già verso la metà del XX secolo fra le popolazioni di lingua
fang per definire in senso largo gli spiriti16.
6. Le somiglianze: una panoramica regionale
Allargando lo sguardo al Sud del Camerun, il termine kôn appare
invece ben attestato e molto più usato che non fra i fang. Fra i beti,
popolazione del Camerun meridionale strettamente imparentata
con i fang, il termine è attestato già nei primi anni del XX secolo
dall’etnologo Herman Nekes17, e sembra essere abbastanza diffuso
sebbene sempre nel suo significato più ampio di spirito di un morto
che ritorna/rimane sulla terra18. Anche fra gli evuzok, altra popola-
14 G. Tessmann, Die Pangwe. Völkerkundliche Monographie eines westafrikanischen
Negerstammes. Ergebnisse der Lübecker Pnagwe-Expedition 1907-1909 und früherer
Forschungen 1904-1907, t. I-II, Ernst Wasmuth, Berlin, 1913. (traduzione parziale
francese: Les Pahouins. Monographie ethnologique d’une tribu d’Afrique de
l’Ouest. Resultats de l’expedition «Pangwe» de Lübeck, 1907-1909, et d’explorations
antérieures, 1904-1907, in Fang, P. Laburthe-Tolra e C. Falgayrettes-Leveau (a
cura di), Musée Dappert, paris, 1991, nello specifico pp. 167-313).
15 S. Galley, Dictionnaire Fang-Français et Français-Fang suivi d’une grammaire
fang, Éditions Henri Messeiller, Neuchatel, 1964.
16 È doveroso segnalare che questa non è comunque una rassegna completa, in
quanto non ho potuto consultare varie altre fonti: la più importante lacuna sono
sicuramente i due precedenti dizionari fang-francese pubblicati nel 1892 e nel
1924; un secondo tipo di fonti che sarebbe utile esplorare – e che non mi è stato
possibile ai fini di questo saggio – sono i resoconti di missionari, esploratori e
funzionari coloniali che descrivono le credenze fang fin dalla fine del XIX secolo.
17 Nekes 1913
18 P. Laburthe-Tolra, Initiations et sociétés secrètes au Cameroun. Les mystères de la
nuit, Karthala, Paris, 1985.
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zione imparentata ai fang, il termine è presente nella seconda metà
del XX secolo19. Con lievi variazioni linguistiche, il termine si ritrova
anche fra le popolazioni del Camerun occidentale e centrale. Seguire
però le tracce del termine non deve però distogliere la nostra attenzione
dal contenuto della credenza, ovvero che le persone possano
essere uccise per diventare degli schiavi mistici. Attraverso la lettura
delle opere di altri antropologi, in particolare Edwin Ardener e Peter
Geschiere, vediamo ora come la credenza in questi zombie fosse diffusa
e radicata da tempo in Camerun.
Ardener, che fece ricerca fra i bakweri del Camerun occidentale a
partire dal 1953, riporta della credenza nel nyongo20. Questo termine
era attribuito agli stregoni, mentre i morti schiavizzati erano chiamati
ekongi. Costoro sarebbero stati gente morta portata dagli stregoni
a lavorare per loro nel Monte Kupe, territorio dei bakossi nella regione
di Douala. «Su questo monte si pensava che la gente nyongo
avesse una città con tutte le comodità moderne, compresi […] dei
camioncini. La gente nyongo poteva essere riconosciuta dalle case
di latta che aveva potuto costruire con la forza-lavoro degli spiriti
resuscitati dei parenti morti»21. La credenza era particolarmente radicata
nella popolazione e determinava atteggiamenti di forte discriminazione
verso i – in quel tempo pochi – possessori di ricchezza,
sospettati di essere nyongo. Ardener, studiando la credenza nel nyongo
a ritroso, notava come questa riflettesse le vicende storiche e sociali
delle popolazione e per evidenziarlo ricostruiva la storia dei bakweri
dal 1850 al 1970, evidenziando attraverso varie fasi il legame fra
condizione economica e presenza o assenza della credenza. Prima
del 1850 si avevano poche notizie sull’economia e sulla credenza,
anche se Ardener supponeva che essa fosse nata in quei tempi con
la tratta degli schiavi. Dal 1850 al 1894 si aveva una fase nella quale
fioriva un’economia commerciale, e lo nyongo era assente. Dal 1894
al 1954, l’economia diventava però marginale rispetto alle piantagioni
coloniali, e allora era ben presente la credenza nel nyongo. Nel
periodo dal 1954 al 1961, si segnalava un miglioramento economico
19 L. Mallart Guimera, Ni dos ni ventre. Religion, magie et sorcellerie Evuzok, Société
d’Ethnographie, Paris, 1981.
