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NOTTE OSCURA
AR GOMEN TO
E questa mi guidava
più certa della luce meridiana
là dove mi aspettava
chi ben io conoscevo
in luogo ove nessuno si mostrava.
Dimentica, acquietata,
il volto reclinai sull'Amato,
tutto cessò e rimasi,
lasciando ogni mia cura,
circondata da gigli, obliata.
LIBRO PRIMO
PR IMA ST R OFA
DICHIARAZIONE
2 - Soggiunge che, se poté uscire, ciò fu per la forza e il calore che a tal fine
l'amore del suo Sposo le aveva infusi nell'oscura contemplazione. Nel che
mette maggiormente in risalto la sorte avventurata che ebbe di andare a Dio
per questa notte oscura con sì prospero successo, che nessuno dei tre
spirituali nemici, cioè il mondo, il demonio e la carne (che purtroppo sono
quelli che sempre contrastano il cammino) valse ad impedirla: in quanto che
la notte della contemplazione purificatrice assopì e, ammortizzò nella casa
della sua sensibilità tutte le passioni e gli appetiti secondo i loro movimenti
contrari. Il primo verso, dunque, dice:
1N CAPITOLO 1
1N CAPITOLO 2
ALC UN E SPIRITUAL I IMP ERFE ZIO NI CH E I PRIN CIPIANT I HA NNO CIRC A L ' ABITO DE LLA
SU PERB IA
3 Alle volte anche, tanto desiderano che le loro cose siano stimate e lodate,
che quando i loro maestri spirituali, come sono i confessori e i superiori, non
approvano il loro spirito e la loro condotta, giudicano che quelli non sanno
intendere il loro spirito e non sono veri spirituali, perché non approvato e non
ammettono ciò. Onde subito procurano di trattare con un’altra persona, che si
adatti al loro genio. Ordinariamente, infatti, desiderano di manifestare il
proprio spirito a quelli da cui conoscono che le loro cose saranno apprezzate;
mentre rifuggono come dalla morte da quei che le distruggono per metterli
sulla strada sicura, e non di rado anche si adirano contro di essi. Presumendo
molto di se stessi, sogliono proporre molto, ma fare ben poco. Talora bramano
che gli altri si avvedano del loro spirito di devozione, e a tal fine ricorrono a
dimostrazioni esteriori di movimenti, sospiri ed altre cerimonie. Alcune volte
vanno perfino in estasi, più in pubblico che in privato, non senza che il
demonio vi metta la parte sua; e allora grandemente si compiacciono di essere
sorpresi in quello stato, e spesso lo bramano.
4 - Molti vogliono essere favoriti e prediletti dai loro confessori, dal che
nascono in loro mille invidie e inquietudini. Hanno, grande difficoltà di
esprimere schiettamente i loro peccati, perché temono di essere meno stimati
dal confessore, e quindi li vanno colorando abilmente, a fine di non apparire
tanto cattivi, il che è un andare piuttosto a scusarsi che ad accusarsi. Talvolta
cercano un altro confessore per manifestargli il male, perché l'altro non pensi
che abbiano qualcosa di cattivo ma tutto di buono; a lui quindi tutto il bene, e
con tali artificiose parole, che appaia maggiore di quel che è o almeno
sperando che così sembri, mentre sarebbe più umiltà deprezzarlo e desiderare
che né il confessore né altri lo stimasse.
5 - Inoltre alcuni di costoro fanno poco caso dei loro mancamenti altre volte,
viceversa, si rattristano troppo perché vi ricadono, pensando che già
dovrebbero essere santi, e si adirano contro se stessi: il che è un'altra
imperfezione di più. Spesso si rivolgono ansiosi a Dio, affinché li liberi dalle
loro mancanze e imperfezioni, ma più per starsene in bella pace senza
molestia di esse, che per amore di Dio; non riflettendo che, se i1 Signore
adempisse quel desiderio, diventerebbero più superbi e presuntuosi. Sono
avari di lodi verso gli altri, ma gradiscono tanto di essere lodati, e a volte lo
pretendono: nel che si rendono simili alle vergini stolte, le quali avendo le
lampade spente, chiedevano l'olio alle altre ( M t 2 5 , 2 8 ) .
8 - Gli umili daranno il sangue del proprio cuore per chi serve Dio e gli
porgeranno aiuto, per quanto è possibile, acciocché lo serva. Nelle
imperfezioni in cui si vedono cadere, sopportano se stessi con umiltà e
dolcezza di spirito, e con amoroso timor di Dio, sempre sperando in Lui.
Avverto però che le anime che sin dal principio camminano con tale
perfezione sono del minor numero e molto poche: tanto che ci
accontenteremmo che non cadano nei difetti opposti. E per questo Dio
introduce nella notte oscura quelli che vuole purificare da tutte queste
imperfezioni, per spingerli innanzi.
1N CAPITOLO 3
IMP ERFE ZIO NI IN C UI AL CUN I PRIN CIPIANT I SOGL ION O CAD ERE INTORN O AL SECO ND O
VIZIO CAPITALE , CH E È L ' AVAR IZ IA IN SEN SO SPIRITUA LE
2 - Ho conosciuto una persona che per più di dieci anni fece uso di una rozza
croce fatta con un ramo benedetto, fermata nel mezzo da uno spillo ritorto;
non aveva mai lasciato di portarla con sé, fino a che io gliela tolsi: e si noti
bene che non era una persona di poco senno e intelligenza. Ne vidi pure
un'altra che, recitando il rosario, usava una corona fatta con ossi di spine di
pesce. Certo è che la devozione di queste due persone non era di minor pregio
agli occhi di Dio, perché è evidente che esse non la riponevano nella forma
e nel valore degli oggetti. Coloro, dunque, che sin dal principio
s'incamminano bene alla perfezione non si attaccano agli oggetti visibili, né si
caricano di essi, né si curano di sapere più di quello che bisogna sapere per
bene operare, ma solo attendono a riuscire graditi a Dio, riponendo in ciò
tutte le loro brame. Quindi con grande liberalità danno le cose che
possiedono, sì temporali che spirituali, lieti di restarne privi per amore di Dio
e del prossimo: poiché, ripeto, fissano lo sguardo solamente nella sostanza
della perfezione interiore, cioè nel dare gusto a Dio in ogni cosa, non mai a se
stessi.
3 - Ma, dalle suaccennate imperfezioni, come dalle altre, l'anima non si potrà
purificare completamente, fino a che Dio non la introduca nella purificazione
passiva della notte oscura, come subito diremo. Conviene però che l'anima,
per quanto può, procuri dal canto suo di purgarsi e perfezionarsi, a fine di
meritare di essere sottoposta da Dio a quella cura divina, che la guarirà
da tutto ciò che ella non arrivava a sanare. Infatti, per quanto l'anima si
adoperi, con la sua industria non può purificarsi attivamente in modo da
essere disposta, neppure in minima parte, alla divina unione di perfetto
amore, se Dio non ne assume l'impresa, purgandola in quel fuoco, oscuro per
lei, nel modo che in appresso vedremo.
1N CAPITOLO 4
ALTRE IMP ERFE ZIO NI CH E I PRIN CIPIANT I SOGL ION O AV ERE CIRC A IL TERZ O VIZIO , CH E
È LA LU SSUR IA
1 - Non pochi principianti hanno molte imperfezioni, più di quelle che per
ciascun vizio vado enumerando: le lascio per amore di brevità accennandone
solo alcune delle più notevoli, che sono origine e causa delle altre. Intorno al
vizio della lussuria (lasciando da parte ciò che è il cadere degli spirituali in
questo peccato, poiché il mio intento è di trattare soltanto delle imperfezioni
da cui l’anima si deve purgare per mezzo della notte oscura), i principianti
hanno molte imperfezioni che si potrebbero chiamare lussuria spirituale, non
perché veramente tale, ma perché procede da cose spirituali. Difatti spesso
accade, ma senza loro colpa, che mentre attendono a devoti esercizi, si
destano nella sensualità movimenti impuri: il che avviene alle volte perfino
quando il loro spirito è raccolto in santa orazione, o si accostano ai
sacramenti della penitenza e dell’Eucaristia. Questi movimenti, involontari
ripeto, provengono da una delle cause seguenti.
2 - Primieramente, spesso quei moti derivano dal piacere che la natura prova
nelle cose spirituali. Stante che lo spirito e il senso godono con quel
ricreamento, ciascuna parte dell'uomo si muove a dilettarsi a modo suo,
secondo le sue proprietà; e come allora lo spirito, che è la parte superiore, si
muove a gustare di Dio, così pure la sensibilità, che è la parte inferiore, si
muove al godimento sensibile, perché essa non sa avere né prendere altro: e
quindi si prende il diletto più a sé congiunto, che è quello sensuale o turpe.
Onde può accadere che l'anima sua, secondo lo spirito, in grande orazione con
Dio, e d'altra parte, secondo il senso, provi ribellioni e movimenti sensuali,
ma passivamente e non senza suo grande dispiacere. Ciò avviene non di
rado nella santa comunione, nel quale atto di amore, mentre l'anima riceve
allegrezza e piacere dal Signore stesso che a tal fine a lei si dona, anche la
sensualità prende il suo diletto alla sua maniera. Ed invero, poiché alla fin
fine queste due parti, lo spirito e il senso, sono un medesimo supposto,
d'ordinario ambedue partecipano ciascuna a suo modo di ciò che l'una riceve:
perché, come dice il Filosofo, qualunque cosa si riceve alla maniera del
recipiente. Pertanto, sul principio, e anche quando l'anima è avanzata nella
perfezione, essendo la sensibilità ancora imperfetta, spesso riceve lo spirito di
Dio secondo la propria imperfezione. Però, allorché la parte sensitiva è già
riformata dalla purgazione della notte oscura, non va più soggetta a quelle
debolezze: perché ormai non è più essa quella che riceve, ma piuttosto è già
ricevuta nell'abbondanza dello spirito: e quindi allora essa ha tutto a guisa di
spirito.
6 - Vi sono poi altri che, sia nel praticare, sia nel parlare di cose di spirito,
sentono in sé suscitarsi una certa gaiezza e brio al pensiero delle persone che
vedono presenti e con le quali trattano con una specie di gusto vano: anche
questo effetto nasce da lussuria spirituale nel senso che qui intendiamo, e
ordinariamente è accompagnato da compiacenza nella volontà.
7 - Ve ne sono anche altri che per motivi spirituali portano affetto a qualche
persona, il che bene spesso nasce non da spirito, ma da lussuria: quando è
così, si conosce facilmente dal fatto che con il ricordo di quell'affetto non
cresce di più la memoria e l'amore di Dio, ma cresce invece il rimorso
della coscienza. Poiché, quando l'affetto è puramente spirituale, al
crescere di esso aumenta del pari l'amore di Dio, e quanto più l'anima si
ricorda di esso, tanto più si rammenta di quello di Dio e nutre desideri di Lui,
poiché ingrandendo l'uno si fa grande anche l'altro. Lo spirito di Dio ha
questo di proprio che aumenta il bene col bene in quanto c’è tra l’uno e l’altro
ragione di conformità e somiglianza. Allorché, invece, l'amore nasce dal vizio
sensuale, produce effetti contrari: quanto più esso cresce, tanto più
diminuisce l'amore e insieme la memoria di Dio. Infatti, se cresce
quell'amore imperfetto, l'anima si avvedrà che a poco a poco si raffredda in
quello di Dio, dimenticandosi di Lui col ricordo di quel vano amore, non
senza provarne rimorsi di coscienza. Al contrario, se l'anima cresce nell'amore
divino, si va raffreddando nell'altro, e a poco a poco lo dimentica: perché,
essendo amori contrari, non solo non si aiutano a vicenda, ma quello
predominante spegne e confonde l'altro, come dicono i filosofi, rafforzando
se stesso. Per la qual cosa il Nostro Salvatore disse nel Vangelo: Ciò che
nasce dalla carne, è carne; e quel che nasce dallo spirito, è spirito ( G v 3 , 6 ) ; cioè
l'amore che nasce da sensualità va a terminare in sensualità, e quello che
nasce dallo spirito termina nello spirito di Dio, e lo fa aumentare: ecco la
differenza che corre tra questi due amori, dalla quale si possono conoscere.
8 - Quando l'anima entra nella notte oscura, regola questi amori secondo
ragione, perché fortifica e purifica l'uno, cioè quello che è secondo Dio, e
abbandona e mortifica l'altro, quantunque al principio li perda di vista
ambedue, come in appresso diremo.
1N CAPITOLO 5
2 - Vi sono anche di quelli che cadono in un'altra sorta d'ira spirituale, cioè si
adirano contro i vizi o difetti altrui con un certo zelo inquieto o indiscreto,
censurando i loro prossimi; e alle volte hanno grande smania di riprenderli
aspramente, e talora anche lo fanno, atteggiandosi a patroni e difensori della
virtù: tutte le quali cose sono contro la mansuetudine spirituale.
1N CAPITOLO 6
4 - Altri ancora ve ne sono che per la gola spirituale conoscono sì poco la loro
bassezza e miseria, ed hanno messo tanto da parte l'amoroso timore e rispetto
dovuto alla grandezza di Dio, che non dubitano di importunare ostinatamente i
loro confessori, acciocché permettano loro di confessarsi e comunicarsi molto
spesso. Ed il peggio è che spesso osano appressarsi alla sacra mensa senza il
permesso e il consiglio del ministro dispensatore dei divini misteri, ma
soltanto di proprio arbitrio, procurando di nascondere a lui la verità. A motivo
della stessa gola fanno le confessioni comunque sia, pur di comunicarsi,
avendo più brama di cibarsi che di farlo perfettamente e con animo puro:
mentre sarebbe cosa più salutare e santa avere l’inclinazione contraria, e
pregare i confessori che non comandino di accostarsi alla comunione con
troppa frequenza; quantunque però, tra l'uno e l'altro partito, è meglio l'umile
rassegnazione. Ma il troppo ardire torna loro a grave discapito; e possono
aspettarsi il divino castigo in pena della loro audacia.
7 - Di più, quei che sono così inclinati ai gusti spirituali hanno anche un'altra
imperfezione assai grande, ed è che vanno molto a rilento nel battere l'aspro
sentiero della croce: perché l’anima amante di delizie torce naturalmente il
viso ad ogni disgusto di propria abnegazione.
