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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA

Corso di laurea in

Antropologia culturale ed etnologia

La Thuile: il paese delle vedove si tinge di bianco.


Antropologia e storia sociale del ruolo della miniera nello sviluppo di un paese alpino di
confine

Tesi di laurea in

Antropologia politica

Relatore Prof: Luca Jourdan

Correlatore Prof. Ivo Quaranta

Presentata da: Myriam Venturino Clemente

Appello
terzo

Anno accademico
2020-2021
1
Abstract

La Thuile, Valle d’Aosta, “super ski area”, miglior tracciato di MTB del 2019, sede di gare
nazionali e internazionali di sci alpino e MTB, il perfetto comprensorio sportivo nel cuore delle
Alpi, affacciata sul Monte Bianco, set di film e spot pubblicitari.
Ma La Thuile ha un passato complicato e drammatico, legato al Colle del Piccolo San Bernardo,
che si trova nel suo territorio e alle sue miniere.
Con questa ricerca mi sono posta l’obiettivo di analizzare le tre fasi di sviluppo di La Thuile da
agro-pastorale, a mineraria, a “super ski area”, chiedendomi anche il perché della scarsa memoria
storica del paese e dove lo porteranno i prossimi sviluppi.
I ritmi pandemici hanno influenzato il lavoro sul campo. Ho quindi utilizzato la bibliografia, gli
archivi comunali e regionali, le registrazioni etnografiche, il museo minerario, per cogliere
appena possibile la possibilità di interviste ai testimoni diretti.
La mia tesi triennale, una ricerca di campo tra gli Hopi e Navajo, mi aveva coinvolta nel rapporto
contraddittorio delle popolazioni native con le miniere sul loro territorio.
In quel caso il mio ruolo era, in senso antropologico, “classico”, quello dell’ antropologa che si
reca lontana per studiare l’altro. In questo caso invece si tratta di antropologia “at home”, nel
senso più radicale, perché La Thuile è stata casa mia per 23 anni. Situazione ottimale da un punto
di vista organizzativo, ma il mio posizionamento mi ha suggerito di sperimentare l’autoetnografia
per porre nuovi interrogativi attraverso le mie esperienze personali, svuotate dei sentimenti per
trasformarle in “dati” di ricerca qualitativa.
Sono inevitabilmente “tornata” nelle miniere di carbone, alla ricerca di un riscatto e una
valorizzazione, magari come volano di una quarta fase di sviluppo, per la memoria del paese.

2
Premessa

A riprova del fatto che anche il percorso euristico ha qualcosa del viaggio iniziatico- attraverso
l’immersione totale e la gioia dei ricongiungimenti che l’accompagna, si compie una
riconciliazione con cose e con persone da cui l’ingresso in un’altra vita mi aveva insensibilmente
allontanato e che la postura etnologica impone naturalmente di rispettare, gli amici d’infanzia, i
parenti, i loro modi, le loro abitudini, il loro accento. È tutta una parte di me stesso che mi viene
resa, proprio quella attraverso la quale ero legato a loro, perché non potevo negarla senza
rinnegarli vergognandomi di loro e di me stesso. Il ritorno alle origini si accompagna a un ritorno,
ma controllato, del rimosso. (P. Bourdieu 2004, p. 63)

La scelta della tesi di laurea triennale non era stata una scelta, ma un sogno che andava a
compiersi con una strada tracciata da anni. In questa occasione è stato molto diverso, l’argomento
era da trovare, e dovevo conciliare una famiglia e un lavoro con l’impossibilità mentale di
rinunciare ad una tesi di ricerca. Sarebbe stato inaccettabile per me concludere questo percorso
senza un impegno sul campo.
Ho trovato nel mio paese di origine La Thuile, un soggetto che offre molti spunti, e che per questa
ragione è già stato oggetto di alcuni studi. Il paese ha una lunga e travagliata storia di guerre e
invasioni, le feste tradizionali vengono ancora celebrate e tra di esse si riscontrano notevoli
esempi di riti di passaggio, le leggende sono un tema molto ricco e viene ancora praticata una
forma di medicina tradizionale. Oggi è uno dei più importanti comprensori sciistici delle Alpi.
La scelta dei temi era ampia e interessante. Avevo trovato nella storia della banda partigiana
locale un argomento che, credevo, non ancora completamente approfondito e sono partita da lì.
Cominciando le interviste e la lettura del materiale è accaduto però ciò che rende la ricerca un
bellissimo lavoro, questa ha cambiato direzione da sola, seguendo le informazioni ottenute e
l’intuizione. Dopo le prime interviste, mi sono infatti resa conto che dei partigiani, non si
conosce niente più di quanto già scritto, e niente di ciò che non lo è ancora stato, vuole essere
raccontato. Invece appena i tempi verbali delle conversazioni virano al passato ciò che ne deriva
è sempre la miniera. L'argomento mi interessava molto, ma non credevo fosse indagabile, perché
in paese se ne parla poco. Mi sono chiesta quindi se La Thuile potesse essere considerata una
comunità mineraria, quale fosse l’eredità di quell’esperienza e perché fosse così viva nelle
memorie individuali e così assente da quella collettiva. Lo sci a partire dalla fine degli anni ‘60
ha sostituito le miniere, con un nuovo stravolgimento economico e sociale, ma qual è il futuro
dello sci? Sopravviverà ai cambiamenti climatici e alle crisi economiche? Ho visitato alcune
miniere abbandonate rese accessibili ai turisti. Per quanto non possa diventare un mercato ricco

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e fiorente come quello dello sci alpino, la riscoperta e la valorizzazione del patrimonio minerario,
da un punto di vista di archeologia industriale, ma anche e soprattutto da un punto di vista
antropologico e storico, può essere una valida strada per un turismo svincolato dalle logiche
stagionali?
L’altra intuizione me l’ha data il mio corpo. Mentre correvo al freddo, dopo aver letto qualche
testo e registrato alcune interviste, pensavo a come andare oltre il semplice racconto e la
trascrizione delle informazioni. Era buio e freddo, la poca gente in giro era incappucciata nella
giacca, io invece avevo caldo con la felpa, solo il viso stava soffrendo il freddo, il vapore
provocato dal mio fiato, saliva verso le chiome degli alberi quasi del tutto spogli, i piedi facevano
scricchiolare le foglie secche e gelate sotto di loro, ho provato il piacere del freddo e forse
condizionata dal materiale che già stavo studiando, sono tornata a casa, a correre sui mucchi di
carbone, al freddo e ho capito che il mio corpo è La Thuile, il mio rapporto col freddo e il
desiderio di arrivare al limite, è La Thuile, correre al freddo è correre sui mucchi di carbone. In
quel momento di epifania ho capito che la mia incorporazione, il mio habitus, potevano e
dovevano essere parte della metodologia della mia ricerca. Citando nuovamente Bourdieu La
Thuile è “il mio universo familiare che conosco senza conoscerlo veramente” e sottomettere alla
critica scientifica e alla metodologia la mia esperienza diventava una sfida interessante quanto
l’argomento, una prova che aggiungeva difficoltà alla ricerca stessa. Riuscire a separare ricordi
e sensazioni fisiche dai sentimenti per oggettivare le informazioni non sembrava essere e non è
stata impresa facile. Il mio posizionamento mi ha consentito facili e proficui rapporti con gli
interlocutori. Grazie al mio essere una di loro, era più facile essere accolta, ma gli anni passati
lontani hanno invece consentito a me il cambio di sguardo necessario alla ricerca. Senza mettermi
al riparo da difficili momenti di commozione che rimarranno dentro di me come preziosa eredità
di questo lavoro e che mi auguro di aver lasciato fuori da questo testo.

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Introduzione

La Thuile, in Valle d’Aosta, si presenta oggi al mondo come “super ski area” e miglior tracciato
di Mountain Bike del 2019, perfetto comprensorio per gli sport di montagna, è una deliziosa
cartolina affacciata sul Monte Bianco, che attira migliaia di turisti. La Thuile però ha un passato
complicato e drammatico, legato al Colle del Piccolo San Bernardo, che si trova nel suo territorio
e che è stato più volte teatro di guerre, compresa la Seconda Guerra Mondiale, e alle sue miniere
da cui è dipesa economicamente per oltre quarant’anni.
Con questa ricerca mi sono posta l’obiettivo di analizzare le tre fasi di sviluppo di La Thuile da
agro-pastorale, a mineraria, a “super ski area”, chiedendomi anche il perché della scarsa memoria
storica del paese e dove lo porteranno i prossimi sviluppi, anche in considerazione dei
cambiamenti climatici in atto.
La mia tesi triennale, una ricerca di campo nelle riserve gli Hopi e Navajo in Arizona, mi aveva
coinvolta nel rapporto contraddittorio delle popolazioni native con le miniere sul loro territorio.
In quel caso il mio ruolo era, in senso antropologico, “classico”, quello dell’ antropologa che si
reca lontana da casa per studiare l’altro. In questo caso invece si trattava di una ricerca di
antropologia “at home”, nel senso più radicale, perché La Thuile è stata casa mia per 23 anni.
Sono inevitabilmente “tornata” nelle miniere di carbone, alla ricerca di un pezzo di storia
mancante, con lo scopo di restituirlo alla comunità, magari come volano di una quarta fase di
sviluppo.

Metodologia

La ricerca sul campo ha presentato in questo periodo, delle difficoltà oggettive supplementari
legate alla pandemia. Nei mesi immediatamente successivi alla scelta dell'argomento non è stato
possibile accedere ai libri in consultazione presso la Biblioteca Regionale di Aosta e presso quella
comunale di La Thuile. Anche per gli archivi regionali e comunali si è dovuta attendere la
riapertura. Con tempo e pazienza è stato comunque possibile procedere a tutte le interviste
concordate e accedere alla documentazione. Ho quindi utilizzato i classici metodi di ricerca quali:
la lettura della bibliografia, la consultazione di altre tesi di laurea sull’argomento e il confronto
con uno degli autori, la consultazione degli archivi comunali di La Thuile, gli archivi audio e
fotografici del BREL, le riviste periodiche della biblioteca, gli articoli dei quotidiani e i siti web.
I tempi per le interviste si sono dilatati, dovendo porre particolare attenzione ai miei
intervistati, vista la loro età. Quarantene, contagi, vaccini e buon senso hanno quindi dettato i

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tempi delle ricerca. Ciò nonostante ho avuto il dono di lunghe interviste con persone del paese,
nate negli anni ‘40 e nel dopoguerra che, oltre a rispondere alle mie domande, hanno ispirato
nuove questioni, nuove curiosità e domande. Le persone intervistate sono state cinque donne e
sei uomini, e la bibliotecaria di La Thuile che è anche stata l’assessore comunale che si è
occupata del recupero dei sentieri minerari del paese. Con cinque di loro l'intervista è stata
ripetuta su più incontri.
Preziosissima è stata la disponibilità da parte del Comune di La Thuile, che mi ha fiduciosamente
lasciato tutto il tempo e la libertà di consultare il museo delle miniere di La Thuile, un piccolo
tesoro creato da Lorenzo Berguerand e chiuso alla sua morte avvenuta qualche anno fa. E’ un
peccato non poter riprodurre e non aver potuto fotografare degnamente le antiche mappe della
miniera del Promise troppo grandi e delicate. Sfogliare i documenti della miniera e di suo padre,
minatore e partigiano, immersa nella polvere e nei minerali e nei cimeli ferruginosi è stato un
divertente momento di ricerca archeoindustriale.
Quello che mancava era l’osservazione partecipante della comunità, impossibile in piena
pandemia e come accennato nella premessa ho pensato di poter utilizzare il metodo auto
etnografico di cui avevo letto (Ellis, Adams, Holman, Jones, 2017). Ho quindi cercato di dare
valore alla mia passata esperienza di giovane abitante di La Thuile nella sua eredità di testimone
fisica. La mia osservazione partecipante si era svolta su un lunghissimo periodo, in cui avevo
sperimentato il freddo, il gioco nei ruderi della miniera, le ore passate nella neve o nella polvere
di carbone, la malattia e l’attesa dei malati di silicosi, e poi la ricchezza smodata e senza valori
degli anni ‘80. Dovevo solo svuotarla di sentimenti e analizzare i miei ricordi come avrei fatto
con quelli di un qualsiasi intervistato, per trasformarli in dati di ricerca qualitativa.
Ho lasciato il paese molti anni fa, e comunque essendo “meticcia” non mi sono mai sentita
completamente parte di quel mondo, (forse avevo già uno sguardo da osservatore esterno). Pur
amandola e ritenendo la Badoche una festa bellissima, conscia che sarei partita per l’università
dopo un solo anno da quando l’età mi consentiva l’accesso, non vi ho mai partecipato, anche se
l’emozione di ricevere la busta dal comitato organizzativo è stata in 17 anni la cosa che mi ha
fatto più sentire parte della comunità. Sono poi partita per l’Università e per sei anni sono tornata
solo come stagionale, sperimentando quindi anche quella posizione all’interno della comunità.
Questo mio ruolo di fuoriuscita ha permesso alle persone intervistate di raccontarsi con l’apertura
concessa da un viso amico, ma con la certezza che avrei usato quel loro tempo in modo preparato
e rispettoso.

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Teorie di riferimento

L’”Anthropology of mining” è un filone ancora poco esplorato, nonostante la sua crescente


importanza considerato l’impatto economico ed ecologico delle miniere e il loro sviluppo
globale. Nel 1985 Ricardo Godoy elabora un modello delle comunità minerarie, con un approccio
antropologico che prende in considerazione le caratteristiche demografiche, sociali e politiche
delle comunità minerarie. Godoy, come già Bulmer mette in correlazione l'isolamento come
tratto distintivo di tali comunità. Godoy delinea anche le caratteristiche demografiche che ritiene
tipiche delle comunità minerarie, che possono essere valide anche nei contesti extraeuropei e
avere una validità universale.

Nel 2003 Ballard e Banks pubblicano un articolo sull’estrazione mineraria del pacifico e
dell’Asia che segnala l’importanza del ruolo degli antropologi come consulenti minerari o
difensori delle comunità native. Questo approccio potrebbe essere utile allo studio di tutto lo
sfruttamento del territorio, anche, a mio parere, di quello da parte della grande industria turistica.
Recentemente Lorenzo d’Angelo ha svolto un’importante ricerca etnografica tra i minatori che
estraggono diamanti in Sierra Leone testimoniando l’importanza di questo filone di ricerca.
Ma un primo importante lavoro sull’antropologia delle miniere è stato il saggio di Bulmer
"Sociological models of the mining community” del 1975 testo di riferimento per questo tipo di
ricerche. Bulmer traccia quattro modelli per lo studio delle comunità minerarie, sottolineando le
somiglianze fra i mining settings indipendentemente dal loro contesto. Bulmer riprende la teoria
antropologica di Max Gluckman (1961) secondo cui le miniere tendono a avere
un’organizzazione basata su principi simili e quindi ad avere effetti socio - strutturali simili, e
delinea quattro tipi di comunità minerarie; The Archetypal Proletarian, modello prettamente
economico da cui emergono l’idea dello sfruttamento e quella di solidarietà interna. Il secondo è
il modello della Isolated Mass, che sottolinea la divisione di classe, in cui la massa isolata si
contrappone al resto della società. Il terzo modello affronta le relazioni comunitarie del gruppo
che, consapevole del proprio isolamento e del loro destino comune formano un Isolated Group,
il quarto modello è quello delle Occupational Communities dove Bulmer pone l'accento
sull'interazione fra gli individui anche al di fuori dell’ambiente lavorativo. Cercherò di analizzare
la situazione di La Thuile in considerazione di questi modelli chiedendomi se la comunità
mineraria di La Thuile porta le caratteristiche in uno di essi.
La Thuile però prima di essere comunità mineraria è comunità alpina. Tradizionalmente le
comunità alpine sono viste come chiuse e arretrate. Gli studi sulle comunità alpine a partire da

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quelli di Lucien Febvre (1922), Semple (1911) e Ratzel (1882) si basano su un determinismo
fondato sull'influenza dell'ambiente fisico e geografico sull’organizzazione sociale. Tali teorie
arrivano a teorizzare che popoli diversi, nelle stesse condizioni geografiche raggiungano
inesorabilmente lo stesso livello di sviluppo, tanto che la Semple sostiene che le genti di
montagna sono destinate in tutte le parti del mondo ad essere culturalmente arretrate. Queste
teorie ambientaliste e deterministe divennero presto oggetto di critiche e furono superate dal
possibilismo di Vidal de la Blache che nel 1902, riconosceva le somiglianze di ordinamenti
economici e sociali delle popolazioni di montagna, ma rifiutava il determinismo e sosteneva che
la storia offrisse comunque una gamma di differenti possibilità di sviluppo. Gli anni cinquanta
sono ancora caratterizzati dalla diatriba tra il possibilismo rappresentato di Alfred Kroeber e
Daryl Forde e il determinismo di Braudel. Negli anni ‘60 viene introdotto il concetto di
ecosistema, nato dalla letteratura ecologica, viene poi utilizzato per descrivere un sistema
complesso e organizzato che comprende un ambiente e la comunità che lo occupa. Questa
prospettiva neo funzionalista ha posto l’attenzione degli antropologi sull’analisi delle relazioni
tra popolazioni e risorse. Questa teoria vede nella capacità di una popolazione di adattare la
propria consistenza numerica alle risorse locali disponibili. Da questa teoria si riconosce l’
importanza dello studio della regolazione demografica. (Viazzo 1989, p. 17)
L’economista e demografo Malthus sosteneva, che proprio nelle zone montane, dove il sistema
ecologico non è in grado di sostenere la popolazione, la regolazione demografica della
popolazione attraverso pratiche di controllo delle nascite è necessaria.
Netting nel 1981 in uno studio sulla comunità delle alpi svizzere Törbel, sottolinea l'importanza
dello studio della storia demografica per le comunità alpine. Netting si convince di aver trovato
in Törbel un esempio di comunità alpina che potesse essere un punto di riferimento. Ma Viazzo,
nel suo studio sulla comunità walser di Alagna sulle Alpi piemontesi si rende conto che invece
le due comunità presentano caratteristiche diverse da quelle indicate da Netting.
Viazzo nel suo studio su Alagna non ritrova conferma della visione di comunità chiusa e
retrograda fatta dalla Semple e che al contrario da quanto sostenuto dalla stessa, dalla comunità
sono nati molti pittori e artisti, smentendo l’incapacità di produrre menti eccelse delle montagne
sostenuta da Semple. Inoltre ad Alagna c’è un notevole movimento migratorio che smentisce la
teoria della montagna chiusa ed isolata.
Paolo Sibilla ha condotto una lunga e approfondita ricerca su La Thuile a cui ho fatto riferimento.

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Organizzazione del testo

Il mio lavoro si divide in tre parti principali che rappresentano i tre periodi dello sviluppo socio-
economico avvenuto nel paese.
Nella prima parte oltre a descrivere la collocazione geografica e storica del paese cerco di
delineare il sistema socio economico dell’epoca pre-mineraria, basato su un'economia agro
pastorale.
Nella seconda parte affronto il buio periodo della miniera e della guerra, che portano con sé,
sviluppo e stabilità economica, ma si accompagnano a gravi conseguenze per la popolazione.
Nella terza parte affronto lo sviluppo turistico che segue alla chiusura della miniera.
Un breve capitolo affronta l'educazione a La Thuile e il ruolo fondamentale delle maestre
elementari in tutto il periodo affrontato, non solo come educatrici , ma come memorie della
comunità.
L’intento della mia ricerca è quello di dare una risposta all’oblio che circonda l’epoca mineraria,
interrogarsi sul ruolo giocato in ogni fase di sviluppo dai fattori esterni al paese e guardare al
cambiamento avvenuto all’interno della comunità, rispondendo se possibile alla sua
appartenenza alla categoria di comunità chiusa o aperta. Mi auguro che nel tratteggiare questo
ritratto io sia riuscita, grazie agli strumenti acquisiti durante il mio corso di studi, a escludere dal
testo il più possibile sia gli atti di amore, sia i miei J’accuse nei confronti del mio paese, e che
questa ricerca possa dare nuovi stimoli e strumenti a chi voglia riportare al suo posto un tassello
mancante della storia della comunità, utilizzando gli accadimenti passati per costruire
un modello di sviluppo futuro adeguato alla comunità.

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La Thuile: Il paese delle vedove si tinge di bianco
Antropologia e storia sociale del ruolo della miniera nello sviluppo di un paese montano di confine

PARTE 1. STORIA ................................................................................................................................................................. 13


1.1 CENNI STORICI SU LA THUILE .................................................................................................................................. 13
CAPITOLO 1: LA THUILE .......................................................................................................................................................................... 13
CAPITOLO 2: UNA CRONOLOGIA LEGGENDARIA .................................................................................................................................... 21
CAPITOLO 3: GUERRE E CONFINE ............................................................................................................................................................ 39
CAPITOLO 4: ECONOMIA DOMESTICA ..................................................................................................................................................... 61
CAPITOLO 5: ARGENTO E MISTERO ........................................................................................................................................................ 73
1.2. L'ACCIAIERIA COGNE DI AOSTA E IL SUO SISTEMA INTEGRATO................................................................ 89
CAPITOLO 1: LA COGNE E L’INDUSTRIALIZZAZIONE DELLA MINIERA ............................................................................................... 89
CAPITOLO 2: LA COGNE E LA GUERRA ................................................................................................................................................... 96
CAPITOLO 3: LA COGNE OGGI IN BREVE E OSSERVAZIONI................................................................................................................ 100
PARTE 2. LA POPOLAZIONE E LA MINIERA ............................................................................................................. 104
CAPITOLO 1: LA MINIERA DI LA THUILE............................................................................................................................................. 104
CAPITOLO 2: DENTI BIANCHI ............................................................................................................................................................... 118
CAPITOLO 3: PRIGIONIERI .................................................................................................................................................................... 125
CAPITOLO 4: I GIAPPONESI................................................................................................................................................................... 128
CAPITOLO 5: PARTIGIANI: EROI O PRIVILEGIATI IN FUGA?.............................................................................................................. 136
PARTE 3. NERO CARBONE............................................................................................................................................. 147
CAPITOLO 1: IL PAESE DELLE VEDOVE ................................................................................................................................................ 147
CAPITOLO 2: POLMONI BRUCIATI ........................................................................................................................................................ 154
CAPITOLO 3: UN UOMO ILLUMINATO E UN MEDICO CAPACE ........................................................................................................... 158
PARTE 4. SVILUPPO E FUTURO .................................................................................................................................... 164
PARTE 5. LA SCUOLA ....................................................................................................................................................... 179
CONCLUSIONI ..................................................................................................................................................................... 185
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................................... 193

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PARTE 1. Storia
1.1 Cenni storici su La Thuile

Capitolo 1: La Thuile

Raccontare un luogo richiede un minimo di descrizione fisica che consenta al lettore di avere una
mappa dove visualizzare gli eventi raccontati. Cercherò di utilizzare la mia diretta esperienza del
luogo, stralci di interviste e citazioni nel tentativo di rendere questo necessario passaggio, se
possibile, meno tedioso.
10.000 anni fa l’ultima glaciazione detta di Würm ricopriva l’intera Valle d’Aosta, incidendo le
sue valli e lasciando l’enorme serra morenica di Ivrea. Il ghiacciaio del Rutor insieme al grande
ghiacciaio Balteo e a quello dell'Isère nella Tarentaise1, durante l’erosione dei ghiacciai del
quaternario, modellarono la vallata rendendola adatta all’insediamento umano, nonostante un

1
Tarantasia, valle francese percorsa dal fiume Isère alle spalle della vallata di La Thuile e con essa confinante al
Piccolo San Bernardo, antica provincia e sede episcopale dei Savoia.

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clima rigido. L’effetto congiunto di queste masse di ghiaccio crearono, con l’erosione, un colle
ampio e lungo alla quota spartiacque di 2188 m., la valle del Piccolo San Bernardo. Essa è
caratterizzata da rocce calcaree facilmente comprimibili ed erodibili. Il Colle del Piccolo San
Bernardo e quello del San Carlo a differenza delle altre vette della zona, sono piatte e concave
sulla sommità, prive di ruscelli, perché l’acqua piovana e quella di scioglimento della neve
penetrano nel terreno, creando grotte carsiche, laghetti e tipiche doline. La particolare formazione
geologica influenzerà gli insediamenti umani, deviandoli sugli altri versanti della vallata.
(Falquet, 1971)
La Thuile, l’ultimo dei 74 comuni della Valle d’Aosta, il più occidentale, appartiene alla
Valdigne2 termine con cui si individuano i comuni dell'alta Valle d’Aosta; Courmayeur, La
Thuile, Pré Saint Didier, La Salle, Morgex. Questo elenco di paesini di montagna non può rendere
giustizia alla meraviglia che si prova quando passata Pierre-Taillé3, ultimo passaggio molto
stretto prima di entrare appunto nella Valdigne, il paesaggio si apre su una vallata più ampia, in
fondo alla quale si staglia maestoso il Monte Bianco e la sua catena. Questo è probabilmente il
punto da cui la sua visuale è più bella e incanta anche dopo una vita intera. Spesso passandoci
mi chiedo cosa possa provare chi lo vede per la prima volta, magari senza aver mai visto delle
montagne. Arrivati a Pré Saint Didier, rinomata stazione termale dai primordi del turismo ad
oggi, un bivio lascia scegliere tra Courmayeur, a destra, con il suo tunnel e il Monte Bianco o,
verso sinistra, lungo la statale che porta al colle del Piccolo San Bernardo.
Nove chilometri di curve in mezzo al bosco di aghifoglie, costeggiano la Dora di Verney che,
proprio lì, si congiunge con quella Baltea proveniente da Courmayeur, e oltrepassando l’orrido
ci portano all’ultima galleria su uno stretto passaggio denominato Pontailloud alla cui uscita si
apre sul paese di La Thuile.
La valle, ubicata all’envers4 è ampia, circa 20 km di lunghezza e altrettanti nell’altra direzione
considerando la zona che va dalla chiesa parrocchiale alla testa del Rutor 5 con il suo bellissimo
ghiacciaio e le sue cascate. Il suo territorio copre circa 126 km. Il cuore del paese è il capoluogo
che si trova subito dopo l’uscita dalla galleria di Pontailloud sulla strada principale, chiamato
“chef lieu”, il capoluogo anche se sia i paesani che i turisti di lungo corso chiamano

2
dal termine con cui era chiamata dai Romani “Vallis Digna”.
3
Varco aperto nella roccia all’epoca del regno di Augusto per ricavare un balcone di roccia su cui passare più
agevolmente. Il percorso è stato poi modificato con la creazione di una galleria.
4
Quello che viene chiamato normalmente ubac, il versante montano esposto a nord in cui il clima è favorito dalla
scarsa esposizione al sole, anche se la conformazione molto ampia della vallata di La Thuile rende meno severo
questo fenomeno.
5
Rutor in italiano , Ruitor per i francofoni, sulle carte del regno sardo si trovano altre varianti quali Rhutor,
Rutord, Rutors. secondo lo studioso di toponomastica Berton il nome deriva da Ruise dal patois franco provenzale
che significa ghiacciaio, e tor dal celtico punta, guglia montagna.

14
semplicemente “paese” per distinguerlo dall’altro centro vitale, il Planibel. Il Planibel è un hotel,
costruito all’arrivo degli impianti di risalita alla fine degli anni settanta, con una piazzetta e molti
negozi e attività commerciali, costruiti in modo accorto sotto un porticato che durante le stagioni
turistiche lo trasforma in un secondo “centro”. Tutto l’abitato è stato costruito in una zona di
sicurezza al riparo dal rischio valanghe. Le varie frazioni che andrò a elencare di seguito, erano,
fino agli anni ottanta, ben separate tra loro, con grandi spazi aperti tra una e l’altra, oggi le case
costruite negli ultimi decenni per soddisfare la richiesta di alloggi turistici, le hanno unite in un
continuum lungo le strade principali. Questi villaggi sorgono lungo le due direttrici principali,
quella che dall’imbocco del paese prosegue verso il Piccolo San Bernardo, passando per la
frazione della Golette costruita ai piedi della montagna per ripararsi, poi Pont Serrand un
ingegnoso villaggio di archi e ponti che portano ai piani alti delle case dove c’erano i fienili, per
arrivare infine al Colle del Piccolo San Bernardo. L’altra strada dal paese attraversa il Bathieu,
sale al Moulin, percorrendo una stradina ripidissima chiamata Lunire, poi al Thovex, infine al
Buic che occupa una zona riparata dai venti, per incontrare poi alcune frazioni abitate solo in
estate, Les Granges, La Theraz e il piccolo villaggio di Petosan, così spettacolare a terrazza
affacciata sul Monte Bianco, da essere più volte stato scelto come set per note pubblicità. Si
arriva infine al Colle del San Carlo. Questa non è la direttrice principale del paese, ma ha rivestito
e, raramente oggi, riveste ancora, un ruolo di sicurezza fondamentale perché, a differenza della
strada statale che parte da Pré Saint Didier, pur essendo più ripida e piccola e quindi meno
confortevole, ha il notevole vantaggio di non essere vittima delle valanghe che affliggono invece
la strada sull’altro versante. Un primo grande lavoro di gallerie è stato fatto dal 1904. Negli ultimi
anni sono stati fatti molti miglioramenti sulla direttrice principale, per rendere il paese sempre
accessibile ai turisti. Il Colle San Carlo infatti è tortuoso per chi non è avvezzo alla guida su
strade di montagna e impossibile da percorrere per gli autobus che nei fine settimana portano
centinaia di persone a sciare nel comprensorio di La Thuile.
Quando ero piccola la strada non era ancora stata sistemata del tutto (in anni recenti sono stati
allungati e aggiunti paravalanghe) e, fino al Liceo, non era infrequente per me dover dormire
dalle compagne a Courmayeur o dover uscire da scuola in anticipo per evitare di rimanere lontana
da casa per un paio di giorni, fino alla riapertura della strada, o di non poter andare a scuola se la
strada era stata chiusa di notte o all’alba. A volte dovevamo passare dal colle San Carlo se
riuscivano a venirci a prendere o a portarci i genitori. Quando la neve è tanta e il pericolo
valanghe molto alto, può ancora capitare che venga chiusa per uno o due giorni. Certo era un
disagio e un pericolo, ma è innegabile che avesse anche un suo fascino arrivare a scuola un’ora
dopo gli altri ed essere trattati come eroi che hanno scalato il k2, o uscire prima per riuscire a
tornare a casa, o dover improvvisare un pigiama party causa neve. Il senso di isolamento e le

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prese in giro dei compagni, che paragonavano noi ragazzi di La Thuile e novelli Heidi e Rhemy,
era compensato dal sapore di avventura e dalla consapevolezza di appartenere ad un luogo non
ancora sotto il totale controllo da parte dell’uomo.
Negli anni precedenti la strada era ancora più pericolosa. Sulle condizioni difficili di
collegamento ho raccolto il racconto di una donna di La Thuile che chiamerò Irma:
Frequentavo le scuole medie a Chatillon nel 1972/73. Premetto che la mia famiglia è di La Thuile.
Così trovandomi a Chatillon6 tutta la settimana il sabato all’uscita di scuola correvo in stazione a
prendere il treno per tornare a casa. Quel Sabato era il mese di febbraio, a La Thuile nevicava già
da qualche giorno e mia mamma mi aveva avvisata di rimanere a dormire a Chatillon. Ovviamente
non le avevo dato retta., e sono partita. Sul treno fino ad Aosta tutto procedeva normalmente. Ad
Aosta si scendeva dal treno per prendere quello per Pré Saint Didier. Lì la neve aveva già
raggiunto una quindicina di centimetri. Man mano che il treno saliva verso l’alta valle le cose si
complicano.
La neve era abbondante, tanto che la motrice del treno aveva messo in funzione lo spartineve.
Passata la stazione di La Salle addirittura il treno si fermava a tratti per rimuovere la neve
spalandola a mano. Sul treno oltre a me c’erano altri studenti che si recavano a La Thuile o a
Courmayeur. Dopo le difficoltà sul treno siamo arrivati a Pré Saint Didier. La neve era veramente
tanta e la strada per La Thuile era chiusa. Ad aspettare gli studenti in stazione c’era il maresciallo
dei carabinieri, in quanto anche suo figlio come gli altri studenti non aveva preso in
considerazione di non rientrare a casa e di non mettersi in pericolo. Il maresciallo era sceso con
la camionetta, mezzo idoneo alla situazione e due carabinieri, nel caso fosse stato necessario
spingerla. Infatti arrivati a pian del Bosco, dove ora c’è un paravalanghe, la camionetta non
andava più avanti a causa della coltre di neve caduta (oltre un metro). Quindi tutti giù a spingere
e così si è verificato un avvenimento miracoloso. Nell'anno precedente avevo subito un piccolo
incidente, giocando con mio cugino avevo danneggiato un dente incisivo e il dentista aveva
ricoperto il moncone con una capsula. Tornando al viaggio avventuroso, scesi dalla camionetta,
chi spalava la neve, chi spingeva il mezzo, voilà nella foga della spinta un ragazzo apre le braccia
e sbatte contro la mia bocca, e così la mia capsula fa un tuffo nella neve. Bellissima neve, ma il
mio dente dove era finito? e qui succede il miracolo. Prima tutti a spingere e spalare, ora tutti a
cercare la mia capsula, impresa difficilissima… ma ecco che un carabiniere grida ..Trovato!!
(miracolo…aveva seguito l’impronta nella neve) e così tutti in camionetta e si riparte. E nevica
…nevica. Arrivati a Pontailloud.. chiuso non si passa .. tutti giù .. a piedi, si passa sulla valanga
scesa da poche ore che ostruisce l’imbocco della galleria. Per noi giovani era un’avventura ,ma
per gli adulti e per i nostri famigliari ore di paura e preoccupazione. Infatti finito di attraversare
la valanga c’era già molta gente ad aspettarci. Ognuno di noi ha ricevuto la sua dose di rimproveri

6
Comune della bassa valle a circa un’ora e mezza di viaggio.

16
per non aver ascoltato e non essere rimasti in collegio ad Aosta a Chatillon. Da parte mia ricorderò
sempre questo episodio, sia per l’avventura, ma soprattutto per il mio dente e ringrazio ancora
quel carabiniere per averlo ritrovato in un momento così difficile e pericoloso.
Oltre alle due strade storiche si sono create nel tempo altre due vie principali, che formano una
sorta di anello e che sono state costruite sulla scia dello sviluppo economico del dopoguerra. Una
dal capoluogo attraversa il Bathieu e il Plan d’Arly per arrivare al Villaret, la frazione nata con
la creazione del villaggio dei minatori nel 1938. L’altra strada dal paese, con una deviazione dalla
strada del Piccolo, attraversa Entreves e arriva al Planibel, per poi proseguire sotto gli impianti
sciistici e, attraversando la pineta, si ricongiunge con la zona mineraria. Dalla strettoia dove si
incrociano queste due direttrici secondarie, si prosegue fino al fondo valle, verso il Promise, sede
della prima miniera, per poi salire a La Joux, dove la strada termina su una piccola incantevole
valle da cui inizia il sentiero per le cascate7 e il Rutor. Questa zona in inverno è chiusa al traffico
per il forte pericolo di valanghe, ma può essere percorsa quando la neve è sicura, con uno
spettacolare sentiero che costeggia la Dora lungo il versante opposto a quello valanghivo.
Le acque provenienti dal Rutor attraversano il paese con l’omonima Dora, che confluisce, proprio
nel capoluogo con l’altro fiume principale, la Dora del Verney, che prende il nome dal lago
ubicato al colle del Piccolo San Bernardo, e che, dopo aver attraversato l’orrido di Pré Saint
Didier confluisce nella Dora Baltea di Courmayeur. I fiumi di La Thuile come tutti quelli della
valle sono torrentizi con un’alta velocità di scorrimento. Tutta la vallata che parte dai 1441 metri
di altitudine del capoluogo è incorniciata da una ventina di cime che partono dai 2018 m della
Tête d’Arpy, per arrivare ai 3486 m. del Rutor. Il Mont du Parc, che inizia la sua salita addossato
alle mura della chiesa del capoluogo, con i suoi 1733 m. è considerato alla stregua di una
collina.8(Falquet, 1971)
Le montagne che circondano il paese hanno anche un complesso lacustre, che ne completa la
bellezza e attrae gli appassionati di passeggiate in montagna. Oltre al lago Verney e il lac du
Glacier, oggi molto ridotto, ma protagonista di drammatiche vicende storiche, ci sono il lago
Ruitor, il Bellecombe e quello di pietra Rossa nel territorio di Morgex.
La vallata è ricoperta da pascoli, il 66,5 % del territorio è occupato da alpeggi i cui ¾ sono di
proprietà del comune. I boschi ricoprono solo il 6% del territorio. Questo è un dettaglio
significativo perché nel resto della valle d’Aosta occupano il 20% della superficie totale, con la

7
le Rutorine, tre cascate che si susseguono, nel centro della montagna, classificate come le più importanti della
Valle d’Aosta e fra le più imponenti dell’intero arco alpino. Il salto inizia a 1934 m con un dislivello di 260 m.
8
Grand Assaly (3171 m), Rutor (3486 m.),Paramont 3299 m., Becca du Lac 3396 m., si trovano a sud. Verso
Nord , verso il Piccolo San Bernardo Miravidi 3068., l’ouille 3099 m., il Monte Favre 2967 e il Berio Blanc 3252
m., Sud Est Mont du Parc 1733 m., la Tête d’Arpy 2018m., e il Colle della Croce 2400 m., e il Colmet 3024m.
Questo elenco oltre che necessario per una collocazione geografica sarà utile per rendere più chiaramente la
collocazione degli avvenimenti storici che avvennero in questi luoghi.

17
caratteristica, tra l'altro, di avere un altitudine media di presenza degli arbusti più alta rispetto al
resto delle Alpi, che arriva a quota 2300 m. La Thuile soffre di questa carenza sia per motivi
fisici, avendo buona parte del suo territorio ad altitudini molto elevate, ed avendo un intero
crinale vittima di valanghe e frane , ma soprattutto a causa delle attività antropiche. Il territorio
è stato più volte vittima di incendi provocati dagli invasori che passarono per la valle e ha subito
una massiccia deforestazione per l’utilizzo del legno nelle attività minerarie.(Falquet, 1971)
La Thuile non ha un alto livello di precipitazioni, ma l’innevamento in generale lascia il paese
ricoperto di neve da Novembre ad Aprile ricopre il Piccolo San Bernardo rendendolo
impraticabile da Ottobre a Giugno9. Il giorno dell’apertura del Colle, a giugno, ogni anno è
salutato come un evento e molti valdostani si recano a vedere gli alti muri di neve che restano
lungo la strada dopo il passaggio dei mezzi meccanici. Quando ero bambina e le piste da sci
passavano al Colle, ma non c’erano impianti di risalita, quando aprivano il colle veniva fatta una
gara di sci particolare. Venivamo fatti partire dalla base del colle a piedi, con gli sci in spalla,
nella neve non battuta e poi facevamo una unica discesa che ci riportava al punto di
inizio…l’evento non aveva un gran senso competitivo se non quello di battere i cugini francesi,
ma aveva il sapore dell’avventura e si concludeva con una bella festa che salutava l’apertura del
colle.
Attraverso la sella del Piccolo San Bernardo entrano i venti, in particolare un vento freddo e
burrascoso settentrionale con orientamento nord-est che affligge la regione francese dell’altro
versante, la Tarentaise, e che, pur interessando solo marginalmente il bacino di La Thuile ne fa
una caratteristica metereologica importante. Nonostante la protezione delle montagne il paese è
infatti leggendario nell’intera Valle d’Aosta proprio per il suo vento, che lo rende freddissimo.
Il clima è di tipo semi-continentale, con precipitazioni scarse rispetto ad altre stazioni alpine. Le
stazioni francesi limitrofe registrano precipitazioni maggiori e quindi anche un innevamento
migliore. Il mese di luglio di solito è il più caldo, ad agosto il fresco inizia a farsi sentire, le
temperature massime si attestano di solito sui 21/22 gradi centigradi con qualche punta di 28. A
dicembre possono essere invece registrate temperature minime di - 4 gradi in media e minime
assolute di - 17/18 gradi centigradi. I mesi in cui vi è uno sbalzo termico più evidente sono, tra
aprile e maggio con un brusco rialzo e ottobre novembre, con un brusco abbassamento.

9
In paese il mantello nevoso parte dai 10 cm di Novembre per arrivare agli 85 cm a febbraio e scendere di nuovo
a 20 cm ad Aprile per poi sciogliersi. Al Piccolo San Bernardo invece (2188 m.) i valori medi si attestano sui due
metri per arrivare ai 7 di febbraio. Si tratta di valori medi registrati, ma ci sono ovviamente inverni più o meno
nevosi. Negli ultimi anni si parla di una sostanziosa diminuzione delle precipitazioni nevose, il fenomeno necessita
sicuramente di approfondimenti che sono in corso, tenendo anche conto di uno spostamento stagionale oltre ad una
diminuzione.

18
Un importante studio climatico è stato fatto da Odille Falquet, per la sua tesi di ricerca in
geografia nel 1971 analizzando i dati delle stazioni climatiche del Promise in fondo alla valle, ad
una altitudine di 1475 m. e di quella di Prima Cantina a 1950 m. sulla strada del colle del Piccolo
San Bernardo, mettendoli a confronto con le stazioni piemontesi e quelle francesi come
Chamonix. Falquet riassumendo i suoi dati annota che La Thuile ha il grande vantaggio di un
innevamento durevole nonostante le scarse precipitazioni, protetto dalla posizione all’envers,
mentre ha lo svantaggio dei venti, persistenti, freddi e quasi onnipresenti.(Falquet, 1971)
Questi i dati climatici, ma mi perdonerete la descrizione più personale, che seppur meno
scientifica, credo possa aiutare a tradurre in immagini e sensazioni i numeri, per chi queste
temperature non le ha mai sperimentate.
Quando dici alle persone delle altre vallate che sei di La Thuile capiscono perchè sei in maglietta
a maniche corte sotto la neve, mentre loro battono i denti col cappotto e dicono: ah allora…perchè
a La Thuile chi abitava nelle frazioni del Buic e del Thovex si ritrovava al villaggio del Moulin,
da dove parte la strada detta Lunire, e andava a scuola in fondo alla discesa ripidissima, in slitta.
Al ritorno mentre trascinavamo la slitta, la neve era buona per dissetarsi. Si andava tutti a piedi,
in paese, in inverno, soprattutto dopo una nevicata, giravano quasi solo mezzi da lavoro. Quando
andavamo a sciare il freddo si insinuava fino nelle ossa, i maestri di sci ci salvavano da sicuro
congelamento portandoci a mangiare la cioccolata calda, il vento in seggiovia a volte era così
forte da impedirmi di respirare mi costringeva ad arrivare in cima praticamente in apnea, le dita
di mani e piedi erano fonte di dolore da congelamento perenne. Quando scendevamo dalle piste
da sci, in paese la temperatura sembrava così calda, rispetto a quella delle montagne, che
andavamo in bob e slitta in sotto tuta, e appena arrivavano le giornate calde di Aprile la giacca
diventava, con i bastoncini e gli sci una sdraio perfetta per un pic nic al sole. La legna, la stufa e
il camino erano le occupazioni e preoccupazioni principali degli adulti. Il freddo era un compagno
costante, ma il freddo ha una sua bellezza magica… gli alberi erano perennemente imbiancati,
ogni più piccolo tragitto era un gioco di ghiaccioli, scivolate e palle di neve e poi l’aria di neve
ha un odore, immagino ci sia una spiegazione scientifica che riguarda pressione e umidità, ma
quando sta per nevicare, anche nelle ore precedenti in cui il cielo è ancora terso, l’aria cambia
odore, consistenza, la senti arrivare prima che il cielo si riempia di nuvole. Quando la neve le
ricopre, le montagne sembrano un dipinto, il contrasto con il cielo azzurro è di una bellezza
impareggiabile e quel contrasto raggiunge il massimo nelle giornate più fredde, quelle serene, ma
freddissime, mortalmente fredde, nelle quali non un solo angolo di pelle deve restare fuori dai
vestiti caldi. Quando durano troppo i giorni freddi inizi a sperare che nevichi presto. Perché nevica
allo zero termico…quando fa caldo… Ma il momento più magico, quello che incanta anche i
visitatori più freddolosi, sono le notti in cui la temperatura scende a - 20 gradi centigradi, sono
rare, un paio ogni inverno, e anche se le notti precedenti e seguenti registrano temperature di -
17/18 gradi, a -20, come quando nevica cambia tutto…l’odore dell’aria, il rumore che diventa

19
silenzio intenso perché tutto dorme, non incontri nemmeno più le volpi che di solito fanno
capolino nei prati. Il colore del cielo ha qualcosa di magico, soprannaturale, in quelle occasioni è
sempre limpido, senza una nuvola, di un blu intenso, scurissimo, su cui le punte degli alberi si
stagliano come tanti giganteschi guardiani delle stelle, la via lattea attraversa il cielo della valle
da parte a parte, se è gennaio Venere brilla come un faro, tutto ha una consistenza diversa, sembra
di essere davanti a un libro pop-up sfogliato dentro un gigantesco monitor 4k in cui non ti
stupiresti di incontrare il mago Merlino o Gandalf, tutto è definito, amplificato, tutto è al suo
massimo splendore e tu, se hai il coraggio di resistere per un po’ al freddo di fronte a tanta
meraviglia, a un certo punto il freddo non lo senti più e pensi solo alla bellezza, la bellezza
impressionante di una natura che ti sta ricordando che sei minuscolo, impotente, meno importante
di un fiocco di neve…

L’idea del freddo di La Thuile viene resa anche dalla scelta di svolgere gli addestramenti degli
scienziati dell’ENEA al Piccolo San Bernardo prima di partire dall’Antartide insieme ai militari.
Vengono addestrati lì per acclimatarsi. Uno dei loro addestratori chiacchierando un giorno, alla
tipica frase di mio marito che recita “ La Thuile non è un paese per esseri umani” ha risposto.. “è
vero ho patito più freddo lì che in Antartide”, dando conferma alla teoria di mio marito per cui
“La Thuile è un paese inadatto alla vita umana”.
Falquet, concludendo la parte strettamente climatica del suo lavoro scrive:
Les éléments climatiques imposent à l’homme des conditions de vie
relativement rudes; cependant, malgré sa position périphérique et sa
situation en haute montagne, La Thuile n’est jamais restée à l’écart comme
un certain nombre de communes montagnardes, et, très tôt, elle a participé
à l’histoire d’Italie, ceci grâce à ça position au pied d’un grand passage
transalpin: le col du Petit Saint Bernard.
Il colle del Piccolo San Bernardo ha avuto un ruolo fondamentale nella storia e nell’economia
del paese di La Thuile. Le vicissitudini storiche del colle hanno plasmato il destino del paese.
Come più volte sottolineato in precedenti importanti studi storici e antropologici la presenza di
questo punto di passaggio ha portato, nello sviluppo della comunità, la presenza di fattori esterni,
i quali, hanno cambiato la prospettiva che sarebbe stata altrimenti quella di un paese di montagna,
letteralmente chiuso e incastonato tra un cerchio di alte vette. Se a prima vista La Thuile può
apparire un piccolo paese di montagna come gli altri paesi di alta montagna valdostani, con
caratteristiche culturali di chiusura tipiche di queste realtà, è necessario chiedersi quanto l’essere
stata un punto di passaggio abbia cambiato e condizionato il suo sviluppo.

20
Capitolo 2: Una cronologia leggendaria

Nelle pagine seguenti illustrerò una cronologia il più riassuntiva possibile soffermandomi solo
su eventi particolarmente importanti per la storia del paese di La Thuile e del colle del Piccolo
San Bernardo. Il paese e il colle hanno infatti avuto una storia ricca e travagliata, la quale non
può essere ignorata, pena lacune di comprensione degli eventi, ma non può nemmeno essere
analizzata nel suo complesso, avendo scelto come periodo da analizzare per il mio lavoro quello
che va dal 1860 ai giorni nostri.
La Thuile per secoli è stata al centro delle stesse congiunture economiche e vicende
demografiche delle altre comunità alpine, ma con un discrimine importante. Il confine che portò
con sé insicurezza e benefici economici. Il colle del Piccolo S. Bernardo è il passo più elevato e
settentrionale dell’arco alpino occidentale. Oggi i vari tunnel che attraversano le Alpi e
un’economia globale lo hanno reso marginale ma, nei secoli ha avuto momenti di grande
importanza. La sua histoire mémorable meriterebbe il giusto riconoscimento in uno studio
completamente dedicato. Mi limiterò qui a nominarne i passaggi fondamentali, che hanno
lasciato segni profondi nell’economia, nella cultura e anche o soprattutto nell’immaginario della
collettività di La Thuile.10

Il Cromlech del Piccolo San Bernardo

Quel luogo deve avere una grande energia spirituale, se nella mia vita sono arrivate da me,
attraverso l’oceano, due persone che hanno deciso di studiare i popoli del mondo e le loro culture
e tutte e due, a distanza di anni una dall'altra, vengono dallo stesso luogo, ed entrambe, parlando
con me delle loro scelte, mi hanno raccontato che tutto è nato da quel cerchio di pietre sulle alte
montagne del loro mondo, dove hanno sentito qualcosa che non hanno capito, ma hanno seguito.11

La valle iniziò ad essere popolata a partire dal neolitico, grazie ad un riscaldamento climatico
terrestre di circa 4°. I primi abitanti giunsero da due direttrici, una attraverso il Caucaso e l’altra
dall’Anatolia. Gruppi di uomini di cui non abbiamo un volto e una storia, ma soltanto tracce del
loro passaggio.

10
Il colle non ha una sua popolazione, non ci sono mai stati insediamenti stabili. La popolazione del colle è la
popolazione di La Thuile.
11
Sciamano Navaho, Tuba City, 2003 conversando con me a proposito del mio essere lì ad intervistarlo per la mia
tesi triennale.

21
Il Cromlech situato al Piccolo San Bernardo, ritenuto per lungo tempo dagli storici di origine
celtica, è stato retrodatato dagli archeologi italo francesi che, presentando nell’ottobre 2006, gli
scavi archeologici effettuati dal 2001 al 2006, cofinanziati dall’UE, riguardanti il territorio del
colle, hanno portato alla luce un pugnale in selce ritrovato sul versante francese a 2600 m di
quota e punte di selce e quarzo. I risultati dei loro scavi lo hanno fatto risalire al 3000 a.C. Non
esistono cerchi simili nell’area mediterranea, ma solo in Francia settentrionale, Irlanda e Gran
Bretagna e appartengono tutti alla stessa epoca. Il cerchio si trova esattamente sullo spartiacque
dell'Isère e della Dora, ed è per questo che verrà spezzato a metà quando i confini internazionali
verranno definiti in base appunto alle linee spartiacque. Esso testimonia invece l’inesistenza di
tale divisione nei tempi antichi. I massi infissi12 nel terreno furono rispettati nei secoli dai popoli
che si avvicendarono sul colle, fino alla costruzione della strada nel 1870 d.C. quando i lavori
dell’attuale strada carreggiabile, giunti al colle fecero uno scempio, invece di aggirarlo. Alcune
pietre, narrano le voci popolari, vennero prese dal segretario del comune di La Thuile per
costruire la sua dimora. Si ritiene che vi fosse un Dolmen centrale, utilizzato per la costruzione
di un ponte, ma non vi sono prove a suffragio di tale ipotesi. (Berguerand,2005)
Delle pietre originarie (probabilmente 63) ne rimasero 46. Dal 2012 finalmente la nuova strada
lo aggira. L’intero complesso era un orologio solare che scandiva il ritmo delle stagioni. Esso
dimostra che il popolo che lo costruì praticava già l’agricoltura e per farlo osservava la natura,
gli animali, il ciclo delle stagioni, le stelle e il sole e usava un calendario per la produzione
agricola. Lo studio del cielo era appannaggio di pochi, e la costruzione di megaliti richiedeva un
grande sforzo. La classe col potere della conoscenza investiva per mantenere il proprio potere e
lavorava per aumentare le sue conoscenze, che garantivano la vita al gruppo, oltre al loro potere
( G. Cossard, Il Cromlech del Piccolo San Bernardo). Nel De Bello Gallico Giulio Cesare narra
di druidi che studiano le stelle, per farlo hanno bisogno di punti fissi nel terreno, narra anche che
sono molto gelosi del loro sapere. Il sito è stato studiato dall’archeoastronomia, che con
calcolatori elettronici ricostruiscono con precisione la posizione degli astri in epoche antiche.
Questi calcoli hanno consentito di provare lo scopo astronomico di alcuni siti storici, come
avvenuto in questo caso, il cerchio era stato costruito in epoca precedente e i druidi lo hanno
ereditato. Manca come prova del suo utilizzo astronomico l’altare centrale, mentre a sostegno
della teoria che lo vede essere un calendario, Cossard elenca alcuni dati:
● Non ci sono tracce di un suo utilizzo, questo potrebbe significare che venisse utilizzato
solo in segreto da chi era preposto a farlo.

12
I menhir poggiano su depositi fluvio -glaciali di fondo, questo significa che non ci sono costruzioni interposte,
esso è quindi la più antica testimonianza di presenza umana sul colle.

22
● Ci sono indizi del suo utilizzo da fonti storiche precedenti.
● La scelta del sito è determinante, i siti megalitici in Valle d’Aosta, sono tutti costruiti
molto in alto, come a cercare una vicinanza col cielo, o di un Dio, ma nel caso di un
utilizzo astronomico, il posizionamento sarebbe giustificato dalla necessità di avere un
orizzonte libero.
● Le montagne non erano allora un elemento di confine, ma di unione, i popoli dei due
versanti avevano le stesse necessità e difficoltà.
● Ci sono analogie con altri siti megalitici, come Stonehenge, con cui condivide un simile
orientamento e una pietra particolare, qui chiamata lo Gran Berrio, e la Heel Stone a
Stonehenge che indica il solstizio d’estate. 13
La leggenda per anni ha narrato che da lì fosse passato Annibale con il suo esercito, tanto che in
paese il cerchio di pietre è stato chiamato fino ai recenti studi, Cercle d’Hannibal. La tesi era
avvalorata da zanne di elefante trovate non lontano dal colle sul versante francese, e nel lago
Verney, ma dopo anni di contesa tra i colli del Piccolo e del Gran San Bernardo per accaparrarsi
la palma di passaggio di Annibale, nel 2016 studi condotti dall’Università di Belfast e quella di
Toronto, hanno svelato il mistero, dichiarando che Annibale è passato dal Col di Traversette in
Piemonte14 (Le scienze 2016). Se Polibio fece riferimento al cromlech potrebbe essere
semplicemente perché, Annibale sapendo del Cromlech, avrebbe potuto inviare persone di
fiducia ad interrogare il Cromlech, essendo preoccupato per il cambio di stagione che volgeva
verso l’autunno. Ma nemmeno questo è attualmente dimostrato. La confusione potrebbe essere
nata, oltre che dai testi antichi e dal desiderio di importanza dei vari colli, dal nome molto simile
del col de Traversette, custode dall’alto del Piccolo San Bernardo e testimone di continue guerre
fino alla Seconda Guerra Mondiale. Durante gli scavi sotto piazza San Francesco e il municipio
di Aosta sono venuti alla luce nel corso del 2007 reperti rituali simili a quelli ritrovati al
Cromlech, che potrebbe essere legato all’area megalitica di Saint Martin de Corléans di Aosta.15
Da qualche anno il 21 Giugno molti appassionati si recano al Colle per vedere, al tramonto,
quando il sole si nasconde dietro la sella di Lancebranlette che ha la caratteristica di essere una
meridiana naturale, tutto il colle diventare buio, la luce illuminare dapprima tutto il Cromlech,

13
Il cromlech del Piccolo San Bernardo : il più alto osservatorio primitivo del mondo? / Guido Cossard
[Aosta] : La Vallée, [19--?] ([Aosta] : [La Vallée])
14
Per la popolazione di La Thuile il passaggio di Annibale era un fatto, non un'ipotesi e nonostante i dubbi ci
fossero da molti anni questo studio ha sicuramente deluso molti paesani.
15
L’area, di circa un ettaro è stata riportata alla luce nel 1969, ed è uno dei più importanti siti archeologici
d'Europa. I ritrovamenti risalenti a partire dal 4200 a.C. mostrano l’esistenza di un’area sacra destinata sin
dall’inizio a essere sede di ricorrenti manifestazioni legate al culto e alla sepoltura. Sono state ritrovate più di 46
imponenti stele antropomorfe.

23
abbracciandolo in due mezzelune e indugiando qualche istante, per poi illuminare solo una pietra
particolare, lo Gran Berrio, prima di scomparire del tutto. Altre pietre indicano l’alba sempre al
solstizio d’estate e il nord. Il fenomeno è davvero spettacolare quando il tempo è bello. Ma per
tradizione i Tchouillens si recano al colle di notte, dove quando è sereno, sembra di poter toccare
la via lattea o di esservi immersi. Un cielo così l’ho visto solo nel deserto dell’Arizona, con cui
il luogo condivide l’estremo isolamento. Gli studi archeologici e archeoastronomici hanno
contribuito, prima di tutto a riconoscere il valore storico del sito, riuscendo così a proteggerlo
riposizionando la strada, ma hanno anche risvegliato una curiosità e un interesse per la spiritualità
arcana del luogo. Se dall’esterno infatti, chi si raduna in abiti celtici il giorno del solstizio, può
apparire come uno sciocco o un semplice rievocatore storico, questo interesse mostra, in primo
luogo, una profonda ricerca di identità16, ma apre anche ad una discussione più ampia che ci porta
a chiederci, se ancora una volta, nonostante il progresso l’uomo, non sia alla perenne ricerca di
una spiritualità che oggi si sta perdendo e che viene spesso ricercata in culti diversi dalle grandi
religioni monoteiste, che per secoli hanno accolto in se’ il maggior numero di credenti e che oggi
risultano troppo legate ad un passato e in molti casi un presente conflittuale, divisivo. Citando il
pensiero di M. Eliade, l'originalità dell’uomo moderno, che lo distingue dalle società tradizionali
è la volontà di considerarsi un essere unicamente storico, che desidera vivere in un cosmos
desacralizzato. Guardando a questi nuovi pagani che si radunano al solstizio d’estate per
osservare un lembo di terra brulla, accarezzata dal sole, viene da chiedersi se, l’uomo moderno
dopo essere riuscito, ad affermare la propria libertà di autodeterminarsi, che, come sostiene
Luhmann, lo ha condotto allo stile di vita che preferisce, con il contraltare di una irrilevanza
sociale, senza un luogo o un progetto sociale in cui si senta determinante, riscopra antichi modi
di essere parte di un gruppo sociale.

I Salassi e i Romani

Sulle alpi, vicino al cielo, c’è un luogo dove spostate dalla potenza di Graio, le rocce si
abbassano, e lasciano che si possa attraversarle, c’è un luogo sacro, dove si innalzano altari di
Ercole: L’inverno li ricopre di una neve persistente; e leva la sua testa bianca verso gli astri.17”

16
Dal 1997 si tiene in Val Veny a Courmayeur un grande festival di musica e cultura celtica, nato un gruppo di
persone che hanno l’obiettivo di riscoprire e valorizzare le origini celtiche dei valdostani.
17
Petronio, Satyricon, 122 d.C. cit. Berguerand 2008

24
Il colle era chiamato “Alpis Graia”18 in onore del semidio greco Ercole, che peregrinò in Europa
per cercare stagno nelle isole britanniche per usarlo nella produzione del bronzo. Per questa
ragione molti passi portavano il suo nome. Il mito si trasformò in culto e, avendo lui attraversato
le Alpi da pioniere, divenne il protettore dei colli alpini. Nel suo viaggio fu seguito da Giasone,
Desolarono, Pipino, Telamone e Cordelio, quest’ultimo era figlio di re, ma senza beni e corona.
Ercole nel suo viaggio andò disperdendo i suoi compagni di viaggio in colonie, Cordelio capo
dei Salassi passò con cui le Alpi, poi Ercole lo lasciò in Valle d’Aosta, anche se lui avrebbe
preferito seguirlo. Nel 1158 a.C. Cordelius fondò Cordelia, Aosta. Gli abitanti non vollero
cambiare nome conservando quello di Salassi.19Gli storici hanno per lungo tempo ritenuto fosse
solo una leggenda, ma negli scavi archeologici del Piccolo San Bernardo compiuti
dall’archeologo Baroncelli all’inizio del 1900, accanto ai resti del Fanum, il tempio costruito dai
romani sui resti di un tempio preesistente, vennero alla luce oltre a centinaia di monete celtiche
e romane, altri reperti che definiremo oggi ex-voto, oboli lasciati dai viandanti, un busto di Giove
e una piccola placca di argento raffigurante Ercole munito di clava. Ora questa immagine di
Eracle ritrovata in una cella votiva, all’interno di un luogo preposto alla sosta, unica in tutte le
Alpi, è custodita al MAR20 . Polibio vissuto tra il 200 e il 123 a. C. parlando dei quattro valichi
alpini che erano serviti dalle strade consolari o imperiali individua il colle del Piccolo San
Bernardo con il termine per Salassos. Giulio Cesare (57 - 47 a.C.) transitò con le legioni più volte
alla conquista delle Gallie fa del colle un presidio fisso della III legione Alpina. I romani
inizialmente non assoggettarono i Salassi, con cui dal II secolo avevano accordi per passare21,
ma dopo le guerre puniche dovevano garantirsi il controllo sui colli alpini, e il Piccolo San
Bernardo serviva a collegare l'impero alle Gallie. I salassi rimasero liberi per circa un secolo e
mezzo, si dedicavano a lavorare le miniere d’oro, d’argento e di rame, il ferro, il formaggio, la
resina di abete per le lampade, il piombo argentifero. Le rocce sotterranee fornivano la materia
prima, le alte foreste di montagna la legna necessaria per fonderli e le acque dei fiumi lavavano
i minerali. Il commercio con i vicini Ceutroni era fiorente, il colle non era un confine, ma un
luogo di contatto e di scambio. I salassi però cominciarono a ribellarsi al controllo Romano che
si faceva più pressante e forse a difendere le loro risorse che facevano gola ai romani a cui
iniziarono a bloccare la strada, attaccandoli grazie alla loro conoscenza del territorio. I romani

18
Menzionata dagli storici romani come Alpis Graia, da alp termine celtico che indica montagna e graius che
potrebbe significare greco, in onore del celebre semidio greco oppure derivare dal termine celtico grée che stava
ad indicare la pietra comune in quella zona delle alpi di natura gessosa e biancastra (P.Sibilla p. 20)
19
Leggenda sostenuta dallo scrittore e uomo politico valdostano jean baptiste de Tillier (1678-1744), affermava
che i Salassi discendessero dal mitico Ercole.
20
Museo Archeologico Regionale ad Aosta.
21
Una dracma per ogni persona che transitava.

25
risposero bloccando l’accesso al colle e il transito del sale, preziosissimo per i salassi per la
conservazione del cibo22. Servivano inoltre non solo passaggi sicuri ,ma anche strutture di
accoglienza e sosta per le legioni e i viaggiatori.
Al colle sono presenti i ruderi di due grandi mansiones, una sul lato francese e una sul versante
italiano, oggi lontane dalla strada, ma in perfetto allineamento con la strada antica che, per evitare
i problemi di passaggio nei periodi di disgelo, passava nel punto più alto del colle. Queste due
strutture servivano a dare ospitalità a chi attraversava il colle e percorreva la via delle Gallie che
era carrozzabile. Nei resti delle due strutture sono riconoscibili la mensa, i fienili e i magazzini
oltre alle scuderie. Nella mansio occidentale, danneggiata dalle barriere anticarro della seconda
guerra mondiale, è stato ritrovato un busto di Giove che probabilmente poggiava su una colonna,
utilizzata ora per supportare la statua di San Bernardo23. Intorno ad essa sono stati trovati oggetti
ex-voto a testimonianza del suo grande valore simbolico. La presenza di queste strutture
testimonia l’importanza del colle, essendo costruzioni raramente visibili a queste altitudini. La
strada, che collegava Milano a Vienna, passando per le Gallie, era un importante asse strategico,
via di comunicazione e fonte di sviluppo economico. Tutta la strada delle Gallie era una stupenda
opera di ingegneria in grado di adattarsi alla particolare morfologia del terreno, la robustezza
della massicciata e del manto stradale, il taglio dei costoni rocciosi e l’arditezza dei ponti la
rendono una sublime opera di ingegneria. Nella frazione precedente il colle, Pont Serrand sono
ancora visibili i resti del ponte e lungo tutta la Valle d’Aosta si possono scorgere resti di questa
monumentale opera costeggiare le principali vie di comunicazione odierne. Molti nomi dei paesi
valdostani che si trovano sul suo percorso derivano inoltre dalle indicazioni delle distanze a cui
si trovavano. Lungo il percorso sorsero villaggi e punti di sosta, il tragitto medio giornaliero era
di settanta chilometri con un veicolo a normale trazione animale, quindi lungo la strada per
l’Alpis Graia nacquero borghi che offrivano servizi per i viandanti. Anche nei paesi francesi
dell’altro versante è facile riconoscere quelli nati per servire la strada delle Gallie.24Nel 25 a. C.
Il console Terenzio Varrone Mureno, su ordine di Cesare Augusto, sottomette i salassi e assicura
a Roma il passaggio dei colli. Il paese di La Thuile assume il nome di Ariolica25 ed il colle quello

22
Ai Salassi, si deve una delle prelibatezze valdostane, la mocetta, carne lessata da sale e spezie che la rendono
saporita, oltreché conservarla.
23
La Colonne Joux, Columna Jovis.questa importante testimonianza dello spirito religioso del mondo antico è
stata spostata dalla sua collocazione originaria durante la costruzione della strada. Nel tempo mutarono i simboli di
cui la colonna è stata portatrice, ma lei stessa è sempre rimasta un simbolo del colle.
24
Dopo il colle troviamo Bergin Tum, oggi Bourg Saint Maurice, Tarantasia (Moutiers) da cui deriva il nome
della regione. Sul versante Italiano Arebrigium oggi pre saint didier e Augusta Praetoria di Aosta.
25
Ariolica è la più antica denominazione rinvenuta.Appare per la prima volta sulle mappe romane dell’Alpis
Graia. Il termine deriva dal celtico Arial che significa Alto e dal suffisso Lica che sta per luce . Il nome potrebbe
indicare la luce emanata dal ghiacciaio del Rutor.Il nome aristocratico sparì con il latino dopo mille anni,
lasciando in epoca medievale spazio al nome francese. Reminiscenza dell’antico nome si trova nel nome del
pianoro centrale del paese il pian d’Arly.

