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(Notte Oscura)

NOTTE OSCURA

DICH IAR AZION E DE LLE STRO FE CH E DESC R IVON O


IL MOD O U SATO DA LL ' ANI MA N EL CAM MINO
SPIRITUA LE , PE R G IU NG ER E ALL A PER FET -
TA UN ION E DI AMO RE CO N DIO , PER
QU AN TO SI PU Ò NELL A PR ESEN TE
VITA - SI NO TA NO AN CH E LE PR O -
PR IET À CH E HA IN SÉ CO LUI
CH E È PERVENU TO A TA LE
PER FEZION E , CO ME SI
CO NTIEN E SUL LE
MEDESIME
STRO FE

AR GOMEN TO

In questo libro si pongono primieramente per disteso tutte le strofe da


dichiararsi; dopo si spiegherà ciascuna in particolare, ripetendo ogni strofa
prima del relativo commento, il che si farà anche rispetto ai singoli versi.
Nelle prime due strofe si dichiarano gli effetti delle due purgazioni spirituali:
della parte sensitiva e di quella spirituale. Nelle altre sei strofe si spiegano
vari ed ammirabili effetti della illuminazione dello spirito e dell'unione di
amore con Dio.

In una notte oscura


d'amorose ansie infiammata
o felice ventura!
uscii, né fui notata
stando già la mia casa addormentata;

allo scuro e sicura


per la scala segreta, travestita,
o felice ventura!
allo scuro e celata,
stando già la mia casa addormentata.

Nella felice notte


in segreto, nessuno mi vedeva
né alcunché io miravo,
senz'altra luce e guida
fuori di quella che nel cuore ardeva.

E questa mi guidava
più certa della luce meridiana
là dove mi aspettava
chi ben io conoscevo
in luogo ove nessuno si mostrava.

O notte che guidasti!


O notte amabile più dell'aurora!
O notte che hai unito
l'Amato con l'amata,
l'amata nell'Amato trasformata!
Sul mio petto fiorito,
che per lui solo intatto si serbava,
lì rimase dormiente
ed io l'accarezzavo
e il ventaglio di cedri l'arieggiava.

E l'aura dei bastioni


mentre quei suoi capelli discioglievo
con la mano serena
nel collo mi feriva
e tutti i miei sensi sospendeva.

Dimentica, acquietata,
il volto reclinai sull'Amato,
tutto cessò e rimasi,
lasciando ogni mia cura,
circondata da gigli, obliata.

CO MINC IA LA DICH IARAZION E DE LLE STRO FE CH E TRATTANO D EL MOD O AD OPERATO


DA LL ' AN IMA N EL CAMMIN O DE LL ' UN IO NE DI AMORE CO N DIO

Prima di entrare nella spiegazione di queste strofe, è da premettersi


che l'anima le canta trovandosi già nello stato di perfezione, che consiste
nell’amorosa unione divina. L’anima è passata ormai per i duri travagli e le
aspre lotte, mediante l’esercizio spirituale dello stretto cammino di vita
eterna (del quale il nostro Salvatore parla nel Vangelo), che ordinariamente
l’anima deve battere prima che arrivi alla sublime e dolce unione con Dio.
Essendo la strada tanto angusta che, a detta del Signore stesso ( M t 7 , 1 4 ) , molto
pochi vi s’incamminano, l’anima si reputa fortunatissima di averla percorsa,
di essere arrivata per mezzo di essa alla perfezione dell’amore. Ciò ella canta
nella prima strofa, ove con grande proprietà di termini chiama notte oscura la
via stretta della vita, come in appresso si dirà nei versi della detta strofa.
L’anima, dunque, piena di gioia, felice di aver calcato l’angusto sentiero
donde le provenne un sì gran bene, dice così:

LIBRO PRIMO

NOTTE OSCURA DEL SENSO

PR IMA ST R OFA

In una notte oscura


d'amorose ansie infiammata
o felice ventura!
uscii, né fui notata
stando già la mia casa addormentata;

DICHIARAZIONE

1 - In questa prima strofa l'anima racconta in qual modo uscì, secondo


l'affetto, da sé e da tutte le cose, morendo per mezzo di una vera
mortificazione a loro ed a se stessa, a fine di vivere una dolce vita di amore in
Dio. Dice che questa uscita da sé e da ogni cosa avvenne In una notte oscura,
per la quale qui intende la contemplazione purgativa (come in seguito
diremo), che passivamente produce nell'anima l'abnegazione di sé e di ogni
cosa.

2 - Soggiunge che, se poté uscire, ciò fu per la forza e il calore che a tal fine
l'amore del suo Sposo le aveva infusi nell'oscura contemplazione. Nel che
mette maggiormente in risalto la sorte avventurata che ebbe di andare a Dio
per questa notte oscura con sì prospero successo, che nessuno dei tre
spirituali nemici, cioè il mondo, il demonio e la carne (che purtroppo sono
quelli che sempre contrastano il cammino) valse ad impedirla: in quanto che
la notte della contemplazione purificatrice assopì e, ammortizzò nella casa
della sua sensibilità tutte le passioni e gli appetiti secondo i loro movimenti
contrari. Il primo verso, dunque, dice:

In una notte oscura.