1N CAPITOLO 7
1 - Anche intorno agli altri due vizi che sono l'invidia e l'accidia spirituale, i
principianti non vanno immuni dal cadere in molte imperfezioni. Circa
l'invidia, molti di costoro sogliono avere moti di dispiacere dell'altrui bene
spirituale, e sperimentano qualche pena sensibile nel vedersi sorpassati dagli
altri nel cammino dello spirito; non vorrebbero sentirli lodare, perché si
rattristano delle virtù altrui, e alle volte non potendo soffrire quelle lodi,
dicono il contrario per distruggerle per quanto possono. Naturalmente poi,
sentono assai che con essi non si faccia altrettanto, perché vorrebbero essere
preferiti in ogni cosa. Tutto ciò si oppone grandemente alla carità, la quale,
come dice San Paolo, si rallegra della bontà e del bene ( 1 C o r 1 3 , 6 ) . Che se la
carità ha qualche invidia, è un'invidia santa, perché le dispiace di non
possedere le virtù dell'altro, ma gode che questi le abbia; anzi, chi ha carità,
si compiace che tutti lo superino nel servire a Dio, giacché in questo egli è
tanto manchevole.
2 - Inoltre circa l'accidia spirituale, sogliono aver tedio nelle cose che sono
più di spirito, e le fuggono come quelle che maggiormente si oppongono al
gusto sensibile: assaporando tante le cose spirituali, quando non vi trovano
più gusto le hanno a nausea. Infatti, se una volta non trovano nell'orazione il
piacere sensibile che bramavano (poiché alla fine conviene che Dio lo
sottragga loro per provarli), non vorrebbero tornare a fare orazione, e talvolta
la lasciano, o ci vanno di mala voglia. Quindi a cagione di questa accidia,
pospongono il cammino di perfezione (che consiste nell'abnegazione di se
stessi per amor di Dio) al gusto della loro volontà, che in tal guisa vanno
soddisfacendo più che quella di Dio.
4 - Costoro s'infastidiscono pure quando loro si comanda ciò che per essi è
insipido. Correndo dietro alle delizie e al sapore dello spirito, sono troppo
bambini rispetto alla fortezza che la perfezione richiede per sostenere duri
travagli: simili in ciò a coloro che, essendo allevati tra mille agiatezze,
rifuggono da qualunque cosa aspra e faticosa. Trovano pesante il giogo della
croce, nella quale tuttavia sono riposti i diletti dello spirito; e nelle cose più
spirituali soffrono tedio maggiore: poiché, pretendendo di andare nelle cose
spirituali a loro talento e secondo il gusto della propria volontà, provano
grande tristezza e avversione ad entrare per lo stretto cammino della vita, di
cui parla il Signore ( M t 7 , 1 4 ) .
1N CAPITOLO 8
3 - Abbiamo già visto che i principianti usano nella via del Signore una
maniera molto bassa e troppo confacente al loro gusto e amor proprio. Ecco
che Dio nella sua bontà vuol portarli innanzi, elevarli ad un più alto grado di
amore divino, liberarli dal basso esercizio del senso e del discorso dove finora
hanno cercato il Signore in modo imperfetto e limitato, collocandoli
nell'esercizio dello spirito, nel quale, più liberi da imperfezioni, possano più
abbondantemente comunicare con Lui. Già si sono esercitati per qualche
tempo nelle virtù; mossi dal piacere che vi trovavano, hanno perseverato
nell'orazione e nella meditazione, si sono distaccati dalle cose del mondo
ed hanno acquistato in Dio un po' di forze spirituali mediante le quali, come
tengono abbastanza a freno gli appetiti verso le creature, così sapranno
soffrire ormai un po' di pena e di aridità per amor di Dio, senza volgere il
passo indietro sul più bello. Orbene, quando essi con più gusto e sapore
godono negli esercizi spirituali, quando più chiaro risplende, a quanto loro
sembra, il sole dei divini favori, allora appunto Dio ottenebra tutta questa
luce e chiude loro la porta e la sorgente delle dolci acque spirituali, che
gustavano in Dio tutte le volte e per tutto il tempo che volevano: ché, invero,
essendo ancor teneri e deboli, non c’era porta chiusa per loro, secondo il detto
di S. Giovanni nell'Apocalisse ( A p 3 , 8 ) . Il Signore, quindi, li lascia al buio, tanto
che non sanno per dove andare con il senso dell'immaginazione e col discorso.
Non sanno più dare un passo nel meditare come prima solevano, essendo già
abnegato il senso interno in questa notte. Li lascia in tanta aridità che, non
solo non ritraggono succo e piacere dalle cose spirituali e dai devoti esercizi
in cui prima provavano gran diletto, ma invece vi trovano disgusto e
amarezza. E la ragione è che Dio, come già ho detto, volendoli un po’
grandicelli, affinché vieppiù si rafforzino ed escano dalle fasce, li stacca dal
suo dolce petto e, calandoli dalle braccia, li stimola a camminare con i loro
piedi: per il che essi restano molto sorpresi della novità della cosa, vedendo
che tutto va a rovescio rispetto di prima.
1 - Stante che le aridità potrebbero procedere, molte volte, non dalla notte o
purgazione dell'appetito, ma da peccati ed imperfezioni, o da tiepidezza, o
da qualche cattivo umore e disposizione corporale, porrò qui alcuni segni
da cui si possa conoscere se l'aridità dipende dalla detta purgazione, ovvero
da qualcuna delle cause accennate. A mio parere, vi sono tre segni principali.
2 - Il primo è che l'uomo, come non sente piacere e consolazione nelle cose
di Dio, così neppure lo sente in alcuna delle cose create. Siccome Dio mette
l'anima in questa notte oscura a fine di inaridirle e purgarle l'appetito
sensitivo, non le lascia trovare sapore in nessuna cosa. Da ciò si conosce
che l'aridità e il disgusto molto probabilmente non provengono da peccati o da
imperfezioni commesse di nuovo: perché, se così fosse, si sentirebbe nel
naturale qualche inclinazione o voglia di assaporare qualche altra cosa diversa
da quelle di Dio. Difatti, ogni volta che, l'appetito si abbandona a qualche
imperfezione, subito rimane inclinato ad essa poco o molto, a misura
dell'affetto che vi applicò. Tuttavia, poiché, il non gustare né delle cose del
cielo né di quelle della terra potrebbe derivare da qualche indisposizione o da
umore melanconico, il quale spesso non permette di trovar piacere in nessuna
cosa, è necessario il secondo segno.
3 - Il secondo segno per credere che si tratti della detta purgazione, è che
l'uomo ordinariamente volge il pensiero a Dio con sollecitudine e cura
penosa temendo di non servirlo ma di tornare indietro, giacché si vede
insipido nelle cose divine. È manifesto che tal dispiacere ed aridità non
procede da tiepidezza, perché è proprio di questa non prendersela tanto e non
darsi pensiero delle cose di Dio. Tra l'aridità e la tiepidezza vi corre gran
differenza: poiché ciò che è tiepidezza importa non poca pigrizia di volontà e
fiacchezza d'animo, senza diligente cura di servire a Dio; invece, ciò che è
semplicemente aridità purgativa trae con sé un'ordinaria sollecitudine, con
penoso dubbio di non servire al Signore. L'aridità, benché alcune volte sia
fomentata dalla malinconia o da altro umore (come realmente può accadere),
non per questo lascia di produrre il suo effetto purgativo nell'appetito, perché
questo resta privo di ogni gusto e s’indirizza a Dio con sollecito pensiero. Al
contrario, quando si tratta di umor nero solamente, tutto si risolve in disgusti
e strazi della natura, senza quei buoni desideri che accompagnano l’aridità
purgativa: con la quale, sebbene la parte sensitiva sia molto abbattuta, debole
e fiacca nell’operare a motivo della poca soddisfazione che vi trova, lo spirito
tuttavia è pronto e forte.
4 - La causa di questa aridità è che Dio trasferisce i beni e le forze del senso
allo spirito; e poiché il senso, con la sua forza naturale, non è capace di cose
di un ordine superiore, resta digiuno, arido e vuoto. La parte sensitiva non ha
abilità per ciò che è puro spirito, e quindi, allorché la carne gusta lo spirito,
diventa insipida e s'indebolisce nell'operare; mentre lo spirito, ricevendo il
proprio cibo, si rafforza e diviene più vigilante e sollecito di prima
nell'attenzione di non mancare a Dio. Però da principio, per la novità della
cosa, lo spirito non sente subito il diletto spirituale, ma aridità e disgusto,
perché avendo avuto sinora il palato assuefatto ai sapori sensibili, su di questi
posa tuttavia lo sguardo. Di più, poiché il palato spirituale non è purgato e
disposto per un gusto sì sottile, ma ha bisogno di disporsi a mano a mano per
mezzo della notte oscura, non può ancora sentire il sapore dei bene spirituale,
ma sperimenta aridità e disgusto, per mancanza del piacere che prima godeva
con tanta facilità.
5 - Coloro che Dio comincia a condurre per queste solitudini del deserto, sono
simili ai figli di Israele i quali, benché ricevessero dal Signore la manna
celeste che in sé conteneva ogni sapore, secondo il desiderio di ciascuno,
nondimeno sentivano più la privazione delle carni e delle cipolle d'Egitto alle
quali erano avvezzi, che non la delicata dolcezza dell'angelico alimento, tanto
da lamentarsi e rimpiangere quei cibi volgari, mentre avevano dinanzi il pane
celeste ( N m 11 , 5 ) . A tanto estremo giunge la bassezza del nostro appetito, da
farci desiderare le nostre miserie e avere in fastidio il bene incommutabile del
cielo!
1N Capitolo 10
1 - Nel tempo dunque delle aridità della notte sensitiva Dio opera il suddetto
cambiamento, trasferendo l'anima dalla vita del senso a quella dello
spirito, cioè dallo stato meditativo a quello contemplativo, dove ormai
l'anima con le sue potenze non può più operare e discorrere nelle cose di Dio.
Quivi gli spirituali patiscono grandi pene, non tanto per le aridità che
soffrono, quanto per il timore di andar perduti in questo cammino,
pensando che per loro sia finito ogni bene spirituale e che Dio li abbia
abbandonati, stante che non trovano appoggio né piacere in nessuna cosa
buona. Allora si affaticano, procurando (secondo il costume che avevano) di
sostentare e pascere le potenze con il gusto di qualche oggetto di discorso,
credendo di stare in ozio se ciò non fanno, e se non sono ben sicuri di
operare; ma a tali sforzi l'anima, che si compiaceva di starsene in quella
pacifica quiete delle potenze, prova non poco dispiacere e ripugnanza. Mentre
perciò si affannano nel discorso, non profittano nella contemplazione, perché
volendo cercare il loro spirito, perdono lo spirito di calma e tranquillità che
avevano. Rassomigliano proprio a chi lascia ciò che ha fatto per tornare a
farlo, o a chi esce dalla città per rientrarvi, o a chi lascia la preda per andare a
caccia; anzi, nel nostro caso, ogni loro fatica è affatto inutile, perché non
otterranno più nulla, con que1 primiero modo di procedere.
1N CAPITOLO 11
Oh felice ventura!
3 - Dio introduce l'anima nella notte sensitiva a fine di purgare il senso della
parte inferiore, e per assoggettarlo e unirlo allo spirito, oscurandolo e
facendolo cessare dai discorsi: alla stessa guisa che in seguito, a fine di
purificare lo spirito e unirlo a Dio, lo farà passare per la notte spirituale.
L'anima quindi riporta (quantunque non le sembri) tali e tanti vantaggi, che
reputa sorte avventurata l'essersi svincolata dai lacci e dalle strette del senso
della parte inferiore per mezzo di questa notte fortunata, e non può fare a
meno di esclamare col presente verso: Oh felice ventura! Intorno a che,
conviene ora riferire le utilità che l'anima ricava in questa notte, a motivo
delle quali stima felice sorte il passaggio per essa: utilità che sono tutte
racchiuse nel seguente verso:
1N CAPITOLO 12
7 - Nelle aridità e nel vuoto della notte dell'appetito, l'anima acquista anche
l'umiltà spirituale, che è la virtù contraria al primo vizio capitale che è la
superbia spirituale: e quindi mediante questa umiltà, nata dal proprio
conoscimento, si purga da tutte quelle imperfezioni in cui cadeva intorno a
quel vizio, al tempo della sua prosperità. Vedendosi tanto arida e miserabile,
neanche per primo moto le passa in pensiero di essere migliore degli altri e di
superarli in qualche cosa, come prima credeva; anzi, al contrario, è convinta
che gli altri camminino meglio di lei.
9 - Per mezzo della notte del senso l'anima si rende anche soggetta ed
obbediente nel cammino spirituale; poiché, vedendosi sì misera e vile, non
soltanto ascolta ciò che le viene insegnato, ma desidera altresì che qualsiasi
persona l'indirizzi e le suggerisca ciò che deve fare. Si spoglia della
presunzione affettiva che talvolta aveva nella prosperità; e finalmente il suo
cammino viene sgombrato da tutte quelle imperfezioni che intorno alla
superbia spirituale abbiamo notate a suo luogo.
1N CAPITOLO 13
6 - Ora, che l'anima ritragga tutte le quattro utilità accennate, ossia diletto di
pace, costante e premuroso pensiero di Dio, limpidezza e purità di spirito, e
l'esercizio delle virtù, anche Davide, sapendolo per propria esperienza, lo
attesta con queste parole: L'anima mia rifiutò le consolazioni; mi ricordai di
Dio e n'ebbi conforto, mi esercitai, e il mio spirito venne meno ( S a l 7 6 , 3 ) . E
subito soggiunge: Meditavo di notte dentro il mio cuore e mi esercitavo,
ripurgando il mio spirito ( S a l 7 6 , 6 ) ; vale a dire tutti gli affetti.
7 - In quanto alle imperfezioni degli altri tre vizi spirituali cioè invidia, ira e
accidia, nell'aridità dell'appetito l'anima si purifica anche da esse, facendo
acquisto delle virtù contrarie. Poiché, ammansita e umiliata dalle aridità,
dalle tentazioni e pene in cui Dio la esercita con l'occasione della notte
oscura, diventa dolce o e mansueta con Dio, con se stessa; e con il prossimo.
Di modo che non si sdegna più contro di sé per le proprie mancanze, né contro
i prossimi per le loro; verso il Signore poi non si mostra dispiacente, né se
n'esce in lamentele poco riverenti, quando non la contenta presto.
8 - Rispetto poi all' invidia, anche su questo punto conserva la carità verso gli
altri; e se pur avesse qualche invidia, questa non è viziosa come soleva essere
per l'addietro, quando le dava pena che altri fossero preferiti a lei e facessero
maggior profitto. Adesso, vedendosi tanto umiliata e misera, si dà per vinta, e
l'invidia che ha verso gli altri (se pur ne ha), è santa, desidera d'imitarli: il
che è indizio di non poca virtù.
