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Gli impianti fotovoltaici e la sicurezza antincendio degli edifici:

un rischio da valutare
Dott. Guido G. Zaccarelli, S.T.Z. - Studio Tecnico Zaccarelli S.r.l. - www.studiozaccarelli.it

Negli ultimi anni abbiamo assistito in Italia (ma non solo) ad una crescita esponenziale degli impianti
fotovoltaici, sia come numero di impianti sia come potenza installata. Ciò è dovuto principalmente agli
incentivi ma anche ad altri fattori, come un’accresciuta sensibilità alle istanze ambientali, il crollo del prezzo
unitario dei moduli ed il calo del prezzo dell’energia prodotta: dal 2000 al 2013 il costo di un watt prodotto
si è più che dimezzato. Tanto per avere un’idea dell’esplosiva evoluzione, nel 2007 c’erano in Italia meno di
8000 impianti, con una potenza installata di 87 MW; nel 2013 gli impianti risultano quasi 600.000 (!) e la
potenza installata è salita a oltre 18 GW. Questi dati, peraltro, ci consentono già di vedere che rispetto ad
anni fa gli impianti hanno una potenza media più bassa, segno di una diffusione più capillare.

Parallelamente, abbiamo assistito ad un aumento esponenziale degli incendi che hanno visto coinvolti gli
impianti fotovoltaici.

Anno Numero di incendi

2003 1
2004 1
2005 2
2006 2
2007 17
2008 17
2009 30
2010 85
2011 298
2012 786

La tabella riporta gli incendi nei quali sono stati coinvolti impianti fotovoltaici, senza che essi siano
necessariamente da considerare la fonte d’innesco. Data l’età degli impianti fotovoltaici, è comunque da
escludere che si tratti di incendi dovuti all’obsolescenza impiantistica: in ogni caso, sia che l’incendio abbia
avuto inizio dall’impianto FTV, sia che abbia avuto origine esterna e poi abbia coinvolto l’impianto solo
successivamente, si tratta sempre di incendi che hanno coinvolto impianti fotovoltaici pressoché nuovi.

È interessante notare che il numero degli incendi sale seguendo abbastanza fedelmente l’aumento del
numero degli impianti almeno fino al 2012, mentre negli anni successivi pare di vedere una inversione di
tendenza nel numero degli incendi, sebbene i dati precisi siano di difficile reperimento. Questa semplice
tabella ci aiuta a concludere che effettivamente un rischio di incendio legato ai pannelli fotovoltaici esiste
davvero: è innegabile.

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Ciò detto, quali sono allora nel dettaglio i rischi di incendio legati ad un impianto fotovoltaico? Per scoprirlo
dobbiamo ricorrere ad un breve ripasso sullo schema di un impianto fotovoltaico “normale”, che implica,
s’intende, inevitabili semplificazioni e generalizzazioni.

Per prima cosa una delle componenti essenziali di un impianto fotovoltaico è il campo fotovoltaico. Tante
celle fotovoltaiche collegate elettricamente fra loro (36, 64 o 72) compongono un modulo; tanti moduli (di
solito 6) compongono un pannello; tanti pannelli compongono una stringa: si tratta delle file di pannelli che
spesso di possono vedere sui tetti o nei campi. La stringa fornisce una corrente pari alla corrente fornita dal
singolo modulo e una tensione che è pari alla somma delle tensioni presenti ai capi del complesso dei
moduli. Tante stringhe collegate fra loro compongono il campo fotovoltaico, che a volte occupa estensioni
considerevoli, con installazioni che possono essere posizionate sul tetto degli edifici oppure a terra. Queste
ultime però sono meno apprezzate, in quanto sottraggono spazi meglio utilizzabili per altri scopi, come
l’agricoltura. Le installazioni a terra possono essere fisse o mobili, cioè dotate di appositi sistemi per
inseguire la luce solare in modo che colpisca i pannelli il più possibile perpendicolarmente. Le installazioni
sui tetti invece sono quasi sempre fisse, naturalmente anch’esse con una disposizione azimutale ed una
inclinazione (angolo di tilt) volte a ricercare la massima esposizione verso la luce solare. I moduli, attraverso
un sistema di cablaggio spesso importante e dove troviamo tensioni e correnti elevate, si connettono a vari
quadri elettrici, ad un regolatore di tensione, ad uno o più inverter. Questi ultimi servono per convertire la
corrente continua generata dai pannelli in corrente alternata, più facilmente trasportabile ed utilizzabile.
Batterie di accumulo possono essere presenti oppure no, dipende dal tipo di utilizzo che si intende fare
dell’energia prodotta.