1N CAPITOLO 1

CO MINC IA A TRATTA RE DE LLE IMPER FEZIO NI DE I PRIN CIPIANT I

1 - Le anime cominciano ad entrare in questa notte oscura quando Dio le va


cavando dallo stato di principianti, cioè di quelli che nella via spirituale si
esercitano con la meditazione, per collocarle in quello dei proficienti, che è
già dei contemplativi, affinché passando per quest'ultimo giungano allo stato
dei perfetti, che è quello della sublime unione dell'anima con Dio. Pertanto,
per meglio dichiarare ed intendere quale notte sia questa per cui l'anima
passa, e per qual motivo Dio ve la ponga, converrà dapprima accennare ad
alcune proprietà dei principianti (il che, quantunque sarà con la maggior
brevità possibile, non mancherà di giovare anche agli stessi principianti),
acciocché comprendendo la debolezza dello stato in cui si trovano, prendano
animo e nutrano vivo desiderio che il Signore li introduca in quella notte,
dove l'anima si rafforza e conferma nelle virtù, e si dispone agl'inestimabili
diletti dell'amor di Dio. C'intratterremo quindi un poco intorno ai
principianti, ma non più di quanto basti, e subito poi passeremo a trattare
della notte oscura.

2 - Bisogna dunque sapere che, dopo che l'anima si è convertita a Dio e ha


deciso seriamente di servirlo, in via ordinaria il Signore la va nutrendo nello
spirito e l'accarezza, come fa una madre amorosa col suo tenero bambino. La
madre, infatti, riscalda il suo pargoletto al calore del suo seno, lo nutre del
suo latte e di cibi dolci e delicati, lo porta e stringe tra le braccia e lo copre di
baci e di carezze. A misura, però, che il bambino cresce, lo divezza dal latte
con amaro aloe, e calandolo dalle braccia, gl'insegna a camminare da sé;
affinché, perdendo le maniere proprie d'un bambino, si abitui a cose maggiori
e sostanziali. La grazia di Dio, qual madre amorosa, non appena ha rigenerato
l'anima col nuovo fervore di servire a Dio, agisce in simile guisa verso di lei:
poiché le fa gustare, in tutte le cose di Dio, un dolce e saporito latte spirituale
senza alcuna fatica, e una grande soddisfazione negli esercizi di pietà,
essendo che Dio stesso le porge il suo petto amoroso come a tenero bambino.

3 - L'anima, pertanto, trova il suo diletto in passare molto tempo, perfino le


notti intere, in orazione; i suoi gusti sono le penitenze; i suoi contenti i
digiuni; la sua consolazione è l'uso dei Sacramenti e il parlare di cose divine.
Ma, quantunque i principianti pratichino queste cose con molta diligenza e
costanza, e ne trattino con grande sincerità con le persone spirituali, di solito
però (spiritualmente parlando) si comportano con molta fiacchezza e
imperfezione. Essendo mossi ai devoti esercizi dalla consolazione e dal
piacere che vi trovano, e non essendo ancora abilitati e temprati con
l’esercizio di dure lotte nelle virtù, incorrono in molti falli e imperfezioni
nelle loro opere spirituali, perché alla fin fine ciascuno opera a seconda
dell'abito di perfezione che ha. Non avendo costoro avuto campo di
acquistare i detti abiti forti, di necessità agiscono fiaccamente, come bambini.
Ed affinché si veda più chiaramente quanto deboli siano i principianti nelle
virtù e in tutto ciò che operano con gusto e facilità, andremo enumerando
alcune delle molte imperfezioni che commettono rispetto a- ciascuno dei sette
vizi capitali: dal che sarà evidente quanto sia da bambini il loro operare.
Parimenti si vedrà quanti beni tragga con sé la notte oscura (di cui subito
dopo tratteremo), giacché libera e purifica l'anima da tutte quelle
imperfezioni.

1N CAPITOLO 2

ALC UN E SPIRITUAL I IMP ERFE ZIO NI CH E I PRIN CIPIANT I HA NNO CIRC A L ' ABITO DE LLA
SU PERB IA

1 - Accade sovente che i principianti, sentendosi tanto fervorosi e diligenti


nelle cose spirituali e negli esercizi devoti, da questa prosperità (sebbene
invero le cose sante di per sé umiliano) e dalla propria imperfezione nasce in
essi un certo ramo di occulta superbia, a cagione della quale provano qualche
soddisfazione delle loro opere e di se stessi. Di qui ha origine in loro un certo
desiderio piuttosto vano, e talvolta vanissimo, di parlare di cose spirituali
all’altrui presenza, ed anche d'insegnarle anziché apprenderle. Quando non
vedono gli altri con quella maniera di devozione che essi vorrebbero, li
condannano in cuor loro e a volte anche con le loro parole, rassomigliandosi
in ciò al Fariseo che, mentre lodava Dio a modo suo, si vantava di ciò che
faceva e disprezzava il Pubblicano ( L c 1 8 , 1 - 1 2 ) .

2 - D'altra parte poi il demonio spesso accresce loro il fervore e il desiderio di


moltiplicare le pie pratiche, affinché si accresca del pari la loro superbia e
presunzione. Il maligno sa molto bene che, in tal caso, tutte le opere che
fanno e le virtù che esercitano, non solamente non valgono niente, ma anzi si
mutano in vizi. Alcuni sogliono giungere a tal segno, che soltanto essi
vorrebbero sembrare buoni; e quindi, offrendosi il destro, con le parole e con
i fatti condannano gli altri e ne mormorano: osservano la pagliuzza
nell'occhio del loro fratello, senza badare alla trave che essi hanno, e filtrano
la bevanda per evitare il moscerino altrui, mentre ingoiano il proprio
cammello ( M t 7 , 3 ; 2 3 , 2 4 ) .