26
di Columna Jovis. Viene ultimata la strada delle Gallie. Vere o presunte le dure battaglie tra il 29
e il 20 a. C. tra i salassi e i romani sono diventate leggenda. Terenzio catturò trentaseimila persone
di cui ottomila uomini validi, che avrebbero dovuto essere venduti come schiavi al mercato di
Eporedia , non si sa se ciò avvenne, l’unica cosa certa è che nel 25 a. C. venne eretta Augusta
Praetoria, in cui vennero inviati tremila pretoriani con le loro famiglie, sulle ceneri della mitica
Cordelia. L’alta Valle d’Aosta ai piedi del Monte Bianco venne chiamata Vallis Digna. I Romani
una volta assoggettati i Salassi non li annientarono, impararono a usare le loro conoscenze in
materia di montagne e minerali, questo fece sì che si salvassero alcune tradizioni26. L’epoca della
pax Romana fu un'epoca d’oro per il passo, quasi sempre percorribile, grazie anche ad un clima
mite. Forse iniziò a costituirsi un borgo, ma ne è rimasto solo il nome sulle mappe. Molte delle
monete ritrovate nella mansio datano il I secolo, quello appunto della pax romana, testimoniando
il fiorente periodo. Il successivo raffreddamento climatico e la crisi politica dell’impero,
causeranno la decadenza del sito. (Berguerand,2005; Sibilla, 2004; Decime 2014)

La caduta dell’Impero Romano e il medioevo

L’alto medioevo fu un periodo di grandi tumulti, armate intere passarono dal colle portando il
terrore. Transitarono tribù barbariche, Unni27, Ostrogoti e Longobardi28 e per finire i Saraceni,
portarono anni di devastazioni, a cui sopravvisse solo la Columna Jovis, che diede il nome al
colle per tutto il medioevo. Dal 943 al 990 d.C. i Saraceni che, dopo aver occupato la Spagna,
facevano incursioni sulle Alpi nel IX secolo e si impadronirono degli snodi delle vie di
comunicazione, facendo razzie e facendo pagare pedaggi. Quel periodo è ricordato come una
calamità, ma senza testimonianze precise. Non esiste una data certa in cui lo abbandonarono, ma
razziarono per decenni ogni cosa, esclusa Aosta, ancora ben fortificata nelle mura romane. Non
vi sono racconti di scontri per cacciarli dalla valle, dopo aver razziato la val di Susa i signori di
Monferrato e del Piemonte si allearono per sconfiggerli, e riconquistando il Moncenisio li
tagliarono fuori dalla costa azzurra, dovettero così abbandonare le loro posizioni sulle Alpi. Al

26
Il solstizio d’estate, era molto importante, il 23 Giugno era l’inizio della transumanza degli armenti verso la
montagna: dopo i primi preparativi alla sera si accendevano delle pire in onore di Bel , dio del sole e si facevano
transitare i bovini e gli ovini nel mezzo, a protezione contro le malattie. Quando i fuochi stavano per spegnersi i
giovani vi saltavano attraverso come ulteriore purificazione, in quanto sarebbero poi stati loro a condurre le
mandrie al pascolo in montagna. Gli adulti infatti restavano a valle per occuparsi del lavoro agricolo.
Con la Cristianizzazione il 23 Giugno fu dedicato a san Giovanni, a cui furono quindi intitolati i fuochi i fuochi
furono intitolati a questo santo. La discesa degli armenti dai pascoli di montagna viene tradizionalmente fatta il 28
settembre, esattamente una settimana dopo l’equinozio d’autunno, rispettando l’antica tradizione
27
453 d.C. Attila, re degli Unni, di ritorno dalle Gallie, stava per passare dal colle quando fu sconfitto dal generale
Ezio, con le sue legioni e un numero impressionante di altri popoli delle Gallie riuscì a sconfiggerlo nei campi
Catalaunici, nell’ultima grande battaglia dell’impero romano.
28
494 d. C. 6000 prigionieri di Goldebald, re dei Burgundi, rilasciati su richiesta di Teodorico .

27
periodo di occupazione Saracena risale una delle leggende più conosciute e tramandate, la
leggenda della Escarboucle. La tradizione vuole che la colonna di Giove, recasse sulla sua
sommità, ben visibile un minerale di carbonio di forma sferica, probabilmente un granato di
colore rosso acceso. Secondo la leggenda l’Escarboucle, così si chiamava l’oggetto, aveva il
potere di rilasciare i suoi bagliori per attrarre i poveri viandanti. Una volta arrivati vicino alla
colonna i viandanti venivano attaccati dai Saraceni che erano rimasti nell’ombra aspettando le
vittime dell’oggetto magico. Nonostante i risvolti soprannaturali della leggenda, l’Escarboucle è
ricordato anche in documenti ufficiali di casa Savoia, in cui il consigliere di corte e storiografico
ufficiale della casata, non soltanto lo descrive, ma ne rende una rappresentazione disegnata,
molto precisa. L’Escarboucle, ierofania del divino che tutto può vedere in questo caso, non ha
però una connotazione positiva, di protezione simbolica. L ’onniveggenza del Dio si fa in questo
caso demoniaca, al servizio del male. La leggenda si farà serva della più grande opera di
cristianizzazione del luogo avvenuta da parte di San Bernardo.
(Decime, 2014)

San Bernardo

Con lo sviluppo della cristianità i colli diventarono di nuovo importanti come punto di transito
per i pellegrini, tornando a nuova vita. Il Piccolo Monte di Giove, come veniva chiamato ora il
colle del Piccolo san Bernardo, rimase secondario rispetto al Grande Monte di Giove, il Gran
San Bernardo, da dove transita la via Francigena, ma vi passavano comunque alcuni Romei,
soprattutto quelli diretti a Santiago di Compostela. Il passaggio al colle, essendo pericoloso a
causa delle intemperie e per via dei predoni, era identificato col male, si riteneva che vi risiedesse
il demonio e per questo la cristianità si impossessa del colle anche da un punto di vista religioso
con i santi che sconfiggono il demonio. Era quindi necessaria una lotta contro il male e
soprattutto contro l’eresia di quei luoghi. Il Piccolo monte di Giove fu salvato da San Bernardo,
dopo aver salvato il Grande Monte di Giove i luoghi pagani furono così cristianizzati
definitivamente. San Bernardo nasce a Mentone nel 923 d.C. la leggenda lo narra come
discendente di uno dei 12 paladini di Carlo Magno, muore nel 1008 a Novara. Uomo di fede
molto tenace, fuggito al matrimonio per seguire la sua vocazione, convinto predicatore e
missionario infaticabile. Ricerche recenti dicono invece che si trattasse di un nobile valdostano
che visse un secolo più tardi e morì a Novara nel 1081 a 60 anni. Fu arcidiacono ad Aosta e
predicò con zelo in tutti i paesi della valle a sostegno della fede e dei poveri. Incontrò l’Imperatore
in un epoca di sfida tra il papa Gregorio VII e l’imperatore di Germania Enrico IV. Nel 1923
venne proclamato patrono delle Alpi. La cappella a Pont Serrand a lui dedicata era l’ultima tappa

28
per i viandanti pellegrini. Fu lui a sconfiggere l’ Escarboucle. Fu chiamato nella notte
dall’apparizione di San Nicola, che gli disse di andare nelle Alpis Graia e Alpis Pennina per
scacciare il male. Lui obbedì e portò in processione i fedeli. I Demoni scatenarono una tempesta
contro i fedeli in processione, San Bernardo conscio di avere l’assistenza divina, li esortò a
continuare fino ad abbattere l’Escarboucle, che rovinò ai suoi piedi e si fece in mille pezzi tra i
lampi.29 San Bernardo avvolse la colonna di Giove, su cui era posato, nel mantello, incatenando
così il Diavolo, che si materializza come animale immondo, che lui scacciò confinandolo nelle
profondità dei ghiacciai. Poi sulla sommità della colonna pose la croce a simbolo della
santificazione di quel luogo. Qualche tempo dopo costruì l’ospizio dei pellegrini. Il diavolo si
faceva ancora sentire con dei boati tra i boschi, contribuendo alla convinzione che tra le cime e i
ghiacciai si nascondessero spiriti maligni, demoni e revenants, a cui per lungo tempo venne data
la responsabilità di valanghe, frane e altri eventi naturali drammatici. (leggenda popolare
trasmessa oralmente; Decime, 2014)
La leggenda e la realtà, si confondono e il problema della mancanza di documentazione dovuta
alle tragedie che nel tempo hanno colpito il paese non rende facile distinguere. L’ospizio del
Gran San Bernardo fu costruito nel XI secolo, intorno al 105, quello del Piccolo è di epoca
successiva, pur non avendo date certe, è nominato in una lettera di papa Adriano I a Carlomagno
datata 777, in cui il Papa chiede all’Imperatore di far rispettare le case dei pellegrini sulle alpi.
Dal V secolo al XVI secolo dopo la morte di San Bernardo l’ospizio e le parrocchie valdostane
passeranno sotto il controllo del vescovato della Tarentaise. La chiesetta dell’ospizio fu dedicata
a San Nicola patrono dei viandanti, pellegrini e mercanti dal medioevo ed ecco perchè ci sono
intitolate a lui chiese in tutta Europa dalla Turchia all’Atlantico inclusa la chiesa del capoluogo
di La Thuile. La chiesa intanto era di appoggio alla vita del colle, che negli anni perse importanza
a favore del Gran San Bernardo e del Moncenisio. Il clima ebbe grande influenza sulla vita al
colle. Caldo in epoca romana, freddo durante le invasioni barbariche, caldo in età feudale, freddo
dal XVI al XIX sec.

29
La leggenda nella leggenda narra che i pezzi furono raccolti da alcuni presenti. Queste persone appartenevano a
quelle che diventeranno le famiglie di proprietari terrieri e benestanti di La Thuile. Ognuna di loro sarebbe in
possesso di un frammento dell ’Escarboucle che con il suo potere malvagio porta loro grandi fortune, in una sorta
di patto col diavolo. Mentre la leggenda principale, che risulta scritta su tutti i documenti che parlano della cultura
del paese e che viene tramandata oralmente a tutti,questa storia non è scritta da nessuna parte, viene solo sussurrata
con fare sospettoso e timoroso. La prima volta l’ho sentita bisbigliare in patois tra due anziane, che essendo io
solo per metà di La Thuile, credevano non le capissi, un’altra volta la sentii, sempre bisbigliata tra un mio
professore e il maresciallo dei carabinieri a cui stava raccontando di aver trovato nella Gran Borna, la grotta che
negli anni ha fatto da rifugio in varie occasioni, segni di una messa satanica. Altre volte ne abbiamo parlato in
occasione di qualche serata spaventosa nei boschi tra ragazzi. Questa leggenda secondaria mostra il divario sociale
tra quelle famiglie, il cui benessere enormemente più grande non può che essere dovuto a un sortilegio e i meno
abbienti, per i quali la storia ha un benefico effetto consolatorio della propria condizione.

29
Dal 1850 è iniziato un periodo di riscaldamento. A metà del XII sec. l’ospizio dopo un secolo di
attività dalla fondazione cadde in rovina quando nel 1025 d.C. Umberto di Savoia, detto
Biancamano, diventa conte di Aosta, da allora feudo dei Savoia. Il dominio dei Savoia trasferirà
il passaggio principale sull’asse Chambéry - Torino, passando dal Moncenisio a quota meno
elevata e quindi più facilmente percorribile e con meno chilometri di percorrenza, tagliando man
mano fuori il colle del Piccolo San Bernardo. Proprio negli anni 1000 dalle carte scompare il
nome Ariolica che viene ora chiamata La Thuille.
Nel 1113 i canonici regolari di Verres ricevettero dal vescovo l’ospizio e la parrocchia di La
Thuile, l’ospizio a quei tempi aveva anche funzione di ospedale.
Nel 1119 il conte Tommaso I di Savoia emana la prima carta della franchigie30 che garantiva ad
Aosta una sorta di autoamministrazione secondo gli usi e costumi locali.
Nel 1283 si installarono a La Thuile gli Chatelard, nobile famiglia di La Salle, in una casa situata
sopra il Bathieu, questa famiglia è l’unica traccia di nobiltà del paese, la loro casa fu il solo
“castello”, e per la sua posizione e dimensione divenne nei secoli seguenti prima la caserma
Zerboglio, poi casa per ferie per i ragazzi di Genova, oggi alloggi di lusso per sciatori. In un solo
luogo sono visibili tutte le transizioni economiche del paese.
In un paese di confine può capitare di vedere cose particolarmente strane e suggestive, nel 1367
transitò un leone, in una gabbia portata da 8 uomini, dono del re Amedeo IV conte di Savoia al
duca di Clarence.
Nel 1439 Amedeo VIII di Savoia, l’antipapa, fonda l’ordine dei cavalieri di San Maurizio, che
venne fuso, nel 1572 da Emanuele Filiberto, con l’ordine ospedaliero di San Lazzaro, a questo
ordine detto poi Mauriziano fu affidato nel 1742 l’ospizio, mantenendo la proprietà fino a pochi
anni fa. L’ordine costruì anche l’ospedale di Aosta che è tutt’oggi l’ospedale della regione Valle
d’Aosta.

Eserciti e disgrazie

Nel 1561 Emanuele Filiberto dichiara il francese la lingua ufficiale.


Nel 1578 la Sacra Sindone con un gran seguito di fedeli attraversa il passo diretto da Chambery
a Torino, nuova capitale del regno.
Dal 1500 al 1700 La Thuile subì un continuo transito di truppe nelle guerre dovute alle mire
espansionistiche dei Savoia, che cambiavano continuamente alleanze. I poveri abitanti dei paesi
sulla loro strada erano costretti a fornire le vettovaglie e subivano violenze e razzie.

30
La Charte des Franchises è il documento fondante su cui si basano ancora oggi le istanze di autonomia della
regione Valle d’Aosta.

30
Per tutto il XVI secolo il colle e, di conseguenza, il paese saranno solo un luogo di passaggio per
le armate italiane che tentano di opporsi alle truppe francesi.
Nel 1628 comincia la fortificazione del paese terminata nel 1630 dal principe Tommaso di
Carignano (ancor oggi i resti portano il suo nome), che erige le trincee per impedire l’ingresso
delle truppe di Richelieu. Nello stesso anno transitò un contingente di seimila soldati tedeschi
inviati dal marchese Spinola in aiuto al principe Tommaso portando con sé una maledizione …
la peste nera. L’epidemia non era nuova nella valle, ma questa volta la colpì molto duramente
nonostante i cordoni sanitari alle frontiere, la popolazione valdostana si ridusse di un terzo, anche
se non abbiamo dati di La Thuile, ma a La Salle si contarono millequattrocento morti e solo sette
coppie sopravvissero. Non abbiamo documenti ma M. Janin rivela che nell'insieme nella regione
70.000 persone su 105.000 in totale morirono. Ci vollero tre secoli per colmare quel vuoto. La
chiesetta nel centro del paese, appena sotto il cimitero è intitolata a San Rocco il protettore contro
la peste. La guerra con i francesi riprende e questa volta La Thuile partecipa alla battaglia, nello
stesso tempo le peste e le esondazioni del lago del Rutor accentuano la situazione drammatica
per la popolazione. Nei 700 anni precedenti il paese aveva vissuto un periodo di relativa pace in
cui nonostante il continuo passaggio di truppe il paese non viene direttamente coinvolto nei
conflitti.
Nel 1690 i Savoia si unisco alla lega Augustea, provocando la reazione del re sole, Luigi XIV le
cui truppe a fine anno erano alla frontiera. Il 18 giugno 1691, il marchese de la Hoguette, con
1000 dragoni e 5000 fanti, passa a La Thuile radendola al suolo. L’armata prosegue distruggendo
tutto arrivando fino a Bard e tornando a La Thuile 15 giorni dopo. Il signore Chatelard viene
passato per le armi. Non abbiamo dati perché distrussero anche l’archivio comunale. La
popolazione di La Thuile si ridusse da 1000 a 600 in due settimane. L’archivio parrocchiale di
La Thuile ha un vuoto dal 1691 al 1708 e i dati su nascite e morti si trovano negli archivi dei
paesi limitrofi. Furono abbattute anche le ultime pietre dell’ospizio già in rovina.
Nel 1704 sempre inviato da re Luigi XIV, in guerra con Amedeo II duca de la feuillade, passa
con l’armata e si accampa a La Thuile, sulla strada per il vero obiettivo, il forte di Bard baluardo
del fondo valle.
Nel 1706 i francesi sono cacciati.
In questo stesso periodo la popolazione di La Thuile dovette sopportare anche le continue
inondazioni da parte del lago del Rutor.31Durante la piccola glaciazione i ghiacciai si erano
dilatati. Sotto il ghiacciaio del Rutor si trova il lago omonimo che si riempie nei mesi caldi con
il disgelo. Con l’arrivo del caldo 4/5 milioni di metri cubi d’acqua si riversavano nel lago che a

31
Il ghiacciaio del Rutor è il terzo per dimensioni della Valle d’Aosta.

31
quel punto spaccava gli argini rovesciando l’acqua sulla valle sottostante. La prima inondazione
ebbe luogo nel 1595, testimoniata come violenta a rovinosa, nel 1596 , 97 e 98, 32 case furono
rase al suolo, senza contare i danni ai campi. Il fenomeno si ripeterà nel 1640 - 46 e 79 radendo
al suolo il ponte di Villeneuve e l'Equilivaz che distano circa trenta chilometri. La calma tornò
solo con la fusione dei ghiacciai che portarono la massa del ghiacciaio a diminuire nel 1864. La
prima era stata registrata nel 1430 e aveva portato via la torre e la casaforte di Morgex. Vennero
abbattuti sicuramente anche i ponti perché si privilegiò poi la strada preferita dei Celti, quella
intorno al colle San Carlo, che verrà chiamata strada dei minatori, che la usavano per raggiungere
gli imbocchi di miniera. Il ponte in fondo al paese non venne più ricostruito e il luogo prese
l’attuale nome Pontaillaud (ponte tagliato).
Il XVII secolo è quindi testimone di eventi drammatici, conflitti, inondazioni, la peste e quando
finalmente sembrò arrivare un periodo di pace per il paese scoppiò la Rivoluzione Francese che
rappresentò un periodo drammatico per il paese di La Thuile. I Giacobini vollero estendere il
loro credo politico nei paesi vicini. Dal 1792 la Francia dichiarò guerra alla Valle d’Aosta. Il
conflitto durò da aprile 1792 fino alla fine dell’anno 1800. I primi episodi di questa guerra che
comincia con l’occupazione dei granatieri piemontesi sul col de la Traversette (vicino al colle
del Piccolo San Bernardo) si svolgono in condizioni difficili, ancora in mezzo alla neve. L'abbé
Fenoil nel libro “La terreur sur les Alpes”, descrive l’occupazione del paese da parte dei francesi.
Quando La Thuile è presa, il 13 giugno 1794, dopo un anno dall’inizio della guerra di posizione,
in paese si erano rifugiati anche religiosi in fuga dalla Francia. I giacobini bruciarono villaggi,
boschi e archivi, la popolazione fu vittima di saccheggi e violenze. “Ce petit pays devenu terre
de conquête subit le plus triste sort”. L’abbate ci racconta anche l’erezione dell’albero della
libertà sormontato da un berretto rosso, in centro al paese a cui tutti i paesani passando dovevano
rendere omaggio scoprendosi il capo.32Le messe furono proibite durante l’occupazione
Giacobina, i luoghi di culto vennero distrutti, senza chiesa dell’ospizio i valligiani raggiungevano
la cima del colle per assistere alla messa che la parrocchia di Seez faceva una volta a settimana.
Un parroco si nascose in una grotta nella zona del Buic, la Gran Borna e lì celebrava le messe di
nascosto dopo essersi creato un vero e proprio rifugio. La Gran Borna verrà usata come
nascondiglio nei secoli da tutti , contrabbandieri, partigiani e in anni recenti per riti pagani.
(Decime,2014; Fenoil,1974)
Nel 1799 i francesi abbandonano il colle per combattere in Piemonte e l’epopea militare del colle
si chiude insieme all’impero di Napoleone. Nel 1815 al Congresso di Vienna, vengono ristabiliti

32
Ancora oggi quando viene eletto un nuovo sindaco gli uomini del paese vanno nel bosco a scegliere un albero.
L’albero verrà privato delle fronde,tranne sulla cima, dove vengono issate la bandiera valdostana e quella italiana.
L’albero viene piantato di fronte alla casa del sindaco.

32
i confini precedenti al 1792. Si ripopolarono le stalle, il colle riprese vita con i suoi scambi,
apparvero mercati e fiere. Ai Tchouilliens servivano i muli della Tarentaise, mentre i Tarins33
apprezzavano le pecore valdostane per la lana che utilizzavano nella loro nascente industria
tessile. Vennero ripristinati i mayens ,gli ovili e le stalle, rifiorirono mandrie e greggi stanziali e
transumanti. I transumanti sono più che altro pecore che lambiscono i ghiacciai contendendosi la
poca vegetazione con gli stambecchi. Tutte le famiglie possedevano alcuni capi di pecore per
avere il latte. All’alba venivano portate nei pascoli impervi. Un addetto, le raccoglieva tutte,
formando un gregge e la sera le riportava ai loro proprietari. Se erano saliti troppo si fermava
nelle baite. In questo periodo di nuovi transiti il colle riprese il suo ruolo di passaggio. i
Tchouilliens si fecero conoscere come abili conducenti di muli e conoscitori del percorso e delle
difficili condizioni climatiche. L’attività fu fiorente fino a quando aprirono la strada carrozzabile.
Verso metà del secolo, nelle stalle si potevano contare 70 capi tra cavalli e muli. La grande Route
era provata da secoli di passaggi di eserciti e carri per le artiglierie, il trionfante impero
napoleonico aveva accennato all’intenzione di migliorie, ma poi il Moncenisio e il Monginevro
presero maggior importanza lasciando indietro il Piccolo San Bernardo. Il ruolo importante dei
mulattieri venne riconosciuto nella sua importanza già da Cecilia di Savoia nel 129.
Soccorrevano passanti, guidavano notabili e sovrani, portavano a valle i poveri cadaveri che non
erano riusciti a sopravvivere al colle per dargli una degna sepoltura, e segnavano il percorso
quando era ricoperto di neve. Questi Marronniers venivano pagati con un tariffario. La strada
post napoleonica era distrutta, la manutenzione gravava sulle popolazioni. Dalle Eaux Rousses a
Saint Germain venivano piantate più di duecento pertiche di legno per segnalare il percorso. Ma
spesso erano prese da pastori e soldati per bruciarle e scaldarsi. Nel 1802 l’autorità militare decise
quindi di porle incrociate, in questo modo formando una croce sarebbe stato un sacrilegio
prenderle e questo fermò i furti. (Sibilla,1995)
Dopo il 1860 una grave crisi economica causò una forte emigrazione dalle montagne, nobili e
plebei indistintamente si mossero alla ricerca di un futuro migliore. A Parigi c’è una comunità
valdostana che conta migliaia di persone, ogni anno viene issato in una piazza di Parigi un albero
di Natale della nostra regione.
Nel 1861 nacque la frontiera di stato, con un plebiscito che passò la Savoia alla Francia, lasciando
la Valle d’Aosta al nascente stato italiano.
Con il Trattato di Vienna venne istituita per la prima volta una vera barriera doganale e questo
non fu apprezzato dalla popolazione locale, abituata a condividere campi armenti e commerci
con i vicini. I commerci continuarono nonostante tutto e nacque il contrabbando, perché le

33
Valligiani della tarentaise.

33
popolazioni locali non smisero di scambiare quei beni che erano abituati a scambiare, il fenomeno
cessò solo con l’apertura delle frontiere dopo la nascita dell’UE. Si apre una nuova era, lo stato
unitario si muove verso un maggiore sviluppo economico, la creazione di un grande mercato
nazionale, spinge verso la creazione di strade, ferrovie e trafori. Il piccolo San Bernardo ha ancora
una strada non accessibile ai mezzi a ruote. La grande strada non rispondeva alle nuove esigenze.
Era necessario trasformarla da mulattiera a carrozzabile.(Woolf,1995)
Jean Laurent Martinet un avvocato, nato a La Thuile nel 1799, appartenente a una delle famiglie
dei grandi proprietari, che aveva fatto fortuna svolgendo attività commerciali fin dal XVII secolo,
era uno dei convinti assertori della necessità di far uscire la Valdigne dal suo isolamento.
Apparteneva ad una casa dalle idee liberali e lui stesso fu sindaco di Aosta e deputato liberale al
parlamento subalpino per ben 5 mandati. Sostenne con passione lo sviluppo di strade carrozzabili
al Piccolo e al Gran San Bernardo e la sua lungimiranza lo spinse a lavorare per una linea
ferroviaria che collegasse Aosta a Chivasso e ad auspicare un tunnel sotto il Monte Bianco. Si
pensò anche ad un tunnel sotto il Piccolo San Bernardo da La Balme a Montvalezan.34 A metà
800 ebbe però la precedenza il tunnel del Frejus, che dal 1871 assorbì gran parte degli scambi tra
Italia e Francia. Jean Laurent martinet morirà nel 1877 senza vedere realizzato il suo progetto.
Suo nipote Jules Martinet sarà anch'egli sindaco di Aosta dal 1877 al 1880 e grande sostenitore
della linea ferroviaria verso il Piemonte.(Le Flambeau, RAVA, 2006)
I lavori per una nuova strada iniziarono nel 1861 e terminarono nel 1872. Sull’altro versante
erano iniziati nel 1858, ma interrotti per i lavori della ferrovia di stato, terminarono nel 1866 e
nel 1873 la nuova strada internazionale fu aperta al passaggio delle carrozze e progressivamente
a quello dei nuovi veicoli a motore.
Nel 1897 passò ancora un landau trainato da cavalli per il presidente francese.
Il 14 Luglio 1905 il conte di Mentone fu il primo a passare dal colle con un ‘autovettura.
la Grande Route sarà declassata a Route Vieille. Il vecchio percorso fu ancora il preferito di chi
si spostava col bestiame o a piedi, il cammino era tranquillo e agevole, i suoi tornanti lo rendono
lungo, ma dolce. La strada venne spesso ritenuta custode di tesori.35 (Saluard,1987)

34
Oggi questo progetto viene di nuovo preso in considerazione.
35
Prima di arrivare alla Grande Golette, dove la Vieille Rotte e la strada nazionale si incrociano, c’è un terreno
chiamato Sang di mor, era stato un cimitero improvvisato per seppellire i soldati e gli abitanti colpiti da
un’epidemia durante la guerra delle Alpi. Nei decenni successivi i contadini che zappano la terra trovavano teschi
e ossa. Un giorno giunsero due stranieri che frugavano nel campo in modo furtivo con un documento in mano, ma
il loro scavo non andò a buon fine.
Anni dopo un operaio della nuova strada scavando diventò strano. Si alzò poi nella notte e fu visto scavare furtivo
nel campo, scappando poi nel cuore della notte, senza aspettare il giorno di paga. I responsabili dell’impresa
informati sull’accaduto allargarono gli scavi, ma non trovarono nulla. Dell’operaio biellese non si trovarono più
tracce.

34
L’abbate Chanoux.1828 – 1909

Nel 1836 dopo molte distruzioni e ricostruzioni e un lungo periodo di inutilizzo, l’ospizio tornò
in funzione, grazie ai fondi di risarcimento dati dal re Carlo X per i danni inflitti dai soldati della
Repubblica. Nella seconda metà dell’800 fu ricostruito con doppi vetri, mura spesse, lungo 50
metri e alto 5 piani con profonde cantine.
Venne amministrato dai canonici regolari di Verres fino al 1466, poi affidato ai canonici regolari
del Gran San Bernardo. Ebbe un regime autonomo dal 1752. Con gli accordi tra re Carlo III e
papa Benedetto XIV venne concessa la secolarizzazione dei beni ecclesiastici nel Regno di
Sardegna sotto controllo regio, ma la proprietà era assegnata in gestione agli ordini di San
Maurizio e San Lazzaro. Tra queste proprietà vi sono l’ospizio del Piccolo San Bernardo e quello
del Moncenisio. La bolla papale stabiliva anche l’apertura dell’ospedale di Aosta affidato
all'ordine Mauriziano e il rafforzamento di tutte le attività assistenziali. Il rettore veniva scelto
tra i preti secolari della diocesi, ma nominato dall’ordine Mauriziano.36
Nel 1836 con la riapertura furono stabilite nuove regole per l’ospitalità che doveva essere gratuita
per i pellegrini i migranti e i commercianti. Era gratuita per una notte in caso di bel tempo e per
un numero di giorni a totale discrezione del rettore in caso di brutto tempo. A parte qualche
mucca per il latte, i rifornimenti venivano da La Thuile, questo significava che erano portati nella
bella stagione e dovevano durare per tutta la cattiva stagione. Quindi la frugalità e il risparmio
erano la regola inderogabile.
Nella Seconda metà dell’800 col rettore Chanoux non fu più solo luogo di ospitalità ,ma divenne
luogo di cultura e ricerca scientifica. Nato nel 1828 a Champorcher fu un povero pastore fino a
18 anni quando, su sua insistenza venne iscritto con grande sacrificio al college d’Aoste. Per 10
anni fece 7 ore di marcia per passare il colle di Fenis e da Champorcher andare a scuola ad Aosta.
Era dunque un buon camminatore.
A 27 anni fu ordinato sacerdote. Il vescovo lo mandò in un luogo isolato, battuto dai venti e
sommerso di neve per 9 mesi l’anno. ma avrebbe aiutato i poveri migranti in fuga da terre povere

Un’altra storia narra di un soldato francese che chiese aiuto ad un notabile di La Thuile mentre fuggiva. Purtroppo
il notabile e i fedeli a cui aveva detto del tesoro, morirono senza dire dove era nascosto il tesoro, e le piante sotto
cui si pensava fosse nascosto col tempo sono state tagliate.

36
L’ordine Mauriziano nacque a Gerusalemme in un lebbrosario durante la prima crociata che nel 1099 conquistò
il santo Sepolcro. Seguivano l’ordine agostiniano della castità, povertà e obbedienza. Finite le crociate si occupò
dei lebbrosari in tutta italia e alla lotta alle eresie. i savoia assunsero San Maurizio che aveva guidato la legione
Tebana a Ginevra che si rifiutò di perseguitare i Cristini in Gallia e di compiere riti pagani, per questo vennero
uccisi meritando la santità a simbolo della casata, tramandando il suo anello di generazione in generazione.
Portarono anche alcune sue reliquie e la sua spada a Torino. L’anello andò perduto nel ‘700.

35
e tanto bastò a convincerlo. Portò con sé la sorella. Aveva due domestici e due uomini di fatica.
Fu rettore per 50 anni e divenne “l'angelo delle montagne”. Era il periodo chiamato piccola
glaciazione e gli inverni erano terribili. Quando nella bufera gli sfortunati riuscivano a lanciare
un richiamo, l’abate prendeva il suo bastone, i suoi aiutanti e i cani che diverranno famosi col
suo nome e usciva in cerca dei malcapitati che poi curava personalmente. Rischiò più volte la
vita lui stesso. Morì il 9 febbraio 1909 a 81 anni. Fu portato in paese sulle spalle del cantoniere
Grange, personaggio leggendario per i salvataggi estremi. Le foto del suo funerale testimoniano
l’affetto del paese nei suoi confronti. Dopo quattro anni come da suo volere fu riportato al
Piccolo, dove riposa anche la sorella. (Sibilla,1995; Saluard,1987)
L’abate fu un valido alpinista e scienziato. Per i montanari i ghiacciai erano luoghi posseduti da
demoni e revenant, morti che espiavano piccole colpe prima di poter essere liberati, non erano
ostili, ma cercavano attenzioni e messe di suffragio. L’acqua che scorre sotto il ghiaccio e i suoi
stessi movimenti sono all’origine dei mormorii che venivano attribuiti ai revenant. Nel 1858 lo
svizzero Gottlieb Studer fu il primo a salire sulla testa del Rutor, fino ad allora le montagne erano
considerate solo un deserto di ghiaccio da cui stare alla larga, un luogo arcano sede di
spiriti.37Chanoux invece, nella montagna vedeva un luogo di meditazione. Le sue camminate in
montagna fecero di lui un precursore del moderno alpinismo. Il ghiacciaio del Rutor era il suo
dominio e il suo vagare per i monti gli diede il diritto di dare i nomi alle sue cime. A lui si deve
la toponomastica ancora in uso. Percorse tutte le cime da Cogne al Monte Bianco ( fino ai 4000,
poi dovette desistere). Faceva da guida agli alpinisti, diresse i lavori per il sentiero delle cascate
dove fece costruire un ponte. Ottenne di poter cambiare la regola e ospitare all’ospizio anche gli
alpinisti a speciali condizioni , creando anche per loro una apposita biblioteca. Il C.A.I., di cui
salutò la nascita lo fece membro onorario. Studiando la glaciologia e la geologia misurò la ritirata
dei ghiacciai quando la piccola glaciazione terminò. Fece erigere sul tetto dell’ospizio un vero
osservatorio meteorologico, all’epoca il più alto della catena alpina, perché dedusse l’importanza
dello studio del meteo per l’alpinismo. Contribuì alle ricerche archeologiche delle mansio romane
e durante la costruzione della carrozzabile difese il Cromlech impedendo la sua distruzione.
Risistemò la vecchia colonna di Giove su cui pose la statua di San Bernardo da lui stesso scolpita,
nell’ennesimo passaggio del testimone per il monumento, guardiano del colle per secoli.
(Sibilla,1995; Le messager Valdotain,2009)
Ma la sua opera più notevole e di cui tutti possiamo godere ancora oggi è il giardino alpino
Chanousia. Nato come jardin potager e poi jardin d'acclimatation de la flore alpine, su un

37
Una delle leggende narra di un uomo barbuto che si diverte a soffiare aria gelida per distruggere i raccolti e che
rappresenta il diavolo.

36
terreno roccioso concessogli dal comune di La Thuile nel 1893. Costruì muretti, piantò piantine
provenienti dalla Savoia, poi dalla Svizzera, dall’Abruzzo e dai Pirenei, dalla Provenza e dalle
Alpi orientali. Fu inaugurata con una grande festa nel 1897. Il giardino era importante per lo
studio delle piante officinali, ma anche per lo studio dei foraggi e per il rimboschimento. Venne
visitato dalla regina Margherita nel 1905. Nel 1908 gli fu data la cittadinanza onoraria di La
Thuile. Le meraviglie del colle attirano i turisti che ora possono essere ospitati a pagamento,
lungo la strada crescono locande. Nel 1907 passò il principe Scipione per partecipare al raid
automobilistico Pechino- Parigi, inaugurando una nuova epoca con la sua auto.
Dopo l’abate Chanoux fu eletto l’abate Camos, alternato alla sua guida fino alla Seconda Guerra
Mondiale. Ora l'abate fu coadiuvato nel suo lavoro dai cantonieri. Le persone e le mandrie
passavano ancora di là e servivano delle migliorie in alcuni tratti oltre all’apertura e il
consolidamento di alcuni luoghi di sosta intermedi. Vennero aperte tre cantines e rifugi sul
versante francese e tre sul versante italiano. Il primo era a Creux de morts che dista solo 4
chilometri sul versante francese, ma se con il bel tempo erano pochi, con il cattivo tempo
potevano essere troppi.38Le case cantoniere vennero affidate ognuna a un singolo cantoniere. Essi
divennero famosi come angeli delle nevi e alcuni sono ricordati come figure eccezionali per
impegno e spesso furono essi stessi vittime della neve, del freddo e delle valanghe. Jean Antoine
David uno dei più conosciuti, morì dopo aver salvato una persona a Creux des morts fermandosi
poi a riposare e fumare la pipa..morì travolto da una valanga. Fu trovato a valle in primavera.
Stessa sorte ebbero due suoi colleghi. Quello di Sainte Barbe dopo 20 anni di eroici salvataggi
ricevette nel 1905 la croce d’onore, già ricevuta da Jean Collomb nel 1904. Le famiglie di
cantonieri divennero in alcuni casi delle vere e proprie dinastie, tramandandosi il lavoro. I Grange
lo furono per quattro generazioni. Anche i postini erano una figura importante. Spesso salendo
al colle faceva da battistrada agli emigranti che a inizio secolo non era più stagionale ,ma
definitiva. Notre dame des graces fu costruita da un migrante scampato a una bufera in segno di
ringraziamento. (Saluard, 1987)
Con l’unità nazionale vi fu un assestamento dei confini sulla catena alpina e la necessità di un
nuovo sistema difensivo. La chiusura dei passi per il ministero della guerra del nuovo regno
d’Italia era strategica, le vallate divennero ben definiti territori di reclutamento e sede di unità
difensive. Servivano soldati avvezzi al clima rigido agli spostamenti in montagna. Nacque così
il corpo degli Alpini e Morgex sarebbe diventato il centro di arruolamento per i giovani della
Valdigne. Vengono recuperati e armati di artiglieria gli avamposti abbandonati dopo le guerre

38
Resta nella memoria un episodio in cui una mandria sorpresa dalla tormenta viene disperatamente guidata dai
pastori verso l’ospizio. Per fare in fretta e salvare più capi di bestiame possibile vengono fatte entrare nell’ospizio.
Purtroppo molte di loro moriranno.

37
settecentesche, Plan Praz al Belvedere, Col croce e Mont Colmet che resteranno in funzione fino
alla Seconda Guerra Mondiale. (Stella,2003) In Francia, per le stesse motivazioni nacquero i
Chasseurs des Alpes, che con la costruzione di sistemi di presidio, recuperando anche il forte
della Traversette, così importante da essere ristrutturato e divenire luogo di stanza per tutto l’anno
di una intera compagnia di Chasseurs. Sempre pronti ad affrontare il nemico, che però erano le
valanghe. i rapporti al colle tra i militari erano di buon vicinato. La lingua di terra che ospitava
l’ospizio era una sorta di enclave italiana ed era considerata zona neutra. Il veterinario di Seez
radunava il bestiame di entrambi i versanti per visitarlo lì. I rapporti tra i doganieri erano solidali
e uniti dagli obiettivi comuni, che erano la lotta alla diserzione e al contrabbando, molto diffuso
dopo la creazione della frontiera anche se aveva origini antiche. Il commercio clandestino del
sale esisteva dal XVII secolo. Quello del riso vercellese dal secolo successivo. La gente di
montagna sapeva dove passare con riso, sale, tabacchi, alcol, fiammiferi, polvere da sparo e
bestiame. il monumento dei quattro venti era in realtà una garitta di guardia, costruita così per
proteggere il doganiere di guardia dai venti che tirano in qualsiasi direzione, consentendogli di
guardare tutti i lati del colle. Il luogo testimonia la durezza delle condizioni climatiche. I legami
tra doganieri durarono fino alla I guerra mondiale. (Sibilla, 1995)
Per tutto il XIX secolo e l’inizio del XX si sono incrociate al colle due opposte correnti
migratorie: dalla Tarentaise verso il Piemonte, les hirondelles d’hiver passavano dal colle nel
tardo autunno, erano anni nevosi che portavano 10-12 metri al colle. L’altra corrente erano i
valdostani, che a fine inverno emigravano in Savoia e nei dipartimenti limitrofi, per andare a
cercare occupazione come pastori falciatori, casari, spazzacamini, artigiani di vario tipo, les
hirondelles du printemps partivano per integrare i magri proventi dell’economia agro-pastorale
molto arretrata. Non furono tanti i Tchouilliens che emigrarono si impegnarono come
maniscalchi, piccoli commercianti e cantinieri per arrotondare. All’inizio del XX secolo iniziò
poi lo sfruttamento delle risorse minerarie e per loro la possibilità di svolgere qualche giornata
aggiuntiva di lavoro. Tra il colle e il Grand Assaly si trovano i filoni carboniferi, il carbone
dapprima venne usato a livello domestico, poi, dopo la smobilitazione della I guerra mondiale
per i Tchouilliens si aprì la possibilità di essere solo minatori.

38
Capitolo 3: guerre e confine

I confini dividono lo spazio; ma non sono pure


e semplici barriere. Sono anche interfacce tra i luoghi
che separano. In quanto tali, sono soggetti a pressioni
contrapposte e sono perciò fonti potenziali di conflitti e
tensioni.
(Zygmunt Bauman)

Dalla piana del colle la visuale è a perdita d’occhio. Intorno si stagliano le cime ricoperte
di una verdissima prateria fatta di morbidi cuscini di Silene Excapa e fiori colorati. Il
vento è così forte e la bella stagione così breve, che i fiori, Ranuncoli, Genziane,
Campanule, piccole Orchidee di montagna39, Artemisia genipi40, e i Myosotis, conosciuti
come non ti scordar di me41, qui hanno un colore più intenso e sono minuscoli, o meglio
il fiore è poco più piccolo o uguale rispetto a quelli a valle, ma il fusto è alto solo un paio
di centimetri per tenere la pianta al riparo vicino alla terra. Il contrasto del cielo azzurro
e dell’erba verdissima è straordinario, le montagne sembrano ricoperte di morbido velluto
verde e l’assenza di arbusti fa vedere ogni crinale, ogni valle, ogni fessura della terra.
Nell’ampia vallata ci sono ruderi e costruzioni diverse ed è difficile dare una collocazione
e un contesto ad ognuna di loro, a meno di non conoscere bene la storia del luogo. Salendo
si incrocia la casa cantoniera, poi sulla destra il lago Verney42 incanta e allo stesso tempo
spaventa con le sue acque scure e gelide e il pendio della montagna che ci si tuffa dentro
a precipizio. Intorno al lago il terreno è sconnesso, al disgelo si formano tanti piccoli
rigagnoli e pozze che, prima di confluire e iniziare la discesa verso valle, trasformano la

39
Molti di questi fiori tra cui le orchidee appunto sono protetti e non possono essere raccolti, pena multe
salatissime.
40
Tradizionalmente utilizzata per produrre attraverso un procedimento complesso, un liquore aromatico e
digestivo, prodotto tipico della regione e ricercatissimo dai turisti.
41
Normalmente e La Thuile vengono chiamati Occhi della Madonna per il loro colore celeste intenso e l’aria
aggraziata, essi hanno il loro contraltare negli Occhi del diavolo, un’erba più alta che produce un fiore di un color
carminio intenso e sono meno belli e aggraziati.
42
il lago Verney Ad un'altitudine di 2085 metri prende il nome dall’omonima dora che nasce sul ghiacciaio del
Breuil. Per fare il giro completo ci si mette circa mezz’ora, è quasi cinque volte più grande di quello del Gran San
Bernardo. Non è coperto dal ghiaccio per circa quattro mesi l’anno. Il termine deriva dal nome verne termine
dialettale gallico che sta per acero. Il suffisso ey in patois indica un agglomerato delle stesse cose nello stesso
luogo. Lungo la dora di Verney e lungo il lago non vi sono alberi.
Il lago con le sue acque verde- blu, alte anche 10 metri e correnti che lo rendono pericoloso, è, in estate, una
riserva di pesca. In passato si parlò spesso di una sorta di Nessie locale, ma si scoprì poi che si trattava solo di un
pesce più grande degli altri che faceva incetta di quelli più piccoli e provocava spaventosi avvistamenti.
Negli anni recenti il lago è sede di record di apnea e esperimenti scientifici sui nuotatori che si cimentano nelle
nuotate invernali sotto la coltre di ghiaccio.

39
prateria in una palude accidentata, queste pozze e buchi si mescolano tutto intorno a buchi
più grandi e profondi, sono quello che rimane di anni di bombardamenti, il terreno se li è
ripresi ricoprendoli di licheni e fiori ma la loro traccia è ancora ben visibile, visto il
diametro dei crateri. Si prosegue con due curve che, passando di fianco ai resti di un forte
e tra un alto muro di neve, che non si scioglie mai perché viene accumulata lì in inverno
dal vento, formando quella che noi chiamiamo una gonfia. A questo punto siamo nella
piana del colle, incontriamo impianti di risalita e un paio di bar e negozi di Souvenir, le
ex caserme e il gabbiotto dei Carabinieri, e poi la terra di nessuno occupata solo dal
cromlech, prima di incrociare i ruderi della gendarmerie, il negozio di souvenir e il bar
dal lato francese. Si apre poi la parte ancora più selvaggia del colle che raggiunge
l’ospizio passando davanti alla Chanousia, si arriva in fondo alla valle custodita dalla
statua di San Bernardo sulla colonna di Giove. Tutto questo immenso spazio e le cime
intorno ad esso sono attraversate da resti di bunker e da una lunga linea di paracarri,
blocchi di cemento giganteschi che, come una enorme cicatrice, scorre da un lato all’altro
del colle interrotto solo nel centro, dove passa la strada. Servivano a bloccare i carri armati
durante la Seconda Guerra Mondiale. Salirci sopra è molto difficile, sono molto alti, ma
in alcuni punti si riesce a salire grazie alla loro vicinanza con il pendio o con altri sassi o
rovine, saltare da uno all’altro è un gioco divertente e pericoloso a cui molti ragazzini di
La Thuile si sono dedicati almeno una volta.
Quando ero piccola per passare il confine si veniva fermati dai Carabinieri, poi vicino ai
negozi di souvenirs con le bandierine valdostane, si parcheggiava dopo il confine, e si
andava a passeggio sul pianoro del colle. Dietro la caserma di apriva un mondo, la valle
scende sulla strada antica che conduce dritta all’ospizio. Un monumento ricorda i caduti.
Un piccolo altare di fianco alla mansiones romana viene usato il 15 agosto per dire messa.
Il confine finiva alla caserma e ricominciava all’Ospizio, ma prima di rendersi davvero
conto di essere in Francia bisognava arrivare alla Rosière. La Chanousia è oggi, come in
passato una sorta di enclave italiana in territorio francese, i ragazzi che la curano e che
conducono esperimenti scientifici sulla flora alpina, sono ricercatori dell’università di
Torino. La garitta dei gendarme stava lì in mezzo a controllare le macchine, ma a piedi,
il confine non esisteva, dal prato vedevi le bandierine del negozio di souvenir diventare
francesi anziché italiane e valdostane e la divisa dei militari era diversa…ma tutto
intorno, quella che abbiamo sempre chiamato terra di nessuno era una terra di tutti. Prima
dell’apertura delle frontiere spesso i gendarme eseguivano i controlli solo alla sbarra della
Rosière, qualche chilometro oltre il confine. In quella terra di nessuno siamo stati sempre
liberi di passeggiare ed esplorare, di raggiungere valli e cime laterali che dipartono dal
colle, senza nemmeno avere consapevolezza del confine. In inverno, nel periodo più
innevato, in giornate particolarmente di bel tempo, i maestri di sci ci portavano alla
Rosière43, in questo caso il confine era inesistente perché non vi era nessun tipo di

43
Dal 1985, dopo la firma di una convenzione tra Montvalezan, Seez e La Thuile, vengono installati la seggiovia
di Chardonnet e lo skilift di Bellecombe per poter attraversare il confine. La Rosière diviene un comprensorio
sciistico internazionale insieme alla vicina La Thuile, in Valle d’Aosta. Lo sci ha già abbattuto le frontiere.

40
controllo, ma terrorizzante. Il piccolo tratto di pista che unisce i due comprensori era,
all’epoca, raggiungibile con una seggiovia spaventosa, altissima e perennemente battuta
da un vento gelido, che oltre a frustare le nostre facce con un cilicio di ghiaccio, faceva
dondolare la seggiovia come se il seggiolino fosse stato un sasso e il cavo una fionda
pronto a lanciarlo a chilometri di distanza. Sotto l’infame seggiovia, al ritorno, bisognava
affrontare quei pochi metri di pista ripida e perennemente ghiacciata a causa di quello
stesso vento… e nel tratto francese ci attendeva un buffo nemico.. lo skilift
francese…ebbene sì, gli skilift hanno una nazionalità ben definita, e mentre i nostri, ci
consentivano una comoda salita appoggiati, a un piattello e aggrappati a un piccolo palo
solo se necessario, quello era il mostro finale del videogioco sciistico di cui eravamo
protagonisti, il piattello era minuscolo e non ci si poteva appoggiare, il palo lunghissimo
e telescopico sostituiva il classico cavo ed era rigido e grande, per cui afferrarlo con i
guanti e le mani congelate era impresa complessa, e stava schiacciato contro la nostra
faccia per tutto il tragitto, la velocità era folle e faceva le curve! Essendo molto leggera
all’epoca, facevo tutto il tragitto appesa al maledetto palo, con la minaccia oltretutto, che
se fossimo caduti, avremmo rischiato di fare tardi e dover rientrare a piste chiuse. Se
questo era uno spauracchio usato dai maestri di sci per convincerci a non perdere tempo
non lo so, ma crescendo, quando da adolescenti affrontavamo lo stesso tragitto da soli, ci
capitava di arrivare allo skilift e trovare i pisteur44 valdostani che aspettavano gli ultimi
sciatori italiani per poter chiudere la pista e di prenderci una bella sgridata per essere
proprio noi e non dei turisti gli improvvidi a tardare. Attraversavamo poi il colle nella
calma innevata. In inverno, quando tutto è sepolto da metri e metri di neve non ci sono
confini, divisioni, paracarri, mansiones a ricordare le dure battaglie che nei secoli lo
hanno segnato, il colle appare pacifico, avvolto in una luce che al tramonto ha qualcosa
di mistico, con le sue cicatrici nascoste sotto la spessa coltre di neve.

Confini

Confine (s. m.). In politica, la linea immaginaria tra due nazioni che
separa gli immaginari diritti dell'una dagli immaginari diritti dell'altra.

Ambrose Bierce 1988, p. 52 Dizionario del diavolo

L’abolizione formale delle frontiere europee45 che separavano da secoli gli Stati che la
compongono, seppure essi continuino a sussistere, ha cambiato il nostro modo di percepire le
frontiere. Dal momento della loro apertura le frontiere non furono più viste come limite

44
Gli addetti alle sicurezza delle piste da sci in Valle d’Aosta si chiamano pisteurs secouristes. si tratta di un
lavoro a cui si accede solo tramite un corso-concorso specifico, e che gode di un notevole prestigio sociale, vista la
grande utilità che rappresenta e le grandi difficoltà a cui si prestano gli addetti.
45
Con un primo accordo siglato a Schengen nel 1985 da belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi
viene stabilito un complesso di accordi per favorire la libera circolazione delle persone e la lotta alla criminalità
organizzata all’interno dell’ UE, attraverso l'abbattimento delle frontiere interne tra gli stati partecipanti e la
creazione di un sistema di controllo comune alle frontiere esterne dell’UE. L’Italia aderirà nel 1990. Il trattato
entrerà in vigore nel 1995.

41
dissuasivo, fisso e invalicabile. Anche se il recente aumento dei flussi migratori ha risvegliato in
molti Stati dell'Unione e in molti cittadini il desiderio di rafforzare i confini dell’UE.
Ricordo il 9 novembre 1989 con la stessa emozione vissuta quel giorno, il confine per noi era
flebile, ma sempre tangibile. Lo passavamo e oltrepassavamo tranquillamente, ma convivevamo
comunque con una sbarra che tagliava in due il paese e un posto di guardia sulla via principale,
proprio sotto il benzinaio, tanto che le prime volte che facevi benzina al motorino o quando in
macchina passavi a far benzina coi tuoi genitori avevi sempre paura di fare qualcosa di sbagliato
che attirasse l’attenzione del Carabiniere di guardia. In inverno la sbarra veniva tirata su e restava
solo il povero Carabiniere a congelare, ma in estate a volte si formava la coda di macchine che
venivano fermate per essere controllate. Al Piccolo ci si fermava per il doppio controllo
Carabinieri/Gendarme e gli stessi ti fermavano alla sbarra della Rosière, soprattutto se passavi di
notte, nel qual caso, oltre ai documenti, di solito veniva anche perquisita la macchina. Se
dimenticavi la carta d’identità mentre andavi a fare la spesa (i latticini costano meno da sempre),
o mentre andavi a ballare, tornavi a casa, a meno di una congiuntura astrale fortunata per cui
nessuno dei controlli ti fermava.
Il contrabbando c’è sempre stato ed è stato fonte di reddito per molti paesani. Se, prima e durante
la guerra venivano commerciati beni di prima necessità come riso e sale, dal dopoguerra sono i
tabacchi ad essere merce di contrabbando, trasportato anche nelle giacche da sci e, da un racconto
di qualche anno fa, del tabacchino di La Thuile, a volte valori bollati.
Quando poi cercavano qualcuno che non doveva passare il confine per scappare dall’Italia, o
cercavano i passeur,46 le pattuglie aumentavano, e anche se eri bambino e non sapevi i dettagli,
sapevi che qualcosa di importante stava succedendo. La situazione riguardante la frontiera per
noi era serena, ma la frontiera era un’entità ben presente nella nostra vita, era parte di noi e vedere
che dei ragazzi abbattevano un muro di confine mi ha dato un senso di libertà che ha condizionato
fortemente la mia vita…ora possiamo andare dappertutto, pensai, nella semplicità di un pensiero
appena poco più che bambino, di fronte a un avvenimento che era ancora lontano dall’aver creato
un mondo nuovo. Negli anni seguenti portando mio fratello minore in Francia a skateare( i
francesi hanno campi da basket e skate park anche nei paesi più sperduti) o i miei figli in gita e
racconto loro dove erano i posti di guardia e come avvenivano i controlli è bello vedere sul loro
viso il senso di stupore di chi non ha vissuto l’infanzia in un mondo diviso da frontiere chiuse.

Dopo il ‘48 la gente cominciò a spostarsi per lavorare, e iniziammo ad avere a volte dei passeur
che si fermavano a casa chiedendo aiuto e ospitalità, noi abbiamo sempre aiutato, spesso
dovevano aspettare le giuste condizioni per passare il colle, non hanno mai avuto beneficio da
quegli aiuti… nessun passeur era di La Thuile[...] li ospitavano nella stalla grande e provavano a
passare prima del giorno dal colle. Venivano dalla bassa valle.[...] li trattavano male[...] a volte

46
i passeur sono traghettatori di clandestini, quasi sempre sono parte di una organizzazione, ma a volte sono dei
privati cittadini, non affiliati alla criminalità, che offrono viaggi per arrotondare. Sono una realtà presente nei paesi
di confine della valle del Piccolo san Bernardo, in quella del Gran san Bernardo ( Etroubles soprattutto) e al
Tunnel del Monte Bianco. Quasi ogni settimana il tg regionale racconta l’arresto di un passeur che è stato preso al
tunnel. Mentre sui due colli ora è difficile che vengano fermati. In passato quando si viaggiava a piedi chiedevano
ospitalità nelle case dei Tchouilliens, soprattutto a Pont Serrand.

42
prendevano i soldi e scappavano… altre volte[...] non so come dire[...] li uccidevano o li
lasciavano al colle a morire[...]

[...]la situazione sulle montagne non era limpida[...] facevano i passeur…poi li uccidevano[...]

Il mutare dell’importanza dei confini ha portato con sé il mutare dell’importanza di alcuni luoghi
a seconda di come i cambiamenti avevano influito su di essi rendendoli centrali o secondari. Il
Piccolo San Bernardo è uno di quei luoghi e La Thuile con esso. Nelle pieghe della grande storia,
che si è svolta su quelle terre remote, si nascondono le storie della gente comune che li abitava e
che ha subito le conseguenze dei conflitti consumati sul passo. Nelle antiche famiglie di La
Thuile sono vive le narrazioni e rievocazioni di quelle piccole storie che, quasi identiche, si
ritrovano al di là del confine nei racconti dei savoiardi. La storia in quei luoghi è passata con
eserciti e carri armati, ma anche a piedi , in solitudine. Il confine è indicato storicamente come
luogo di chiusura e frammentazione, un limite fisico, ecologico che diventa anche limite culturale
e che nel tempo separa le genti. Nel caso di La Thuile e del suo colle, come probabilmente in
molti altri casi è davvero così, o è di nuovo la grande storia a decidere che sia così?
Molti studi hanno tracciato le traiettorie delle migrazioni nelle Alpi. Gli attraversamenti, che
hanno remote radici medievali, erano stagionali e temporanei e interessarono più passi.
Congiunture economiche favorevoli o sfavorevoli influenzarono gli spostamenti.
Nelle comunità agro pastorali è necessario distinguere due tipi di pendolarismo legati al bestiame:
la transumanza, che si muove generalmente su lunghi percorsi prevedendo lo spostamento di
pastori e greggi in base all’offerta di pascolo e alle variabili altimetriche e climatiche, mentre
l’alpeggio si svolge nelle vicinanze dalla comunità coinvolta muovendosi in altitudine. Nelle
comunità alpine l’economia era orientata all’autosufficienza e la manodopera contadina si
spostava quando risultava eccedente. I migranti trovavano impiego temporaneo nei poderi e nelle
campagne d’oltralpe dove si praticavano l’allevamento e le coltivazioni estensive. Queste forme
di migrazione e pendolarismo stagionale assumevano tratti tipici in relazione alle necessità locali.
L’emigrazione stagionale o transitoria in Valle d’Aosta fu un fenomeno importante, a cui è stato
riconosciuto un ruolo economico e sociale di primo piano. L’organizzazione familiare e
comunitaria era influenzata dai flussi migratori. Come indicato da Riccarand (Riccarand,
Omezzolli, 1975, p. 12) la migrazione stagionale riguardava generalmente gli uomini e raramente
le donne, i villaggi venivano costruiti vicino ai passi per facilitare la partenza degli uomini, subito
dopo la fine dei lavori nei campi in autunno e prima che il freddo e la neve li rendessero
impraticabili. Spesso erano giovani o giovanissimi, anche bambini che talvolta erano mandati da
parenti o conoscenti. L’andamento della migrazione cambiò a partire dalla seconda metà
dell’800, le mutate condizioni confinarie, che videro la cessione di vari territori transalpini alla

43
Francia e l’espandersi delle produzioni industriali a discapito delle attività agro-pastorali
tradizionali e la congiuntura economica, le migrazioni stagionali si trasformarono in emigrazione
definitiva con distanze più lunghe e spesso i migranti finirono a ingrossare le fila del proletariato
nelle periferie industriali. (Sibilla,1995)
Queste persone si muovevano nei sentieri ad alta quota, evitando i passaggi più battuti e
conosciuti, cercando di evitare i controlli da parte delle autorità. Il contrabbando infatti
accompagnava spesso questi movimenti di persone, incrociandoli con quelli delle merci. Sulle
due direttrici principali di questi spostamenti in Valle d’Aosta, il Piccolo e il Gran San Bernardo,
sorsero ricoveri, ospizi e cantine molto spartani, sufficienti ad assolvere il loro compito di
ospitalità e accoglienza. I viandanti venivano soccorsi e curati. I paesi sulle due direttrici si
svilupparono e diedero il loro contributo di uomini. Insieme ai monaci infatti nacquero i corpi
dei Marronniers e dei soldats de la neige che aiutarono i viandanti a spostarsi nei valichi alpini
entrando nell’immaginario alpino come figure leggendarie di coraggio e abnegazione.
(Stella,2003)
Il valico del Piccolo San Bernardo tende ad essere percepito indifferentemente come limite e
come frontiera perché i due termini sono facilmente considerati sinonimi pur essendo nozioni
che richiamano condizioni diverse, che variano al variare delle condizioni storiche. Il limite
(limes) è posto unilateralmente. I confini sono stabiliti e accettati da entrambe le parti. In quanto
parte di sistemi normativi, sono legati a rapporti sociali molteplici, specie con i modelli d’uso
economico del territorio e per le loro valenze simboliche influiscono sulle costruzioni
dell'immaginario iscrivendosi nella memoria collettiva. I confini e i limiti si intersecano
inevitabilmente con i destini delle popolazioni. A partire dal 1600 la nozione di frontiera ha preso
una valenza prettamente militare. Comprendere le funzioni dei limiti e delle frontiere significa
individuare i tipi molteplici di relazioni generate dalla prossimità in quanto limiti e frontiere
giustappongono territori che hanno al loro interno visibili differenze, ma anche chiare necessità
e tradizioni comuni legate allo stesso territorio. Il limite esprime la diversità strutturale e le
distanze sociali o appartenenza linguistica tra gruppi che occupano luoghi vicini ma ben distinti,
che esercitano il loro dominio su porzioni di territorio separate, ma più spesso segnano lo spazio
consueto in cui una comunità vive. I segni della separazione, come i cippi romani dedicati di
solito a Terminus, divinità minore, diventano anche fattori di protezione, difesa magica dei
luoghi. In quanto soggetti a spostamenti, limiti, confini e frontiere sono modi di separazione
sempre intenzionali e servono ad instaurare un ordine che non è solo di natura spaziale ma anche
temporale. Il geografo svizzero Claude Raffestin osserva, molto opportunamente, che ognuno di
essi ha una propria storia che può esprimersi in un prima e in un dopo. Nel caso in esame in
primo luogo, bisogna osservare che i confini tradizionali che delimitano i pascoli di pertinenza

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dei comuni di Montmeillan e di La Thuile o dei privati proprietari della Tarentaise e della Valle
d’Aosta sono stati perlopiù determinati da elementari ragioni di possesso e sono identici a quelli
che regolano i rapporti fra comunità poste sullo stesso versante e in qualsiasi vallata. Le modalità
di uso dei pascoli e, in generale, del territorio da parte delle comunità agropastorali locali
derivano da esigenze di vita non compatibili con le ragioni politiche sostenute a partire dal XVIII
secolo, tanto in Francia quanto in Piemonte, da monarchie accentratrici e autoritarie che,
piegarono ai loro interessi e desideri egemoni i diritti ancestrali a i particolarismi locali.
(Sibilla,1995)
Le ragioni delle autorità che storicamente imposero i confini non tenevano conto di quelle
concrete di coloro che si trovavano a convivere con le conseguenze di tali divisioni. La civiltà
alpestre prima di subire gli effetti delle forze accentratrici di Roma , Parigi e Torino aveva una
chiara matrice comune sulle due pendici delle Alpi centro - occidentali. L’omogeneità riguardava
il piano economico, linguistico e culturale e derivava dall'intensità e lunga durata delle relazioni
e degli scambi fra le regioni alpine. Insieme ai beni, agli uomini, agli armenti e alle derrate si
trasferivano e spostavano pensieri, idee, valori morali, modelli di arte e cultura, abitudini e
legami.
Come abbiamo visto, la mobilità era un fenomeno diffuso che lasciava tracce importanti nelle
lingue. Nella toponomastica e nell’onomastica. M. Hudry, nel suo Essai sur les rapports culturels
entre la Savoie et le Val d’Aoste ( bulletin de la société académique du Duché d’Aoste 1964 p.p.
313- 324), sottolinea la comunanza dei patois dei due versanti valdostano e savoiardo, che hanno
una comune origine franco-provenzale, e che erano sostanzialmente uguali prima di essere
contaminati dal francese da un lato e dall’italiano dall’altra parte. Egli annota le similitudini tra
nomi dei luoghi e di famiglia evidenziando come spesso sia difficile stabilire se si tratti di
famiglie immigrate o autoctone. Nelle comunità transalpine non è difficile incontrare famiglie
che vantano origini valdostane e, viceversa, molti nuclei famigliari valdostani, discendono da
famiglie del delfinato o della Savoia, e non poche hanno origini miste. Esclusi eventi straordinari
legati a particolari momenti storici, come gli eventi bellici o i cordoni sanitari, il valico del
Piccolo San Bernardo assolse un insostituibile funzione di collegamento tra Torino, Aosta e
Chambery fino al 1860, quando creandosi una frontiera politica, Chambéry cessò di essere
capitale di una provincia degli Stati Sardi. Questo, in primo luogo, ridusse la libertà di movimento
e servì ad esaltare le differenze fra le popolazioni degli opposti versanti, determinando per il
valico uno scadimento di importanza. I passi occidentali continuarono ad essere utilizzati, anche
se con difficoltà prima sconosciute dagli allevatori, dai commercianti locali e dai migranti. A
partire dal XVIII secolo fino al 1860 erano già stati tracciati dei confini, che subirono negli anni
innumerevoli modifiche e rettifiche, ma essi servivano più che altro a distinguere un al di là e al

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di qua dei monti e soprattutto per stabilire l’uso dei pascoli di monte, i diritti delle prospezioni
minerarie e la pertinenza dei singoli comuni sulle nascenti attività estrattive. Erano confini tra
comunità appartenenti al dominio sabaudo e non incidevano sulla mobilità delle persone o delle
merci. Essi diventavano invalicabili solo in casi di estrema necessità, come quelle di difesa o per
stabilire cordoni sanitari per evitare il diffondersi delle epidemie. Le popolazioni locali potevano
seguire le regole delle autorità locali senza perdere la loro autonomia.
La vicinanza culturale veniva espressa nelle occasioni di feste condivise. La festa dell’Assunta47
è un esempio di queste occasioni, oltre ad essere un esempio formidabile di sincretismo religioso.
Per secoli fu ed è, ancora oggi, l’occasione annuale di incontro tra valdostani e savoiardi. Dopo
la messa solenne al mattino, proseguiva nel pomeriggio e alla sera che era dedicata a cibo e
libagioni, nelle varie cantine- rifugio ubicate sui due versanti del colle. Fin dal mattino del 15
agosto una colonna di persone si incamminava con lo zaino in spalle lungo il vecchio tracciato
della strada romana. Adulti e bambini forniti di provviste e merce di scambio, si recavano sul
luogo delle cerimonie festive, il luogo dove veniva sancita la fratellanza, il senso di comunità
allargata e lo stretto rapporto di interdipendenza fra le popolazioni dei due versanti. nel cuore
della mattinata, vicino all’Ospizio, oppure nella sua cappella, veniva celebrata la messa, dal
rettore, nella lingua comune, il francese. La predica veniva dedicata in special modo ai pastori e
alla loro formazione religiosa. Poi la giornata passava all’insegna dello scambio e dell’incontro.
Questa era l’occasione di incontro per persone che magari si vedevano solo una volta l’anno, o
l’occasione per incontrare parenti e amici trasferiti in Savoia, per motivi affettivi o lavorativi,
erano infatti molti i matrimoni misti tra i due versanti. Questa giornata era attesa con ansia, si
preparavano con cura le vettovaglie da condividere con la famiglia e con gli amici seduti sui prati
del colle, o se il tempo era brutto all’interno dell’Ospizio che per quel giorno era sede aperta alle
visite. Le donne savoiarde e Tchouillens spesso si vestivano con i costumi tradizionali per dare
una nota di tradizionalità. Le fisarmoniche e le armoniche a bocca animavano la festa che
conducevano ad una serata che si concludeva con canti e balli.
Questa festa può di buon diritto essere considerata un fatto sociale totale perché contribuisce a
rifondare una comunità allargata, riallaccia i legami affettivi, stabilisce contatti commerciali e di
scambio, mescola azioni sacre con riti profani in un luogo altamente simbolico per la religione
cristiana e per le reminiscenze della religione arcaica di cui i due popoli condividono l’eredità.
La festa già dalla fine del secolo scorso era un’importante occasione di scambio e commercio del

47
La festa mariana per eccellenza, il compleanno di Maria divenuto dogma di fede da Papa Pio XII nel 1950, era a
la Thuile una festa molto poco religiosa e molto profana. La festa era solenne , ma non sacra. i testimoni che la
raccontano ne descrivono pochi aspetti religiosi e lo scenario della giornata non è la parrocchia di La Thuile.
D’altronde anche da un punto di vista più ampio la festa mariana si inseriva su riti precristiani. Nel vicino oriente
veniva infatti festeggiata una Grande Madre, patrona della fertilità e del lavoro nei campi.