9 - Così pure riguardo all'accidia, le noie che l'anima ora patisce nelle cose
spirituali non sono viziose come prima; infatti, quelle procedevano dai gusti
spirituali che a volte godeva, e che pretendeva di avere quando non li trovava.
Ma i tedi presenti non derivano più dalla fiacchezza del gusto, perché Dio lo
ha sottratto interamente nell'attuale purgazione dell'appetito.
I2 - Le aridità, dunque, fanno sì che l'anima cammini con purezza nel divino
amore, perché ella non si muove più ad agire per il gusto e sapore dell'opera,
ma soltanto per piacere a Dio. Non presume più, né è contenta di sé, come
forse soleva al tempo della prosperità, ma va timorosa e mai soddisfatta di sé
stessa: ed in ciò consiste il santo timore che conserva ed aumenta le virtù.
L'aridità, dunque, spegne anche le concupiscenze e la vivacità naturale. Ora
infatti, se non è Dio stesso che talvolta infonde all'anima qualche gusto, è un
miracolo che ella con la propria industria trovi consolazione sensibile in
qualche atto od esercizio spirituale.
1N CAPITOLO 14
1 - Mentre la casa della sensualità era già addormentata, ossia dopo aver
mortificate le passioni, spenti i desideri e assopiti gli appetiti per mezzo della
fortunata notte della purgazione sensitiva, l'anima uscì per intraprendere il
cammino dello spirito, quello dei proficienti, il quale con altro nome è
chiamato via illuminativa o di contemplazione infusa, dove Dio per sé solo
va pascendo e ristorando l'anima, senza che questa vi cooperi attivamente,
né con discorso, né con altre sue industrie. La notte o purgazione del senso è
molto amara, specialmente in coloro (e sono ben pochi) che dopo dovranno
entrare nell'altra più terribile, quella dello spirito, mediante la quale si
giunge all'unione amorosa con Dio. Ordinariamente la notte del senso è
accompagnata da grandi pene e da sensitive tentazioni che durano molto
tempo, sebbene in alcuni più, in altri meno. L'angelo di Satana che è lo
spirito di fornicazione, si avventa contro alcuni, sferzandoli nei sensi con
abominevoli e forti stimoli, e tribolandoli nello spirito con turpi riflessioni e
immagini molto vive nella fantasia: cose tutte che alle volte danno loro
maggior pena della morte stessa.
3 - Altre volte ad essi viene dato (a fine di esser provati, non già perché
cadano) un altro abominevole spirito chiamato da Isaia spiritus vertiginis, il
quale oscura loro il senso e li riempie di mille scrupoli e di dubbi tanto
intricati a loro parere, che non possono mai essere soddisfatti di nessuna cosa,
né appoggiare il loro giudizio a consiglio o riflessione alcuna. Questo è uno
dei peggiori tormenti e orrori di questa notte, e si avvicina molto a ciò che
avviene nella notte spirituale.
4 - In questa notte del senso, Dio per solito manda simili tempeste e travagli a
coloro che di poi dovranno essere introdotti in quella dello spirito (a cui non
tutti passano), affinché castigati e schiaffeggiati, si esercitino indurendo i
sensi e le potenze, e si dispongano così all'unione della Sapienza, che loro
verrà comunicata. Se l'anima non è. tentata, esercitata e provata con
tentazioni e pene, il suo senso non può arrivare alla Sapienza. Onde
l'Ecclesiastico disse: Chi non è stato tentato, che cosa sa? E chi non ha
esperienza, di che può giudicare? (S i r 3 4 ,9 -1 0 ) . Della quale verità anche Geremia
dà buona testimonianza, dicendo: Mi castigasti, o Signore, e fui ammaestrato
( G e r 3 1 ,1 8 )
. La maniera più propria di questo castigo per giungere alla Sapienza
sono gli interni travagli di cui parliamo, perché sono quelli che più
efficacemente purgano il senso a tutti i gusti e consolazioni a cui per naturale
debolezza esso era affezionato, e nei quali l'anima viene profondamente
umiliata, perché sia disposta all'esaltazione che l'aspetta.
5 - In quanto poi al tempo che l'anima deve trascorrere nel digiuno e nella
penitenza del senso, non si può dire con certezza, perché la prova non dura in
tutti ugualmente, né con le stesse tentazioni essendo ciò determinato dalla
volontà di Dio. Ciascuno sarà umiliato, più o meno intensamente, per più o
meno tempo, secondo il maggiore o minor numero d'imperfezioni che deve
purgare; e anche secondo il grado di unione di amore a cui Dio vorrà
innalzarlo. Dio purifica con più intensità e più presto coloro che hanno più
abilità e forza per soffrire; al contrario, guida i più fiacchi con molta lentezza
e con deboli tentazioni, porgendo loro frequenti ristori al senso, affinché non
tornino indietro; sicché tardi arrivano alla purezza della perfezione in questa
vita, e alcuni di essi mai. Costoro né si trovano bene nella notte oscura, né
bene fuori di essa: poiché, quantunque non passino avanti, Dio li esercita di
quando in quando e per breve tempo nelle aridità e nelle tentazioni, acciocché
si conservino nell'umile conoscimento di sé stessi; di tratto in tratto poi li
visita con la sua consolazione, affinché, scoraggiati, non si volgano a cercare
quella del mondo. Ad altre anime più deboli Dio quasi si nasconde, per
esercitarle nel suo amore; perché, se non si allontanasse da loro, non
imparerebbero ad accostarsi a Lui.
2N CAPITOLO 1
INCO MINC IA A TRATTA RE DE LLA NO TTE DEL LO SPIRITO DICE IN CH E TEMPO ABBIA
PRINCIP IO
1 - Allorché l'anima che Dio vuol condurre innanzi, esce dalle aridità e dai
travagli della prima purgazione e notte del senso, non è subito posta da Sua
Divina Maestà nella notte dello spirito; anzi suole passare molto tempo ed
anche molti anni, in cui essendo uscita dallo stato dei principianti, si esercita
in quello dei proficienti. In tale stato, a guisa di chi evase da un angusto
carcere, procede nelle cose di Dio con maggior soddisfazione e larghezza di
cuore, e con interno diletto più abbondante di quello che godeva da principio,
prima di entrare nella notte del senso. Non ha più l'immaginazione e le
potenze legate al discorso e ai pensieri spirituali, ma con grande facilità trova
subito nel suo spirito molto serena e amorosa contemplazione e sapore
spirituale, senza la fatica del discorso. Tuttavia conviene riflettere che la
purgazione dell'anima non è completa, perché manca la parte principale,
quella dello spirito, senza la quale (a motivo della comunicazione esistente
tra le due parti che formano insieme un solo supposto), nemmeno la
purgazione sensitiva, per quanto forte sia stata, può dirsi perfetta. 1 Quindi
è che l'anima non è affatto immune da aridità, tenebre e oppressioni, alle volte
molto più intense che in passato, quasi foriere della futura notte dello spirito;
esse però non sono sì prolungate come sarà la notte che l'aspetta. Difatti dopo
aver trascorso un certo periodo o alcuni giorni di tempesta, l'anima subito
ritorna alla sua abituale serenità. In tal maniera Dio purifica alcune anime che
non dovranno ascendere ad un sublime grado di amore come altre, mettendole
di quando in quando nella notte di contemplazione o purgazione spirituale,
facendo spesso annottare e aggiornare, affinché si adempia quel che Davide
dice, che Dio cioè manda il suo cristallo, ossia infonde la sua contemplazione,
quasi a bocconi ( S a l 1 4 7 , 1 7 ) . Quantunque . questi bocconi di oscura
contemplazione non sono mai così intensi, come lo è quell'orrenda notte dello
spirito, in cui Dio di proposito mette l'anima per elevarla alla divina unione.
2N CAPITOLO 2
3 - Nelle imperfezioni attuali non cadono tutti allo stesso modo. Quelli che
traggono questi beni spirituali all'esterno, rendendoli molto familiari al senso,
vanno soggetti più che altri agli inconvenienti e ai pericoli da noi enumerati
in principio. Poiché, avendo essi a piene mani tante comunicazioni e
apprensioni nel senso e nello spirito, bene spesso accade che ricevano visioni
immaginarie e spirituali, e provino gustosi sentimenti da parte del demonio o
della loro immaginazione. Anzi il demonio suole imprimere e suscitare quelle
apprensioni e sentimenti con tanto gusto che, se essi non usano cautela con
umiliarsi e difendersi fortemente in fede, assai facilmente sono rapiti fuori di
sé e tratti in inganno. Sovente, infatti, il maligno li induce ad accogliere per
vere molte vane visioni e false profezie, procurando di far loro credere che
Dio e i Santi parlino con essi; molte volte poi credono alla propria fantasia.
Di più il demonio suole riempirli di presunzione e di superbia, di modo che,
spinti dalla vanità e dall'arroganza si lasciano vedere in atti esterni che
sembrano di santità, quali sono le estasi ed altre apparenze. Diventano altresì
arditi con Dio, perdendo quel santo timore che è la chiave e la custodia di
tutte le virtù. In certuni poi la falsità e gli inganni sogliono moltiplicarsi ed
invecchiarsi a tal segno, che è molto dubbio il loro ritorno al puro cammino
della virtù e del vero spirito: e in tale abisso di miserie vengono a cadere,
perché. si diedero con eccessiva sicurezza alle apprensioni e ai sentimenti
spirituali, mentre cominciavano a progredire nel cammino dello spirito.
5 - Oltre a ciò si noti, come abbiamo già detto, che partecipando ancora la
parte inferiore nelle comunicazioni spirituali, queste non possono essere così
intense, pure e forti, come si richiedono per l'unione con Dio. Quindi, per
giungere a questa, bisogna che l'anima passi nella seconda notte dello spirito,
dove spogliando perfettamente il senso e lo spirito di ogni apprensione e
gusto, viene fatta camminare in oscura e pura fede; la quale è il mezzo
proprio e adeguato con cui l'anima si unisce a Dio, secondo il detto del
Profeta Osea: Io ti sposerò, ossia ti unirò a me, per mezzo della fede ( O s 2 , 2 0 ) .
2N CAPITOLO 3
3 - Il tratto che i proficienti hanno con Dio è ancora molto basso, non avendo
essi purificato e illuminato l'oro dello spirito. Ancora intendono, parlano e
sanno di Dio come fanciulli, per dirla con le parole di San Paolo ( 1 C o r 1 3 , 11 ) ,
perché non sono giunti alla perfezione, cioè all'unione di amore con Dio, per
la quale come adulti opereranno grandi cose nel loro spirito, quando ormai le
loro opere e potenze saranno più divine che umane. Il Signore volendo
spogliarli di fatto dell'uomo vecchio e rivestirli del nuovo che, al dire
dell'Apostolo ( E f 4 , 2 3 - 2 4 ) , è creato secondo Dio nella novità del senso, denuda
loro le potenze, le affezioni e i sentimenti, sì spirituali che sensibili, esterni
ed interni, lasciando l'intelletto al buio, la volontà all'asciutto, vuota la
memoria e gli affetti dell'anima in somma afflizione, amarezza ed angustia,
privando la medesima del sapore dei beni spirituali che prima gustava: la
quale privazione è uno dei principi che si richiedono nello spirito, perché
s'introduca in esso la forma spirituale dello spirito, che è l'unione di amore.
Tutto ciò il Signore opera nell’anima per mezzo di una pura ed oscura
contemplazione, come ella lo spiega nella prima strofa. Questa, benché sia
stata dichiarata a proposito della prima notte del senso, l'anima
principalmente l'intende rispetto alla seconda [quella] dello spirito, la quale
è la parte principale della sua purificazione. Pertanto riporteremo qui la
strofa, dichiarandola un'altra volta.
2N CAPITOLO 4
2 - Ciò fu per me una grande fortuna, una sorte felicissima; poiché, essendosi
annichilite le mie potenze e calmate le passioni, gli appetiti e gli affetti miei,
con cui bassamente sentivo e gustavo di Dio, uscii dalla mia meschina
operazione e dal tratto umano ad un più vero commercio con Dio. In altre
parole, il mio intelletto uscì da sé, cangiandosi da umano e naturale in
divino; perché, unendosi a Dio per mezzo della purgazione, non intende più
per proprio vigore e lume naturale, ma per la divina sapienza con la quale
si unì. La mia volontà uscì da sé diventando divina, perché, unita col divino
amore, non più ama bassamente con la sua virtù naturale, ma con la forza e
la purezza dello spirito Santo: e perciò intorno a Dio non opera più
umanamente. Del pari la memoria si è trasformata in eterne apprensioni di
gloria. Finalmente tutte le forze e gli affetti dell'anima, per mezzo di questa
notte e purgazione dell'uomo vecchio, si rinnovano con diletti di tempra
divina.
Segue il verso:
In una notte oscura.
2N CAPITOLO 5
2 - Ma qui nasce un dubbio. Perché mai l'anima chiama notte oscura quella
luce divina che la rischiara e purga dalle sue ignoranze? Rispondo che per
due ragioni la divina Sapienza non solo è notte e tenebre per l'anima, ma
anche pena e tormento. La prima, per l'altezza della Sapienza divina che
eccede la capacità dell'anima, ed è perciò tenebre per essa: la seconda, per la
bassezza e impurezza dell'anima stessa, onde la detta sapienza le diventa
penosa, afflittiva, ed anche oscura.
3 - Per prova della prima, conviene riferirsi alla dottrina del Filosofo, il quale
afferma che quanto più le cose divine sono chiare e manifesta in se stesse,
tanto più sono naturalmente oscure e occulte per l'anima: come la luce, quanto
più è, viva, tanto più abbaglia la pupilla della civetta; o come il sole che,
mirato in pieno meriggio, acceca la potenza visiva per l'eccesso del suo
splendore. Per la qual cosa, quando la divina luce di contemplazione investe
l'anima non ancora pienamente illuminata produce in lei tenebre spirituali,
perché non solo la soverchia, ma anche le toglie ed oscura l'atto della sua
intelligenza naturale. Quindi S. Dionigi e altri teologi mistici chiamano la
contemplazione infusa raggio di tenebra per l'anima non illuminata e purgata,
perché la forza naturale dell'intelletto viene vinta e privata del proprio
lume dalla gran luce soprannaturale di quel raggio. Per il che anche
Davide disse: Intorno a Dio v'è oscura nube ( S a l 9 6 , 2 ) non perché in sé sia così,
ma rispetto al nostro debole intelletto, che in una luce tanto immensa resta
offuscato, accecato, non potendo riceverla. E altrove lo stesso Davide dichiara
meglio la cosa, dicendo: Per il grande splendore di sua presenza si frapposero
le nubi ( S a l 1 7 , 1 3 ) ; cioè tra Dio e il nostro intelletto. Allorché, dunque, Dio invia
all'anima non ancora trasformata un raggio della sua segreta sapienza, le
sparge tenebre nell'intelletto.