3 Alle volte anche, tanto desiderano che le loro cose siano stimate e lodate,
che quando i loro maestri spirituali, come sono i confessori e i superiori, non
approvano il loro spirito e la loro condotta, giudicano che quelli non sanno
intendere il loro spirito e non sono veri spirituali, perché non approvato e non
ammettono ciò. Onde subito procurano di trattare con un’altra persona, che si
adatti al loro genio. Ordinariamente, infatti, desiderano di manifestare il
proprio spirito a quelli da cui conoscono che le loro cose saranno apprezzate;
mentre rifuggono come dalla morte da quei che le distruggono per metterli
sulla strada sicura, e non di rado anche si adirano contro di essi. Presumendo
molto di se stessi, sogliono proporre molto, ma fare ben poco. Talora bramano
che gli altri si avvedano del loro spirito di devozione, e a tal fine ricorrono a
dimostrazioni esteriori di movimenti, sospiri ed altre cerimonie. Alcune volte
vanno perfino in estasi, più in pubblico che in privato, non senza che il
demonio vi metta la parte sua; e allora grandemente si compiacciono di essere
sorpresi in quello stato, e spesso lo bramano.
4 - Molti vogliono essere favoriti e prediletti dai loro confessori, dal che
nascono in loro mille invidie e inquietudini. Hanno, grande difficoltà di
esprimere schiettamente i loro peccati, perché temono di essere meno stimati
dal confessore, e quindi li vanno colorando abilmente, a fine di non apparire
tanto cattivi, il che è un andare piuttosto a scusarsi che ad accusarsi. Talvolta
cercano un altro confessore per manifestargli il male, perché l'altro non pensi
che abbiano qualcosa di cattivo ma tutto di buono; a lui quindi tutto il bene, e
con tali artificiose parole, che appaia maggiore di quel che è o almeno
sperando che così sembri, mentre sarebbe più umiltà deprezzarlo e desiderare
che né il confessore né altri lo stimasse.

5 - Inoltre alcuni di costoro fanno poco caso dei loro mancamenti altre volte,
viceversa, si rattristano troppo perché vi ricadono, pensando che già
dovrebbero essere santi, e si adirano contro se stessi: il che è un'altra
imperfezione di più. Spesso si rivolgono ansiosi a Dio, affinché li liberi dalle
loro mancanze e imperfezioni, ma più per starsene in bella pace senza
molestia di esse, che per amore di Dio; non riflettendo che, se i1 Signore
adempisse quel desiderio, diventerebbero più superbi e presuntuosi. Sono
avari di lodi verso gli altri, ma gradiscono tanto di essere lodati, e a volte lo
pretendono: nel che si rendono simili alle vergini stolte, le quali avendo le
lampade spente, chiedevano l'olio alle altre ( M t 2 5 , 2 8 ) .

6 - Da queste imperfezioni alcuni passano a commetterne molte altre e assai


peggiori. Però alcuni ne hanno di più, altri meno, e alcuni ne provano i soli
primi moti o poco più; ma a stento si troverà un principiante che al tempo dei
suoi fervori non cada in alcuna delle suddette imperfezioni. Al contrario,
coloro che in questo tempo camminano alla perfezione, procedono in modo
ben diverso e con assai differente tempra di spirito: perché, si fondano in
molta umiltà e, mai paghi di se stessi, hanno le proprie cose in nessun conto;
stimano gli altri per molto migliori e ne hanno una santa invidia, desiderando
di servire a Dio al pari di loro. Quanto più fervore hanno e quanto più si
compiacciono di operare in santa umiltà, tanto più conoscono il molto che Dio
merita e il poco che fanno per Lui; quindi, quanto più fanno, tanto meno
restano soddisfatti. Spinti dalla carità verso Dio, vorrebbero operare sì grandi
cose per Lui, che tutto ciò che fanno sembra loro un niente; e sono talmente
occupati e assorti in questa amorosa sollecitudine, che non badano a ciò che
altri fanno o no, e se mai l'avvertono, non cessano di credere che gli altri
siano assai migliori di loro. Quindi avendo basso concetto di sé, desiderano
anche di essere poco stimati dagli altri. Ma v'è di più: non solo godono che
le loro parole o azioni siano contraddette e disprezzate, ma quando sentono
lodarle, in nessuna maniera lo possono credere, e sembra loro cosa molto
strana che loro si attribuiscano quei beni.

7 - Costoro con molta tranquillità e umiltà hanno gran desiderio di essere


ammaestrati in qualsivoglia cosa che possa tornare a loro profitto: tutto al
contrario di quelli di cui abbiamo parlato più sopra, i quali vorrebbero farla
da maestri in tutto, tanto che quando potrebbe sembrare che taluno insegni
loro qualche cosa, subito gli tolgono la parola dalla bocca, come se già la
sapessero. Gli umili invece sono ben lontani dal volere essere maestri di
chicchessia; sono assai pronti ad incamminarsi e proseguire per una strada
diversa da quella che battono, quando venisse loro comandato, perché mai
pensano di indovinarla. Si rallegrano che altri siano lodati, e soltanto si
dolgono di non servire a Dio come quelli. Non sono amanti di dire le proprie
cose perché le hanno in sì poca stima che si vergognano di manifestarle
persino ai maestri spirituali, loro sembrando che non valga la pena neppure di
menzionarle. Hanno maggior voglia di palesare candidamente i loro peccati e
difetti che non le virtù; e quindi sono più propensi ad aprire il cuore con chi
meno stima le cose e lo spirito loro: il che è proprio di uno spirito vero,
semplice e puro, e molto gradito a Dio. Lo spirito di sapienza divina,
dimorando in queste anime umili, subito le muove e dispone a custodire i
propri tesori nel segreto del loro cuore e a cacciarne fuori i mali: la quale
grazia Dio concede agli umili, insieme alle altre belle virtù, negandola ai
superbi.

8 - Gli umili daranno il sangue del proprio cuore per chi serve Dio e gli
porgeranno aiuto, per quanto è possibile, acciocché lo serva. Nelle
imperfezioni in cui si vedono cadere, sopportano se stessi con umiltà e
dolcezza di spirito, e con amoroso timor di Dio, sempre sperando in Lui.
Avverto però che le anime che sin dal principio camminano con tale
perfezione sono del minor numero e molto poche: tanto che ci
accontenteremmo che non cadano nei difetti opposti. E per questo Dio
introduce nella notte oscura quelli che vuole purificare da tutte queste
imperfezioni, per spingerli innanzi.