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bestiame che per molto tempo fu il ramo più fiorente dell’economia di La Thuile. Oltre a questo
importante commercio fermato poi dal protezionismo francese e dal nazionalismo fascista, lungo
il colle si stabilivano bancarelle che esponevano i prodotti locali dei due versanti. In realtà il
mercato era sbilanciato a sfavore dei valdostani che compravano molti prodotti savoiardi, erano
famosi i boccali e i vasi per il burro fuso, il vasellame di produzione savoiarda abbelliva tutte le
case di La Thuile con pezzi orgogliosamente acquistati in quel frangente. Le giovani in odore di
matrimonio compravano capi di vestiario per abbellire il vestito delle nozze. Le donne
compravano per la dispensa caffè, zucchero, estratto di menta, beni che in Francia pare costassero
meno, i bambini approfittavano della festa per mangiare dolci che non vedevano mai nel resto
dell’anno e gli uomini facevano scorte di chiodi a testa grossa per guarnire le porte e le grosse
serrature per i fienili. Inoltre era pregiato il mercato dei campanacci da mettere al collo delle
mucche, i carà Chamonì “che hanno un suono bello particolare a seconda della grandezza che
va dal doppio zero al dodici e si tramandano di padre in figlio come preziosi patrimoni di
famiglia”.
I savoiardi compravano vini, liquori Vermouth e scarpe. Gli abitanti di La Thuile erano avvezzi
ai commerci con la Savoia, nelle loro case era normale trovare oggetti per la casa , attrezzi da
lavoro francesi più che valdostane. Era inoltre più frequentata la fiera di Bourg Saint Maurice
che non quella di Sant’Orso ad Aosta. I testimoni non ricordano le ragioni per cui era più comune
frequentare Bourg Saint Maurice anziché Aosta, la distanza era maggiore, anche se sul versante
italiano a Prè Saint Didier non c’era nulla solo a Morgex c’era qualche ufficio in cui si pagavano
le tasse. Se gli acquisti erano numerosi e si rischiava di attirare l’attenzione dei doganieri48 le
nonne nascondevano i pacchi sotto gli ampi scialli o sotto le lunghe gonne appendendo
bottigliette e sacchetti alla vita.
Con l’avvento della seconda guerra mondiale e lo scontro fratricida fra savoiardi e valdostani
ovviamente la festa per anni fu interrotta. I pregiudizi e i ricordi provocarono una scia di difficoltà
relazionali che perdurò nel tempo. Lo spirito di fratellanza però non era sopito del tutto e col
passare del tempo riaffiorò, Dopo qualche anno, la festa tornò, la prima domenica dopo la festa
dell’Assunta. La festa prese il nome e le caratteristiche della Fête des bergers, che prima era
nettamente separata da quella dell’Assunzione ed era una festa che si svolgeva sempre all’ospizio
con la messa e la benedizione degli armenti e dei pastori da parte del rettore dell’ospizio. Dal
dopoguerra le due feste si fusero una con l’altra e si arricchirono della bataille des reines, i

48
dai racconti risulta chiaro che la frontiera quel giorno era libera da controlli severi, a meno di non attirare
l’attenzione dei doganieri con comportamenti eccessivi. Io stessa ricordo che scorrazzavano correndo su tutta
l’ampia valle per ore facendo capolino per cercare qualcosa da mangiare dove sedevano gli adulti, senza mai
essere sorvegliati o fermati.

47
combattimenti tra le regine, cioè fra le mucche più aggressive dei diversi alpeggi. Questo
combattimento prima della Seconda Guerra Mondiale avveniva già in una località più a valle.
Nel dopoguerra questo combattimento informale venne trasferito al Piccolo San Bernardo e dagli
anni settanta prevede anche l’assegnazione di un trofeo alla mucca vincitrice. La competizione
venne inserita in un campionato valdostano che dal 1947 dà vita a 165 prove eliminatorie
primaverili e autunnali per concludersi con il combattimento finale ad Aosta, in uno stadio
costruito appositamente, in cui viene eletta la reina, la regina. Questo combattimento, compreso
nelle tradizioni valdostane, ha ritualizzato il comportamento normale delle mucche negli alpeggi,
dove combattono tra loro in modo naturale per stabilire una gerarchia.49Negli ultimi anni la
battaglia ha preso un connotato folkloristico che attrae anche i turisti ed è diventata la parte
centrale della festa. Oggi le persone salgono al colle, dove la messa è diventata bilingue ed è
animata dai gruppi di cantori di entrambe le parti. Seguono le esibizioni dei balletti e delle corali
savoiarde e valdostane. Poi a gruppetti di amici e parenti la gente si sparpaglia a fare il pic nic
nei prati del colle e approfitta della Buvette e dei banconi al servizio di tutti. Banchetti di
entrambe le valli, ma soprattutto francesi, animano i bordi della strada mentre la bataille anima
la festa. Dall’agosto 1995 i comitati di entrambi i versanti hanno deciso di ampliare e arricchire
le offerte commerciali culturali e folkloristiche che iniziano anche nel giorno precedente. Dei
bergers non è rimasto molto, ma la festa porta avanti quella che è la sua naturale connotazione e
cioè la condivisione e lo scambio tra i due opposti versanti. Al centro di tutto vi è, dopo qualche
anno di abbandono, di nuovo l’ospizio, rinato come ostello e luogo di incontri culturali grazie a
progetti europei e transfrontalieri a dare la definitiva conferma di ciò che con questo scritto si va
sostenendo , e cioè che il colle del Piccolo San Bernardo è un luogo di scambio e condivisione e
non di chiusura e divisione.50( Granier, Cane, 1995-1996; …Et Voilà La Thuile)
Il confine e il colle sono “la linea immaginaria tra due nazioni”... che però hanno un comune
immaginario.

49
A titolo puramente informativo e a chiarimento dei toni seri e violenti della Bataille, tengo a precisare che le
battaglie in questione, già prese in seria considerazione da gruppi animalisti per verificare lo stato di
maltrattamento per gli animali, mettono in evidenza un rapporto simbiotico e affettuoso seppur in rude stile
montano, degli allevatori nei confronti dei suoi animali, che rappresentano per loro una fonte di orgoglio oltre che
un grande valore commerciale. Avere nella propria mandria una Reina infatti, porta grande prestigio alla propria
mandria, aiutando a far conoscere il nome della stalla e dell’allevatore. Se sicuramente vi è una forzatura
dell’atteggiamento naturale degli animali, e se i metodi possono talvolta essere bruschi è difficile poter parlare di
maltrattamento. Inoltre le mucche in questione passano solo i mesi strettamente necessari a causa della stagione
fredda nelle stalle, mentre passano i restanti mesi a pascolare libere negli alpeggi, mangiando fieni diversi con
nutrienti diversi, che consente loro una dieta naturale e equilibrata. Sono la prima a non amare la battaglia, in
quanto animalista convinta, ma se dai titoloni che la inneggiano chi non la conosce può immaginare una sorta di
Corrida, ne è ben lungi. Siamo più vicini ad una sacralità della mucca che non a un suo maltrattamento ed è
corretto chiarirlo.
50
come già sostenuto prima di me da Monica Granier nella sua tesi di laurea.

48
1860

L’avvento dell'unità territoriale Italiana sotto il regno d’Italia, contribuì a creare ed esaltare valori
patriottici, ma anche a far nascere particolarismi e diversità. Quindi alcuni limiti che in
precedenza svolgevano funzioni regolative prevalentemente locali, diventarono barriere rigide,
in grado di condizionare la mobilità con un’efficacia prima sconosciuta. Un primo esempio
dell’influenza negativa dei confini lo possiamo trovare nel racconto di una processione che si
verificava al lago Verney quando si rendeva necessario chiedere a dio la grazia della pioggia.
Quando la siccità minacciava di rovinare i raccolti, il priore o il curato di Seez ordinava la
processione al lago Verney. Una tradizione cristiana antichissima voleva che, per scongiurare la
calamità, si andasse processionalmente a immergere la grande croce nelle acque di questo lago,
situato sul versante italiano del colle del Piccolo San Bernardo, nel territorio del comune di La
Thuile d’Aosta. Generalmente, per aumentare i propri meriti, i fedeli compivano questo lungo e
faticoso pellegrinaggio a piedi nudi. E il tragitto in queste condizioni, dalla chiesa fino al lago e
ritorno, non era una passeggiata.[...] Le relazioni di buon vicinato intrattenute da sempre fra gli
abitanti dei due comuni vicini, Seez e La Thuile, autorizzavano i nostri parrocchiani a superare
senza inconvenienti i limiti comunali e provinciali. La processione contro la siccità ebbe ancora
luogo nel 1923. Questa era giunta senza impedimenti, anche se con fatica, all’Ospizio del Piccolo
San Bernardo quando - incredibilmente- le autorità italiane pretesero di impedire di andare oltre
con il pretesto che, al di là del colle, si tenessero delle manovre militari. Colui che portava la
croce, un uomo di oltre cinquant’anni, all’inizio tentò di parlamentare con i Carabinieri, facendo
appello alla tradizione, allo scopo religioso, al corteo pacifico, non ci fu nulla da fare. Il
brav’uomo cominciò a spazientirsi, quando alla fine le guardie di frontiera consentirono di
concedere il passaggio, ma solo a qualche persona, il resto del corteo processionale doveva
attendere alla frontiera il ritorno della delegazione.
Il gesto tradizionale e le preghiere rituali ebbero luogo in presenza di sei o otto partecipanti. Ma
ritornando verso l’ospizio, l’iracondo portatore della croce mormorò, all’indirizzo dei
Carabinieri, alcune parole che egli non aveva certamente ricavato dal suo messale. Senza alcun
dubbio dio ebbe a perdonarlo perché la pioggia venne all'indomani a ricompensare la sua
insistenza.
Questa fu l’ultima processione al lago Verney. (Favre in freppaz, ivi, pp. 86-87).
Questa processione rappresenta l’ancoraggio che le tradizioni avevano con il territorio, e al modo
performativo in cui tentavano di dare risposte a problemi di ordine pratico. Si trattava inoltre di
un ennesimo esempio in cui le tradizioni cristiane si erano sovrapposte alle ancor vive tradizioni
celtiche. I celti infatti veneravano le acque, che consideravano portatrici di vita, salute e
abbondanza e a cui facevano regolarmente sacrifici o dedicavano feste.
Anche la festa del 15 agosto subì un brusco arresto a inizio secolo, prima, i francesi smisero di
commerciare molti beni a causa di una politica protezionista volta a difendere gli interessi delle
colonie francesi e dei loro allevamenti, poi negli anni ‘20 dal fascismo51.

51
Fermata la festa, venne comunque trovato il modo di incontrarsi, tra il 10 e il 18 Agosto i proprietari delle
mandrie e i famigliari dei pastori si recavano in visita agli alpeggi portando ai giovani pastori cibi freschi e buoni,
un po’ di caffè magari, come racconta ancora qualcuno con gli occhi che brillano al pensiero, e un po’ di
compagnia, di gioia e qualche ora diversa da quelle di monotonia e solitudine da alpeggio.

49
Ai primi dell’800 pare che il confine del Piccolo fosse scarsamente sorvegliato e nei casi in cui
erano necessari controlli più rigidi, erano le stesse comunità locali a doversi attivare e
organizzare, dopo aver avuto il permesso da parte delle autorità, per esempio per la necessità di
istituire controlli per tutelare la salute delle persone e degli armenti e ostacolare la diffusione di
malattie epidemiche a salvaguardia del patrimonio zootecnico. Un primo caso conosciuto
avvenne nel 1715 quando una malattia contagiosa per animali e uomini si diffuse in tutta l’alta
Savoia. Il comune di La Thuile chiese al governo Sardo di poter mettere dei blocchi all’altezza
dell’ospizio per impedire il passaggio di animali e uomini dal versante francese. Negli otto anni
in cui il confine rimase chiuso i pastori di La Thuile si appropriarono di quelli che erano i pascoli
francesi e quando, al termine dell’epidemia, questi vollero poter tornare a pascolare nei loro prati
i Tchouilliens li cacciarono con la forza. ( B. Janin, Chanousia. Le jardin alpin du Petit- saint
Bernard, Aoste, Musumeci, 1978, p. 101).
La chiusura dei confini per creare cordoni sanitari non era rara in passato. Nel 1720 vennero
istituiti dei controlli e costruiti appositi edifici e ricoveri di quarantena, non solo sui Grands
Chemins, ma anche in corrispondenza dei numerosi itinerari secondari verso il Delfinato. ( G.
Gasca Queirazza, Passaggi nelle Alpi occidentali cit. ,pp 98-103).
Una situazione molto seria venne a crearsi dopo il 1860, quando in seguito al trattato di
annessione della Savoia alla Francia, si rese necessaria una nuova e più rigida delimitazione della
frontiera. Questo intervento sul territorio ebbe molte implicazioni politiche, sociali ed
economiche molto serie visto che precedentemente il limite poteva essere comunale o
dipartimentale. In seguito all’annessione, Napoleone III, si prodigò per protrarre il confine
italiano fino ad includere l’ospizio e le sue dipendenze. Dopo che vennero stabiliti i confini, nel
1861 nel 1862 vennero posti dei cippi su 13 colli partendo dal col de la Seigne per scendere al
colle del Piccolo San Bernardo al Col du Mont e passando dal colle del Grand Mont Cenis au col
de la Vallée Étroite. Nel tracciarli fu tenuto conto di dati scientifici, ma non dell’uomo.
Il comune di La Thuile, diventato italiano con il trattato di Torino del 24 marzo 1860, conservava
i suoi diritti di alpeggio sul territorio del comune savoiardo di Montvalezan che era diventato
francese. Secondo Paul Guichonnet, la frontiera ha disarticolato lo spazio alpino, nel momento
in cui il tracciato del confine diventa una linea morta superabile solo a certe condizioni e
interdetta al traffico non controllato, le comunità retrostanti che gravitano sulla frontiera, tendono
a diventare spazio di accumulazione umana, che si vorrebbe sempre più integrato agli stati
nazionali. Un simile ammassamento è dato dalla presenza di militari, doganieri, funzionari e di
altri soggetti provenienti dall’esterno comunque interessati alle attività legate alla frontiera (
Guichonnet, 1992, p.25)

50
Nel 1861 - 1862 furono edificati, a sostegno del nuovo confine, stazioni di controllo e corpi di
guardia e un ufficio di verifiche doganali nel centro abitato di La Thuile, dotato di personale che
faceva valere le norme in materie fiscali. Vennero imposte regole prima inesistenti, alla mobilità
e ai traffici, con una pesante ricaduta sulla popolazione e sull’economia. Ne fu colpito il libero
accesso da parte degli allevatori agli alpeggi situati in territorio francese, ma anche i traffici,
garantiti da una cospicua presenza di someggiatori che assicuravano i collegamenti estivi e in
altre stagioni, quando il valico risultava transitabile seppure con difficoltà.
Nel 1864 il consiglio comunale di La Thuile chiese, attraverso la prefettura, al governo centrale
di intervenire in aiuto dai suoi paesani che avevano l’abitudine di recarsi al mercato del sabato a
Bourg Saint Maurice e che, con l’istituzione del confine, erano obbligati a rientrare a La Thuile
per dichiarare le merci al nuovo ufficio doganale nella giornata stessa del rientro. Questo era per
loro un grosso danno perché il cammino prevedeva 7 ore di viaggio quando era bel tempo e il
doppio quando era brutto. Erano soliti partire la notte del venerdì, ripartire verso il Piccolo il
sabato e fermarsi lì nelle baite, alla casa cantoniera delle Eaux Rousses o all’ospizio, per rientrare
la domenica mattina. Venne chiesto che potessero fermarsi al Piccolo per poter continuare i loro
soliti commerci, potendo dichiarare i beni al loro arrivo. Diversamente avrebbero dovuto
commettere una irregolarità, essendo impossibile rispettare tale disposizione. (Sibilla,1995)
La nascita del nuovo confine portò alla concentrazione di reparti addestrati per operare in
montagna nelle località più vicine al confine. Nacquero il corpo degli Alpini in Italia nel 187252
e gli Chasseurs des Alpes sette anni dopo, in Francia. La presenza degli Alpini, non fu subito
vista di buon occhio dalla popolazione di La Thuile che, troppe volte, era stata vittima di
occupazione, ma ben presto il modo di rapportarsi con loro, da parte degli Alpini, tranquillizzò
la popolazione, come vedremo più nel dettaglio nella parte sullo sviluppo turistico dello sci di
cui gli Alpini furono una pedina importante. Lungo il confine sorsero numerose fortificazioni e
dispositivi di difesa. La militarizzazione portò ad un progressivo allentamento dei rapporti di
amicizia e scambio tra i due versanti. I contrasti militari divennero poi economici e culturali e
negli anni novanta dell’800 si raggiunse il punto più basso di quelle relazioni, con quella che
Guichonnet definì “una delle battaglie doganali più violente della storia economica
contemporanea”. ( Guichonnet, 1986, p. 304).

52
Alla fine del 1800 il Regno d’Italia tenta di costruire un suo esercito. Il capitano Perrucchetti spinge per
costituire delle compagnie di soldati formati da gente di montagna per presidiare le montagne. Il generale Pianelli
non condivide l’idea, teme che la vicinanza a casa possa portare a facili defezioni e dell'indisciplina. Il legame con
la terra da difendere invece sembrò funzionare (gen. R. Stella dalla mostra La Thuile. Paese di frontiera, terra di
alpini). La tradizione venne mantenuta in Valle d’aosta fino all’abolizione della leva obbligatoria nel 2004. i
giovani valdostani entravano nel corpo degli Alpini, a meno che non fossero loro a chiedere diversamente.

51
La guerra dapprima culturale, poi fisica.

Durante la guerra, negli anni 40 - 41’ abitavamo ancora a Pont Serrand, i tedeschi occupavano la
nostra casa, come molte altre in paese, il ponte era stato minato per farlo saltare in caso di
necessità, sono ancora visibili i buchi in cui era inserito l’esplosivo. I tedeschi tornando indietro
la sera, da ubriachi, sparavano per divertimento, nel mio fienile è ancora visibile il buco di un
proiettile. A mio zio F., che era malato, tolsero persino il materasso per portarselo via.[...] Alla
prima fontana della frazione era anche caduta una granata che si era frammentata in molti pezzi…
fortunata che non ferirono nessuno. In paese non ci furono morti o feriti per le scorribande dei
tedeschi, ma fu solo per puro caso e fortuna.
Nella casermetta c’erano gli alpini che custodivano il ponte, poi c’era la caserma al Piccolo San
Bernardo vicino all’ingresso della Chanousia.
R. G. era la maestra, solo loro avevano la radio in casa ,era un superlusso, gli anziani si
ritrovavano alla sera alle 20:30 per ascoltare insieme l’andamento della guerra.
Nella frazione la nostra casa era circondata, la prima casa era vuota perché i proprietari erano di
Sarre, era occupata dagli alpini, in casa nostra c’erano i tedeschi nelle stanze, la casa era grande,
noi stavamo al piano di sotto con gli animali vicini per scaldarci, in estate stanno di sopra. [...]
Per andare a dormire dovevamo passare davanti alle due stanze dei tedeschi, tutti li avevano in
casa, nella mia famiglia eravamo 5, avevamo 5- 6 tedeschi in casa, che erano molto educati e
avevano il loro cibo, (ricorda sorridendo che il loro pane sembrava un mattone), stavano vicino
alla cucina.
Parcheggiavano le loro auto nel piazzale [...] una volta il capo aveva lì un pulmino pieno di
giocattoli, [...] a me regalò una bambola e a mio fratello grande un fucile giocattolo e i modellini
dei loro aerei al fratello più piccolo, io avevo dieci anni circa loro erano più piccoli.
Nel 40 fummo sfollati, per tenerci al sicuro, visto che eravamo occupati, il Comune aveva
trovato una sistemazione nel canavesano, noi però siamo andati a Introd da dei conoscenti che
tenevano le baite della mamma e della zia la famiglia Buillet. [...] Papà essendo censito come
lavoratore della miniera fu costretto a rimanere a La Thuile. Chi non era nelle liste della miniera
fu portato via per metterli in salvo e fece ritorno a casa quando fu ripreso il colle delle
Traversette. Chi restava per lavorare nella miniera aveva tutti i giorni una parola d’ordine
diversa per potersi muovere nel paese per andare al lavoro.
Quando finì la guerra i tedeschi in ritirata gettarono le armi dal ponte e la mia famiglia gli diede
dei vestiti con cui poterono provare a scappare.[...] erano persone…
I partigiani si rifugiarono prima sul Rutor e poi in Francia, vivevano alla giornata.
Gli alpini erano dietro a Pont Serrand.[...]
Un signore della Balme (di cui non ricorda con certezza l’identità) era stato pestato a sangue dai
fascisti, (mentre lo racconta si commuove, è molto toccata).
Il paese all’epoca era tutto abitato, le frazioni dove adesso non c’è nessuno (oggi a bassa densità
di popolazione) come Pont Serrand e la Balme erano interamente abitate, c’erano scuole in ogni
villaggio[...] finivamo gli ultimi anni delle elementari nella scuola del capoluogo.

dei tedeschi ricordo[...] quando sono arrivati il nostro cane abbaiava e loro hanno minacciato di
morte il cane[...]Sono stato Balilla con il duce in visita. I tedeschi erano gentili e mai violenti con
i Tchouillens i fascisti invece lo erano. Erano cattivi [...] C. il nonno di M. era il mio migliore
amico [...]e ha rubato il pane a un tedesco al Thovex …c’era un bar lì, i tedeschi lasciano fuori
gli sci, io scappo e C. corre veloce come non mai, lo beccano, ma riesce a scappare.

52
mia nonna mi ha raccontato infinite volte che durante la guerra lei aveva i tedeschi in casa e i
partigiani nella soffitta della stessa casa[...]era normale, tutti li avevamo in casa[...] ha fatto la
staffetta per loro almeno una volta, di ritorno da Aosta aveva un messaggio da consegnare[...]
insieme a lei nel viaggio di ritorno c’erano dei tedeschi, aveva molta paura di essere scoperta[...]
i tedeschi in casa si comportavano bene, non davano fastidio[...] uno di loro era molto giovane.
Le mostrava sulla mappa dove abitava, nella foresta nera[...]e piangeva[...] voleva tornare a casa
dalla sua sorellina[...]

Al col del Traverset c’era il cannone che colpiva il Mont du Parc e Arpy era un cannone[...]

La prima linea era vissuta con difficoltà , ma senza gravi danni[...] alcuni episodi di tensione sì ci
sono stati, come quando la signora P. sorella di L.G. era morta e mentre noi ci recavamo a portare
l’ultimo saluto, i tedeschi sparavano all'impazzata coi cannoni.
[...] i bambini andavano a volte a rubare la polvere da sparo che era nera o marrone in piccoli
blocchetti grossi come un unghia..

[...] la bambina che abita vicino a me è fragile di salute[...] questa mattina mi hanno detto che è
morta[...]mi sono svegliato e ho sentito delle voci parlare in una strana lingua, che strano la
famiglia di V. è andata via dopo la sua morte.. la casa è vuota[...] mi dissero che ora lì stavano i
tedeschi..

Dopo i Vespri mi reco al Villaret[...] per ritirare un pacco. C’è una violenta tormenta[...] Arrivano
grappoli di colpi dalla Francia, i sibili si rincorrono. I fischi delle bombe mi gelano l’anima[...]
Stordito dalla tormenta e dalle granate[...] perde il suo pacco[...] riesco tra le bombe a tornare a
casa, gli altri sono nella cantina rifugio[...] avviso che c’era un’altra persona sotto le bombe in
mezzo alla tormenta[...]

Abbiamo portato avanti come alpini[...]vuoi sapere dei due fucilati[...]un po’ di foto[...]della
fucilazione davanti alla scuola di sci, accennata da un altra testimone, non sa niente, non è stata
una fucilazione, è morto durante un bombardamento, non era di La Thuile, era un alpino[...]questa
storia qui dei due fucilati, c’è ancora un cippo che li ricorda al campeggio, il gruppo alpini di La
Thuile si è adoperato per recuperare la storia di questi due ragazzi. Uno di Milano e uno di Biella,
uno era Primo Garizio, i parenti sono venuti a cercarlo, per recuperare le spoglie, la mamma e la
sorella, è stato riesumato e portato via. Cosa è successo[...]allora quando c’è stato l’8 settembre e
quindi lo sbandamento, questi si sono vestiti da borghesi per andare a casa. Quando son voluti
passare dal San Carlo, uno di loro camminando di notte sul sentiero che va Morgex è caduto e
si è fatto male, l’amico è rimasto con lui, il gruppetto con cui scappavano è andato via, zoppicando
sono arrivati fino a Morgex, ma a Morgex purtroppo in pieno giorno, si sono fatti prendere da una
pattuglia[...]allora han dovuto dire siamo due alpini..siccome erano di stanza a La Thuile li hanno
riportati su, il giorno dopo li hanno processati e condannati a morte, sono stati fucilati[...] abbiamo
fatto la targa ricordo, in sede ce l’abbiamo, con un a piccola dedica contro la guerra[...] il 16
Aprile. Se avessero aspettato, li avessero tenuti…il 25 Aprile sarebbe tutto finito e si sarebbero
salvati, invece hanno fatto subito il processo lì nell’ufficio, poi gli han fatto attraversare il
ponticello e sotto li hanno fucilati, non c’è stata la possibilità di salvarli, dell’intervento del
parroco, di nessuno sai allora i fascisti… sono stati i fascisti a prenderli, si sono sentiti traditi i
veri fascistoni, hanno voluto dare un segnale.. noi non scherziamo, sarebbe bastato dire
mettiamoli in prigione, uno aveva 21 anni e l’altro di 19 anni. La foto me l’ha mandata il parroco
di Biella che voleva sapere se c’era qualcosa di più su quel ragazzo. Il cippo è stato costruito
subito dopo, lo hanno fatto gli operai della Cogne. C’era stata la sciolta, parole di mio papà,

53
quando li hanno portati sotto, erano quasi davanti all’imbocco della galleria, e qualcuno era
all'imbocco e gli hanno detto di scappare di entrare, loro avevano le manette, sono rimasti
titubanti, se fossero entrati gli operai li avrebbero nascosti, invece loro sono rimasti lì, poi gli
operai stessi hanno voluto ricordarli.

Dopo una breve pausa durante la I Guerra Mondiale, che non toccò il confine valdostano, le
politiche confinarie si inasprirono nuovamente con l’arrivo del fascismo. Il regime esacerbò
l’ideologia, diffusa in molti paesi, che sosteneva il principio dell’intangibilità e della sacralità
delle frontiere a sostegno di un’azione politica che puntava sul nazionalismo.
Dal 1923 in Valle d’Aosta iniziò una pesante campagna contro le radici linguistiche francofone,
che iniziò con la chiusura di oltre 100 scuole delle comunità di montagna. Fin dalla presa del
potere, i fascisti si adoperano per minare le basi del retaggio storico delle terre di confine.
L'intervento più importante e irrazionale fu quello di rinominare i paesi valdostani e altoatesini
con nomi italianizzati, seguendo il prontuario scritto dal geografo Ettore Tolomei nel 1916 e
approvato con Regio decreto nel 1923. La Thuile dopo secoli venne ribattezzata con un
altisonante Porta Littoria. Il progetto dello scambio dei nomi venne reso effettivo nel 1938, il
nome di Porta Littoria voleva sottolineare per La Thuile il ruolo di paese di confine, il luogo
dove iniziava l’estraneità. Furono 32 le comunità a cui venne cambiato nome e il processo incluse
tutta la Valdigne, essendo la prima linea. Il fascismo mirava in questo modo a indebolire la
cultura locale. Nel 1925, la Jeune Vallée d'Aoste promossa dall'abate Joseph Treves e da Emile
Chanoux53 si oppose alla promulgazione di una serie di provvedimenti legislativi atti a far
scomparire la lingua francese dagli atti ufficiali e dai registri dello stato civile in Valle d’Aosta.
Nel 1926 venne creata la provincia di Aosta che inglobò l’eporediese e numerosi comuni
canavesani, sempre allo scopo di italianizzarla.

53
Nato a Rovenaud in Valsavarenche, si laurea in legge a 21 anni con una tesi sulle minoranze etniche. Diviene
notaio ad Aosta. Nel 1925 insieme al suo professore di diritto, l’abbate Joseph- Marie Treves decide di
abbandonare la Ligue valdotaine, nata in difesa della lingua francese e dell’identità valdostana, ma troppo poco
incisiva nei confronti del fascismo. Essi fondano la Jeune Vallée d'Aoste. La Ligue chiuse nel 1926 e la nuova
organizzazione operò in clandestinità fino al 1933. Chanoux auspicava un futuro europeo basato sul federalismo
svizzero e su base etnica, questo avrebbe difeso l’Italia dall’irredentismo e portato in Europa una pace stabile e
duratura. Nel 1943 esplicita il suo pensiero autonomista ad un incontro con rappresentanti Valdesi a Chivasso
ponendo le basi della futura autonomia. Egli era critico nei confronti della monarchia , non perché fosse un
ostacolo al federalismo, ma perché aveva permesso al fascismo di salire al potere. Le teorie autonomiste di
Chanoux sono state e sono rivendicate da chi, nel tempo ha desiderato o ancora auspica l’annessione allo stato
francese, ma un testimone della Chiesa valdese, Giorgio Peyronel ha escluso che vi fossero in lui desideri di
separatismo. Lo stesso venne sostenuto dagli storici Passerin d’entreves e Chabod. Mentre M. Giovanna Andrè
Zanotto e Marc Lengereau sostengono la tentazione separatista di Chanoux. Nel 1941 Chanoux, convinto
antifascista, divenne l'anima autonomista della Resisatenza valdostana, fondando il clandestino Comité de
libération, con cui organizzò i primi partigiani, sul modello dei maquis francesi.Fu arrestato dalla polizia fascista,
torturato dalle SS e morì in carcere il 18 maggio 1944 38 anni. La municipalità dedicò alla sua memoria la piazza
principale di Aosta, già intestata a Carlo Alberto.

54
Nel 1937 lo Stato incominciò a vantare dei diritti sui pascoli situati in territorio italiano, di cui
si avvantaggiavano anche le comunità francesi di oltreconfine. Due anni dopo venne promulgato
un decreto che espropriava tutti i pascoli e i beni collettivi che gravitano sulle frontiere, compresa
quella del Piccolo San Bernardo, anche se i danni più gravi furono arrecati alle comunità del
Moncenisio.(Sibilla,1995)
Queste spinte nazionaliste, invasive della cultura alpina e francofona della Valle d’Aosta
influirono sulla formazione intellettuale e sull’azione resistente di Émile Chanoux, che cresce e
agisce in una Valle. Già segnata dalla Prima Guerra Mondiale e dall’affermazione del fascismo,
che mano a mano si trasforma in roccaforte avanzata per eventuali operazioni belliche oltre
confine: che inizieranno in effetti nel giugno 1940. Ma Chanoux stesso, nei suoi scritti, fa
chiaramente intendere che egli è solo il frutto di una storia ben più lunga e più grande, che in
qualche modo si ripete e dalla quale egli vuole uscire, auspicando che non vi siano più guerre in
un’Europa unita e che la Valle d’Aosta perda il suo ruolo militarmente strategico, che troppi
danni aveva già provocato nei secoli. L’esempio a cui ambisce è Svizzera, che ha scelto la
neutralità nel 1515 e si è concentrata sul suo sviluppo e sulla preservazione della sua libertà.
Il confine con i venti di guerra che si facevano sentire doveva essere meglio tutelato, ma l’Italia
non disponeva delle risorse economiche necessarie per realizzare strumenti difensivi fortificatori
degni della linea Maginot francese. Fu necessario ripiegare su piani difensivi più abbordabili e
venne quindi studiato e messo in opera un sistema difensivo che, basato su numerose piccole
strutture fortificate, integrasse le pochissime fortificazioni al momento presenti e realizzasse una
sicura copertura dei confini alpini. Le Truppe Alpine che già pattugliavano il terreno dovevano
essere potenziate. Per liberare dalla difesa statica le grandi unità operative rendendole
interamente disponibili e per avere comunque un presidio fisso al confine lo Stato Maggiore del
Regio Esercito sentì la necessità di creare un corpo speciale da destinare all’esclusivo controllo
dei confini nazionali, armando principalmente le strutture difensive che stavano sorgendo a ritmo
accelerato lungo la frontiera. Si voleva, quindi, con esso gestire in modo unitario la difesa della
frontiera. Il 24 maggio 1934, dopo lunghe discussioni e resistenze questo nuovo corpo prese vita,
col nome di Corpo di Frontiera, successivamente mutato in Guardia alla Frontiera, questo nuovo
corpo dell’Esercito fu ordinato, a differenza di quanto fino ad allora adottato, in settori54.
[...]in condizioni di vita durissime alle quali, a ben vedere, la guerra guerreggiata non avrebbe
aggiunto molto, in termini di asprezza della quotidianità, a parte, com’è ovvio, la condizione
bellica55.

54
era una forma organizzativa non utilizzata dall’Esercito italiano che venne appositamente creata in quanto aveva
una articolazione flessibile, non ancorata ai rigidi schematismi previsti per le altre armi dell’Esercito che si
articolano in strutture costanti e ripetitive: il reggimento era sempre di 3 battaglioni in tutti i reggimenti di Fanteria
dell’esercito, per esempio.
55
Non sembra casuale che appartenesse alla G.a.F. il primo caduto italiano della Seconda

55
La G.a.F. operò su tutti i confini, fu ad esempio la prima a respingere nel tarvisiano le colonne
tedesche e, successivamente, a combattere contro i tedeschi in Tarvisio stessa l’8 settembre 1943
Nata per la difesa dei confini dello Stato, la G.a.F. venne successivamente coinvolta in pressoché
tutte le avventure belliche italiane escluse solo la Russia e l’Africa Orientale, anche se per la
prima si cercò di coinvolgerla includendo i suoi sciatori fra i componenti del XX
Raggruppamento inizialmente destinati a quel teatro. Al di là della rilevanza per la difesa dei
confini e la tutela della sicurezza nazionale, la G.a.F. ha svolto altri ruoli che meritano di essere
ricordati. Primo fra tutti l’organizzazione del territorio secondo criteri razionali di funzionalità.
Allo scopo essa ha realizzato o completato e migliorato una rete imponente di comunicazioni,
ancor oggi oggetto di apprezzamento. In secondo luogo ha instaurato e consolidato nel tempo un
costruttivo rapporto umano e affettivo tra la popolazione locale e i militari non autoctoni,
aiutando la nascita della coscienza nazionale e creando la consapevolezza di appartenere alla
popolazione italiana. Essa non terminò il suo impiego con l’armistizio. Infatti, se molti subirono
la sorte degli internati militari italiani in Germania, altri passarono nelle file della resistenza
armata. Nel dopoguerra il trattato di pace concesse limitate forze armate all’Italia e fra queste un
esiguo numero di Guardie alla Frontiera destinate alla tutela dei nuovi confini italiani sia di
montagna che di pianura. Per quanto riguarda specificatamente la G.a.F. e la Valle d’Aosta si
deve osservare come non sia stata reperita traccia di una particolare organizzazione di copertura
della linea di confine in Valle prima del settembre 1934, ma si presume che essa possa essere
stata analoga a quella delle altre zone di confine ove le unità di fanteria dislocate in zona di
frontiera effettuavano saltuarie ricognizioni e presidi alle strutture confinarie dove esistenti. Ai
primi di giugno 1940 i settori vengono potenziati. Allo scoppio delle ostilità con la Francia, la
Guardia alla Frontiera passa alle dipendenze delle Grandi Unità. La costruzione di mezzi di difesa
varia negli anni a seconda dell’umore del Duce, il Vallo Alpino assumerà caratteristiche uniche
nella storia delle fortificazioni che si possono definire “difensive-offensive”. La facilità con cui
l’esercito tedesco aveva annientato la Linea Maginot, che si pensava essere assolutamente
inviolabile, provocò uno choc negli ambienti degli alti comandi che nel 1942 si interrogarono
angosciati sul futuro della guerra e sull’effettiva necessità, vista la cronica mancanza di materie
prime e di denaro, di continuare a costruire bunker. Il Vallo Alpino era ormai agonizzante. I
lavori, durante la stagione lavorativa 1943, proseguirono assai a rilento e, l’8 settembre, si
fermarono. Nel febbraio 1947, nell’articolo 47 del trattato di pace con la Francia, fu stabilita la
distruzione della linea difensiva. In realtà le loro condizioni erano descritte come invivibili e

Guerra Mondiale: il Sottotenente Beppe Nasetta, M.A.V.M, sacrificatosi al Colle


della Maddalena il 13 giugno 194

56
pessime già molto prima della conclusione della guerra, come si legge da una relazione che
chiede urgenti lavori di ripristino al Comandante di corpo d’armata di Torino nel 1940.
Le porte stagne dell’opera devono essere revisionate perché presentano difetti di chiusura. È
opportuna una revisione del gruppo elettrogeno specie per quanto riguarda la sistemazione dei
tubi di scarico dei motori a scoppio che sembrano tuttora difettosi (nello scorso maggio due soldati
rimasero asfissiati a causa dei gas di scarico all'interno dell’opera stessa). L’installazione degli
impianti di ventilazione ad oggi, non è ancora stata effettuata [...] Sono indispensabili lavori di
impermeabilizzazione in quanto nelle gallerie corre un vero ruscello. Le opere del caposaldo
Piccolo San Bernardo risultano in condizioni migliori e in discreta efficienza ma questa linea
difensiva viene dichiarata insufficiente con vari punti scoperti.
La relazione prosegue con l’elenco dei lavori stradali che si ritengono necessari per adeguare la
rete dei collegamenti. In particolare la richiesta era quella di adeguare le strade militari esistenti
trasformando le mulattiere in carreggiabili. Il progetto fu in parte approvato e a partire dalla
stagione lavorativa 1941 iniziò la ricostruzione del sistema difensivo della direttrice del Piccolo
San Bernardo. I lavori interessarono anche il Colle San Carlo, l’intero sbarramento di San
Desiderio Terme e lo sbarramento della vallata del Gran San Bernardo. Il regime ormai non si
fidava più di niente e nessuno, e anche il confine con la Svizzera venne fortificato.
Nel 1944 esercito tedesco incalzato dalle armate alleate per proteggersi nella ritirata portò con sé
28 persone, originarie di Moutiers e con essi il sacerdote, l’abate Muyard, arrivati in territorio
italiano i nazisti si sbarazzano dei loro ostaggi fucilandoli alle Terre noire, dove oggi un cippo e
una commemorazione annuale ricordano queste vittime. L’eccidio fu l’episodio più grave di
violenza in questa zona.
Nel 1944 le truppe tedesche scacciarono l’abate Camos e i suoi aiutanti e distrussero l'ospizio,
che negli anni 20 ospitava i migranti che si recavano a fare gli spazzacamini e viaggiavano a
piedi perché non avevano possibilità di pagarsi il trasporto pubblico.
All’indomani della liberazione, il 30 agosto 1945, la Direzione del Genio chiese alle varie Sezioni
un rendiconto sullo stato di conservazione delle opere militari alla frontiera. Ne risultò che quasi
tutti i manufatti erano stati spogliati di tutto ciò che vi era all’interno, sia dai partigiani, sia dai
montanari. Tutto il ferro presente era stato sradicato dalle strutture e asportato. Quel poco che
rimase fu recuperato dal Genio Militare. La situazione in Valle d’Aosta non era migliore rispetto
alle altre zone. Nel febbraio del 1947, quando le nazioni belligeranti si sedettero al tavolo della
pace, il Vallo Alpino era già distrutto. Ma i vincitori vollero raderlo completamente al suolo,
furono distrutte 629 costruzioni ed il portafoglio dello Stato si alleggerì di circa mezzo miliardo
di lire, mentre 348 opere passarono di proprietà francese insieme ai territori che il Trattato di
Pace del 1947 sottrasse all’Italia. Il governo francese, ma soprattutto quello americano vedeva il
Vallo Alpino già in un'ottica di guerra fredda fra le potenze occidentali e l’Unione Sovietica. In
un primo tempo lo Stato Maggiore Francese decise di distruggere tutte le opere italiane presenti

57
sul nuovo territorio francese, ma dopo una ricognizione si accorse che il numero degli ouvrages
italiani era altissimo e per di più sparpagliato lungo tutta la catena alpina occidentale, in posizioni
spesso difficili da raggiungere. Il lavoro di demolizione sarebbe stato lungo e oneroso, quindi
alla fine i transalpini decisero di disarmare completamente tutti i fortini ed abbandonarli alla
montagna. (seminari tra baita e bunker- Fondazione E. Chanoux 2020)
Alla fine della guerra, in base agli accordi del trattato di Parigi del febbraio 1947, quasi tutta la
parte occidentale del pianoro ritornò a far parte della Savoia. Il confine fu fissato a ridosso
dell'antica colonna di Joux, trascurando l’effettiva posizione dello spartiacque naturale e per
questo motivo l’anno seguente subì una rettifica che tagliò in due il cromlech e una parte ulteriore
dell’altipiano divenne francese. Durante la guerra fu praticamente spazzata via la Chanousia,
dove l'abate Chanoux aveva raccolto e coltivato più di 5000 specie vegetali. i carri armati
passarono sui sui muretti e le sue aiuole, i paracarri distrussero in parte le mansio romane.
Ma nell’immediato dopoguerra le persone ricominciarono a salire al colle, da entrambe le parti,
il 15 agosto anche se si trattava di gitarelle e visite ai giovani che prestano la guardia alle mandrie.
Poi i ritmi di vita tornarono quelli di sempre e le due comunità si trovarono d’accordo per
riprendere gli antichi rapporti e le consuetudini secolari, accomunate dallo stesso tipo di
economia che ora volge lo sguardo al turismo e da una storia che ora guardava all’Europa.
Due secoli e mezzo di decisioni politiche arbitrarie non tennero conto delle conseguenze sulle
popolazioni locali che si trovarono periodicamente interessate dai mutamenti territoriali e dalle
loro conseguenze. Ne conseguirono malumori e conflitti56. Se gli studi storici hanno preso
sempre in considerazione i fattori oggettivi, il modo in cui l’uomo usa lo spazio per realizzare i
suoi obiettivi, gli studi antropologici devono includere lo sguardo soggettivo, i fattori che si
trovano nelle lingue, nelle consuetudini, negli schemi normativi lasciando la loro impronta nella
storia delle generazioni e nei modelli costruiti in connessione con l’ambiente. Nell’esplorare il
campo ecologico-ambientale l’antropologia con un approccio multidimensionale, oltre ai fattori
strumentali, deve considerare quelli sentimentali e simbolici. Il fattore “sentimentale” collega il
singolo o la comunità all’ambiente con l'attaccamento che deriva dal senso di appartenenza che
dà valore a quel luogo, in base al significato che uno spazio nasconde per l’ individuo o per la
collettività nella quale si riconosce costituendo un valore che, a seconda dei casi, può essere
percepito e vissuto in termini estetici, morali e religiosi. Nei racconti possiamo vedere le
convergenze degli interessi e la condivisione delle immagini simboliche connesse al territorio
percepito come fattore comune alle popolazioni dei due versanti del Piccolo. (Sibilla,1995)

56
Nel 1948 più di 300 ettari di pascolo appartenenti al comune di La Thuile da lunga data, divennero francesi. Il
comune di Seez per contro in seguito ai trattati del 1725 si era visto precedentemente sottrarre 180 ettari di pascoli
inclusi nel ducato di Aosta.

58
La comunità di La Thuile ha subito, come abbiamo visto, negli anni, un numero incalcolabile di
invasioni e transiti militari, alternati a periodi di totale abbandono da parte delle autorità nel
momento in cui la necessità di presidiare il confine veniva meno. In questi periodi di quieto
abbandono, il paese riprendeva la sua normale veste di paese di montagna, dedito ad una vita
semplice improntata alla sopravvivenza. L’economia agropastorale non portava ricchezza e,
spesso, costringeva alle migrazioni almeno stagionali. I dati e le testimonianze infatti parlano più
di una migrazione stagionale appunto, che non di una migrazione stabile, anche se non mancano
i casi di trasferimenti definitivi.57La permanenza delle milizie, come è noto è un peso molto
gravoso sulla comunità. Poco conta se si tratti di nemici o amici, la permanenza delle truppe sul
territorio porta con sé il disagio di condividere le proprie strade, le case, il cibo e tutti i generi di
prima necessità con gli occupanti. Da sempre infatti la popolazione locale subisce, anche
economicamente, il peso della presenza delle milizie, dovendo provvedere all’alloggiamento e
lo stallaggio prima, e all’occupazione poi. Se negli ultimi conflitti poi l’occupazione è stata meno
dolorosa da un punto di vista dei crimini, il paese ha subito nei secoli le più gravi mortificazioni,
delitti e ladrocini.58 Questo può indubbiamente aver contribuito a plasmare quello che viene
ritenuto un carattere di chiusura da parte della comunità. Classicamente le comunità alpine sono
state considerate chiuse a causa del loro isolamento, ma qui sarebbe riduttivo e storicamente
sbagliato ritenere La Thuile una comunità chiusa e non tener conto che tale chiusura può essere
dettata anche da un bisogno di autodifesa. Si tratta sicuramente di una comunità diffidente verso
lo straniero, il nuovo arrivato, ma da sempre i nuovi arrivati seppur con pazienza e talvolta dolore,
sono entrati poi a far parte della comunità. Se da un lato la comunità etichetta lo straniero,
l’ultimo arrivato, dall’altro quando, attraverso il lavoro, le amicizie, il matrimonio e la
partecipazione alla vita di comunità, il soggetto acquista fiducia e dignità, viene assorbito al suo
interno e ne diviene parte integrante pur mantenendo le sue caratteristiche, apportando il suo

57
Solo nella mia famiglia, delle quattro sorelle di mia nonna, solo due rimasero a La Thuile e due si trasferirono:
una negli Stati Uniti, dove già c’era uno zio misterioso di cui non si seppe mai la fine, e una a Cortina.
58
I racconti drammatici dell’occupazione francese del 1793-94-95 sono così vivi e tramandati con così tanta
dovizia di particolari da sembrare molto più recenti. quando eravamo piccoli ci era stato raccontato di come i
Francesi che stavano mettendo a ferro e fuoco il paese, incendiando i boschi e distruggendo tutto distrussero anche
la chiesa e cercarono di abbattere il crocifisso, la storia che ha il sapore della leggenda narra di un gruppo di
commilitoni francesi che armati prima di fucile e poi di scala cercando in tutti i modi di abbattere il Cristo, ma
non solo non ci riusciranno, uno di loro morirà anche nel tentativo cadendo dalla scale. Dopo una prima rinuncia
un secondo gruppo ci proverà di nuovo, fallendo ancora. Il crocifisso che porta i segni di quell'attacco è ancora lo
stesso, non si è mai mosso e da piccola a messa io non facevo che fissarlo immaginando la battaglia che
imperversa attorno a lui e lui imperturbabile la guardava dall’alto. Ricordo però quando bambini chiesero in quale
guerra era successo tutto questo e ci fu risposto che il nostro interlocutore non lo sapeva..sottolineando il valore
simbolico di quella storia, non era importante quale esercito o quale guerra o in che anno quello che contava era il
potere salvifico del nostro crocifisso. Bisognerà arrivare a studiare la rivoluzione Francese per capire che la furia
iconoclasta che imperversò nella valle distruggendo chiese e oratori, portando via così preziose testimonianze
storiche e portando alla morte in un anno lo stesso numero di persone che normalmente morivano in paese in nove
anni era quella Giacobina.

59
contributo culturale e sociale.59La descrizione più corretta della popolazione di La Thuile oggi,
dopo secoli di incursioni militari, migrazioni minerarie e turistiche è multirazziale e
multiculturale. Dal canto loro, i nuovi arrivati, che hanno deciso di restare, hanno forzato la
chiusura della comunità entrando a farne parte accettandone i valori, facendoli propri e
arricchendola con i propri di origine.
Da quando l’ho lasciata, ho vissuto in molte altre realtà e nei paesi della Plaine non ho riscontrato
la stessa mescolanza di genti. Per arrivare alla stessa mescolanza e stratificazione bisogna
arrivare ad Aosta, la città capoluogo di provincia, o nelle altre comunità che hanno avuto un
destino simile legato allo sviluppo minerario e turistico, ma in cui è comunque assente quella del
confine e in cui si è perso il valore di comunità, nel senso che al suo interno ognuno ha portato i
suoi riti e le sue tradizioni e la secolarizzazione tipica della città non consente di portare avanti
determinate tradizioni. Non è quindi possibile ritrovare le stesse caratteristiche di inclusione reale
e di appropriazione della cultura tradizionale che ci sono a La Thuile. Questo non toglie l’istinto
innato dei Tchouilliens di essere dapprima molto diffidenti nei confronti dello straniero e spesso
infastiditi dalla presenza di troppi turisti. “ la lontananza era vicina” mi ha detto una delle
testimoni intervistate “dire ti fran un Cognein, cioè sei uno di Cogne era un offesa”.
L’attaccamento alle tradizioni che, nonostante abbiano, nel tempo, perso parte del loro fervore e
che ad oggi vengono portate avanti, senza probabilmente una totale conoscenza e comprensione
da parte di tutti i partecipanti, può essere considerato uno scrigno di difesa culturale. Non importa
chi o cosa sta portando avanti l'economia del paese o quale invasore la sta minando, non importa
se la stagione è stata ricca o disastrosa, la Badoche, la processione al Rutor, il Maggio di
preghiera, e la Fête des Berger arriveranno a scandire il tempo, a riportare il sorriso e allo stesso
tempo tracciare i confini della comunità a rinsaldare i valori e tramandarne le norme. Colgo un
fortuito dettaglio, di fondamentale aiuto, per questa custodia della tradizione. La Badoche, la
quissa, la processione al Rutor, si svolgono per motivi prettamente stagionali, al di fuori delle
stagioni turistiche, la stagione invernale termina di solito il 25 Aprile e la Badoche si tiene il 9
Maggio, giusto il tempo per un po’ di riposo e per organizzarla. Questo fa sì che persista una
cesura, tra quello che è la vita del paese turistico e la vita del paese, in cui il tempo può riprendere
a scorrere in un modo astorico e in cui la comunità si riappropria di se stessa.

59
Ne parlerò più nel dettaglio nelle parti sulle miniere e il turismo, ma ne sono un esempio gli immigrati veneti e
calabresi che rimasti sul territorio hanno apportato un grande contributo allo sviluppo socio economico della
comunità, con la creazione di attività commerciali moderne e che nel tempo hanno portato lavoro a tutta la
comunità.

60
Capitolo 4: economia domestica

Come in tutta la Valle d’Aosta l’istruzione è stata un pilastro. A inizio secolo tutti i villaggi
avevano una scuola elementare, al Thovex, al Buic, alla Golette a Pont Serrand e poi nel
capoluogo. Gli ultimi anni erano frequentati nella scuola del capoluogo e poi per i più bravi o i
più abbienti si aprivano le porte dei collegi nella valle centrale o le case di parenti lontani per
poter frequentare le scuole successive.
La scuola era nei villaggi, la quarta e la quinta venivano seguite nella scuola del paese e quelli
[come lei] che erano bravi potevano andare a fare l'avviamento che corrispondeva a finire le
medie oggi. Non studiavamo il francese, [...] venne introdotto dopo la guerra. [apriamo questo
spinoso capitolo] le questioni di autonomia e bilinguismo prima della guerra non esistevano, io
non parlo di politica ma su questo[...] sono perplessa perché… non so proprio da dove sia uscita
questa storia dell’autonomia. E’ tutto arrivato pian piano dopo la guerra.[...] io poi per continuare
le scuole fui mandata a Venezia, dove avevo ancora tutta la famiglia.

Nel 1950-1951 La Thuile ha 198 alunni e 8 insegnanti, nel 1960 solo 3 scuole e 87 alunni.
Dal 1929 al 1960 vi fu una diminuzione del lavoro agro pastorale. -34 % della superficie coltivata,
- 20 % del numero dei bovini - 45% di ovini e caprini. Il bestiame malgrado tutto è ancora un
fattore economico rilevante. L’emigrazione dei giovani verso i comprensori sciistici francesi già
più sviluppati, poi il turismo si sviluppò anche a La Thuile fermando finalmente
l’emigrazione..(Falquet 1971)
Negli ultimi anni, grazie allo sforzo di alcune maestre60, al Concours Cerlogne61 che ha raccolto
racconti, leggende e testimonianze e all’impegno di gruppi di cittadini intenzionati a salvare la
memoria di quel passato e creare con esso una catena che collega passato, presente e futuro si è
riusciti a raccogliere molto materiale sulla vita del paese. Questo impegno ha consentito di
salvare memorie importanti che per chi, come me, si è occupato di ricerca storica, sono una
preziosa fonte di informazioni. Una di queste è la mostra di cartoline organizzata dal gruppo
culturale Cercle di Rutor62 presso l’azienda autonoma di soggiorno turistico in paese dal 1984 al
1985. Con queste preziose testimonianze e con i dati ufficiali del catasto e degli uffici comunali

60
Il paese fino agli anni duemila ha avuto le maestre elementari come pilastri della cultura della comunità, 4 di
loro sono figure quasi mitologiche, per la loro longevità professionale (molte famiglie hanno avuto la stessa
maestra per tre generazioni) e per l’impegno profuso per mantenere viva la tradizione comunitaria. Senza il loro
contributo forse molto sarebbe andato perduto nelle pieghe dello sviluppo minerario prima e turistico poi.
61
La manifestazione si propone di coinvolgere i ragazzi nella ricerca di documenti in patois appartenenti alla
tradizione orale, su temi della civiltà alpestre, nonché di stimolare nelle nuove generazioni l'interesse per il
dialetto.
62
Il cercle du Rutor è stato creato nel 1970 dal suo poi presidente Robert Saluard, studioso baluardo della
memoria storica e franco provenzale del paese. L’associazione promosse negli anni iniziative di teatro, conferenze,
gite agrituristiche, scambi culturali delle Alpi e ricerche sulla cultura locale. Come la citata mostra raccolta poi in
un volume con le cartoline che narrano il cambiamento del paese tra il XIX secolo e il Xx secolo

61
è stato possibile ricostruire la piccola storia del paese che negli anni ha vissuto all’ombra della
grande storia.
Dalla fine del XVIII secolo all’inizio del XIX, La Thuile vive di agricoltura e allevamento.
Dal 1880 al 1920 le attività commerciali e turistiche ricopriranno per la comunità di La Thuile
un’importanza minima e l’attività prevalente sarà l'agricoltura. Fino al 1930 vi fu un predominio
della civiltà rurale e pastorale, come nella maggior parte dei comuni di montagna. La
configurazione geografica e l’altitudine creano una condizione climatica che rende l’agricoltura
molto difficile e spesso il raccolto è possibile solo ogni tre anni. Fino al XX secolo la base
dell’alimentazione sarà rappresentata dai cereali che riescono a crescere negli orti e nei campi
del paese: segale, avena, e patate dal XVIII secolo.

invece di avere le lamiere la pietra durava per coprire i tetti…si usava la pietra[...] la pietra del
Mont du Parc[...] il Mont du Parc era tutto un campo, era tutto segala, avena e orzo.

C’era la tessera annonaria che stabiliva un tot di alcuni beni, lo zucchero non esisteva c’era
la…la…saccarina, non c’era il caffè, ma l’orzo…veniva coltivato e tostato d'oro di nascosto, dalla
famiglia B., c’era una padella con la tapparella per tostarlo e faceva una gran puzza e un gran
fumo. La mamma aveva due o tre campi dove coltivava orzo, patate, frumento,[...] noi andavamo
a scuola e poi aiutavamo nei lavori agricoli. Come potevamo, ragionevolmente, per esempio
mungendo le mucche.[...]Tutte le famiglie avevano capre e mucche due o tre e si mangiava pane
e latte. A Elevaz c’era un forno dove portando la farina dalle varie frazioni le famiglie cuocevano
il pane di nascosto[...] poi lo portavano di nascosto frumento sul carretto e pane sulle spalle.
Facevano pane per tutto l’inverno[...]per me fu la prima gita, andare da Pont Serrand a Elevaz per
preparare il pane…
[...] la mia vita da bimba…sì…un po’ tragica, ma tranquilla, giocavamo al salto con la corda, a
guardie e ladri, c’erano bisticci tra bambini, ma eravamo più uniti e non c’era cattiveria..
D’inverno in 5-6-7 prendevamo la grossa slitta da trasporto per andarci tutti insieme al chiaro di
luna.[...]
In estate c’era lavoro per tutti, i bambini e i ragazzi facevano i pastorelli, sperimentando in tenera
età la responsabilità del gregge, la solitudine in alta montagna, le difficoltà oggettive del terreno
e delle notti in montagna. Ci sono foto che ritraggono i rari turisti dell’epoca, in cui questi fanciulli
con i loro poveri indumenti, raffrontati a quelli dei visitatori, e gli occhi inquieti mostrano le
evidenti differenze tra di loro.

L’organizzazione per la gestione del territorio era affidata alle Corvée che si occupavano della
pulizia, del mantenimento e della costruzione di Ru63 per l'irrigazione, per la pulizia e
manutenzione della strada, per la gestione delle latterie sociali e per la cottura del pane nei forni
comuni. In questo tipo di sistema tutti erano in qualche modo utili a tutti. (Collomb 1987) La
tranquillità, la pazienza, l'aiuto reciproco e lo spirito comunitario erano necessari al benessere,
utili a compensare le difficoltà in una realtà di vita dove incidenti, asprezza della vita, mortalità

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Viene dal termine italiano Rio, rivo, ruscello, che non ha una traduzione in francese.

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infantile, emigrazione erano una realtà costante. Allora le serate e le veglie, veillà, insieme alle
poche feste che si svolgevano durante l’anno, coinvolgendo tutta la comunità, erano il momento,
non solo di svago, ma anche di condivisione e di illusione.
Se oggi molto è andato perduto i periodi dell’anno, i lavori agricoli, l'allevamento e le feste
rimangono gli stessi, con le dovute differenze. Per questo andrò di seguito a farne una descrizione
allo stesso tempo del passato e di tempi recenti evidenziando le differenze odierne.
La Fienagione, fenaison, iniziava verso l’8/10 luglio. Oggi il lavoro è agevolato dai macchinari,
ma il lavoro manuale, anche in considerazione della morfologia del terreno spesso scosceso o
con molti sassi, riveste un ruolo ancora molto importante e che ancora oggi coinvolge l’intera
famiglia. I fieni vengono fatti due volte l’anno, la prima appunto a luglio e la seconda verso la
fine del mese di agosto. La falce con cui si procede per il taglio deve essere battuta e affilata. Il
lavoro comincia molto presto al mattino, di solito alle 5, se si può usare il macchinario si può
cominciare più tardi, e questo rende il lavoro più agevole perché il sole ha già asciugato l’erba
dall’umidità mattutina. Si continua fino verso mezzogiorno. il fieno viene tagliato e sparso per
essere lasciato asciugare, lo si lascia tutta la notte e il giorno dopo viene girato, fino a quando
verso mezzogiorno il fieno è secco e pronto ad essere trasportato, se viene bagnato dalla pioggia
deve essere girato più volte fino a quando è asciutto. Anche il trasporto oggi è più facile, si
utilizza molto il trattore, ma soprattutto, sempre per una questione di territorio molto, l’Ape della
Piaggio o mezzi simili, un vero must have del territorio. Una volta il trasporto era più difficile e
avveniva col mulo o con i carretti e sulla schiena, In questi casi venivano fatte le balle di fieno,
oggi dove possibile si usa il macchinario che fa le tipiche balle rotonde giganti, la rotoballa,
mentre quelle classiche del territorio sono piccoli rettangoli leggeri e trasportabili, composti da
sei bracciate pigiate strettissime e chiuse con spago o in tempi più recenti fil di ferro. Dopo aver
raccolto restano sul prato tagliato, piccoli residui di fieno, che vengono rastrellati per essere
trasportati con il resto del fieno che viene portato nel fienile. Ogni tre anni vengono seminate
alcune erbe particolari, come la Luzerne o il Sainfoin, erbe speciali che migliorano la qualità del
cibo per il bestiame. Non vengono mescolate con l’altra erba, ma lasciate crescere separatamente
e mescolate solo dopo il taglio.
L’allevamento e la vita pastorale sono elementi essenziali dell’economia, il latte, la groviera e il
bestiame sono beni commerciali fondamentali. Gli abitanti di La Thuile sono “ des hommes ayant
une aptitude pour le commerce et se livrant avec ardeur au métier de maquignon et de marchand
de bétail".(l'abbé Fenouil). Le condizioni sono favorevoli all’allevamento. il Comune possiede
molti alpeggi e praterie frequentate in estate che permettono di accumulare il fieno per l’inverno.
Nel censimento del 1732 La Thuile aveva 754 bovini, 1806 caprini, 32 maiali, 12 cavalli, 67

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muli, e un asino. Come si può notare dai numeri si trattava di mandrie importanti e vi erano più
muli che cavalli perché più resistenti e adatti per il lavoro in montagna.
Il mulo era il trattore [...] Il mulo[...] abbiamo sempre avuto noi il mulo. il mulo serviva per arare
i campi[...]
Gli alpeggi al di sotto della linea dei boschi occupano una superficie importante e coprono il 66,5
percento della superficie totale e i 2/4 della superficie sfruttabile. Il Comune ne possiede i tre
quarti. La linea di alpeggio forma una fascia continua al di sotto della linea boschiva, cosa insolita
per le zone delle Alpi italiane, dove di solito sono frammentati, si spingono spesso fino ai piedi
dei ghiacciai con il vantaggio di non doversi preoccupare dell’irrigazione. Nel 1968 per uno
studio sull'elaborazione di un piano organizzativo dei beni agro pastorali da parte del Comune,
sono stati studiati approfonditamente quattro alpeggi comunali : l’Orgères, Chavanne, Piccolo
San Bernardo e Les Suches. In totale La Thuile possiede 15 alpeggi comunali o privati. Il valore
alimentare del foraggio varia a seconda dell’esposizione solare, dell’irrigazione e dell’altitudine.
I pascoli più alti sono di solito dedicati agli ovini che si spingono fino al limitare dei ghiacciai
dove si trovano per lo più licheni.( Falquet,1971) Salendo dal paese al Piccolo San Bernardo si
vedono gli alpeggi alpini, che si spingono fino ai 2000 metri, alcuni proprietari hanno degli
alpeggi fino in territorio francese, a causa delle già dette continue modifiche delle frontiere dopo
la Seconda Guerra Mondiale, questo per l’allevatore creava prima dell’apertura delle frontiere,
due volte l’anno problemi aggiuntivi, la visita di un doppio veterinario, francese e italiano, prima
di poter passare la frontiera e in più i diritti di dogana. Il Comune di La Thuile affitta gli alpeggi
ai privati che non hanno alpeggi di loro proprietà. Intorno al 15, 20 luglio viene pesata la quantità
di latte prodotta dalle mucche e quella che ne produce di più viene eletta Regina, Reyna di lassei.
Su questa pesatura si basa la ripartizione dei prodotti caseari che avviene in autunno. Il
proprietario che ha affittato le sue mucche può decidere se essere pagato in denaro o in prodotti,
nel caso in cui la mucca non produca abbastanza latte è il proprietario a dover pagare il suo
consumo di erba. Chi manda il suo bestiame in alpeggio deve pagare una quota. I limiti degli
alpeggio non sono chiusi, spesso sono semplicemente indicati da una pietra di divisione, non ci
sono recinzioni. Il 15 giugno, il giorno di San Bernardo, si sale all'alpeggio dove le mucche
vengono lasciate libere di muoversi e dove immediatamente iniziano le battaglie tra loro. I
proprietari a volte le preparano durante l’anno a questi combattimenti, che sono delle spinte corno
a corno, quella che sarà la più forte sarà la Regina delle corna, le Reine de cornes non danno
molto latte, si tratta quindi di una questione di prestigio e non di denaro, anche se una buona
regina vale sul mercato molto. A Ottobre viene organizzato il Combat Final di tutta la Valle. Il
29 Settembre si scende dall’alpeggio il giorno di San Michele, le due regine della mandria sono
poste in testa alla ad essa, la Regina delle corna ha il copricapo rosso con uno specchietto fissato

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tra le corna, quella del latte invece ce l’ha bianco a cui è attaccata una scultura di legno che
rappresenta un secchio. Sono i Bouquet delle Reine. in più le due regine hanno delle
campane(kara) molto grandi, con un collare molto grande, a cui le campane sono attaccate con
un cerchio di ferro. Alcuni proprietari hanno più di un alpeggio e cambiano durante la stagione,
alcuni si spostano anche quattro volte. A inizio stagione vanno in quello più vicino al paese poi
salgono fino ad arrivare ad un altitudine di duemila metri. Questo alpeggio è usato una sola volta
durante l’anno e le mucche mangiano quella che viene chiamata erba fresca, scendendo mangiano
la seconda erba degli alpeggi che hanno già usato. Gli alpeggi grandi hanno costruzioni separate,
in un edificio si fa il formaggio e ci sono, due o tre camere da letto, poi c’è il fienile che è sempre
una costruzione in pietra e di solito a metà strada tra più di un alpeggio c’è la cava dove viene
portato il formaggio a stagionare. La regione Valle d’Aosta sovvenziona la costruzione degli
alpeggi anche fino al cinquanta per cento del loro costo64. Il personale dell’alpeggio di solito
include otto persone, oggi è difficile trovare persone disposte alla vita di alpeggio, anche se oggi
il lavoro è meno gravoso di un tempo, ma comunque restano molte le ore di impegno lavorativo.
Ci si alza verso le tre del mattino e può proseguire anche fino alle 11 di sera. Durante il lockdown
dovuto all’infezione Sars- Covid 19, la Regione Valle d’Aosta ha dovuto stringere accordi
particolari con i paesi magrebini, da cui oggi vengono la maggior parte dei lavoratori degli
alpeggi, in una nuova forma di migrazione stagionale che vede appunto muoversi dal Maghreb
pastori e casari che ogni anno raggiungono gli alpeggi presso cui sono assunti, per non rimanere
senza personale. Spesso le famiglie di allevatori sono ancora oggi le più numerose e ogni
componente della famiglia dal più piccolo al più anziano partecipa al lavoro. Ricordo con quanta
gioia una compagna di mio figlio alle elementari aspettava la fine della scuola per poter andare
in alpeggio, e di come con altrettanta gioia tornava a scuola un po’ più tardi degli altri portando
con orgoglio il Bosquet della sua Reina. (Saluard, Roulet, Collomb,1987; Berton[...]
Vediamo ora in breve i ruoli e il lavoro dell’alpeggio.
Il fruitier, fa il formaggio ed essendo un ruolo importante è il meglio pagato, il premier berzi, ha
la responsabilità della mandria quando sono nei prati, il suo aiutante è il second berzi, l’aide
fruitier che aiuta il fruitier salando ,sfregando e rigirando il formaggio e portandolo alla cava a
stagionare, di solito questi aiutanti sono due. Il valletto di fienile, prepara la legna per il fuoco,
pulisce il fienile e si occupa di irrigare i prati, e infine, il petit berger di solito un ragazzino,
ancora oggi di 10- 12 anni, che aiuta a guardare la mandria e che porta il latte appena munto nel
calderone, lui è il solo a non partecipare alla mungitura, lo chiamano anche koula o tsit. La

64
Negli anni ‘90 e 2000 vi fu un grande scandalo chiamato stalle d’oro, perché i fondi per le stalle e gli alpeggi
furono usati da alcuni allevatori per costruire vere e proprie ville.