4 - Che poi l'oscura contemplazione sia anche penosa per l'anima in questi
principi è evidente. Infatti, mentre questa divina contemplazione infusa ha
molti pregi eccellenti al sommo, l'anima che la riceve invece, non essendo
purgata, ha molte ed estreme miserie; quindi è che, non potendo due contrari
trovarsi in un medesimo soggetto, l'anima necessariamente deve patire,
perché essa è il soggetto in cui quei due estremi opposti si cozzano tra loro, a
motivo della purgazione che sta avvenendo in lei per mezzo della
contemplazione. Il che proveremo per via d'induzione in questo modo.
2N CAPITOLO 6
1 - L'anima patisce anche in una terza maniera, cioè a causa dei due estremi,
il divino e l'umano, che qui si uniscono: il divino è la contemplazione
purgativa, l'umano è il soggetto dell'anima stessa. Ora, poiché il divino
investe l'anima a fine di rinnovarla e renderla divina, mentre la spoglia delle
affezioni abituati e delle proprietà dell'uomo vecchio col quale ella è molto
unita e conformata, non solo l'assorbe in profonde tenebre, ma anche le
sminuzzane disfà là sostanza spirituale, in guisa che l'anima si sente
consumare e struggere alla vista delle sue miserie, provando una crudele
morte di spirito. Le accade come se, inghiottita da una bestia, si sentisse
digerire nel ventre tenebroso di essa, soffrendo terribili angustie come Giona
nel ventre di quel mostro marino ( G n 2 , 1 ) : eppure le conviene stare in questo
sepolcro di oscura morte, per la spirituale risurrezione che l'aspetta.
5 - Tutto ciò Dio opera per mezzo di questa oscura contemplazione. Qui
l'anima, non solo patisce la mancanza e la sospensione di quei naturali
appoggi ed apprensioni (il che è un patire molto angoscioso, come se uno
fosse impiccato o tenuto in aria in modo che non possa respirare), ma anche si
purifica, come fa il fuoco con la ruggine e l'ossido del metallo, dalle scorie di
tutte le passioni e abiti imperfetti che ha contratto nella vita trascorsa.
Essendo questi molto radicati nella sostanza dell'anima, ella suole patire, oltre
la detta povertà e vuoto naturale e spirituale, un grande e tormentoso
disfacimento interiore, acciocché si avveri qui il testo di Ezechiele che dice:
Raduna e accatasta le ossa a cui darò fuoco; si consumeranno le carni e si
cuocerà tutto l'insieme e le ossa si sfarineranno ( E z 2 4 , 1 0 ) . Nelle quali parole
s'intende la pena che si soffre per il vuoto e la povertà della sostanza
dell'anima sensitiva e spirituale. E intorno a ciò subito soggiunge: Mettila
pure così vuota sopra i carboni accesi, affinché il suo rame si arroventi e si
fonda, e in mezzo di essa si strugga il suo sudiciume, e si consumi la sua
ruggine (Ez 11,). Da ciò si può inferire il grave tormento che l'anima patisce
nella purgazione del fuoco di questa contemplazione; poiché il profeta dice
che, per purificare e distruggere la ruggine delle affezioni che risiedono in
mezzo all'anima, è necessario in certo modo che ella stessa si annichili e
disfaccia, secondo che è connaturata con quelle passioni e imperfezioni.
6 - In tale fucina l'anima si purifica come l'oro nel crogiolo, secondo il detto
del Savio ( S a p 3 , 6 ) , e sente liquefarsi grandemente nella propria sostanza
consumandosi quasi in estrema povertà. Ciò può anche dedursi da quello che a
tal proposito Davide dice di sé, gridando a Dio con queste parole: Salvami, o
Signore, poiché le acque mi sono entrate fino all'anima; sono fitto in
profondissimo fango che non ha consistenza; sono calato negli abissi del
mare, e la tempesta mi ha sommerso; sono stanco di gridare, la mia voce è
affievolita, gli occhi mi si sciolsero in pianto, ma spero nel mio Dio ( S al 6 8 , 1 - 4 ) .
Con tali pene Dio umilia molto l'anima, ma per poi innalzarla altrettanto. Del
resto la sua provvidenza dispone che, quando i penosi sentimenti si ravvivano
con più veemenza nell'anima, presto anche si assopiscano, perché se così non
fosse, ella in breve si scioglierebbe dal corpo; ma, ripeto, i tratti di tempo nei
quali l'anima sente tutta la sua intima viltà sono ad intervalli. Alcune volte
però ella prova così al vivo il sentimento della sua bassezza, che le sembra di
vedersi aperto dinanzi l'inferno e la perdizione. E davvero può dirsi che
coloro che sono provati in tal guisa, discendano all’Inferno da vivi, e che
facciano in questa vita quel purgatorio che dovrebbero fare nell'altra. E perciò
l'anima che passa per lo stato di contemplazione di cui parliamo, o non
entrerà in purgatorio, o vi sarà trattenuta ben poco, perché giova più
un'ora di pena di qua che molte di là.
2N CAPITOLO 7
PRO SEGU END O LA STESSA MATER IA SI PARLA DI ALTRE AFF LIZIO NI E ANG UST IE DE LLA
VO LON TÀ
2 - Così numerose e acerbe sono le pene di questa notte, e tanti sono i testi
della Scrittura che a tal proposito si potrebbero allegare, che ci
mancherebbero il tempo e le forze per scriverli, e poi senza dubbio tutto ciò
che si può dire è sempre poco; però dai testi già citati potremo farcene una
qualche idea. Per concludere questo verso e per far meglio comprendere ciò
che è questa notte dello spirito, riporterò quello che ne dice Geremia, con le
seguenti parole piene di pianto: Io sono tal uomo che vedo la mia povertà
sotto la verga dell'ira sua. Mi ha condotto e tratto dalle tenebre, e non alla
luce. Non ha fatto altro che voltarmi e rivoltarmi tra le sue mani
continuamente: ha fatto invecchiare la mia pelle e la mia carne: ha stritolato
le mie ossa; ha alzato un muro intorno a me, e mi ha circondato di amarezze e
di affanni. Mi collocò in luoghi tenebrosi, come quei che sono morti per
sempre. Mi serrò con mura all'intorno, perché io non ne esca; aggravò i ceppi
al mio piede. Ed oltre a ciò, quando io con alte grida lo pregherò, avrà già
escluso la mia orazione. Chiuse le mie vie con grosse pietre squadrate,
disperse le tracce dei miei sentieri. Egli è divenuto per me qual orso che sta in
agguato, come leone nel suo nascondiglio. Ha disperso le tracce dei miei
sentieri, e mi ha stritolato: mi ha abbandonato alla desolazione. Tese il suo
arco e mi pose come segno ai suoi strali: nei miei reni ha confitto le frecce
della sua faretra. Sono divenuto il ludibrio di tutto il mio popolo, la loro
canzone per tutto il giorno. Mi ha riempito di amarezza e inebriato di
assenzio. Ad uno ad uno mi ha spezzato i denti, mi ha cibato di cenere. La
pace è, bandita dall'anima mia: non mi ricordo più che cosa sia il bene. Ed io
dissi: Andò a vuoto il mio fine e ciò che mi aspettavo dal Signore. Ricordati
della mia miseria, miseria senza limite, e dell'assenzio e del fiele. Queste cose
avrò di continuo alla memoria, e l'anima mia si struggerà, dentro di me ( T h r e n .
3,1-20)
.
3 - Con tutti questi pianti che Geremia fa sopra i suoi dolori e travagli,
dipinge molto al vivo ciò che l'anima patisce nella purgazione della notte
spirituale. Ben merita tutta la nostra compassione l'anima confinata da Dio in
questa tempestosa e orrenda notte. È vero, sì, che ella ha incontrato una sorte
assai felice, a motivo degli inestimabili beni che da tal notte le dovranno
provenire allorché, come dice Giobbe, Dio susciterà dalle tenebre, beni
immensi, e convertirà in luce l'ombra di morte ( G b 1 2 , 2 2 ) ; di modo che, secondo
il detto di Davide, la luce dell'anima sarà uguale alle precedenti sue tenebre
(Sal 138,12)
. Ma, ciò nonostante, e per la pena atroce che soffre attualmente, e per
la grande incertezza del rimedio, è degna di grande commiserazione e pietà.
Ella crede, al pari di Geremia, che i suoi mali non dovranno aver fine,
sembrandole, come dice anche Davide, che Dio l'abbia collocata nelle tenebre
come i morti in eterno; ond'è che il suo spirito n'è angustiato e il cuore
turbato dentro di lei ( S a l 1 4 2 ,4 ) . Inoltre, a cagione del solitario abbandono della
presente notte, si aggiunge il non trovare consolazione e appoggio in alcuna
dottrina, né in nessun maestro spirituale; poiché, quand'anche altri faccia tutto
il possibile per dimostrarle i motivi che essa ha di confortarsi in vista dei beni
racchiusi nelle sue pene, non riesce a persuadersi. Essendo affatto assorbita e
immersa in quel sentimento di mali, nel quale vede in modo chiarissimo le
proprie miserie, pensa che coloro che le suggeriscono parole
d'incoraggiamento, lo facciano perché, non vedendo ciò ch'ella vede e sente,
non possono arrivare ad intenderla, e quindi, invece di conforto, ne ricava
piuttosto nuovo dolore, sembrandole che non sia quello il rimedio del suo
male. Ed invero è proprio così, perché fintanto che il Signore non finisce di
purgarla nella maniera da Lui voluta, non c'è alcun rimedio che valga a lenire
il suo dolore. Tanto più se si rifletta che l'anima in queste condizioni può
molto poco, a guisa di chi è rinchiuso in un oscuro sotterraneo con i piedi e le
mani legate, senza potersi muovere né vedere, né ricevere alcun aiuto da
chicchessia: e ciò, finché lo spirito non si ammorbidisca, si umili e purifichi,
e si renda tanto sottile, semplice e delicato che possa divenire tutta una cosa
con lo spirito di Dio, secondo il grado di amorosa unione, che la divina
misericordia vorrà concedergli: ché, in conformità di questo grado, la
purgazione è più o meno intensa, di maggiore o minore durata.
6 - Però questo pensiero le passa in mente il meno delle volte, poiché fino a
quando la purgazione spirituale non sia perfetta, assai di rado la soave
comunicazione suol essere tanto abbondante da nasconderle quella radice
d'impurezza rimasta, e da far sì che l'anima non senta nel suo interno che le
manca o sta per succederle un non so che, il quale non le permette di gustare
completamente di quel sollievo. Sente dentro di sé, direi quasi, un nemico
che, sebbene sua quieto e addormentato, fa temere che tornerà a destarsi e
farne qualcuna delle sue. Infatti così è, poiché quando l'anima è più sicura e
meno se l'aspetta, il nemico di nuovo l'assale e l'ingoia, riducendola in
condizioni peggiori, più dure e lacrimevoli del passato, le quali dureranno un
altro spazio di tempo, forse più lungo del primo. E qui l'anima viene a credere
un’altra volta che tutti i beni siano scomparsi per sempre: ché l'esperienza del
bene goduto dopo il primo travaglio, durante il quale era afflitta dal
medesimo pensiero, non basta a rassicurarla, in questo secondo affanno, che
tutto il bene non è finito per lei, ma tornerà come l'altra volta. Quella triste
persuasione dell'anima nasce, ripeto, dall'attuale apprensione dello spirito, la
quale annichila in esso ogni opposto sentimento di gaudio.
7 - Questa è la causa per cui le anime del purgatorio sono tormentate da gravi
dubbi circa la loro liberazione e il termine delle loro pene. Sebbene abbiano
abitualmente le tre virtù teologali, fede, speranza e carità, nondimeno l'attuale
sentimento delle pene e della privazione di Dio, non permette loro di godere
dell'attuale conforto di queste virtù. E quantunque conoscano di amare il
Signore, questa cognizione non le consola, perché ad esse non sembra di
esserne riamate, reputandosi indegne di amore. Che anzi, vedendosi prive di
Lui e oppresse dalle loro miserie, credono di avere in sé tanto male da
meritare di essere aborrite e scacciate per sempre da Dio con molta ragione
[ O g n u n o è l i b e r o d i d i s s en t i r e d a c i ò ch e si d i c e i n q u es t o b r a n o . F o r s e i l S . D o t t o r e , p i ù c h e u n ' o p i n i o n e p r o p r i a ,
riferisce quella di pochi teologi, e se ne serve per istituire una comparazione adatta e utile al suo intento. Comunque
.
c e r t o è c h e e g l i q u i n o n t r a t t a d i p r o p o s i t o d e l l e p e n e d e l P u rg a t o r i o , m a d e l l e p e n e d e l l ' a n i m a n e l l a N o t t e o s c u r a ]
Non altrimenti, l'anima posta nella purgazione della notte oscura, ancorché
sappia che vuol bene a Dio e che darebbe mille vite per Lui (ed infatti tali
anime nei loro patimenti amano veramente il Signore di un amore efficace),
tuttavia non trae conforto da questo pensiero, anzi pena maggiore. Poiché,
mentre ella ama il Signore, tanto che non ha altra cosa più a cuore, d'altra
parte si vede troppo miserabile per credere che Dio l’ami e, lungi dal trovare
in sé qualche merito per essere amata, scopre piuttosto molti motivi di essere
aborrita, non solo da Lui, ma da qualsivoglia creatura; e quindi si duole di
scorgere in sé ragioni tali, che la rendono degna di essere ripudiata da Colui
che essa pur tanto ama e desidera.