1N CAPITOLO 3

IMP ERFE ZIO NI IN C UI AL CUN I PRIN CIPIANT I SOGL ION O CAD ERE INTORN O AL SECO ND O
VIZIO CAPITALE , CH E È L ' AVAR IZ IA IN SEN SO SPIRITUA LE

1 - Molti principianti hanno anche alle volte molta avarizia spirituale.


Difficilmente si contentano dello spirito ricevuto da Dio, e mesti e sconsolati
si lamentano di non trovare nelle cose, spirituali quella consolazione che
desiderano. Molti non si saziano mai di udire consigli e precetti spirituali, né
di possedere e leggere molti libri su tale argomento, e perdono più tempo in
questo che nel praticare, come dovrebbero, la mortificazione e la perfetta
povertà di spirito. Oltre a ciò si caricano d'immagini e di corone molto
eleganti. Ora ne usano alcune, ora altre, e cambiano e ricambiano
continuamente; quando le vogliono in un modo, quando in un altro,
affezionandosi più ad una croce che ad un'altra, solo perché più curiosa.
Talvolta vedrai costoro ornati di Agnus Dei, e di reliquie, come i bambini si
adornano dei loro ninnoli. In tutto questo io riprendo l’attaccamento del cuore
e l'affetto di proprietà che portano al modo, alla moltitudine e alla vaghezza
di quelle cose, perché ciò si oppone grandemente alla povertà di spirito, la
quale mira alla sostanza della devozione, giovandosi soltanto di ciò che a
questa basta, e avendo in fastidio tanta copia ed eleganza di oggetti. La vera
devozione deve scaturire dal cuore e attendere solo alla verità e alla
sostanza di ciò che le cose spirituali rappresentano; tutto il resto non è
altro che imperfetto attacco di proprietà, il quale appetito si deve
necessariamente sradicare, a fine di avviarsi a qualche grado di perfezione.

2 - Ho conosciuto una persona che per più di dieci anni fece uso di una rozza
croce fatta con un ramo benedetto, fermata nel mezzo da uno spillo ritorto;
non aveva mai lasciato di portarla con sé, fino a che io gliela tolsi: e si noti
bene che non era una persona di poco senno e intelligenza. Ne vidi pure
un'altra che, recitando il rosario, usava una corona fatta con ossi di spine di
pesce. Certo è che la devozione di queste due persone non era di minor pregio
agli occhi di Dio, perché è evidente che esse non la riponevano nella forma
e nel valore degli oggetti. Coloro, dunque, che sin dal principio
s'incamminano bene alla perfezione non si attaccano agli oggetti visibili, né si
caricano di essi, né si curano di sapere più di quello che bisogna sapere per
bene operare, ma solo attendono a riuscire graditi a Dio, riponendo in ciò
tutte le loro brame. Quindi con grande liberalità danno le cose che
possiedono, sì temporali che spirituali, lieti di restarne privi per amore di Dio
e del prossimo: poiché, ripeto, fissano lo sguardo solamente nella sostanza
della perfezione interiore, cioè nel dare gusto a Dio in ogni cosa, non mai a se
stessi.
3 - Ma, dalle suaccennate imperfezioni, come dalle altre, l'anima non si potrà
purificare completamente, fino a che Dio non la introduca nella purificazione
passiva della notte oscura, come subito diremo. Conviene però che l'anima,
per quanto può, procuri dal canto suo di purgarsi e perfezionarsi, a fine di
meritare di essere sottoposta da Dio a quella cura divina, che la guarirà
da tutto ciò che ella non arrivava a sanare. Infatti, per quanto l'anima si
adoperi, con la sua industria non può purificarsi attivamente in modo da
essere disposta, neppure in minima parte, alla divina unione di perfetto
amore, se Dio non ne assume l'impresa, purgandola in quel fuoco, oscuro per
lei, nel modo che in appresso vedremo.

1N CAPITOLO 4

ALTRE IMP ERFE ZIO NI CH E I PRIN CIPIANT I SOGL ION O AV ERE CIRC A IL TERZ O VIZIO , CH E
È LA LU SSUR IA

1 - Non pochi principianti hanno molte imperfezioni, più di quelle che per
ciascun vizio vado enumerando: le lascio per amore di brevità accennandone
solo alcune delle più notevoli, che sono origine e causa delle altre. Intorno al
vizio della lussuria (lasciando da parte ciò che è il cadere degli spirituali in
questo peccato, poiché il mio intento è di trattare soltanto delle imperfezioni
da cui l’anima si deve purgare per mezzo della notte oscura), i principianti
hanno molte imperfezioni che si potrebbero chiamare lussuria spirituale, non
perché veramente tale, ma perché procede da cose spirituali. Difatti spesso
accade, ma senza loro colpa, che mentre attendono a devoti esercizi, si
destano nella sensualità movimenti impuri: il che avviene alle volte perfino
quando il loro spirito è raccolto in santa orazione, o si accostano ai
sacramenti della penitenza e dell’Eucaristia. Questi movimenti, involontari
ripeto, provengono da una delle cause seguenti.