20 E. Ardener, Witchcraft, Economics and the Continuity of Belief, in Witchcraft
Confessions and Accusation, M. Douglas (a cura di), Tavistock, London, 1970,
pp. 141-160, traduzione italiana: La stregoneria: confessioni e accuse, nell’analisi di
storici e antropologi, M. Douglas (a cura di), Einaudi, Torino, 1980.
21 Ivi, p. 194.

271
zombicapitalismo
attraverso un boom della produzione e commercio delle banane; in
questo periodo, da lui osservato direttamente, la credenza nel nyongo
era controllata: «gli zombi ora non erano meno reali: erano solo privi
di potere»22. Dal 1961 in poi, però, iniziava una fase di recessione
economica, che corrispondeva con la risorgenza di una credenza di
tipo nyongo, sebbene definita con termini leggermente diversi. Per
Ardener, lo nyongo era quindi da considerare «più che mai chiave
esplicativa della distribuzione asimmetrica delle risorse»23. Il discorso
di Ardener si colloca all’interno di una prospettiva di studi molto
sviluppata negli anni ’50, finalizzata a esplorare le interrelazioni fra
le credenze nella stregoneria di una popolazione e le diverse pressioni
economiche e sociali. Uno degli indici più usati da questi studi – e
da Ardener stesso – per valutare l’incidenza delle credenze nella stregoneria
era rappresentato dalla presenza di società di antistregoneria,
in risposta al problema.
Nelle sue recenti ricerche, Geschiere ha ricostruito la diffusione
della credenza negli zombies per quanto riguarda il Camerun meridionale24,
le cui popolazioni sono in parte imparentate linguisticamente
con i fang. Egli evidenzia come dal centro del paese la credenza
negli schiavi del Monte Kupe si sia diffusa progressivamente verso
est, verso le popolazioni maka e douala, col nome di ekon, e poi verso
sud, l’area beti, dove però a questo punto la diffusione degli schiavi
mistici non riguarda più soltanto il Monte Kupe ma qualsiasi luogo.
I nomi che questa credenza assume sono famla nelle Grassfields e
sempre nyongo fra i bakweri, dove egli la vede risorgere dal 1988 in
poi, legata appunto a un periodo di crisi e austerità.
Geschiere nota però delle differenze col passato: in primo luogo
ora il kôn si democraticizza, non si estende più alle grandi fortune ma
anche ai ceti medio bassi. In secondo luogo, essa assume proporzioni
assai maggiori, in quanto maggiore è lo stato di crisi economica che
attraversa il paese: «Le alzate e gli abbassamenti di prezzo dei prodotti
e le vicissitudini del mercato del lavoro, diventate fondamentali
per la sopravvivenza delle persone, sembrano scappare a ogni controllo
e predizione. Uno dei tratti della credenza nell’ekong […] è che
ha potuto integrare questi tratti dell’economia di mercato. La sua
persistenza negli incubi popolari mostra che continua a fornire una
22 Ivi, p. 202.
23 Ivi, p. 205.
24 P. Geschiere, Sorcellerie et politique en Afrique, cit, pp. 173-218.

272
capitolo undicesimo
spiegazione alla ricchezza e alla povertà»25. La novità sta però, secondo
Geschiere, nell’aumento dei processi di mercificazione, nell’incrementarsi
del processo che fa cadere la distinzione fra uomini e
merci. Gli zombies rappresentano la mercificazione completa e totale
degli uomini, la loro alienazione in virtù di un’utilità monetaria.