2N CAPITOLO 8
ALTRE PEN E CH E AFFL IGG ON O L ' AN IMA NE LLA NO TTE DEL LO SPIRITO
1 - Un'altra cosa che molto contrista e tormenta l’anima è che l'oscura notte le
tiene le potenze e gli affetti così impediti, che non può innalzare come prima
l’affetto e la mente a Dio, né lo può pregare, sembrando a lei, come a
Geremia, che Dio le abbia posto una nube davanti, perché non passi la sua
orazione ( T h r e n . 3 , 4 4 ) : il che equivale a ciò che lo stesso Profeta dice nel testo già
allegato: Chiuse le mie vie con grosse pietre squadrate ( T h r e n . 3 , 9 ) . Se poi alcune
volte prega, ciò avviene con tanta aridità e insipidezza, che le pare che Dio
non l'ascolti e non faccia caso di lei, come il Profeta aggiunge nel medesimo
testo, dicendo: Quando io con alte grida lo pregherò, avrà già escluso la mia
orazione (T h re n . 3 , 8 ) . In verità, non è questo il tempo di parlare con Dio, ma di
mettere, a detta di Geremia, la bocca nella polvere ( T h r e n . 3 , 2 9 ) , e vedere sei mai
spuntasse qualche barlume di attuale speranza, soffrendo con pazienza la
propria purgazione. Dio è quegli che ora agisce nell'anima: e perciò essa non
può nulla. Non è capace di pregare o assistere con attenzione alle cose
divine, e neppure di attendere a qualsiasi faccenda temporale ; anzi bene
spesso va soggetta a tali divagazioni e sì profondi oblii nella memoria, che le
trascorrono molti tratti di tempo senza sapere poi ciò che abbia fatto o
pensato, né che cosa sia quello che sta facendo od è per fare, né può stare
attenta, per quanto voglia, a cosa alcuna che faccia.
2 - La ragione è che in questo stato, non solo l'intelletto si purga dal suo lume
e la volontà dai suoi affetti, ma anche la memoria dai suoi discorsi e notizie; e
perciò conviene che pure la memoria sia annichilita intorno a dette cose,
affinché si adempia ciò che Davide afferma essergli accaduto in questa
purgazione: Io fui annichilito, e non seppi ( S a l 7 2 , 2 1 ) . Questo non sapere si
riferisce alle alienazioni e dimenticanze della memoria, le quali sono causate
dall'interno raccoglimento in cui la contemplazione assorbe l'anima. Ed
invero, affinché l'anima sia temprata e disposta alla divina unione di amore,
era necessario che primieramente ella fosse immersa con le sue potenze
nell'oscura luce spirituale di contemplazione, e così fosse astratta da tutti gli
affetti ed apprensioni delle creature: il che regolarmente dura a seconda
dell'intensità di essa luce. Onde, quanto più semplicemente e puramente
questa divina luce investe l'anima, tanto più l'ottenebra, la vuota e l'annichila
circa le sue apprensioni e i suoi affetti particolari, riguardanti sì le cose
celesti che le terrene; ed all'opposto, quanto meno è pura e semplice
nell'investirla, tanto meno la priva, e le si rende meno oscura. Pare incredibile
che la luce soprannaturale e divina tanto più offuschi l'anima quanto più
possiede di splendore e purezza, e viceversa: ma ciò ben s'intenderà, se si
rifletta a quello che più sopra abbiamo provato circa la sentenza del Filosofo,
vale a dire che le cose soprannaturali riescono oscure al nostro intelletto, a
misura che in sé sono chiare e manifeste.
2N CAPITOLO 9
1 - Resta ora da dire come la notte oscura, ancorché ottenebri lo spirito, non
lo fa che per illuminarlo circa tutte le cose; se lo umilia e lo rende miserabile,
non è che per esaltarlo; lo impoverisce e vuota di ogni possesso ed effetto
naturale, ma solo perché possa divinamente estendersi a godere di tutto ciò
che è celeste e terreno, con grandissima libertà in ogni cosa. Come gli
elementi, a fine di comunicarsi in tutti i composti ed enti naturali, è
necessario che non abbiano alcun particolare colore, odore o sapore, perché
possano concorrere con tutti i sapori, odori e colori; così conviene che lo
spirito sia semplice, puro e nudo di ogni sorta di affetti naturali, sì attuali che
abituali, per poter comunicare con libertà e larghezza di spirito con la divina
sapienza, in cui per la sua limpidezza gusta in modo eminente i sapori di tutte
le cose. Ma, senza la purgazione, in nessuna maniera lo spirito potrà
gustare tutta l'abbondanza dei sapori spirituali sino ad esserne
soddisfatto; perché un solo affetto che abbia, o una cosa particolare a cui sia
legato attualmente o abitualmente, basta perché non senta né riceva il delicato
e intimo sapore dello spirito di amore, che in modo eminente contiene in sé
tutti i sapori.
2 - Sappiamo infatti che i figli d'Israele solo per il memore affetto che
portavano alle carni ed ad altri cibi mangiati in Egitto ( E s 1 6 , 3 ) , diventavano
incapaci di trovare soddisfazione nel delicato pane degli angeli, ossia nella
manna che, come dice la Scrittura, conteneva la soavità di tutti i sapori,
adattandosi al gusto di ciascuno che ne mangiava ( S a p 1 6 , 2 1 ) . Orbene, in maniera
simile, l'anima che è legata a qualche attuale o abituale affetto, a idee e
apprensioni particolari, non può giungere a godere i diletti dello spirito di
libertà, secondo che la volontà desidera. La ragione di questo è che le
apprensioni, gli affetti e i sentimenti dello spirito perfetto, essendo divini,
sono di genere ben diverso ed eminentemente superiori a quelli naturali; e
quindi per possedere attualmente e abitualmente gli uni, si devono espellere e
annientare gli altri, perché due contrari non possono andare uniti in un
medesimo soggetto. Pertanto, affinché l'anima passi al godimento delle divine
grandezze, è necessario primieramente che la notte oscura di contemplazione
l'annichili e distrugga circa le sue bassezze, mettendola al buio, nell'aridità e
nel vuoto di ogni cosa; perché la luce che le si dovrà infondere è veramente
un'altissima luce divina che sorpassa ogni altra naturale, e non può essere
accolta naturalmente nell’intelletto.
4 - Notiamo altresì che, per mezzo dell'unione divina a cui viene disposta
dalla notte oscura, l'anima dovrà essere dotata di una certa gloriosa
magnificenza, perché la comunicazione con Dio racchiude in sé innumerevoli
beni e diletti che eccedono tutta l'abbondanza che l'anima, fiacca ed impura
com'è, può possedere naturalmente, secondo il detto d'Isaia: Né occhio vide,
né orecchio udì, né cadde in pensiero umano quello che Dio preparò a coloro
che lo amano ( I s 6 4 , 4 ) . Ciò posto, bisogna che primieramente l'anima sia ridotta
in povertà di spirito, privata di ogni sostegno, conforto e apprensione naturale
di qualsiasi cosa celeste e terrena, affinché così spogliata dell'uomo vecchio
possa vivere una vita nuova e beata che si ottiene per mezzo della notte
oscura, ed è lo stato di unione con Dio.
5 - Di più, l'anima dovrà giungere ad avere un sentimento ed una cognizione
divina molto sublime e saporosa, intorno a tutte le cose divine e umane che
non cadono nel sentimento comune e nel naturale sapere di lei: le mirerà,
infatti, con occhio tanto diverso da quello di prima, quanto differisce la luce e
la grazia dello Spirito Santo dal senso, il divino dall'umano. Perciò è,
necessario che lo spirito si raffini e si ritiri dal comune, e naturale modo di
sentire, e per mezzo della contemplazione purgativa si ponga in grande
angustia e strettezza, e che la memoria sia remota da ogni amichevole, e
pacifica notizia, abbia un senso molto intimo di lontananza da tutte le cose, di
modo che queste le paiano affatto estranee e differenti da prima. Difatti, la
notte oscura va cavando lo spirito dalla ordinaria e comune maniera di
sentire le cose, per trasferirlo a quella divina, che è lontana e diversa da ogni
maniera umana. Qui all'anima sembra di andare fuori di sé, in pena. Alcune
volte dubita se quello che prova sia un incanto o intontimento, e si meraviglia
delle cose che vede e ascolta, parendole molto strane e insolite, quantunque
siano le medesime che prima ordinariamente soleva trattare. Ciò dipende
appunto dal fatto che l'anima si va facendo sempre più remota dalla notizia e
dal senso comune delle cose, acciocché, annichilita in questo, resti informata
nel senso divino, che è più proprio dell'altra vita che della presente.
8 - Questi sono gli effetti prodotti nell'anima dalla notte oscura, che ricopre le
speranze della luce del giorno. A questo proposito anche il Profeta Giobbe
dice: Durante la notte la mia bocca è perforata dai dolori, e coloro che mi
divorano, non dormono ( G b 3 0 , 1 7 ) . Qui per bocca s'intende la volontà, la quale è
trafitta dalle pene, ossia dai dubbi e dai timori, che non cessano mai di
lacerare l'anima.
2N CAPITOLO 10
1 - Per maggior chiarezza di ciò che si è detto e si dirà, giova qui notare che
la purgativa e amorosa notizia o luce divina di cui parliamo, così opera
nell'anima, purgandola e disponendola per unirla a sé perfettamente, come il
fuoco in un legno per trasformarlo in sé. Quando il fuoco materiale si applica
al legno, prima di ogni altra cosa comincia a disseccarlo, traendone fuori
l'umidità e facendo gemere l'umore che contiene. Di poi lo annerisce e gli fa
tramandare anche cattivo odore: e mentre a poco a poco lo dissecca, ne trae
alla luce e toglie tutti gli spiacevoli ed oscuri accidenti, contrari al fuoco.
Finalmente comincia a riscaldarlo al di fuori, l'infiamma, lo trasforma in
sé, rendendolo tanto bello come il fuoco stesso. Ridotto a questo termine, il
legno ormai non ha più alcuna azione o passione sua propria, ma eccetto la
gravità e la quantità che è più densa, del fuoco possiede tutte le proprietà
ed azioni: è secco e dissecca; è caldo e riscalda; è chiaro e rischiara, ed è
molto più leggero di prima, avendogli il fuoco comunicato tutte queste
proprietà.
6 - Quarto: Possiamo inferire che, mentre l’anima si purifica per mezzo del
fuoco d'amore, in esso s’infiamma sempre più: come il legno a mano a mano
che si dispone ad accendersi, si riscalda sempre più. Però l'anima non sempre
si accorge di questa infiammazione d'amore, ma le sole volte che la
contemplazione l'investe meno intensamente. Allora l'anima ha la possibilità
di contemplare, godendone, il lavoro che si va facendo, perché le viene
mostrato. Sembra, infatti, che qualcuno levi la mano dall'opera e tragga fuori
il ferro dalla fornace, affinché appaia in qualche modo il lavoro che è stato
fatto intorno ad esso; e allora l'anima ha campo di osservare in sé il bene che
non vedeva nel corso dell'opera: non altrimenti, quando la fiamma cessa di
agire nel legno, si scorge bene quanto lo abbia acceso.
7 - Quinto: Capiremo sempre meglio quello che abbiamo già detto, cioè
quanto sia vero che, dopo il temporaneo alleggerimento di pena, l'anima
ritorna a patire più intensamente e sottilmente di prima, poiché, dopo quella
mostra che le si fa quando sono già purificate le sue imperfezioni più esterne,
il fuoco di amore torna a investirla per purificarla più addentro. Ed allora le
pene dell'anima sono tanto più intime, sottili e spirituali, quanto più il fuoco
le va consumando le più minute e spirituali imperfezioni, radicate nelle sue
più riposte fibre. Alla stessa maniera accade nel legno: quanto più il fuoco vi
penetra, tanto con maggior forza e furore ne dispone le parti più interne per
possederle.
8 - Sesto: Appare chiaramente che la causa per cui all'anima sembra di aver
perduto ogni bene ed essere piena di mali, è che nessun'altra cosa la tocca
ma tutto le è amarezza: come il legno che, mentre arde, non è avvicinato né
dall'aria né da altro refrigerio, ma solo da fiamme divoratrici. Ma, dopo che
saranno state fatte altre mostre [= manifestazioni?] come le prime, l’anima
godrà più intimamente, perché più profonda fu la purificazione.
2N CAPITOLO 11
6 - Questa è la causa per cui l'anima nel verso dice: Con ansie, d'amor tutta
infiammata. Poiché, e in tutti i pensieri che tra sé volge, e in tutte le faccende
e casi che le si presentano, ama e desidera in molti modi, e desiderando soffre
in mille guise, in ogni tempo e luogo, senza mai trovare riposo in cosa alcuna,
sempre infiammata e ferita dall'amore. Tali ansie amorose sono bellamente
descritte dal santo Giobbe con queste parole: Come il servo desidera la sera, e
il mercenario aspetta la fine del suo lavoro così io il ristoro: ma io, invece,
trascorsi mesi vuoti di ogni sollievo, e contai notti lunghe e dolorose. Se mi
metto a dormire, dico: Quando mi leverò? E di poi bramerò di nuovo che torni
la sera, e sarò pieno di affanni sino alle tenebre della notte ( G b 7 , 2 - 4 ) . Per
l'anima che si trova in tali condizioni, tutto diventa angusto: non cape in sé,
né in cielo né in terra, e, come dice Giobbe, si riempie di dolori fino alle
tenebre, le quali, parlando spiritualmente e al nostro proposito, consistono nel
soffrire senza conforto di speranza certa di qualche luce e bene spirituale.
Quindi l'anima nelle sue ansie penose doppiamente patisce: primo, da parte
delle tenebre spirituali in cui si vede, che con i loro dubbi e timori
l'affliggono; secondo, da parte dell'amore di Dio che l'infiamma e ferisce con
la sua freccia amorosa, attizzandola meravigliosamente. Queste due maniere
di patire sono assai bene espresse dal Profeta Isaia che dice: L'anima mia
desidera te durante la notte ( I s 2 6 , 9 ) , cioè nella miseria.
2N CAPITOLO 12
SI DICE CH E QU ESTA ORR IB ILE NO TTE È UN VER O PU RGATO RIO , N EL QU ALE LA DIVINA
SAPIEN ZA ILLUMIN A GL I U OMIN I IN TER RA CO N LA STESSA ILLUST RAZION E CO N C UI
PURG A E ILLUMIN A GL I AN GELI IN CIELO
3 - Onde possiamo anche inferire che le anime sono illuminate quaggiù dalla
medesima Sapienza Divina, che purga gli angeli dalle loro ignoranze (dando
loro a conoscere ciò che prima non sapevano), derivando essa da Dio alle
supreme gerarchie, da queste sino alle ultime, e da esse agli uomini. Perciò
nella Scrittura con verità e proprietà si dice che tutte le ispirazioni angeliche
provengono da Dio e dagli angeli insieme; perché ordinariamente Dio le
comunica per loro mezzo ed essi le trasmettono gli uni agli altri, senza alcun
indugio: come un raggio di sole che passi per molte invetriate disposte in fila.
In tale ipotesi, benché il raggio passasse da sé per tutte, nondimeno ciascuna
lo trasmetterebbe all'altra più modificato secondo la propria qualità, e più o
meno intensamente, secondo che è più o meno vicina al sole.