2 - Primieramente, spesso quei moti derivano dal piacere che la natura prova
nelle cose spirituali. Stante che lo spirito e il senso godono con quel
ricreamento, ciascuna parte dell'uomo si muove a dilettarsi a modo suo,
secondo le sue proprietà; e come allora lo spirito, che è la parte superiore, si
muove a gustare di Dio, così pure la sensibilità, che è la parte inferiore, si
muove al godimento sensibile, perché essa non sa avere né prendere altro: e
quindi si prende il diletto più a sé congiunto, che è quello sensuale o turpe.
Onde può accadere che l'anima sua, secondo lo spirito, in grande orazione con
Dio, e d'altra parte, secondo il senso, provi ribellioni e movimenti sensuali,
ma passivamente e non senza suo grande dispiacere. Ciò avviene non di
rado nella santa comunione, nel quale atto di amore, mentre l'anima riceve
allegrezza e piacere dal Signore stesso che a tal fine a lei si dona, anche la
sensualità prende il suo diletto alla sua maniera. Ed invero, poiché alla fin
fine queste due parti, lo spirito e il senso, sono un medesimo supposto,
d'ordinario ambedue partecipano ciascuna a suo modo di ciò che l'una riceve:
perché, come dice il Filosofo, qualunque cosa si riceve alla maniera del
recipiente. Pertanto, sul principio, e anche quando l'anima è avanzata nella
perfezione, essendo la sensibilità ancora imperfetta, spesso riceve lo spirito di
Dio secondo la propria imperfezione. Però, allorché la parte sensitiva è già
riformata dalla purgazione della notte oscura, non va più soggetta a quelle
debolezze: perché ormai non è più essa quella che riceve, ma piuttosto è già
ricevuta nell'abbondanza dello spirito: e quindi allora essa ha tutto a guisa di
spirito.

3 - La seconda causa da cui alle volte procedono le ribellioni del senso è il


demonio, il quale per turbare l'anima che sta in orazione o la vuol fare,
procura di eccitare quei movimenti turpi, con i quali, per poco che l'anima se
ne impressioni, le può apportare gran danno. Poiché, per timore di essi, ella si
rilascia nell’orazione (ciò che il demonio vuole),. per mettersi a lottare contro
di esse; anzi alcune anime la lasciano del tutto, sembrando loro di essere
assalite dai pravi moti più in quel santo esercizio che fuori di esso: il che è
verissimo, perché il demonio appunto li eccita più in quello che in altri tempi,
acciocché le anime abbandonino l'orazione. E, non solo questo, ma arriva a
rappresentare loro molto al vivo cose assai laide e sconce, e a volte con
grande riferimento a cose spirituali e a persone che giovano al loro profitto, e
ciò a fine di scoraggiarle e spaventarle; di modo che coloro che fanno caso di
ciò, non ardiscono perfino di guardare o considerare cosa alcuna, perché
subito s’imbattono in turpi immaginazioni. Ciò particolarmente avviene a quei
che sono di carattere malinconico, e con tanta forza e veemenza che muovono
a compassione per la vita triste che menano; poiché la pena che li tormenta
giunge in alcuni a tal segno che, quando sono presi dal malumore, sembra loro
di essere assaliti dal demonio, senza potersene liberare; se poi alcuni vi
riescono, è con grande sforzo e fatica. Coloro che sono turbati da
immaginazioni e moti sensuali per effetto di malinconia, per lo più non se ne
liberano finché non guariscano da questa qualità d'umore, salvo che
nell'anima, non entri la notte oscura, che la purifica man mano da ogni cosa.

4 - La terza causa donde i turpi movimenti sorgono a muovere guerra, suol


essere il timore che alcuni hanno già contratto di tali moti e immaginazioni
impure. Il timore, infatti, che si desta all'improvvisa memoria di queste cose,
suscitata da ciò che essi pensano o vedono o trattano, fa sì che patiscano quei
moti senza loro colpa.

5 - Inoltre, vi sono alcuni d'indole sì tenera e sdolcinata, che non appena


trovano qualche gusto di spirito o di orazione, sentono del pari risvegliarsi lo
spirito di lussuria., il quale accarezza e inebria la sensualità in modo tale, che
si trovano quasi immersi nel piacere di quel vizio, passivamente però, senza
che la loro volontà abbia parte in qualsivoglia cattivo effetto che a volte ne
segue. La causa di ciò è che, avendo costoro un carattere sensibilissimo, basta
qualunque impressione a sconvolgere il loro sangue e gli umori: tant’è vedo,
che sperimentano gli identici moti anche negli accessi d'ira o di tristezza, o di
qualunque altra passione.

6 - Vi sono poi altri che, sia nel praticare, sia nel parlare di cose di spirito,
sentono in sé suscitarsi una certa gaiezza e brio al pensiero delle persone che
vedono presenti e con le quali trattano con una specie di gusto vano: anche
questo effetto nasce da lussuria spirituale nel senso che qui intendiamo, e
ordinariamente è accompagnato da compiacenza nella volontà.

7 - Ve ne sono anche altri che per motivi spirituali portano affetto a qualche
persona, il che bene spesso nasce non da spirito, ma da lussuria: quando è
così, si conosce facilmente dal fatto che con il ricordo di quell'affetto non
cresce di più la memoria e l'amore di Dio, ma cresce invece il rimorso
della coscienza. Poiché, quando l'affetto è puramente spirituale, al
crescere di esso aumenta del pari l'amore di Dio, e quanto più l'anima si
ricorda di esso, tanto più si rammenta di quello di Dio e nutre desideri di Lui,
poiché ingrandendo l'uno si fa grande anche l'altro. Lo spirito di Dio ha
questo di proprio che aumenta il bene col bene in quanto c’è tra l’uno e l’altro
ragione di conformità e somiglianza. Allorché, invece, l'amore nasce dal vizio
sensuale, produce effetti contrari: quanto più esso cresce, tanto più
diminuisce l'amore e insieme la memoria di Dio. Infatti, se cresce
quell'amore imperfetto, l'anima si avvedrà che a poco a poco si raffredda in
quello di Dio, dimenticandosi di Lui col ricordo di quel vano amore, non
senza provarne rimorsi di coscienza. Al contrario, se l'anima cresce nell'amore
divino, si va raffreddando nell'altro, e a poco a poco lo dimentica: perché,
essendo amori contrari, non solo non si aiutano a vicenda, ma quello
predominante spegne e confonde l'altro, come dicono i filosofi, rafforzando
se stesso. Per la qual cosa il Nostro Salvatore disse nel Vangelo: Ciò che
nasce dalla carne, è carne; e quel che nasce dallo spirito, è spirito ( G v 3 , 6 ) ; cioè
l'amore che nasce da sensualità va a terminare in sensualità, e quello che
nasce dallo spirito termina nello spirito di Dio, e lo fa aumentare: ecco la
differenza che corre tra questi due amori, dalla quale si possono conoscere.