Ultima novità importante è rappresentata dalla deparentalizzazione
degli zombies. Ardener descrive come costoro fossero componenti
della famiglia degli stregoni. Oggi non è più così, non si richiede il
requisito del legame di sangue per diventare uno schiavo mistico:
può accadere a chiunque.
Da questa rapida panoramica offertaci da Ardener e Geschiere,
possiamo vedere come quella nel kôn non sia una credenza assolutamente
nuova. Ad essere nuova non è tanto la credenza nel kôn, ma
piuttosto il ruolo e la posizione che il kôn assume in un sistema di
credenze che riflettono il sistema economico e sociale. Una figura
preesistente diventa la figura migliore per incarnare e assumere il ruolo
di rappresentante dei subalterni, dei loro rischi e delle loro ansie.
Questa figura è un elemento dell’immaginario delle popolazioni del
Camerun meridionale e Gabon settentrionale – fang e vicini – che ha
acquisito progressivamente peso e importanza e che, soprattutto negli
ultimi anni, si è riconfigurata assumendo i tratti contemporanei. Nel
corso del XX secolo si è assistito a un passaggio graduale che ha condotto
dal kôn come spirito degli antenati al kôn come fantasma non
ben sepolto, per arrivare alla concezione odierna del kôn come schiavo
mistico, prima parente e poi no. Ciò che è quindi relativamente
nuovo – sebbene non tanto come si voglia far credere – non è tanto
la figura oggetto della credenza, ma gli attributi e il ruolo di questa
figura. L’idea ovvero che ci possano essere dei morti costretti a lavorare
dagli stregoni e che le persone possano essere uccise per questo.
7. Il kôn come rappresentazione indigena del sistema capitalista
La novità e specificità della credenza nei kôn in epoca contemporanea
è quindi l’essere profondamente legata all’impatto della globalizzazione,
all’articolazione fra valori antichi e locali e i nuovi flussi
del commercio interregionale e internazionale26. La crisi sociale oggi
25 Ivi, p. 194.
26 J. Tonda, F. Bernault, Dynamiques de l’invisible en Afrique, in Politique africaine,
273
zombicapitalismo
è causata da preoccupazioni nuove che non c’erano in passato, quando
il sistema di rapporti economici e la distribuzione della ricchezza
erano assai diverse; è inevitabile che le risposte siano, benché su una
base storicamente determinata, innovative.
In questa rappresentazione estrema del capitalismo neoliberista,
i corpi schiavizzati riflettono metaforicamente il sistema di produzione
e scambio che lo caratterizza. Troviamo quindi l’annullamento
della persona e la mercificazione totale del corpo, che diventa un
luogo di produzione: da vivo il corpo serve come forza-lavoro, reale
o mistica, per la ricchezza altrui; da morto la sua utilità è fornire le
energie che provengono dalla scomposizione oggettuale delle sue diverse
parti, trasformate in beni di consumo. Ogni individuo è quindi
buono solo nella misura in cui è in grado di offrire il proprio corpo
e la propria energia al sistema di produzione della ricchezza. L’alienazione
e oggettificazione della persona determinano però che la sua
volontà sia annullata rispetto agli interessi della classe dominante, e
ciò senza dubbio riflette la riduzione dei diritti della forza lavoro a
beneficio della massificazione del profitto. Il kôn è la rappresentazione
estrema di una forza lavoro a costo zero cui è stata privata persino
la volontà di decidere sul proprio destino individuale. Questa condizione
è doppiamente negativa: non solo conduce alla distruzione
individuale (il lungo logoramento fisico e spirituale che porta alla
morte di chi è schiavizzato misticamente) ma anche a quella di chi
lo circonda, in quanto sottrae la possibilità di lavorare e quindi guadagnare
ai vivi che, a differenza dei kôn, costano. Per quanto banale
possa sembrare, il discorso sui kôn “che rubano il lavoro ai vivi” è
frequente ed esprime bene le contraddizioni di una situazione dove
una buona parte della popolazione si vede esclusa dai benefici della
produzione di ricchezza in quanto disoccupata, vedendo al contempo
una piccola élite arricchirsi. Le piantagioni lavorate dagli schiavi
mistici esprimono l’incomprensione nei confronti di un processo di
produzione della ricchezza che porta benefici a pochi, togliendo ai
più la possibilità di parteciparvi persino in maniera subalterna.