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mungitura è la prima attività della giornata, alle tre del mattino, o anche prima se si è in pochi, si
fa colazione alle sei una volta più che altro polenta, oggi di solito latte, pane e caffè a volte della
minestra. Dopo la colazione si fanno uscire le mucche al pascolo, e chi si occupa del fienile e del
formaggio svolge il suo lavoro, il pascolo non viene mai irrigato direttamente con l’acqua
corrente, ma viene lasciata prima ferma per poi aprire spostando una pietra il canale, l’irrigazione
diretta sarebbe troppo fredda e distruggerebbe l’erba gelandola. Tra mezzogiorno e le due le
mucche rientrano dal pascolo e allora si cena, di solito con polenta e brocca di latte, poi tutti
vanno a riposare, prima di cominciare la seconda parte della giornata. Verso le sei di sera fanno
una merenda con un po’ di latte e formaggio e si fanno uscire di nuovo le mucche, si ripetono i
lavori del mattino, la pulizia , la produzione del formaggio. Le mucche vengono fatte rientrare
verso le dieci, non prima e si fa un ultimo piccolo pasto con pane e formaggio.
Il premier berger, tutti i giorni, cerca un nuovo posto dove portare la mandria al pascolo, a volte
si spostano anche tra il mattino e il pomeriggio, la zona del pascolo è delimitata da corde come
una volta o da filo elettrificato oggi. La quantità di formaggio prodotta ogni giorno dipende dalla
stagione, verso la fine della stagione diminuisce la quantità di latte e quindi la produzione di
formaggio. In estate, in alpeggio viene prodotta la Fontina, perché la sua produzione richiede
molto latte e quindi il proprietario può utilizzare anche il latte delle mucche che gli sono lasciate
in alpeggio, mentre da solo non potrebbe produrla, e infatti in inverno si producono altri formaggi
e burro. La latteria di La Thuile è una cooperativa con una ventina di paesani che hanno il diritto
di portare il latte, diritto che passa di padre in figlio. La latteria di solito apre dal mese di gennaio
al mese di maggio, durante l'apertura chi ne fa parte è obbligato a portare il latte, pena la perdita
del diritto o il pagamento di un'ammenda. Il lattaio tiene la contabilità due volte al giorno,
mattina e sera pesa il latte, che gli viene portato. Tutti i giorni qualcuno supera gli altri per
produzione del latte, a lui spetta tutta la produzione della giornata. Il giorno dopo la dovrà pagare
in latte, pagando il debito contratto con gli altri. Questo sistema garantisce, anche a chi ha poche
mucche, di avere almeno una volta la produzione di tutta una giornata, senza il sistema della
latteria non avrebbe mai della Fontina, avendo troppo poco latte per giorno. I conti a gennaio
riprendono da dove si erano fermati a maggio. Chi non ha il diritto di portare il latte fa il burro a
casa sua, la forma che viene utilizzata può avere dei disegni intagliati sul coperchio, pezzo tipico
degli artigiani locali, il burro viene di solito venduto subito e quello dedicato alla famiglia viene
fuso, diventando lo kola, e conservato in un vaso di ceramica in cantina. Il latticello che rimane
dalla lavorazione viene dato alle mucche o trasformato in formaggio. (Berton,[...])
Da piccola, con mia nonna in inverno andavamo in due stalle a prendere il latte, una era
al Bathieu e tutt’oggi la famiglia alleva e produce latte e formaggi, l’altra era alla Golette,
ma credo abbia chiuso presto e non ricordo a chi appartenesse. Andavamo con il pentolino
di latta a farlo riempire di latte.

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Dal 1860 al XX secolo La Thuile era nota per l’abilità dei suoi conducenti dei muli che sapevano
sfidare le insidie dell’alta montagna per consegnare le merci che erano loro affidate. I
someggiatori il cui status si era consolidato nei secoli XIII e XVI, nel 1854 possedevano 63 capi
tra muli e puledri. Una delibera comunale del 27 giugno 1873, sottolinea l’importanza del
commercio del bestiame per l’economia del paese. In quell’occasione infatti, il sindaco Perron
manifesta il proposito di istituire un nuovo mercato del bestiame, da tenersi il giorno 8 agosto di
ogni anno, dopo aver notato lo sviluppo conseguente alla fiera istituita precedentemente nel mese
di settembre di ogni anno. Questa decisione aveva lo scopo di implementare la presenza delle
attività commerciali sviluppate attorno ai valichi. In quegli anni l’allevamento rivestiva
un'attività di prestigio. I prodotti di allevamento erano i beni di maggior consumo nelle famiglie
e rientravano in una fitta rete di commerci locali e di scambi con la pianura piemontese e le
regioni transalpine. Queste attività, vista la loro importanza, erano disciplinate da regole
consuetudinarie, si svolgevano a scadenze regolari determinando in corso d’anno, per chi le
praticava, processi di accumulazione e di conservazione di risorse Insieme alle ricorrenze
religiose provocano a date fisse, un significativo incremento di mobilità l’abbandono temporaneo
delle proprie residenze e la sospensione delle consuete attività.
La rete di mercati e fiere locali serviva a integrare l’agricoltura mantenendola compatibile con il
principio dell’economia famigliare, fino a che questa ebbe a occupare una posizione dominante
e incontrastata.
Avevamo le mucche da piccolo[...] alle 8 a falciare.. tutto a mano eh[...] fino a quando ho fatto il
militare avevamo dieci bestie[...] Alla fiera di San Grato il 6 Settembre si vendevano uno o due
capi, la fiera si faceva giù davanti all'albergo dei Fusero, poi man mano è andata sparendo[...]
avevamo una baita a La Joux l’aveva comprata mio padre per farmi fare il contadino[...] un
viaggio da La Joux è stato un incubo con una mucca antipatica[...], l'ha venduta al primo capitato
ed è finita la sua carriera da allevatore[...] era una vita dura.

Alla fine del XIX secolo La Thuile attraversa una grave crisi. Come accennato nei capitoli
precedenti l’economia del paese, basata sul commercio del bestiame subisce un duro colpo con
l’istituzione delle nuove frontiere, nel 1884 l’esportazione delle pecore era crollata di un terzo.
(F. Gex, 1924).
L’apertura del traforo del Frejus inoltre, sposta i traffici economici su un altro asse, tagliando
fuori il Piccolo San Bernardo, che non è percorribile per una buona parte dell’anno e il cui primo
progetto di tunnel sotto il Rutor deve essere abbandonato per problemi tecnici.
Oltretutto l’agricoltura, la principale risorsa, subisce un arretramento a causa di una mancanza di
sviluppo tecnico.

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La componente sociale di La Thuile era costituita da aggregati domestici o unità familiari fissate
su una porzione di territorio ben delimitata . Le abitazioni erano raggruppate in frazioni, villaggi,
strutturati con una relativa forma di autonomia e una propria identità, visto che erano dotati di
strutture di uso comune come il forno, il mulino, la scuola frazionale e la piccola cappella sede
delle preghiere comunitarie minori e luogo che assicurava la protezione del patrono. Nelle
testimonianze raccolte da Monica Granier emerge la divisione notevole per differenze tra i
giovani delle varie frazioni. Quelli del Trofaso e della Golette mostrano tratti specifici molto
diversi. Dalla Golette passavano i viandanti diretti al Piccolo San Bernardo portando così ad
avere più scambi sociali e interazioni e apprendimenti, cosa che non accedeva nel Trofaso che,
trovandosi sull’altro versante, non aveva queste interazioni e venivano considerati più grossolani,
ma erano anche più festaioli. La Golette invece, essendo abitata anche da nuclei familiari di
un’estrazione più alta, erano più snob e non partecipavano a queste feste, in considerazione del
fatto che molte di quelle famiglie specialmente in questo secolo, erano anche i maggiori esponenti
dell’azione cattolica e quindi evitavano per ragioni morali di mischiarsi a quei balli che, in quanto
promiscui, erano considerati immorali. E’ da rimarcare che queste differenze non erano mai fonte
di divisione, perché l’unità e il senso di appartenenza all’intera comunità erano rimarcati e
confermati attraverso le feste collettive che si svolgono durante l’anno come la Badoche e le
corvées, le società di mutuo soccorso, la banda musicale, la corale. ( Granier 1995)
Accanto all’agricoltura c’era anche la piccola industria a contribuire al sostentamento, essa
poteva essere attuata a livello familiare con la trasformazione e lavorazione dei prodotti agricoli
e dell’allevamento o a livello professionale. Il tessuto economico era infatti costellato anche dalla
presenza di piccoli artigiani per i quali però l’attività di trasformazione non era quella prevalente.
Alcuni erano impegnati nel terziario con la gestione di piccole attività di accoglienza, locande,
taverne, piccoli alberghi e di trasporto persone o merci, collegate al passaggio e ai commerci
diretti al Piccolo San Bernardo. Queste attività erano pertanto ubicate nel capoluogo o nelle
frazioni Golette e Pont Serrand sulla strada del colle.(Saluard,1987)
Negli anni 30-40-50 del 900 le famiglie vivevano di pastorizia e agricoltura, ma almeno un
componente della famiglia lavorava in miniera per garantire un'entrata fissa.
L’emigrazione temporanea e stagionale diviene emigrazione definitiva verso le vicine città
francesi Lyon, Parigi, Grenoble. Saranno 20800 i valdostani a partire. Il colle del Piccolo San
Bernardo lavora incessantemente per aiutare e sostenere gli emigranti nel loro passaggio in tutte
le stagioni. Nel 1913 l’ospizio registrò il passaggio di 13984 persone. Il numero sarà destinato
ad aumentare con il passaggio di un nuovo tipo di viaggiatori, i turisti.
Aubert descrive gli abitanti di La Thuile come generalmente intelligenti, coraggiosi e
intraprendenti, “hanno un'altezza e una stazza più grandi rispetto agli altri valligiani, hanno una

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salute robusta e un vigore non comune”. Le migrazioni prima erano stagionali e riguardavano i
giovani che si recavano per lo più a fare gli spazzacamini fino a che la loro corporatura lo
consentiva. Le donne si spostavano di meno, ma un certo movimento riguardava anche loro per
andare di solito a fare le cameriere o le inservienti in città. (Sibilla,1995)
La vita è scandita dalle feste popolari e dai riti religiosi e processioni.
Dal 1903 si svolge la processione al Rutor, rito atto a chiedere la protezione dalle acque del lago
del Rutor che tanto hanno afflitto la popolazione di La Thuile. La prima si svolse in onore di San
Grato e Santa Margherita a cui fu dedicata la cappella. La prima fu costruita nel 1603 dopo che
un cacciatore, Pantaleone Dottin era stato guidato da una lepre bianca mentre cacciava sul
Ruitor65. Nella primavera del 1948 vi sarà una grande processione per Maria, che toccherà tutte
le parrocchie della valle d’Aosta. il 05 agosto 1948 la Madonna delle nevi viene portata sulla
testa del Rutor. Dal IX secolo fino al 1864 la diocesi di Aosta faceva parte della provincia
ecclesiastica della Tarentaise dipendendo da Moutiers, poi da Chambéry in Savoia. Sui campanili
dei paesi valdostani (quelli vecchi) si erge un galletto, è il simbolo dell’appartenenza alla chiesa
gallicana. La Chiesa di la Thuile si trova nella posizione attuale probabilmente dal XVIII secolo,
quando fu ricostruita, dopo che gli straripamenti del lago del Rutor avevano distrutto quella
originaria all’ingresso del paese.(Decime,2014) Abbiamo già parlato dell’albero du Syndic, che
seppur chiaramente legato al ricordo terribile delle invasioni Giacobine, porta in sé i classici
segni di sincretismo religioso presenti in tutte le tradizioni locali. L’albero di Maggio infatti era
il simbolo del rinnovarsi del ciclo vitale, alle calendimaggio l’albero era issato come simbolo di
rinnovamento generale, legato al rinascere della natura dopo l’inverno e all'esplorazione della
fertilità. Al primo maggio celtico veniva appesa una corona di fiori primaverile ad un albero
sfrondato per le stesse ragioni. Nelle interviste svolte da me e prima di me da Granier le
Calendimaggio sono sì indicate come data di calendario importante, ma non ci sono racconti di
particolari riti o festeggiamenti, la festa del primo Maggio è stata importata dai lavoratori della
miniera, i comunisti che quel giorno non lavoravano e sfilavano con le bandiere rosse. Prima non
c’erano festeggiamenti. Per i paesani era solo la data in cui si puliva e abbelliva la chiesa per
l’inizio del mese Mariano che è il mese delle feste. Il rito principale anche se si tratta di una festa
che chiamerei sottovoce porta in sé, come molti altri eventi, due componenti sincretiche. Si tratta
del mese mariano, si festeggia Maria, e per farlo ci si reca tutte le sere in chiesa per recitare la
corona insieme. Il cuore di tutto è dunque il culto cristiano di Maria. La preparazione e il modo
in cui ciò accade però porta in sé i tratti di un rito pagano di risveglio della comunità. Le donne
a turno si occupano di pulire e abbellire con i fiori la chiesa e la chiesetta, di solito lo Sapelé , la

65
La montagna del paese viene chiamata Rutor in francese e Ruitor in italiano.

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corona si tiene nella cappelletta che è di fianco alla chiesa ed è più piccola e raccolta. Alla sera,
tutte le sere di tutto il mese alle 9 ci si ritrova in chiesa per la corona. All’uscita dalla chiesa le
temperature finalmente miti, dopo mesi gelidi e la luce di giornata più lunghe accoglie chi ha
partecipato sulla piazza davanti alla Chiesa, figli e mariti che non hanno partecipato raggiungono
lì la famiglia. La rinascita, il ritorno alla vita, la vita che sboccia e che colora i prati finalmente
liberi dalla neve, le giornate che si allungano e il tepore che consente due chiacchiere all’aperto
sono innegabilmente protagonisti di questo momento sacro come lo è il culto di Maria.
Le protagoniste assolute sono dal mattino alla sera le donne, che mentre vanno a prepare gli orti
o oggi ritirano le tute da sci, raccolgono i fiori per la chiesa, che insieme si ritrovano a ridere
libere dal disturbo del lavoro e della famiglia mentre puliscono la chiesa. Tutto senza il freddo
dell’inverno e la fretta dei mesi di lavoro frenetico sembra più lento, più dolce, più gioioso.
La Badoche è la festa più importante. Si svolge il 9 maggio, è la festa del patrono San Nicola. Il
santo in realtà si festeggia a dicembre, essendo però un periodo inadatto ai festeggiamenti, si è
scelto per tradizione di festeggiarlo nella data in cui le sue spoglie sono state trasportate da Myra
a Bari il 09 maggio 1087, questa data era perfetta per i festeggiamenti, sovrapponendosi appunto
alle tradizioni pagane delle calendimaggio e ai riti celtici di rinascita dopo la stagione fredda.
Fino a una ventina di anni fa, il 9 maggio alla festa patronale venivano benedetti i bambini in un
cerimoniale che prevedeva l’uso delle reliquie del santo, oggi avviene un normale cerimoniale di
benedizione. Ma è l’aspetto profano e laico a farla da padrone in questa festa che scandisce
l’anno. La Badoche è presente in tutti i cinque comuni della Valdigne. La Thuile, Courmayeur,
La Salle, Prè Saint Didier e Morgex. Pare abbia avuto origine a La Salle, che resta ancor oggi il
paese in cui i festeggiamenti più intensi e protratti, probabilmente essendo la comunità ancora
più legata ad un'economia rurale e non turistica. Oltre ai comuni suddetti si trova a Sarre
(periferia di Aosta) e nella parrocchia aostana di Saint Martin de Corléans, la stessa dove è stata
rinvenuta, ai confini del comune di Sarre l’area megalitica precedentemente citata. Oggi viene
festeggiata in molti comuni di tutta la valle, ma solo la parte goliardica, spuria dei suoi significati
e basata sulla semplice imitazione. Van Gennep ha registrato manifestazioni simili in savoia,
chiamate Badouche, ma anche in questo caso non si tratta della stessa manifestazione, nel loro
caso si trattava di Aubades, chiassate non legate a particolari periodi dell’anno o a riti stabiliti ed
erano mal tollerati dal resto della comunità. La Badoche rappresenta un doppio rito di passaggio,
quello dell’individuo che passa dall’adolescenza all’età adulta e quello della collettività che
assiste al rinnovarsi della natura, dalla stagione del riposo a quella del risveglio primaverile. I
preparativi, che durano quasi tutto l’anno, hanno un grande significato simbolico. Sono i coscritti
non sposati a organizzare la festa e anche se oggi non partono più per il servizio militare, restano
loro i protagonisti, fino a quando si sposano. i giovani protagonisti sono accoppiati, ma questo

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non significa necessariamente che siano fidanzati. Una volta l’importanza era ancora più grande
perché sposandosi molto giovani in generale veniva festeggiata solo una volta nella vita. Il Cap
badoutchi di solito il meno timido e più caciarone dei ragazzi, va in giro per il paese a coinvolgere
la popolazione, chiacchiera con tutti , racconta barzellette, chiede alle anziane come ballavano ai
loro tempi e sarà lui poi a chiamare i balli in piazza. Il prestigio di questo capo, ricadeva anche
sulla sua badoutchire, ma oltre al prestigio per loro significava anche impegno perché erano loro
a guidare gli altri nei loro ruoli all’interno della festa. Ruoli che sancivano la divisione del lavoro
tra uomini e donne. Le ragazze preparavano le coccarde che con i colori uguali indicavano le
coppie con colori uguali, per distinguere i partecipanti e indicare sempre le coppie. Si occupavano
anche di abbellire e decorare la piazza dove si svolgeva il ballo, con ghirlande di rami e cespugli
o carta. Gli uomini tagliavano un grande albero che portano al centro della piazza dove si
svolgeranno i balli dopo la messa. la piazza non è sempre stata la stessa, ma è cambiata negli
anni seguendo i cambiamenti del paese. La mattina della festa prima della messa il gruppo di
ragazzi vestiti a festa e addobbati con le loro ghirlande andava in giro per il paese portando a
termine un altro rituale della festa, la quissa. Passando casa per casa a far baldoria e invitare tutti
alla festa mettono in atto una vera e propria questua il cui scopo è quello di finanziare la festa
stessa. L’alabarda che sfila con loro e che portano a messa è adornata dai nastri dei bambini nati
durante l’anno. alle 10.30 tutto il paese si reca a messa, i Badoutchi, sono in testa a tutti nei primi
banchi con l’alabarda decorata. Alla fine della messa tutti raggiungono la piazza e iniziano i balli.
Le persone non erano libere di ballare a loro piacimento, ma venivano chiamati, lo Cap Badoutchi
con scherzi e schiamazzi chiama tutto il paese a ballare, cominciando dal sindaco e dalle autorità,
passando poi per gli imprenditori più abbienti e arrivando fino all’ultimo ballo a chiamata, quello
dei bambini che va a decretare l’inizio della parte libera della festa, la fine del rituale. attraverso
le chiamate infatti vengono stabilite le differenze sociali, mentre ci si prende gioco con battute e
burle chiunque indipendentemente dal suo ruolo, e a ballare sono chiamati anche i cornuti, le
persone tradite, tutto viene scardinato per essere riconfermato nel suo valore sociale. Questo
grande rito porta all’accettazione dei valori della comunità, il ballo svela e tramanda le norme
comunitarie, rendendole pubbliche a tutti e obbligando tutti quindi, anche i nuovi arrivati a
conoscere ed accettare. Nel momento dello svolgimento della festa, dove tutto è concesso è
proprio la devianza transitoria, come nel carnevale a tramandare le norme comunitarie. La
Badoche inoltre scandisce il tempo dell’anno, quel giorno di festa chiude l’inverno e dal giorno
dopo si tornerà al lavoro nei campi. Lo stesso rituale si ripete a Novembre, quando nel giorno dei
morti il 1 Novembre i giovani ripetono la quissa, la questua in giro per il paese. Mentre tutto il
paese resta in casa in preghiera, loro fanno il giro delle case, questa volta senza la caciara
carnevalesca, e senza entrare o soffermarsi nelle case o invitare i cittadini a partecipare. questa

71
volta quello che raccolgono non è per la festa collettiva, ma solo per loro, che una volta finito il
giro si ritirano a far festa, solo loro in tutto il paese. I giovani, portatori di vita e di futuro che
durante l’estate hanno lavorato duro e passato mesi di solitudine negli alpeggi, ora festeggiano
protetti dalle preghiere degli altri. Per quanto ridotto come rituale quello del primo Novembre ha
un enorme valore culturale perché è il più nettamente e chiaramente di origine Celtica con il suo
rimando naturale alla festa di Halloween66. Queste festività collettive, segnavano e segnano il
tempo nel corso dell’anno, ricordando l’origine rurale del paese che doveva adeguarsi alle
stagioni per sopravvivere. (Granier, 1995-1996; Cane 1995-1996; Venturino C. 2022)

66
si tratta di una rituale così antico e assimilato che, i Tchouilliens, pur orgogliosi delle loro origini celtiche, non
vogliono sia collegato al rito pagano di Halloween, che è stata accettata come festa solo grazie all'impegno di una
immigrata americana che coinvolto il paese con le sue bellissime feste. Eppure per lei e me che ho avuto la fortuna
di vivere un Halloween americano e che mi ricordo da bambina in sottotuta da sci a cercare caramelle in giro per
le case del paese, è qualcosa di banalmente evidente.

72
Capitolo 5: Argento e mistero

La Thuile ha avuto una precoce e lunga storia mineraria che ne ha influenzato l’economia e la
composizione sociale. Ripercorrendo brevemente questa storia mi fermerò ad analizzare la prima
miniera sfruttata industrialmente nel paese. Dagli archivi storici si evince che la Valle d’Aosta è
stata da sempre terreno di ricerca mineraria. L’argento dei pezzi ritrovati al Piccolo San Bernardo
è prezioso, come la già menzionata figurina di Ercole Graio. I Salassi, per quanto scarne siano le
informazioni, erano certamente in grado di estrarre minerali e lavorarli in epoca preromana. I
romani iniziarono una intensa ricerca di oro e argento, rame e ferro. (Berguerand,2005) Dopo
l’anno 1000 abbiamo notizie più precise confermate dagli atti di vendite e concessioni. Dal 1700
abbiamo informazioni più dettagliate. I lavori minerari in Valle d’Aosta non sono notevoli e
importanti, ma, in generale, vennero sfruttati fino all’esaurimento, anche i più esigui. Il terreno
veniva continuamente saggiato per inviare campioni al Corpo Reale delle Miniere, con le
conseguenti richieste di sfruttamento. Nel 1800 vi fu nel comune di La Thuile un tentativo di
sfruttamento di un filone di pirite e sul Mont du Parc si estraevano fino in epoca recente le lose
per i tetti. Sibilla riporta che il minerale prezioso del Promise aveva un alto tenore. Una relazione
del 1783 del capitano Grafion, ispettore delle miniere del Ducato, per la prima volta, menziona
3 miniere d’argento. Nel XIX secolo parte la corsa allo sfruttamento di ogni tipo di minerale
metallifero. Molte concessioni venivano poi tolte per inconsistenza dei filoni o negligenza dei

73
concessionari nell’eseguire i lavori. Con il tempo il ricordo delle antiche miniere è scomparso
dalla memoria comune confondendosi con le leggende e i racconti locali. Questi racconti pur
essendo vaghi e imprecisi, sono utili per scovare gli scavi dimenticati. Nel libro Di Christian
Lorenzini sulle antiche miniere della Valle d'Aosta vengono prese in considerazione solo quelle
che hanno avuto una qualche importanza sotto il profilo socio culturale o dell’attività lavorativa.
Sono stati tralasciati inoltre alcuni minerali come l’asbesto o l’antracite di La Thuile nonostante
la loro importanza storica, probabilmente perché di recente sfruttamento.
La miniera del Biolley, si trova a 3 km a sud del centro abitato di La Thuile, in faccia al ponte di
Bo Chambre sulla sinistra del torrente Biolley e appena a destra del torrente Rutor. A sinistra
sono tutt'oggi visibili due imponenti discariche di materiale di scarto minerario. La miniera viene
chiamata del Biolley o del Promise in carte più antiche la feuille e ha un ‘area di 369 ettari. I resti
della laveria si possono incontrare attraversando il ponte, qualche centinaio di metri prima della
miniera. Risulta coltivata da tempi antichissimi, sicuramente già dai Salassi, ma solo dal 1782 se
ne hanno notizie certe, quando il minerale veniva ad alimentare la fonderia in fondo al paese.
Dopo qualche anno fu abbandonata, non si conosce il motivo di questo abbandono.
Nel 1804 viene depositata a Parigi la richiesta di sfruttamento.
Nel 1806 A. Engesser ci dice che essa è in stato di abbandono nonostante sia in condizioni di
poter essere utilizzata, con le dovute attenzioni.
Nel 1809 il governo Napoleonico concesse la miniera alla Argentiere, che aveva concessioni in
varie altre miniere valdostane e che fallì nel 1820. Era difficile trarne beneficio economico
soprattutto viste le scarse competenze tecniche dell’epoca sul trattamento del minerale e venne
abbandonata dopo tre anni.67L’esplosivo veniva preso presso il forte di Bard che era la polveriera
della Valle d’Aosta. Pur non avendo avuto l'impresa l’effetto sperato, la galleria prese però il
nome che rimase quello della galleria principale, Argentiere. I lavori degli anni dell’800 ebbero
un grande impatto ambientale, con gravi danni ecologici. La fusione del minerale per liberare lo
zolfo veniva fatta a La Thuile. Il proprietario della fucina aveva fatto domanda al comune di
estrarre anche per la fusione, l’unica documentazione conferma che gli era stato concesso il
trattamento a caldo del materiale solo in inverno per non danneggiare la flora, la fauna e gli
abitanti del paese. In quel secolo non vi erano norme che furono poi istituite dal Regio Corpo
delle Miniere, era sufficiente chiedere l’autorizzazione del comune, con il benestare dei

67
Nel journal des mines Paris 1810 volume 28. decreto imperiale dell’8 fruttidor an 13- 26 ( agosto 1805) è
dichiarato mantenimento del diritto di sfruttare le miniere di piombo e argento sul territorio del comune di La
Thuile e di autorizzazione dei signori Collin, Her Lueur, Cornillet e Pay, concessionari a riprendere i lavori di
sfruttamento nell’estensione della loro antica concessione e un successivo decreto imperiale del 11 Gennaio 1808
di revoca della concessione agli stessi Collin ecc. Lo stesso volume riporta la concessione del 6 agosto 1809 per
cinquant’anni al signor Jean Pantaléon Argentiere, del diritto di sfruttare le miniere di piombo argentifero site nel
comune di La Thuile, département de la doire.

74
proprietari dei terreni.68 (Falquet,1971) L’industrializzazione dell’attività estrattiva avviene a
inizio del 900. 69La miniera del Promise restò in stato di abbandono per quasi 100 anni, invasa
dalla acque e con le gallerie franate.
Nel 1908 il conte Maret Luigi di Saint Pierre, residente a Bourg Saint Maurice, esplorò il sito
avvalendosi di un bravo ingegnere minerario, Rodriguez, di origine sardo spagnola, che stilerà
disegni per tutto il periodo in cui le miniere resteranno attive con una precisione sbalorditiva per
quei tempi. Lo sviluppo totale delle gallerie raggiunse 2829 m., la larghezza media è di 1,5 metri.
Vennero estratti 4000 metri cubi di materiale, rame oltreché galena e piombo. Il fornello era il
punto di congiunzione tra due gallerie e le loro diverse quote, era utile per far defluire il materiale
estratto fino al livello inferiore per essere trasportato all’esterno. Il peso specifico della blenda e
della galena è alto ( da qui deriva il modo di dire pesante come il piombo). La roccia si bucava
con gli esplosivi e non era necessario puntellare le gallerie perché la volta era formata da quarziti.
L’esatto contrario delle miniere di carbone sempre a rischio crollo. Fece domanda al Corpo delle
Miniere per una concessione di ricerca al Promise per galena, blenda, calcopirite piombo e zinco.
Il 23 gennaio del 1909 fu concesso il permesso per due anni e iniziò lo sfruttamento. 80 metri più
in basso rispetto allo scavo precedente, aprendo un traverso banco70 di 200 metri che confermò
le previsioni di ricchezza del giacimento con diversi pilastri ricchi di materiale. Un secondo
traverso banco mise in luce una vena ricca di blenda, che si impoveriva dopo pochi metri per la
presenza di acqua.
I progressi tecnici aiutarono molto perché la miniera era sempre in difficoltà a causa
dell’allagamento perenne che doveva essere svuotato e che probabilmente era una delle cause
dell'abbandono da parte degli antichi. I lavori furono possibili con un ventilatore aspirante mosso
da una piccola ruota idraulica. Un operaio specializzato caricava i fori e faceva esplodere le
dinamite con mine di dinamite di gelatina e dinamite di gomma.
Considerando i lavori antichi, e quelli del periodo di Maret il giacimento è stato esplorato per
circa 200 metri in lunghezza e quasi 100 in inclinazione (anno 1912 quando venne dichiarata

68
Nicco l’industrializzazione in vda.
69
Bulletin n° 15-16 del 1922 - 1923 da pag 19 a 36 della società de la flore valdotaine siege d’aoste, parla delle
antiche miniere della valle.
70
Le gallerie minerarie hanno sezione generalmente rettangolare. Le gallerie che si sviluppano su uno dei piani di
livello nei quali è suddivisa la miniera vengono dette di livello; quelle di accesso dall'esterno, con imbocco sul
fianco di un monte, si chiamano: di ribasso, se sono situate più in basso delle altre gallerie; in traverso banco, se
tagliano ortogonalmente la direzione degli strati; in direzione o in allungamento se ne seguono la direzione. Le
gallerie scavate salendo o scendendo secondo la massima pendenza di uno strato si dicono rispettivamente rimonte
e discenderie; le gallerie al limite verso l'alto di un pannello di coltivazione di strati inclinati si dicono di testa;
quelle al limite inferiore di base. Le vie di trasporto del minerale dai cantieri al pozzo si chiamano gallerie di
carreggio. Secondo la loro principale funzione, si distinguono gallerie di ricerca, di preparazione, di tracciamento,
di ventilazione, di coltivazione, ecc. Le gallerie di scolo sboccano all'esterno in fondovalle o in mare o in un lago e
servono a drenare una o più miniere.

75
scoperta). Una funicolare lunga circa 190 metri portava il materiale dalle gallerie alla laveria, ai
piedi della cascata dall’altra parte del fiume. La laveria era di cemento armato e legno, come
quelle sarde con un mulino Huntington per la macinazione del materiale. La produzione mensile
del materiale ammontava a circa 150 tonnellate tra blenda e galena, e c’era un piccolo laboratorio
chimico vicino alla laveria. I lavori erano diretti dal direttore Vittorino Paris, sotto la sorveglianza
di Arnodo Giacomo, sistemarono le gallerie un totale di un centinaio di metri e costruendo alcune
strutture esterne, magazzini e baraccamenti.
Dopo quattro anni dall’inizio dei lavori fu verbalizzata la scoperta di minerali di zinco e piombo
argentifero. L’affioramento più consistente era l’antica Argentiere.
Il 1 febbraio del 1911 il Conte Maret Luigi ottenne la proroga del permesso fino al gennaio e
chiese di poter sfruttare anche 500 tonnellate di materiale estratto durante i lavori di ricerca nei
due anni di lavoro. Il 7 agosto del 1912 viene verbalizzata la scoperta della miniera. Un rapporto
di visita delle autorità del Corpo Reale delle Miniere conta con estrema precisione operai,
mansioni e orari del personale: 300 giorni di lavoro l’anno, due sorveglianti, quattordici minatori,
6 manovali, un fabbro, un aiuto fabbro, uno stradino, e tre donne alla cernita del materiale. Il
salario giornaliero per 10 ore di lavoro era di Lire 3,50 per i manovali, e di Lire 5 per i minatori.
Il 23 settembre 1912 il Conte di Saint Pierre chiese la concessione della miniera per rame, zinco
e piombo argentifero.
Nel 1913 arriva la concessione governativa per il Promise, i tecnici dovevano progettare lo
stabilimento per separare i materiali e produrre energia. si trattava di opere ingegneristiche di
ricerca e di progettazione. Fino al 1915- 16 la miniera occupava circa un centinaio di operai. Poi
le ostilità internazionali e la vicinanza con il confine francese fecero rallentare la produzione.
L’autorità militare pose pesanti condizioni per proseguire l’attività tra cui l’obbligo della
cittadinanza italiana per il presidente e per la maggioranza degli amministratori.
Il 3 dicembre 1922 con un decreto Reale del Ministero dell'Agricoltura, la miniera venne
concessa alla Società Anonime Miniere la Promise della quale però rimase come rappresentante
il conte Maret. Negli anni 1923-1924, in attesa della perforazione meccanica, ci si limitò ad una
attenta manutenzione dei fabbricati e dei sotterranei. L’intenzione del concessionario era di
installare il compressore ed il motore elettrico 65hp all’interno delle gallerie. Per la sistemazione
del cantiere minerario furono impiegati numerosi minatori ed operai, intanto sforzi più
significativi vennero compiuti nella costruzione della nuova laveria a fluttuazione. L’ingegnere
Testa, in visita nel 1924, annota che agevoli rimonte consentono lo spostamento del materiale su
tre livelli e per lo spostamento si usano canaloni di legno da un livello all’altro. La perforazione
meccanica non c’era ancora, per cui al momento della visita c’erano 17 minatori e sei manovali
che lavoravano solo per garantire l’adeguata manutenzione dei sotterranei. (Berguerand, 2008)

76
Il personale dirigente di allora faceva capo al direttore Maccioni Bernardo, mentre per ciò che
concerne la sorveglianza Griffo Venanzio era responsabile dei lavori in galleria e Pizia Giovanni
si occupava della laveria e delle opere esterne. Nuovi lavori di ricerca, all’interno di quelli che
erano i limiti della concessione la Promise, vengono proposti nel 1926 al corpo delle miniere, ma
non si sa l’intenzione dei concessionari. Il 16 aprile 1929 la miniera viene concessa in perpetuo
alla Società Miniere la Promise, il decreto di concessione fu depositato all’ufficio del registro di
Morgex e lì rimase per alcuni mesi in quanto nessuno si presentò per ritirarlo. Questo era un
comportamento strano, visto il valore che avevano all’epoca le concessioni e per l’interesse
dimostrato dalla società, che era stata così determinata ad ottenerla. La concessione fu ritirata il
6 Novembre, dopo che lo spazientito corpo delle Miniere Reali di Torino, aveva fissato un
ultimatum al 15 novembre pena la revoca della concessione. Possiamo ritrovare il motivo di
questa poca solerzia in una lettera del 10 novembre 1930 all’ufficio minerario che informa che,
a causa di una grave crisi dei metalli, i lavori alla Promise erano sospesi. In un rapporto di visita
del luglio 1930 si accenna alla messa in liquidazione della miniera. Restano in quel periodo
quatto o cinque operai per la manutenzione. La miniera verrà definita dall’Ispettore Regio.
“giacimentucolo perennemente in passivo”.(Sibilla, 2006) Dal 1931 al 1934 è autorizzata la
sospensione dei lavori e il 29 maggio 1935 signor Bernardo Maccioni, decretato liquidatore della
Società Anonima Miniere la Promise, fece domanda di rinuncia allo sfruttamento della stessa al
ministero delle corporazioni. In quella data gli imbocchi Argentiera e San Giacomo sono franati
da tre anni. La galleria San Giorgio è sprangata col legno, per mancanza di pietra nelle vicinanze.
Agli imbocchi San Pietro, San Maurizio, San Alfredo sono murati a secco. Il 24 marzo 1936 la
rinuncia viene accettata per decreto regio.
In questo momento termina il periodo più florido della miniera.
In un rapporto di visita del 1939 c’era una galleria di sfruttamento, per il resto si lavorava quattro
ore al giorno per pompare via l’acqua e per la manutenzione delle gallerie. La laverie è inattiva
dal 1929 i lavori non vennero più ripresi e la miniera fu messa in liquidazione. Nel 1941 il dott.
Rosini Vladimiro fece richiesta di sfruttamento, ottenne con difficoltà, per la presenza di opere
militari di difesa, la concessione il 22 maggio 1942. Dopo 6 anni la miniera fu di nuovo
abbandonata.
Nel 1948 il Consiglio Regionale della Valle d'Aosta ottenne la concessione per lo sfruttamento
delle acque per 99 anni per il pubblico utilizzo71. (Berguerand,2005; Lorenzini 1995; Sibilla 2006
)

71
Non posso non pormi un quesito a cui non ho trovato risposta e che mi è stato proposto anche da una delle
persone che ho intervistato…ma se la miniera uccideva.. l’acqua potabile che arriva da quelle fonti può avere un

77
Il lavoro in miniera aveva evitato a molti l’emigrazione ed era un buon modo per integrare le
entrate. Ma era anche un lavoro per uomini impavidi. Le miniere erano pericolose e malsane.
Per farsi proteggere i minatori si rivolgevano a Santa Barbara, già protettrice degli artificieri e
dei pompieri, la cappella lungo le Vieille Route che va dal Faubourg alla Golette è dedicata a lei
e ha la facciata rivolta verso l’ingresso della miniera. Oltre ai pericoli dei crolli, delle esplosioni
e degli allagamenti c’erano i pericoli silenziosi, le malattie non facilmente identificabili
nell’immediato, ma che riducevano di gran lunga la vita media dei minatori. La miniera del
Promise era particolarmente letale, l'avvelenamento era graduale, le polveri di piombo provocano
il saturnismo72Le ricerche di archivio sono difficili per l'abitudine consolidata di mettere come
primo nome quello di un progenitore, provocando così molti casi di omonimia. Nei libri paga si
usava solo il secondo nome. Erano avviati al lavoro molti giovanissimi per aiutare le famiglie,
ma esisteva già il limite di 14 anni minimo. Chi prendeva meno di cinque lire giornaliere lavorava
fuori dalle gallerie. Il lavoro era diviso per età e per competenze e non vi erano minatori sotto i
21 anni. I primi 20 nomi dell’elenco rappresentano i dipendenti fissi, mentre gli altri lavoravano
solo in inverno prediligendo il lavoro agricolo in estate. Le donne, seppur poche, c’erano e si
occupavano della laveria. Molte delle persone nominate sui libri paga erano manutentori,
manovali e edili. Il salario minimo giornaliero era 0,75 centesimi, il massimo era di 6 lire. 5 lire
erano una bella moneta d’argento. Nei registri degli addetti si possono riconoscere quelli nativi
di La Thuile e quelli che venivano da fuori come A. che veniva da Champorcher e si sposò a la
Thuile, o P. che morì a La Thuile e veniva da Traversella.
Solo gli ultimi dell’elenco dei dipendenti sono valdostani, l’imprenditore era accorto e aveva
assunto manodopera specializzata esperta di miniera per insegnare ai locali il lavoro. Le paghe
erano alte e questo attirò molti operai anche da lontano. Vittorino Paris era stato addetto in ufficio
e geometra, si occupava anche delle triangolazioni di altre ricerche minerarie per la società per
cui lavorava e l’esperienza maturata lo portò a mettersi in proprio dopo la Grande Guerra, sino
ad ottenere la concessione per estrarre l’antracite. Aprì delle gallerie per poi cedere la
concessione alla Cogne, fece ricerche nel vallone del Breuil e per il rame sopra l’orrido di Pré
Saint Didier, che non gli diede la concessione per paura che l’estrazione rovinasse le preziose
acque termali, risorsa economica del paese. Sarà nominato podestà di La Thuile. (museo e
archivio Berguerand, 2021)

nesso con l’alto numero di casi di cancro di cui è vittima il paese. La casistica infatti indurrebbe a una seria ricerca
sull’argomento.
72
il saturnismo è il termine medico che deriva dal termine alchimistico che indicava il piombo. La malattia
colpiva il tubo digerente per ingestione e l’apparato respiratorio per inalazione. Incide su tutti gli organi interni
comprese le ossa e il sistema nervoso. Molti effetti diretti e indiretti spesso letali. Venne riconosciuto come
malattia professionale nel 1929.

78
Con l’avvento del fascismo e dell’autarchia arrivarono anche le restrizioni minerarie. Il
presidente, la maggioranza del consiglio di amministrazione e dei capitali doveva essere italiana.
Le miniere del Promise non rispettano questi criteri i capitali erano forniti dalla banca Rothschild
di Parigi, il consiglio di amministrazione non era italiano, l'unico italiano era il direttore
Bernardo Maccioni giunto a sostituire Milloz nel 1925, Maccioni veniva da Iglesias, dove vi
erano attive miniere con materiale simile alla nostra. Il conte aveva trovato in savoia lo stesso
affioramento, la vena si sviluppa in profondità con andamento serpentino sino ad affiorare a
chilometri di distanza. Era intenzionato ad impiantare un altro sfruttamento visti i buoni risultati
avuti in valle. Ma i problemi politici in Italia lo convinsero ad abbandonare La Thuile e trasferire
ciò che era possibile di macchinari e persone a La Plagne in Francia dove aveva trovato la stessa
vena argentifera. La società neonata prese prima il nome di Penarroya e successivamente Metal
Europ, diventato poi un colosso internazionale73. Il compressore di miniera e la centrale
idroelettrica furono ceduti alla società francese, che dovette smontare i tetti dei camion per
caricarli e trasferirli. A La Thuile restarono le murature, le vasche di decantazione, e le due dune
di inerte acidato accanto alla sponda della Dora Rutor. L’elettricità serviva ad alimentare il
compressore che, per 6 ore al giorno, svuotava la galleria dall’acqua. Tutto fu costruito con pietre
locali legate con la calce, come le abitazioni di La Thuile. Paris con due centrali elettriche portò
poi l’elettricità in paese, una captava l’acqua dalla dora di Verney al Faubourg, era sotto l’albergo
Dora di sua proprietà, la seconda, a valle captava da entrambe le Dore quando si uniscono e
convergono la dora di La Thuile. Quest’ultima è stata rimessa in funzione in tempi recenti. Il
laboratorio di chimica era accanto agli uffici, era in legno. Serviva a stabilire le percentuali di
minerali flottato appena estratti. Era importante per stabilire se le colate in miniera erano
produttive o meno. Il materiale era messo in sacchi da 50 chili con sopra scritte le caratteristiche
del minerale. V. L. era l’addetto, “un personaggio eccentrico, un Pico della Mirandola con una
memoria fuori dal comune e la capacità di apprendere tutto”. Apprese tanto da divenire
responsabile. Divenne poi responsabile anche dell’ufficio anagrafe del paese. Le sue analisi erano
meticolose.
Aristide dal 1926 fu suo aiutante, con documenti falsi per attestare che avesse già 14 anni.
Raccontava che quando una colata di miniera rivelava il materiale i lavori si fermavano, lui veniva
chiamato per raccogliere i campioni da portare con un sacco in laboratorio a spalle. Il minerale
più prezioso era lasciato in loco estratto solo alla chiusura della galleria. I minatori non
procedevano orizzontalmente ma verticalmente, per motivi geologici il materiale era sottoposto
a pressioni e temperature talmente elevate da risultare depurato da ogni altro elemento. Era il
nucleo della montagna. Gli raccontò che c’era una meravigliosa placca di cristalli rimasta nella

73
Queste informazioni le ha avute di prima mano chiacchierando con un ex minatore della Plagne, V. C.. La
miniera fu aperta nel 1930 e lui ci lavorò per tutta la vita, fu attiva fino al 1965 e venne chiusa non per aver
esaurito il suo materiale, ma per non essere di intralcio al nascente turismo con le polveri nocive.

79
galleria chiusa, ma non doveva andare a cercarli, era pericoloso. Un giorno dopo aver portato il
sacco in ufficio il direttore gli mise in tasca dei pezzetti di materiale, dicendogli che li aveva
meritati, sul ponte ebbe voglia di buttarli in Dora per paura che gli bucassero le tasche, ma aveva
paura di essere sgridato. A casa, dopo averli mostrati, li misero con gli altri nel sacco di iuta.
Ho visto i buoni di acquisto per i prodotti necessari al processo. Cianuro, calce, solfato di zinco,
olio di pino. L'olio di pino ingloba con la sua schiuma il minerale che non si bagna e galleggia,
agevolando il trasporto, la calce serviva seguita dal cianuro di sodio per separare la pirite in un
processo denominato alcalinizzazione. L’intero processo non era rischioso perché meccanizzato.
La centrale elettrica Promise è stata rimessa in funzione con la condotta interrata, riducendo
l’impatto ambientale. Nella centrale sono stati sostituiti alcuni infissi e c’è il disegno della
turbina. Il materiale del canale di scarico non è cemento armato, ma un composto di durezza e
resistenza incredibili. (Berguerand, 2008)
La miniera del Promise aveva bisogno di energia elettrica e per questo fu realizzata una centrale
idroelettrica. Era usata solo per alimentare la miniera e le sue pertinenze, il compressore della
galleria ST . Louis e il laboratorio di chimica. La centrale captava l'acqua del torrente Rutor a la
Joux ai piedi dell’ultima cascata, percorreva un breve tratto interrato sotto il villaggio, poi a cielo
aperto sostenuta da piloni o ancorata alla roccia fino al ponte del promise Il paese non aveva
corrente elettrica, nelle case c’era un KW, non c’erano elettrodomestici, solo lampadine e radio.
L'impianto di flottazione è stato fonte di recupero con le dimensioni originarie, ora ha
destinazione industriale, realizzata e utilizzata da una famiglia importante di imprenditori locali.
Le vasche di decantazione sono ora interrate. Sono stati recuperati gli archi e la muratura
originaria. Le due dune acidificate erano vicine alla Dora e furono portate via da un’alluvione
negli anni 70.
ricordo un episodio in cui al pascolo con le mucche della zia, le mucche girano al largo dalle
dune. Dopo 30 anni ancora non cresceva un filo d’erba dove erano stati i depositi.

La costruzione degli uffici non è cambiata nel tempo, ma ha una storia. Acquistata dal direttore
della miniera con i terreni circostanti. L’edificio era stato venduto dal podestà di Morgex nel
1936 per 100.000 lire. Il nuovo proprietario vista la vicinanza con il villaggio dei minatori della
miniera di carbone, con tanti giovani, soli, immigrati senza famiglia, pensò di aprire una casa
chiusa con le signorine, frequentate notte e giorno. La Casa Rosa... fu venduta poi alla curia di
Firenze e cambiando decisamente destinazione d’uso, divenne un albergo a gestione religiosa, il
soggiorno a Firenze, dopo averla imbiancata. (Boscardin,2021)
A La Thuile c’è un piccolo museo, ora chiuso a causa della morte del suo ideatore, Renzino.
Figlio e nipote di minatori ha raccolto nella sua vita tutto ciò che ha trovato sulla miniera, disegni,
progetti, pezzi di materiale, attrezzi da lavoro, ma soprattutto preziosissimi documenti, ordini di
materiale, le assicurazioni dei cavalli per il trasporto del materiale. Il museo dalla sua morte è

80
chiuso, ma il comune di La Thuile, e per la precisione il sindaco, mi hanno concesso di poter
visitare il museo e osservare il materiale. Ho trovato informazioni preziosissime senza le quali
questo capitolo sarebbe stato poco più che un paragrafo. Il nostro Renzino, nel 2007 e nel 2012
si è avventurato con geologi e giornalisti, con i tecnici dell’ufficio cave e miniere valdostano a
vedere lo stato delle gallerie. La Saint Louis era stata riempita con il materiale di risulta dei lavori
dell’epoca di sviluppo turistico. Ha recuperato dei pezzi di materiale. Nella baita di suo nonno
ha trovato l’incudine della fucina e i disegni dei pezzi che costruivano. Nel 1929 a causa della
malattia del padre, che giovanissimo si era unito al nonno nel lavoro alla miniera fece saltare il
loro trasferimento alla nuova miniera in Francia, a quel punto suo nonno iniziò a trasportare il
carbone per la nuova miniera di antracite prendendo in carico 7 cavalli e 7 addetti. Nel 2003
durante l’apertura del suo museo Renzino ha ricevuto anche la visita di un ingegnere minerario
serbo, la dottoressa B. V. che ha visto negli impianti di fluttuazione lo stesso impianto della
miniera serba di Majdanpek su cui aveva fatto la sua tesi di laurea.
Il piccolo museo di Renzino, oltre ad avere una documentazione tecnica della miniera strabiliante,
e vetrinette che custodiscono libri paga, assicurazioni, certificati, ordini di materiale, libretti di
lavoro è anche un angolo di ricordi sentimentali nei confronti di un padre che chiaramente per
lui è un eroe e di cui, attraverso medaglie e documenti, racconta la storia straordinaria…che lo
ammetto mi ha particolarmente colpita, perché io quell’uomo l’ho incontrato mille volte al giorno
per tutta la mia infanzia, era dirimpettaio dei miei nonni e la spesa si faceva nel suo negozietto
di alimentari del paese. Per me era un vecchio zoppo e arcigno, che parlava poco e non sorrideva
mai…che peccato non aver sfidato quel silenzio per raccoglierne le ragioni. Il detto Aristide fu
un personaggio importante per i destini del paese e vale la pena di affidarci al ricordo di suo figlio
e ai cimeli di questo piccolo mausoleo, oltreché dalla voce stessa di Aristide registrata anni or
sono per una ricerca etnografica regionale.
Il nonno di Grato Giuseppe viene assunto nel 1909 come minatore e poi come sorvegliante nelle
miniere del Promise, sposa nel 1911 Maria, nascono Rina Rosa e nel 1911, Aristide 1913 e
Bernardo nel 1914 che però muore dopo pochi giorni. La miniera offriva un'alternativa
all’emigrazione, le paghe erano buone e nel 1912 - 1913 ci lavoravano 60 minatori alcuni giunti
da Traversella dove c’erano altre miniere.
Grato arruolato nel 64 reggimento di marcia 2° compagnia battaglione Salerno, zona di guerra,
ritorna sano e salvo e torna in miniera. Compra la casa che sarà di famiglia per sempre, fino alla
morte degli ultimi discendenti della famiglia. Nel 1920 muore la moglie e si risposa con M.
Claudia il 05/11/1921 ebbe Rosa nel 1922 e Riccardo nel 1923.
Il primo luglio del 1926 Aristide falsificando il libretto che riportava la data di nascita 13/03/1911
anziché il 10/03/1913 per far credere di avere 14 anni e poter essere assunto in miniera, cosa
impossibile sotto i 14 anni viene assunto. Quando Maret chiude per trasferirsi in Francia Aristide
e il papà sono chiamati ad andare a lavorare nella sua miniera in Francia74, le prospettive erano

74
nel museo si vede il passaporto

81
buone, ma Aristide si ammala di pleurite e il padre rinuncia al trasferimento. Non rinuncia a un
progetto però e come mostra un assicurazione conservata lì acquista sette cavalli e si fa assumere
per il trasporto del carbone nella nuova miniera, con sette conducenti a coprire tutti i turni. Anche
i Walser, pur con le dovute differenze culturali si diedero al lavoro in miniera per avere una
stabilità economica slegata dall’emigrazione e dalle stagioni, la scelta viene fatta malvolentieri in
entrambi i casi. L’alternativa ancora era diventare someggiatori lavoro a loro più congeniale,
trasportavano mezzi, uomini, trasportando uomini e merci da sud a Nord da est ad ovest e
viceversa in ogni versante delle alpi, attraverso sentieri che loro conoscevano.
Per le sue attività in miniera gli fu rilasciato l’attestato di fedeltà alla miniera (visto).
negli anni 30-40 , dopo il servizio militare alternò il lavoro in miniera a frequenti richiami militari
nel 4° reggimento alpini di Aosta. Il 30 giugno 1934 ottenne il certificato di tiratore scelto e il 22
gennaio 1936 quello di ski atleta scelto. Nell’agosto del 1939 fu richiamato sotto le armi, nel 1940
cooptato nella I compagnia skiatori del battaglione “Monte Cervino”, un’unità di uomini scelti
composta da soli 240 uomini, che nel corso della II guerra mondiale entrerà nella leggenda del
corpo degli alpini.(L. Cossard, Battaglione sciatori “Monte Cervino” sul fronte greco albanese,
pag. 4)
“L’intera divisione Creta stava per scendere verso Valona tra il Trebescines e lo Scindeli e a
fermarla c’era solo il Cervino!” il Cervino fermò l’intera divisione Creta.
Nel natale 1941, ebbe una licenza natalizia, poi il battaglione fu tradotto a Bari, e imbarcato per
Valona, in navigazione notturna per evitare i siluri. B. A. è catturato nella stessa compagnia ove
vennero catturati e feriti altri 4 ragazzi di La Thuile.. Aristide è disperso, viene comunicato a
Boscardin al comando battaglione che informa il parroco e la famiglia. Gli faranno anche la messa
visto che era dato per morto. Viene internato a Corinto e aspetta di essere rimpatriato, era adibito
a carico e scarico e imparo un po’ 'di greco. C’era poco cibo, era molto magro, deperito. Per
fortuna avendo imparato un po’ di greco lo hanno fatto andare a contare in magazzino e questo
lo ha un po’ risparmiato fisicamente. Erano trattati bene e gli venivano lasciate mangiare le olive.
I prigionieri vennero liberati per l’avanzata tedesca. Riuscì a scrivere a casa per avvisare che stava
tornando. Vomitò il suo primo minestrone caldo buttato giù troppo avidamente perchè ormai gli
si era ristretto lo stomaco.
Al ritorno tornò in miniera e in più si dedicava ai lavori agricoli.
Il 14 Novembre riuscì a comprare in via Addis Abeba (ora via Porte pretoriane) ad Aosta una
radio a onde corte e medie.
Qualche mese dopo l’8 settembre 1943 un gruppo di giovani costituisce la banda partigiana che
si unisce a quelli di Valgrisenche. Nasce la banda partigiana Rutor.

Il mistero

Purtroppo non ho molto da scrivere sul mistero che ho citato nel titolo.
Il primo mistero della miniera riguarda i suoi innumerevoli abbandoni ciclici. Vennero sempre
giustificati come scelta economica per guadagnare di più, ma si accenna sempre anche alla
malattia che lavorare al Promise provocava.
“morivano in fretta"
“Lavoravano due tre anni poi morivano”
“ la pelle si riempiva di pustole”
"l'erba non cresceva neanche dopo 30 anni” [...]

82
Gli accenni abbassando gli occhi in segno di rispetto o il tono della voce che si alza e si spezza,
raccontano la verità che non ha potuto essere scritta fino all’arrivo della scienza. La miniera del
Promise come accennato provocava il saturnismo. Gli operai del Promise morivano in poco
tempo tre, quattro anni…questo dato se incrociato alle vicissitudini amministrative di inizio
sfruttamento e successivo abbandono dà un importante indizio sulle motivazioni che portavano
così spesso, alla chiusura del giacimento, nonostante il materiale sia ancora, in linea teorica
sfruttabile. Il problema era che il guadagno garantito dalle esigue quantità di materiale estratto,
unite ai costi di trasporto e lavorazione, ma soprattutto ai costi in termini di vite umane, non
valeva l'investimento e andava perennemente in perdita.
Ma c’è un mistero di più difficile interpretazione perché, pur essendo una voce di popolo
importante tra i miei intervistati, non ha trovato riscontri nella documentazione, che uno di loro
dice di aver trovato e di possedere e che però non ha saputo reperire in questa occasione. Insieme
al piombo argentifero si estraeva la pechblenda. La pechblenda è un minerale radioattivo e una
delle principali fonti naturali di uranio. Marie Curie dedicò la sua vita all'isolamento e alla
concentrazione del radio e del polonio, presenti in piccolissime quantità nella pechblenda. I
coniugi Curie, nel corso dei loro studi, notarono che alcuni campioni erano più radioattivi di
quanto lo sarebbero stati se costituiti di uranio puro; ciò implicava che nella pechblenda fossero
presenti altri elementi. Decisero così di esaminare tonnellate di pechblenda riuscendo così, nel
luglio del 1898, ad isolare una piccola quantità di un nuovo elemento dalle caratteristiche simili
al tellurio e 330 volte più radioattivo dell'uranio che fu chiamato polonio in onore del paese della
scienziata.
La voce di paese riguarda per l’appunto madame Curie. Si pensa infatti che seppure la maggior
parte del materiale che esaminava provenisse dalla sua nativa Polonia, ne ricevesse in realtà
anche da altri luoghi europei, per non rischiare di rimanere senza a causa delle vicissitudini
politiche del suo paese. Un solo dato storico documentato prova la possibilità che questo sia vero.
Marie Curie intraprese un viaggio di lavoro di tre settimane nell'agosto del '18, pochi mesi prima
della fine della prima guerra mondiale, a Pisa e nella penisola italiana. Invitata dal governo
italiano, allora presieduto da Vittorio Emanuele Orlando.
“Allo stato italiano, - scrive il chimico Gianni Fochi della Normale di Pisa, - premeva accertare
la possibilità di estrarre dal nostro territorio il radio e la sua 'emanazione', cioè il gas radioattivo
che oggi conosciamo col nome di radon.”
Giunta a Pisa il 31 luglio, fu accolta dal chimico Camillo Porlezza, con cui viaggiò in Italia
cercando materiale radioattivo. Gli interessi dietro questo viaggio erano diversi per la scienziata
che cercava materiale per continuare i suoi studi in ambito medico e per chi l’aveva invitata, più
indirizzato agli usi miracolosi che si ipotizzavano per i materiali radioattivi. Lei seguì il lavoro

83
molto seriamente, concedendosi poche distrazioni e disse che avrebbe fatto la turista in un altra
occasione. Fece sicuramente almeno un altro viaggio in Italia, ma non ufficiale.
Le persone da me intervistate sostengono che la Pechblenda estratta a La Thuile fosse destinata,
una volta caricata sui camion della società francese, ai laboratori di Marie Curie a Parigi. Le
gallerie oggi sono sigillate per la loro pericolosità, oltre ad essere allagate, le onde hertziane
scompaiono dopo pochi metri, non sarebbe quindi possibile rintracciare nessuno…
Avrei voluto trovare una spiegazione o documentazione storica sulla pechblenda di Marie Curie,
ma nonostante un'intensa ricerca non ho trovato nulla di certo, resterà un mistero sperando che
un giorno una risposta non sia deludente come il passaggio di Annibale.

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1.2. L'acciaieria Cogne di Aosta e il suo
sistema integrato

Capitolo 1: La Cogne e l’industrializzazione della miniera

La Cogne75, come viene brevemente chiamata in città, ha ricoperto e ricopre tuttora un ruolo socio-
economico di prima importanza non solo ad Aosta, ma in tutta la regione. La fabbrica ha costruito
un quartiere, che ancora oggi porta il suo nome, per i lavoratori, oggi vittima di un certo degrado e
abbandono nonostante il valore storico.
Dalla sua espansione negli anni 30, passando al nuovo contesto europeo del dopoguerra, oggi si
inserisce nelle sfide globali e resta centrale nell’economia valdostana. Gli impianti idroelettrici
che dalle vallate producevano energia per la fabbrica e che oggi sono restate in eredità alla società

75
La Cogne Acciai Speciali S.p.A. è leader mondiale nella produzione di acciai inossidabili lunghi e leghe
nichel,ha sede ad Aosta e occupa 1000 dipendenti.

89
valdostana, con la CVA76 , sono un esempio dell’eredità lasciata sul territorio dalla Cogne.
L’acqua che scende dai ghiacciai, è stata il primo motore dell’industrializzazione della Valle
D'Aosta.
La Cogne è stata ed è “la fabbrica” di Aosta. Tra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900 l’industria
idroelettrica fornisce l’energia elettrica al nascente triangolo industriale del nord Italia, permettendo
inoltre l’insediamento di alcune industrie che segneranno per quasi un secolo la vita della regione.
La sirena della Cogne ha regolato la vita quotidiana degli aostani fino agli ultimi anni del XX secolo.
La fabbrica è, a ragione, considerata come una produttrice di ricchezza per la città portando un
nuovo modello di sviluppo socio-economico. (Busatto, 2018) Con gli aspetti negativi e positivi
conseguenti, la Cogne ha segnato la storia contemporanea della Valle d'Aosta determinando le
profonde mutazioni che hanno accompagnato, nel corso del XX secolo una società essenzialmente
agricola, seppure di forte tradizione siderurgica, verso una nuova identità e centralità nel contesto
europeo, scardinandola dai suoi valori tradizionali.(Peirano, 1994-1995)
La fine dell’800 e l’ingresso nello stato italiano unitario hanno messo in difficoltà l’economia
valdostana come già visto nei capitoli sul Colle del Piccolo San Bernardo e per La Thuile.
Il Sindaco e i politici di Aosta, lamentano la mancanza di vie di comunicazione e il conseguente
isolamento economico, le piccole società minerarie vengono schiacciate dal mercato internazionale,
la popolazione scappa, abbandona le valli me anche la Valle, tanto che sulle porte di alcuni
tabacchini di paese è comune vedere appesi gli orari dei transatlantici come quelli dei treni. Saranno
molti i valdostani a emigrare in quegli anni, verso le miniere dei Paesi Bassi e verso gli Stati Uniti77.
L’apice della crisi viene raggiunto nel 1911 quando Aosta raggiunge i 7008 abitanti, in gran parte
valdostani questo avviene dopo anni di drammatica crisi per l’economia valdostana.
La miniera di Cogne, nota dai tempi dei romani, era in declino, quando agli inizi del XX secolo, ed
era stata ceduta dal Comune di Cogne il 28 dicembre 1901 ai belgi Alfred Theis e al conte Charles
van der Straten Pouthoz che crearono la società Miniere di Cogne, viene acquistata dalla Ansaldo
per rifornire di minerale l’acciaieria. Gli immigrati che avevano lavorato in precedenza in altre
miniere hanno sottolineato nelle loro testimonianze l’arretratezza dei sistemi di estrazione nella
miniera valdostana e la scarsa sicurezza per i minatori…come un fazzoletto davanti alla bocca a
protezione della polvere.

76
Compagnia Valdostana delle Acque - CVA S.p.A. a s.u. è un'azienda italiana che opera nel settore della
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. È posseduta al 100% da Finaosta, la società finanziaria della
valle d’Aosta.
77
Il 12 maggio 1900 le cronache riportano l’arresto di un belga e un savoiardo che arruolano ragazzi e ragazze
valdostani per portarli in Francia clandestinamente, facendoli passare dal belgio per ottenere i passaporti, i giornali
dell’epoca li definirono “negozianti di carne umana”. sempre secondo la stampa dell’epoca non era la prima volta
che venivani sottratti giovani valdostani alle famiglie con la promessa di vitto e alloggio e qualche soldo.

90
Il 2 gennaio 1909 viene costituita la Società Anonima Miniere di Cogne, dopo varie vicissitudini di
vendite e acquisto delle concessioni dal 1898.
Le perforazioni fatte per la società dalla società svedese Svenska Diamart Bergborrnings
Aktienbolaget valutava il giacimento di Cogne in cinque milioni di tonnellate. Per l’ingegner Stella
che fece le valutazioni per il Regio Corpo delle Miniere erano in realtà otto milioni.
Il primo presidente dell’Ansaldo, Bombrini si pose il problema del trasporto del materiale dai 2500
metri di Cogne ad Aosta dove si voleva impiantare la fonderia. Furono i fratelli Perrone, in visita
anni dopo a pensare ad una galleria con un sistema di teleferiche sotto il colle del Drinc, alle Eaux-
Froides. Morto Ferdinando Maria Perrone78, nel 1908 i figli Pio e Mario prendono la testa
dell’Ansaldo e iniziano a dar corpo alla nuova politica industriale del gruppo, che era chiamato
Sistema Verticale a ciclo completo, un sogno industriale. L’Italia con la guerra aveva mostrato le
contraddizioni dell’industria incerta tra rifusione del rottame e ciclo integrale. Nel 1916 la guerra
ha dato un grandissimo impulso allo sviluppo siderurgico, arrivavano commesse e iniezioni di
liquidità, i fratelli Perrone allora proprietari dell’Ansaldo di Genova sognano l’acciaieria integrata,
e per questo investono sulle miniere valdostane rilevandole e sulla fabbrica della Cogne, il sogno è
un grande impero industriale, una Ruhr italiana dal mare alle alpi. Nel 1916 iniziano i lavori. Lo
scopo era produrre sia ghise di qualità sia buoni acciai comuni per i cantieri navali a Sestri.
Nel 1916 l’impianto idroelettrico di Aymavilles è già in funzione.
Lo sfruttamento delle miniere di ferro Liconi di Cogne e di quella di carbone di La Thuile hanno
fornito ferro e carbone all’acciaieria di Aosta, materia prima per una produzione siderurgica di
importanza nazionale. L’acciaieria Cogne non avrebbe potuto esistere senza la miniera di Liconi
nella valle di Cogne, nota precedentemente per un sistema di collettivismo messo in atto sotto
l’impulso del dottor Grappein79, che riserva lo sfruttamento della miniera ai soli abitanti di Cogne.
Il progetto però si scontra con le prime difficoltà quando il carbone di Cogne si rivela inadatto alla
combustione negli altiforni costruiti nell’acciaieria, la composizione che lo rendeva prezioso
rendeva anche inutilizzabile, vengono allora costruiti altri due altiforni con la previsione di

78
Entra nella società Ansaldo nel 1902, diventandone unico proprietario due anni dopo. Egli perseguì - in una
maniera assolutamente originale per l'epoca - l'obiettivo della completa autonomia produttiva sia in campo
siderurgico, sia in quello degli armamenti che proprio in quegli anni diventano la principale attività dell'azienda
genovese.
79
Grappein portò avanti il tentativo innovativo e per l’epoca rivoluzionario della gestione comunitaria della
miniera di Cogne. Nato a Cogne il 22 aprile 1772, César Emmanuel Grappein, dopo aver intrapreso e abbandonato
gli studi teologici, consegue a Torino nel 1804 la laurea in medicina. Tornato a Cogne si dedica alla guida
dell’amministrazione, spinto dalle idee illuministe e rivoluzionarie e fermamente convinto che i suoi concittadini
siano in grado di gestire in proprio l’attività mineraria sotto la guida dell’amministrazione comunale mette in atto
una gestione utopica delle miniere da cui esclude qualsiasi fattore esterno dando lavoro alla popolazione del paese
e occupandosi della lotta alla povertà attraverso l’educazione, la gestione autonoma della miniera e di tutti i lavori
ad essa connessi, preoccupandosi di trovare soluzioni al trasporto del materiale e dell’ottimizzazione
dell’agricoltura.

91
alimentarli con il coke80 estratto dalla miniera di La Thuile da loro acquistata. Ma il coke risulta di
difficile utilizzazione per problemi di limiti tecnici all’estrazione e il moltiplicarsi di concessioni
date al momento di maggior espansione che estendono troppo l’area di estrazione e ricerca
incappando anche in zone di qualità inferiore. Si tratta di un momento con una difficile congiuntura
per l’Ansaldo, il trasporto marittimo è insicuro, la Svezia, che è una fetta importante del mercato
per le importazioni si è dichiarata neutrale, di fatto isolandosi, sono stati creati i primi trust
siderurgici che nei primi decenni del secolo detenevano il monopolio nel campo delle costruzioni
navali, meccaniche e di artiglieria. L’Inghilterra esportava carbone, ma aveva poche risorse di
minerale di ferro che quindi importava, questo problema le consentiva però di ottimizzare i viaggi
a vantaggio dei prezzi pagati per il noleggio dei moli. L’Inghilterra era poco ricca di minerali, ma
ne aveva grandi quantità a costi bassi grazie alle colonie. Le acciaierie di Cornigliano sono la
struttura portante del sistema ansaldino. I fratelli Perrone iniziarono a guardare alle risorse idriche
e minerarie in Italia in primis in Valle d'Aosta. L’energia elettrica aveva un’importanza enorme. Il
loro progetto era unire le reti valdostane a quelle elettriche piemontesi di Negri, vendere energia sul
mercato ligure e piemontese, fornire ai progettati impianti in Valle d’Aosta energia a un prezzo
irrisorio. questo era il piano dei Perrone. Bisognava percorrere quella strada in fretta.
il programma di lavoro in Valle d’Aosta non l’abbiamo creato noi , ce lo ha imposto la natura stessa
con le sue risorse prodigiosamente accumulate su quei monti eccelsi.
Parole con cui Pio e Mario Perrone descrissero l’avvio dei lavori in Valle d’Aosta
Il piano dei Perrone aveva tre punti fondamentali:
● Produzione di ghise81 in altiforni elettrici con il minerale purissimo della miniera di
magnetite di Cogne. Per rispondere alla crescente domanda interna di ghise di alta qualità.
● Impianto di un'industria per la produzione di acciai al forno elettrico destinata al riutilizzo
dei rottami.
● Costruzione di impianti idroelettrici che avrebbero consentito lo sviluppo in valle di una
moderna industria elettrosiderurgica.
Per il programma grandioso di impianti modernissimi “che il visitatore sorpreso e compiaciuto
ammira nella cerchia valdostana di alti monti e ghiacciai perenni”, le miniere di Cogne sono
l'elemento chiave, ecco perché tutto prenderà il nome di quella località. Ma non è il solo cardine
del progetto. Il complesso delle industrie minero-siderurgiche dell’Ansaldo rientrava in un più
vasto programma di relazioni industriali su cui poggiava il sistema verticale. Il ciclo era:
Estrazione dei materiali, sfruttamento risorse idriche, per arrivare a sfornare navi complete fino

80
Residuo ottenuto dalla distillazione del carbon fossile, usato come combustibile.
81
La Ghisa che nell’800 veniva chiamata anche ferraccio, per la qualità inferiore rispetto all’acciaio è una lega
ferrosa costituita principalmente di ferro e carbonio, ottenuta dalla riduzione o trattamento a caldo dei minerali
ferrosi.