4 - Donde ne segue che gli spiriti superiori e inferiori, più sono vicini a Dio, e
più sono purgati e illuminati con una più generale purificazione; gli ultimi poi
la riceveranno molto più tenue e remota. Ora, poiché l'uomo occupa l'ultimo
posto o grado nella scala degli esseri spirituali riceverà, quando Dio vorrà
derivarla sino a lui, l’amorosa contemplazione in un modo assai limitato e con
pena. Mentre la luce di Dio, illuminando l'angelo, lo rischiara e soavizza in
amore come puro spirito disposto a tale infusione, al contrario, illuminando
l'uomo, l'oscura e gli dà pena, a cagione della di lui impurità e fiacchezza,
come fa il sole con l'occhio infermo. Lo innamora con pena e afflizione fino a
che questo medesimo fuoco amoroso lo spiritualizza e lo assottiglia,
purificandolo fino al punto che possa ricevere con soavità l’unione
dell'amoroso influsso a modo degli angeli, come in seguito si vedrà. Ma
frattanto, prima di giungere a tal punto, l'anima riceve l'amorosa notizia di
contemplazione con quell'angustia ed ansia di amore che stiamo dicendo.
7 - Da ciò che abbiamo detto, si deduce che nei beni spirituali passivamente
infusi nell'anima da Dio, la volontà ben può amare senza che l'intelletto
intenda: come pure l'intelletto può intendere senza che la volontà ami;
perché la notte oscura di contemplazione consta di luce divina e amore, come
il fuoco contiene luce e calore. Può darsi quindi benissimo che alcune volte la
luce amorosa ferisca la volontà infiammandola col suo amore, ma lasci al buio
l'intelletto, senza ferirlo con la sua luce; viceversa, altre volte potrà accadere
che illumini l'intelletto con luce d'intelligenza, lasciando arida la volontà:
come si può ricevere il calore dal fuoco senza vederne la luce, oppure vedere
la sua luce senza riceverne il calore. Del resto, tutto ciò è opera del Signore,
che infonde come vuole.
2N CAPITOLO 13
ALTRI GU STOSI EFF ETTI CH E LA NO TTE OSCU RA DI CO NTEMPL AZION E PRO DUC E
NE LL ' AN IMA
2 - Non di rado la luce divina ferisce, oltre che l'intelletto, anche la volontà; e
allora il fuoco dell'amore si apprende in una maniera elevata, tenera e forte.
Abbiamo già detto, infatti, che talora le due potenze si uniscono, e tanto più
perfettamente e delicatamente, quanto più l'intelletto si va purgando. Ma,
prima di arrivare a questo punto, è cosa più ordinaria sentire il tocco
dell'infiammazione nella volontà, che non quello dell'intelligenza
nell'intelletto.
3 - Ma qui può sorgere un dubbio: Se, dunque, queste due potenze si vanno
purgando insieme, perché al principio si sente nella volontà l'amoroso ardore
della contemplazione purgativa, più spesso che l'intelligenza di questa
nell'intelletto ? A tale obbiezione rispondo che l'amore passivo non ferisce
direttamente la volontà, perché questa è libera. L'infiammazione amorosa è
più passione di amore che atto libero della volontà, perché va a ferire la
sostanza dell'anima, e quindi muove gli affetti passivamente; e così questa si
chiama meglio passione di amore che atto libero della volontà, perché questo
in tanto si chiama atto della volontà in quanto è libero. Ma, poiché queste
passioni e affetti si riducono alla volontà, quando l'anima è appassionata con
qualche affezione, si dice che lo è la volontà; la quale, invero, in tal caso
diventa schiava, perde la sua libertà, e viene trascinata dal forte impeto
della passione. Pertanto possiamo dire che l'infiammazione di amore è nella
volontà, ossia accende l'appetito di essa, e perciò, si chiama, ripeto, passione
di amore piuttosto che atto libero della volontà. D'altra parte, soltanto la
facoltà ricettiva dell'intelletto può ricevere l'intelligenza nudamente e
passivamente, e ciò non può, se non e purgato. Quindi, prima che questo
avvenga, l'anima sente il tocco dell'intelligenza meno spesso che quello
dell'amore; per sentire il quale non è necessario che la volontà sia molto
purgata dalle passioni, perché anche queste l'aiutano a sentire amore
appassionato.
8 - Di tal tempra, dunque, sono le ansie amorose che prova l'anima già
progredita nel cammino della purgazione spirituale. Infatti, si leva di
nottetempo (ossia durante le tenebre purgative) secondo gli affetti della
volontà; e, come una leonessa o l'orsa corre ansiosa in cerca dei suoi nati
allorché le furono rapiti e non li trova, così l'anima ferita di amore va in
traccia del suo Dio, perché nelle tenebre in cui giace le pare di esserne priva,
e muore dal desiderio di Lui. Questo è l'amore impaziente, in cui l'uomo
non può durare a lungo senza ottenere o morire: amore simile a quello che
Rachele dimostrò per i figli quando disse a Giacobbe: Dammi dei figli, perché
altrimenti morrò ( G e n 3 0 , 1 ) .
9 - Bisogna però riflettere perché mai l'anima, pur sentendosi così miserabile
e indegna di Dio nel suo stato di tenebre purgative, abbia nondimeno tanto
coraggio e ardire di aspirare all'unione divina. La ragione è che l'amore stesso
le dà forze per amare davvero, ed è proprio dell'amore che l'amante si
voglia unire, uguagliare e rendere simile alla cosa amata, per
perfezionarsi nel bene dell'amore. Ora, se da una parte l'anima non è
perfetta in amore, non essendo ancora giunta all'unione, dall'altra però,
mediante le forze che l'amore stesso le ha già infuso nella volontà, sente fame
e sete di ciò che le manca, cioè dell'unione a cui l'amore tende. Quindi non fa
meraviglia che l'anima, così appassionata, si faccia audace secondo la volontà
infiammata, malgrado che, secondo l'intelletto non ancora illuminato, si reputi
misera e indegna.
10 - Non voglio qui lasciar di dire la ragione per cui la luce divina,
quantunque sia sempre luce per l'anima, non le si comunica subito appena
l'investe (come avviene in seguito), anzi le causa le tenebre e i travagli che
abbiamo descritti. Intorno a ciò già si disse qualche cosa; però in particolare
risponderemo che le tenebre e tutti gli altri mali che l'anima sente quando
la divina luce l'investe, non sono inerenti alla luce, ma all'anima stessa;
anzi la luce l'illumina perché li discerna. La luce divina sin dal principio
risplende; però con essa l'anima dapprima non può vedere se non quello che
ha più vicino a sé, o per meglio dire, in sé, ossia le sue tenebre e miserie, le
quali ormai conosce per grazia e misericordia di Dio, mentre prima non le
vedeva, perché non era illuminata dalla luce soprannaturale: e questa è la
causa per cui, al principio, nient'altro si sente che tenebre e mali. Ma, dopo
che l'anima sarà purgata mediante la cognizione e il sentimento di questi mali,
allora sì che avrà occhi per vedere i beni ineffabili della luce divina; ed
espulse le imperfezioni e diradate tutte le tenebre, andrà conoscendo
gl'immensi beni e vantaggi che riporta dalla fortunata notte della
contemplazione.
11 - Da tutto ciò che abbiamo detto, si potrà comprendere quanto grande sia la
grazia che Dio fa all'anima nel purificarla e curarla con sì forte ranno e amara
purga, secondo la parte sensitiva e spirituale, da tutte le affezioni e abiti
imperfetti che in sé aveva circa le cose temporali e naturali, sensitive e
spirituali. Le oscura, dunque, e vuota le potenze interne; reprime e inaridisce
in lei gli affetti sensitivi e spirituali, debilitando e assottigliando le sue forze
naturali, il che l'anima non potrebbe mai conseguire da se stessa, come
appresso diremo. Insomma, fa sì che l'anima naturalmente venga meno
rispetto a tutto ciò che non è Dio; affinché, spogliata e scorticata della sua
antica pelle, rinnovi come l’aquila la sua gioventù ( S al 1 0 3 , 5 ) , rivestendosi
dell'uomo nuovo che al dire dell'Apostolo, è creato secondo Dio (E f 4 , 2 4 ) . Ciò
non altro significa, se non che l’anima viene illuminata dalla luce
soprannaturale in modo che l'intelletto umano, unito al divino, diventi
divino. Parimenti Dio infiamma la volontà con divino amore, di maniera che
essa ormai non sia meno che divina, ma ami divinamente, divenuta una sola
cosa con la volontà e l'amore di Dio. Lo stesso dicasi della memoria, come
pure degli affetti e degli appetiti, tutti divinamente trasformati secondo
Dio. Onde una tale anima potrà chiamarsi celeste, più divina che umana.
Dio, dunque, per mezzo della notte dello spirito, produce nell'anima tutti i
meravigliosi effetti che abbiamo descritto, illuminandola e accendendola di
ardenti brame di solo amor divino, non di alcun'altra cosa. Pertanto, lieta
della sua fortunata sorte, l'anima a buon diritto esclama: O felice ventura!
2N CAPITOLO 14
1 - Nel primo dei seguenti versi l'anima esprime l'impeto della sua gioia per la
felice sorte che le è toccata e che ella descrive negli altri due:
Oh felice ventura!
Uscii né fui notata,
Stando già la mia casa addormentata.
Quindi l'anima prende la metafora di colui che, per meglio sbrigare le sue
faccende, esce di casa nel cuor della notte, mentre i suoi familiari sono
immersi nel sonno, affinché nessuno glielo impedisca. Dovendo l'anima
uscire a compiere un'impresa così eroica e rara, qual è unirsi col suo Amato
divino, esce fuori, perché Egli non si trova se non fuori, solo, nella
solitudine. E per questo la Sposa dei Cantici desiderava trovarlo solo,
dicendo: Chi mi darà di trovarti fuori, fratello mio, e comunicare con te il mio
amore? ( C t 8 ,1 ) Era pur necessario all'anima innamorata, per conseguire il suo
fine bramato, che facesse precisamente così, che uscisse cioè di nottetempo,
addormentato che fossero tutti i familiari, ossia le sue basse operazioni, le
passioni e gli appetiti, sopiti e spenti per mezzo della notte oscura. Essi
sono la gente di casa sua, e finché sono desti, sempre le impediscono il suo
vero bene, e mal sopportano ch'ella se n'esca libera dalle loro mani. Proprio
essi sono i domestici che il nostro Salvatore nel Santo Vangelo chiama nemici
dell'uomo ( M t 1 0 , 3 6 ) . Quindi conveniva che questi domestici fossero
addormentati, perché non impedissero all'anima i beni soprannaturali
dell'amorosa unione con Dio, la quale fintanto che quelli sono svegli ed
operano, non si può ottenere. Tutte le loro operazioni e movimenti naturali,
anziché aiutare, sono di ostacolo a ricevere i beni spirituali dell'unione di
amore, perché rispetto a questi, qualunque abilità naturale è del tutto
insufficiente: Dio solo è quegli che li infonde nell'anima passivamente e
segretamente ed in silenzio. È necessario, quindi, che tutte le potenze li
ricevano in modo passivo, senza cioè intromettervi la propria bassa opera e
vile inclinazione.
2 - Fu, dunque, per l'anima una felice ventura che Dio nella notte oscura le
assopisse tutta la gente di casa sua, cioè tutte le potenze, le passioni, gli
affetti e gli appetiti che vivono nella parte sensitiva e spirituale, affinché
ella senza essere notata, ossia senza essere trattenuta da loro (poiché
rimangono addormentati, cioè mortificati e al buio, affinché di niente si
accorgano, ne sentano secondo il loro modo basso e naturale, e perciò non
impediscano all'anima di uscire di sé e dalla casa della sua sensualità),
potesse giungere all'unione spirituale del perfetto amor di Dio.
3 - O che sorte beata è per l'anima il potersi liberare dalla casa della sua
sensualità! Non lo può bene intendere, a mio avviso, se non l'anima che lo
prova. Questa vedrà chiaramente a qual dura servitù era sottoposta e a quante
miserie andava soggetta, quando era schiava dell'opera delle sue potenze e
appetiti; conoscerà come la vita dello spirito è vera libertà e ricchezza che
trae con sé beni inestimabili. Di alcuni di questi faremo cenno nelle strofe
seguenti, in cui meglio s'intenderà con quanta ragione l'anima reputi felice
ventura il passaggio dell'orrenda notte dello spirito.
2N CAPITOLO 15
2N CAPITOLO 16
SI SPIEG A COME L ' AN IMA , PU R CAMMIN AND O AL BU IO , VADA SICU RA
1 - Già abbiamo detto che l'oscurità a cui l'anima qui allude, riguarda gli
appetiti e le potenze sensitive, interiori e spirituali, perché tutte in questa
notte si oscurano del proprio lume naturale, affinché purgandosi rispetto a
questo, possano essere illuminate dalla luce soprannaturale. Ora, infatti, gli
appetiti sensitivi e spirituali sono sopiti e mortificati, senza poter gustare di
cosa alcuna, né divina ne umana; le affezioni dell'anima sono oppresse, e non
possono muoversi, ne trovare appoggio in nessuna cosa; l'immaginazione è
legata e non può fare un discorso concludente; la memoria estinta;
l'intelletto offuscato, e quindi anche la volontà arida e angustiata, e tutte
le potenze vuote; ma, quel che è più, una densa e pesante nube grava
sull'anima e la tiene in mille affanni, quasi fosse lontana da Dio. Eppure
l'anima dice che andava sicura nel buio.
3 - Ne segue, quindi, che quanto più l'anima è all'oscuro e vuota delle sue
operazioni naturali, tanto più va sicura. Ben a ragione il Profeta Osea disse
che la perdizione dell'anima proviene da lei stessa ( O s 1 3 , 9 ) , cioè dalle sue
operazioni e dagli appetiti interiori e sensitivi disordinati; e il bene, dice il
Signore, [proviene] solamente da me. Pertanto impediti che siano in lei i suoi
mali, resta che subito subentrino i beni dell'unione divina nelle sue potenze e
appetiti, che perciò si renderanno celesti e divini. Ed invero, nel tempo di
queste tenebre, se l'anima vi fa attenzione, riuscirà molto bene a vedere
quanto poco l'appetito e le potenze divaghino in cose inutili e dannose; e
quanto ella stia sicura dalla vanagloria, dalla superbia, dalla presunzione, dal
vano e falso gaudio, e da molte altre miserie. Onde giustamente si conclude
che, andando al buio, l'anima non solo non si perde, ma per così dire
guadagna, poiché fa acquisto di molte virtù.