8 - Quando l'anima entra nella notte oscura, regola questi amori secondo
ragione, perché fortifica e purifica l'uno, cioè quello che è secondo Dio, e
abbandona e mortifica l'altro, quantunque al principio li perda di vista
ambedue, come in appresso diremo.

1N CAPITOLO 5

IMP ERFE ZIO NI IN C UI CAD ON O I PRIN CIPIANT I INTORN O AL VIZIO DE LL ’ IR A .

1 - Molti principianti, a cagione della concupiscenza che hanno nei diletti


spirituali, li possiedono assai spesso con molte imperfezioni del vizio dell'ira.
Poiché, quando cessa il sapore nelle cose di spirito, naturalmente si ritrovano
vuoti e insipidi, e quindi sfogano l'interno dispiacere, trattando con mal garbo
le cose che fanno, e adirandosi facilmente per un nonnulla, tanto che alle
volte si rendono insopportabili. Ciò accade sovente dopo che hanno provato
qualche raccoglimento assai gustoso e sensibile nell'orazione, finito il quale,
per conseguenza naturale rimangono insipidi e svogliati: come avviene ad un
bambino, quando è staccato dal seno materno, ove godeva a suo bell'agio. In
questo effetto naturale, purché non si lascino trasportare dalla svogliatezza e
dal disgusto, non c’è colpa, ma imperfezione che dovrà essere purgata
dall'aridità e dall'angustia della notte oscura.

2 - Vi sono anche di quelli che cadono in un'altra sorta d'ira spirituale, cioè si
adirano contro i vizi o difetti altrui con un certo zelo inquieto o indiscreto,
censurando i loro prossimi; e alle volte hanno grande smania di riprenderli
aspramente, e talora anche lo fanno, atteggiandosi a patroni e difensori della
virtù: tutte le quali cose sono contro la mansuetudine spirituale.

3 - Ve ne sono altri che, vedendosi imperfetti, si adirano contro se stessi con


molta impazienza e senza umiltà, tanto che vorrebbero essere santi in un
giorno. Molti di costoro fanno grandi proponimenti, ma non essendo umili e
confidando troppo in se stessi, quanto più propongono, tanto più cadono; e
quindi tanto più si adirano, non avendo pazienza di aspettare che Dio conceda
loro la grazia di mandare ad effetto i buoni propositi, quando a Lui piacerà.
Anche tale impazienza ripugna alla mansuetudine spirituale, e non vi si può
rimediare del tutto, se non per mezzo, della purgazione della notte oscura:
quantunque devo dire che alcuni di pazienza ne hanno fin troppa, e se la
prendono così comoda nel fare profitto, che in essi Dio non vorrebbe vederne
tanta.

1N CAPITOLO 6

IMP ERFE ZIO NI CIRC A LA GO LA SPIRITUA LE

1 - Intorno al quarto vizio, che è la gola spirituale, vi è assai da dire, perché


tra i principianti difficilmente se ne troverà uno che, per quanto cammini
bene, non cada in qualcuna delle molte imperfezioni che in essi si osservano
circa questo vizio, e che sono cagionate dal gusto che al principio
sperimentano negli esercizi spirituali. Difatti molti di costoro, adescati dal
sapore che trovano in tali esercizi, si procurano più il gusto dello spirito che
la sua purezza e discrezione, le quali due cose Dio intende e gradisce in tutto
il cammino spirituale. Per il che, oltre l'imperfezione che hanno nel
pretendere tali gusti, la loro ingordigia li fa trasmodare e uscire dai limiti del
giusto mezzo, in cui le virtù consistono e si acquistano. Ed invero, attratti
dal piacere che vi provano, alcuni si ammazzano a far penitenze; altri si
estenuano, con digiuni, facendo più di quello che la loro debolezza non
comporti, senza l'altrui comando o consiglio, anzi procurano di sfuggire la
persona a cui in ciò dovrebbero obbedire: né mancano di quelli che ardiscono
di fare il contrario di quel che è stato loro prescritto.

2 - Costoro sono imperfettissimi, gente senza criterio, che pospongono la


soggezione e l'obbedienza (che è, la penitenza della ragione e del proprio
giudizio, ed è perciò presso Dio il sacrificio più accetto e gradito di ogni
altro) alla penitenza corporale, che senza l'obbedienza non è altro che
penitenza da bestie, alla quale come bestie sono spinti dall'appetito e dal
gusto che vi trovano. Quindi, poiché tutti gli estremi sono viziosi, e con quel
modo di agire essi fanno la propria volontà, ne segue che vanno piuttosto
crescendo in vizi che in virtù, perché operando a capriccio, per lo meno
contraggono gola spirituale e superbia. Il demonio poi attizza tanto la loro
gola per mezzo dei gusti e degli appetiti che vi aggiunge dal canto suo che,
quando non possono fare di più, variano o aumentano le penitenze
comandate, perché su questo punto qualunque obbedienza è dura ed aspra per
loro: anzi alcuni giungono a tanto male, che quando devono fare qualche
esercizio di mortificazione per obbedienza proprio per questo ne perdono la
voglia, perché il loro desiderio è di fare soltanto quelle cose a cui si sentono
mossi: ma, quando è così, sarebbe forse meglio che non le facessero.