L’energia elettrica così prodotta può essere usata sul posto oppure essere immessa nella rete di
distribuzione, per andare ad alimentare altre utenze magari anche molto distanti.

Essendo impianti elettrici, naturalmente gli impianti fotovoltaici presentano i rischi di incendio legati agli
impianti elettrici, ovvero essenzialmente il rischio di arco elettrico e di cortocircuito. In particolare il rischio
di arco elettrico è da considerare attentamente, viste le correnti e le tensioni in gioco e considerato anche
che stiamo parlando di corrente continua. Ed infatti i pochi dati a disposizione ci consentono di dire che in
almeno alcuni casi sono stati i cablaggi a costituire la causa di innesco, soprattutto a causa di connessioni
lente e/o di degradamento dell’isolamento dovuto a sfregamento meccanico o taglio accidentale. I cavi
devono resistere ai raggi ultravioletti ed alle alte temperature (sono posizionati all’aperto, al sole!), devono
essere di sezione adeguata, di sufficiente qualità e devono essere correttamente collegati.

Un esperimento recentemente condotto dai Vigili del Fuoco italiani ha dimostrato che un arco elettrico in
tensione continua, a voltaggio normalmente in uso negli impianti fotovoltaici, può restare acceso per
moltissimo tempo, nell’ordine addirittura dei minuti, è tranquillamente in grado di forare una lamiera
zincata come quella spesso utilizzata per l’appoggio dei pannelli ad un tetto e può tranquillamente
costituire innesco per i materiali sottostanti, che magari sono facilmente combustibili, come per esempio le
schiume di polistirene o di poliuretano che riempiono la parte interna dei pannelli sandwich.

Ma oltre a questi rischi, comuni a tutti gli impianti elettrici, un impianto fotovoltaico presenta rischi di
incendio specifici.

Intanto un primo rischio è legato all’espansione stessa degli impianti, avvenuta troppo velocemente in
troppo poco tempo. Lo stesso calo del numero di incendi negli ultimissimi anni sembra suggerire che negli
anni passati nella decisione se installare o meno un impianto fotovoltaico si siano privilegiate motivazioni di
tipo esclusivamente economico, che hanno portato a trascurare in gran parte, se non addirittura

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completamente, tutte le considerazioni legate alla qualità dei materiali impiegati e alla professionalità di
progettisti e installatori. La crescita tumultuosa poi non ha favorito la standardizzazione degli impianti, dei
prodotti e dei componenti. Forse (e per fortuna) ultimamente le cose stanno un po’ migliorando: bisogna
però ricordare che la maggior parte dei pannelli commercializzati in Italia presenza un fire rating di Classe C,
ovvero la minore fra le tre classi (A, B, C) disponibili e con le quali i pannelli vengono genericamente
commercializzati. È vero che questa classificazione, basata sulla prova UL790, non è riconosciuta a livello
nazionale, ma l’autorevolezza in materia e l’indipendenza degli Underwrites Laboratories è indiscutibile e
quindi è indubbio che questo aspetto impatta sulla sicurezza antincendio delle installazioni effettuate in
Italia, almeno fino al 2012. Infatti un test analogo al test UL790, secondo la norma italiana CEI 61730-2, è
ora richiesto dalla Circolare M.I. prot. 6334 del 04/05/2012.

Un ulteriore rischio di incendio è legato all’inverter che, come tutti gli apparecchi di questo tipo, può
surriscaldarsi: e, se il suo sistema di raffreddamento non è stato correttamente dimensionato, può
costituire fonte di innesco. Visto che l’inverter è normalmente ospitato in un apposito locale, l’innesco può
facilmente propagarsi alle altre apparecchiature contenute nel locale stesso.