92
agli armamenti. Questi impianti furono e rimangono un raro esempio di siderurgia integrale nel
panorama italiano per l'acciaio, collocata in una regione alpina, con condizioni climatiche difficili
e inclementi e in un tessuto urbano di dimensioni irrisorie. Ma sono anche un esempio negativo
di rischio industriale per un programma ambizioso che comprendeva:
● due gruppi di miniere
● due villaggi minerari
● una fonderia di ghisa
● un'acciaieria un villaggio operaio per 240 famiglie
● infrastrutture idroelettriche e ferroviarie e di ogni altro genere necessario.
Nel 1921 inizia la fase di liquidazione dell’Ansaldo. Nel 1922 Stringher, il direttore della Banca
d'Italia convoca il Credito Italiano e la Banca Commerciale per salvarla, ma le due banche
rifiutarono. Allora il direttore chiese aiuto al CSV82. Intervenne il governo Mussolini per salvare
l’azienda e presero vita la Ansaldo S.A. e la Ansaldo -Cogne per gli impianti minerari idroelettrici
e siderurgici in Valle d'Aosta. L’Ansaldo-Aosta aveva una buona quantità di liquidi e si unì al
gruppo svizzero Girod, nacque la S.A. Acciaieria Cogne-Girod con un nuovo indirizzo tecnico e
produttivo. Il quesito di base restava però sempre lo stesso: quali erano le migliori produzioni
possibili e come andava gestito un grande impianto in un'area alpina sperduta. Non si sa se le
difficoltà a ridurre il materiale fossero superabili o meno e a quali costi, ma un errore enorme in
tutta la progettazione ha quasi dell’incredibile.
Tutto si basava su l'antracite di la Thuile, il ferro veniva da Cogne, la calce dalle cave di Pompiod,
il carbone per far funzionare l'acciaieria da La Thuile. Ma l’antracite di La Thuile ha un altissimo
tenore di cenere e non cokifica83. Questo la rendeva inutilizzabile per l’altoforno. In tutta la
progettazione portata avanti per anni da persone e aziende diverse, nessuno aveva mai sperimentato
il carbone su cui si basava tutto.
L’insediamento nel corso della prima Guerra Mondiale dell'acciaieria del gruppo Ansaldo ad Aosta
è stata una rivoluzione per la Valle, ha consentito l’insediamento di altre piccole e medie industrie
lungo l’asse centrale della valle. Il problema della siderurgia italiana è il dilemma di scegliere se
prendere il materiale dal minerale o dai rottami. La ghisa si ottiene solo dal minerale, è un passaggio
della lavorazione, in Italia se ne produce poca, si produce più acciaio perchè si rifonde il materiale.
Nell’età Giolittiana aumentano più o meno allo stesso livello. Gli stabilimenti erano quelli di
bagnoli, piombino, Portoferraio. Oscar Sinigaglia immagina un trust siderurgico completo. Un
primo trust siderurgico (1903 - 1905) condizionò la siderurgia alla base. Sinigaglia era critico nei

82
consorzio sovvenzioni su valori industriali.
83
Processo industriale mediante il quale i carboni fossili vengono riscaldati in recipienti fuori del contatto dell'aria
in modo da ottenere come residuo il coke.

93
confronti dell’era Giolittiana in cui vedeva corruzione e errori tecnici, ma non è discutibile il grande
sviluppo raggiunto.
Durante la prima Guerra Mondiale si punta sempre più al modello del riciclo dei rottami, perché
mancano il coke, e il carbone mentre c’è grande disponibilità di residui bellici . Il governo peggiorò
ulteriormente la questione mettendo un tetto al prezzo dei rottami bellici molto basso per evitare
speculazioni, fissandolo a un prezzo 4 volte inferiore rispetto a quello della ghisa e incentivando
così il mercato del rottame. Alla fine della guerra uno schieramento di industrie che saranno note
negli anni seguenti (la Falck, la Fiat e la Breda) trassero vantaggio nella produzione da rottami, con
la convinzione che fosse la miglior siderurgia per l’ Italia. La crisi del dopoguerra blocca il progetto
dell’Ansaldo. Anni dopo Rocca disse che di per sé l'impostazione era razionale e forse anche
economica. La capacità produttiva della ghisa resta ancorata ai livelli prebellici e in più si
consolidano sotto un unico tetto societario delle imprese che avevano formato il consorzio nel 1911.
Bagnoli, Piombino, Portoferraio, Savona, Sestri, San Giovanni Valdarno, Torre Annunziata dal
1938 diventano tutti ILVA, dal nome antico dell’Isola d'Elba da cui avevano cominciato l’estrazione
del ferro nel 1800. Grandi programmi vengono avviati contemporaneamente dall'Ilva e dall’Ansaldo
per il rilancio della siderurgia integrale.
Nel 1921- 1922 vi è una crisi di riconversione e il crollo dei due complessi industriali simbolo dello
sviluppo degli anni di guerra, che interrompono bruscamente i due programmi di sviluppo.
Un ultimo tentativo nel 1922 viene attuato da Giolitti con nuove tariffe doganali a favore della ghisa
ma non bastò. Le richieste del mercato internazionale alterate dai trattati di Versailles, la politica
economica interna, le vicende private delle imprese del settore dell'industria pongono l’Italia in una
delle più complesse congiunture dell’economia mondiale. Il trend discendente unito alle
oscillazioni dei livelli produttivi e delle vendite, l'eccesso di capacità produttiva, la forte instabilità
dei prezzi rendono inutili i tentativi di controllo dei cartelli internazionali il primo dei quali data
1926.
Per l’Italia, arrivata in ritardo rispetto agli altri paesi la situazione era ancora più complessa.
Permane il problema ideologico, se per gli altri paesi il mercato dei rottami è una buona soluzione
temporanea, per l'Italia, a causa delle scarsità di risorse, è una buona soluzione su cui strutturare il
settore. La politica liberista del primo governo Mussolini nel 1923 riduce e quasi cancella il dazio
sulla ghisa e si dichiarano esenti i rottami dai dazi. Nel 1925 si abbassò il limite di escavazione del
minerale del ferro elbano, vengono liberalizzate le esportazioni di ghisa in Francia in cambio di
importazioni di rottami , non ci sono commesse statali come ferrovie e cantieri.
Per tutta la prima metà degli anni ‘20 la politica economica italiana fu improntata al produttivismo
e risanamento di bilancio. Solo nel 1926- 1927 vi fu una ripresa, ricominciarono ad esserci
commesse statali, ma il loro scopo era la stabilità sociale e il consenso al regime, non il risanamento

94
dell'industria. La forza espansiva della siderurgia padana e la sua capacità di adeguarsi al mercato,
metterà in secondo piano quella tirrenica e le zone al di fuori dall’industria del riciclo, la Fiat e la
Falck negli anni 30 controllavano quasi un quarto del mercato siderurgico nazionale, grazie alla
capacità di management, all’appoggio da parte del regime, all’utilizzo di tecniche avanzate, come
l'elettro siderurgia e alla capacità di contrattazione delle quote di mercato nei consorzi di vendita o
restandone fuori se questo sembrava più utile. I consorzi saranno obbligatori e totalitari solo negli
anni ‘30. L’ILVA è l’altra faccia dello sviluppo del settore. Negli anni ‘20 e ‘30 è la maggiore
impresa siderurgica italiana a cui fanno capo gli stabilimenti che producono ghisa e esclusa la Aosta-
Cogne che è della Ansaldo. L’ILVA è rassegnata e attua solo politiche di routine e si lancia nel
modello dei concorrenti per evitare il fallimento. Quando sarà il momento di programmare la
riforma e il rilancio del ciclo integrale lo si farà contro il suo stesso gruppo dirigente svuotato di
mentalità tecnico imprenditoriale.
Saranno anni di grande crisi, e di un orientamento statale che mette le mani sulle imprese oltre il 50
percento del patrimonio siderurgico passa sotto il controllo dell'IRIS.
Iniziative e studi che per riportare in alto la siderurgia italiana gruppo di imprenditori e tecnici con
fiducia nel poter portare l’industria metallurgica a livello europeo.
Tra di loro c’è Oscar Sinigaglia84 che tra il 1932 e il 1935 tenta un primo tentativo di ripresa dall’Ilva
fallito per l’opposizione del gruppo dirigente e per la scarsa adesione al programma da parte del
regime. Ma i tecnici dell’Iri che condividono le idee di Sinigaglia, capiscono che la riforma
siderurgica si può fare solo con l’alleanza e il pieno sostegno del potere politico, quindi l’obiettivo
dell’ IRI era far apparire i propri obiettivi come consoni alla politica economica del
regime.(Binel,1997; Binel,1985)

84
Estromesso nel 1938 a causa delle leggi razziali, in quanto ebreo.

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Capitolo 2: La Cogne e la guerra

Alla vigilia della II Guerra Mondiale l’Italia produce poco rispetto alle economie di più antica
industrializzazione, 2 milioni di tonnellate di acciaio e 1 milione di ghisa, nel 1938 un italiano
consumava meno della metà dell’acciaio di un francese , 4 volte meno di un inglese e di un tedesco
e sei volte meno di uno statunitense. L’IRI stimò 300 milioni di debiti , ma la Colognesi assicurò
importanti forniture di proiettili. In quegli anni così incerti era fondamentale per il regime e le sue
prospettive avere produttori in grado di fornire acciaio, alla base della produzione per la difesa
nazionale. Con le operazioni di controllo azionario per il risanamento bancario la Terni, l’Ansaldo
- Cogne vennero a trovarsi sotto il controllo dello stato, le necessità dello stato in questo caso si
unirono alla necessità della Cogne. Il 21 settembre 1934 nacque la SIAC società italiana acciaierie
Cornigliano-Cogne. L’acciaieria è stata anche oggetto da parte del regime fascista del primo
salvataggio di stato di un’industria attraverso il sistema delle partecipazioni statali per evitarne la
chiusura.
A ricordarlo il documentario di Marco Elter( Elter 1938), regista fratello del capo delle miniere a
Cogne con una qualità che in quegli anni è pari a quella americana e britannica, Miniere e acciaierie
che conclude con la celebrazione della potenza militare del regime fascista: navi da guerra, armi,
carri armati, cannoni aerei e trattori. Potenza inadeguata nel secondo conflitto mondiale. Nel 1936
nel discorso al Campidoglio Mussolini dà avvio alla politica dell’autarchia, è l’occasione per
rimettere in campo le idee di Sinigaglia, l’artefice sarà Agostino Rocca che alle idee di Sinigaglia
aggiunse la sua convinzione della necessità di costruire un impianto ex novo. Serve una rottura degli
equilibri tecnico produttivi e di mercato. L'impianto a ciclo integrale deve essere vicino al mare,
vicino alle risorse estrattive e vicino al mercato che si sceglie. Viene scelto Cornigliano. Nonostante
le resistenze si lavorò sul concetto di autarchia per puntare al minerale e nel 1938 il progetto di
Cornigliano a Genova va finalmente in porto con la solennità tipica del regime e il duce che tiene a
battesimo lo stabilimento per la posa della la prima pietra.
La legge di attuazione dell’autarchia n. 190 del 1939, stabilisce che tutti gli incrementi di produzione
oltre il minimo nazionale di 2,5 milioni di tonnellate di acciaio, debba venire da impianti a ciclo
integrale, la riforma siderurgica a questo punto è fatta. Ma inizia la Seconda Guerra Mondiale.
Bisogna produrre molto e produrre più in fretta, bisogna produrre subito…e allora l’industria del
rottame vince di nuovo con uno schiacciante vantaggio. Del progetto non resterà nulla e Cornigliano
diventerà il simbolo del fallimento, smantellato dai tedeschi senza aver mai funzionato.
Intanto Aosta è diventata una piccola capitale dell’acciaio, in un censimento del 1936 ad Aosta ci
sono 16130 abitanti mentre nel 1937 sono 24286. Tra il 1924 e il 1927 l’aumento degli affitti è del

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66 per cento. Il primo giugno 1938 viene presentato uno studio sulle pessime condizioni delle case
ad Aosta, l’11 marzo viene fondato l’Istituto Fascista Autonomo per le case popolari di cui fa parte
anche Olivetti istituito per garantire agli operai case sane, pulite, decorose, serene e prolifiche alle
famiglie operaie. Fra il 1939 e il 1943 viene costruito il quartiere delle popolarissime case Costanzo
Ciano con 228 alloggi. Il 6 dicembre 1926 Aosta diviene capoluogo ,vi si installano tre grandi
banche. Tra il 1930 e il 1939 vengono costruiti il palazzo di giustizia, il palazzo provinciale e le
caserme. Le caserme sono poste in modo strategico appena fuori dal centro cittadino a formare due
ali intorno al nascente quartiere operaio, sul terzo fianco c’è la polveriera militare e a Sud il quartiere
è chiuso dalla scuola delle sorelle di Maria ausiliatrice chiamate a occuparsi dei bambini del
quartiere operaio. Dalle schede degli operai si nota anche che la composizione delle famiglie tende
a diventare tipicamente operaia, con nuclei di tre quattro persone ( non servono più molti figli per
lavorare nei campi), indipendentemente dalla loro appartenenza alla popolazione immigrata o
valdostana. (Binel,1997)
Già i Perrone avevano pensato ad una ferrovia, ipotizzando un collegamento con la Francia: inizia
la costruzione dell’Aosta-Prè Saint Didier, un'opera rapidissima inaugurata in soli due anni nel 1928,
nonostante sia interamente composta di ponti e gallerie. Fu poi acquistata dalle FS nel 1930. Una
ferrovia a scartamento ridotto e una teleferica portavano il materiale dalle gallerie alla ferrovia a
Morgex, per poi andare allo stabilimento ad Aosta. La costruzione della ferrovia, per un valore di
70 milioni di lire, contribuì al dissesto finanziario dell’Ansaldo che aveva preventivato 42 milioni
di cui 34 milioni dovevano essere coperti da contributi statali. Nel 1931 fu rilevata dalle FS per 80
milioni. I numeri in questo caso sono interessanti per il divario tra l’impegno profuso e la spesa
rispetto alla reale necessità e utilità di tale impresa.
Nel 1942, negli ultimi mesi la direzione viene trasferita ad Aosta, al sicuro dai bombardamenti
alleati.
Il primo marzo 1943 vi fu una riunione dei direttori generali sul morale degli operai, erano state
ritrovate scritte sovversive sui muri di vari stabilimenti, si respirava aria sovversiva. L’A.D. decide
di dare ascolto alle istanze degli operai per evitare di alimentare i malcontenti e cerca di ascoltare i
loro problemi. Si scoprì che molte assenze erano dovute alla mancanza di copertoni delle biciclette.
Le biciclette erano il mezzo di trasporto comune agli operai, e molti venivano dai paesi limitrofi
dove avevano anche la campagna e il tragitto era troppo lungo a piedi. Mancava il cuoio per riparare
le scarpe e allora si decise di istituire un servizio di calzolaio interno all’acciaieria. Come la Olivetti
di Ivrea anche la Cogne creò un’azienda agricola di dimensioni sufficienti per poter dare agli operai
i prodotti essenziali per le mense, assicurando loro un pasto decente almeno in turno. Chiesero
persino consiglio a Olivetti e alla Chatillon, altra azienda che si impegnò in questo senso.

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Elter il direttore delle miniere di Cogne parla positivamente dell’allevamento di ovini a Cogne, pur
annotando qualche difficoltà con i guardiaparco. Si acquistarono 8000 metri quadri di terreno per
creare orti di guerra per gli operai, furono confiscati tutti i terreni incolti e dati alla famiglie di operai.
Mancavano bici, gomma, scarpe, pane cibo e operai. Troppe maestranze erano state assorbite dalle
forze armate. La fabbrica e le sue miniere erano state mobilitate per lo sforzo bellico, e le maestranze
dovevano seguire severe restrizioni per non essere puniti o mandati al fronte.
L’8 settembre del 43 vi è una svolta nei rapporti interni alla fabbrica, si registrano in massa assenze
ingiustificate e prolungate, vengono cercati gli agitatori e si compilano le liste degli indesiderati, il
6 ottobre i tedeschi assumono il controllo degli stabilimenti aostani anche fisicamente. Fino
all’aprile del 45 gli avvenimenti politici soverchiano quelli economici. Nella S.A.N. Cogne per
evitare disordini furono designate alcune persone ritenute indesiderabili, evitando ogni reazione
contro esponenti del passato regime. Con l'estate inizia lo sbarco in Sicilia, la società perde i contatti
con i suoi uffici da Roma in giù, le forze armate sono disciolte ,i magazzini militari vengono
saccheggiati e un operaio siderurgico viene ucciso. Dopo lo sbandamento di Settembre il 5 e 6
ottobre, visto il buon funzionamento dello stabilimento, le truppe tedesche ne presero il controllo,
La Cogne divenne stabilimento protetto dal Reichsminister für rüstung und kriegs produktions e gli
operai lavoreranno sotto il costante pattugliamento dei soldati tedeschi. 14 soldati presidiano la
fabbrica. Il 6 dicembre 1943 firmata la convenzione con le UCS tedesca per disciplinare le vendite
della Cogne senza interferire con le vendite delle industrie tedesche. Tutto il 1945 intreccio di
attività con la UCS e dalle attività militari e partigiane e di sabotaggio da parte della SAP, squadra
di azione patriottica.
Il 2 luglio 1944 le bande partigiane di Cogne fondano la Repubblica di Cogne. L’ingegnere Elter a
capo delle miniere di Cogne ottiene che i tedeschi non attacchino i partigiani in cambio dell’impegno
da parte dei minatori di proseguire il lavoro in miniera per rifornire l’industria bellica aostana. A
queste condizioni i partigiani riescono ad avere un’isola di sicurezza e trasferiscono a Cogne la sede
del comando partigiano e il tribunale presieduto dall’avvocato Chabod. Come in molte occasioni
persone che ricoprivano un ruolo chiave nei rapporti con gli occupanti sono riuscite con
lungimiranza ad utilizzare il loro vantaggio dell’essere utili appunto per salvare molte vite. Da quel
luogo sicuro la Resistenza si organizza e durante l'estate riesce a prendere il controllo di quasi tutte
le valli escluse Aosta, il fondo valle e Courmayeur e La Thuile occupate dai fascisti.
Il 6-7 agosto 1944 tutte le squadre partigiane della media valle partecipano a un sabotaggio che
blocca la statale per Aosta e alla distruzione di più punti della ferrovia. Vi furono scioperi per tutto
il 1944 in tutto il nord.
Il 26 Gennaio 1945 si consuma l’evento più drammatico per la fabbrica e per la regione.

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Una colonna di 51 operai della Cogne viene precettata per portare vettovaglie agli alpini della RSI
che presidiano le postazioni del Col du Mont, postazione fondamentale insieme al Piccolo San
Bernardo. Gli operai protestano, tutti dicono di aspettare, le condizioni meteo sono avverse, i
montanari sanno esattamente cosa succederà , non hanno dubbi sul fatto che li stanno mandando a
morire. Partono sotto minaccia, e con la tristezza dei condannati. Moriranno 36 di loro sono una
troppo annunciata slavina.
Il primo febbraio del 1945 gli operai della Cogne forse ancora scioccati per la perdita dei compagni
sfidano le minacce e scioperano. Il 23 aprile si tenne una riunione, come se nulla stesse accadendo
il 24 iniziò l'offensiva e il 28 i partigiani entrarono ad Aosta.
Sarebbe fuori tema dilungarmi sulle complesse vicissitudini della Valle d’Aosta durante la guerra,
mi sono quindi soffermata su ciò che era strettamente legato alla Cogne. Proprio quando, di nuovo,
il progetto della siderurgia integrata poteva prendere forma la guerra lo ha di nuovo fermato. Dopo
la guerra ci si ritrova nella situazione a lei precedente. I dilemmi italiani continuano tra liberismo
economico e economia di mercato e rilancio della siderurgia integrale.
Dopo il 1945 Sinigaglia viene chiamato alla presidenza della Finsider, del gruppo IRI85 e gettò le
basi per riorganizzare la siderurgia italiana con la ricostruzione di Cornigliano e l’integrazione
verticale di Piombino e Bagnoli. Il piano viene approvato nel 1948. Viene messo in attuazione il
piano degli anni trenta.

85
(istituto per la ricostruzione industriale), divisa in quattro sotto società di gestione:
●Stet , per le società telefoniche;
●Finmare , per le società di navigazione;
●Finsider, per le società siderurgiche; deteneva il 43 percento della produzione di ghisa, acciaio, laminati

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Capitolo 3: La Cogne oggi in breve e osservazioni

Negli anni 70-80 la fabbrica vive la tormentata vicenda delle partecipazioni statali, condividendone
il travaglio che si concluse con la liquidazione della Egan e poi della Finsider.
La Cogne approda all’ora al gruppo ILVA. Negli anni successivi si affacciano sul mercato nuovi
produttori dall’estremo oriente. L’Ilva è il maggior produttore italiano e subisce un
ridimensionamento. A inizio degli anni ‘90 sono necessarie pesanti ristrutturazioni dell’Ilva, che si
concentra sugli acciai piani, mentre la Cogne è specializzata negli acciai lunghi e nonostante una
riconosciuta validità del prodotto rischia la chiusura. La RAVA86 con una complessa rete di rapporti
che include la Cogne, l'Ilva, l’IRI, il governo e imprenditori privati scongiura la chiusura.(Cogne
acciai speciali 2022)
Il primo gennaio 1994 viene acquistata da imprenditori privati, il gruppo Marzorati e assume il nome
di Cogne Acciai Speciali, che ha oggi stabilimenti in Brasile, Cina, Messico e Svizzera e uffici e
relazioni in tutto il mondo.
Tra il 1994 e il 1996 viene portato a termine, dalla nuova proprietà, un complesso piano di
salvataggio. Al piano di risanamento si aggiunge un progetto di recupero urbanistico per uno
sviluppo economico della città.
Tra il 1997 e il 1999 si sviluppa un piano di consolidamento e rilancio che riduce il costo del prodotto
mantenendo la qualità inizia un approccio al mercato più aggressivo.(Cogne acciai speciali 2022)

86
Regione Autonoma Valle d’Aosta.

100
Osservazioni

Lo sviluppo della città operaia negli anni che precedono la guerra e in quelli della guerra stessa è
impetuoso. Nei primi anni della guerra vengono costruite le poste e il nuovo ospedale mauriziano.
La mappa della città disegnata in quegli anni resta oggi la stessa, anche se i prati intorno si sono
riempiti di nuove costruzioni fino a lambire i comuni limitrofi. I palazzi principali come le poste, il
palazzo regionale, il palazzo di giustizia, e l’ospedale sono gli stessi di oggi ,in alcuni casi anche
con problemi di adattamento notevoli e polemiche, come del caso dell’ospedale che, da allora, è
sempre e solo stato rattoppato e riadattato. La città resta ancora custodita da un lato dalle caserme
che ora, in parte in disuso, diventeranno un nuovo centro universitario di avanguardia, e la Cogne
che continua la sua corsa per rimanere sul mercato globale e che ancora oggi è una fondamentale
fonte di lavoro per molti valdostani. I paesi delle sue miniere invece, Cogne e La Thuile si sono
votati al turismo e Cogne ha riscoperto di recente la sua eredità mineraria sfruttandola nel nuovo
contesto economico. La presenza della Cogne ad Aosta ha portato uno sviluppo che ha slegato la
comunità dell'economia agro pastorale. Le ricadute socio economiche sono state importanti. L’intera
rete di centrali idroelettriche di oggi in Valle d'Aosta è nata sulle ceneri di quelle costruite per la
Cogne. Lo stesso vale per le vie di comunicazione. (Peirano 1994)
Stefano Peirano nella sua preziosa opera di studio sugli archivi della Cogne, dipinge attraverso i dati
il ritratto degli operai della Cogne. Con un lavoro pionieristico e meticoloso l’autore vuole indagare
il rapporto traumatico della fabbrica sulla popolazione valdostana. Quello che l’autore si chiede è
se davvero l’idea dominante della Cogne, che pur portando grande beneficio economico, sradica i
giovani dalle loro vallate, provocando uno shock culturale. La vita delle comunità montane era
legata alla stagionalità, chiusa nelle comunità locali, con l’arrivo della fabbrica vengono forzate
all'inurbamento e ad un nuovo ordine di valori. La fabbrica tra le montagne dà lavoro, ma porta via i
giovani dalle montagne, riempie la città di stranieri immigrati per lavorare nella fabbrica modificando il
territorio, le famiglie , le abitudini, gli orari, gli stili di vita i rapporti gerarchici e tra padri e figli. ll fatto che
la proprietà della fabbrica non sia mai stata valdostana, e quindi non è stato un prodotto
dell’economia valdostana, ha aggravato questo sentimento di ostilità nei confronti della fabbrica.
Essa è vista come il simbolo della sopraffazione. Ma può essere interessante anche il punto di vista
per cui lo straniero si è insediato su un popolo insofferente verso ogni forma di condizionamento
esterno, che si sente violato e usurpato della sua cultura da qualsiasi fattore esterno. 87 Il sentimento

87
Per quanto calzante e indiscutibile sia la teoria che vede i valdostani forzati e sradicati dallo straniero non si può
oggi ignorare che una diffidenza e disagio nei confronti di ciò che è esterno resta un caposaldo della cultura
valdostana. Recentemente un esempio moderno della stessa situazione si è visto nei confronti della società inglese

101
di appartenenza valdostano si basa da sempre, sulla questione del diritto all'autodeterminazione e
ogni episodio o evento viene considerato un potenziale pericolo a questo diritto di
autodeterminazione. La Valle d’Aosta come sottolinea Peirano porta con sé un timore di ingerenza
e sopraffazione legato alle innumerevoli occupazioni e all’ultima tragica oppressione fascista che
con il cambio dei nomi e l’obbligo dell’uso dell’Italiano, ha trasformato l’occupazione in
oppressione culturale, creando una forzatura culturale che ancora oggi scalfisce la capacità di
costruire un’identità realmente locale e non storpiata dal desiderio innaturale di francesizzarsi contro
il nemico italiano che non c’è più da lungo tempo. Oggi per esempio questo estremismo porta alla
fuga di medici capaci e competenti, di cui la sanità regionale ha un disperato bisogno, esclusa
l’emergenza Covid che si è inserita su una situazione già drammatica. Dopo trentasei mesi di lavoro
in Valle d’Aosta i medici sono obbligati a superare un esame di francese senza il quale non possono
essere regolarmente assunti dal sistema sanitario locale. Recentemente lo stato italiano ha iniziato a
interessarsi a questo problema, ma per ora si è scontrato contro lo Statuto speciale e la situazione
rimane invariata. La Cogne con la concomitanza dello sviluppo dello stabilimento proprio sotto il
fascismo è la rappresentazione fisica di quella costrizione mentale e culturale, il luogo della
discriminazione e l’avamposto dello straniero invasore. Secondo il canonico Brean, Mussolini
stesso avrebbe scritto a Girod, proprietario della Cogne, di non assumere valdostani all’interno della
fabbrica. Nelle schede dei dipendenti l’autore non ha trovato però evidenze di questa convinzione
perché il numero di valdostani assunti resta sostanzialmente invariato nel tempo. Sembra che la
dirigenza abbia seguito criteri economici e non gli ordini del duce nella scelta degli operai.
Purtroppo i documenti sono pochi e non esiste sufficiente documentazione per poter confermare e
risalire alle cause e conseguenze di questo sentimento ostile.
Questo argomento come tutto ciò che riguarda la Cogne e i suoi annessi, sarebbe sicuramente un
oggetto di studio interessante per future ricerche, anche in considerazione del fatto che oggi quello
che è stato un fiore all’occhiello fascista, il quartiere operaio, è vittima di un degrado
inimmaginabile in un piccola cittadina di montagna come Aosta, e valorizzare il suo enorme
patrimonio storico, rivalutando le ottime ragioni per cui quelle case erano nate e riappropriarsi di
quello spirito potrebbe essere la chiave con cui poter aprire un futuro diverso per gli abitanti di quel
quartiere e per la città tutta.

Interski, che ormai da decenni porta milioni di ragazzi inglesi a sciare nei comprensori valdostani. Il valore
economico di Interski è innegabile, anche perché occupa una fetta di mercato in difficoltà in una valle che punta
solo a investire su periodi precisi e ristretti e hotel di lusso. Interski invece si inserisce nel fine stagione con un
apprezzamento per la neve di quel periodo, che solo lo humor inglese può capire, occupano piccoli alberghi che
altrimenti affitterebbe due camere a settimana e portano quindi un chiaro benessere economico che però gli è stato
riconosciuto solo in questi due anni di pandemia in cui la loro assenza ha pesato sui conti valdostani in modo
notevole. Prima i valdostani hanno sabotato interski per anni. La stessa cosa si può dire per i turisti che
schiacciano l’erba dei prati, non sanno parcheggiare, ci invadono, sono insomma considerati come le cavallette sui
campi, pur essendo la solo risorsa economica della regione.

102
103
Parte 2. La popolazione e la miniera
Capitolo 1: la miniera di La Thuile

Vittorino era un soldato alla fine della prima guerra mondiale che con i riconoscimenti avuti ha
potuto costruire quello che ha fatto.

Dopo aver affrontato, nei capitoli precedenti, le vicende storiche del paese e aver descritto per
sommi capi la vita quotidiana, mi accingo ad affrontare la parte sulle miniere di La Thuile e sui
cambiamenti che hanno portato con sé. Se una cronologia sarà necessaria anche per affrontare
questa parte vorrei però dedicarmi qui al cuore delle ricerca, fatto delle testimonianze da me
raccolte nel corso della ricerca, dai diretti testimoni o dai loro discendenti, ricavate dalla
registrazioni registrate negli anni 90 dal BREL88 volte a salvare una memoria etnografica e da
quelle raccolte nel corso degli anni passati a La Thuile. Quello che è lo scopo dell’intera ricerca
dovrebbe nelle mie intenzioni raggiungere qui il suo compimento con la narrazione di questo
capitolo importante della storia del paese nelle sue implicazioni sulla popolazione. Mi affiderò
in questo percorso alle vive voci dei testimoni che mi hanno offerto il loro tempo e i loro ricordi.
Sappiamo che le popolazioni alpine sfruttavano le antraciti in Savoia e Vallese da secoli, ma solo
per uso domestico, non si trattava di un industria89. Vi sono molte tracce sul vasto territorio di
La Thuile di sfruttamenti superficiali molto antichi. (Lorenzini, 1995)
Come abbiamo visto, dopo il 1861, la Valle d'Aosta diventa territorio di frontiera e il desiderio
di unità nazionale del nuovo stato richiede unità linguistica e culturale e questo pone la Valle
d'Aosta ai margini della nascente nazione. A peggiorare la situazione una grave crisi economica
porta, per la prima volta dal 1700, alla diminuzione della popolazione e a trovare una soluzione
nell’emigrazione.
Per due secoli il modello di sfruttamento minerario nel territorio di La Thuile, fu quello
dell’imprenditore che Werner Sombart definì capitalista di ventura, un l’imprenditore incapace
di organizzare la sua impresa in modo proficuo e razionale per garantire un guadagno futuro per
sé e per i suoi soci o dipendenti, che si dedica solo alle attività speculative e a un rapido
guadagno.(Sibilla,2012) A La Thuile abbiamo già incontrato l'esempio perfetto di questo tipo di
capitalismo con la miniera d’argento del Biolley, mai sfruttata in modo sistematico e organizzato.

88
BREL Bureau Régional Ethnologie et Linguistique de la Région autonome Vallée d’Aoste.
89
Nella guida alle delle Valli d'Aosta Aldovrandi parla del carbone “nel 1850 via lo scoprimento di vaste masse di
polvere grigio nera con lucentezza submetallica, vitrea, grassa fragile con struttura concoide è l'antracite estratta in
Val di Serra dal 1790 studi geologici si interroga sul perché della presenza del carbone visto che ci sono foreste
inabissate, secondo lui può essere dovuto alla teoria sulle frane e non alla teoria sull'origine sismica.

104
Ma lo stesso trattamento era stato destinato alle miniere di carbone, peraltro ignorate dal rapporto
sulle miniere del cavaliere Nicolis di Robilant, che nella veste di ispettore delle miniere per il
Regno d’Italia, fece un accurato rilevamento delle miniere savoiarde e della Valle d’Aosta, in cui
nominò la miniera di metallo fino, ma non parlò dell’esistenza del carbone di pietra, l’antracite.
Potrebbero essere stati gli abitanti a non segnalare le piccole coltivazioni sparse sul territorio per
difendere la loro risorsa. A Cogne vi erano stati a partire dal XVI secolo da parte di notabili del
luogo tentativi di dare un’organizzazione allo sfruttamento minerario coinvolgendo la
popolazione locale90. I Tchouilliens invece, hanno sempre cercato di mantenere la loro vita legata
al lavoro agricolo e all'allevamento, lasciando lo sfruttamento delle miniere ad un livello di aiuto
alla sussistenza.
Furono quindi imprese esterne a portare lavoratori di cui non sappiamo nulla dai documenti
ufficiali. Solo dalle testimonianze degli abitanti di La Thuile sappiamo qualcosa, li descrivono
come viandanti in cerca di sopravvivenza o in attesa della buona stagione per passare il colle del
Piccolo San Bernardo, che si accontentano di un salario misero. I minatori di quel periodo erano
di passaggio, non si mischiavano alla popolazione, a differenza di quanto riscontrato negli studi
di P. Viazzo su Alagna Valsesia e le sue miniere d’oro, non ci sono stati matrimoni misti e i
minatori sono rimasti legati al compagnonnage91, tanto che nei registri parrocchiali si trova
testimonianza preziosa che racconta di quando 60 minatori, nel 1778, chiesero al parroco di avere
dei banchi dedicati a loro durante la messa, creando scompiglio. I Tchouilliens si lasciarono
coinvolgere solo quando le miniere garantirono un buon salario, che potesse garantire loro la
sicurezza economica che l’economia agro pastorale non poteva garantire.
Lo sfruttamento disorganizzato e la scarsa attenzione avevano portato anche a gravi danni
ambientali. Tanto che, nel 1783, l’intendente di Aosta Vignet des Etoles arriva a dirsi
assolutamente contrario a affidare concessioni minerarie nuove a causa dei gravi danni inferti
alle foreste per l'uso massiccio di legname che serviva per l’estrazione. Sottolinea con grande
lungimiranza, “non conviene lasciarsi logorare in imprese[minerarie]inutili, come tutti quelli del
posto credono essere queste e come anch’io ne sono informato da lungo tempo, a meno che,
contro ogni attesa , l’utilità non superi di molto i danni." I danni a cui si riferisce sono quelli che
la deforestazione può portare in un ambiente altamente soggetto ad effetti alluvionali, valanghivi
e di frane. Il problema era già stato affrontato ripetutamente in passato, e già il Coutumier nel
cinquecento aveva tentato di fermare lo scempio dei boschi di La Thuile.

90
come nel caso del già citato Grappein e del tentativo di gestione autonoma delle miniere.
91
l'appartenenza ad un mestiere in modo comunitario e solidale. I gruppi di lavoratori si spostavano insieme
seguendo le offerte di lavoro.

105
Sicuramente l’antracite veniva usata da secoli per uso domestico, per la cottura della calce e per
il riscaldamento. Lo sfruttamento era individuale, senza mezzi importanti, e non era organizzato.
Nel 1840 il comune di La Thuile si oppose al Regio editto che voleva regolamentare lo
sfruttamento e al contempo far valere i diritti demaniali sul sottosuolo.
La prima concessione viene accordata con decreto reale nel 1849, è quella di Cretaz che
comprende anche le antiche miniere di Barbe Blanche.
L’estrazione diventò più organizzata all’inizio del secolo scorso nella zona Barbe Blanche, in
inverno l’antracite veniva spostata con le slitte fino al Buic, poi su una strada carrozzabile fino a
La Thuile. Da lì con i carri veniva portata a Villeneuve per essere venduta. Si cercano materiali
da estrarre su tutto il territorio. Il nome di questa prima concessione viene forse dal nomignolo
del titolare del permesso, che ne ottenne alcune altre. In una concessione alla grande Goletta
c’era anche una fonderia per fondere Blenda e Galena. Una seconda Barbe Blanche viene
abbandonata dopo 2 anni a causa di una gigantesca valanga che nel 1904 provoca 3 feriti e 2
morti. La foresta fu completamente abbattuta in quel periodo. Seguendo i sentieri sì raggiungono
alcuni ruderi che erano i magazzini, depositi per attrezzi e dormitori e, a quota 1665 metri, una
piattaforma di ancoraggio della teleferica per il trasporto di materiale.
Nel 1849 il comune di La Thuile aveva fatto dei sondaggi per sfruttare una miniera di ferro a Plan
de l’Abondance, verso il Piccolo San Bernardo. A Chaz Duraz si possono trovare cristalli di
quarzo rivestiti di clorite, in una cava di quarzo attivata dalla Cogne vicino alla Touriasse,
montagna geologicamente curiosa costituita da quarziti con il letto di marmi dolomitici dove si
possono trovare cristalli limpidissimi. Sono cristalli di titanite ricercatissimi dai collezionisti,
anche se microscopici, si trovano in due diversi luoghi non indicati per tutelare la flora
considerato che in uno dei due cresce l’orchidea delle alpi. Ci vuole un permesso per la ricerca
dei minerali e se si trovano conchiglie fossili bisogna denunciarne il ritrovamento.
Nel 1851, viene data la concessione del Villaret e poi quella del Bosco della Golettaz nel 1852.
Nel 1903 il Regio ufficio geologico esegue un rilievo completo del bacino carbonifero di La
Thuile e della Valle d'Aosta e prima e durante la Prima Guerra Mondiale favorì lo sviluppo di
lavori nel bacino di La Thuile, facendo crescere i coltivatori della zona. C’erano anche piccole
coltivazioni a La Salle, Derby, Bosses e St. Rhemy, molte sono improvvisate. Gli organi statali
acquistavano grandi quantità di materiale di bassa qualità, operazione che contribuì alla già
menzionata pessima reputazione della qualità del carbone della Valdigne. Negli anni 10 tutti gli
altri paesi cessarono la produzione tranne La Thuile.
Nel 1908 la miniera del Preylet viene aperta e gestita da un bravo organizzatore, meno
sprovveduto degli altri, la tracciò e la sfruttò in modo razionale. La concessione di Bérier sur plat
e del colle della Croce è sfruttata più tardi. Il periodo contemporaneo porta grandi cambiamenti

106
economici legati all’industrializzazione. In quel periodo la Valle d’Aosta esporta energia
idroelettrica in Francia, attraverso il Piccolo San Bernardo92. A La Thuile una prima centrale
idroelettrica fu costruita come abbiamo visto per le necessità della miniera del Promise e fornì
energia dal 1900 al 1914. In questi anni inizia lo sfruttamento delle antraciti di La Thuile, che
permetterà lo sviluppo della siderurgia in Valle d’Aosta.
Nelle interviste effettuate dal BREL realizzate da due maestre del paese, figlie di minatori a due
ex minatori i due operai spiegano che il carbone di La Thuile è un carbone superficiale, residuo
non di alberi in profondità , ma di cespugli e in particolare di felci, questo lo rendeva facilmente
utilizzabile senza richiedere procedimenti di scavo, ma allo stesso tempo lo rende poco
performante da un punto di vista combustibile. Proprio il tipo di minerale aveva permesso di
mantenere le coltivazioni superficiali, tanto che i testimoni e le intervistatrici ricordano resti di
antiche miniere in varie zone del paese, fino alle terre nere del Piccolo. parlano di un primo
concessionario, il signor Polenta, un signor Jacquemod e un signor Granier come primi sfruttatori
minimamente organizzati. Lo sfruttamento industriale si può dire iniziato proprio quando il
comune inizia a dare delle concessioni, in precedenza infatti per lo sfruttamento famigliare non
venivano richieste e rilasciate concessioni.
Lo sfruttamento delle antraciti nelle Alpi non è facile, a causa delle condizioni geografiche e del
tipo di giacimenti. La Cogne comunque decide di assicurarsi i giacimenti comprando tutte le
piccole concessioni dei privati. Lo studio approfondito delle antraciti, che non possiamo
affrontare qui, ma per cui si rimanda al prezioso lavoro di Falquet, mostrano una buona qualità
generale del carbone di La Thuile.
Dopo il 1915 le necessità della guerra e i cambiamenti sul mercato riaccendono l’attenzione su
questo giacimento come fonte di energia.
Fino al 1916 le miniere di La Thuile sono sfruttate in modo saltuario e non sistematico, spesso,
dopo pochi metri, lo scavo veniva abbandonato fino al suo crollo.
Lo trovavano in superficie, in un posto o in un altro, lo raccoglieva e lo usava[...] se ne trovava
tanto lo vendeva a Morgex [si parla nel periodo proto- industriale di vendite a Morgex e a
Villeneuve, raramente ad Aosta]

92
Non si può ignorare l’enorme cambiamento visto che negli anni ottanta fummo noi a importare elettricità
francese dalla centrale nucleare Superphenix che passa sempre dal Piccolo San Bernardo con un elettrodotto aereo
che va Albertville a Rondissone e trasporta l’eccesso di energia verso l’italia. Il progetto era stato contestato fin
dall’inizio per motivi paesaggistici e ambientali in quanto avrebbe attraversato zone incontaminate delle alpi
valdostane, tra cui il colle del Piccolo San Bernardo. In seguito alla chiusura della centrale nucleare, a fine anni
novanta il consiglio regionale valdostano ha richiesto lo smantellamento della linea, che non è stato eseguito. I
tralicci dell'elettrodotto sono stati più volte oggetto di attentati da parte degli ecologisti. Il tema meriterebbe uno
spazio tutto suo in considerazione del fatto che si è trattato dell’ennesima invasione territoriale da parte di agenti
esterni senza peraltro portare benefici alla popolazione. Il reattore in questione era dell’Ansaldo.

107
Nel 1916 vengono dichiarate Stabilimento ausiliario, sottoposte a vigilanza militare e assegnate
a un direttore esterno. La zona più ricca è quella nella parte nord occidentale della zona
carbonifera ma è ricoperta da importanti depositi e quindi viene sottostimata. La mancanza di
competenze tecniche ha diffuso spesso la voce sulla pessima qualità del carbone di La Thuile.
Avendo letto sui vari testi consultati notizie discordanti che vedono talvolta il carbone di La
Thuile come buono, altre come terribilmente scadente, ho chiesto a tre dei miei intervistati, che
sapevano descrivermi la miniera e tutte le sue pertinenze in modo esaustivo e tecnico, una
spiegazione, la risposta unanime, con le dovute differenze e approfondimenti, è stata che il
carbone di La Thuile è particolare e necessita una combustione adatta per essere utilizzato in
modo ottimale, tanto che c’erano delle stufe particolari, le Grenoble93 provenienti dalla Francia
appunto, che divennero uno strumento comune a La Thuile, tanto che, a inizio del secolo
qualcuno nelle fucine del paese aveva prodotto quel tipo di stufa per le necessità locali.
Malgrado le difficoltà, dopo la Prima Guerra Mondiale si sviluppa lo sfruttamento industriale
del giacimento perché il prezzo del carbone di importazione è troppo alto. “Il carbone era come
il petrolio “raccontò uno dei primi minatori intervistati dal BREL.
Con gli aiuti statali, il lavoro dei prigionieri, che avevano anche costruito la seconda galleria sulla
strada principale, e degli operai militarizzati alla fine del primo conflitto mondiale le miniere di
La Thuile si ritrovarono con infrastrutture molto più moderne e organizzate. Ma era anche
necessario rimpiazzare i militari smobilitati e i prigionieri e da quel momento la miniera diventa
per i Tchouilliens non più l’ennesimo passaggio effimero, ma una reale possibilità di guadagno.
Il paese aveva anche la necessità di ricollocare i paesani che erano stati in guerra, che non era
stata combattuta in quella zona , ma cui avevano partecipato molti uomini del paese. Per le
famiglie più povere era l'occasione per avere almeno un'entrata stabile, che non dipendesse dal
meteo, dal raccolto o dalle malattie del bestiame. L’idea non era quella di abbandonare
l’agricoltura e l’allevamento, ma di integrarli e portarli ad un livello di ottimale, grazie ai
guadagni sicuri della miniera, investendoli in bestiame e terra.
Si potrebbe vedere in questo momento la nascita della natura duale del lavoratore di La Thuile,
negli anni cambiarono le situazioni economiche e sociali, ma la strategia del doppio lavoro
rimane ancora oggi alla base dell’economia del paese. I maestri di sci e i pisteur, i gattisti, gli
impiantisti, a parte i pochi rispetto al totale, che lavorano in estate alla manutenzione del
comprensorio, si dedicano ad altri lavori. Tipicamente il maestro di sci fa la guida alpina o
l’artigiano, talvolta entrambi, impiantisti e gattisti si dedicano alla manutenzione estiva di

93
Una stufa in ghisa fabbricata a Grenoble alla fine del secolo XIX ,studiata per usare la polvere di carbone come
combustibile.

108
condomini, taglio dell’erba nei prati e lavori di imbiancatura delle case. Alcuni, i più giovani, si
recano nei comprensori francesi limitrofi aperti in estate. Fino a qualche anno fa molti stagionali
facevano i forestali attraverso un progetto regionale, che dava lavoro estivo agli operai invernali
e allo stesso tempo garantiva la manutenzione dei boschi della Valle d’Aosta.
La capacità di adattamento alla congiuntura economica della popolazione del paese porta in sé
l'eredità di una popolazione forgiata da secoli di difficoltà.
All’inizio del secolo la popolazione di La Thuile vedeva ancora l’economia rurale come la sola
possibile. La popolazione si divideva in quattro gruppi sociali:
Una ristretta élite di proprietari terrieri, che pur dedicandosi all'allevamento e all’agricoltura, non
partecipava alle attività quotidiane e aveva dei preposti, si occupava di piccole attività
commerciali e di movimenti di capitali.
I piccoli proprietari che allevavano e coltivavano per sé stessi e rispondevano ai bisogni del
proprio nucleo familiare anche con periodi di emigrazione stagionale per integrare il reddito.
I fornitori di servizi, fabbri, conduttori di bestiame, soprattutto muli, maniscalchi e maestri,
impiegati, persone di culto. Ricevevano beni di consumo o salari in cambio delle loro prestazioni.
Gli agricoltori e allevatori che non riuscivano a raggiungere i livelli di sussistenza per i quali il
lavoro infantile e l’emigrazione erano un metodo per uscire dalla situazione di povertà e che
spesso cedevano all’usura. Furono soprattutto questi ultimi ad accogliere l’arrivo della miniera e
la possibilità che essa offriva di un’entrata stabile.
Va annotato che pur essendoci le divisioni sociali appena enunciate, non c’erano regole o
sbarramenti netti che impedissero la mobilità sociale, e soprattutto non c’era da parte delle classi
abbienti un’attitudine all’esibizione eccessiva dei loro averi. Si può affermare che a tutt’oggi
permane quest’attitudine. Gli imprenditori del paese, che pur hanno visto i loro capitali
accrescersi notevolmente con l’arrivo del turismo, non sono generalmente ostentatori e anzi si
riscontra certo sì, una cura e eleganza più marcate, ma a prevalere sono sempre e comunque il
senso pratico e l’etica del lavoro. Non ci sono tra i Tchouilliens tacchi vertiginosi e Ferrari, ma
abiti in stile elegante sportivo e macchine adatte al lavoro e soprattutto all’ambiente in cui ci si
muove. La parsimonia e la cura delle scarse risorse riguardavano indistintamente tutte le classi e
questa mancanza di istinto capitalista potrebbe essere all’origine della scarsa capacità iniziale
delle classi abbienti di impegnarsi nell’avventura mineraria e coglierne le possibilità. Fu
Vittorino Paris a rompere questo schema di fronte alle invasioni di imprenditori esterni. Ben
inserito nella comunità, originario da una famiglia di notabili locali, aveva saputo sfruttare le
possibilità offerte dalla guerra per trarne profitto, ma anche per imparare. La preparazione
offertagli dalla famiglia e dall'esperienza e la disponibilità dei capitali legati alle cospicue
proprietà fecero di lui il primo impresario minerario locale. Già nel 1909 lui e il fratello andarono

109
a lavorare alla miniera del Biolley, di cui divenne presto direttore e di cui preparò mappe
dettagliate. Grazie alle sue capacità, la società mineraria gli affidò il lavoro ambizioso
denominato la Follie, che lo condusse a fare varie ispezioni e ricerche di vene metallifere e la
classificazione dei giacimenti di antracite. La conoscenza acquisita lo portò negli anni successivi
a fare le stesse ricerche per se stesso. Venne eletto sindaco nel 1916. La certezza del capitale
grazie alla famiglia lo metteva al riparo dai rischi di investimento, lo status sociale gli dava gli
strumenti per convincere i paesani a lavorare per lui. Con il prestigio che questa possibilità
offriva, rompeva le reticenze di una popolazione maschile che voleva continuare a dedicarsi
all’allevamento. Il suo progetto era quello di potenziare l’industria mineraria senza sacrificare
troppo l’allevamento e si sposava quindi con i desideri dei suoi compaesani. Nel 1920 costruì la
teleferica per iniziare a trasportare il materiale al Colle della Croce. Risolvendo così, in parte, il
problema del trasporto del materiale. Investì molto denaro e molto tempo. Fu uno dei
Tchouilliens che lui definiva “lupi di montagna”. Opportunista e duro, devoto alla sua missione,
intelligente e determinato. Sfruttò le speranze e i bisogni della popolazione di La Thuile, ma lo
fece, con loro e cercando di non alterare gli equilibri, ma solo di guidare, forse consapevole delle
sue possibilità e capacità, la popolazione verso un’economia più serena che li allontanasse dalle
migrazioni forzate. A lungo termine purtroppo lo sviluppo minerario ha portato alla collettività
grandi costi personali e collettivi, ma in quel momento era la sola possibilità di uscita
dall’economia di sussistenza e dall’indigenza.
L’emigrazione continuava ad essere una possibilità economica. 94
Nel 1918 erano state già estratte 18000 tonnellate di carbone.
Nel 1919 il comune di La Thuile offre un sussidio alla Croce Bianca di Aosta “in considerazione
del servizio che potrebbe essere necessario considerando che la maggior parte dei suoi uomini
sono occupati nei lavori pericolosi delle miniere (A.S.T)”.
Arrivano i primi minatori esterni al paese. Il nipote di uno di loro mi ha raccontato l’arrivo di suo
nonno
veniva da Lusiana, appena finita la grande guerra, dal Veneto, dalla provincia di Vicenza, dove
c’è stata proprio la carestia, c’è stata in pieno la guerra, nell’altopiano d’Asiago, noi veniamo da
uno dei sette comuni che sono conosciuti anche storicamente95, è un avamposto della guerra, è
stato bombardato, è stato martirizzato, per cui chi aveva qualche lavoro si è ritrovato in braghe di
tela, mio nonno aveva una piccola ditta di trasporti,[...] coi muli riforniva il fronte, finita la guerra
si è ritrovato in braghe di tela, senza più nulla, con una moglie e tre figli.[...]probabilmente

94
Alcune migrazioni transitorie come la cura delle viti in Svizzera in autunno sono riscontrabili ancora oggi,
allora colmavano la lacuna stagionale dell’agricoltura, oggi, le poche settimane di impegno richieste e gli alti
guadagni, integrano le entrate delle cosiddette stagioni morte turistiche.
95
Asiago, Enego, Foza, Gallio , Lusiana-Conco, Roana e Rotzo.

110
arrivato a La Thuile perchè c’era il passaparola perchè iniziavano le industrie, la Cogne eccetera,
in quel periodo, nel 1919 erano pochissimi ad arrivare[...] ha iniziato a lavorare a ore, con piccoli
servizi, probabilmente con lavori sulla strada del Piccolo San Bernardo e poi è stato assunto come
minatore alle miniere di argento, quelle del Promise[...]
Ad Arly c’erano le casermette, il genio militare le aveva costruite durante la guerra, adesso
vengono date ai minatori con famiglia[...]nessuna aveva il riscaldamento, tutte avevano già il
bagno.
Poco a poco si sviluppa una concorrenza straniera e il carbone di altri paesi invade il mercato
italiano, inoltre si affacciano sul mercato i combustibili liquidi, questo rende necessaria una
organizzazione che i piccoli proprietari non sono in grado di sostenere e che li spinge nel 1928 a
vendere alla Cogne. Saranno sette le concessioni comprate dalla Cogne e tre quelle di ricerca.
Dal 1928, lo sfruttamento della miniera diventa effettivo, con l’acquisto di tutte le concessioni
da parte della Cogne, fino al 1966 con la fine dell’estrazione.
L'apice dell’attività estrattiva si avrà negli anni ‘30 e durante il secondo conflitto mondiale,
quando il regime autarchico aveva bisogno del carbon fossile di la Thuile per la fusione della
magnetite di Cogne.
Il declino cominciò subito dopo, negli anni ‘50, con la diffusione dei combustibili liquidi e il calo
dei prezzi del carbone. Gli operai se ne andarono o vennero trasferiti alla Cogne di Aosta e la
miniera chiuse definitivamente nel 1966.
Lo sfruttamento dei giacimenti di carbone di La Thuile è difficile per le condizioni geografiche
in cui si trova. Sotto la spinta autarchica del fascismo, che abbiamo affrontato parlando
dell’acciaieria Cogne, La Thuile si sviluppa come paese minerario e viene invasa dalla presenza
massiccia di una popolazione nuova, esterna, giovane, estranea96.
Con la Cogne cambia tutto, i materiali, le persone, Paris aveva poche persone a lavorare. Con la
Cogne c’erano 2000 persone. Valdostani, bresciani, veneti, bergamaschi e del canavesano e di
altri paesi delle altre valli. C’erano famiglie con quattro, cinque figli.[...]si diceva, paesi di
miniera, paesi di miseria, [...] mangiavamo polenta e baccalà[...]
D. è nata qui, vive nella stessa casa da quando si è sposata una casa di 6 alloggi. L’edificio era
una casa INA, data alla sua famiglia e poi da loro riscattata. Sono nata a Pont Serrand, sulla
strada verso il Piccolo San Bernardo: mio padre era Veneziano, non so che cosa facesse prima
di venire qui, è arrivato per lavorare per la Cogne, nelle miniere, era arganista, tirava su e giù i
vagoni, è rimasto sempre lì per 25/30 anni circa. Papà controllava i fili del telegrafo.
Il periodo dello sfruttamento può essere diviso in due periodi differenti il cui punto di separazione
è il 1928 appunto. La linea di demarcazione temporale è l’acquisto da parte della Cogne.

96
Il numero totale della popolazione cresce dai 913 residenti del 1931, ai 1339 del 1951, per calare e invecchiare
di nuovo in modo drammatico con la chiusura della miniera, tornando ai livelli del 1881.

111
Tutti quelli di La Thuile lavoravano in miniera. Ci sono pochi esempi di chi non ci ha mai lavorato
come i suoi concorrenti per il noleggio conducente: la gente non aveva tempo libero, dopo la
miniera si dovevano occupare della campagna per quello stavano meglio quelli di via che non
avevano impegni. Erano gente che lavorava i bergamaschi[...]le donne hanno lavorato solo alle
laverie alla direzione o per lavare i sacchi alla miniera d'argento[...] i rapporti tra gli operai di via
e quelli del posto erano buoni i Boscardin che hanno sposato ragazze del posto diventando del
paese. Anche altri erano canavesani e adesso sono parte integrante del paese
[...]succedeva di perdersi tutte le gallerie erano un labirinto, solo le rotaie erano un punto di
riferimento. La festa dei minatori si faceva già prima della Cogne. Il carbone non era regalato agli
operai veniva soltanto pagato di meno[...] era al lavoro 8 ore a turni, entravi prendevi gli attrezzi,
guai se non le posavi! poi entravi camminavi un km di tunnel nella polvere, era dura c'era una
pausa? No[...] portavano fuori il materiale con i vagoni, la polvere solo, tagliavano coltivavano
tra 4 m poi caricavano sui vagoni non andavano troppo in basso, i vagoni passavano sotto 3 a 4
fornelli poi li portava sopra, arrivavano come montacarichi carrelli, i vagoni erano sempre in
piano e non uscivano il carbone era messo sul treno a 100 metri e c'erano pompe dell'acqua perché
erano sorgenti d'acqua e l'acqua riempiva i tunnel
[...]Per estrarre il materiale prima dell’arrivo dei martelli pneumatici, si usava il metodo della
mazza, non esistevano i martelli, la mazza, il foro da mina, praticamente erano in due, il foro da
mina era un ferro lungo un metro e cinquanta, con una testa con dei denti appena induriti[...] mai
riuscito a trovare una foto, un operaio teneva questo ferro e l’altro dietro batteva fino a quando
facevano i fori, i fori venivano caricati con la dinamite, fatto esplodere raccoglievano il
materiale[...]
Nel 1927 - 1928 iniziano i lavori per lo sfruttamento sistematico della miniera.
Risulta difficile capire l’interesse per quelle miniere così complicate, con lamine molto strette
irregolari e frastagliate e un’ubicazione non agevole per il trasporto del minerale. Sicuramente
l’inizio del sistema autarchico fascista spinge allo sfruttamento delle risorse sul territorio italiano.
Nel nord Italia non ci sono altri giacimenti così importanti. Le vicissitudini della siderurgia
italiana e valdostana già affrontate ci ricordano l’importanza del giacimento di La Thuile che
serviva per alimentare la fabbrica della Cogne, per lavorare il ferro di Cogne che finiva il suo
percorso nella costruzione di armi e navi negli stabilimenti liguri.
L’estrazione dell’antracite di La Thuile ha favorito lo sviluppo industriale della siderurgia
valdostana, e l’interesse della Cogne era di portare al massimo lo sviluppo e farlo nelle migliori
condizioni. Fece allora arrivare in paese, per lavorare alla miniera, una grande quantità di
manodopera esterna alla Valle d’Aosta. L’arrivo di questi gruppi avrà ripercussioni a lungo
termine sulla popolazione locale.
Dal 1934-1935 inizia l’estrazione e chiamano persone per lavorare, prima erano lavori di ricerca.
Nel 1935 Mussolini viene già in visita, ma non era una visita ufficiale, era qui per i lavori di

112
fortificazione del colle del Piccolo San Bernardo [...]c’erano trecento operai[...] eh eravamo
tremila in paese[...] erano contemporanei i lavori, anche alla cresta di Arpy per le fortificazioni[...]
non importava cosa stavano costruendo, tutti stavano bene c’era da mangiare, da bere facevano il
loro lavoro[...] sempre il quel periodo lì, incredibile, si sono messi a costruire la caserma Monte
Bianco, negli anni ‘30 34-33-35 la caserma Monte Bianco è stata costruita in conseguenza alle
fortificazioni, alla militarizzazione di La Thuile[...]
Con il suo arrivo la Cogne impone una riorganizzazione industriale del lavoro e del trasporto del
materiale. Per il trasporto, non può continuare l'utilizzo di autocarri, lento e dispendioso, viene
installata una teleferica di quattro chilometri. Le gallerie vengono ampliate e collegate in un unico
lungo tragitto che corre alle pendici delle montagne intorno a tutto il paese. La galleria di ribasso
alla Balme con un pozzo di 200 metri si collega con quella del Rutor, Viene costruita una galleria
fino a Morgex (2495 metri da 1740 di Arpy ali 1738 del Col Croce). La galleria doveva anche
essere la base per nuove coltivazioni, portandole a 2200 metri, seguendo la fascia del carbonifero
produttivo. Intanto si lavora nella zona del Rutor e sulle Terres Noire. Viene costruito un treno
Decauville con vagonetti a scartamento ridotto che conduce il materiale dai vari punti delle
gallerie fino alla galleria di Arpy, e riporta indietro gli inerti che vengono ammassati in alcune
zone all’ingresso delle miniere. Ognuno dei treni era composto di 35 vagonetti con una portata
di 60 tonnellate orarie. In trenta minuti circa copriva 4800 metri di cui 3000 nella galleria con il
34 percento di pendenza. La ferrovia alimentata a corrente continua aveva tre locomotori e
andava a 12 chilometri all’ora. In inverno era difficile a volte la discesa di dodici tonnellate di
peso del locomotore.
C’era la galleria diretta dal Preylet a Pont Serrand [...] era comodo poi trovavano la vena e
iniziavano a scavare. Se non trovavano la vena usavano il trenino per spostare gli inerti con cui
riempivano le gallerie che non usavano più quando ‘cerano gli spazi, cominciavano a murare[...]
a mettere degli assi [...] o che ammucchiavano[...] il campo sportivo è costruito su una discarica.
Nelle gallerie c’erano poche sostanze volatili e quindi un basso rischio che si sprigionassero gas
combustibili, per questa ragione il problema comune nei giacimenti di carbone, cioè le esplosioni
di Grisou che fecero tanti morti nelle miniere del mondo non rappresentava qui un grande
pericolo, non servivano le lampade speciali di sicurezza e gli esplosivi a bassa temperatura di
esplosione. A differenza delle miniere in Val d’Isère caratterizzate da sacche di Grisou. In una
testimonianza raccolta dal BREL a due ex minatori che hanno lavorato in galleria da prima
dell’industrializzazione, i due intervistati specificano che con l’avvento dei martelli ad aria
compressa, cambiando la composizione dell’aria in galleria, questo rischio era aumentato rispetto
a quando estraevano con il piccone. Ci descrivono anche la loro giornata lavorativa.
dormivamo dentro dei dormitori[...]cli mettevano trenta da una parte e trenta[...] dall’altra
baracca di legno uscivano neri, ci mettevano le coperte sabato e lunedì erano già nere, ci

113
lavavano nel ruscello[...] poi è arrivato il duce e hanno fatto le case operaie[...] da Les Granges
giù a fare la spesa, baccalà e polenta adesso il pranzo dei ricchi allora pranzo dei poveri e poi su
a fare da mangiare [...] il lavoro in miniera[...] 8 ore, andavi dentro, prendevi pala e picco[...],
10 chili sulla schiena e poi andavi dentro, un chilometro, un chilometro e mezzo fino dove si
estraeva, e poi portare fuori[...] era dura…
non avevate una pausa per mangiare?
No non riuscivi[...]
[...] chi aveva il martello immagina la polvere che c’era quando si martellava, la polvere faceva
tipo una colla, il materiale si portava fuori con i carrelli, neanche il tempo per fumare una
sigaretta[...] eravamo tutti neri, con la pala caricavi i vagoni, il filone era dritto, seguivamo il
filone di carbone[...] i vagoni restavano sempre dove era dritto, dove c’era la tramoggia i
vagoni passavano sotto tre quattro fornelli poi in fondo c’era il montacarichi che lo tirava su e
scendevano i vagoni scarichi[...]era larga la galleria sì, 4 metri di carbone, mettevi il legno per
fare il tetto[...] 15-20 vagoni di carbone.
Facevano tutto loro caricare, bucare, armare le gallerie. Gli viene chiesto dei pericoli della
miniera:
ti ricordi [...]lo mor, il morto aveva battuto la testa. In proporzione non così tanti morti.[...]
Quello del montacarichi che l’ha preso sulla testa[...] alla vigilia di una festa,[accennano a un
suicidio con il gas] non mi ricordo quale festa fosse [...] tre quattro colpi[...] allora sono andati a
vedere, lo fochin quello che metteva la polvere per far saltare[...] schiacciato dal carrello non
c’erano tanti pericoli..
Avevate il fornelli a gas? sì uno è morto per il gas asfissiato[...] il grisou un po’ carbone un po’
gas …senza i compressori non succedeva, col compressore il gas che si mescolava alla
polvere[...] lampada la attaccavi dove era comodo per il lavoro, davano un chilo di carbone al
giorno per la giornata, un sacchetto, la scatola e le maschere[...]

114
I lavori a mezza costa di La Thuile non necessitano di colossali lavori di ventilazione,
allagamento e raffreddamento. Per contro la formazione colonnare dei banchi esige prudenza
nell’esplorazione esplorazione, nel tracciamento e nella coltivazione deve essere fatta con molta
attenzione. Il metodo utilizzato non sempre era uguale proprio per adattarsi alla situazione.
La già accennata scarsità di polveri porterà a costruire un solo sistema di aerazione ritenuto
sufficiente per la circolazione dell’aria in tutte le gallerie. Purtroppo il tempo negherà la
correttezza di queste valutazioni, perché il numero di malati di silicosi tra i minatori sarà
spaventoso, raggiungendo la quasi totalità dei minatori. Ma nel momento dello sfruttamento i
soli problemi erano gli sforzi costosi e inutili quando un nuovo filone veniva trovato, ma non
poteva essere sfruttato. Il campo minerario era diviso in cantieri isolati, adattati alla topografia
del bacino. Alcune gallerie non presentano alcun interesse per lo sfruttamento, ma servono solo
per il passaggio delle reti elettriche e dell'aria compressa. All’interno del comune le miniere non
sono sempre facilmente raggiungibili e bisognerà rimediare alle difficoltà con teleferiche e
carrelli.
Nel 1933 la Cogne, valutando come risolvere i problemi di trasporto del materiale, costruisce la
costosa ferrovia a scartamento ridotto e la teleferica che portavano il materiale dalle gallerie a
Morgex per poi andare ad Aosta. A Morgex avveniva la riduzione in ovuli del polverino.97
All'esterno della fitta rete di gallerie che si trovano al suo interno, che nel suo complesso ha sette
livelli e ottanta fornelli, una consistente rete di sentieri che da lì diparte e si intreccia lungo le
pendici del Mont Colmet.
Il comune ha ripristinato buona parte di questi sentieri percorsi un tempo dei minatori, mettendo
in evidenza i manufatti presenti sul percorso e gli imbocchi di gallerie risalenti a diverse epoche
dello sfruttamento. Cinque sentieri numerati sono stati ripristinati e segnalati con pannelli
esplicativi. I pannelli esplicativi della mostra permanente Il villaggio minerario e la sua
evoluzione sono posizionati in prossimità dei luoghi e degli edifici della piana del Villaret, in un

97
Trattandosi di una produzione commerciale i pezzi di carbone tra i 20 e i 60 millimetri vengono abbandonati sul
posto, con un grande dispendio di materiale che rimarrà abbandonato per molti anni.
Ci sono quattro classi di antraciti adatte ad usi diversi.
➢ noce 25 / 45 mm per la combustione domestica, caldaie, cucine.
➢ nocciola 12/25 mm per stufe per piccoli ambienti, usato negli altiforni della Cogne.
➢ pisello 5/18 mm per la calce, cottura di laterizi in gesso.
➢ fino a 0/5 mm per la produzione di vapore e forni da cemento identica a quella usata in Savoia, per usarla
la Cogne ha costruito un impianto di agglomerazione in ovuli. Venivano estratte trecento tonnellate al
giorno, agglomerate poi in forma e peso convenienti per molti usi.