8 - Inoltre, la causa per cui l'anima, andando al buio, non solo cammina
sicura, ma anche ritrae molto profitto, è perché ordinariamente essa riceve
nuovi miglioramenti e vantaggi per quei mezzi che meno intende, per i quali
anzi molto spesso giudica di trovarsi sulla strada della perdizione. Non
avendo mai sperimentato quella novità che la sconcerta e la fa uscire dal suo
primiero modo di procedere, non è meraviglia se crede di perdersi piuttosto
che battere una via sicura, poiché vede che certamente si perde intorno a ciò
che sapeva e gustava, e cammina per dove non sa né gusta. Immaginiamo un
viandante che muove alla volta di un paese lontano. Egli è costretto a
camminare per strade sconosciute, sempre dubbioso e incerto, non guidato
dalla propria esperienza, ma solo attenendosi alle indicazioni altrui. È
evidente che costui non potrebbe giungere in quella contrada, se non passando
per vie ignote, lasciando quelle che conosceva. Così pure, chi vuol
perfezionarsi in un'arte o scienza, necessariamente esce dall'ambito delle
prime cognizioni per acquistarne delle nuove, e quindi anch'esso va
incontro a ciò che ignora. Orbene, alla stessa guisa, l'anima allora fa maggior
profitto, quando cammina al buio e senza saper dove. Pertanto, essendo ora
Dio il maestro e la guida del cieco, ossia dell'anima, questa ben può, giacché
ormai lo comprende, con verità rallegrarsi e dire:
9 - Vi è poi un'altra ragione per cui l'anima andò sicura tra queste tenebre, ed
è perché vi ha molto sofferto. La via del patire è più sicura ed anche più
profittevole di quella del godere e dell'operare: primo, perché nel patire,
l'anima riceve nuove forze da Dio, mentre nel fare e godere esercita le
proprie debolezze e imperfezioni; secondo, perché nel patire si esercitano ed
acquistano le virtù, e l'anima si purifica e si rende più saggia e prudente.
10 - Ma la causa principale per cui l'anima va sicura al buio, è da parte della
suddetta luce o sapienza oscura: poiché la notte della contemplazione l'astrae
talmente e la mette così vicino a Dio, che la protegge e libera da tutto ciò che
non è Lui. E invero, essendo posta sotto cura a fine di conseguire la propria
salute, che è Dio stesso, Sua Divina Maestà la tiene a digiuno di tutte le cose,
e gliene fa perdere l'appetito: precisamente come facciamo noi con una
persona inferma molto cara, che teniamo ben custodita in casa, senza lasciarle
prendere aria, né veder luce né udire alcun calpestio o rumore,
somministrandole cibi molto delicati e con misura, più sostanziosi che
saporiti.
12 - O misera condizione della nostra vita, in cui si vive con tanto pericolo
e così difficilmente si conosce la verità! Poiché, ciò che è più chiaro e vero
diventa per noi più oscuro e dubbio, e per questo lo fuggiamo, mentre è quello
che più ci conviene; viceversa, ciò che più risplende e sazia il nostro occhio,
lo abbracciamo e gli andiamo appresso, mentre è per noi la cosa peggiore che
ad ogni passo ci fa inciampare. In quanto pericolo e timore vive l'uomo,
poiché la stessa luce naturale dei suoi occhi, con la quale dovrebbe
guidarsi, è la prima che l'abbaglia ed inganna nell'andare a Dio! E se pur
vuole riuscire a scorgere per dove passa, è necessario che cammini ad occhi
chiusi ed al buio, per essere sicuri dai nemici domestici, che sono i suoi sensi
e le sue potenze!
14 - Non manca un'altra ragione non meno valida della precedente, per
intendere sempre meglio come l'anima cammini con sicurezza al buio, ed è
che la penosa e tenebrosa acqua di Dio le infonde gran forza, sin dal
principio: poiché alla fine, benché sia tenebrosa, è acqua; e perciò non lascerà
di ristorare e fortificare l'anima in ciò che più le conviene, quantunque ciò
accada al buio e con pena. Difatti l'anima ben presto vede in sé una vera ed
efficace determinazione a non fare ciò che intende essere offesa di Dio, né
di omettere alcuna cosa che riguardi il di Lui servizio. Imbevuta di
quell'amore oscuro, nutre un pensiero assai vigilante e sollecito di ciò che
deve fare o lasciare per piacere al Signore, esaminando e scrutando mille
volte se stessa per vedere se mai in qualche modo lo avesse offeso: e tutto ciò
con molto maggior cura e attenzione di prima, come sopra abbiamo detto a
proposito delle ansie di amore. Tutti gli appetiti, tutte le forze e le potenze
dell'anima, essendo ora raccolte e aliene da ogni altra cosa, impiegano tutta la
loro virtù soltanto in ossequio del loro Dio. In tal guisa l'anima esce da se
stessa e da tutte le, cose create, avviandosi alla dolce e dilettevole unione di
amor di Dio:
2N CAPTOLO 17
3 - Ma non solo si può chiamare segreta per questa ragione, ma anche per gli
effetti che produce nell'anima. Oltre ad essere segreta allorché in modo
occulto ed inesplicabile purifica l'anima con tenebre e patimenti, rimane
segreta pure in seguito, al tempo della illuminazione, quando più chiaramente
viene comunicata; anche allora, dico, l'anima non la sa discernere, né con qual
nome chiamare, anzi nemmeno desidera di parlarne con alcuno. Del resto poi,
se pur volesse, non saprebbe trovare parole o similitudini adatte ad esprimere
un'intelligenza tanto sublime e un sentimento spirituale così delicato. Dunque,
per quanto l'anima bramasse di spiegarsi ed escogitasse vocaboli a tal fine,
sempre quella sapienza resterebbe segreta ed ineffabile. Essendo la detta
sapienza tanto generale, semplice e spirituale, che non penetrò nell'intelletto
rivestita di alcuna specie o immagine sensibile, ne segue che il senso e
l'immaginativa (non essendo entrata per essi quella cognizione) non ne sanno
niente, e neanche possono figurarsela, benché l'anima veda chiaramente che
intende e gusta quella saporosa e sublime sapienza. Avviene non altrimenti
che se taluno vedesse per la prima volta una cosa del tutto nuova, di cui
neppure avesse mai visto alcunché di simile: di certo, quantunque la
intendesse e gustasse, non la saprebbe nominare, né dire ciò che sia, per
quanto si adoperasse a farsi capire. Che se questo accade, pur trattandosi di
cosa percepita dal sensi, quanto meno dunque si potrà manifestare ciò che
non. si percepì per mezzo loro? Il linguaggio di Dio ha questo di proprio che,
essendo molto intimo, spirituale ed eccedente ogni senso, subito fa cessare e
ammutolire tutta l'armonia e l'abilità dei sensi esterni ed interni.
5 - Da ciò possiamo dedurre quale sia la causa per cui alcune persone buone e
timorose, incamminate nella via della contemplazione, mentre vorrebbero dar
conto di ciò che provano a chi le dirige, non sanno né possono farlo. Hanno
quindi grande ripugnanza a manifestarsi, maggiormente poi quando la
contemplazione è un po' più semplice, tanto che l'anima stessa appena
l'avverte. In tal caso, sanno dire solamente che l'anima loro è soddisfatta,
quieta e contenta, che sentono Dio, e che, a loro giudizio, se la passano bene;
ma non dicono ciò che l'anima possiede, se non in termini generali, simili alle
dette espressioni. Diversamente avviene, però, quando le grazie godute
dall'anima sono particolari (come visioni, sentimenti, ecc.), le quali, essendo
di solito ricevute sotto qualche specie o figura, di cui il senso è partecipe, si
possono riferire sotto quella specie o altra simile. Ma questo poterlo riferire
non appartiene alla pura contemplazione, perché questa è semplicemente
inesprimibile, e perciò si chiama segreta.
2N CAPITOLO 18
2 - Possiamo chiamarla scala anche perché, come nella scala gli stessi gradini
servono per salire e scendere, così pure la segreta contemplazione innalza
l'anima a Dio con le medesime comunicazioni con cui la umilia in se
stessa. Infatti, le comunicazioni che veramente sono da Dio, hanno questo di
particolare che umiliano e innalzano l'anima in pari tempo; poiché in
questo cammino il discendere è salire, e viceversa, cioè chi si umilia è
esaltato, e chi si esalta è umiliato ( L c 1 4 , 11 ) . Oltre che poi la virtù dell'umiltà è
grandezza, Dio suole far salire l'anima su detta scala affinché discenda, e
farla discendere perché salga, acciò si adempia quel che il Savio dice: Prima
che l'anima sia esaltata, è umiliata; e prima di essere umiliata, viene esaltata
(Pro 18,12)
.
2N CAPITOLO 19
1 - Diciamo anzitutto che i gradi della scala amorosa per dove l'anima sale a
Dio, sono dieci. Il primo fa sì che l'anima ammali di amore, con suo
profitto; e in questo grado parla la Sposa quando dice: Vi scongiuro, figlie di
Gerusalemme, che se mai incontraste il mio Diletto, gli diciate che io
languisco di amore Questa infermità però non tende alla morte, ma alla gloria
di Dio, poiché in essa l'anima viene meno al peccato e a tutte le cose che
non sono Dio, per amore di Lui, secondo il detto di Davide: L'anima mia
venne meno cioè intorno a tutte le cose, aspettando da te la salute ( S a l 11 8 , 8 1 ) .
Come l'infermo perde l'appetito e il gusto di tutti i cibi e cambia colore, così
in questo grado di amore l'anima perde il piacere e il desiderio di tutte le
cose, e a guisa degli amanti muta colore, cioè il costume della vita passata.
L'anima non cade in questa infermità, se l'eccesso del calore non le viene
dall'alto, secondo che Davide dice in questo versetto: « pluviam voluntariam
segregabis, Deus, haereditati tuae et infirmata est; tu vero perfecisti eam» ( S a l
67,10)
. Questa malattia, questo mancare a. tutte le cose, che è il principio e il
primo grado per salire a Dio, ben lo abbiamo spiegato più sopra, dove
parlammo dell'annichilimento in cui l'anima si vede, allorché comincia ad
entrare nella purgazione contemplativa, quando in nessuna cosa può trovare
appoggio o piacere, né conforto o riposo. Sicché da questo grado subito
comincia a salire al secondo.
3 - Il terzo grado della scala amorosa è quello che spinge l'anima ad operare
e le infonde calore perché non manchi. Di questo grado il Reale Profeta così
dice: Beato l'uomo che teme il Signore, poiché brama di operare molto per
adempiere i divini comandamenti ( S al 111 , 1 ) . Che se il timore, che nasce
dall'amore, gl'infonde tal ardente desiderio, che cosa non farà l'amore stesso?
In questo grado, a cagione dell'amoroso incendio che in lei tanto divampa,
l'anima giudica piccole le opere grandi intraprese per l'Amato, poche le
molte, e breve il lungo tempo passato nel servirlo: a quella guisa che
Giacobbe, dopo aver servito Labano per sette anni, gli parve poco e giudicò
doverlo servire altri sette, per il grande affetto che portava a Rachele ( G e n 2 9 , 2 0 ) .
Se, dunque, in Giacobbe tanto poteva l'amore verso una creatura, che cosa non
farà, quello verso il Creatore, allorché nel terzo grado prende possesso
dell'anima? Per il grande amore che porta a Dio, ella prova grandi affanni e
pene per il poco che fa per Dio, e se le fosse lecito disfarsi mille volte per
Lui, sarebbe soddisfatta. Per conseguenza si reputa inutile in tutto quello che
fa, e le sembra di vivere invano. Di qui nasce in lei un altro effetto mirabile,
ed è che con grande persuasione si giudica per più cattiva di tutti: primo,
perché l'amore le insegna ciò che Dio merita; secondo, perché essendo molte
le opere che fa in servizio di Lui e conoscendole difettose e imperfette, da
tutte ritrae somma confusione e pena, e comprende che il suo basso modo di
procedere è troppo indegno di un così alto Signore. In questo terzo grado,
l'anima è ben lungi dall'avere vanagloria o presunzione, e dal condannare gli
altri. Tali sono, insieme a molti altri simili, i meravigliosi effetti di amorosa
sollecitudine che il terzo grado produce nell'anima, la quale perciò in esso
acquista vigore e forze per salire al quarto grado.
2N CAPITOLO 20
5 - Il decimo ed ultimo grado della scala segreta di amore rende l'anima del
tutto simile a Dio, a cagione della chiara visione di Lui, la quale ella subito
possiede, quando, giunta in questa vita al nono grado, se ne parte dal corpo.
Tali anime (e sono poche), essendo già purgatissime per l'amore, non
entrano in purgatorio; e perciò S. Matteo dice: «Beati mundo corde,
quoniam ipsi Deum videbunt» ( M t 5 , 8 ) . Questa visione, ripeto, è causa della
totale somiglianza dell'anima con Dio, secondo la testimonianza di S.
Giovanni, che dice: Sappiamo che saremo simili a Lui (1Gv 3,2). Non già che
l'anima acquisterà le infinite perfezioni di Dio, il che è impossibile, ma
perché tutto quanto essa è, diverrà simile a Dio; e quindi si chiamerà e
sarà Dio per partecipazione.
6 - Questa, dunque, è la scala segreta di cui parla l'anima: scala, però, che nei
supremi gradi non è più tanto segreta per lei, perché l'amore molto le si
discopre, per i grandi effetti che in essa produce. Ma nella chiara visione,
che è l'ultimo grado della scala che poggia in Dio, non v'è più alcuna cosa
nascosta per l'anima, a cagione della sua perfetta rassomiglianza con Lui.
Onde il nostro Salvatore dice: In quel giorno non mi domanderete più niente
(Gv 16,23 )
. Però, sino a quel giorno, per quanto l'anima salga in alto, le resta
sempre alcunché di nascosto, a proporzione di ciò che le manca alla totale
similitudine con la divina essenza. In tal guisa, dunque, per mezzo della
teologia mistica e dell'amore segreto, l'anima va uscendo da tutte le cose e
da se stessa salendo a Dio: perché l'amore è simile al fuoco che sempre sale
verso l'alto, tendendo al centro della sua sfera.
2N CAPITOLO 21
2 - Per meglio intendere tutto ciò, premettiamo che il travestirsi non è altro
che coprirsi di un abito o costume, diverso dal proprio e ordinario, o per
mostrare esternamente la volontà che alcuno ha di conquistarsi le grazie e il
favore della persona amata, ovvero per nascondersi ai propri emuli, e così
compiere meglio il fatto suo: ed allora prende quel vestito o divisa che più
significhi l'affetto del suo cuore, e col quale possa meglio occultarsi ai suoi
avversari.