3 - Molti di costoro li vedrai insistere presso i maestri di spirito con grande


ostinazione e cocciutaggine, affinché concedano loro ciò che vogliono, e alla
fine l’ottengono quasi per forza; se no, mettono il broncio come bambini e
camminano di mala voglia, perché, loro sembra di non più servire a Dio,
quando non li lasciano fare a loro talento. Essendo attaccati ai loro gusti e
alla loro volontà, che tengono per loro Dio, non appena alcuno li vieta loro
per uniformarli alla divina volontà, si rattristano, intiepidiscono e vengono
meno. Essi pensano che il contentare se stessi ed essere soddisfatti sia un
servire il Signore e compiacerlo.

4 - Altri ancora ve ne sono che per la gola spirituale conoscono sì poco la loro
bassezza e miseria, ed hanno messo tanto da parte l'amoroso timore e rispetto
dovuto alla grandezza di Dio, che non dubitano di importunare ostinatamente i
loro confessori, acciocché permettano loro di confessarsi e comunicarsi molto
spesso. Ed il peggio è che spesso osano appressarsi alla sacra mensa senza il
permesso e il consiglio del ministro dispensatore dei divini misteri, ma
soltanto di proprio arbitrio, procurando di nascondere a lui la verità. A motivo
della stessa gola fanno le confessioni comunque sia, pur di comunicarsi,
avendo più brama di cibarsi che di farlo perfettamente e con animo puro:
mentre sarebbe cosa più salutare e santa avere l’inclinazione contraria, e
pregare i confessori che non comandino di accostarsi alla comunione con
troppa frequenza; quantunque però, tra l'uno e l'altro partito, è meglio l'umile
rassegnazione. Ma il troppo ardire torna loro a grave discapito; e possono
aspettarsi il divino castigo in pena della loro audacia.

5 - Costoro, allorché si comunicano, si applicano interamente a procurarsi


qualche sentimento di piacere, più che in adorare dentro di sé e lodare
umilmente il Signore, tanto che quando non hanno ricavato alcuna
consolazione sensibile, pensano di non aver fatto nulla, il che è giudicare
molto bassamente di Dio: non intendono che il minore dei vantaggi apportati
dal Santissimo Sacramento è quello che tocca al senso, mentre il maggiore è
quello invisibile della grazia comunicato all'anima. Se spesso Dio toglie loro
ogni godimento e sapore sensibile, lo fa perché vuole che essi posino in Lui lo
sguardo della fede. Essi invece vorrebbero sentire e gustare Dio, sì in questo
che negli altri esercizi spirituali, come se Egli fosse comprensibile e
accessibile: il che, essendo indizio di mancanza di purezza nella fede, è
grandissima imperfezione, assai contraria al carattere di Dio.

6 - Lo stesso modo di agire è usato da essi nell'orazione, intorno alla quale


pensano che tutto il suo meglio consista nel sapervi trovare devozione
sensibile, e si affannano a cavarla, come si dice, a forza di braccia,
affaticando e stancando le potenze e la testa. Se poi non riescono a spremere
quel sugo di devozione, rimangono tutti sconsolati, credendo di non aver
concluso niente; e per la loro vana pretesa perdono il vero spirito di pietà, che
è riposto nel perseverare nella orazione con pazienza ed umiltà, diffidando di
sé, per fare soltanto cosa grata a Dio. Quindi è che, se una volta non gustano
sapore in questo o in altro esercizio, provano assai svogliatezza e ripugnanza
a ritornarvi, e alle volte lo abbandonano: simili proprio ai bambini che si
muovono ad operare non per via di ragione, ma solo in vista del piacere. Per
costoro tutto si riduce a cercare gusti e consolazioni di spirito, e perciò non si
saziano mai di leggere libri e ora scelgono una meditazione, ora un'altra,
andando a caccia di godimenti nelle cose di Dio. A questi tali Dio molto
giustamente e amorosamente si nega e nasconde perché se ciò non fosse, per
la gola spirituale i loro mali si moltiplicherebbero senza fine. Per la qual cosa
ad essi è molto necessario entrare nella notte oscura, a fine di purgarsi da
tutte le loro piccinerie.

7 - Di più, quei che sono così inclinati ai gusti spirituali hanno anche un'altra
imperfezione assai grande, ed è che vanno molto a rilento nel battere l'aspro
sentiero della croce: perché l’anima amante di delizie torce naturalmente il
viso ad ogni disgusto di propria abnegazione.

8 - Di qui nascono in essi molte altre imperfezioni, che il Signore cura a


tempo con tentazioni, aridità ed altri travagli che fanno parte della notte
oscura. Di queste imperfezioni non intendo trattare qui, per non dilungarmi
troppo. Solo faccio osservare che la sobrietà e la temperanza spirituale
importano una tempra ben diversa di mortificazione, di timore e soggezione in
tutte le cose, e che la perfezione e il valore delle opere non consiste nella loro
molteplicità, e, nel piacere che vi si trova, ma nel sapere in esse abnegare sé
medesimi. È ciò che essi devono studiarsi di fare, per quanto è possibile dal
canto loro, fino a che Dio voglia purificarli di fatto, introducendoli nella notte
oscura, per giungere alla quale mi vado affrettando nella rassegna di queste
imperfezioni.

1N CAPITOLO 7

IMP ERFE ZIO NI CIRC A L ' INV ID IA E L ' AC CID IA SPIRITUA LE

1 - Anche intorno agli altri due vizi che sono l'invidia e l'accidia spirituale, i
principianti non vanno immuni dal cadere in molte imperfezioni. Circa
l'invidia, molti di costoro sogliono avere moti di dispiacere dell'altrui bene
spirituale, e sperimentano qualche pena sensibile nel vedersi sorpassati dagli
altri nel cammino dello spirito; non vorrebbero sentirli lodare, perché si
rattristano delle virtù altrui, e alle volte non potendo soffrire quelle lodi,
dicono il contrario per distruggerle per quanto possono. Naturalmente poi,
sentono assai che con essi non si faccia altrettanto, perché vorrebbero essere
preferiti in ogni cosa. Tutto ciò si oppone grandemente alla carità, la quale,
come dice San Paolo, si rallegra della bontà e del bene ( 1 C o r 1 3 , 6 ) . Che se la
carità ha qualche invidia, è un'invidia santa, perché le dispiace di non
possedere le virtù dell'altro, ma gode che questi le abbia; anzi, chi ha carità,
si compiace che tutti lo superino nel servire a Dio, giacché in questo egli è
tanto manchevole.