115
percorso della memoria. Il punto culminante di questo percorso è il cuore pulsante del sistema di
trasporto dell'antracite da La Thuile a Morgex, l'argano a servizio della discenderia che portava
in quota i vagoni carichi del minerale e che consentiva di raggiungere poi Arpy e con la teleferica
Morgex, poi con il treno costruito appositamente ad Aosta. Si tratta di un manufatto imponente,
in ottimo stato, visibile all'imbocco della galleria di accesso, grazie agli interventi di
illuminazione e di accessibilità svolti recentemente dal Comune. In località Cretaz presso le baite
sono ancora visibili dei basamenti in cemento e pietra che sorreggevano i tralicci della teleferica.
Nella stazione di arrivo della teleferica veniva direttamente venduto il materiale estratto dalle
miniere nel pian di Arly. Fino al 1965 sulla piazzola al Villaret c'erano i resti della rete ferroviaria
con binari Decauville. Locomotore e vagoncini colmi di antracite percorrevano il lungo pianoro
in direzione sud-nord. Questo imponente lavoro di ottimizzazione del trasporto dei materiali
porta i risultati sperati.
La produzione sale dalle 18000 tonnellate del 1918 alle 112000 del 1948, che è il picco di
produzione registrata dalle miniere di La Thuile.
Nel loro testo, ma soprattutto nel lavoro, volto a valorizzare i siti minerari Monica Granier e
Lorenzo Luparia attraverso il progetto del sentiero delle miniere, raccontano la fatica dei minatori
e le trasformazioni del paese, che soprattutto con l’arrivo della Cogne, subì una trasformazione
produttiva ed economica ma anche demografica, urbanistica e sociale e uno shock culturale.
Attualmente dalla miniera chiusa viene captata e filtrata l'acqua potabile. Nelle gallerie inferiori
infatti vi erano varie fonti di acqua che erano il pericolo e l’impegno più gravoso, le gallerie più
basse furono scavate ad un livello molto inferiore rispetto al paese, per questa ragione furono
anche i livelli meno sfruttati. Il nipote di un minatore ha condiviso con me l’esperienza del nonno,
che è ancora vivo, ma non più in grado di affrontare un’intervista. Il nipote ha deciso di parlare
al suo posto perché il nonno ne parlava sempre e si commuoveva sempre. La sua testimonianza
ha trasmesso al nipote le sue paure e le sue fatiche, ora il nipote vuole condividerle per
conservarle nella memoria collettiva. Mi racconta che quando il nonno ne parlava piangeva
sempre, raccontava di avere sempre paura di perdersi e di fare la fine del topo in quelle gallerie.
[...]dal mont Colmet a Arpy, al Villaret due livelli i più pericolosi, si allagavano sempre e lui era
addetto alle pompe che dovevano svuotarle, [...] dovevano riattivarle per svuotare la galleria e
se si fermavano loro sarebbero affogati. Lui veniva da Chatillon, la mamma era di qui, faceva il
pastore a 16 anni per le pecore.

116
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Capitolo 2: Denti bianchi

e poi passavano tutti sotto casa nostra è bellissimo questo, poi sorridevano no, la sera con le
lampade a carburo e certo sti denti erano bianchissimi perché loro erano tutti neri.

[...]facevano le sciolte e il nostro divertimento era andare a vedere che uscivano in inverno,
[...]c’era un trenino, quando uscivano che erano un po’ bagnati e c’erano magari 20-25 gradi sotto
zero, facevano in tempo a scendere da quella che chiamavano balestra e dovevano andare di corsa
per arrivare nel piazzale, dovevano fare duecento metri per arrivare dal piazzale alle case operaie
dove c’erano le docce e dovevano farli velocemente, perchè gli si gelava la roba addosso, quindi
alla fine facevano fatica a camminare perchè gli si gelava la roba addosso[...] e poi uscivano [...]
che tu gli vedevi solo il bianco degli occhi e il bianco dei denti, una macchia nera, hanno fatto
una brutta vita veramente.

Il villaggio minerario fu ultimato negli anni trenta e inaugurato nel Novembre del 1938. Al suo
interno c’erano case operaie, locali tecnici per l’estrazione, locali di uso comune, uffici e un’
infermeria. L’abitato di La Thuile, dove fino ad allora c’erano solo pascoli, si trasforma
allungandosi fino alla fine della valle del Rutor, mentre prima l’abitato di fermava al Bathieu
all’altezza di quello che è stato l’unico castello di La Thuile, quello degli Chatelard, dopo il quale
c’erano solo pascoli.
Durante la seconda Guerra Mondiale si espande ulteriormente, con l’edificazione provvisoria di
un campo di prigionia vicino all’imbocco della miniera del Villaret. Alla fine della guerra lì
saranno ospitate le famiglie dei minatori. Il paese diviene in breve tempo una piccola città
mineraria.
Gli operai in forza erano circa 1200 a La Thuile dei quali almeno 300 350 erano nelle case operaie.

La popolazione era tutta legata alla miniera, i minatori erano precettati, i filoni partivano da
dietro casa sua per attraversare tutta la montagna, secondo gli ultimi minatori al momento

118
dell’abbandono dell’attività estrattiva ci sarebbero stati altri 10 anni di materiale da estrarre
almeno.

Le case operaie dagli anni trenta ospitano i lavoratori della miniera che vengono da altre regioni,
veneti, bergamaschi, bresciani, piemontesi e anche dal sud, calabresi per lo più.
[...]erano gente che lavorava i bergamaschi.
Le case operaie erano quattro edifici paralleli di cui tre erano dormitori. Quello più a sud ha una
pianta diversa e ospita la lavanderia, i servizi, le docce, la stireria, al primo piano le cucine, la
mensa degli operai e quella separata degli impiegati, il bar, la sala da ballo.
Nel villaggio dei minatori c’era tutto, lo spaccio le docce, il bar, la mensa e la sala da ballo, avrei
tanto voluto andare a ballare, ma non mi lasciavano, per la quarta mi hanno mandata a Venezia
dai miei parenti i nonni e gli zii,[...] le famiglie restavano unite anche se lontane[...] quando avevo
20 21 anni, allora sì andavo a ballare e mi divertivo.
[...] mio marito era un parente dell’abbé Chanoux, era già a La Thuile e lavorava come cantoniere
alla seconda casa cantoniera, mentre i M. avevano la terza.
[...] all’epoca facevamo più cose, c’era più amicizia, anche se andando dai nonni e dagli zii mi
sono persa molte cose, la sala da ballo e il cinema chiusero quando chiuse la miniera.
Nel 1942 venne realizzato l’ultimo edificio destinato a dormitorio con una capacità di 120 posti
letto. C’erano poi il panificio e lo spaccio.
Il riscaldamento era centralizzato e alimentato da una centrale termica attigua all’ultimo edificio.
Ma nelle case il riscaldamento non c’è ci sono le stufe.
Il papà è riuscito a comprare un piccolo motocarro a tre ruote, le famiglie avevano diritto a dieci
quintali di carbone ad un prezzo simbolico, noi andavamo a caricare il carbone e guadagnavamo
la giornata, già a quattordici anni andavamo a lavorare con il motocarro[...] poi il papà andava
anche a lavorare nel bosco. Negli anni cinquanta facevano il trasporto per la Cogne del quarzo,
dal campo al Piccolo San Bernardo, sempre per l’acciaio, eravamo bambini era un'avventura stare
lì, era subito dopo la guerra, abbiamo trovato le bombe, una volta abbiamo visto una bomba
enorme, ne hanno trovate una decina e poi quella grande.[...]
La Cogne ha creato un villaggio notevole per il periodo, dotato di tutti i confort possibili
all’epoca, come le docce aperte anche alle famiglie che abitavano nelle case operaie fuori dal
villaggio, e edifici separati per le famiglie e i celibi, pensando a tutte le necessità dalla scuola
alla sala da ballo.
Ma non si impegnò soltanto a costruire edifici utili, l’impegno arrivò a coprire le necessità
sanitarie e sociali dei minatori e delle loro famiglie, come già avveniva nella fabbrica di Aosta
come visto nel capitolo dedicato. La distribuzione del carbone, l’insediamento del medico

119
condotto, le colonie per i figli dei minatori grazie alle quali venne data la possibilità ai bambini
dei minatori di poter andare in vacanza al mare. Nei vari servizi offerti c’era anche
un’assicurazione, ma copriva solo in caso di incidente, non di malattia.
La Cogne organizzava anche la festa dei minatori che all’epoca era una grandissima festa. Il 4
dicembre per Santa Barbara. La festa in sé esisteva già prima dell’avvento della Cogne, essendo
Santa Barbara protettrice dei minatori degli artificieri e dei pompieri, a cui in paese sono dedicate
ben due cappellette. Ancora oggi si tiene una grande festa per i vigili. Ma allora l’azienda
organizzava il pranzo per tutti gli operai e le famiglie, veniva offerto un grande pranzo per i
minatori e poi la cena per tutti, veniva chiamata l’orchestra e organizzato un ballo, addirittura
almeno un anno nel magazzino a fianco al cinema era stato organizzato un torneo di boxe tra i
minatori. Ovviamente nel periodo minerario la venerazione della Santa aveva assunto una grande
importanza per la sua protezione nei confronti dei minatori.

L’infermeria
L'infermeria viene aperta nel 1938 e inaugurata da Mussolini. Il lungo destino dell’edificio
merita di dedicargli un po’ di attenzione. L’infermeria nasce grazie all’interessamento del dottor
Montesano per dare supporto sanitario ai dipendenti della miniera. Al momento della costruzione
era all’avanguardia e fu anche avamposto medico durante la guerra. Doveva essere di supporto
alla popolazione che in quel momento arrivava a 1500 persone che venivano da ogni dove. Aveva
uno staff di infermieri attivo 24 ore su 24 con un'assistenza che veniva offerta a tutta la
popolazione, che fino ad allora non aveva avuto un medico. Spesso l’infermeria dava ricovero a
malati di polmonite o brutte influenze o ai malati di silicosi a cui bastava un raffreddore per stare
male , in modo che potessero essere curati in un posto caldo senza dover preoccuparsi della stufa.
Erano poche infatti le abitazioni con il riscaldamento centralizzato. Aveva una sala d’aspetto,
una sala rx, una sala operatoria, uffici amministrativi, un ambulatorio, le stanze per il ricovero
che potevano contenere 20 pazienti e una cucina. I medici del periodo minerario, furono
Montesano, il primo che fu anche medico condotto e di cui parleremo diffusamente. Rosso che
successe a Montesano e morto in un incidente stradale, e il dottor Camerini. Con il dottor
Camerini l’infermeria potenziò il suo ruolo di centro traumatologico e fisioterapico adeguandosi
all’evoluzione dell’economia del paese sempre più turistica. Il dottor Camerini divenne molto
conosciuto in Valdigne e non solo per la fisioterapia. Il dottor Orlandi che gli successe e fu il
primo non interessato dal periodo minerario, ricorda in un suo scritto che la popolazione di La
Thuile preferiva un’assistenza magari meno specialistica, ma più “domestica” e considerava
Aosta troppo lontana.

120
Nel 1966 con la chiusura della miniera l’edificio resta comunque attivo come centro sanitario del
paese. Nei primi anni settanta con la riforma del piano socio-sanitario nasce la prima
microcomunità in Valle d’Aosta, con 11 degenti. Inaugurata e aperta nel 1986, ha chiuso
quest’anno con il trasferimento in una nuova e più adeguata struttura che ha inglobato tutte le
microcomunità della Valdigne a La Salle. Questa scelta mette in luce una differenza di intenti tra
l’epoca mineraria in cui l’impresa e le amministrazioni fanno dei tentativi di avvicinamento della
popolazione ai servizi, mossi certo dai propri interessi, ma influenzati dalle buone pratiche
industriali del tempo influenzate dal pensiero di alcuni imprenditori illuminati, che cercano nel
benessere dell’operaio la stabilità e il buon funzionamento dell’azienda, e la situazione odierna
in cui la necessità dell’individuo in quanto paziente viene totalmente schiacciata dalla logica di
ottimizzazione finanziaria delle risorse pubbliche.
Negli anni post minerari fu fatto persino un primo tentativo di telemedicina, che però le linee
telefoniche di allora non riuscivano a supportare. Nei primi anni la comunità ha accolto non solo
anziani, ma anche invalidi e malati psichiatrici98.
La gente esce dalla messa affollata finita alle 12.00 sotto il piccolo arco che fa da passaggio la
discesa è ripida e c'è ghiaccio, mentre le prime persone scendono le scale, un personaggio buffo,
piccolo e rotondo col cappello a passo veloce raggiunge l'imbocco dell’ arco in un fiume di parole,
agitatissimo si accerta ancorandosi bene per terra di aiutare tutti ad affrontare indenni la
pericolosa discesa, rimarrà lì ad aiutare fino a che tutti non saranno a casa, poi si avvierà di corsa
verso l’infermeria per pranzare, probabilmente sarà accolto con una sgridata per il ritardo, ma
poco importa, il suo sorriso per aver fatto quello che lui ritiene un dovere, illumina tutta la strada.
Nel frattempo il professore seduto al tavolo del bar Giovanna, il bar dove tutti si ritrovano per
l’aperitivo dopo la messa, nel suo immancabile maglione di lana verde starà colloquiando
amabilmente con dio per chiedergli le previsioni del tempo.
Ho passato molte ore con gli ospiti dell’infermeria, con alcuni di loro non era possibile avere un
vero rapporto di amicizia o un colloquio, mi facevano anche un po’ paura a volte e una di loro era
inavvicinabile nella coltre di fumo di tutte le sigarette che fumava e beveva litri di caffè, ma era
dolcissima con me quando provava a insegnarmi a ricamare. Mia mamma lavorava come
assistente in infermeria, io con “i matti”, allora li chiamavano ancora tutti così, ho passato
momenti strampalati e bellissimi, ho imparato a conoscere senza capire per forza, a condividere
senza invadere… devo dire che con occhi moderni e adulti quell’esperimento dell’infermeria di
La Thuile coi matti che giravano liberi per il paese con tutte le loro manie e stranezze, parlando
con dio o con Marilyn Monroe, correndo da una parte all’altra a fare cose senza senso, rifiutando
una caramella per una cipolla, e dicendo messa insieme al prete con il solo scopo di riuscire ad

98
la legge Basaglia nel 1978 aveva decretato la chiusura degli ospedali psichiatrici per optare per un trattamento
meno discriminatorio e più inclusivo.

121
anticiparlo per sentirsi dire bravo, meriterebbe uno studio approfondito in altri campi scientifici.
In quegli anni le assistenti potevano tralasciare un lavoro per chiacchierare un po’ con chi era
triste e aveva bisogno di condividere i ricordi o sfogarsi in un momento di lucidità.
I due infermieri Mario e Rosito si occupavano di tutto, Rosito era un bravo rabeilleur99 e Mario
ha tolto i denti e fatto punture a tutti i bambini del paese.
Mario l’infermiere è stato l’ultimo operaio della Cogne, dopo un breve trasferimento alla miniera
di Cogne viene assegnato a La Thuile. Gli viene anche data parte dell’infermeria per vivere con
la sua famiglia. In cambio di questo alloggio Mario ebbe un ruolo di custodia della struttura e di
presidio sanitario. Dopo la chiusura della miniera soccorreva lui con la sua macchina i primi
sciatori che si facevano male.
Come per tutto ciò che avveniva all’infermeria l’assenza sul territorio di altri presidi , la
lontananza da Aosta, tale per cui prima dell’uso massiccio degli elicotteri come mezzo di
soccorso, si diceva che se ti veniva un infarto a La Thuile morivi, le leggi meno severe hanno
permesso all’infermeria e ai medici e infermieri a assistenti sanitari di offrire alla popolazione
una vicinanza e un sostegno di notevole importanza.
Dal 1990 con la riorganizzazione sanitaria restano l’ambulatorio del medico di base dell’ufficiale
sanitario e l’ambulatorio infermieristico. Nel 1999 nel lato sud nasce il grande albero il primo
asilo nido del paese. Nel 2010 vengono spostati gli ambulatori in capoluogo al piano terra trovano
posto delle associazioni del paese. L’edificio dalla sua costruzione si è evoluto sempre al servizio
della popolazione.
Da un punto di vista antropologico l’infermeria è nata come un non luogo destinato ad essere
impersonale fornitore di servizi in cui le vite di migliaia di persone dovevano passare per poter
usare i suoi servizi in un tempo limitato che era quello della miniera. Era quindi destinata a
divenire dopo la chiusura un rudere, un fantasma come tutti gli altri edifici della miniera.
Per eventi accidentali, come i cambiamenti normativi e per il fortuito arrivo di persone capaci e
intraprendenti è invece col tempo diventata un luogo centrale per la comunità in cui le vite non
sono più state rapidi passaggi, ma sono diventate vite, storie e legami lunghe e interconnesse con
tutta la vita del paese.

Gli uffici.
Gli uffici nascono col complesso Cogne negli anni trenta. L’edificio contiene gli edifici
amministrativi, tecnici e dirigenziali delle miniere. Nel salone c'era un plastico delle gallerie

99
Conciaossa in patois. Erano una figura fondamentale e ce n’era almeno uno in ogni paese, vennero man mano
sostituiti da fisioterapisti e osteopati, la loro figura che oggi può apparire antiscientifica dalla medicina ufficiale
non aveva nulla di magico, ma solo una profonda conoscenza del corpo umano e una grande disponibilità nei
confronti della popolazione, da cui spesso non prendevano soldi, e a cui aprivano sempre le porte.

122
realizzate e una pianta delle miniere che veniva aggiornata ogni mese dagli addetti agli scavi. Al
primo e secondo piano c’erano gli alloggi del medico e della dirigenza della Cogne.
Quando il villaggio di Pera Cara passa alla proprietà di padre Kolbe il salone diventa il refettorio
con la cucina. Da fine anni ‘90 è in stato di abbandono. Destinato al futuro asilo per il comune
ora in è vendita da parte della regione.
Gli edifici tecnici erano davanti all'imbocco della galleria del Villaret, dove c’erano due
costruzioni, la prima a sinistra ospitava i compressori per i martelli pneumatici e la ventilazione
forzata e i locali per la conversione dell’energia elettrica.
Nell'edificio basso e lungo a destra della galleria vi era la lampara per il rifornimento delle
lampade a carburo da utilizzare in galleria e per la loro manutenzione.
La forgia per gli attrezzi, che erano manutenuti e costruiti in loco dagli operai, soprattutto le
punte dei martelli, la falegnameria per trattare il legname per il sostegno delle gallerie. Poi sorsero
magazzini, le rimesse e le officine per i locomotori e di recente uno divenne la cappella per i
turisti di padre Kolbe. Il piazzale era solcato dai binari per il transito dei treni Decauville che
portavano fuori il materiale di scarto che veniva depositato sul versante verso la Dora. I binari
arrivavano anche alla parte opposta del versante della galleria del Preylet, i vagoncini carichi di
antracite passavano il ponticello sulla dora e la strada, poi entravano in galleria per raggiungere,
tramite la discenderia, la stazione di carico in galleria del treno diretto ad Arpy.
Dopo il 1959 i binari portavano i vagoni di carbone alla laveria, che viene costruita alla fine del
periodo minerario, dove avveniva il trattamento dell’antracite prima svolto a Morgex, che nel
frattempo aveva già chiuso. I vagoncini ora non vanno più ad Arpy, ma si fermano lì, sono
scaricati dai vagoni sulla torre più alta a sud e con passaggi e lavorazioni successive l’antracite
viene sminuzzata e tritata, in gergo il processo si chiama arricchimento. La Cogne aveva man
mano ridotto dal 1951 i tracciamenti e le ricerche nonché l’estrazione del minerale fino ad
arrivare alla chiusura della laveria di Morgex. La Cogne ora punta alla produzione del polverino
per la produzione di grafite e di elettrodi per altiforni e di energia elettrica. Il materiale tritato
veniva depositato nelle 3 grosse vasche di decantazione costruite nel piazzale antistante. Il
polverino veniva poi caricato su camion e portato a valle per la vendita.
Nel piazzale antistante esistevano già dal 1942 due lunghi edifici a pianta rettangolare, creati in
tempo di guerra per ospitare gli operai militarizzati100. Nel dopoguerra uno è stato usato come
magazzino e poi abbattuto, l’altro è stato convertito in cinema. Il cinema per i nati dopo il periodo
minerario è un luogo mitologico, uno di quei posti che puoi raggiungere solo con un andata e
ritorno di due ore. A La Thuile non c’era un cinema in epoca moderna difficile immaginarne uno

100
militari mandati a lavorare in miniera e non al fronte.

123
precedente. Invece il cinema c’era ed è nei racconti che ho ascoltato il ricordo più dolce, quello
che dopo la tristezza che ha accompagnato il racconto di tempi difficili riporta il sorriso sulla
bocca degli intervistati. Teneva fino a 200 persone ed era gestito direttamente dalla Cogne, faceva
spettacoli alcune volte alla settimana e riscuoteva sempre molto successo tra gli operai e la
popolazione.
Su questi siti è stato costruito negli anni ‘80 il compattatore per i rifiuti e un parcheggio poi
destinato ad area camper.

124
Capitolo 3: Prigionieri

Nei piani del genio militare era un lager, ma non lo è mai stato, per essere un lager deve avere
delle caratteristiche, come avere il filo spinato, che non ha mai avuto.

Nella prima guerra mondiale si ha notizia di 50 prigionieri di guerra impiegati nelle miniere. Nel
1918 trentuno prigionieri ricevevano un salario di poco inferiore a un terzo di quello degli operai
normali ossia 2,40 lire calcolando le paghe versate fu stabilito che alla fine del primo conflitto
mondiale i prigionieri di guerra, che trovavano impiego nelle miniere di antracite di La Thuile,
ammontarono a circa un centinaio di unità custoditi da personale militare e ospitati presso
appositi baraccamenti al Villaret . Non si hanno altre notizie sul luogo esatto ma è certa la loro
presenza.
L’insieme degli edifici nasce al Villaret tra il 1941 e il 1942, quando la Cogne per esigenze di
carattere eccezionale, ha dovuto trovare l’alloggiamento per i prigionieri di guerra, per gli operai
militarizzati provenienti dall’esercito e per il personale militare di vigilanza al campo di
concentramento destinati al lavoro nella sua miniera. Il progetto edilizio è del Novembre 1941 e
la richiesta di concessione viene presentata dalla società al comune di La Thuile il 28 maggio
1942.
Dal documento si evince che le costruzioni sono in parte eseguite e in parte da eseguire. Sono
baraccamenti a carattere provvisorio101su un solo piano fuori terra, costruiti in legname con pareti
rivestite con lastre di Eraclit o Populit dello spessore di 2 centimetri, intonacate con tetto coperto
in tegole marsigliesi su uno scheletro di legno. Il campo è costituito dai dormitori, dal refettorio,
dalle prigioni e una ha una piccola infermeria all’interno del reticolato. Ci sono poi gli edifici per
il corpo di guardia, gli uffici e gli alloggi del comando dei sottufficiali e dei militari di truppa.
Il campo era denominato Campo PG 101 porta littoria102.
Con 250 internati è un campo di lavoro. Viene chiuso l’8 agosto 1942 dopo pochi mesi, a seguito
del cessato impiego di manodopera dei prigionieri di guerra presso le miniere Cogne. Si
immagina che vi sia stato il trasferimento degli internati, probabilmente rimandati al campo PG
62 di Grumello del Piano (BG), perchè è lì che dai documenti rientrano gli interpreti.
Una parte sul lato sud non sarà nemmeno realizzata.
I baraccamenti prendono nuova vita e nuova destinazione tra il 1943 e il 1944 e si animano di
persone libere. Vengono infatti assegnate alle famiglie dei minatori che vengono dal Veneto, dal
Bresciano, del Bergamasco, dal Piemonte, dalla Calabria, dalla Sardegna.

101
seppur in pessime condizioni sono ancora lì, tutte in piedi
102
www.campifascisti.it

125
durante la guerra ,nel 1943- 44, in piena guerra, i minatori che avevano optato per rimanere a
lavorare in miniera, tra questi mio papà e mio zio, la campagna che ha fatto mio zio[...] è quella
in Croazia, quando sono tornati i suoi compagni sono ripartiti per la Russia lui è rimasto qui[...]e
anche mio papà, intanto ero nato io nell’aprile del 1942 e lui è rimasto qui[...] verso la fine del
1943 ci hanno dato le case a Pera Cara, appena sono andati via i militari e i prigionieri[...] erano
i primi esperimenti di casa prefabbricata, senza alcun tipo di isolamento.
Queste famiglie si scaldano con il carbone e la legna, nella stufa della cucina, la luce c’è a
intermittenza, il primo bagno con vasca, lavandino e Wc e boiler arriva solo nel 1955.
Il villaggio ha una ventina di famiglie di operai e manutentori, è un piccolo villaggio con un
negozio di alimentari e una scuola per i bambini di prima e seconda elementare. La quarta e la
quinta erano in paese. Il campo di prigionia diventa un nuovo pezzo del paese, gli immigrati
riempiono a lungo tutti gli spazi abitativi, anche i meno adatti come questo. Prima della cessione
del villaggio alle famiglie dei minatori questi trovavano ospitalità nelle case dei villaggi libere,
spesso fatiscenti e in frazioni distanti che richiedevano ore di cammino nella neve per
raggiungere le gallerie. Il villaggio fu quindi un significativo miglioramento per le condizioni di
queste famiglie.
Non bisogna dimenticare che siamo in piena guerra. Il paese è occupato, i rifornimenti pochi, il
cibo scarso, i francesi tengono sotto tiro il paese. La vita della popolazione in quel momento è
molto dura. Avere tutto nel villaggio, essere vicini alla miniera senza dover fare grandi
spostamenti per recarsi al lavoro, poter mandare i bambini a scuola, erano indubbiamente dei
notevoli vantaggi.
Quando sparavano ci nascondevamo nella cantina di N. e L. solo una volta ci hanno portato via
per un po’, solo noi bambini. È[...] non era un dramma[...] i francesi non sparavano per fare danni.
noi in casa avevamo un comandante tedesco[...], ma erano molto corretti, qui se qualcuno fa un
attentato noi dobbiamo prendere qualcuno di voi[...] prendi noi che giochiamo a belotte! Non
scherzate che se qualcuno ce l’ha con voi dobbiamo fucilarvi[...] poi quando sti tedeschi sono
andati via il comandante era direttore d’orchestra, il segretario del municipio, han fatto tutte carte
d’identità false e gli ha detto di stare zitto[...] gli ha scritto che era tornato a casa.
Quando chiudono le miniere, il villaggio, come tutto il paese, si spopola e cade in stato di
abbandono. Alla fine anni ‘60 dei frati francescani di Pesaro, guidati da frà Corrado, intravedono
un buon luogo per il soggiorno estivo di famiglie della loro parrocchia. Comprano il villaggio
abbandonato e ristrutturano le baracche, portano l’elettricità, tetti in lamiera e riscaldamento
centralizzato. Il villaggio ospiterà un centinaio di persone, su turni di due settimane, per le
vacanze estive e avrà il nome di Casa per ferie padre Kolbe.
Come accennato in precedenza, il refettorio e gli uffici sono sull'altro lato della strada negli uffici
ex Cogne. I pesaresi, come li chiama il paese, restano fino a fine anni 2000.

126
Un gruppo di artigiani locali esprime interesse per la zona che entra in un piano regolatore
commerciale103.
Tutte le informazioni che abbiamo oggi sono merito di Monica Granier, che nel ruolo di assessore
comunale, ha raccolto, nel tentativo di dare la giusta connotazione storica al luogo, da anni al
centro di una diatriba sulla sua destinazione d’uso, tra chi lo vorrebbe vendere e lasciare che
venga costruito a piacimento dall’acquirente, o tentare di salvaguardarlo dandogli una
destinazione turistico culturale comunitaria. Il luogo non è stato giudicato di interesse storico e
quindi in tempi brevi verrà probabilmente messo sul mercato senza ulteriori vincoli. A Monica
resta il grande merito di avere ricostruito la storia del luogo.

103
PO artigianale nel 2014 è ancora della RAVA, oggi è in vendita.

127
Capitolo 4: I Giapponesi

[...]perché allora ti ricordi che c’era questa brutta cosa, come adesso coi neri, ci chiamavano i
Giapponesi[...]non so perché non ho mai capito, bisognerebbe chiedere ai paesani.
[...]Il terreno dove abbiamo costruito la casa Boscardin ce lo ha venduto la tua bisnonna, gli altri
non ci vendevano neanche i terreni, lei non aveva il pregiudizio che avevano gli altri, lei era
intelligente[...]
Entro a scuola mentre i compagni mi fanno spazio[...]Ma il maestro[...]posate la penna, e ascoltate
bene..., poi continueremo il dettato. Io in piedi in fondo, a pochi passi dalla porta. Ed il maestro:
Adesso è arrivato uno di quelli che sa tutto..., sa leggere, scrivere... è un giapponese viene da
lontano, dall'estremo Oriente... No, no signor maestro, sono di Padova… non vengo dal Giappone.
La manodopera chiamata dalla Cogne arriva a La Thuile a ondate. Questo provoca uno
sconvolgimento socio professionale e ripercussioni demografiche. Falquet ha studiato i registri
delle emigrazioni e immigrazioni a partire dal 1935, Questi registri rendono conto di tutte le
famiglie del comune, ma i dati sono incompleti fino al 1955, perchè menzionano solo il luogo di
provenienza e di arrivo senza specificare l’attività dell’individuo. Ma comunque sono utili a
fornire lo schema dei diversi movimenti della popolazione anno per anno e possiamo grazie ad
essi delimitare i periodi di intensa attività del comune, e lo sviluppo delle colonie di minatori
dovute all'intensificazione dell’estrazione mineraria.
[...]quando erano riempite erano circa 1200 operai minatori almeno 300-350 case operaie, una
struttura completamente indipendente con tutti i servizi, con camerate da 20 lavoratori che
lavoravano in tre turni. I turni si chiamavano sciolte ed erano dalle 6 alle 14, dalle 14 alle 22,
dalle 22 alle 14, per questo avevano le finestre alte, per non distrarsi a guardare fuori, e per non
avere troppa luce e poter dormire dopo i turni. Il carbone era per lo sfruttamento bellico, aveva
un tenore molto alto, non di eccelsa qualità[...]
Un altro documento fondamentale sono le schede dell’anagrafe familiare, che danno dati più
precisi rispetto alle pratiche di migrazione a partire dal 1938. Esiste una scheda per ogni famiglia
che precisa la professione del padre, l'età, la provenienza della famiglia, ma pur dando moltissime
informazioni anche queste schede sono carenti di informazioni perché registrano i dati solo delle
famiglie residenti a La Thuile e non di quelle di passaggio, le quali non sempre cambiarono la
residenza.
Dai dati e di vede un aumento vertiginoso del numero di immigrati nel 1952, questo sembra esser
dovuto ad una mancanza di registrazione negli anni dal 1947 al 1951 a cui fu posto rimedio nel
1952 recuperando i dati del censimento del 1951104. Dai dati si estrapola che dal 1935 al 1966

104
Questo fu spiegato a Falquet dagli impiegati comunali a spiegazione della mancanza di dati.

128
incluso, sono arrivate a La Thuile 1680 famiglie, con un totale di 2696 persone di cui 1025 erano
donne. I numeri variano ogni anno con una punta massima registrata nel 1939 che registra 163
famiglie. Il periodo dal 1935 al 1944 registra l’arrivo di 912 famiglie, dal 1945 al 1954 accoglie
379 famiglie, la media annuale è di 32 famiglie.
Man mano che decresce l’estrazione diminuiscono gli arrivi, a dimostrazione dell’origine di
quelle migrazioni, che avranno un crollo vertiginoso nel 1966.
Di questi nuovi arrivati il 76,7 per cento sono individui da soli, senza famiglia. Dal 1955 al 1966
su 389 famiglie 325 erano composte da un solo individuo. 251 erano celibi 229 uomini e 22
donne. Si tratta soprattutto di militari, Guardia di finanza e Carabinieri che costituiscono il 50,64
percento delle famiglie immigrate, mentre solo l’11,31 per cento è costituito da minatori e questo
ci ricorda che in quel periodo l’attività mineraria sta già diminuendo. Solo il 3,9 percento dei
celibi arrivati a La Thuile era minatore. Di solito i minatori arrivavano da soli ma poi venivano
raggiunti dalla famiglia. Si registra anche un certo numero esiguo di donne sole, le casalinghe, e
di agricoltori. Insieme ai minatori arrivarono anche artigiani, commercianti e impiegati, ma il
rapporto è di uno a tre rispetto ai minatori.
I nuovi arrivati vengono soprattutto dall’Italia settentrionale, con una piccolissima percentuale
di stranieri (0,88 per cento), l’80,8 per cento arriva da Valle d'Aosta (11,37 %), dal Veneto (51,7
%) insieme al Friuli Venezia Giulia, dalla Lombardia (20 % )e dal Piemonte( 5,38%). Dal Veneto
arrivano essenzialmente minatori, nella zona ci sono miniere e quindi arriva manodopera
specializzata, inoltre come raccontato dai miei testimoni il veneto era uscito distrutto dalla prima
Guerra Mondiale. Dall’Italia meridionale arrivano soprattutto Finanzieri e Carabinieri, ma sono
una piccola percentuale su cui l’anagrafe non dà altre informazioni. Purtroppo le schede familiari
e le pratiche di immigrazione non riportano gli stessi dati quindi è difficile essere precisi, per il
problema suddetto che vide la registrazione di 100 famiglie tutte nel 1952, mentre probabilmente
sono arrivate nel lasso di tempo di cui non abbiamo dati. Le famiglie di minatori sono costituite
da 1752 membri arrivati a La Thuile tra il 1938 e il 1963. Il 66,26 percento sono minatori, il
14,02 sono Carabinieri e Finanzieri e il 12,3 percento sono artigiani e impiegati.
Tra i minatori il 38,3 percento sono da soli e il 28,8 percento sono celibi e giovani. Gli altri
arrivano da soli e si fanno raggiungere dalla famiglia una volta trovata una sistemazione decente.
La famiglia ha in media tra i due e i quattro membri 27,3 percento, non sempre sono costituite
dal classico schema uomo, moglie figli, a volte si tratta di gruppi di fratelli, le famiglie con dai

si tratta dell’ennesimo buco di informazioni sul paese dopo le guerre contro i francesi e le alluvioni che avevano
distrutto tutti i registri.

129
cinque ai sette membri sono il 21,8 per cento e quelle con 8 membri o più sono meno numerose
e quelle con più di 10 membri sono solo l’uno, 8 del totale.
Il 49,5 percento sono famiglie con bambini, il 60,5 per cento ha tra i due e i quattro figli.
La popolazione di La Thuile è ringiovanita dall’arrivo di questi immigrati considerato che l’età
media è di 33, 7 anni. Inoltre in precedenza il paese si attestava su una natalità minima che
manteneva costante la popolazione.
Come abbiamo visto le suddette regioni coprono il 88,4 % della provenienza . La maggioranza
di loro restò a La Thuile tra gli uno ei cinque anni il 46,5 %, da uno a 9 anni i tre quarti delle
famiglie 71,8 %. Pochi restarono meno di un anno o più di dieci anni. Come è chiaro, per motivi
prettamente pratici le famiglie che si spostano meno e restano tra i 15 e i 20 anni sono quelle con
più di sette membri, mentre gli individui soli sono quelli a spostarsi più rapidamente. Questi
gruppi diversi e numerosi che si fermeranno di più saranno quelli che andranno a mescolarsi con
la popolazione locale, modificando la struttura demografica. Alcune cifre sulla popolazione
spiegano chiaramente l’andamento legato all’estrazione mineraria.

Anno del censimento popolazione popolazione


residente presente

1921 765 954

1931 913 875

1936 1076 1313

1951 1339 1440

1961 901 843

Dal 1921 al 1951 la popolazione residente è accresciuta del 72,4% mentre la popolazione
presente è solo il 50 % tra il 1921 e il 1931 le immigrazioni sono poche e rare. Tra il 1931 e il
1936 c’è l’aumento più sostanzioso che rallenta di nuovo tra il 1936 e il 1951. L'aumento non è
solo dovuto strettamente agli arrivi, ma anche alle dinamiche innescate da quegli arrivi, la
popolazione immigrata è giovane e quindi porta ad un aumento delle nascite. I matrimoni erano
in media 3,5 tra il 1900 e il 1920, salgono a 8,6 tra il 1921 e il 1951. A La Thuile i matrimoni in
giovane età sono rari, l’età media del matrimonio è di 29 anni per gli uomini e 26 per le donne.

130
Tradizionalmente nelle economie rurali i matrimoni sono in età tarda, con un controllo indiretto
delle nascite, e questa abitudine è rimasta in paese. I matrimoni misti risultano essere un buon
numero, il 36,5 percento e sono soprattutto le donne originarie di La Thuile a sposare stranieri.
i matrimoni con le ragazze del paese non erano ben visti, però se le figlie o sorella dei minatori
erano piacenti…allora andava bene che sposassero gente del posto [...] le mie zie si sono sposate
con valdostani e andava bene[...]
Le unioni eterogenee aumentano verso la fine dell’epoca mineraria raddoppiando tra il periodo
1921-1931 e il periodo 1937 e 1951. Negli anni 1921- 1931 ci sono più matrimoni misti
giustificati dagli immigrati per lo più giovani e celibi, che quindi trovano la moglie a La Thuile,
Nel periodo medio gli immigrati arrivano con le famiglie e dal 1836 al 1951 la comunità si
richiude su se stessa e diminuiscono i matrimoni misti. Ovviamente a un aumento dei matrimoni
segue un aumento delle nascite.
Nel conteggio delle morti e delle nascite sono da notare il vigore ridato alle nascite tra il 1921 e
il 1951 e quelli riguardanti la mortalità che vedono il drammatico numero di bambini morti a
pochi giorni o pochi mesi. Il 30,8 percento dei morti totali era sotto i 20 anni, di cui il 27,7
percento era di bambini da zero a due anni, i figli di minatori sono il 26,5 per cento dei bambini
defunti. Nel periodo tra il 1921 e il 1951 i dati sono ancora più drammatici: nel gruppo dagli 0 ai
20 anni i bambini tra 0 e due anni sono il 78,3 per cento delle morti, l’89 per cento negli anni
seguenti. Nelle condizioni di vita estremamente povere e difficili sono da ricercare le ragioni di
questo dramma. Le abitazioni inadatte, fredde e con poca igiene e una scarsa assistenza medica
sono sicuramente da annoverare nelle cause di questi numeri drammatici. La classe tra i 20 e i
50 anni rappresenta il 22,5 percento del totale dei morti e di loro i minatori sono un quarto del
numero registrato, a causa di incidenti avvenuti in galleria, ma soprattutto in seguito alla silicosi.
Malattia tristemente legata alla miniera di La Thuile. Anche il numero delle donne tra i 20 e i 40
anni che copre circa il 30 per cento dell’insieme racconta il dramma di condizioni di vita molto
dure, in cui molte morivano di parto con i loro bambini o dandoli alla luce, chiaramente a causa
di scarsa cura medica e igiene. Nonostante i numeri di morti molto alti le percentuali restano a
vantaggio della crescita, grazie a un buon numero di nascite. Alla fine dello sfruttamento
minerario si vede un calo di numero delle colonie e un invecchiamento della popolazione
repentino.
Negli anni dal 1951 al 1961 segnano un declino dell’immigrazione e una ripresa dell’emigrazione
dando così una battuta d’arresto alla crescita della popolazione.
Tra il 1935 e il 1966 la media annuale e globale degli arrivi è molto inferiore alle partenze se tra
il 35 e il 44 dominano gli arrivi tra il 55 e il 66 riprende invece l’emigrazione.

131
Nell’analisi delle famiglie si evidenzia la presenza di minatori pensionati a 35 e 40 anni come
evidenza dei danni provocati dalla silicosi e delle altre difficoltà del lavoro che portavano questi
uomini a smettere di lavorare molto presto.
Dal 1951 al 1961 le persone che iniziano a emigrare si recano in Piemonte e Lombardia con il
ritorno a casa di molti di loro. Dai dati delle pratiche di immigrazione tra il ‘55 e il ‘66 solo il
30, 6 percento delle famiglie rientra nelle regioni di origine. Quelle che non sono rientrate nelle
loro regioni di origine sono in generale rimaste in Italia ( 58,4 percento) molti ad Aosta, perché
la Cogne al momento della chiusura aveva dato ai suoi operai la scelta tra il trasferimento ad
Aosta o Cogne, o nei suoi altri stabilimenti in Italia, o il licenziamento, o nel caso di minatori di
lungo corso o malati di pensionamento. Il 31,9 per cento va in regioni diverse e alcuni in Svizzera
e Francia. Nei movimenti della popolazione si vedono di nuovo le migrazioni temporanee e
stagionali, ma riguardano i Tchouilliens. Sono soprattutto ragazze intorno ai 25 anni che seguono
i mariti e solo il 20 per cento sono uomini che vanno a trovare lavoro altrove come camerieri e
macon (muratori) Alcune famiglie devono salutare anche due o tre figli. Questa migrazione
riparte dopo il ‘51 con il calo del lavoro minerario e non porta mai troppo lontano Valle d’Aosta,
Piemonte, Savoia.
Fino ad arrivare a un’emigrazione del - 38,4 per cento nel 1961. Nel comune si assiste a un
declino progressivo dell’accrescimento naturale, le emigrazioni riguardano molti giovani
facendo di conseguenza crollare i dati di nuzialità e natalità.
Il comune arriva ad avere 901 individui residenti nel 1961, con una diminuzione del 32,8 percento
dal 1951 al 1961. Mentre gli altri 21 comuni di alta montagna in Valle d'Aosta registrano un calo
del 1,9 per cento. La Thuile è il comune della regione ad aver perso più popolazione.
Lo studio delle coppie tra il 1951 e il 1961 indica una percentuale di coppie miste tra il 24,3 e il
34,4 percento. Una diminuzione progressiva dei matrimoni e della natalità va di pari passo con
le partenze di giovani tra il 1951 e il 1961. Decresce anche il tasso di mortalità e questo è
sicuramente dovuto all'emigrazione dei minatori, che per i decessi legati alla silicosi erano una
buona parte di quelle morti, ma contribuisce anche il miglioramento delle condizioni di vita e di
igiene e infatti è nella classe di età sotto i 20 anni che si registra una netta diminuzione della
mortalità, dal 30,8 per cento al 10,8 percento dal 1951 al 1961 e metà dei decessi riguardano le
famiglie di minatori. La classe tra i 20 e i 50 anni scende al 6,3 al posto del 22,5 percento e quella
femminile non rappresenta più del 1,3. Si può dire che a questo punto la mortalità del paese
rientra in uno standard di normalità essendo all’80 per cento rappresentata da anziani.
I minatori sono scesi al 6 percento. I dati degli anni 1951 e 1961 sono molto importanti perché
derivano da due censimenti fatti in modo molto preciso e approfondito, che permettono di
studiare l’evoluzione socio professionale della popolazione del paese. Tra il 1951 e il 1961 per

132
esempio si vede diminuire lo scarto tra la popolazione maschile e femminile. Prima le ragazze
emigrano per lavorare e i minatori immigrano da soli, nel 1961 invece ci si attesta su numeri più
normali passando dal 31,5 al 25,8 per cento nei dieci anni. Era più alta negli anni più importanti
della miniera tra il 1921 e il 1951.
La popolazione rimasta deve trovare una nuova occupazione, e il numero degli attivi è solo la
metà della popolazione che si divide tra agricoltura e miniera. Nel 1961 gli attivi sono il 45,3 per
cento del totale e di questi il 77,9 per cento sono uomini. Spesso solo il capo famiglia lavora nelle
famiglie numerose di minatori e se vi è un leggero aumento degli occupati, all'incirca del 2
percento rispetto al 1951, questo è dovuto ai giovani che erano bambini quando sono arrivati a
La Thuile e ora sono giovani che si affacciano sul mondo del lavoro.
La proporzione degli occupati è nel 1951 del 50,4 percento di minatori e il 24,2 percento in
agricoltura, il secondario copre poco più del 5 percento e il commercio, l'amministrazione e i
servizi copre il 20 percento.
Nel 1961 i minatori sono il 30 percento mentre gli altri settori salgono. Dal 1951 vi è l’inizio di
una fuga dal paese che sarà difficile da fermare. Insieme all’abbassamento della natalità, si arriva
per il paese a una fase demografica critica. Il numero degli alunni decresce drasticamente. Questo
è un chiaro segno della crisi, considerato che l’istruzione è sempre stata un fiore all'occhiello per
il paese e per l’intera Valle d’Aosta, ed è sopravvissuta anche agli attacchi del fascismo, con le
sue scuole di villaggio, la loro diminuzione testimonia la diminuzione della popolazione in modo
netto. Dal 1950 al 1961 il numero totale degli allievi passa da 198 a 87 con un abbassamento del
56 percento, con qualche differenza in base ai villaggi e la chiusura della scuola del Villaret,
quella dei minatori. Diminuiscono anche gli insegnanti e questa discesa continuerà fino agli anni
‘70.
Allo studio di Falquet sui registri non si può aggiungere molto, i numeri e i dati disponibili sono
rimasti gli stessi e la sua analisi non potrebbe essere più approfondita.
Affrontando i registri dell’anagrafe dal 1860 al 2017 ho voluto soffermarmi sui cognomi del
paese. Lo scopo di tale osservazione era verificare la presenza dei cognomi tradizionali
valdostani francofoni e l’inserimento dei cognomi esterni. Ho potuto verificare la presenza dei
cognomi tradizionali valdostani, quelli delle grandi famiglie proprietarie terriere già a partire dal
1860, e provando ad andare a ritroso non mi è stato possibile arrivare a consultare documenti che
non li vedano già elencati. I nuovi cognomi, non valdostani, si presentano in gran numero a
partire dagli anni ‘20 e saranno i cognomi che diventeranno le nuove famiglie stabili del paese o
in alcuni casi dei paesi limitrofi. Molti dei cognomi che mi sono stati elencati dagli intervistati
come presenze passeggere, non risultano sui registri a dimostrazione del loro passaggio
momentaneo. Solo a partire dagli anni 2000 si vede nei registri una nuova iniezione di cognomi

133
nuovi, dovuti per lo più alla mia generazione e a quelle successive che con una maggior mobilità
per studio e lavoro hanno portato mariti o mogli in paese, o da stagionali o turisti che hanno
deciso di fermarsi a La Thuile, a differenza dei cognomi valdostani iniziali e di quelli veneti,
friulani, piemontesi e lombardi del periodo minerario, nel nuovo periodo c’è una grande
eterogeneità nelle origini dei cognomi a testimonianza che il mondo globalizzato ha messo radici
anche a La Thuile.
Il gran numero di veneti era dovuto alla grande povertà provocata dalla prima guerra mondiale,
il padre di una delle mie intervistate, era partito dapprima per la Francia, poi si era fermato a La
Thuile. Le raccontò che passando da Ivrea era capitato in mezzo al carnevale di Ivrea ed era
rimasto sconvolto dal lancio delle arance, mentre lui moriva di fame.
Poi lui ha aperto un banchetto di abbigliamento, andava a Torino e portava su pacchi di cose in
treno o in autobus, lavorava ancora alla miniera, la mamma cresceva loro e teneva il banchetto
mentre lui lavorava, poi lui la aiutava. In seguito ha trovato la casa in paese che è diventata la
loro casa e il loro negozio.
Si è sposato dopo essere arrivato a La Thuile, facevano il contrabbando del caffè, lui andava sul
lago maggiore a portare il caffè di contrabbando e in una di quelle ricche case ha trovato sua
mamma che era anche lei andata via dal veneto per andare a lavorare, poi lui ha telefonato alla
mamma di lei e si sono ritrovati in veneto per chiedere la sua mano, si sono sposati a casa, in
Veneto e poi sono andati in viaggio di nozze a Roma, come si usava all’epoca perché il duce
lasciava andare in viaggio di nozze a Roma. Poi sono venuti a La Thuile insieme, lei pativa molto
il freddo. Hanno poi aperto il banchetto in una stanza di casa. La famiglia in Veneto veniva dalla
valle dei mulini, erano già imprenditori. Dopo di lui è stato raggiunto da tutti i fratelli e tutti tranne
uno che andò a fare il carabiniere a Torino, andarono a lavorare in miniera. Quando chiusero le
miniere uno solo rimase a La Thuile.
I Giapponesi non avendo la terra, ma avendo uno spirito imprenditoriale accentuato dalla
situazione, si ingegnarono da subito inventando doppi lavori che coprivano i servizi e il
commercio, andando ad inserirsi in una fetta di mercato libera e adattandosi alle necessità
contingenti.
Nel corso della ricerca nelle interviste ho raccolto le testimonianze di chi trasportava il carbone
o la biada per i muli, di chi si alzava per portare il pane prima di andare a scuola, di chi faceva
contrabbando di generi di prima necessità. La loro capacità di adattamento e di fare squadra e la
voglia di impegnarsi e di imparare li ha spinti a inventarsi nuovi lavori diventando la classe
imprenditoriale del paese. Negli anni quelle stesse persone hanno costruito imprese di successo
che hanno portato sviluppo e lavoro. arrivando ad essere loro a dare lavoro ai valligiani. Si sono
inoltre impegnati nel tessuto sociale del paese entrando in politica, nei consorzi di operatori

134
turistici e commerciali e nel volontariato degli alpini, del soccorso, dei vigili del fuoco,
integrandosi e diventando la comunità. Lo stato di necessità li ha costretti ad un’ibridazione che
oltre a consentire loro l'integrazione ha portato nuova linfa alla comunità. Cogliendo poi le
occasioni offerte dal turismo. Tutti gli intervistati lamentano però nonostante tutto di sentirsi
ancora stranieri, i loro nipoti, ormai di terza generazione, si trovano ancora a litigare coi pronipoti
di chi chiamava i loro nonni giapponesi. La divisione etnica si è perpetrata entrando nelle maglie
della politica, dove la divisione non è mai stata ,destra o sinistra, progressisti o conservatori, ma
valdostani e non valdostani. Questo ha portato a duri scontri che hanno riacceso le divisioni e
spesso questo è andato a scapito del paese essendo state fatte scelte importanti non per l’interesse
collettivo ,ma per mettere dei paletti di appartenenza.
La cosa interessante che ho registrato è che per i valligiani la comunità è sempre stata serena,
non ci sono divisioni, ci si aiutava e non hanno mai sentito una tensione divisiva, mentre i
Giapponesi lamentano ancora oggi appunto un limite che il loro impegno come cittadini non è
riuscito a superare.

135
Capitolo 5: Partigiani: eroi o privilegiati in fuga?

[...]i partigiani di La Thuile sono scappati in Francia durante la


guerra perché erano figli di papà e avevano i soldi.
Se volete salva la vita lasciate gli zaini.

Il 14 novembre come abbiamo già visto in uno stralcio di testimonianza Aristide compra una
radio che porta nella baita di suo padre.
La guerra non era finita. Nei primi giorni di Giugno del 1944 in località Arpettaz ,nella suddetta
baita che si trova vicino all'impianto di flottazione e della miniera di argento, vicina ai centri
abitati, ma abbastanza solitaria, e difficilmente individuabile, si riunirà un gruppo di uomini di
La Thuile per dar vita alla formazione partigiana, le cui vicende belliche sono narrate da Renzo
Paris e Lorenzo Rotta nel libro la Formazione partigiana Rutor. Aristide col grado di sergente
diresse varie operazioni.
Furono molte le formazioni che lavorarono nella Valle, loro facevano parte di questa formazione
del Ruitor che ha portato avanti molte imprese tra giugno del 44 e aprile del 45 Paris nello scrivere
il volume sui partigiani della banda Ruitor105 vuole colmare alcune lacune contenute nell’opera
di Nicco106, testo fondamentale nello studio dei partigiani valdostani.

105
Paris, Lorenzo - Rotta, Lorenzo
La formazione partigiana Ruitor di La Thuile nella lotta di liberazione (1944-45) / Lorenzo Paris, Lorenzo Rotta
[S.l.] : Comitato regionale per la celebrazione del 50. anniversario della resistenza, della liberazione e
dell'autonomia, stampa 1995 (Quart : Musumeci)

106
La Resistenza in Valle d'Aosta / Roberto Nicco
Quart : Musumeci ; Aosta : Istituto storico della Resistenza in Valle d'Aosta, 1990 (Quart : Musumeci)

136
La banda operò nell’area che va dal Piccolo San Bernardo al Col du Mont e a tutta la Valdigne.
La cosa più importante che i due autori vogliono testimoniare è la collaborazione fra i Partigiani
valdostani e i Maquis francesi sul fronte del Piccolo San Bernardo, un aspetto importante perché
sottolinea, fra l'altro, il carattere sovranazionale della lotta di liberazione. L'opera nasce dal diario
che Lorenzo Rotta tenne durante i mesi di lotta e da successivi colloqui tra i reduci.
La nascita della banda Ruitor, come scrivono gli autori risale all'estate del 1944, quando le truppe
tedesche, costrette ad abbandonare la Francia, si attestano al confine del Piccolo San Bernardo,
presidiato dagli uomini della Divisione Alpina Monterosa della Repubblica Socialista Italiana,
facendo di La Thuile il primo paese della Valle in zona di guerra. Nel caso di La Thuile non fu
l’8 settembre a motivare la scelta della clandestinità, ma la necessità di difendere la popolazione
di La Thuile dalla morsa in cui rischiava di essere stretta dai nazifascisti. La banda era di medie
proporzioni e costituita in massima parte di giovani di La Thuile non disposti a presentarsi ai
bandi o a lavorare in miniera per sottrarsi agli obblighi militari, ma anche da uomini provenienti
da altre zone della Valle. La banda farà parte dell’ottantesima Brigata, che è comandata da
George Jorrioz, il quale dipende dal vice comandante, il tenente Michele Levi.
Il loro ruolo è quello di effettuare azioni di orientamento e azioni di disturbo che culminarono
nell’azione che portò alla distruzione del ponte dell’Equilivaz nel comune di La Salle, azione il
cui scopo era quello di spezzare le linee di rifornimento dei tedeschi in ritirata. Il 23 settembre il
gruppo decide di andare in Francia e di combattere con i francesi in prima linea, per i
pattugliamenti e le azioni di attacco predisposti di comune intesa. Incalzano per tutto il mese di
ottobre i presidi tedeschi lungo il confine tra il Piccolo San Bernardo il Col du Mont. Ma nel
novembre 1944 quel rapporto tra gli uomini della banda e i maquis francesi sin qui caratterizzato
da una stretta unità di intenti sembra doversi spezzare. I francesi hanno infatti l’ordine del loro
governo di internare tutti gli stranieri a Grenoble. Grazie ai meriti acquisiti nel corso di numerose
azioni condotte al loro fianco gli uomini di Jorrioz eviteranno questa umiliazione e potranno
trasferirsi in Val d’Isère. Qui il gruppo Ruitor prosegue, da un lato le azioni di appoggio alle
truppe francesi e avvia dall'altra una serie di ricognizioni in Valle d'Aosta per fornire
informazioni dettagliate sulla situazione militare agli alleati che si sono installati nella zona. Ciò
che colpisce favorevolmente chi legge le pagine scritte dagli ex partigiani è la mancanza di
retorica di protagonismo con cui gli autori descrivono azioni estremamente delicate e rischiose
in alta montagna. Il lealismo creatosi nei confronti dei compagni francesi non contrasta con il
rifiuto fermo opposto alla proposta avanzata da un ufficiale francese, di cui si fa portavoce il
tenente Albert Milloz di aggregare al comando francese gli uomini della Ruitor. Questa presa di
distanza costituiva un'esplicita risposta negativa della banda alla richiesta francese di collaborare

137
al progetto di unire la Valle d'Aosta alla Francia. La maggioranza del gruppo non accettò di
collaborare ai piani annessionistici francesi.
La Thuile e suoi abitanti vennero a trovarsi in zona di guerra. Migliaia di tedeschi la Divisione
Alpina Monterosa occuparono il territorio, predisponendo sul confine un organizzata linea di
difesa al fine di contrastare l'avanzata degli eserciti alleati della Francia ormai libera. La
popolazione di La Thuile era oppressa, assediata e viveva come se fosse stata in prima linea. I
tedeschi avevano imposto il coprifuoco dalle ore 21 alle 6 del mattino nessuno poteva circolare
senza un permesso rilasciato dal comando tedesco e se si veniva fermati senza autorizzazione si
rischiava la fucilazione oppure la deportazione in Germania. La gente limitata nei suoi movimenti,
stentava rifornirsi dei viveri di prima necessità per il proprio sostentamento, molte case venivano
requisite per alloggiare le truppe le salmerie incombevano sul paese i bombardamenti alleati dalla
Francia. La vita Diventava sempre più difficile, soprattutto per i giovani ai quali si prospettavano
solo tre possibilità presentarsi alle autorità militari per essere arruolati dopo un periodo di
addestramento in Germania nel nuovo esercito comandato dal maresciallo Graziani. Andare a
lavorare nelle miniere di carbone della società Nazionale Cogne per ottenere l'esonero
dall'obbligo di Leva. Salire in montagna a raggiungere le formazioni Partigiane operanti in Valle
d'Aosta e costituzione di nuove mettendola a repentaglio la propria vita anche quella dei familiari
possibili oggetti di rappresaglie da parte dei tedeschi e dei fascisti.
Per queste ragioni un gruppo di giovani del paese decise di formare la banda partigiana Ruitor.
La zona di operazione spaziava dal piccolo San Bernardo al Col du Mont e in tutta la Valdigne.
Decisero di insediarsi alla capanna Margherita, il rifugio ai piedi del ghiacciaio del Rutor. Il
primo impegno preso dalla formazione fu quello di non compiere azioni di guerra e di sabotaggio
all'interno dei centri abitati, per evitare rappresaglie contro la popolazione da parte dei tedeschi
o dei fascisti.
La prima azione intrapresa è quella di disarmare le forze dell'ordine della stazione di La Thuile
procurando nuove armi e soprattutto munizioni. L'operazione fu compiuta di sorpresa e fu un
successo. La banda prese poi contatto con i Maquis, i partigiani francesi e tramite staffette quasi
quotidiane inviava al comando francese di Bourg Saint Maurice preziose informazioni sulle
postazioni delle artiglierie tedesche che bombardano il colle, sul dislocamento delle truppe sul
fronte del Piccolo San Bernardo e sui movimenti delle bande fasciste operanti nella Valdigne. Le
formazioni Partigiane avevano la necessità di procurarsi mezzi di sopravvivenza:
in particolare la nostra banda operava tal fine nei modi seguenti con colpi di mano mediante
prelevamento di viveri dei magazzini, dai depositi delle truppe nazifasciste, bestiame e cibo
presso la popolazione e la nazionale Cogne[...] possedendo il denaro si pagava l'esproprio. In caso
contrario si è rilasciano dei buoni attestanti il prelevamento[...] a fine guerra i danni furono

138
riconosciuti e risarciti dal governo italiano la parte del Comitato di Liberazione Nazionale[...]
questi contributi furono rarissimi in Valle la nostra banda non ne ha mai beneficiato.
Il 15 luglio del 1944 i francesi chiedono di accertare se c'era la possibilità di interrompere i
collegamenti tra l'alta e la bassa Valle d'Aosta distruggendo il ponte di Pont Serrand. Era uno dei
compiti delle formazioni Partigiane interrompere i collegamenti tra le truppe nazifasciste che
presiedevano il fronte e i rifornimenti che provenivano dalle retrovie, facendo saltare ponti e
strade, sabotando tutte le vie di comunicazione stradali e telefoniche. Insieme ad ufficiali alleati
i partigiani studiarono la fattibilità dell’azione e poi decisero di non portarla a termine,
evidenziando il pericolo di rappresaglia per la popolazione del vicino villaggio. Certamente i
tedeschi per ritorsione avrebbero bruciato le case e fucilato degli innocenti. I Partigiani riuscirono
a imporre la loro decisione proponendo un altro obiettivo un po' più a valle, alla chiusura della
Valdigne, il Ponte dell’ Equilivaz sulla Dora Baltea tra i paesi di La Salle che era più lontano dai
centri abitati. La strada statale 26 era un'importantissima via di comunicazione che permetteva il
collegamento tra le truppe tedesche sul Piccolo San Bernardo con il fondovalle. Il 23 agosto del
1944, 25 Partigiani partono dalla capanna Margherita per far saltare il ponte, all'imbrunire si
trovano alle miniere della società Nazionale Cogne e immobilizzano il guardiano che obbligano
ad aprire il deposito degli esplosivi, dove prendono alcuni quintali di dinamite con i relativi
detonatori e micce. Poi, col trenino che serviva il trasporto degli operai raggiungono Arpy e
scendono a Morgex, seguendo il corso della Dora, a notte inoltrata viene raggiunto il ponte
dell’Equilivaz. Si dividono in tre gruppi per bloccare le macchine da un lato e dall'altro e per
riempire i pozzetti del ponte di esplosivo. Una volta riempiti tutti i pozzetti incendiano le micce,
proprio in quel momento passa un motociclista tedesco ad alta velocità, che in mezzo al ponte,
vedendo le micce che bruciano, capisce il pericolo e fa in tempo a scappare prima che avvenga
lo scoppio. Sono le ore 6:15 del 24 agosto, con un boato che rimbomba per tutta la Valle il ponte
viene letteralmente disintegrato. I partigiani rientrano al rifugio. Con quest'azione si è interrotta
l'unica via di comunicazione che da Aosta permetteva i collegamenti con la Valdigne ai tedeschi
che prima di poter ricostruire un ponte, furono costretti a costruire un tratto di strada sterrata per
poter raggiungere a valle il ponte della ferrovia su cui far transitare le truppe e i rifornimenti
diretti al fronte. Tutto questo gli aveva provocato ovviamente notevoli ritardi e disagi.
Il 3 settembre del 1944 alcuni partigiani sono testimoni dell'eccidio degli ostaggi francesi a Terres
Noire. Dal rifugio Margherita notano un insolito movimento di soldati tedeschi, dopo pochi
minuti arrivano gli autocarri carichi di persone che fatte scendere vengono allineate sul bordo di
una fossa, sono 28 ostaggi francesi tra cui un l’abate Muyard di 34 anni e due donne. Erano stati
catturati alcuni giorni prima a Bourg Saint Maurice, durante la ritirata dalla Savoia delle truppe
tedesche, a un certo punto il prete inizia a discutere con il comandante tedesco, poi viene fatto

139
tornare in fila e l'ufficiale da l'ordine di aprire il fuoco contro gli ostaggi. Il più anziano di loro
aveva 43 anni e il più giovane 17. I parenti seppero della loro fine soltanto alla fine della guerra
quando vennero a cercarli. Oggi nel luogo dell'esecuzione c'è una stele a ricordo dell'eccidio e si
svolge ogni anno una cerimonia per commemorare le vittime. Questo fu l’episodio più tragico
della zona.
La Capanna Margherita dove si rifugiavano venne attaccata il 23 settembre 1944, sapevano che
i tedeschi stavano arrivando e riuscirono a scappare in tempo. Da quel momento si stabilirono in
Francia. Antonio Tacchella, che era in licenza a casa sua a Morgex non sapendo quello che era
successo, rientrò alla capanna e cadde nelle mani dei tedeschi, non si seppe più nulla di lui, fu
deportato probabilmente in Germania. Fu il primo partigiano della formazione a morire Il 23
maggio del 1978 alla mamma viene comunicata la dichiarazione di scomparsa e morte dopo anni
da scomparso.
Il 29 settembre del 1944 dopo essere ripiegata in Francia la banda fa ritorno in prima linea. Nella
testimonianza dei reduci si racconta molto bene la fatica, il freddo, i problemi di congelamento e
le difficoltà della vita estrema in montagna. Il 6 novembre del 1944 avviene quello che l'evento
più drammatico della banda. Marcello Collomb viene ferito gravemente alla testa e in altre parti
del corpo da uno scoppio di proiettile di mortaio mentre aiutava i francesi a caricarlo. Marcello
fu trasferito all'ospedale Moutiers accompagnato solo da uno di loro, il cugino Coronato. Gli altri
restano in montagna. La permanenza diventava sempre più un problema per mancanza di viveri
e legna. Ricevettero l'ordine di spostarsi e gli fu detto che dovevano ritornare, incontrare un
plotone francese che gli desse il cambio. A cambio avvenuto dovevano scendere a Sainte-Croix
per essere disarmati e trasferiti a Grenoble in un campo di concentramento. Questo perché il
governo francese prevedeva l'internamento di tutti gli stranieri. In effetti i partigiani di Cogne e
Valsavarenche, che il 3 novembre erano scesi a Val d'Isère a causa di un violento attacco delle
truppe nazifasciste erano stati condotti a Grenoble internati. Erano molto addolorati, ma
obbedirono e il 13 novembre del 44 la banda del Ruitor scende dal fronte e si prepara al suo
ritorno. Nel frattempo uno di loro riuscì a raggiungere a Bourg Saint Maurice il loro comandante
Jorrioz che da alcuni giorni è a Grenoble. Il 14 novembre del 44 ricevono la notizia che non
verranno internati, ma verranno messi a riposo per qualche giorno e poi spostati in Val d’Isere.
Era stato riconosciuto il loro lavoro e i notevoli risultati. Inoltre l'esercito francese aveva bisogno
ancora di loro per le azioni di pattuglia sul fronte italiano e per eseguire i trasporti di materiali
dalla Val d'Isere verso Modane e per la distribuzione delle armi che i comandi francesi e
americani facevano a favore dei partigiani italiani. Il 15 novembre del 1944 ricevono la notizia
della morte di Marcello Collomb. Venne fatta una piccola messa, ma il vero e proprio funerale
avverrà soltanto a fine guerra.