4 - E perciò S. Pietro non indicò altra arma migliore della fede per difenderci
dal demonio, quando disse: «Cui resistite fortes in fide» ( 1 P t 5 , 9 ) . Per
conseguire poi la grazia e l'unione dell'Amato, l'anima non può mettersi
(come principio di tutti gli altri abiti di virtù) una tunica più bella della
bianca fede, perché senza di essa, come dice l'apostolo, è impossibile piacere
a Dio ( E b 11 , 6 ) : al contrario, con essa, è impossibile non piacergli, poiché Egli
stesso dice per bocca di un Profeta. «Sponsabo te mihi in fide » ( O s 2 , 2 0 ) . Come se
dicesse: Se tu, anima, vuoi unirti e sposarti con me, devi venire vestita
interiormente di fede.
5 - L'anima indossò il bianco vestito della fede, quando uscì nella notte
oscura. Allora dovette camminare in tenebre ed angustie interiori, senza
ricevere conforto da nessuno: non dal suo intelletto, che era privo di luce; non
dall'alto, perché il cielo le pareva chiuso e Dio nascosto; non dagli uomini,
perché i suoi maestri non la soddisfacevano. Ma tutto soffrì con costanza,
passando per quei travagli senza stancarsi e mancare all'Amato; il quale nelle
pene e nelle tribolazioni mette, a prova la fede della sua Sposa, di modo che
ella possa dire poi con tutta verità quel versetto di Davide: Per le parole del
tuo labbro, io ho perseverato per aspro cammino ( S a l 1 6 , 4 ) .
6 - Sulla bianca tunica della fede l'anima subito sovrappone la seconda veste,
di colore verde, il quale significa la virtù della speranza, con cui l'anima
principalmente si difende e libera dal secondo nemico, cioè il mondo. Questo
verde di viva speranza in Dio dà all'anima una tale vivezza, coraggio ed
elevazione alle cose della vita eterna, che a confronto di ciò che lassù si
aspetta, tutte le cose del mondo le sembrano, come sono in verità, appassite,
aride, morte, e di nessun valore. Qui l'anima si spoglia di tutte le gale e
costumi del mondo, non ripone il suo cuore in alcuna cosa, niente sperando di
ciò che si trova o vi può essere quaggiù, vivendo solamente vestita della
speranza di vita eterna. Per il che, avendo il cuore così sollevato dal mondo,
non solo questo non la può accalappiare, ma neppure seguire di vista.
7 - Quindi, con questa verde divisa, l'anima cammina più sicura dal suo
secondo nemico, che è il mondo. S. Paolo chiama la speranza elmo di salute
(1Ts 5,8): e l'elmo è un'armatura che protegge tutta la testa, e la copre in
modo che non le rimane altra parte scoperta, se non la visiera per vedere. Lo
stesso fa la speranza, che protegge tutti i sensi del capo dell'anima dalle cose
del secolo, di modo che le saette di questo non giungano a ferirli in nessuna
parte. Soltanto le lascia una visiera, affinché gli occhi possano mirare il cielo,
e non altro, poiché è ufficio ordinario della speranza far sollevare all'anima lo
Sguardo a Dio solo, come Davide afferma di aver fatto, dicendo : «Oculi mei
semper ad Dominum» (Sal 24,15), non sperando alcun bene da altra parte.
Onde il medesimo in un altro salmo dice: Come gli occhi della serva si posano
nelle mani della sua padrona, così i nostri si fermano nel nostro Signore Dio,
fino a che abbia pietà di noi che speriamo in Lui ( S a l 1 2 2 , 2 ) .
8 - A causa di questa verde divisa (nella quale l'anima sempre sta mirando
Dio, e non fissa lo sguardo in altra cosa, né si appaga se non di Lui solo),
l'Amato si compiace talmente dell'anima, che con tutta verità si può dire che
essa tanto da 1ui ottiene, quanto ne spera. E perciò lo Sposo nei Cantici le
dice che col solo mirare di un occhio le piagò il cuore ( C t 4 , 9 ) . Senza la verde
divisa di sola speranza in Dio, non conveniva che l'anima uscisse con amorosi
disegni, perché non avrebbe ottenuto nulla, in quanto che ciò che muove e
vince ogni ostacolo è una ferma speranza.
9 - Travestita invece con tale divisa, l’anima va sicura per la segreta e oscura
notte della contemplazione; perché è così vuota di ogni possesso e appoggio,
che non alza gli occhi della mente in altra cosa che in Dio, ponendo la bocca
nella polvere ( T h r e n . 3 , 2 9 ) , per vedere se mai vi sia qualche speranza, conforme
all'espressione di Geremia già ricordata.
2N CAPITOLO 22
2 - Ormai le cose più importanti rispetto al mio scopo principale (che era
quello d'istruire non poche anime che, pur trovandosi nella notte oscura, come
si dice nel prologo [Prologo della Salita] non ne avevano cognizione) sono già
mediocremente dichiarate. Mi sembra di aver fatto intendere, quantunque
molto al disotto della realtà delle cose, quanti siano i beni che l'anima porta
con sé nella notte oscura, e quanto fortunata sia la sorte di chi vi passa;
affinché qualora le anime si spaventassero per l'orrore di tante pene, si
facciano coraggio con la certa speranza di riportarne altrettanti vantaggi e
beni divini. Oltre a ciò, l'anima canta la sua sorte felice per il motivo espresso
nel seguente verso:
Nel buio, e ben celata.
2N CAPITOLO 23
SI DICH IA RA IL QU ARTO VER SO - SI DICE QU ANTO SIA AMMIRA BILE IL NASC OND IG LIO
DO VE L ' AN IMA SI CE LA NE LLA NO TTE OSCU RA , E COME IL DE MO NIO , QU ANTU NQU E
ABBIA INGRE SSO IN ALTRI NA SCON DIGLI MOLTO PRO FO NDI , NO N L ' ABBIA PER Ò IN
QU ESTO
1 - Essere ben celata è lo stesso che andare coperta e di nascosto, e perciò qui
l'anima, ritornando al concetto già espresso nel primo verso della seconda
strofa, vuol farci comprendere sempre meglio la perfetta sicurezza che gode
per mezzo dell'oscura contemplazione nella via dell'unione amorosa con Dio.
2 - Il dire dunque: nel buio, e ben celata, è come se ella dicesse che,
camminando all'oscuro nel modo sopra descritto, era coperta e nascosta al
demonio e alle sue astuzie e insidie. La causa per cui l'anima nell'oscurità di
questa contemplazione va 1ibera e celata dalle insidie del demonio, è che la
contemplazione s'infonde passivamente e segretamente nell'anima, all'oscuro
dei sensi e delle potenze esterne ed interne della parte sensitiva. Quindi è
che l'anima, non solo è immune e libera dall'impedimento che possono mettere
queste potenze della parte sensitiva per la loro naturale debolezza, ma anche
dal demonio, il quale, se non è per mezzo di esse, non può arrivare a
conoscere quel che vi è o accade nell'anima: onde, quanto più la
comunicazione è spirituale, interiore e remota dai sensi, tanto meno il
demonio riesce ad intenderla.
6 - Non di rado il demonio riesce a vedere alcune grazie che Dio fa all'anima
per mezzo dell'angelo buono, perché il Signore ordinariamente permette che
queste siano conosciute dall’avversario e ciò massimamente perché costui
faccia contro di esse i suoi sforzi, secondo la proporzione della giustizia, e
così non possa affacciare i suoi diritti, dicendo che non gli hanno dato campo
di conquistare l'anima, come disse rispetto a Giobbe ( G b 1 , 9 - 11 ) . Ciò sarebbe
vero, se Dio non permettesse che vi fosse una certa parità tra i due
contendenti, cioè tra l'angelo buono e il cattivo, affinché la vittoria di
qualsiasi parte sia più pregevole, e l'anima vincitrice e fedele nella tentazione
ne riporti maggior premio.
7 - Questa, infatti, è la causa per cui Dio, usando un dato genere di mezzi nel
guidare un'anima, dà licenza al demonio di adoperarne di simili per tentarla.
Quindi, se le concede visioni vere per mezzo dell'angelo buono (e di solito
accadono per questo mezzo, ancorché appaia Cristo, perché egli in persona
quasi mai si mostra), in pari tempo lascia che l'angelo delle tenebre gliene
rappresenti delle false: di modo che, essendo verosimili, l'anima facilmente
può restare ingannata, come a molte è successo. Di ciò abbiamo una figura
nell'Esodo ( E s 7 , 11 - 1 2 ; 8 , 7 ) , dove si legge che tutti i prodigi veri operati da Mosè
erano contraffatti anche dai maghi del Faraone: che se egli traeva fuori rane
dal fiume, anche quelli facevano altrettanto; se mutava l'acqua in sangue,
anche quelli la cambiavano.
10 - Tutto ciò che abbiamo detto avviene nell’anima passivamente, senza che
ella vi cooperi o l'impedisca. Si deve però avvertire che, quando l'angelo
buono permette al demonio di toccare l'anima con quel terrore, lo fa per
purificarla e disporla con questa spirituale vigilia a qualche gran festa e
grazia spirituale, che le vuol concedere Colui che mai mortifica se non per
dar vita, né umilia se non per esaltare. Difatti, non molto dopo avviene che
l'anima, a seconda della tenebrosa e orribile purgazione sofferta, gode di una
mirabile e dolce contemplazione spirituale, a volte tanto sublime che non c'è
linguaggio per esprimerla. Anzi possiamo dire che l'antecedente attacco del
nemico le assottigliò lo spirito, affinché divenisse atto a ricevere il bene
susseguente: poiché le visioni spirituali, più proprie dell'altra vita che di
questa, sono tali che una dispone all'altra.
11 - Quello che si è detto finora, riguarda i casi in cui Dio visita l'anima per
mezzo dell'angelo buono, quando cioè ella non va così perfettamente al buio e
nascosta che il nemico non la raggiunga in qualche modo. Ma quando Dio per
se stesso la visita, allora sì che ella riceve grazie e favori spirituali totalmente
all'oscuro e all’insaputa del nemico, avverandosi appieno il suddetto verso. E
la causa è che Sua Divina Maestà dimora sostanzialmente nell'anima, dove
né angelo né demonio possono giungere ad intendere ciò che succede, e quindi
il nemico non può conoscere le intime e segrete comunicazioni che passano
tra lei e Dio. Provenendo esse direttamente dal Signore, sono affatto divine e
sovrane, perché sono tutti tocchi sostanziali di unione divina tra l'anima e
Dio; in uno solo dei quali, l'anima riceve maggior bene che in tutto il resto,
poiché in essi consiste il più alto grado di orazione che all'uomo sia concesso.
12 - Essi sono i tocchi che la Sposa chiede sin dal principio dei Cantici,
dicendo : «Osculetur me osculo oris sui» ( C t 1 , 1 ) ed essendo cosa che tanto
strettamente passa con Dio, ed a cui l’anima ardentemente desidera di
arrivare, ella stima e brama più uno di questi tocchi divini che tutti gli altri
favori che Dio le concede. Per la qual cosa, dopo elle la Sposa aveva cantato
le molte grazie ricevute dal suo Diletto, non trovandosi soddisfatta, gli
domandò questi divini tocchi, dicendo: Chi mi darà, fratello mio, che io ti
trovi sola di fuori mentre succhi il petto della madre mia, affinché con la
bocca della mia anima ti baci, e così nessuno ardisca disprezzarmi? ( C t 8 , 1 ) . Con
ciò fa intendere che il suo desiderio era che Dio le facesse la comunicazione
per sé solo, di fuori e all'oscuro di tutte le creature, il che è significato da
quelle parole: sola e di fuori; e, mentre succhi il petto, cioè mentre prosciughi
il petto degli appetiti e delle affezioni della parte sensitiva. Questo avviene
quando ormai l'anima gode quei beni divini con gustosa e intima pace e con
grande libertà di spirito, senza che la parte sensitiva, o il demonio per mezzo
di questa, valgano ad impedirlo. Il demonio allora non osa accostarsi
all'anima e, se volesse, non vi riuscirebbe, né potrebbe arrivare ad intendere i
divini tocchi dell'amorosa sostanza di Dio nella sostanza dell'anima.
2N CAPITOLO 24
1 - In altre parole l'anima vuol dire: Stando la mia porzione superiore, come
anche l'inferiore, addormentata secondo i suoi appetiti e potenze, uscii alla
divina nell'unione dell'amor di Dio.
2 - Come per mezzo della guerra della notte oscura l'anima è combattuta e
purgata in due maniere, cioè secondo la parte sensitiva e la spirituale con i
loro sensi, potenze e passioni, così anche in due maniere, ossia secondo le
stesse due parti con tutte le loro potenze e appetiti, l'anima giunge a
conseguire pace e tranquillità. Per questo ripete per due volte il detto verso,
in questa strofa e nella precedente, a motivo delle due parti, spirituale e
sensitiva: le quali, acciocché pervengano alla divina unione di amore, è
necessario che prima siano riformate, ordinate e tranquille, intorno a
tutto ciò che è sensitivo e spirituale, conforme allo stato d'innocenza in cui
era Adamo. Perciò questo verso, che nella prima strofa s'intendeva della
calma della parte inferiore e sensitiva, ora s'intende particolarmente di
quella superiore e spirituale.
4 - Non si può giungere a tale unione senza grande purezza, e questa non
si ottiene senza grande spogliamento di ogni cosa creata, e senza una viva
mortificazione. Ciò è significato dall'essere la Sposa spogliata del suo manto
e dall'essere piagata di notte, mentre andava ansiosa in traccia dello Sposo;
poiché non avrebbe potuto indossare il nuovo manto dello sposalizio, se prima
non fosse stata spogliata del vecchio. Pertanto, chi rifiutasse d'uscire nella
detta notte in cerca dell'Amato e di spogliarsi della propria volontà e di essere
mortificato, ma lo cercasse nel proprio letto, in mezzo ai propri agi, come da
principio la Sposa faceva, non arriverà a trovarlo; poiché la medesima Sposa
afferma di non averlo trovato, se non quando uscì all'oscuro e con ansie
d'amore.
2N CAPITOLO 25
S TRO FA TE RZA
In quella avventurosa
Notte, in segreto che nessun vedea,
Né io mirava cosa,
Né luce o guida avea
Fuori di quella che nel cor mi ardea.
[Nota: E qui termina il Trattato della Notte oscura nella forma incompleta... Delle otto strofe
che il S. Dottore si era proposto di spiegare, due soltanto ne ha interpretate; e al principio
della terza rimaniamo privi d'inestimabili tesori di dottrina].