Lo scenario in cui avviene tutto ciò è, come abbiamo visto, caratterizzato
dall’imprevedibilità e dall’assenza di regole: la moderna
2000, n. 79, pp. 5-16, nello specifico p. 6. Per un’analisi della pregnanza degli zombies
in quanto metafora visiva, cfr. J. Tonda, op. cit, pp. 231-234. Cfr. anche A. Ngoua,
La sorcellerie du Kong à Bitam: une manifestation symbolique de l’économie capitaliste,
Mémoire de maîtrise de sociologie,Université Omar Bongo, Libreville, 2004.
274
capitolo undicesimo
“economia dell’occulto” rompe con tutti i controlli e norme tradizionali,
liberalizzando la produzione e ponendo come unico obiettivo
la massificazione del profitto che deriva dall’uso dei corpi. Abbiamo
visto come non importi più chi sia la vittima, può essere chiunque.
Lo stesso per il carnefice: chiunque può diventare mercante/imprenditore
senza tante storie in questo sistema economico dove le regole
sono poche o assenti. Si crea quindi una situazione, per riprendere
Latouche, di “eteronomia”27, cioè di dipendenza assoluta rispetto a
meccanismi impersonali ed estranei al soggetto. L’eteronomia e la
perdita della volontà sono ingredienti fondamentali del sistema in
quanto, fra le loro varie conseguenze, determinano anche un annullamento
della speranza28. Se il proprio destino non dipende dalle
proprie azioni, in quanto si è in balia di decisioni casuali altrui, la
fiducia nel futuro diminuisce. L’arbitrarietà di scelta delle vittime dei
crimini rituali, di coloro che attraverso la schiavizzazione mistica o
attraverso la scomposizione del proprio corpo sono usati per il profitto
altrui, rende tutta la popolazione vulnerabile e insicura, in balia
di decisioni su cui non hanno capacità di intervento. Il comportamento
individuale è dunque un elemento ininfluente nel decidere
le proprie sorti, lasciando ampio spazio a un fatalismo rassegnato29.
Da questo immaginario viene fuori una ricerca del senso su una
situazione di estrema diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza
– quindi, nella distribuzione della proprietà della ricchezza.
L’interrogativo che ci si pone è: qual è il senso di questa distribuzione?
Qual è il motivo di una situazione dove la proprietà è con-
27 S. Latouche, L’autre Afrique. Entre don et marché, Albin Michel, Paris, 1998
(traduzione italiana di a. Salsano, L’altra Africa. Tra dono e mercato, nuova edizione
riveduta, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, nello specifico pp. 79-89).
28 Sul neoliberismo come distribuzione ineguale non solo di ricchezza ma anche di
speranza nel futuro, cfr. H. Miyazaki, The Temporality of No Hope, in Ethnographies
of Neoliberalism, C.J. Greenhouse (a cura di), University of Pennsylvania Press,
Philadelphia, 2010, pp. 238-50.
29 Si potrebbe obiettare che la speranza nel miglioramento possa invece essere
rappresentata dalla stregoneria, ovvero dalla scelta di appartenere a coloro che
integrano i due livelli alti del sistema di produzione e commercio – mercanti e
consumatori. D’accordo con le opinioni della gente, penso che questo tipo di
scelte non siano tanto dovute a una speranza ma a una disperazione, e infatti sono
sanzionate negativamente. La potenza oppressiva di questo immaginario sta proprio
in questa distinzione: l’aspirazione a non peggiorare la propria situazione – a
sopravvivere – è il campo della speranza, la volontà di migliorare la propria situazione
è invece esclusa se non nell’ambito della disperazione.