140
Il 27 novembre del 1944 la banda si trasferisce in Val d'Isère dove gli americani avevano
organizzato un centro di assistenza e rifornimento dove i partigiani valdostani, delle Valle di
Ceresole, di Susa e di Lanzo, venivano a rifornirsi di armi, munizioni, viveri e vestiario. l'albergo
Solaize era luogo di riferimento per pernottare e mangiare. Alla banda di La Thuile venne affidato
il compito di gestire l'albergo preparando da mangiare per gli altri, di tenere in funzione con la
legna il riscaldamento e di partecipare come guide alle pattuglie che i soldati francesi dovevano
fare lungo le linee del fronte. Inoltre dovevano effettuare ricognizioni in Valle d'Aosta per
riferire ai comandi alleati la situazione bellica, la dislocazione e l'entità delle truppe nemiche, i
disagi e lo stato d'animo della popolazione, la consistenza e l'ubicazione delle bande Partigiane.
Il 3 marzo del 1945 la banda fu colpita da un altro evento luttuoso. Scompare Janette la fidanzata
del Tenente Milloz, conosciuta durante l'occupazione del 1940 e ritrovata dopo il suo ritorno
dall'ospedale di Moutiers. Aveva deciso di sposarla. Lei lo aveva raggiunto a Baldissero e verso
la fine del mese di febbraio decise di scendere a Villa Rosa il suo paese di residenza per preparare
i documenti necessari per la celebrazione del matrimonio. Non vedendola ritornare Milloz si
preoccupa e accompagnato da alcuni uomini va inutilmente a cercarla. Era improvvisamente
scomparsa. Non fu più rivista viva. In aprile allo sciogliersi della neve il suo corpo fu ritrovato
sotto un mucchio di pietre, vicino a una casa isolata nei pressi di Sainte Foy. Forse i francesi non
avevano accettato la sua decisione di sposare un ufficiale italiano ed era stata seviziata e uccisa.
Seguirono mesi concitati di azioni di sostegno alle truppe alleate. Iniziò a farsi strada tra di loro
la sensazione che erano ufficialmente iniziate le manovre politiche riguardanti il futuro destino
della Valle d'Aosta.
Francesco dopo una missione riferì delle notizie molto interessanti apprese da confidenze del
Capitano francese. Ci disse che il nostro rientro in Valle era fissato per l'ultima settimana del
mese, che la nostra formazione avrebbe avuto il compito di rappresentare la Francia, saremmo
scesi con il capitano Solomon, il tenente, un medico una decina di militari e le 2 crocerossine
aggregate con noi,[...] saremmo passati alle dirette dipendenze dei Francesi ed allora equipaggiati
e retribuiti. [...] l'orientamento generale era quello di ritornare in Valle in piena autonomia
impedendo se possibile la strumentalizzazione da parte francese. In quei giorni comandanti sia
delle truppe Partigiane che di quelli alleati e francesi si riunirono spesso per conferire i rapporti
tra le autorità francesi e partigiani italiani non furono sempre amichevole cordiali. La quasi totalità
dei Partigiani veniva internata in campi di concentramento predisposti a Grenoble simili a quelli
destinati ai prigionieri tedeschi e fascisti.
Dal febbraio del 1945, quando si profila la possibilità di annettere la Valle d'Aosta alla Francia
mediante un plebiscito da indire subito dopo la fine della guerra l’atteggiamento francese cambiò

141
radicalmente nei confronti dei partigiani valdostani i quali venivano bene accolti riforniti di armi
e equipaggiamento e favoriti nel loro rientro in Valle.
Il 17 marzo del 45 vi fu una riunione della Formazione convocata dal tenente Milloz nella sala
dell'hotel e con lui c'era un tenente francese. Fu offerto loro di aggregarsi al comando francese
di scendere ad Annecy sede del reparto. Intervenne anche il tenente francese alle elencando ci
tutti i vantaggi dell'offerta sollecitando una risposta affermativa. Ma dopo un rapido consulto
rifiutarono la proposta adducendo come pretesto la vicinanza della Val d’Isère a casa rendendo
più agevole il loro rientro appena possibile.
In realtà nessuno di noi voleva essere complice dei francesi e collaborare al loro progetto di unire
la nostra Valle alla Francia. Nonostante il nostro rifiuto il tenente prima di ripartire ci consegna
comunque 32 divise militari complete Finalmente dopo 7 mesi di permanenza in Francia
potremmo vestirci con una divisa identica per tutti.
mentre proseguivano le operazioni militari e si avvicina la fine della guerra si inizia a organizzare
il rientro dei partigiani italiani, che viene stabilito debbano rientrare insieme, nella data stabilita
del 13 Aprile. Nell’attesa, a gruppi tutti i componenti, vengono invitati a riposare ad Annecy. Da
una parte avevano avuto notizie, che il governo italiano era nettamente contrario a qualsiasi
concessione ai movimenti valdostani sia separatisti che autonomisti e i capi di alcune bande erano
stati richiamati a Roma, che il CLN di Torino aveva riconosciuto quale banda partigiana
valdostana solo quella di Tito escludendo tutte le altre. Dall’altro lato era in corso la mission
Mont Blanc che aveva chiesto al governo francese un appoggio per ottenere l'autonomia, sia che
la Valle d'Aosta fosse rimasta con l'Italia sia che fosse stata annessa alla Francia. Dal 1944 in una
villa vicino ad Annecy in località vie du Lac si costituì la mission Mont Blanc. Lo scopo
dell'organizzazione era di lavorare in favore dell'annessione della Valle d'Aosta alla Francia.
Intratteneva relazioni con personalità della Valle favorevoli alle tesi francesi e aveva contatti con
valdostani residenti in Svizzera in Francia. Nel 1945 dopo l'armistizio questa missione si trasferì
in Valle D'Aosta al seguito delle truppe francesi installando il quartier generale a Introd.. Anche
alcuni componenti della Formazione a turno furono inviati per alcuni giorni di riposo nella villa
di cui sopra e vennero avvicinati da persone che facevano propaganda di tesi annessioniste. Il
16 aprile rientrano ad Annecy erano stati ricevuti dai componenti della Mission Mont Blanc e da
questi invitati a sottoscrivere un proclama per l'annessione della Valle d'Aosta alla Francia cosa
che essi all'unanimità si rifiutarono di fare.
Negli ultimi giorni la banda fu separata in missioni diverse, alcuni con un comandante americano
a portare vettovagliamenti e radio, altri iniziarono a rientrare. Tra il 25 e il 26 aprile rientrarono
tutti in Valle. Qualcuno venne recuperato con i camion e portato ad Aosta a sfilare con gli altri

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partigiani in piazza ad Aosta, altri che erano arrivati vicino a La Thuile espletando le loro
missioni si fermarono direttamente lì.
Il 30 Aprile fu il giorno del rientro a La Thuile Maurizio e Coronato con una formidabile
camminata ci avevano raggiunto ad Aosta. Arriviamo fino a Morgex con il treno e proseguiamo
con un camion. Giunti a Pré-saint-Didier appena superata La frazione di la Balme nell'euforia per
il ritorno a casa cominciano a sparare in aria con tutte le nostre armi. La gioia incontrollata
provocò purtroppo un serio incidente. Una pallottola colpì Aristide a una gamba ferendolo
gravemente. Ricoverato nell'infermeria del Villaret ove ricevette le prime cure del dottor
Montesano. La ferita di Aristide si rivelò più grave del previsto e al fine di evitare l'amputazione
della gamba dottor Montesano richiede l'intervento di un medico specialista tedesco, prigioniero
ad Aosta il quale, con un difficile intervento, riuscì a salvare l'arto. Per 4 mesi Aristide resta
immobile a letto. In seguito venne ricoverato alle Molinette di Torino, poi in un ospedale per
invalidi di guerra. Qui subì una nuova operazione e fu rinviato al Rizzoli di Bologna. I medici del
Rizzoli gli tolsero il gesso e con l'aiuto di una protesi poté finalmente riprendere a camminare.
Eisenhower comandante delle forze alleate in Europa aveva imposto alle truppe francesi di non
inoltrarsi nei territori italiani oltre 20 Km dai confini. Ma i francesi volendo occupare la Valle
d’Aosta non obbediscono e scendono dal piccolo San Bernardo approfittando del caos del
momento. La notizia della Calata dei francesi in Valle provoca una dura reazione soprattutto
nelle formazioni partigiane, per fermarli venne proposte di inviare alcune bande partigiane o
persino pensato di far risalire gli alpini della divisione Littorio che erano concentrati nelle
vicinanze di Ivrea. Ma nel frattempo giunsero in Valle le truppe alleate a fare da garanti della
situazione. Solo in un secondo tempo i francesi scesero ad Aosta e giunsero sino a Pont Saint
Martin. Vi furono d'Aosta delle violente manifestazioni e pro o contro l'annessione alla Francia.
I francesi e i valdostani favorevoli all'annessione volevano organizzare un plebiscito affinché
fosse il popolo Valdostano a decidere su un fatto così importante che avrebbe influito in modo
definitivo sul destino della nostra Valle ma ciò non avvenne. Sulla questione valdostana
intervennero personalmente il presidente degli Stati Uniti Truman e il primo ministro inglese
Churchill che imposero al Generale De Gaulle il ritiro dei soldati francesi sul vecchio confine
del ‘39 al Colle del Piccolo San Bernardo.
Uno degli atti più importanti compiuto in quei giorni fu la nomina del nuovo sindaco di La Thuile,
un uomo dotato di grande equilibrio Pagani serio onesto e ben visto dalla popolazione. Alle prime
elezioni democratiche dopo il ventennio fascista, venne confermato a grande maggioranza. Nel
nostro paese non venne effettuata alcuna rappresaglia malgrado ci fossero giunte alcune denunce
contro persone che avevano collaborato con i nazifascisti. Unica eccezione il taglio dei capelli ad
alcune ragazze compromesse con gli alpini e l'arresto per alcune ore di due collaboratori
repubblichini, il perdono e il buon senso avevano prevalso sullo spirito di vendetta.

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due facce dello stesso racconto…
Alla richiesta di raccontarmi dei partigiani, che inizialmente pensavo potesse essere il tema da
approfondire per la mia tesi ho trovato un muro di silenzio. Gli eredi dei partigiani mi hanno
detto che ogni informazione era contenuta nel libro dei due ex partigiani da cui ho estrapolato le
informazioni precedenti, dagli altri ho trovato solo sbuffi, spallucce e silenzi, se non l’aperto
invito a non parlarne. Il racconto delle ragazze rasate al termine della guerra è un racconto
condiviso da entrambe le parti, ammesso come errore dai partigiani, ma non considerato grave
da loro, diviene nei racconti degli altri paesani un fatto gravissimo, e da questi racconti ed emerge
che i partigiani di La Thuile non sono stati eroi per tutti.
ma no si sa poco. [...] per certi versi sono stati, ma i partigiani andavano, i maschi andavano su
per i boschi a fare un cazzo[...] e bambini e le donne stavano lì e non li difendevano
qui non c’era bisogno di essere protetti[...] c’era l’esercito e avevano tutti interesse che non
succedesse niente.
[...]Montesano è stato una notte svegliato d’urgenza dal comandante militare tedesco,[...] non
c’era ancora la struttura degli uffici, svegliato dal colonnello che avvisasse i partigiani che non
facessero nulla perchè lui aveva l’ordine tassativo che avrebbe fatto saltare i ponti di Pont Serrand
e in paese, isolando tutto[...] allora Montesano si attivò per portare la comunicazione
[...] mio papà era il guardiano delle polveri, prese tutta la famiglia e li portò via[..]sapendo che
volevano far saltare la Santa Barbara della Cogne, che veniva usata per la miniera, anche due
quintali di dinamite al giorno per far andare avanti la ricerca[...] suo papà era uno dei tre
responsabili. Faceva la guardia e preparava le micce. Solo la carriola di legno poteva entrare[...]
il papà quando aveva un po’ di tempo raccoglieva le fragole e le metteva nelle scatole delle micce.
I partigiani sono stati un po’ eroicizzati in fondo in fondo non hanno fatto nulla[...] a parte quella
del ponte che comunque era un rischio[...] avevano preso queste quattro donne e le hanno rasate
a zero [...] ascolta eh dovevano mangiare[...] magari non era neanche vero[...] magari hanno
accettato un pacchetti di sigarette. Sono stati in Francia tranquilli un anno[...] a loro favore
bisogna dire che non si sono fatti plagiare o perlomeno non tutti dalla storia del plebiscito[...] lo
sai che è intervenuto addirittura Churchill, in prima persona, un discorso diretto con de Gaulle
dicendo di smetterla con quella storia. si sono salvati la reputazione aiutando gli alleati e non i
francesi.[...]
.
Mi viene raccontato da due diverse fonti un brutto episodio. alla fine della guerra qualcuno aveva
detto che il papà dei Boscardin, pochi giorni prima della liberazione di dire che si era appropriato
di 20 fontine della Cogne, lo hanno preso e portato alla torre dei balivi senza pensarci trattato
come un fascista, passavano i partigiani dalle finestre col mitra e sparavano dentro e poi andavano
via cantando. Fortuna che in quel tempo c’era un maresciallo dei carabinieri corretto che era

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molto intelligente, ha scritto una lettera ai suoi superiori dicendo che era impossibile che
Boscardin fosse un ladro e finalmente sono andati giù e lo hanno liberato. La cosa si è chiusa
dopo, cinquant'anni dopo una persona sul letto di morte ha chiesto scusa per questo fatto. Il papà
e lo zio cercavano di essere corretti e dare il meglio in quel periodo difficile. nel frattempo è
morto il nonno, in veneto, appena dopo la liberazione è andato a ritrovare gli amici, aveva già la
silicosi al cento percento , ma all’epoca la chiamavano TBC, non era ancora riconosciuta la
silicosi.

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Parte 3. Nero carbone
Capitolo 1: Il paese delle vedove

Per quarant’anni la miniera ha portato sviluppo al paese e movimento demografico. Dopo la


partenza delle colonie minerarie la situazione diventa drammatica. Il paese ha perso metà dei
suoi abitanti, sono diminuiti molto i giovani, con la logica conseguenza di un abbassamento della
natalità. La popolazione in via di invecchiamento accusa una mortalità molto alta tra gli ex
minatori.
Quella che era stata la base dell’economia prima della miniera, l’agricoltura ha subito un grave
declino e non si è sviluppata e non può quindi fare fronte alle necessità della popolazione.
Dell’epopea mineraria di La Thuile non resta praticamente nulla se non i palazzi abbandonati e
le bocche di miniera celate da muri e cespugli.
Nel 1970 un abitante del paese ha censito 70 vedove di minatori morti per silicosi, su una
popolazione che non arriva a settecento abitanti. Negli anni a seguire il paese resterà tristemente
noto con questo appellativo.
Per la comunità di La Thuile si realizzò quello che ha scritto Godoy sulle comunità minerarie:
“un progetto minerario porta gradualmente alla ridefinizione dei rapporti economici preesistenti
integrandoli in un unico ambito dove la posizione centrale è data dalla miniera”. Così fu per La
Thuile con l’arrivo della Cogne. Il suo arrivo garantì un'economia locale più solida,
sovrapponendosi ad allevamento e agricoltura. Un primo segno evidente è l’aumento della
popolazione, e un cambio di assetti al suo interno, tanto da poter parlare secondo Sibilla di una
colonizzazione. I nuovi arrivati partivano da e per condizioni di povertà, che li spingevano a
spostarsi. Arrivavano ad inserirsi, indigenti su un tessuto sociale povero, dove la sussistenza era
l’unica forma di organizzazione economica, e a condividerne in concorrenza le necessità. Basti
pensare alle case. La massa di operai arrivata con le famiglie nei primi anni trenta rientra in quelle
comunità minerarie osservate in ogni epoca e parte del mondo (Lewis) con caratteristiche
comuni, di sottoccupazione, marginalità, provvisorietà e insicurezza. Questo nuovo nucleo
sociale, non andava ad integrarsi con quelli esistenti in paese, ma andava a crearne uno nuovo
che si contendeva i mezzi di sussistenza con la classe proletaria del luogo, provocando una
reciproca acculturazione forzata.
La marginalità in questo caso era accentuata dalla separazione linguistica. Infatti la popolazione
locale reagì di fronte a questa invasione esterna con una chiusura su se stessa a tratti etnocentrica,
basata non su atteggiamenti di scontro verso lo straniero, ma piuttosto verso un rinsaldare la

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propria identità amplificando le proprie tradizioni culturali e la propria lingua, che in questo caso,
essendo francofona diventava un vero tratto di cesura tra le due popolazioni. Questo tratto è
un’altra caratteristica che i Tchouilliens si portano dietro ancora oggi, è tipico che tra di loro
parlino in patois di fronte a qualcuno che non lo capisce, per mettere subito in chiaro che esiste
una confine, tornando su uno degli argomenti precedentemente trattati, in questi caso la lingua
diventa il limite tracciato dalla popolazione locale, atto a tenere distante lo straniero.
Mio nonno non era di La Thuile, ma da anni condivideva tutto con la comunità, gli ex Alpini, la
cantoria, le gite della parrocchia, le liti al bar per la politica, i lavori nei boschi[...] eppure a volte
lo vedevo con gli occhi azzurrissimi lucidi di lacrime, perché quando c’erano discussioni
importanti, in casa o fuori con i suoi amici, la gente intorno a lui iniziava a parlare patois, e lui,
piemontese, era tagliato fuori. Ho sempre parlato e capito il patois, ma a un certo punto scelsi di
non parlarlo più per non lasciarlo solo e stare dalla sua parte.

[...] anche io e la mia migliore amica da ragazzine siamo cadute nel tranello dell’identità qualche
volta, nonostante lei fosse di origini venete, discendente da una famiglia di immigrati minatori ed
io valdostana solo a metà e piemontese per l'altra metà…quando ci trovavamo con i turisti il
francese o il patois ,che non eravamo capaci a parlare, diventavano il nostro tratto distintivo, la
nostra difesa dal mondo esterno.
D’altronde i minatori di quel primo periodo si muovevano a gruppi. Lo spirito di corpo e l’onore
di appartenere ad una professione rischiosa creava, nei gruppi di lavoratori minerari, uno spirito
di corpo, che, almeno nei primi anni, faceva sì che si muovessero in gruppo seguendo le
opportunità di lavoro. Lo sviluppo del mercato poi cambiò le condizioni, slegando di più il
singolo individuo dalle scelte del gruppo e dando più possibilità di trovare la miglior soluzione
per se stessi. In un rapporto del 1945 destinato alle forze alleate si lamentava la carenza di
manodopera dovuta alla mancanza di cibo nella zona, al ritorno a far visita ai famigliari che non
vedevano da troppo tempo e per trovare migliori condizioni di lavoro e paga. (cit. Sibilla pag.
221).
Negli anni 1946 1947 si registra la situazione più pesante da un punto di vista sociale tra gli
impiegati della miniera. Il cibo è davvero scarso e questo aumenta malumori e mobilità, la guerra
ha lasciato molte persone in gravi difficoltà e con molti traumi, tra le maestranze inizia a palesarsi
personale torbido e si rende necessario porre attenzione nella sua selezione. L’indigenza e la
guerra portano in miniera personaggi devianti e abitudini delinquenziali. Se negli studi sociali
viene riscontrata sempre una componente di amoralità nelle popolazioni minerarie, a La Thuile
le gravi manifestazioni di amoralità si manifestano in modo più importante ora, con casi di grave
colpevolezza nei confronti delle famiglie lontane , con mogli che scrivono perché non ricevono
il dovuto dai mariti e anche casi peggiori…

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Mia mamma e mio zio sono cresciuti senza un padre, mia nonna è stata sola dalla nascita di mia
mamma e sua sorella, che è morta poco dopo, fino al matrimonio con quello che io poi chiamavo
nonno, ma che non lo era, ci aveva solo adottati tutti con il matrimonio con nonna quando io
avevo circa due anni. [...]mia nonna e mia mamma non hanno mai parlato volentieri di questa
storia, quindi non ho molti dettagli ma la storia è questa. Mia nonna si è fidanzata con un minatore
sardo, lui adduceva scuse per non sposarla ( non so quali fossero le scuse), ma passarono anni
insieme, con la promessa di un imminente matrimonio. Nel frattempo arrivarono i figli, mia
mamma e mio zio hanno 9 anni di differenza, quindi non si trattò chiaramente di una breve
infatuazione. Comunque quando mia mamma era piccolissima, la moglie di mio nonno quello
vero)venne a riprenderselo o se lo fece rimandare questo non mi è stato chiarito. Il signore in
questione per una decina d’anni ha avuto due famiglie una legittima, ma che abbandonò e che lo
reclamò quando smise di mandare il necessario per provvedere a loro e una illegittima, che lo
aspettò quando lui tornò a casa dalla sua famiglia per sistemare le cose, senza mai tornare indietro,
lasciando sola una giovane donna con i suoi figli.
Purtroppo, questo non fu un caso isolato, i figli illegittimi non furono rari, neri registri da me
analizzati ne ho riscontrati 8 nel periodo dal 1926 al 1935, il dato più alto, le testimonianze però
avute nel corso della ricerca, ma in questo caso, soprattutto nella mia veste di abitante, parlano
di casi in cui la nascita non è mai stata dichiarata illegittima. Non furono pochi, in uno spirito
umano e comunitario commovente i bambini che vennero riconosciuti da uomini che si
prestarono a dare un cognome onesto e una vita regolare a bambini illegittimi, offrendo
matrimoni riparatori a giovani donne rimaste sole. C’è stato anche un bambino mulatto, i cui
genitori ufficiali erano chiaramente di etnia valdostana. queste famiglie sono cresciute poi nella
comunità con un silenzio borbottante, in cui tutti sapevano, ma nessuno parlava. Sono tutte storie
di cui si sa l’esistenza, ma non la storia, se questa discrezione può essere sicuramente considerata
ipocrita, ha concesso a quei bambini il dono di una famiglia. Queste storie mi hanno ricordato la
tradizione di alcune tribù native americane che adottano, prendendosene cura dei bambini orfani
in un’azione comunitaria. Nel caso di La Thuile si va oltre questo, è il singolo ad accollarsi
l’onere di salvare il bambino illegittimo, e la comunità lo accoglie costruendo intorno a lui un
muro di silenzio volto a cancellare il doloroso passato. Se personalmente non condivido questo
metodo del silenzio, che credo anche la psicologia moderna contesterebbe, non posso non notare
quella che mi appare come una involuzione sociale ai giorni nostri, in cui in casi simili si
riscontrano abbandono, violenza e solitudine, in una società che uccide le donne, lascia crescere
in solitudine bambini abbandonati e cerca figli in provetta per avere la propria appartenenza
genetica anche quando la natura non ne ha fatto dono. Se la comunità agricola e mineraria, spesso
al limite dell’analfabetismo viene spesso indicata come portatrice di bassi valori morali, si può
anche sostenere che la comunità era in grado di occuparsi dei bisogni del singolo e che le scelte

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del singolo deviante potevano essere rimediate dal singolo che si faceva carico di errori altrui e
che nel farlo si affidava alla sua comunità.
La vita nel dopoguerra in miniera fu dura, piccoli furti di oggetti e di soldi nei dormitori, le risse
tra ubriachi erano all’ordine del giorno come le perdite al gioco. Nel dopoguerra piano piano la
situazione andò migliorando.
Ho riscontrato una scarsa attenzione allo shock culturale subito dalla popolazione locale pur
nominata da Sibilla. Facendo parte della comunità e conoscendone e forse involontariamente,
riportandone i tratti peculiari in eredità, vorrei invece soffermarmi brevemente ad analizzarlo. La
popolazione di La Thuile negli ultimi tre secoli, ma anche prima, quando non veniva
letteralmente tirata in mezzo alla grande storia, conduceva una vita ritirata, ma come abbiamo
visto in modo approfondito nei capitoli sul Piccolo San Bernardo, non chiusa e non immobile.
La forzata immobilità portata dal lavoro in miniera, che rendeva non più necessaria la migrazione
stagionale, aveva cambiato gli equilibri all’interno della comunità. I Tchouilliens erano descritti
da sempre come forti e indipendenti, la descrizione che si fa di loro collima spesso con quella
antica fatta dei salassi, una popolazione basica nelle sue necessità, senza fronzoli, ma intelligente
e proattiva, pronta ad adattarsi alle condizioni climatiche e sociali che le si pongono. Ora la
miniera e il nuovo assetto sociale li obbligavano a stare fermi in un posto e ad obbedire ad
un'entità esterna, quando prima il comune faceva da supervisore in una società in cui tempi, ruoli
e doveri erano dettati dagli animali e dai campi che dovevano essere curati, e non necessitavano
quindi di sovrastrutture imposte dall’alto. Si potrebbe riassumere banalmente dicendo che il
governo superiore era quello dell’ordine naturale delle cose a cui si obbediva senza forzature, ma
senza scelta. A questo si dovrebbe aggiungere un’analisi intima in cui i paesani si trovano a fine
della guerra a condividere quel momento di anarchia appena descritto in cui entrano in contatto
con quelle pratiche delinquenziali e cattive abitudini sopra descritte, senza controlli e strumenti
culturali pronti ad affrontarli e a controllarli. Inoltre bisognerebbe entrare nelle case e chiedersi
come possono essere cambiati gli assetti interni ai nuclei familiari, che hanno visto stravolta la
loro quotidianità, che garantiva a tutti nella famiglia, uno spazio intrinsecamente libero, personale
e solitario (le migrazioni stagionali, le transumanze, l’alpeggio) alternati a momenti di
condivisione con i propri pari nei momenti di festa o di attività comunitarie, come la cottura del
pane. I lunghi mesi di assenza degli uomini hanno anche tracciato i tratti delle donne di La Thuile
le quali risultano legate alla famiglia e a rigide regole che non permettevano per esempio di
andare a ballare se non col fidanzato o il marito, ma che avevano all’interno della loro giornata
tempi e ruoli non strettamente femminili che si sono tramandate nel tempo. Se durante le veillà,
le donne si dedicavano ai lavori femminili come la creazione dei bellissimi pizzi del costume
tradizionale e anche vero che per le donne di La Thuile oggi come allora camminare sole nei

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boschi, raccogliere e spaccare la legna, lavorare nei campi e accudire il bestiame e occuparsi di
tutti i bisogni di una famiglia senza l’aiuto di un uomo era e resta fondamentalmente normale.
Solo la miniera non le ha coinvolte nei suoi lavori. Anche un lavoro all’epoca estremamente duro
fu affidato a una donna.
Non so bene in quale periodo, forse intorno agli anni trenta, mia nonna I. svolgeva il compito di
consegnare la posta a La Thuile, sia in estate che in inverno, con ogni condizione atmosferica. La
nonna a causa di problemi di salute [diabete] ha rinunciato a quel lavoro, e così mia mamma D. è
diventata la portalettere. In quel periodo a metà degli anni quaranta erano arrivate molte persone
a lavorare in miniera e la popolazione era aumentata con l’arrivo delle famiglie di minatori[...]
abitavano nel villaggio di casermette a Pera Carà al Villaret. c’erano gli uffici e anche una scuola.
tornando a mia mamma, iniziava la mattina presso l’ufficio postale di La Thuile dove smistava la
posta in partenza e quella in arrivo. A volte mi portava con sé, il luogo che più mi piaceva era
l’ufficio postale, la direttrice era una signora molto disponibile. Mi divertivo a guardare la
timbratrice dove le lettere e le cartoline passavano veloci. la mamma smistava la pasta nel
casellario frazione per frazione. dopo aver smistato la corrispondenza la riponeva in una grande
borsa di cuoio, con tanti divisori, divisa in frazioni seguendo i numeri civici. In quel periodo la
posta da recapitare era molta, si iniziava il giro dal capoluogo, si proseguiva per Entreves, la
Goletta, a volte fino a Pont Serrand. si scendeva [...] si camminava tutto il pomeriggio, in
primavera e estate era piacevole. Nelle giornate di pioggia e in inverno era decisamente dura. In
seguito la mamma acquistò un motorino per muoversi velocemente e da sola. Dopo un incidente
acquistò un auto. La 500, color carta da zucchero. quando accompagnavo mamma nel suo giro
era un giorno di festa, mi divertivo a camminare rincorrendo farfalle, grilli, pestando e saltando
pozzanghere, percorrendo prati e raccogliendo fiori. Sulla strada per il Buic gli incontri erano
spesso di viperette più o meno sempre nello stesso luogo, avevo imparato a fare attenzione a dove
mettevo i piedi . malgrado questi inconvenienti era bello. La mamma nel suo giro aveva tappe
fisse[...]signore che la conoscevano e le offrivano il caffè, una bibita, a me le caramelle , biscotti.
[...] negli ultimi anni in casa c’era Dog, un pastore alsaziano con la coda mozza. Bene lui seguiva
la mamma, la signora N. preparava il caffè alla mamma, l’aranciata per me e un piattino con il
caffè senza zucchero per Dog e lui beveva con gran delicatezza. [...] il lavoro aveva vantaggi e
svantaggi, non tutte le persone accoglievano il portalettere in modo gradevole, a volte la mamma
veniva insultata e trattata malamente[...] c’erano animali liberi cani e soprattutto galline e galli,
quante corse per sfuggire ai galli[...] la mamma faceva il suo lavoro con grande impegno e quindi
quando riceveva insulti e cattive parole soffriva.[...]quando finiva il suo lavoro si dedicava all’orto
e le piaceva viaggiare, partecipava a tutte le gite[...]
Se i minatori affrontavano una ricollocazione forzata, i Tchouilliens subivano invece un
riposizionamento all’interno della loro comunità. Col tempo diminuì l’interesse per il lavoro
agro-pastorale che quindi si fermò su una condizione di arretratezza, ma allo stesso tempo

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consentì, mantenendo le pratiche antiche, di mantenere le tradizioni ad esse legate, costruendo
una scatola del tempo che, pressoché immutata è arrivata ai giorni nostri107, grazie a quello che
Sibilla definisce part -time farming.( Sibilla pag. 224).
Furono le gallerie delle miniere a rompere il confine tra la comunità autoctona e i coloni minerari.
Il sistema infatti prevedeva che fossero gli operai anziani a istruire i nuovi arrivati. erano loro a
trasmettere le conoscenze e le regole del lavoro. Essi erano insieme nelle gallerie a respirare le
stesse polveri, prendersi gli stessi rischi e condividere le stesse paure. I Tchouilliens, avevano,
negli anni di migrazioni, sviluppato la capacità di adattamento a lavorare con persone di altri
paesi e questo li rendeva liberi da pregiudizi. I gruppi eterogenei accomunati dalle condizioni di
lavoro formarono un solo gruppo, unito dall’appartenenza professionale, la divisione tornava
visibile per quanto riguarda il lavoro solo quando i minatori non autoctoni scioperavano e quelli
di La Thuile prima di decidere se aderire o meno cercavano di capire se la giornata di sciopero
cadeva in una giornata che poteva essere usata per i lavori agricoli o meno. I gruppi di minatori
che lavoravano alle stesse sciolte erano di solito molto uniti, perché condividevano gli stessi
momenti della giornata e ogni gruppo ricreava in sé una sorta di cameratismo che si aggiungeva
allo spirito di corpo. La pericolosità del lavoro in miniera richiede intraprendenza nel rispetto
delle regole inderogabili di sicurezza, divisione precisa dei compiti e fiducia reciproca totale per
ridurre i rischi. Le regole dovevano essere modificate al modificarsi delle situazioni, in base ai
cambiamenti delle gallerie, del materiale. I legami di chi passava intere giornate di lavoro insieme
in questo modo intenso non potevano che diventare saldi e forzatamente uscivano dalle gallerie.
Tutti i testimoni intervistati, mi hanno raccontato che i minatori fuori dai turni, nei periodi di
intensi lavoro agricolo, come i fieni e la raccolta delle patate, aiutavano i valligiani che dovevano
sostenere il peso del doppio lavoro. In cambio ottenevano buon cibo fresco e sostanzioso per loro
e le loro famiglie. La figlia del dottor Montesano ricorda che c’era unità, che ci si aiutava
reciprocamente e che si ricavavano anche bei momenti di divertimento con cose semplici come
le slitte o giocando a carte a belotte.
Lo spirito di corpo consentiva di aiutare le vedove e i figli di chi moriva in miniera. Spesso gli
incidenti non avvenivano in galleria, ma fuori, mentre ci si recava in galleria. Il 19 marzo 1904
due operai morirono sotto una valanga all’imbocco della galleria Cretaz, nel 1918 stessa sorte
colpì un prigioniero ungherese e un altro operaio, come testimoniato dalla denuncia agli uffici
di Parigi nel 1925...e ancora nel 1943 quando un’imponente slavina distrusse alle Buse la baracca
della Cogne. In questi casi spesso non veniva riconosciuto come incidente sul lavoro e gli enti

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Penso alla desarpa, alle già citate feste dei Bergers, alla Badoche, alla quissa, ai riti e processioni che ancora
oggi vengono praticate in modo adattato alla modernità ,ma pressoché immutate nei loro contenuti e significati.

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previdenziali tentavano di non pagare le famiglie, che quindi venivano aiutate dal corpo
minerario. Chiedendo ai testimoni informazioni in più sull’assistenza, mi è stato spiegato che la
Cogne aveva un’assicurazione, ma che copriva solo gli incidenti. nel caso di malattia per aiutare
le vedove erano le altre famiglie ad attivarsi attraverso le associazioni di mutuo soccorso. In una
relazione del 1952 si apprende che nelle concessioni di Colle della Croce e Terre Nere si
contarono 27 casi di infortunio. Nel sottosuolo, la polvere, la pericolosità degli esplosivi, i crolli
e le ricadute di materiale, ma anche l'acqua erano pericoli quotidiani. Negli ultimi anni iniziarono
ad essere usati dei caschi e un abbigliamento impermeabile, che non erano sufficienti alle
condizioni delle gallerie, che in primavera con lo scioglimento della neve peggioravano.
R. aveva ereditato il lavoro del trasporto del carbone all'interno delle gallerie di estrazione della
miniera. Nel primo periodo venivano usati i cavalli e i muli per trascinare all'esterno i vagoncini
con il carbone estratto. Successivamente vennero sostituiti con un trenino a Carbone. Ricordo
l'uscita dalla sciolta, così si chiamava il turno. Quella del mattino avveniva alle 14, i minatori
uscivano e assomigliano a dei neri, mani, viso con evidenziati gli occhi bianchi. Prima di tornare
alle proprie case facevano la doccia. Appunto R. era sposato con mia zia la quale aveva piacere
di andargli incontro a piedi dal paese al Villaret, dove c'erano le docce ed io la accompagnavo
volentieri, in quanto al ritorno sapevo che lo zio ci avrebbe fatte salire sulla Lambretta tutte e due,
io davanti in piedi, la zia seduta dietro. La famiglia dello zio aveva in concessione il trasporto con
i cavalli e svolgevano un servizio di trasporto per chi non aveva l'auto per recarsi ad Aosta o altri
luoghi fuori da La Thuile, per farlo usavano una Topolino Fiat sostituita con poi con l’Alfa Romeo
Giulietta. In paese esisteva un'altra famiglia che svolgeva il servizio di
trasporto persone.

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Capitolo 2: Polmoni bruciati

Spino torna da un’esplorazione esultante, con in mano delle radiografie che dice essere di suo
nonno[...], non gli credo subito, fa sempre brutti scherzi quando siamo in giro per ruderi e con lui
una caldaia diviene un diavolo! Però è serio stavolta, suo nonno aveva la silicosi. Lo abbiamo
seguito nella stanza dove le aveva trovate e c’erano mucchi di radiografie[...]con gli occhi
innocenti le scrutiamo per vedere se quella malattia che avevano tutti gli uomini in paese si
presentava chiara su quelle immagini…ma no, i nostri occhi non sapevano come guardarle per
vedere i polmoni bruciati.
Dopo qualche anno vennero utilizzate delle maschere a sacco che però servivano solo per i pezzi
grandi di materiale, ma non potevano fermare le polveri, che furono il vero dramma collettivo
dei minatori di La Thuile. L’inalazione delle polveri silicee costituiva il pericolo maggiore a cui
furono esposti i minatori di La Thuile.
Il fatto che ci fosse un basso rischio di esplosioni da gas fece sì che l’areazione fosse ritenuta
sufficiente, pur essendo molto ridotta. Nel giro di pochi anni le malattie apparvero manifestando
i rischi nascosti. Malgrado due medici di fabbrica in servizio a La Thuile e a Morgex e i presidi
tecnici appunto, alla quasi totalità dei minatori fu riconosciuto uno stato di invalidità.
Come già detto nel ‘70 vi erano 60 vedove di minatori nel paese. Negli anni ‘80 tutti gli uomini
del paese sui cinquant'anni erano malati.
Mi sono spesso chiesta quanto fossero ricchi per potersi occupare tutto il tempo solo di far legna
e orti…o quanto si guadagnasse facendo quello[...]mi chiedevo anche perchè morisse spesso
qualcuno, quasi sempre non molto vecchi[...]chiedevo sempre cosa gli fosse capitato e la risposta
era sempre la stessa…silicosi.

La zia sgridava spesso lo zio chiedendogli cosa avesse fatto per avere quel fiatone[...] lui
appoggiato al tavolo stringeva i pugni e con la voce che gli rimaneva diceva “ren”, niente, cosa
vuoi che abbia fatto[...] restava affannato per un po’ di tempo, poi quando la crisi passava tornava
come prima, ma non il suo umore, lui che faceva sempre scherzi come un bambino monello, se
ne andava sbattendo la porta a cercare il suo gatto nero nell’orto[...].
La silicosi è una malattia che rientra nelle pneumoconiosi, forme di malattia polmonare che
compromettono irrimediabilmente la funzionalità polmonare e dell’apparato respiratorio. Esse
vengono causate dall’accumulo negli alveoli polmonari e nei lumi bronchiali, di sostanze solide,
estranee e inorganiche, le sostanze chimiche diverse hanno effetti diversi perché agiscono in
modo diverso sullo scambio di ossigeno nel sangue. L’amianto e i quarzi sono tra quelli che
provocano le situazioni più gravi. Nelle miniere di La Thuile la percentuale di silice libera
variava dal 30 percento al 75 per cento con valori medi attorno al 52 per cento. Le silicosi acute

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insorgono in pochi anni negli ambienti dove il tenore di silice nell’aria si attesta su valori intorno
al 60 percento, risulta quindi chiara la situazione dei minatori che lavoravano nelle gallerie di La
Thuile. La loro non era una probabilità di contrarre la malattia, ma una condanna a morte.
Ovviamente la personale costituzione fisica di ognuno di loro influiva su come e quando la
malattia si sarebbe manifestata e qualche fortunato è riuscito ad evitarla, ma non si conosce il
fattore individuale che in alcuni individui la scatena velocemente. Il quadro clinico della silicosi
avanzata si distingue per le crisi di insufficienza respiratoria, bronchiti ricorrenti,
broncopolmoniti, pleuriti e fissità del torace. In chi ne è colpito si riscontra la riduzione della
gabbia toracica e del volume respiratorio, abbassando del 50 percento la capacità vitale.
I malati di silicosi vennero spesso accusati o talvolta caddero nell’alcolismo, la ragione fisica,
non scientifica, era che dava la possibilità ai polmoni di dilatarsi ancora, “se bevevano mezzo
bicchiere di vino riuscivano a respirare”. Ovviamente questo aveva delle controindicazioni
chiare, senza contare che negli studi di allora non si era sicuramente tenuto conto del risvolto
psicologico dell’invalidità permanente della malattia e della spada di Damocle di una morte
pressoché certa in giovane età, che mischiati al bisogno fisico di sollievo momentaneo data dal
vino creava una pericolosa spirale le cui conseguenze varrebbero uno studio specifico, essendo
stato l’alcolismo la seconda piaga del paese.
L'insufficienza respiratoria e l'impossibilità di svolgere un qualsiasi lavoro si manifestano quasi
sempre all’improvviso e vengono in generale provocate da una modesta infezione, ad esempio
una bronchite. La situazione dei silicotici di La Thuile era fortemente aggravata dall’altitudine
che provocava una maggior frequenza del ritmo respiratorio compromettendo il regolare
funzionamento del cuore. Inoltre il clima rendeva fin troppo facile contrarre bronchiti o
polmoniti. Questo portò gravi ripercussioni sulla mortalità maschile del paese come abbiamo già
visto. I dati sono purtroppo incompleti, poiché molti decessi avvennero in località diverse da la
Thuile, dove i minatori malati erano tornati alla chiusura della miniera o dopo il pensionamento.
Inoltre per molto tempo, per ignoranza scientifica o per utilità da parte della dirigenza della
miniera, i primi casi non vennero riconosciuti come silicosi, ma come tubercolosi.
perché lui si è trasferito poi ad Aosta e ha aperto l'ambulatorio[...]la gente arrivava dalla Calabria,
dalla Sardegna dal Veneto perché erano tutti tornati a casa. e ogni anno tornavano per
questi silicotici ogni anno, uno che veniva dalla Sardegna voleva pagare la visita[...] portava due
pecorini.
Il dottor Montesano, medico condotto del paese, ma prima ancora medico della miniera, fece
studi approfonditi e appassionati sulle malattie polmonari da cui furono colpiti, dagli anni
quaranta, i minatori di La Thuile. Le malattie reumatiche incidevano al 24 percento sui casi di
malattia dei minatori, quelle polmonari al 16,30 per cento e quelle dell’apparato digerente al

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13,5 percento (Cit. Sibilla p 230 ). Il medico per la sua esperienza ei suoi studi ottenne la libera
docenza in medicina del lavoro. Osservava che difficilmente queste malattie si riscontrano nella
restante popolazione. Colpivano esclusivamente i perforatori, per lo più uomini giovani e
prestanti, che spesso si dovevano assentare dal lavoro per lunghi periodi e raramente guarivano
definitivamente. Montesano seguì per anni la salute dei minatori di La Thuile, ma anche della
restante popolazione del paese, potendo così avere un immediato termine di paragone tra chi
stava dentro o fuori dalla miniera.
La silicosi fu per il paese un vero e proprio flagello, che causò morti e invalidità permanenti.
Nonostante l’incompletezza i dati quelli forniti da Montesano sono abbastanza chiarificatori.
Nella quasi totalità dei 171 casi studiati, la malattia riconosciuta come causa di morte era
secondaria a una silicosi, salvo i 20 casi indicati come pneumoconiosi, ciò significa che sono
morti di silicosi conclamata e non complicata da altre patologie.

malattia totale malati decessi %

polmoniti 60 6,6

pleuriti 57 1,7

tubercolosi 13 45,00

pneumoconiosi 20 25,00

endocarditi 21 9,00

Lo stesso Montesano fornì un'ulteriore indicazione che riguardava i decessi avvenuti entro il
31/10/1957 di minatori collocati in pensione tra il 1943 e il 1949. Su 63 collocati a riposo in
condizioni di invalidità , 20 ( 61,9%) risultano già deceduti.
Almeno per quanto riguarda La Thuile, i dati sono molto eloquenti.

156
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Capitolo 3: Un uomo illuminato e un medico capace

noi ragazzini, noi bambini andavamo a giocare su queste collinette del Promise, che non
cresceva assolutamente niente su quelle collinette, e forse per un ‘intuizione del medico, il
dottor Montesano[...] ci aveva impedito di andare a giocare lì, però nulla di più trapelava di
quella roba lì. venivano le croste[...] andavamo a giocare lì e poi ci venivano le croste,
comunque questo materiale praticamente è stato bonificato [...]ci ha pensato Frigo a ripulire
tutto.
[...]ho indagato un po’ leggendo degli articoli sulla pechblenda e ho trovato che c’era questo
canale anche italiano, non era specificato, oltre che polacco, veniva anche dall’Italia.

e poi ha visto che questi minatori venivano ammalati dei polmoni e allora ha fatto uno studio. Poi
lui è diventato professore perché andava a Milano, ha preso la libera docenza e andava anche a
fare le lezioni[...] quindi vedendo che questi minatori venivano malati dei polmoni ha fatto un
disegno di legge e ha fatto avere, è stata riconosciuta la silicosi, che è quella della miniera di La
Thuile, perché la miniera di La Thuile era la più nociva diciamo, quella di Cogne la chiamavano
miniera bianca perchè era meno nociva. E poi tutti questi, la percentuale della silicosi è il 21
percento, quindi tutti venivano a fare una visita, lui faceva una valutazione, poi questa valutazione
veniva mandata all’Inail, il medico dell’Inail diceva di sì o diceva di no, se diceva di no si faceva
un ricorso e si faceva un arbitrato, poi questo 21 percento arrivava fino al 100 percento e ogni
anno venivano a fare la valutazione e uno dei pazienti che ha durato di più,[...] che era una persona
che non beveva non fumava, è arrivato fino a 92 anni, lui aveva il cento per cento, e quando
qualcuno veniva, noi tenevamo sempre la radiografia in ambulatorio la tenevamo sempre nella
camera oscura, ed era pieno di puntini bianchi e se qualcuno diceva ma io ho la silicosi, gliela
facevamo vedere, “ecco questa è una silicosi”. Per esempio c’erano anche due pazienti che
venivano, lavoravano nello stesso reparto, uno ce l’aveva e l’altro no, poi sono venuti da Torino,
in ambulatorio perchè volevano vedere quanti casi di silicosi ci fossero, noi avevamo diecimila
schede tra silicotici e malati[...] ho lavorato 27 anni con lui, facevo da segretaria, poi da La Thuile
ci siamo trasferiti ad Aosta, ha aperto lo studio medico e lì ha continuato la sua professione come
medico generico, faceva l'elettrocardiogramma e c’erano pazienti di tutti i generi.
Negli anni trenta una famiglia di La Thuile lascia alla comunità un bene prezioso. Un alloggio e
un locale da adibire ad ambulatorio. L’unica condizione a questo dono è che vi si stabilisca
stabilmente un medico condotto, che il paese non ha mai avuto.
Il dottor Montesano, nato in un paese di montagna in Basilicata San Mauro forte, laureato in
medicina all’università di Napoli e nel 1931 medico militare di leva nel Battaglione Aosta, con

158
cui prende parte alle operazioni belliche sul fronte occidentale e in Jugoslavia, nel 1932 vince il
concorso per diventare medico condotto di La Thuile.
Il compito non era semplice, strade non sempre percorribili, villaggi e case in luoghi impervi e
difficilmente raggiungibili, frazioni isolate per settimane dalla neve, famiglie indigenti. A questo
si aggiunge una ricca popolazione di minatori, all’epoca più di mille senza contare le loro
famiglie, che lavoravano per la Società Anonima Cogne. Nel 1938 si sposa con Adelina di
Courmayeur.
Su sua iniziativa e grazie ai desideri propagandistici del regime, la società Cogne costruisce un
ospedaletto di circa trenta letti di cui si occupa e di cui diventa responsabile. (la già citata
infermeria).
Il 9 maggio 1939 Mussolini è in visita alle miniere, la propaganda richiede che lui onori le
“ricchezze racchiuse nelle nostre alpi”, e vengono girati due documentari da Elter, noto regista e
fratello del direttore delle miniere di Cogne per l'Istituto Luce con lo scopo propagandistico di
raccontare la realtà mineraria in pompa magna.
Per raccontare la sua storia, dopo che tutti i testimoni me lo avevano nominato, mostrando tutti
stima e gratitudine ho pensato dietro loro suggerimento di contattare sua figlia. Ho trovato una
donna di straordinaria vitalità, che aveva assistito suo padre come segretaria e che per questo suo
lavoro conosce tutti i nomi dei minatori e delle loro famiglie, sa dove sono andati a vivere dopo
la chiusura, e soprattutto ha creato e gestito le loro pratiche per il riconoscimento della silicosi.
Una fonte infinita di informazioni precise. In questo capitolo riassumo quanto mi ha raccontato.
Spinto dalla salute dei minatori in cui si palesa la silicosi, si dedica a studiare la malattia. Alla
fine della guerra decide di visitare le miniere del Galles, in Inghilterra, dove vengono applicate
tecniche innovative di estrazione che prevedono l’uso dell’acqua per evitare l’inalazione di
polveri nocive. Porta l’idea alle miniere di La Thuile. Viene spesso paragonato dalle persone di
La Thuile all’autore di E stelle stanno a guardare A. J. Cronin, anch'egli medico nelle miniere
del Galles. Grazie ai suoi studi ottenne la libera docenza all’Università degli studi di Milano dove
partecipa, come professore ai corsi di perfezionamento l’istituto di medicina del lavoro.
Durante la guerra ha fatto più volte da intermediario per mantenere una situazione stabile e
pacifica. Curava indistintamente tutti tedeschi e partigiani. Non veniva a compromessi con
nessuno.
Il medico di famiglia allora era anche un consigliere per cose importanti, quando prendevano i
soldi gli chiedevano consiglio su come usarli o su scelte importanti. Lui obbligava gli analfabeti
a imparare almeno a fare la propria firma, quando andavano in visita gli lasciava un foglietto con
il loro nome scritto e pretendeva che la volta dopo arrivassero con tutta una pagina col loro nome
copiato.

159
C’è stato anche un suo sostituto, quando lui ha avuto una grave infezione e si scoprì poi che non
era medico.
La figlia ricorda che una delle cose che le è rimasta impressa è quando chiamavano di notte, lei
andava in camera mortuaria a vedere se conosceva il malcapitato.
Dopo aver vissuto una medicina così a contatto con i pazienti patisce oggi una medicina così
settoriale e che non entra in contatto con il paziente. Una volta il medico condotto faceva di tutto.
Si occupava della diagnosi e della cura.
A La Thuile non c’era il telefono, allora le donne avevano altri sistemi per chiedere aiuto ed essere
sentite, chi sbatteva i coperchi, Chi aveva il corno da suonare, chi aveva il fucile.
Gli inverni erano lunghi di sera, si stava insieme, si giocava a carte.
Lui e la figlia si accertavano anche che alla morte fosse dichiarato che il paziente aveva la silicosi,
anche nel caso in cui morisse di infarto, in modo che le vedove potessero prendere la reversibilità.
Le vedove rimanevano a La Thuile.
Dal 1952 fece parte del consiglio direttivo della società italiana di medicina del lavoro e fu
relatore in congressi internazionali sui diritti dei lavoratori e sulle condizioni igieniche sui luoghi
di lavoro.
Un riconoscimento professionale raro, per un medico condotto, non completamente dedito alla
ricerca. Fece numerose pubblicazioni scientifiche sull'argomento, come medico di medicina
generale e come medico di miniera . Restò in servizio fino al 1953. Poi andò in pensione alla
chiusura della miniera e aprì lo studio ad Aosta, dove oltre ai pazienti nuovi continuò a seguire
le pratiche per i suoi silicotici, che una volta l’anno tornavano in visita da lui per l’aggravamento.
Il 1953 segna una svolta per il paese, le miniere che sono la fonte di sostentamento per molte
famiglie vengono chiuse. Fortunatamente già dalla fine della guerra si era iniziato a parlare di
sviluppare il turismo nella zona e proprio Montesano, lungimirante è uno dei più attivi
nell’ideazione delle future funivie di La Thuile, per spingere lo sviluppo turistico del paese. Lo
sci alpino così sostituisce la miniera nell’economia della vallata e a Montesano viene riconosciuto
da tutta la popolazione il grande merito di aver dato un grande contributo all’evoluzione del
paese. Sarà lui stesso a tracciare la pista numero uno.
Per un periodo sarà anche presidente della Regione Valle d'Aosta, Viene eletto nelle liste
socialiste nel Consiglio Regionale. Aveva un carattere serio e intransigente, non porta nella vita
politica preconcetti come non li aveva mai avuti nella sua professione. Non lasciava margine di
errore nelle questioni di impegno etica e moralità , e nemmeno all’indecisione.
lui è sempre stato dello stesso partito socialdemocratico[...] forse la politica una volta era diversa
tra partiti si consultavano, lavoravano tutti per il bene della regione e non si permettevano nei
comizi di dire le cose private[...] adesso non è più così.

160
La politica lo impegna e lo appassiona, è guidato dalla sua onestà intellettuale e dall’interesse
per la cosa pubblica. Nonostante l’impegno come presidente del Consiglio Regionale trova il
tempo di fondare con il dottor Luria la società medico chirurgica valdostana e promuove
convegni e conferenze con l’obiettivo di aprire la valle all’esperienza del resto d'Italia e di fornire
ai medici valdostani possibilità di aggiornamento professionale.
Durante il suo mandato che dura due legislature, dal 1966 al 1873 riorganizza e definisce in
modo più chiaro le funzioni dell’ufficio di presidenza. Amava cacciare e scrivere articoli per
diversi giornali di caccia dove oltre a scrivere di questioni venatorie, scriveva anche avvenimenti
della valle. Fu molto legato al Presidente della Repubblica Saragat, che trascorreva spesso le sue
vacanze in valle d’Aosta andando a trovare l’amico.
Nel 1966 alla sua elezione avvenne il fatto del fil di ferro: alcuni esponenti dell’opposizione
politica in Consiglio Regionale bloccarono la porta principale impedendo l'ingresso al neoeletto
presidente Montesano, che doveva assumere le funzioni di Presidente del Consiglio. In una grave
crisi democratica il vicepresidente del Consiglio, comunista, viene condannato per attentato al
funzionamento degli organi costituzionali e scappa per sfuggire all’arresto. Montesano, tenendo
conto della tensione del momento e certo della buona fede del collega, si interessa e chiede la
grazia al Presidente della Repubblica per l’avversario politico. La crisi politica si conclude,
mentre inizia tra i due protagonisti una buona amicizia negli anni a seguire. In questo aneddoto
raccontato con il giusto orgoglio dalla figlia e dal nipote, si coglie la statura di un uomo fuori dal
comune, dedito con cuore alla cosa pubblica in tutti i suoi ambiti.
Qui alcuni scritti del dottor Montesano quando era medico di miniera.
Tali concetti, che ora man mano vengono accolti da ogni industria dopo lungo periodo in cui il
servizio sanitario fu considerato come peso morto e fattore improduttivo dell'azienda, furono
intesi dai Dirigenti della Società Cogne or è molti anni e furono d
a loro applicati con la riforma e il perfezionamento del servizio sanitario dei propri reparti. Un
particolare interessamento essi rivolsero sin dal 1937 al gruppo miniere per la necessità di portare
ad una categoria di lavoratori dislocata in località alpine ad altitudine fra i 1500 e 2500 m.s.l.m.
un'assistenza sanitaria che tenesse conto della speciale isolata ubicazione dei cantieri, del
particolare tipo di lavoro e della peculiare patologia delle maestranze. I criteri che indussero alla
riforma del sedi fronte e attigui, con il criterio di porre a cavallo fra ambulatorio e infermerie i
servizi comuni alle esigenze degli ambulatoriali e dei ricoverati, sono impiantate le sale di
operazioni (10), sterilizzazione (9), terapia fisica (11), raggi x e schermografia (7) con annessi
spogliatoio (8) e camera oscura ( 14.) nonché la direzione ( 6) e la segreteria (5). La metà ovest è
interamente occupata dalle sale di degenza (3), complessivamente capaci di 20 posti letto, dal
guardaroba (4), dal refettorio (2) e dalla farmacia (1). L'attrezzatura è stata scelta con cura e
perfezionata nel corso degli anni con quanto di più moderno fosse utile alle indagini e alle cure.

161
Sala operatoria. sala operatoria, costruita con criteri di asetticità e con annessa razionale
sterilizzazione, permette l'espletamento di qualsiasi atto operativo; una sala di terapia fisica,
dotata di apparecchi per marconiterapia, raggi ultravioletti e infrarossi, corrente faradica e
galvanica dà la possibilità di tali speciali metodi di cura nelle diverse forme morbose ; una sala
raggi x, dotata di apparecchio ad alta potenza e di un moderno schermografo, consente una
esauriente indagine personale e di massa tanto più necessaria nella nostra maestranza esposta al
pericolo delle malattie da polveri. Un'apparecchiatura composta di un precipitatore termico, di un
filtro all'acido salicilico e di due microscopi, corredati di complessi ottici adatti, dà la possibilità
infine di ricerche e controlli sulle condizioni ambientali della miniera per la profilassi[...]
[...]da rapportare in special modo alle migliorate condizioni di abitazione degli operai nonché alle
misure profilattiche e dell'ambiente di lavoro che sino ad oggi - con la parentesi bellica - è stato
possibile adottare.
Attività scientifica.[...]Tale attività è stata rivolta in modo particolare allo studio delle condizioni
ambientali della miniera e dei mezzi di prevenzione per le malattie da polveri, agli accertamenti
e al controllo di tali malattie e tutto ciò che nella nostra industria potesse offrire oggetto di un
particolare rilievo nel campo della medicina del lavoro. Con tale attività e contemporaneamente
a disimpegno delle gravose mansioni sanitarie quotidiane sono stati approntati e pubblicati
quattordici lavori scientifici di cui due furono oggetto di premio in concorsi banditi su argomenti
inerenti alla medicina del lavoro, con speciale riguardo alla prevenzione delle malattie dei
lavoratori.
Già il primo novembre 1942 fu pubblicato un mio studio sulla morbilità e mortalità fra i minatori
di una miniera di montagna[...] e in cui facevo rilevare in modo particolare che le malattie
reumatiche raggiungono nel nostro ambiente una percentuale mai apparsa in altri ed assumono
aspetti del tutto speciali che incidono enormemente sulla capacità lavorativa del minatore. Tale
concetto è necessario che ribadisca in occasione di questa più recente statistica, nella quale viene
ancora meglio rilevato come tale genere di forme morbose, si può dire, è al primo posto della
casistica (1459 casi), qualora si consideri che la cifra di 1780 casi riportata per le m. infettive
contagiose comprende anche tutte le affezioni a pronta risoluzione (influenze, malesseri ecc.).
Alla profilassi delle malattie reumatiche è stata rivolta una speciale attenzione da parte dei tecnici
e dei sanitari della miniera con il risanamento - là dove è possibile - dei posti di lavoro, con
l'impianto di moderni spogliatoi, bagni e dormitori, e con la pratica dei più esaurienti metodi di
cura medicamentosi, fisici e termali. Dalla statistica è rilevabile come le provvidenze adottate
abbiano coronato la nostra aspettativa portando tal genere di malattie dal massimo di 252 casi del
1942 a minimi di 76-80-99 rispettivamente nel 1945-46-47.

[...]mio papà era molto severo[...] non potevo avanzare nulla a tavola perché lui diceva che vedeva
tanta miseria.

162
163
Parte 4. Sviluppo e futuro
[...]facevo anche lo stagnino, in miniera poi anche fuori, facevo i ramponi per gli altri, un po' per
il ghiaccio, fatti di ferro dolce, erano più appuntiti dei più appuntiti, con acciai diversi facevo le
piccozze con la punta per ogni tipo [...]facevo concorrenza alla Grivel108[risata] che è un mio
coscritto,[...] no tanto per ridere non c'erano molti alpinisti all’epoca.

Il turismo scopre la Valle d’Aosta grazie alle Ruotorine109 le cascate del Rutor e il suo
ghiacciaio110. L’abate Chanoux amava a tal punto quella montagna da aver dato il nome Rutor al
suo cane San Bernardo preferito. Veniva consigliata ai turisti già nelle guide del XIX secolo, il
suo ghiacciaio che è in remissione da quarant’anni, aveva smesso di distruggere il paese per
diventare un'attrazione, con i suoi nove chilometri di estensione.
Nel paese esistevano già piccole strutture di accoglienza, nate soprattutto per essere di sostegno
ai pellegrini e migranti che affrontano il valico del Piccolo San Bernardo.
Dopo il 1820 le valli valdostane divennero meta del Grand Tour111 abituale degli Inglesi. Tra di
loro scienziati e letterati, artisti, ma anche alpinisti che ambivano ad essere i primi a raggiungere
le vetta alpine. Tra di loro Turner, Brockedon e il reverendo King. Non a caso la testa del
Rutor(3486 m.) fu raggiunta per la prima volta, nel 1862, dagli inglesi Matthews e Bonney,
accompagnati dalla guida di Chamonix Croz112. Il Piccolo non era la meta tradizionale di questo
tour, ma attrasse comunque Brockedon e il reverendo King, riconosciuti come pionieri del
turismo alpino. Brockedon, oltre a lasciarci dettagliate litografie, ci racconta anche l’incontro con
un gruppetto di giovanissimi migranti, che con i loro abiti migliori sono partiti per recarsi a fare
i lustrascarpe o i piccoli mercanti. Il suo racconto non nasconde l’emozione di quell’incontro con
la miseria. Di altro genere sono i commenti del reverendo King, che decide di fermarsi a La
Thuile ad alloggiare anzichè all’ospizio, egli ci regala un quadro divertente dell’ospitalità molto

108
Nota azienda di Courmayeur che dal 1818, produce attrezzatura per l’alpinismo.
109
Chiamate così dall'abate Chanoux, che fece costruire il ponte per attraversarle e tracciò il sentiero che le
raggiungeva.
110
Aldrovandi, Mario La Valle di La Thuile Torino : Lattes, stampa 1932.
111
Il Grand Tour era un viaggio di durata indefinita che iniziava e finiva nella stessa città, di solito con meta
l’Italia, intrapreso dall’aristocrazia inglese a partire dal XVII secolo, nel XIX secolo coinvolse anche scienziati e
alpinisti.
112
Nel 1887 il CAI di torino vi costruisce la capanna Margherita per il turismo, poteva ospitare 20 persone, venne
abbandonato nel 1910 per essere riscoperto come rifugio dai partigiani della banda Rutor, venne distrutto e
incendiato dai tedeschi, che cercavano li partigiani. Ricostruita dal CAI nel 1964, col nome di rifugio Deffeyes in
ricordo di un celebre alpinista e politico valdostano, poi ampliato e rimodellato per evolversi con le esigenze degli
alpinisti.

164
spartana offerta dall’albergo Jacquemod, dove stenta ad ottenere un pasto decente. Ci racconta
anche però cosa accade la mattina seguente, il 15 Agosto, quando osserva tutto il paese
incamminarsi verso il Piccolo San Bernardo, tralasciando e abbandonando il lavoro dei campi,
cosa notevolmente strana visto il periodo dell’anno intenso per i lavori agricoli. Il suo racconto
ci mostra quanto fosse già importante la festa del 15 Agosto. Come abbiamo ampiamente visto,
il colle del Piccolo San Bernardo ha sempre portato molta gente di passaggio e per questo erano
nate le prime strutture di accoglienza. Il primo vero albergo era stato costruito da Anselme Paris
e Maria Granier nel 1886, era il National Paris all’ingresso del capoluogo, venne ampliato varie
volte e chiuso nel 1977. Al Faubourg Bertoccini aprì l’Hotel du Glacier du Rutor verso il 1890,
con un affaccio che giustifica il nome e la ragione della costruzione. Nel 1930 dopo aver venduto
le concessioni minerarie alla Ansaldo Cogne, Vittorino Paris investe i suoi guadagni nella
costruzione dell’Hotel Dora inglobando la precedente costruzione e costruendo sotto di esso una
centrale elettrica alimentata dalla Dora. Cessò l’attività nel 1980 lasciando vuota una veranda
affacciata sul Rutor che da sola vale una gita a La Thuile113. Nel 1893 Louis Jacquemod, che
aveva una grande casa nel centro del capoluogo, affittava alloggi ai turisti e con il proprietario
del National fondò un’impresa di diligenza postale. Nella frazione Goletta Laurent Jacquemod,
negli anni quaranta, costruisce l’albergo che porterà il suo nome fino alla chiusura del locale nel
1970, l’edificio era molto caratteristico, aveva una torretta belvedere decorata con pitture che si
scorgevano salendo le scale interne, ma il servizio non aveva soddisfatto il reverendo
King.(Sibilla)
La possibilità del turismo si affaccia sul paese, che oltre alle sue ricchezze e al colle vanta la
vicinanza del Monte Bianco e del centro termale di Pré Saint Didier114.
Ma la miniera arriva a stravolgere tutto, e poco dopo arriverà la guerra a fare lo stesso.
Lo spiraglio per lo sviluppo turistico viene messo da parte. Il seme dell’economia turistica viene
accudito dagli Alpini, presenti sul territorio di La Thuile da inizio secolo. Come accennato in
precedenza, nonostante l’iniziale timore dei paesani, gli Alpini sono riusciti a inserirsi nel tessuto
sociale, grazie alle caratteristiche di forza e resistenza tipici dei montanari che li rendono simili
ai Tchouilliens, e soprattutto grazie al loro essere sempre una presenza positiva e non invadente
nei confronti della popolazione. Organizzando corsi che si concludevano con dimostrazioni
anche frivole, come la gara di sci delle donne avvicinavano il paese allo sci115. Dal 1900 si iniziò
a parlare di progetti turistici, ipotizzando al Piccolo San Bernardo la prima stazione di sport

113
L’hotel ha riaperto i battenti da qualche anno mantenendo la forma e il nome originale.
114
anch’esso abbandonato per molti anni e riscoperto e valorizzato da qualche anno.
115
La parola ski ha origine norvegese, venne italianizzata durante il fascismo, mentre in inglese e francese è
rimasta nella versione originale. che si può trovare in molti nomi di squadre e sodalizi sci club o ski club.

165
invernali in Italia. Il progetto non andò in porto, ma vennero mantenute le iniziative agonistiche
civili. Nel febbraio del 1915 nasce lo sci club Rutor, per avere la possibilità di partecipare alla
prima adunata delle Valli d’Italia, che si svolse a Courmayeur, che accettava le iscrizioni solo
come appartenenti a un club. Il dopolavoro della Cogne dava la possibilità di seguire i corsi e di
avere il costoso materiale in uso. Il 29 maggio 1933 nasce il prestigioso trofeo Mezzalama, che
si svolge ancora oggi e lo Sci Club Rutor arriva terzo. Gli stessi tre atleti, il 3 luglio vincono il
primo trofeo Rutor. Saranno di nuovo loro ad aggiudicarsi l’anno seguente il Mezzalama. Tra di
loro spicca Jammaron che fu un grande campione valdostano di fondo.
Il paese vive un periodo difficile con difficoltà abitative, l’allontanamento dai valori tradizionali
e la malattia che inizia a colpire gravemente i minatori.
Poi si apre il fronte della seconda Guerra Mondiale sul Piccolo San Bernardo e gli sci tornano ad
essere solo mezzi di trasporto per affrontare le montagne.
Alla fine del triste capitolo bellico, la miniera lavora a pieno regime, ma alcune persone
lungimiranti intuiscono ci possa essere un nuovo tipo di economia, altri vogliono tirare fuori gli
uomini dalle miniere che li stanno uccidendo.
L’8 maggio 1948 nel cinema della Cogne, al Villaret si riuniscono 146 persone per firmare, con
il notaio Ollietti di Aosta, l’atto costitutivo della Società per azioni denominata Funivie del
Piccolo San Bernardo con sede a La Thuile. La società ha 1036 quote per un totale di 10.360.000
£. Il suo consiglio di amministrazione elenca nei suoi stessi nomi tutte le ragioni che hanno spinto
a questa decisione. Giuseppe Pagani, direttore delle miniere, il dottor Montesano Giuseppe,
l’ingegnere Emilio Margary, l’ingegnere Giovanni Cigliuti, Achille Vallet, Augustinio Vauterin
e Vittorino Paris. A raccogliere le adesioni dei cittadini, spronando verso l'azionariato popolare
sono stati il parroco, il maresciallo dei carabinieri, il sindaco e il dottor Montesano.
(Montesano,2022)

166
Si tratta di un momento di rottura formidabile nella storia del paese, seppur guidati da figure
esterne influenti, per la prima volta sono i Tchouilliens a iniziare e a prendere parte ad un progetto
per il futuro del paese. Sanno che le loro azioni gli daranno diritto a un paio di giri gratis delle
seggiovie, che vanno a costruire di lì a breve, ma per la prima volta si sono riuniti a decidere il
loro futuro insieme, anziché aspettare che arrivasse qualcuno dall’esterno a imporre le sue
decisioni. La svolta epocale non nasce da un giorno all’altro, ma fa parte di un percorso lungo e
doloroso che ha trasformato il paese in modo repentino a partire dagli anni ‘20. Lo stravolgimento
economico e sociale della miniera ha portato con sé anche cambiamenti culturali e nella struttura
stessa della società del paese, che seppur legata all’economia e ai valori tradizionali, ne conosce
ora anche altri ed è più disposta ad aprirsi. Lo spirito imprenditoriale dei nuovi arrivati è uno
stimolo anche per i nativi. A questo si aggiunge il desiderio imperante da parte dei genitori malati
di silicosi di salvare i propri figli dallo stesso destino, senza necessariamente vederli partire. La
malattia e la morte sono presenze quotidiane e il dottor Montesano vuole dare un’opportunità
diversa al paese.
L’8 dicembre 1948 viene inaugurata la seggiovia per Les Suches, è il primo impianto di risalita,
nasce lo sci alpino. Il dottor Montesano, con l’ingegner Margary delle miniere, ha tracciato le
piste uno, due, tre, quattro, cinque ancora oggi in funzione116.
In un articolo del 1951 della rivista le Ski di Parigi, si descrive il nuovo comprensorio sciistico
con dovizia di particolari, si parla dei posti telefonici lungo il percorso in caso di necessità,
dell’hotel in cima all’arrivo della seggiovia e del bar chalet che offre ristoro. Parla anche del
trampolino per gli sci che c’era alla Golette. L’articolo tesse le lodi del dottor Montesano che è
il motore di tutto questo sviluppo e sottolinea la necessità di pensare a nuove strutture ricettive117.
Tra il 1948 al 1960 diversi piccoli alberghi furono costruiti per accogliere i primi gruppi di
sciatori.
Nel 1952 l’ispettorato delle truppe alpine, porta avanti un progetto di propaganda sciistica
valligiana delle truppe alpine a favore dei giovani delle valli. Due volte a settimana istruttori
alpini, fornendo anche il materiale, insegnano i fondamenti dello sci di fondo e da discesa ai
giovani fino agli anni ‘80, il corso si concludeva con le gare finali e una festa. La Thuile diventa
la sede privilegiata della SMALP118 per le esercitazioni e l’ambiente innevato. I corsi, ma anche
le grandi manovre, i corsi allievi e ufficiali hanno sede fissa. La frontiera smette di essere confine
e gli alpini organizzano incontri, ascensioni e scambi addestrativi con gli Chasseurs des
alpes.(Stella, 2003)

116
La uno era pericolosa e restava spesso chiusa negli anni del turismo di massa, di recente è stata ristrutturata.
117
Et voilà La Thuile dicembre 2013.
118
Scuola Militare Alpina.