C’è poi il rischio dovuto al cosiddetto “hot spot”, ovvero del riscaldamento localizzato. Nei moduli, è
impossibile che tutte le celle fotovoltaiche siano perfettamente identiche, a causa di inevitabili lievi
differenze in fase di fabbricazione. Inoltre è possibile che una parte del campo sia in ombra, o anche
semplicemente più sporca (foglie, polvere…), e pertanto due stringhe di moduli collegate in parallelo non
avranno mai perfettamente la stessa tensione. Quindi si potrebbe verificare una corrente interna inversa
che potrebbe provocare danni o surriscaldamenti localizzati: l’hot spot. Anche con valori modesti di
irraggiamento solare, l’aumento di temperatura può provocare la distruzione totale della cella per
sovratemperatura, e può innescare il materiale combustibile di cui è composto il pannello. Per evitare
questo, si inseriscono nei circuiti elettrici appositi diodi: ovviamente, la mancanza dei diodi, il
posizionamento di diodi in numero o di caratteristiche insufficienti, il loro posizionamento scorretto, la
scelta di materiale non idoneo, ecc. sono tutti fattori che possono provocare l’hot spot, con conseguente
rischio di innesco.

Un altro fattore evidente da considerare è che in estate l’impianto fotovoltaico è fortemente riscaldato dal
sole, con temperature che possono raggiungere facilmente i 65°C e, in Sud Italia o in paesi simili (Spagna,
Grecia, ecc.), anche i 75°C. L’alta temperatura può rendere ovviamente più facile un eventuale innesco dei
materiali.

Una volta innescato l’incendio, il rischio principale è la propagazione dell’incendio dall’impianto posizionato
sul tetto agli ambienti interni dell’edificio sottostante; ovviamente questo rischio non esiste per gli impianti
posizionati a terra. Dai dati disponibili sembra invece molto meno significativo il rischio di propagazione
dell’incendio in senso inverso, cioè dall’edificio all’impianto FTV.

C’è da aggiungere che per fortuna molto spesso gli incendi di impianti fotovoltaici non provocano vittime
umane; in alcuni casi si sono avute vittime animali, in quanto i pannelli erano installati sopra il tetto di una
stalla. In compenso però si tratta spesso di incendi che provocano gravi materiali molto consistenti, a volte
addirittura la perdita totale dell’edificio e del suo contenuto.

Si tenga poi conto che l’intervento dei Vigili del Fuoco su un incendio di pannelli fotovoltaici presenta
difficoltà insolite, che vanno ad aggiungersi alle difficoltà “normali” di un intervento di spegnimento.

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Intanto, in caso di installazione sul tetto, c’è l’ovvio rischio per l’operatore di caduta dall’alto; il rischio di un
collasso della struttura di sostegno dei pannelli, a causa delle alte temperature che si sviluppano durante
un incendio, con conseguente rischio di distacco di materiale e di sua caduta dall’alto sugli operatori
sottostanti. Inoltre i pannelli sono realizzati con sostanze e composti chimici che sono considerati non
pericolosi in condizioni di normalità, ma che possono diventare pericolosi in caso di incendio, poiché si
possono sviluppare per esempio boro, tellurio di cadmio, arseniuro di gallio e fosforo.

Poi c’è un problema squisitamente legato alla natura stessa dell’impianto fotovoltaico.

Bisogna ricordare che, nella grande maggioranza degli incendi, l’agente estinguente utilizzato dai Vigili del
Fuoco è l’acqua: e ciò per molti motivi facilmente comprensibili, il costo quasi nullo, in via generale la facile
reperibilità, la facile trasportabilità, la grande efficacia di spegnimento grazie soprattutto all’alto calore
latente di evaporazione, l’assenza di composti tossici derivanti dall’uso sull’incendio (al massimo si sviluppa
vapore acqueo). Insomma, spegnere con l’acqua presenta grandi vantaggi. Presenta però anche uno
svantaggio, e importante: l’acqua è un conduttore di energia elettrica. Ed infatti un vigile del fuoco, se
intende utilizzare l’acqua per spegnere un incendio, per prima cosa deve assicurarsi che non ci sia tensione
elettrica in giro, altrimenti usando l’acqua rischia l’elettrocuzione: ecco perché i Vigili del fuoco in
intervento quasi sempre per prima cosa vogliono sganciare l’energia elettrica.