275
zombicapitalismo
centrata nelle mani di pochi a scapito di tutti gli altri? La risposta
è che l’accumulo e il possesso di ricchezze possono fondarsi solo ed
esclusivamente sull’espropriazione violenta e arbitraria di beni altrui,
siano questi energia vitale piuttosto che parti del corpo o capacità
di lavoro. La violenza con cui i ricchi – o aspiranti tali – cercano di
appropriarsi attraverso omicidi e profanazioni di organi vitali, di forza
lavoro nelle loro piantagioni, di scheletri di antenati non loro, è
una metafora molto espressiva del sistema di sopruso su cui si fonda
la disuguaglianza strutturale della società. Violenza reale e violenza
simbolica si intrecciano profondamente, collegando il sistema economico
reale al sistema economico mistico, la struttura sociale alla
sua rappresentazione metaforica.
8. Una prospettiva insecuritizzante e i suoi obiettivi
Il kôn diventa quindi uno degli indici attraverso cui la società manifesta
le proprie paure e insicurezze in ambito economico, un linguaggio
per rappresentare le diseguaglianze e per indicare che non le
si accetta. Il kôn è una metafora dell’economia capitalista neoliberale:
il fatto però che questa economia sia rappresentata in maniera così
violenta e brutale, indica a mio parere due cose. In primo luogo, che
la società non accetta questo sistema economico, perché altrimenti
lo rappresenterebbe in un altro modo. In secondo luogo, però, aggiungerei
che non solo la società non lo accetta, ma che non vuole
accettarlo. La raffigurazione così violenta del sistema economico può
essere vista come una contro-ideologia di resistenza, che cerca a tutti
i costi di mantenere l’idea che questo sistema economico non possa
assolutamente essere accettato, perché se ciò avvenisse significherebbe
accettare la logica della prevaricazione e dello sfruttamento30.
In questo senso, la credenza nei kôn, allo stesso modo che quella
parallela nei crimini rituali, costituisce un discorso dissidente e insecuritario
dal basso, che si oppone al discorso securitario neoliberale
che arriva dall’alto. Questo discorso insecuritario ha l’obiettivo di
mettere in guardia le persone dal cedere alle lusinghe dell’ideolo-
30 Il riferimento teorico di questa mia interpretazione è naturalmente J. Scott,
Domination and the Arts of Resistance. Hidden Transcripts, Yale University Press,
Yale, 1990 (traduzione italiana di R. Ambrosoli, Il dominio e l’arte della resistenza.
I “verbali segreti” dietro la storia ufficiale, Elèuthera, Milano, 2006).
276
capitolo undicesimo
gia del successo capitalista, ricordando loro che chiunque può essere
vittima in qualsiasi momento dei perversi meccanismi del mercato.
Diventare kôn può infatti capitare a chiunque: è sufficiente essere
la vittima prescelta di un gruppo di stregoni, che farà in modo di
causare la morte di quell’individuo per renderlo schiavo. Il kôn non
è però l’unico modo che gli stregoni hanno a disposizione per procurare
ricchezza a se stessi o ai loro committenti: un’altra modalità
forse ancora più diffusa sono i sacrifici umani di bambini e adulti,
eseguiti per privarli di organi e parti del corpo da cui si ricaveranno
sostanze magiche in grado di aumentare il potere di chi le possiede.
Le opzioni possono anche sovrapporsi, come vediamo nella testimonianza
della tragica morte di Pierre: nel racconto il ragazzo viene
mutilato di alcuni organi (i globi degli occhi) e derubato del suo sangue,
e allo stesso tempo il è prigioniero di chi l’ha ucciso: «lo spirito
di vostro fratello è schiavo, in questo momento lavora per il paese» è la
tragica sentenza dello nganga consultato dalla famiglia.