167
Negli anni ‘50 lo sci diventa lo sport preferito dai giovani. Lo praticano oltre che con i corsi degli
alpini e della Cogne, arrampicandosi a piedi sul Mont du Parc, senza nessun tipo di ausilio o pista
attrezzata.
Avevo preventivato di dividere questa parte finale in alcuni capitoli, ma se quello che voglio
cogliere qui, è la transizione dall'economia mineraria a quella turistica, mi sono resa conto
durante alcune interviste che non può essere suddivisa in capitoli senza perdere proprio il filo
conduttore della transizione. Se il passaggio dall’economia di sussistenza all’economia mineraria
è stato caratterizzato da una convivenza delle due attività, vi è poi stato un punto netto di
distinzione, quando la Ansaldo comprò tutte le concessioni e diede inizio allo sfruttamento
industriale. Come abbiamo visto infatti, fino a quel momento lo sfruttamento delle miniere era
comunque parte di un’economia di sussistenza. In questa fase il passaggio è più lungo e
articolato, con tutti e tre i tipi di economia che si intrecciano e con una generazione di giovani
che si trova, forse per la prima volta, a dover scegliere. Furono di nuovo fattori esterni a decidere
le sorti del paese. L’aumento dei prezzi della manodopera, che dopo la seconda Guerra Mondiale
aveva ottenuto migliori condizioni di lavoro e sociali, apportando un onere alle aziende, e l’arrivo
sul mercato dei combustibili liquidi e il basso costo del carbone estero, che aveva anche una
qualità migliore, portarono, a partire dagli anni ‘50 ad una diminuzione progressiva delle ricerche
nelle miniere delle Alpi italiane e man mano a un sempre minor sfruttamento. Una decina di anni
dopo la stessa sorte fu riservata alle sorelle savoiarde.
Nelle miniere di La Thuile a partire dal 1951 si smisero ricerche e tracciamenti e ogni anno
diminuì la produzione. Nel 1959 venne chiuso l’impianto di riduzione di Morgex e ne fu costruito
uno più piccolo direttamente all’uscita della miniera, al Villaret, come già accennato parlando
del trenino che attraversava la montagna. Il carbone venne di nuovo trasportato su strada,
aumentando ulteriormente i costi.
Gli attivi che hanno lasciato la miniera cercano un nuovo lavoro e l’agricoltura che potrebbe
rappresentare uno sbocco, non è stata ammodernata e non si è sviluppata nei quarant'anni della
miniera. E’ troppo tardi per inserirsi nel mercato dell’allevamento intensivo. (Falquet,1971)
Molti operai furono trasferiti all’impianto di Aosta o, inizialmente, alle miniere di Cogne che
sembravano avere un destino migliore e chiusero più tardi, negli anni ‘70. Molti operai non erano
più in grado di lavorare a causa della silicosi e vennero dichiarati invalidi, grazie all’impegno già
affrontato in un capitolo a lui dedicato, del dottor Montesano.
Come già accennato, una diminuzione della popolazione, dovuta a un nuovo movimento
migratorio comincia già nel 1951, nel 1955 era già stata chiusa la scuola del villaggio minatori,
gli alunni del paese erano passati da 198 del 1951, agli 87 del 1961. L’attività agricola era rimasta
sempre attiva, ma in modo esclusivamente domestico.(Falquet,1971) Tutti gli abitanti originari

168
di La Thuile avevano gli animali, ma non si trattava di grandi mandrie o allevamenti intensivi.
Le famiglie possiedono soprattutto galline, conigli, raramente qualche tacchino e pochi maiali.
L’allevamento dei bovini resta la parte più consistente del lavoro agricolo, ma ha comunque
subito una riduzione, non ci sono molte stalle dedicate esclusivamente agli animali, spesso
vivono ancora in casa, insieme alle persone, per tenersi caldi. Il riscaldamento delle case è ancora
affidato alle stufe a legna e nei casi più fortunati a carbone.
La miniera ha consentito agli abitanti di avere almeno un’entrata sicura, e questo portò ad una
diminuzione del lavoro agricolo notevole negli anni fra il 1929 e il 1961, il 20,9 per cento.
Nel 1961 il 59,4 per cento dei lavoratori si occupava di agricoltura, mentre nel 1929 erano l’89
per cento. Il numero di chi svolge un’altra attività oltre a quella agricola sale dal 5 al 10 per cento.
Lo sfruttamento dei campi è sceso da 40 ettari nel 1929, a 10 ettari nel 1948 e nel 1961 persino
la coltivazione delle patate, che a La Thuile era arrivata molto presto ed era la base
dell'alimentazione già da fine settecento, nel 1961 si è ridotta moltissimo. L’allevamento dopo
una leggera ripresa durante gli anni del conflitto, fra il 1949 e il 1961 ha un crollo drastico, del -
70 per cento119. Nel 1961 l’Assessorato all’agricoltura stabilisce nuovamente dei regolamenti120
per lo sfruttamento del legname, a causa di un aumento dello sfruttamento da parte di privati, che
portano in quella data ad un 56,6 per cento di alberi abbattuti a fini commerciali. Considerata la
grande importanza che le foreste hanno nella tutela di un territorio estremamente soggetto a frane
e valanghe, le autorità, sono state costrette ad arginare quello che sembrava una nuova fiorente
attività.( Falquet,1971)
Nel 1961 la miniera ha già terminato il suo folgorante sviluppo, le colonie di minatori sono già
andate via e come abbiamo visto anche i giovani di La Thuile hanno cominciato ad emigrare
perché il paese non offre più sbocchi, e quel poco che è rimasto di agricoltura non può sopperire
alla mancanza di lavoro. Il paese in questa situazione è destinato a diventare un fantasma insieme
ai suoi villaggi operai nel giro di una decina di anni.
Fortunatamente arriva una nuova miniera a salvare il paese, che può togliersi di dosso il nero del
lutto e della polvere di carbone e tingersi di bianco.
Nel 1960 c’è una stasi preoccupante, perché nell'impresa turistica popolare, ci sono pochi clienti,
la seggiovia è troppo esposta e la risalita, anche dotati di coperte, ha qualcosa che solo i più eroici
riescono ad affrontare, inoltre ci sono pochi servizi. Alla fine degli anni ‘60 vi sarà una svolta
con l’arrivo di importanti capitali che permisero di costruire una rete moderna di risalita.

119
Falquet.
120
Può essere raccolta solo legna di alberi già morti, o abbattuti da eventi naturali e quelli nelle zone ad alta
densità che vengono segnalate dalla forestale. Come già annotato in precedenza la tutela era già stata necessaria a
partire dal 1500 (Coutumier) e rinnovata nel 1861 dal nascente regno d’Italia.

169
Nel 1964 Delfino Blanchet, giovane maestro di sci, decide di rompere gli schemi migratori e di
rimanere a La Thuile e fonda con altri due maestri la scuola di sci di La Thuile diventandone il
suo il primo direttore. Il paese inizia a cambiare, la stazione è in espansione. Franco Berthod
perde la possibilità di partecipare alle Olimpiadi per un incidente, in seguito porterà col fratello
Dante lo sci club a livelli massimi121. Nel 1966 chiudono definitivamente le miniere, le case
operaie si svuotano.

1000 famiglie...abbandonate perché…carbone c’è n’è…ma il gasolio costava meno.

Fortunatamente La Thuile ha qualcosa che non ha fino a quel momento voluto o saputo sfruttare,
il turismo, che grazie al boom economico di fine anni ‘60 e alle utopiche azioni di qualche uomo
lungimirante poste in essere alla fine della guerra, potrà fare da salvagente al paese e traghettarlo
verso un nuovo tipo di economia.
Nel 1960 Presidente della società Funivie Piccolo San Bernardo viene nominato Corrado Gex, il
giovane assessore regionale alla pubblica istruzione con la passione per la montagna, per il volo
e per lo sci. Nel consiglio di amministrazione ci sono Achille Vallet, Giuseppe Montesano, Carlo
Camerini, Mario Rosso e Ida Fusero. Gex è molto attaccato al paese e cercherà negli anni
successivi di interessare società esterne ad investire sul comprensorio, Cercò finanziatori e
soluzioni tecniche in Svizzera e in Francia dove visitava le stazioni sciistiche del momento per
informarsi sulle necessità infrastrutturali e a cercare possibili finanziatori. Intravede la possibilità
reale di valorizzare il comprensorio con un collegamento internazionale con La Rosière di
Montvalezan e spera di portare lo sci estivo sul Rutor. Gex, diventato poco dopo consigliere
regionale, si spenderà per assicurare una strada sicura e in generale per lo sviluppo di una rete di
trasporti efficiente, insistendo per esempio, su paravalanghe e autostrade, non solo per La Thuile
ma in tutta la Valle d’Aosta. Dimessosi da assessore perché eletto in parlamento, Gex muore nel
1966 a bordo del suo aereo, con altre 7 persone, era un avvocato, ma anche un pilota. Quando
muore era in lizza per diventare vice ministro dei trasporti del governo Moro. Con il suo aereo
era stato il primo ad ottenere l'autorizzazione ad atterrare su un ghiacciaio, il ghiacciaio del Rutor,
missione compiuta per piacere, ma anche con l’idea di utilizzarlo come mezzo per sciare sul
ghiacciaio. Nel 2021 il suo cadavere è stato riesumato, perché dopo 55 anni di denunce da parte
del suo amico ed ex pilota Melotti, e di alcuni familiari, la procura di Cuneo ha riaperto il caso,
all'epoca chiuso come incidente. Melotti, ritiene da sempre che Gex sia stato ucciso dai servizi

121
Paris, Lorenzo
80 anni dello Sci club Rutor : storia di uno dei più gloriosi sci club d'Italia / Lorenzo Paris
Quart : Musumeci, copyright. 1996 (Quart : Musumeci)

170
segreti e l’analisi delle indagini svolte all’epoca ha portato alla decisioni di riaprire il caso nel
2019. (et voilà La Thuile 2011; Ansa, luglio 2021)
Nel 1967/68 la costruzione della funivia porta alla seconda fase del turismo invernale, che
diventerà di massa a partire dagli anni 1970 di questo secolo, quando le vecchie strutture
turistiche, compresi gli antichi alberghi come già accennato, chiusero, lasciando il posto alle
nuove. Si realizza l’ampliamento del domaine skiable, nel ‘84/85 con il collegamento con La
Rosière, La Thuile si sviluppa negli anni ‘70/80 in modo esponenziale. Lo sviluppo delle strutture
ricettive inizialmente previsto a Les Suches, come previsto in origine, rimane molto limitato, la
prima casa sarà quella del dottor Montesano, poi sarà il paese a svilupparsi, partendo dalla
costruzione dell'Ametista (secondo condominio costruito a La Thuile, il primo è il Condominio
San Carlo antecedente al progetto La Thuile-Val Rutor) a cui dovevano far seguito tanti altri
condomini della stessa concezione. Nella piana di Entrèves, dove dovevano svilupparsi, sorge
invece il complesso del Planibel. Nella zona degli impianti apriranno pian piano, per iniziativa
privata, bar in quota ma non alberghi, anzi, al posto dell’unico albergo presente dagli anni ‘50,
l’Hotel des glaciers, viene costruito l’arrivo della funivia e creato il primo bar/ristorante sulle
piste. Nel 1989 le due funivie saranno sostituite da una nuova cabinovia che velocizza
enormemente il trasporto in quota. Nel 1991 le stazioni sciistiche di La Rosière e La Thuile,
fondano una società, che nel 2003/2004 porta alla creazione dell’Espace San Bernardo.
Tra la fine degli anni ‘70 e gli anni ‘90 sono di nuovo i capitali e le decisioni esterne a prendere
il sopravvento e gestire il paese che si spezza nuovamente in due, forse anche più che nell’epoca
mineraria. I pochi che ancora vivono un'economia agropastorale restano sostanzialmente fuori
dalla nuova realtà economica e sociale e spesso vivono come un’ invasione il turismo di massa.
Quando parlano dei milanesi ciuccianebbia sottolineano sempre i loro comportamenti invasivi.
Il centro del paese continua la propria vita o prova a farlo, come se dall’altra parte della Dora
non ci fosse un mondo totalmente nuovo. Intanto il Planibel diventa per metà dell’anno il centro
della vita del paese che a questo punto si vede spezzato in due fisicamente e culturalmente. I
giovani sono trascinati nel benessere portato da un turismo ricco e sfacciato. Gli viene proposto
un modello di vita che non gli appartiene, ma allo stesso tempo non ne hanno altri, quello agro
pastorale non è adatto alle nuove necessità. Sotto i portici del Planibel in piena stagione si
passeggia con i personaggi in voga della neonata Mediaset di cui la Thuile diventa un villaggio
vacanze. Berlusconi che con Ligresti, noto imprenditore milanese ha importanti interessi
nell’hotel invita i suoi amici e dipendenti e si gira anche qualche programma in paese. Pellicce,
belle donne, macchine strepitose, che non riescono a salire la strada del paese, gioielli, feste e
tanti soldi. La Thuile vive un periodo d’oro. Non si costruiscono più alberghi, ma grossi
condomini che devono ospitare più persone possibile, i giovani lavorano tutti per gli impianti di

171
risalita. Il lavoro c’è, e il benessere raggiunge livelli mai sperati, ma come accade sempre in
situazioni di boom economico così spinto la società patisce uno scollamento. Molti vendono per
pochi soldi rispetto al vero valore i loro terreni per vivere di rendita, i giovani vengono travolti e
fagocitati da quel mondo splendente che offre tutto, ma che non è il loro mondo. Le decisioni
sono prese dai grandi imprenditori che usano La Thuile come merce di scambio per i loro favori
edilizi milanesi. Abusi edilizi e sfregio del territorio in nome di uno sviluppo forsennato illudono
i Tchouilliens, che si dimenticano di prendersi cura del loro territorio. Se la miniera aveva
distrutto il sottosuolo delle montagne del paese, ora viene fatto scempio della superficie. Nei
primi anni 2000, una serie di scandali, inchieste e arresti nei confronti dei grandi imprenditori
milanesi, che sarebbe davvero troppo lungo e poco utile affrontare nel dettaglio qui, coinvolge il
Planibel e il suo omologo sardo Tanka Village, travolgendo anche il paese. I personaggi a cui si
erano date le chiavi del regno ora scappano e chiudono i rubinetti dei soldi. Con essi spariva il
turismo dei Vip che affollavano il comprensorio. Il paese deve di nuovo trovare una soluzione
per non crollare. Fortunatamente negli anni del boom molti giovani si sono affacciati al mondo
imprenditoriale e hanno ora la capacità di sviluppare le proprie aziende e di rivolgersi ad un
turismo di massa che cambia, ma esiste ancora. Un numero incalcolabile di inglesi, agenzie di
viaggio internazionali che usano il Planibel come base e una nicchia di ricchi russi tengono in
piedi il comprensorio che però ha passato il suo periodo d’oro.
Negli anni a seguire giovani sportivi e imprenditori prendono in mano la situazione e adattano il
comprensorio con lungimiranza alle nuove esigenze mainstream, usando finalmente le indubbie
qualità del comprensorio anziché i nomi altisonanti di dubbi personaggi. Nel 2016 sulla pista 3
dedicata a Franco Berthod, vengono disputate tre gare di Coppa del Mondo di Sci Alpino
Femminile e, nel 2017, sempre sullo stesso tracciato, due competizioni della Coppa del Mondo
di Telemark. Nel 2020 un’altra gara di coppa del Mondo salta all’ultimo per maltempo, dopo un
disperato tentativo di salvarla annullando la presenza del pubblico. Il giorno dopo gli impianti
chiuderanno e l’intera Valle d’Aosta entrerà in lockdown per il Covid 19. Gli impianti di risalita
sono rimasti chiusi per quasi due stagioni, le ripercussioni economiche e sociali sono importanti.
Se ovunque è aumentata la disoccupazione qui si è trattato di un paese intero a fermarsi. In
quell’occasione la forza che li contraddistingue ha portato a vivere quel momento drammatico
nel modo migliore possibile.
Una nota imprenditrice del paese, madre di tre figlie e nonna, mentre saliva il malcontento sui
social media per la zona rossa, ha postato su Facebook l’albero di Natale con un commento che
diceva che finalmente dopo tanti anni avrebbe passato il Natale in famiglia. La vita dei
comprensori sciistici non prevede infatti festività, anche nella mia famiglia è capitato spesso di
non vedersi per niente o di brindare capodanno alle 9 per poi andare a dormire. Non ci sono giorni

172
di riposo per tempi lunghissimi, si lavora anche quattordici ore al giorno, per sei mesi l’anno la
vita corre veloce, senza soste, frenetica, vuota di relazioni profonde di cui non si ha il tempo. Poi
il 25 aprile, cala il silenzio, si chiudono le imposte, si spengono luci e caldaie, si salutano amici
stagionali che forse non si vedranno mai più122…
sono passati tanti anni, ma soffro ancora di sindrome del fine stagione, dal 20 aprile al 25 mi sento
euforica, ho voglia di uscire, di vedere e salutare tutti, di fare festa, di sciare fino all’ultimo istante,
poi il 25 aprile cala il sipario, l’unico desiderio è dormire, dormire per giorni, chiusa in casa
perchè fuori non c’è nessuno. Oggi sono impiegata tutto l’anno, ma la depressione da fine
stagione fa sempre capolino per ricordarmi da dove vengo[...]
Oggi le Funivie Piccolo San Bernardo sono un importante e ampio comprensorio, l’Espace San
Bernardo, che gode di un ottimo innevamento e che ha oltre 150 km di tracciati, 82 piste e 38
impianti. Negli ultimi anni il comprensorio ha finalmente trovato anche la sua anima estiva e
diventa anche punto di riferimento per tutti gli amanti della MTB, trasformandosi in un immenso
bike park, e i servizi del paese si adeguano ai biker. In pochi anni La Thuile entra nel mondo
della MTB, l’organizzazione di grandi eventi di carattere mondiale e nazionale: Enduro World
Series e Super enduro la porta nel cuore degli atleti. Questo successo è dato dal lavoro di tanti
giovani che hanno amato come atleti il loro paese e hanno deciso di investirci economicamente,
ma soprattutto con il lavoro, l'impegno e qualche idea apparentemente folle. Per la prima volta
invece di subire gli agenti esterni, la popolazione di La Thuile si sta facendo interprete del
cambiamento, sfida la crisi odierna aggravata dal Covid con il duro lavoro e la fiducia di poter
costruire il futuro anziché fuggire. Ora la speranza per questo paese non può che essere di
cavalcare questo periodo complesso con le proprie forze, pensando alle conseguenze a lungo
termine delle scelte di oggi. Anche la Mountain bike, come lo sci, ha dei costi ambientali, che
devono essere valutati e non sottovalutati, ma la sua importanza economica obbliga a trovare
soluzioni adatte, in quanto il mercato dello sci stagionale che basta a coprire le spese di tutto

122
alcolismo e suicidio hanno tassi molto alti in Valle d’Aosta, che si contendono sempre la palma del vincitore
con il trentino alto.adige e il friuli. Se da un lato si tratta di dati che accomunano tutti i paesi alpini e i paesi
nordici, sarebbe limitante attribuire solo alle già note cause ecologiche che vedono imputate la mancanza di luce e
la scarsa vita sociale nei mesi invernali. Intanto qui la vita sociale e con l’arrivo del turismo invernale è meno
presente in estate, mentre i mesi invernali vedono una festa quasi perenne, la maggior parte delle persone poi fa
lavori che gli consentono di passare molte ore all’aria aperta. Andrebbero valutati inveci i fattori di instabilità
economica, perché il lavoro stagionale non prevede garanzie e possono passare molti anni prima di avere un
contratto e di conseguenza una casa di proprietà. Altrettanto instabili sono le relazioni che tendono ad essere poco
stabili, la scarsa presenza familiare obbligata, che per lunghi mesi non consente di seguire adeguatamente i figli
,che vivono per contro molti spazi di solitudine. Bisogna poi mettere in conto che l’alcol non è considerato un
vizio e spesso si è spinti a bere in giovane età già in casa, il comportamento poi è rafforzato dal confronto con i
turisti, che si dimentica sono in vacanza e quindi si concedono atteggiamenti più liberi perchè ben delimitati al
tempo delle vacanze. Come ultima motivazione, che rafforza quella sull’instabilità delle relazioni, vivere a
stagioni, obbliga a ripetuti addii, a titubanti arrivederci ad assordanti solitudini che alla lunga non possono non
lasciare segni nella personalità e nella salute mentale. Sarebbe infine utile in questa analisi separare i dati che
riguardano i paesi di fondovalle da quelli delle località prettamente turistiche, che non hanno e non possono avere
le stesse problematiche, per esempio se l’alcolismo ha numeri drammatici a La Thuile, non è così per i suicidi.

173
l’anno non esiste più ed è destinato a subire ulteriori colpi a causa dei cambiamenti climatici di
cui gli amministratori devo prendere atto e che devono affrontare. Il sindaco di La Thuile
parlando di questa tesi ha mostrato il suo interesse verso uno sfruttamento turistico del patrimonio
storico-minerario ed è in fase di studio, da parte dei geologi dell'università di Torino, la possibilità
di utilizzare le vecchie strutture minerarie a questo scopo, come sta facendo Cogne e come da
qualche anno hanno fatto altre piccole miniere in Valle d'Aosta. Quella di Saint Marcel, ne è un
notevole esempio.
Dopo aver tracciato il percorso, lascio alle voci dei miei intervistati la conclusione di questo
viaggio.
non c’è stato una fine e un poi[...] nel 1947 hanno costruito il primo tronco di seggiovia, nel 48 il
secondo tronco. La Thuile era ancora zona di guerra e c’era il centro di addestramento sciatori, il
paese era molto più popolato, c’era l’economia vecchia[...] pian piano le persone che erano ancora
in grado di lavorare sono andati alla Cogne, tanti erano già pensionati ..che aspettavano…
[...] La Thuile, era il paradiso delle donne, l’inferno dei muli e il purgatorio degli uomini. Quando
gli operai erano in galleria le donne erano libere, i muli trainavano tronchi, aravano, si faceva
tutto coi muli, solo muli non asini, e il purgatorio degli uomini.
Lo zio in miniera aveva cavalli grossi, non alti ma grossi, da lavoro, era manovratore dell’argano
del Col Croce[...] ci sono 80, 85 fornelli sotto le montagne. Sono andato in collegio perché nonna
era sola, poi hanno chiesto in regione, per le famiglie bisognose la regione dava la possibilità di
studiare e sono andato a fare l’ebanista. [...] mi piaceva sciare, da bambini andavamo sul Mont
du Parc, andavamo a scuola con gli sci, poi facevi scaletta e andavi su. Quando sono tornato dal
collegio stava iniziando il turismo, nonostante in quel momento si fossero persi gli alberghi
migliori come il Jacquemod, il Nazionale, ma avevano cominciato a costruire due alberghi nuovi,
il Crystal e l’Antares, [...] il capannone del cinema era già stato sostituito dalle vasche dove
lavavano il carbone, c’erano tre vasche…adesso c’è ancora il vaglio, caricavano sopra poi il
nastro trasporta al setaccio e l’acqua portava via i sedimenti di carbone e facevano gli ovuli di
carbone, chi ne ha usufruito di più furono le famiglie Fusero e Gal che avevano i camion per i
trasporti. Sotto il Crystal tutte le domeniche si ballava, era più vivace il paese e poi ballavano al
Nazionale, nella piazzetta centrale e facevano i balli dei minatori.[...] La festa dei minatori hanno
continuato a farla per anni, anche quando ormai il villaggio era chiuso, tornato dal collegio ho
iniziato a fare le gare di sci e a prepararmi per fare il maestro. Nello stesso periodo ho fatto gli
esami da aspirante guida e da aspirante maestro, il primo esame da guida era l’esame da portatore,
prima c’erano tre tipi di guide, le guide col mulo, i portatori e le guide di montagna, mio nonno
era guida di montagna. Allora c’erano le piccole spedizioni di montagna, i tempi erano lunghi,
non c’erano le ferrovie, in Francia e Svizzera avevano già le ferrovie, noi in quello abbiamo
peccato di brutto. I maestri di sci che già c’erano non potevano stare a La Thuile, andavano chi
in Piemonte e io sono andato in Abruzzo ho fatto il primo inverno lì, poi sono tornato e ho fatto

174
due inverni a Courmayeur e poi sono venuto qui quando hanno fatto la scuola nuova. In Abruzzo
avevano fatto gli impianti ma non avevano maestri[...] tutti quelli che poi sono passati maestri di
sci lavoravano agli impianti d'inverno, andavano a fare i battipista in Val d'Isere, erano una grossa
squadra ed erano loro[ quelli di La Thuile] a capo della squadra. Poi chi è tornato ha dato l’esame
da maestro. Altri lavoravano allo sci estivo a Courmayeur a Punta Helbronner123, ci hanno
lavorato molto lì. Altri andavano al Col di Tenda.[...] la scuola di sci era consortiva, si pagava e
per entrare contava l'esperienza. Negli anni ‘80 il boom, poi ha cominciato a diminuire si sono
sviluppate altre stazioni [...] adesso è uno sport caro, il costo è giustificato in alto bisogna investire
per mantenere ma solo in quota [...] progetto funivia Les Suches e Chaz Duraz. Impianto con
cabine non troppo grandi, per lo studio del vento 17 milioni, noi come innevamento siamo una
delle zone migliori. [...]

Lavoravo all’Ametista, sabato pomeriggio ci portavano al Grande[San Bernardo] e la domenica


tornavi con le sigarette, guadagnavo come tutta la settimana, quei soldi li ho messi in quell’
impianto,[...]dove si sciava prima e lo abbiamo messo al Mont du Parc, battevamo la pista con la
motoslitta, avevamo il contratto con la colonia di Genova. [...] Sale e zucchero prima. I Passeur
c’erano prima quando io ero a la Joux al pascolo, con loro arrivavano 15-20 persone, andavano
al col Tacuit poi scendevano in Francia, per passare perchè non avevano i documenti. Passavamo
anche dalla Val Ferret, passavamo in Svizzera, dovevi essere un po’ svegli, arrivavi coi ramponi
poi scendevi.[...]

[...] sono rimasti quelli che arrivati per la miniera hanno iniziato a fare altro, gli altri sono andati
via, senza di loro quelli di La Thuile non avrebbero fatto niente. Anche il consorzio artigiani è
spinto da me.
La mountain bike distrugge tutto, i sentieri diventano fiumi e le bici elettriche in montagna.
Dovresti dividere i sentieri per non dare fastidio a chi va a piedi tranquillo. Tutta l’estate dà il

123
Nella valle sotto il dente del gigante due skilift e due piste hanno consentito lo sci estivo sul Monte Bianco, a
fine anni ‘90 però un crepaccio si è aperto portandosi via skilift, gatto delle nevi e gattista. L’impianto non ha più
riaperto.

175
rendimento di un week end invernale. È [...] Politica vuol dire rimanere a galla quindi va bene
anche la mountain bike ma devi regolamentarlo, aggiustare un sentiero è un costo [...] non mi
piacciono i Trail, ma porta un po’ di movimento, non fa danni.[...] l’importante in montagna
sarebbe dare l'opportunità alla gente di camminare per gli affari suoi e con più rifugi. È [...] i
valdostani non capiscono[...] i sindaci non hanno fatto niente, hanno vissuto loro e le famiglie di
assistenzialismo, ora che non c’è più non c’è più niente, ora ci vuole turismo culturale. [...]
aspettare di vedere come funziona quello di Cogne124, gli altri in Sardegna non hanno altro [...]
non è volontà di dimenticare ma solo un lasciar scorrere[...] non gli interessa, i rabadan vanno
avanti, l’80 percento dei valdostani sono dei mantenuti, non hanno neanche guadagnato il dovuto
[...]pochi sanno gestire i beni che hanno, le attività commerciali sono tutte in mano a chi viene da
fuori.
B. nato nel ‘46, aveva sentito i racconti del padre in guerra in Albania, che ferito dopo pochi mesi
fece la convalescenza a casa.
“Faceva parte degli Alpini esploratori del Battaglione Cervino che erano sciatori. Erano militari
non sapevano nulla di perché erano lì”.
Anche lui [l'intervistato] fece il militare in Alto Adige. Lavorò nell'antiterrorismo.
La Naia aveva guastato mio padre. Io facevo parte di un plotone speciale di esploratori contro gli
attentati, Eravamo 5 alpini, più paracadutisti, carabinieri e di tutti i corpi. Gli alpini in questo
gruppo erano gli unici di Naja volontari. Era un lavoro maledetto. In congedo sento un capitano
dei carabinieri, un finanziere e due parà del mio gruppo chiamati per un traliccio minato. Invece
era Minato. Sono morti.
Nel 1966 fece 14 mesi di Naja ed era la prima volta di quel gruppo speciale.
Mio padre è rimasto con le schegge nelle costole a vent'anni, poi è andato a lavorare in miniera,
è morto di silicosi, non è stata non è stata riconosciuta [...] 5 anni dopo aver smesso di lavorare.
[...] Faceva esplodere la dinamite per le gallerie.
Lui ha costruito un monumento a suo padre. E ha inciso la storia di La Thuile sul legno. Quando
sono andata ad intervistarlo dopo aver chiacchierato mi ha portato a vedere le sue opere e i suoi
cimeli. Lui è un ottimo falegname, appena entrata nella cantina davanti a me intagliata nel legno
la storia di La Thuile, divisa nei tre periodi. Davanti a me l’idea della mia tesi si era letteralmente
materializzata. Nella sua cantina, nel retro del giardino, le sue opere in legno, le riproduzioni, i
cimeli, sono un museo, mi sento in colpa per non aver pagato un biglietto. Quest’uomo ha passato
una vita intera a raccogliere i ricordi e onorare il passato di suo padre e dei minatori. “Nessuno
ha raccontato la miniera”.
I minatori dalla Balme con una fiaccolata delle loro lanterne a carburo, andavano verso la
montagna tutto l'anno, ci voleva un'ora e mezza due ore. La Miniera sempre aperta con turni di 8

124
Ha aperto il 27 dicembre del 2021 a cogne il museo delle miniere.

176
ore che si chiamavano le sciolte le persone hanno le stesse ogni turno. C'erano ancora le scuole
di villaggio si faceva in paese la sesta la settima e l'ottava era alle medie e si facevano sempre in
paese[....] alla baita ho visto i primi turisti che venivano da Courmayeur, noi scappavamo eravamo
selvaggi, cercavano prodotti tipici [...] lo sci[...] all'inizio c'erano solo due seggiovie, nel ‘48 la
gente del paese, con azioni date non in soldi, ma in buoni per salite con la seggiovia che faceva
tre o quattro corse, ognuno era padrone di un pezzettino. [...] anche la montagna di Chaz Duraz è
tutta miniera, solo di carbone. L’argento è troppo costoso, è pericoloso, morivano in tre o quattro
anni per il piombo. Le miniere[...] hanno cominciato quattro del posto a grattugiare la roccia, ci
sono centinaia di buchi, veniva trasportato con le slitte e le ceste e veniva preso da fessure di
roccia e il carbone per uso familiare poi è arrivato Paris.
Gli chiedo dei partigiani, ma non ne parla volentieri, è a disagio, mi dice che dopo ci sono stati
dei regolamenti interni, suo padre se qualcuno aveva bisogno di aiuto lo aiutava. ”C’erano le
spie[...] i tedeschi razziavano tutto.
[...]mio padre mi ha mandato via, non voleva che andassi in miniera[...]

Nel 1985 la Deltasider125, che succede alla Cogne, cede la proprietà alla RAVA, escluse le
pertinenze minerarie.
Nel 1987 la Regione approva il piano per l’Ecole de Neiges, un grande progetto della Regione
Valle d’Aosta che vorrebbe utilizzare gli edifici dell’ex villaggio minatori per la creazione di
collegio scuola per studenti sciatori. Siamo nel periodo del boom dello sci e la valle d’Aosta deve
gestire la rosa di giovani atleti che si dividono tra impegni sciistici mettendo a rischio la scuola
o viceversa. Il progetto include un’area sportiva, la prima ad essere realizzata, con un campo da
calcio, uno di calcetto, un’area giochi e un edificio di servizio che oggi ospita uno studio di
osteopatia e una palestra. Il progetto è grandioso, volto a risolvere il problema degli atleti
regionali da un lato e ad attrarne altri dalle altre regioni.
Nel 2005 dopo un lungo travaglio la Regione rinuncia al progetto e vende a due privati con asta
pubblica. Rimangono ristrutturati i due edifici a nord e in parte è recuperato l’edificio del 1992
lungo la strada. Tutta la vicenda fece molto scandalo per anni, portò persino la popolazione del
paese a chiamare Striscia la Notizia, per denunciare l’incuria ed il malaffare della faccenda.
Inutile dire che per quanto i lavori abbiamo portato alla costruzione di alcuni bellissimi edifici
adibiti ad alloggi turistici, per molti, soprattutto per la generazione illusa di poter frequentare il
college e per gli ex minatori, quelle costruzioni ora adibite ad alloggi turistici di lusso sono un
colpo di spugna al passato del paese.

125
Nata nel 1984 come ennesima fusione delle aziende siderurgiche italiane.

177
[...]è autunno, stiamo facendo ginnastica presciistica, il cielo è color grigio piombo mentre
corriamo lungo il campo sportivo. Il sentiero che lo circonda è rialzato rispetto al campo e alla
strada che passa sotto, alle mie spalle ci sono le case operaie grigie e vuote. Davanti a me i vecchi
vagoni del trenino. A destra tra il mucchio di sassi neri su cui corriamo e la strada c’è la strana
costruzione di legno che io chiamo lo scivolo, e che mi dicono sempre che lavava il carbone, in
fondo sempre sulla destra, c’è un ponte con delle rotaie, che non portano da nessuna parte perchè
a La Thuile il treno non c’è…mentre finiamo il giro inizia a piovigginare e l’allenatore, per
metterci al riparo ci porta nelle case operaie, ci andiamo spesso per ripararci con l’allenatore, ma
ancora più spesso da soli, noi bambini a giocare tra i misteri di quelle case abbandonate.
Questa era la nostra vita di bambini a La Thuile, negli anni ottanta, lo sci, i fantasmi della miniera,
il carbone, l’abbandono, la malattia erano davanti ai nostri occhi, sotto le nostre scarpe e nelle
nostre tasche (ricordo una volta in cui mia mamma mi ha sgridato perchè la mia tuta rossa
bellissima e che adoravo era diventata tutta nera per portare a casa quelle pietre nere bellissime,
che scrivevano perfettamente sui muretti). Le case operaie erano il nostro misterioso e
affascinante parco giochi e il rifugio dagli occhi dei grandi. Molti di noi erano convinti che un
giorno quel posto sarebbe stato trasformato in scuola, ci dicevano, “voi sciatori andrete a scuola
qui alle superiori”.
la miniera chiusa da una anni, ma il suo scheletro e la sua anima erano ancora lì, correvamo sul
carbone senza sapere cosa fosse, giocavamo nei ruderi in cerca di risposte e intanto il mondo degli
adulti, fagocitato dalla ricchezza del turismo, impegnato nella frenesia dello sviluppo cancellava
quelle tracce e quelle storie.
Purtroppo non è andata così, quella scuola si è persa nella corruzione, nelle scelte politiche
sbagliate, nell’immobilismo e alla fine quei ruderi sono stati consegnati nelle mani della
speculazione edilizia legata al turismo. Il carbone è sparito, le lastre dei minatori sono diventate
un falò, chi cercava di salvare qualcosa per salvare la memoria di quei poveri uomini è stato
cacciato, come se quei documenti appartenessero a chi aveva appena preso possesso di quelle
case e non fossero invece proprietà dei figli di chi ci era morto, i documenti rimasti sono stati
archiviati altrove, il carbone portato via.
Questo è l’ultimo atto di una cancellazione della memoria del paese di cui difficilmente si trova
spiegazione.

178
Parte 5. La scuola
D' inverno la vita al villaggio iniziava alle 5 del mattino. Chi andava in miniera usciva di casa per
il turno. I minatori si spostavano lungo il fianco della montagna, si vedevano i piccoli lumini delle
lampade a carburo allontanarsi dal villaggio e dirigersi verso il Villaret o il col Croce. Sempre
all'alba iniziavano i lavori del contadino. Si sentiva il rumore del fieno trascinato giù dal fienile
nella stalla, il muggito della mucca che attendeva la sua bracciata di fieno raccolta in estate,
l'abbaiare del cane che faceva la guardia, il canto del gallo che dava il buongiorno a tutta la
famiglia e anche ai vicini. Con l'avanzare del giorno il villaggio si animava. [...]La casa della
latteria riconosceva dall'esterno che era annerito dal fumo che usciva dal locale, dove avveniva la
trasformazione del latte in formaggi e burro. Anche il locale interno era tutto affumicato, si soleva
dire “sembra una latteria” quando un muro annerito non era bianco. Passando Si sentiva l’odore
di fumo del latticello il casaro dopo aver finito il suo lavoro versava fuori in strada quel liquido
verdastro. Alle 9 iniziava la scuola, prima il vociare dei bambini riempiva le strade, tutti andavano
a piedi anche se nevicava. I più grandi scendevano in capoluogo per frequentare le lezioni mentre
per i più piccoli di prima e seconda elementare c'era la scuola del Moulin con un bellissimo tetto
di tegole rosse. In seguito la scuola fu spostata al Thovex vicino alla cappella. Dal 1945 anche
alunni piccoli di 4/5 anni scendevano in paese per frequentare l'asilo parrocchiale, la maestra era
Lucia Collomb.
Questa testimonianza della vita mattutina del paese ci è stata trasmessa in uno degli scritti delle
maestre del paese.
Nel 1963 Robert K. Burns annotò in un saggio, nato dalla sua permanenza nel comune più alto
d'Europa a Saint-Véran nel Queyras, l’importanza data all’istruzione nelle comunità alpine.
Burns individuò nelle scuole di villaggio lo strumento con cui si ponevano le basi della civiltà
delle Alpi. Il paradosso alpino da lui delineato vede una lotta precoce all’analfabetismo fin dal
XV secolo. Le comunità alpine sono state a lungo considerate chiuse e arretrate, ma spesso
insegnanti, notai e avvocati che lavorano nei centri urbani in pianura arrivano proprio dalle
montagne, mentre è proprio nelle pianure che si riscontrano i tassi più alti di analfabetismo.
L’argomento è stato affrontato da molti studi volti a trovare la spiegazione a questo paradosso.
Alcune spiegazioni vedono nella lunga inattività invernale la possibilità di dedicarsi di più allo
studio, altri vedono una particolare intelligenza nei ragazzi di montagna. In ampi studi sulle
comunità alpine, Pier Paolo Viazzo confrontando motivi e momenti storici, riscontra delle
variazioni che non portano ad un’univoca interpretazione.
In Valle d’Aosta lo sviluppo precoce dell’istruzione scolastica, riscontrabile già dal XVII secolo,
è guidato dal clero, in particolare dal vescovo Pierre Francois de Sales, savoiardo, intelligente e
attivo, che sostenne una capillare diffusione delle scuola di comunità. Marco Cuaz con ampi studi

179
da autori e fonti diverse, pur sottolineando l’importanza del clero nella diffusione dell’istruzione,
segnala che non sono rari i casi di insegnanti laici. Dagli studi di Cuaz risulta che tra il 1726 e il
1822 in ogni villaggio risulta attiva almeno una scuola. Nel 1822 sono registrate 261 scuole.
(Cuaz 1988).
Durante tutto il settecento le scuole sono finanziate come le opere a favore di malati e indigenti.
A La Thuile le risorse sono modeste e il loro conteggio è tenuto separato rispetto a quelle per il
soccorso dei poveri. Nelle analisi delle motivazioni che portano allo sviluppo dell’istruzione un
ruolo importante si riscontra nella necessità per queste comunità che si spostano per lavoro, che
per commercio si trovano a dover scrivere e fare di conto una buona spinta all’istruzione. Paillard
sottolinea inoltre il carattere intraprendente e pratico delle genti di montagna che li porta ad
analizzare i documenti in autonomia. Una prova di questa spinta all’istruzione dovuta alle
necessità economiche è il caso di una possidente walser, Caterina Rial che fonda una scuola per
preparare al lavoro di mercanti i giovani della sua comunità. Rappresenta inoltre l’esempio
dell’istruzione laica sopracitata.
Dagli archivi di La Thuile abbiamo informazioni sulle scuole del paese a partire dal XVII secolo.
Le scuole di paese si trovano spesso in locali semplici di solito luoghi di ricovero per gli animali
o nei casi migliori nelle sagrestie o nelle canoniche.
Il governo sardo per assicurarsi di avere un corpo docente con buone doti morali e culturali nel
1822 con le Royales Patentes stabilisce che gli insegnanti devono avere il gradimento delle
amministrazioni. Questo però non fu sempre possibile nei paesi di montagna dove spesso gli
insegnanti restarono le persone del luogo più istruite e dipendenti dal clero. I salari erano bassi,
la contribuzione statale era molto bassa, tra l’inizio e la fine del 1800 passò dall’ 1 al 2,5 per
cento, le scuole erano quindi finanziate da lasciti o da fondi comunali e provinciali e raramente
da contributi da parte delle famiglie, che escludevano però la contribuzione da parte degli
indigenti. La scuola quindi restava una questione locale.
A La Thuile nel 1800 c’erano 7 scuole nel comune, due in capoluogo, due alla Grande Golette,
2 al Thovex e una a Pont Serrand per le femmine. Nel 1827 si aggiunsero la scuola al Preyllon,
nel 1828 al Moulin e a Entreves, nel 1940 se ne aggiunsero una alla Golette e nel 1943 al
Bathieux. Quindi nel 1843 ogni villaggio aveva la sua scuola ed erano frequentate anche dalle
bambine. I maschi avevano un’istruzione separata alla scuola comunale del capoluogo e
seguivano programmi diversi. Nel 1898 il comune di La Thuile istituisce premi per i ragazzi più
meritevoli con premi in libri.
Dagli archivi risulta un finanziamento nel 1914-1915 a favore della scuola. (A.S.C.L.T.)
Se l’impegno a favore della scolarizzazione è innegabile, bisogna considerare però la qualità
dell’insegnamento che resta, come abbiamo visto spesso affidato a persone che non avevano una

180
preparazione adeguata e legate a necessità pratiche. Le bambine per esempio imparano le arti
femminili del ricamo e della filatura. Spesso non si può nemmeno dire che si arrivi a una reale
alfabetizzazione, solo i ragazzi più dotati andavano oltre la semplice apposizione della loro firma
e arrivavano alla padronanza della lettura. (Roggero 1999, p. 67).
Nel 1911 La Thuile risulta il comune ad aver destinato la quota più alta alla scolarizzazione.
L'interesse per l’istruzione dai primi del ‘900 divenne più forte anche da parte delle famiglie, che
si spingono a finanziare l’emigrazione dei figli più dotati per consentire l’istruzione oltre le
scuole elementari. Come abbiamo già visto, nell’epoca mineraria, si diede molta importanza
all’istruzione aprendo scuole nei villaggi destinati ai minatori, che seguirono poi la parabola
discendente della demografia mineraria. La scuola era vissuta da quei ragazzi come un dovere,
ma anche come un privilegio, tanto che i racconti sia scritti che orali hanno il sapore dell’epopea,
pur di raggiungere la scuola affrontano difficoltà e pericoli.
[...] la scuola era alle nove, prima bisognava andare in stalla[...]
[...] ci alzavamo alle 5, portavamo il pane e poi andavamo a scuola.
andavamo a scuola in slitta o con gli sci. Poi arrivavamo con le mani congelate che facevano
male.
[...] una mattina mi sono persa, la bufera era terribile, per fortuna le mie grida hanno attirato un
buon uomo che mi ha soccorsa.
L’emigrazione momentanea o definitiva per motivi di studio divenne una prassi consolidata per
dare maggiori possibilità ai giovani di assicurarsi competenze, saperi e professionalità.
La quasi totalità degli intervistati mi ha raccontato di periodi di studio presso parenti lontani, o
presso collegi. Uno degli intervistati essendo molto dotato era stato ospitato nella canonica di
sant’Orso ad Aosta e utilizzava la mensa dell’acciaieria Cogne per poter studiare ad Aosta come
elettricista. Un altro ha potuto utilizzare sovvenzioni regionali destinate ai figli di famiglie
indigenti per poter frequentare la scuola da ebanista. In entrambi i casi i due ragazzi in questione,
dopo anni di studio fuori dal paese, hanno riportato la professionalità acquisita a casa, diventando
elettricista e ebanista, svolgendo tale lavoro per tutta la vita e insegnando il mestiere ad altri
giovani del paese.
La Valle d’Aosta ha una peculiarità educativa che deve essere considerata per le sue implicazioni.
Fino al 1861 l’insegnamento era esclusivamente in lingua francese, che restò predominante fino
alla grande guerra e nonostante l’impegno profuso dal fascismo per cancellarlo sopravvisse anche
alla sua spinata nazionalista. Nello Statuto Speciale del 1948 viene sancito definitivamente il
bilinguismo educativo della Valle d’Aosta.
La lotta valdostana per mantenere l’insegnamento francese e per il mantenimento di libri sulla
storia locale affiancati all’insegnamento delle storia nazionale ha origini lontane.

181
Alla fine dell’Ottocento quando i programmi scolastici nazionali dovevano “fare gli italiani” e
l’insegnamento della storia doveva “far conoscere ed amare la patria, svegliare la coscienza e
scaldare il sentimento dell’italianità” la Valle d’Aosta non sente sua quella patria.
Fu Anselme Réan, il 6 agosto 1909, a lanciare l’idea di costituire un comitato per conservare
l'insegnamento del francese nelle scuole e per cercare di far sopravvivere l’uso di questa lingua
in Valle.
Il 17 novembre di quello stesso anno, nasce la “Ligue valdôtaine - Comité pour la protection de
la langue française dans la Vallée d’Aoste” nel corso di una riunione in una sala del Municipio
di Aosta. La Ligue si occuperà da quel momento di difendere e diffondere l'uso della lingua
francese e la pubblicazione del “Bulletin de la Ligue”.
La “Ligue” propose, quindi, di ripristinare le vecchie modalità di funzionamento delle scuole
per sopperire ai problemi anche logistici della nazionalizzazione della scuola, come quello degli
insegnanti che erano difficili da reperire per le scuole di alta montagna. Il popolo valdostano non
voleva rinunciare agli alti livelli di alfabetizzazione superiori a buona parte del resto del regno.
Solo in altre pochissime zone della penisola vi erano gradi di alfabetizzazione superiori ed il
grado più alto era riscontrabile, secondo l’inchiesta Corradini del 1912, nelle scuole della zona
ladina in Trentino. In Valle d’Aosta il disegno di legge del ministro dell’istruzione Croce del
1920, fu accolto con entusiasmo, non solo per la questione linguistica, ma anche per quanto
riguardava le scuole, perché disponeva che nelle scuole facoltative vi fosse la possibilità di
reclutare personale autoctono anche se non patentato.
Nella primavera del 1921 sul “Bulletin de la Ligue” del 23 giugno del 1921, sono riportate le
impressioni dell'Ispettore scolastico Gioanetti che denunciò la insalubre condizione della
maggior parte degli stabili nei quali erano collocate le scuole di villaggio, a sostegno della
necessità della loro soppressione.
Ancora negli anni seguenti nonostante la presenza delle scuole in ogni villaggio, la qualità delle
aule e dell'istruzione non risulta eccelsa. I testimoni figli di minatori che ho intervistato infatti
nei loro discorsi fanno scomparire il paradosso alpino che si limita nel caso di La Thuile ad una
minima alfabetizzazione. I veneti che giunsero a La Thuile arrivavano da realtà che prima della
guerra erano già a un buon livello di industrializzazione e al loro arrivo a La Thuile hanno patito
le condizioni igienico sanitarie delle case fino a che non ci furono le case operaie e delle scuole
che ancora come abbiamo visto potevano essere alloggiate in stalle dove erano ospitati anche gli
animali.
[...] loro vivevano ancora con le bestie, mi ricordo cadeva la roba per terra e mangiavano lo stesso.
[...] dicevano che noi giapponesi pensavamo di sapere tutto. [...]

182
Réan presidente della Ligue, contestò l’idea dell’Ispettore di riunire alcune scuole situate in
villaggi vicini, dato che in montagna, in base alle stagioni, un percorso di un quarto d’ora a piedi
poteva diventare di un’ora nel periodo invernale. Il presidente della Ligue difese strenuamente le
scuole di villaggio adducendo anche un maggior rischio di emigrazione giovanile qualora fossero
state chiuse e pur ammettendo che le scuole erano spesso in condizioni igieniche disastrose
obiettò che era più importante istruirsi, anche rispetto all’igiene. Nel 1923 la riforma Gentile apre
le porte alle scuole sussidiate che diventano un'opportunità per salvare le scuole di villaggio. Le
disposizioni ministeriali stabilirono una divisione per categorie delle diverse scuole, per
permettere un’organizzazione più accurata dell’educazione in tutte le realtà rurali. Le scuole
sarebbero state innanzitutto divise in classificate e non, le prime, funzionanti nei capoluoghi,
sarebbero state istituite e mantenute dall’Amministrazione scolastica. Le scuole non classificate
sarebbero state a loro volta divise in provvisorie e sussidiate. Le provvisorie sarebbero state
istituti d’educazione per le frazioni e le borgate dove fossero presenti meno di 40 allievi. Le
sussidiate sarebbero state istituite da privati ed approvate dalla provincia 7, avrebbero dovuto
avere un minimo di 5 allievi ed avrebbero ricevuto un sussidio dallo stato. La “Ligue” si attivò
istituendo una Commissione per appoggiare le nuove scuole sussidiate. Per tutta la durata del
fascismo la Ligue difese l’identità valdostana dai tentativi di italianizzazione del fascismo. Dalle
sue fila uscì la personalità fondamentale della lotta per l’indipendenza della Valle d’Aosta Emile
Chanoux.
Il 1948 sancisce come già visto il bilinguismo della Valle d’Aosta che si realizza nell’esatto
numero di ore di insegnamento in italiano e in francese.
Oggi il bilinguismo a scuola meriterebbe un ampio lavoro di ricerca e comprensione perché tra i
giovani diventa imperante la necessità di avere un’istruzione adeguata al mercato del lavoro e al
mondo attuale, il francese a detta di molti di loro li priva di ore di lezione che potrebbero essere
utilizzate per le materie scientifiche, l’informatica o l’inglese.
“Cosa me ne faccio del francese se voglio fare l'architetto a Dubai??"
Questo il moto di rabbia di mio figlio tredicenne quando, al momento di scegliere quale liceo
frequentare, ha scoperto che le ore di francese restano invariate per tutti i licei.
Le ultime generazioni hanno essenzialmente subito il francese, oberati da adattamenti, non
trovano nella vita pratica un motivo per continuare questa farsa del francese. La colpa è da
imputare, secondo me, a un eccessivo impegno linguistico in senso grammaticale e a un analogo
impegno storico che si ferma però all’analisi dello Statuto Speciale e di leggi sancite nel 1500,
senza insegnare ai ragazzi la natura profonda dell’autonomia regionale e del bilinguismo, che
quindi per loro non hanno più alcun valore. In un mondo dove hanno compagni che parlano

183
inglese, portoghese, rumeno e cinese questo impegno per il francese risulta anacronistico e
svuotato del suo valore.
Senza contare che troppo spesso invece il francese diviene motivo di separazione etnocentrica.
Non vado oltre su questo argomento che richiederebbe un intero lavoro di ricerca dedicato, e che
spero venga prima o poi affrontato in modo aperto e professionale, per tornare al paese di La
Thuile e alle sue scuole.
Moltissime delle informazioni raccolte e salvate sul paese sono un prezioso lascito delle maestre
del paese. La maestra Rita Decime ha portato avanti negli anni un lavoro di raccolta e analisi
delle leggende del paese, facendo da informatore per molti ricercatori e proponendo suoi scritti
sul La Thuile e su alcuni paesi della Tarentaise, la maestra Lucia Collomb ha raccolto le
testimonianze degli antichi mestieri, della lingua raccogliendo e preservando la cultura locale, la
maestra Adelina Roullet ha anch’essa raccolto e salvato preziose memorie della cultura locale
che ci tramanda con piacere attraverso i suoi scritti. Tutte loro si sono impegnate per
salvaguardare il patrimonio culturale e linguistico. Le interviste effettuate ai minatori dal BREL
e quelle sui mestieri, le informazioni sulle feste e sul ciclo dell’anno e della vita, sono tutte
scampate alla cancellazione della memoria collettiva del paese grazie alla dedizione di queste
maestre, che hanno fatto del loro lavoro una missione amorevole e non un mestiere da svolgere
nelle ore di lavoro prestabilite con tabelle prestabilite.
Se allora il turismo e il progresso hanno cancellato la storia di La Thuile, il lavoro delle maestre
ha salvato la memoria. A loro quindi va un sentito grazie e l’impegno nel continuare su questo
percorso.
Recentemente la scuola di La Thuile ha portato avanti progetti volti a “fare” comunità e alla
conoscenza del territorio, come la coltivazione di un campo di patate. Se in Valle d’Aosta è
nuovamente vivo il dibattito sulle scuole di paese e sulla loro utilità, la Thuile rappresenta di
ancora un esempio del valore delle scuole di villaggio, che non possono essere analizzate solo
da un punto di vista di valore finanziario/economico, ma possono essere valutate solamente in
base al loro valore culturale e sociale nel mantenimento di una comunità.

184
Conclusioni

Nell'analisi della comunità di La Thuile, ritengo di poter osservare che, come spesso accade, dare
una definizione di comunità aperta o chiusa o di comunità mineraria o di confine sarebbe una
semplificazione. Come osservato da Viazzo, attraverso l'utilizzo dei dati demografici di nuzialità,
illegittimità, mortalità, natalità, che aiutano a quantificare i dati qualitativi riguardo una
comunità, la popolazione di una comunità può avere confini definiti a separarla dal suo esterno,
ma ha al suo interno varie sottopopolazioni che possono avere caratteristiche di comunità. Allo
stesso tempo gli stessi studi sulle comunità alpine svolti da Viazzo descrivono tali comunità come
più permeabili rispetto a quanto ci si aspettasse. I dati quantitativi (demografici) possono aiutare
a delineare le permeabilità dei confini di una comunità e le interazioni interne ad essa
oggettivando la percezione narrata dai dati qualitativi. (Viazzo, 1989-1990)
Il clima e le differenti influenze esterne che hanno attraversato la storia del paese hanno creato
una situazione più complessa ed eterogenea. La Thuile presenta una parte di comunità antica
legata alla comunità agro pastorale, nonostante oggi partecipi alla vita economica del paese
anche in altre forme, che mantiene vive le tradizioni religiose e sociali come le feste tradizionali.
Questa comunità accetta al suo interno persone esterne, per matrimonio di solito, che si integrano,
a patto di diventare essi stessi portatori dei valori della comunità. Alla Badoche oggi non
partecipano solo le persone originarie del posto, ma dal momento in cui una ragazza di Milano
fidanzata con un ragazzo di La Thuile partecipa con lui alla Badoche accetta i valori di quella
comunità che fa propri, adattando i suoi comportamenti, il suo abbigliamento, le sue interazioni
con il resto del paese. L’esterno è anche portatore di novità, ma la chiusura di questa parte della
comunità ha permesso di conservare, come una scatola del tempo, come precedentemente detto
le tradizioni, il patois, i riti di passaggio. I matrimoni al di fuori di questo gruppo sociale restano
rari e avvengono più facilmente con persone estranee al paese che scelgono di entrare a far parte
della comunità, che non della comunità stessa di più recente origine. Questa parte della comunità
viene percepita come chiusa, "accogliente parzialmente a noi immigrati [...] razzista, carica di
pregiudizi buoni e cattivi”. L'altra parte della popolazione, quella che discende dai minatori
arrivati in massa dai primi del 1900, resta in qualche modo legata alle proprie origini esterne e
pur facendo totalmente e attivamente parte del paese, non si sente ancora completamente
accettata, la tensione tra le due parti si è trasformata negli anni in lotta politica provocando una
spaccatura che, nel tempo anziché lenire i conflitti, li ha esacerbati e caricati di nuovi significati,
esempio ne siano le liste elettorali del paese che da quarant’anni sembrano le formazioni di calcio
di due squadre di nazioni diverse tanto sono distinguibili le appartenenze dai cognomi. La
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seconda generazione dei figli di minatori sente ancora il pregiudizio e il conflitto, nonostante sia
nata e cresciuta lì e rivesta un ruolo economico di primo piano. Gli outsider, a cui va riconosciuta
la capacità d’impresa e di innovazione, che hanno in parte ereditato dalle loro comunità di origine
e in parte messo in opera nel periodo di crisi post minerario, quando poco più che ragazzini hanno
creato attività che hanno portato al paese servizi moderni, e lavoro non solo per loro e le loro
famiglie, ma anche per i nativi, lamentano l’immobilismo della comunità tradizionale, dovuto
alla loro possibilità di vivere ancora di rendite fondiarie o dei proventi della loro vendita e
dell’assistenzialismo regionale, senza essere più proattivi e decisionisti in materia di sviluppo
economico, danneggiando così il paese. Probabilmente se non avessi vissuto più di vent’anni di
vita del paese sarei stata portata a pensare, dalle testimonianze che la comunità degli outsider
portasse con sé una reminiscenza di disagio provato al loro arrivo, considerato che i nativi invece
parlano di un buon rapporto tra le due comunità. La frase sul razzismo però mi è stata riferita da
un’immigrata di recente arrivo, peraltro collocata in una fascia sociale molto alta, e soprattutto
nel tempo ho avuto modo di constatare quale delle due parti ha portato avanti più azioni
imprenditoriali o ammodernatrici. Alla luce di questo probabilmente la motivazione sta
semplicemente in una diversa percezione legata al posizionamento favorevole o sfavorevole degli
individui. Tra i due gruppi vi sono degli individui che riescono a muoversi sui due fronti, facendo
da collante o da detonatore dei conflitti, grazie al loro impegno economico, politico o sociale nei
confronti della comunità o a loro caratteristiche caratteriali che li rendono guide morali super
partes o non completamente integrabili da nessuna delle due comunità. Tra di loro si registrano
addirittura due outsider che hanno ricevuto il dono del secret, pratica curativa tradizionale di cui
abbiamo accennato e rappresentativa da un lato dell’estremo legame con pratiche antichissime,
dall’altro un punto di unione della comunità, perché tutti chiedono il secret in caso di bisogno.
Le due comunità hanno però condiviso un lungo periodo storico in cui le differenze sono state
appianate dall’essere tutti dipendenti dalla miniera. Mi ero posta l’obiettivo di analizzare i tratti
della comunità in questione paragonandoli all’idealtipo della comunità mineraria tracciato da
Bulmer nel 1975 :
1. La Thuile è una comunità isolata.
2. L’economia del paese si basa quasi esclusivamente sul lavoro in miniera e l’allevamento
e l’agricoltura non coprono nemmeno le necessità di sussistenza e vengono
progressivamente abbandonate, il turismo appena accennato in questo periodo scompare
nella crisi economica e nelle guerre.
3. Il lavoro è pesantemente condizionato dalle condizioni climatiche difficili, dalla fatica
dettata dalla natura stessa del luogo, dalla pericolosità delle miniere, e dalla malattia che
provocano.

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4. Vi è omogeneità occupazionale.
5. Le attività ricreative sono connesse a quelle lavorative, la Cogne come abbiamo visto
organizzava tornei sciistici, feste, pranzi per tutta la popolazione a Santa Barbara, e nel
quotidiano c’erano la sala da ballo, il cinema, i corsi di sci per i ragazzi, il dopolavoro.
6. La comunità che si forma ha il suo gruppo di riferimento tra gli appartenenti ad essa e
questo si esplicita anche con un linguaggio molto tecnico e settoriale.
7. La configurazioni familiari mutano rispetto alla comunità precedente, le famiglie sono
più numerose, aumenta la natalità e la nuzialità in relazione alla giovane età dei nuovi
arrivati che spezza il tradizionale equilibrio del paese alpino, con la sua autoregolazione
delle nascite fatta di nubilato e celibato perenni, matrimoni tardivi e un numero esiguo di
figli. La presenza di minatori giovani e celibi porta anche alla presenza del fenomeno
dell’illegittimità prima non presente sui registri.
8. Il conflitto economico e politico è falsato dal particolare periodo storico, nonostante nelle
testimonianze ascoltate della visita del duce alle miniere, due minatori allora presenti,
ridono di come lo prendevano in giro. “Duce accendi la luce,.. ma la corrente elettrica
non c’era[...]”. La lotta appare più tardi, nel dopoguerra, con le lotte sindacali che vedono
una frattura all’interno della comunità mineraria e un ritorno dei nativi al loro lavoro
agricolo escludendosi di fatto dalla lotta di classe.
Si può dire quindi che la comunità di La Thuile nell’epoca mineraria aderisce ai tratti tracciati da
Bulmer per una Occupational community in cui le interazioni degli individui si basano sulla
condivisione di significati relativi al lavoro svolto. (Bulmer, 1975)
Ci sono anche tratti aderenti al modello storico di Molenda che nel 1976 definisce una città
mineraria, una città che abbia nell’industria mineraria la propria base di sviluppo da cui la
maggior parte degli abitanti trae la propria fonte di sostentamento direttamente o indirettamente
dalla miniera. Se oggi chiamare città mineraria La Thuile fa sorridere, visto il numero di abitanti
che si attesta sotto gli 800, bisogna ricordare che all’epoca c’erano invece in paese duemila
persone.
Azzardo a dire che il modello delle mining Towns si presta ad essere applicato anche all’industria
del turismo. Se la base del modello è il ruotare dell’economia diretta e indiretta intorno ad una
determinata industria, togliendo il fattore minerario e sostituendolo allo sfruttamento del
territorio per l’industria del turismo di massa in cui le attività ruotano tutte intorno ad essa,
trasporti, gestione amministrativa, edilizia, vendita, il turismo si è sviluppato come boom
repentino con un aumento della popolazione, e ora vive una stagnazione. L’industria turistica ha
portato con sé anche nuovi modelli di tassazione e assistenza sociale, come la disoccupazione

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specifica per i lavoratori stagionali, ripetuta di recente con aiuti specifici per il lungo anno di
inattività dovuto al Covid.
Le analisi dei dati demografici e l’isolamento, confermano con l’innalzamento della natalità e
della mortalità infantile il modello antropologico di Godoy del 1985. (Zanini 2012)
Il turismo ha portato la comunità a diventare, secondo la teoria dello sviluppo sociale di Tönnies,
che vede non due fasi storiche nella società e nella comunità, ma due tipi di una realtà sociale
che possono anche trovarsi a convivere. Se le relazioni tra il gruppo nativo e quello minerario
sono di comunità, seppur contrapposte, che coinvolgono l’individuo nella sua totalità, con
relazioni multiple in cui l’individuo si presenta nei suoi ruoli e con relazioni intime e
coinvolgenti, nella fase turistica che si pone in essere bruscamente dagli anni ‘70 si può parlare
di società, con l’emergere di relazioni ego-centrate, discontinue anziché multiple, spesso
anonime e che hanno una sempre maggior specializzazione sia dal punto di vista professionale
che negli aspetti della vita sociale. L’individuo interagisce con altre persone per le necessità
scandite dal lavoro o dal bisogno, ma senza arrivare all’integrazione della comunità. Questa
società è inoltre attraversata da quella che continuando con le analogie tra comunità minerarie e
società turistica si potrebbe chiamare “community without locus” (Douglas in Zanini 2004), una
comunità senza connotazioni spaziali che si cristallizza solo in accampamenti transitori, ma che
condivide costumi e tradizioni ed è attraversata da relazioni fra i suoi componenti, gli stagionali.
Sarebbe interessante capire se questa società nata e sviluppata negli anni dell’edonismo
capitalista possa costituirsi in comunità.
Se la miniera, che prima era sotto la montagna ora si trova sopra la montagna e, se lo sviluppo di
questa industria ha portato e porta in sé, oltreché cambiamenti economici e fisici, cambiamenti
sociali e demografici, la comunità nucleo del paese resta una comunità chiusa ancella della
tradizione, la comunità mineraria si fa ancora portatrice di innovazione, ma entrambe
interagiscono e fanno parte della società che le circonda. Mi sento di ipotizzare che La Thuile a
causa delle continue ingerenze esterne sia una società che porta in sé sia i tratti della comunità
chiusa di montagna sia quelli di una comunità mineraria, e che il suo essere comunità unica sia
ancora in divenire.
Se ad unire le due comunità, ancestrale e mineraria fu il lutto collettivo della silicosi che uccideva
indistintamente “Tchouilliens” e “Magnagatti”, che spinse a cercare una via diversa per il futuro
dei figli di tutti, trovando una soluzione nella natura circostante, forse oggi la società potrebbe
nuovamente farsi comunità, prendendo pieno possesso della propria complessa identità,
valorizzando il proprio passato, e proteggendo la miniera d’oro verde e bianco che possiede.
Questa nuova fase di sviluppo legata al turismo estivo della MTB, può rompere lo schema
drammatico dell'instabilità dovuta alla stagionalità e alle incertezze climatiche, e nato tra le fila

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dei giovani e degli imprenditori del paese, che con grande fatica cercano da anni di fare rete, può
rompere anche lo schema dell’invasore economico esterno, proteggendo le proprie risorse e
mettendo a valore il proprio imponente passato. La quarta fase dello sviluppo potrà essere
finalmente autodeterminata e comunitaria e lungimirante?

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