Purtroppo però un pannello fotovoltaico, fintanto che è colpito da luce solare, continua a produrre energia
elettrica: anzi, un po’ (molto poca) la produce anche grazie all’illuminazione lunare o all’illuminazione
artificiale notturna circostante, quando presenti. Pertanto, se un vigile del fuoco volesse mettere fuori
tensione un pannello fotovoltaico dovrebbe spegnere il sole, ma questa operazione, oltre a produrre nel
caso spiacevoli effetti collaterali, allo stato attuale della tecnica non risulta realizzabile.

È vero che si può utilizzare lo sgancio elettrico generale, che deve essere sempre presente, ma questo
agisce sull’impianto a valle dell’inverter e quindi è di scarsa utilità perché a monte l’impianto continua a
restare in tensione. Naturalmente si può, nel caso, sezionare l’impianto mediante interruttori localizzati.

Insomma, l’intervento dei Vigili del Fuoco su un incendio di un impianto fotovoltaico non è proprio
semplicissimo e richiede una certa preparazione tecnica da parte delle squadre di soccorso: tanto che il
Ministero dell’Interno, con una nota del 18 febbraio 2011, ha ritenuto opportuno emanare una apposita
procedura interna volta a garantire la sicurezza delle squadre di intervento. Fra le altre cose, la procedura
contiene anche il suggerimento di valutare se attendere la notte prima di procedere con lo spegnimento.
Alcuni Comandi VVF hanno anche sperimentato azioni di oscuramento artificiale dei pannelli.

Visto allora che un impianto fotovoltaico presenta innegabili rischi di incendio e che oltretutto lo
spegnimento, nel caso, è anche difficile, andiamo a vedere cosa possono e devono fare un progettista di un
impianto fotovoltaico, un gestore dell’impianto, un gestore dell’edificio sottostante (o facility manager
come si usa dire in italiano moderno).

Per prima cosa occorre naturalmente garantire il rispetto della normativa vigente. Oltre all’ovvio rispetto
delle norme tecniche applicabili (CEI), va ricordato che qualche indicazione normativa sugli impianti
fotovoltaici arriva anche dai Vigili del fuoco, per essere più corretti dal Ministero dell’Interno.

In realtà in Italia non esiste una vera e propria normativa di prevenzione incendi relativa agli impianti
fotovoltaici. Tuttavia il Ministero dell’Interno con nota del 07 febbraio 2012 ha emanato una “linea guida”
per l’installazione degli impianti fotovoltaici, in sostituzione di una precedente guida del 2010. La guida
attuale, che deve necessariamente essere presa in considerazione nelle fasi di progettazione ed

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installazione, vale per tutti gli impianti con tensione in corrente continua non superiore a 1500 V. Le note
tecniche contenute non devono essere considerate come indicazioni prescrittive rigide, ma devono essere
utilizzate come indicazioni alle quali il progettista può derogare quando sia dimostrato il raggiungimento
degli obiettivi di sicurezza antincendio richiamati dalla linea guida stessa. Questo punto è chiarito anche
dalla nota prot. 12678 del 28/10/2014 emanata dalla Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza
Tecnica del Dipartimento dei Vigili del Fuoco.

La linea guida del 2012 è interessante perché chiarisce con precisione che un impianto fotovoltaico non è di
per sé soggetto al controllo dei VVF ai sensi del DPR 151/2011: quindi, tanto per fare un esempio, per
quanto riguarda la prevenzione incendi un impianto posizionato in un campo non necessita di alcun tipo di
iter burocratico.

Tuttavia un impianto fotovoltaico, se viene installato sul tetto di un edificio, può costituire aggravio del
rischio incendio per il fabbricato sul quale viene installato; di conseguenza questo aspetto deve
necessariamente essere preso in considerazione nel Documento di valutazione dei rischi di cui al D.Lgs.
81/2008. Nel caso, il documento deve essere aggiornato o rifatto.

Se poi l’impianto fotovoltaico viene installato sul tetto di una attività che sia soggetta al controllo dei VVF (e
a questo scopo occorre fare riferimento all’Allegato I del DPR 151/2011), occorre presentare, al Comando
Provinciale VVF territorialmente competente, quantomeno una SCIA (Art. 4 DPR 151/2011) corredata dalla
necessaria documentazione tecnica; ma occorre anche valutare se non sia il caso di presentare un progetto
(Art. 3 DPR 151/2011).