La valenza insecuritaria del discorso sulla stregoneria si riflette
nelle diverse reazioni che lo Stato post-coloniale assume nei suoi
confronti. Si tratta di un discorso che in linea di principio getta
un’ombra sulla legittimità e sulla moralità delle sue elites, i cui componenti
sono rappresentati come i beneficiari di una situazione di
dominio violento e oppressivo. La forma stessa dello Stato assume
in questi termini contorni molto oscuri, in quanto la sua autorità si
fonda sull’imposizione di una gerarchia sociale ed economica. Ma
ciò che viene per prima cosa messa in discussione è la capacità dello
Stato post-coloniale a creare un discorso securitario che lo legittimi:
lo Stato stesso e le sue elites sono viste come creatrici di insicurezza,
ed è su di essa che si ritiene che si fondi il loro potere.
La risposta più comune delle elites è quella di rivolgersi contro
questo discorso insecuritizzante nei loro confronti, cercando di reprimerlo.
Il primo modo in cui ciò avviene è attraverso il tentativo
di soffocare e arginare questi discorsi, vietandone la pubblicazione,
minacciando e intimidendo i giornalisti o i ricercatori che se ne occupano.
La diffusione del discorso è però talmente ampia che a volte
diventa difficile negarlo e quindi un secondo tentativo di repressione
avviene attraverso la messa in moto dell’apparato poliziesco e giudiziario.
Sono ormai vari gli Stati che hanno introdotto – o reintrodotto,
recuperandolo dai codici coloniali – il reato di stregoneria31.
31 Sul rapporto fra giustizia e stregoneria la maggior parte degli studi riguardano il
277
zombicapitalismo
In questo modo, come abbiamo visto nella cronaca del quotidiano
gabonese riportata all’inizio di questo saggio, si cerca di rispondere
al discorso insecuritizzante attraverso una specie di “contro-discorso”
statale, che cerca di arginare e combattere il fenomeno della stregoneria
ponendosi sul suo stesso piano. Questi tentativi sono stati oggetto
di numerosi dibattiti e non sono mancate critiche32, in quanto,
cercando di reprimere la stregoneria attraverso la giustizia statale,
paradossalmente
si raggiunge l’effetto di alimentare il discorso insecuritizzante
che da essa deriva. Lo Stato fornisce infatti un avvallo ufficiale
alla validità del discorso, dandolo per vero, e, allo stesso tempo,
non fa nulla per risolverlo realmente, in quanto ad essere colpiti sono
ovviamente soltanto i livelli di manipolazione retorica – la rappresentazione
del fenomeno – e non le cause strutturali che lo determinano
– le enormi diseguaglianze e i soprusi da cui esse derivano.
Il discorso insecuritizzante della stregoneria è dunque così pregnante
per la popolazione che fa fatica a essere sradicato. La sua
capacità di rielaborare metaforicamente la realtà socio-economica e
di fornire un orizzonte coerente di significato alle esperienze quotidiane
lo rendono un discorso estremamente solido e convincente.
Non stupisce quindi che non manchino nemmeno tentativi di sua
manipolazione da parte delle elites, convinte in alcuni casi di poterne
trarre benefici. In Gabon sono numerosi gli uomini politici che
alimentano leggende sulla loro fama stregonesca, in modo da imporsi
sulla scena pubblica come persone che è meglio non osare sfidare.
Lo stesso presidente Omar Bongo Ondimba, al potere dal 1967 al
2009 fece di tutto per crearsi una fama di persona in contatto con le
forze dell’invisibile, con un potere oscuro quanto grande33. Questa
Camerun. Cfr. P. Geschiere, Sorcellerie et politique en Afrique, cit., in particolare il
capitolo 5, L’État à l’attaque: l’action judiciarie contre les sorciers, pp. 219-259. Id.,
La stregoneria e i limiti della legge in Camerun e Sud Africa, in Poteri e identità in
Africa Subsahariana, R. Beneduce (a cura di), Liguori, Napoli, 2008, pp. 59-93;
cfr. anche – oltretutto specificatamente sui kôn – A.B. Yombi, La répression de la
sorcellerie dans le Code pénal camerounais: le cas du Kong dans le Ntem, in Jahrbuch
für Afrikanisches Recht – Annuaire de Droit Africain – Yearbook of African Law,
1984, vol. 5, pp. 3-12; C.F. Fisiy, M. Rowlands, Sorcery and Law in Modern Cameroon,
in Culture and History, 1990, n. 6, pp. 63-84.