Questo iter, dall’apparenza semplice, è in realtà complicato dal fatto che, in via generale, il titolare
dell’attività soggetta al controllo dei VVF, ovverossia il titolare dell’attività contenuta all’interno
dell’edificio, spesso non è affatto il gestore dell’impianto fotovoltaico posizionato sul tetto: anzi, quasi
sempre sul tetto costui non ha neppure la possibilità di recarvisi, in quanto il proprietario dell’edificio ha
affittato a lui la parte interna dell’edificio, ed ha affittato ad altri il tetto proprio allo scopo di installarvi un
impianto fotovoltaico. Quindi chi è che deve procedere alla valutazione dei rischi di incendio?

Come è intuibile è indispensabile un accordo fra le parti, che coinvolga proprietario dell’immobile, gestore
dell’attività soggetta ai VVF e, per quanto riguarda l’impianto FTV, progettista, gestore, manutentore ed
eventualmente anche l’utilizzatore dell’energia prodotta. Il coinvolgimento di tutte queste figure è
necessario allo scopo di procedere com’è obbligatorio alla valutazione del rischio, ma anche di allocare con
precisione tutte le responsabilità derivanti dalla presenza sul tetto di un impianto fotovoltaico, che sono
responsabilità civili ma anche, in caso di incendio, talvolta anche responsabilità penali. Una operazione
simile, naturalmente, va fatta anche quando l’attività sottostante non sia soggetta al controllo dei VVF,
poichè in questa condizione vi è soltanto una semplificazione burocratica, ma il problema sostanziale
rimane lo stesso.

Si tenga poi conto del fatto che i tetti adatti all’installazione di impianto fotovoltaici spesso non sono mai
completamente vuoti: sono presenti vari impianti ed in particolare è possibile che siano presenti i
cosiddetti EFC, cioè gli evacuatori di fumo e calore che servono proprio all’attività sottostante in caso di
incendio. È allora indispensabile un coordinamento fra le varie figure presenti, perché l’installazione dei
pannelli non deve andare a compromettere la funzionalità degli EFC.

Un altro aspetto da considerare infine è il materiale che costituisce la copertura. Infatti la linea guida
richiede per il materiale sopra al quale viene posizionato il pannello FTV determinate prestazioni di

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reazione al fuoco e/o di resistenza al fuoco, a seconda dei casi, proprio allo scopo di scongiurare la
propagazione dell’incendio al tetto in caso di malaugurato innesco dovuto all’impianto fotovoltaico. Si sono
già visti molti incendi di pannelli fotovoltaici propagarsi al manto bituminoso combustibile posto sulla
copertura dell’edificio, con conseguente propagazione dell’incendio a tutto il tetto e poi all’interno
dell’edificio, attraverso lucernari di vario tipo, cupolini o gli EFC stessi.

Altri aspetti richiesti dalla linea guida sono legati alla necessità dello sgancio elettrico, all’accessibilità
dell’impianto, alla necessità di non intralciare le vie di esodo, alla documentazione da produrre, alle
verifiche periodiche, alla segnaletica di sicurezza. Per gli impianti già esistenti alla data di emanazione della
guida (febbraio 2012) sono richiesti soltanto lo sgancio elettrico, le verifiche periodiche e la segnaletica.

In conclusione, l’installazione di un impianto fotovoltaico sul tetto di un edificio, soprattutto se contenente


un’attività soggetta al controllo dei VVF, comporta la necessità di un’attenta valutazione del rischio
incendio, rischio che è connesso alla natura stessa dell’impianto e quindi va tenuto nella giusta
considerazione. L’evidenza, purtroppo basata su dati incompleti, pare suggerire che i principali problemi
siano legati soprattutto a componenti e materiali di bassa qualità, componenti danneggiati durante il
trasporto o durante l’installazione, erronee installazioni dei pannelli, errati accoppiamenti di pannelli,
cablaggi di sezione insufficiente, cavi di scarsa qualità, cablaggi installati in modo sconsiderato senza
protezione nei confronti di azioni meccaniche quali taglio, sfregamento e simili, carente manutenzione con
particolare riferimento alla qualità delle connessioni.

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