32 C.F. Fisiy, P. Geschiere, Judges and Witches, or how is the State to Deal with Witchcraft?
Examples from Southeastern Cameroon, in Cahiers d’études africaines, 1990,
n. 118, pp. 135-156; C.F. Fisiy, Le monopole juridictionel de l’État et le règlement des
affaires de sorcellerie au Cameroun, in Politique africaine, 1990, n. 40, pp. 60-72.
33 Analoga fama circonda la figura di Teodoro Obiang Nguema, presidente del 278

capitolo undicesimo
rappresentazione può avvenire nella misura in cui il sistema è compreso
nei suoi punti fondamentali, ha cioè un senso, ma non viene
accettato nella sua logica e nelle sue conseguenze.
Concludendo, l’adozione di questa prospettiva, ovvero il leggere
le credenze nella stregoneria non solo come linguaggio di espressione
di un disagio di fronte alla diseguaglianza, ma anche come discorso
insecuritizzante di critica e resistenza al sistema, può aprirci a mio
parere nuove strade di ricerca. Riconoscere che questo immaginario
così cruento contiene dentro di sé un elemento di critica al sistema
economico neoliberale – percepito e rappresentato come assurdo,
oppressivo e violento – ci aiuta a riconsiderare da un’ottica diversa la
reazione che le popolazioni africane hanno di fronte al neoliberalismo.
Una spiegazione di questo tipo lascia aperte molte interessanti
prospettive di ricerca – che naturalmente qui non posso far altro che
elencare – riguardo alle reazioni e risposte indigene al sistema, ovvero
a tutti quei movimenti che lo combattono sul piano simbolico
offrendo alternative più o meno effimere – i periodici movimenti
anti-stregoneschi che nascono e si diffondono localmente per poi
sparire rapidamente – o invece durature – come in tutta l’Africa le
chiese pentecostali o, specificatamente in Gabon, le comunità bwiti
e ombwiri34. Lo studio di queste forme di stregoneria e anti-stregoneria
può quindi cercare di non limitarsi a certificare la mancata
integrazione dell’Africa all’interno del sistema globale, ma esplorare
le reazioni, resistenze e alternative che le società africane forniscono
in risposta a un mondo inteso come ingiusto e diseguale.
la vicina Guinea Equatoriale, lui stesso di origine fang. Cfr. R. Klitgaard, Tropical
gangsters: one man’s experience with development and decadence in deepest Africa,
Basic Books, New York 1990.
34 Lo studio di questo tipo di movimenti può inserirsi nella prospettiva tracciata da
Vittorio Lanternari, consistente nell’analizzarli non solo in quanto movimenti religiosi
ma anche politici, attraverso cui «i gruppi sociali o etnici esprimono il loro
malessere, la loro insoddisfazione per il presente e l’ansia di miglioramento». Cfr.
V. Lanternari, Prefazione alla seconda edizione, in Id., Movimenti religiosi di libertà
e salvezza, Editori Riuniti, Roma, 2003 (edizione originale, Feltrinelli, Milano,
1960), nello specifico p. 9. Cfr. anche J. Fernandez, African Religious Movements.
Types and Dynamics, in Journal of Modern African studies, 1964, vol. 2, n. 4, pp.
531-549. La valenza politica di questi movimenti si riflette anche nel fatto che essi
sono banditi e repressi in contesti come quello della Guinea Ecuatoriale – cfr. nota
precedente – dove l’autorità dell’élite si fonda su un’aura di potere stregonesco: in
questi casi essi sono infatti in grado di sfidare il potere più che qualsiasi movimento
dichiaratamente politico.

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