2 - Inoltre circa l'accidia spirituale, sogliono aver tedio nelle cose che sono
più di spirito, e le fuggono come quelle che maggiormente si oppongono al
gusto sensibile: assaporando tante le cose spirituali, quando non vi trovano
più gusto le hanno a nausea. Infatti, se una volta non trovano nell'orazione il
piacere sensibile che bramavano (poiché alla fine conviene che Dio lo
sottragga loro per provarli), non vorrebbero tornare a fare orazione, e talvolta
la lasciano, o ci vanno di mala voglia. Quindi a cagione di questa accidia,
pospongono il cammino di perfezione (che consiste nell'abnegazione di se
stessi per amor di Dio) al gusto della loro volontà, che in tal guisa vanno
soddisfacendo più che quella di Dio.

3 - Molti vorrebbero che Dio assecondasse le loro voglie, ed hanno paura di


volere ciò che Dio vuole, e ripugnanza a conformare la propria alla divina
volontà. Perciò spesso accade che non credono essere volontà di Dio ciò che
non si adatta al loro genio; al contrario, quando sono contenti e soddisfatti,
pensano che Dio lo sia altrettanto, misurando Dio con se stessi, non già
viceversa: il che è assai contrario a ciò che Cristo stesso insegnò nel Vangelo,
dicendo che chi perderà la sua volontà per Lui, la guadagnerà; e colui che la
volesse guadagnare, la perderebbe ( M t 1 6 , 2 5 ) .

4 - Costoro s'infastidiscono pure quando loro si comanda ciò che per essi è
insipido. Correndo dietro alle delizie e al sapore dello spirito, sono troppo
bambini rispetto alla fortezza che la perfezione richiede per sostenere duri
travagli: simili in ciò a coloro che, essendo allevati tra mille agiatezze,
rifuggono da qualunque cosa aspra e faticosa. Trovano pesante il giogo della
croce, nella quale tuttavia sono riposti i diletti dello spirito; e nelle cose più
spirituali soffrono tedio maggiore: poiché, pretendendo di andare nelle cose
spirituali a loro talento e secondo il gusto della propria volontà, provano
grande tristezza e avversione ad entrare per lo stretto cammino della vita, di
cui parla il Signore ( M t 7 , 1 4 ) .

5 - Basti avere riferito queste imperfezioni tra le molte in cui vivono i


principiatiti. Da quanto abbiamo detto, si vedrà come sia loro necessario che
Dio li ponga nello stato di proficienti introducendoli nella notte oscura. Quivi
il Signore, divezzandoli dal latte dei loro gusti e sapori con pure aridità e
tenebre interiori, toglie loro tutte queste imperfezioni e piccinerie, e con
mezzi molto diversi fa loro acquistare le virtù. Poiché, per quanto il
principiante si eserciti nel correggere e mortificare in sé tutte le suddette
azioni e passioni, non può mai riuscirvi del tutto e neppure in gran parte,
finché ciò non avvenga in lui passivamente, per opera di Dio, mediante la
purgazione della notte oscura. Ed affinché intorno a questa io possa dire
qualcosa che riesca di profitto, piaccia al Signore d'infondermi la sua luce
divina tanto necessaria in una notte sì oscura e in un argomento sì difficile a
trattarsi. Il primo verso, dunque, dice:

In una notte oscura.

1N CAPITOLO 8

SI DICH IA RA IL PRIMO VER SO DE LLA PRIMA STROFA E SI CO MINC IA A SPIEG A RE LA


NO TT E OS CU RA

1 - La notte oscura, come noi chiamiamo la contemplazione, cagiona due


sorta di tenebre o purgazioni, secondo le due parti dell'uomo, sensitiva e
spirituale. Quindi la prima notte o purgazione con la quale l'anima si monda e
spoglia, sarà secondo il senso, adattandolo allo spirito; l’altra è. notte o
purgazione spirituale, con la quale l'anima si purifica secondo lo spirito,
disponendolo all'unione di amore con Dio. La notte sensitiva è comune a
molti, ossia ai principianti, e di essa parleremo in primo luogo. La notte
spirituale è riservata a ben pochi, a quelli cioè che sono già molto esercitati
e provetti nella perfezione: ne tratteremo in seguito.

2 - La prima notte è amara e terribile per il senso; la seconda però non le si


può paragonare, perché e semplicemente orrenda e spaventevole per lo
spirito. Ora, poiché secondo l'ordine logico e di tempo viene prima la notte
sensitiva, ne diremo subito qualche cosa, ma brevemente, perché molto si è
scritto intorno ad essa, essendo cosa più comune. Di poi passeremo a trattare
più di proposito della notte spirituale, perché se ne fa molto poca
menzione, sì nella pratica che negli scritti, ed anche se ne ha poca
esperienza.

3 - Abbiamo già visto che i principianti usano nella via del Signore una
maniera molto bassa e troppo confacente al loro gusto e amor proprio. Ecco
che Dio nella sua bontà vuol portarli innanzi, elevarli ad un più alto grado di
amore divino, liberarli dal basso esercizio del senso e del discorso dove finora
hanno cercato il Signore in modo imperfetto e limitato, collocandoli
nell'esercizio dello spirito, nel quale, più liberi da imperfezioni, possano più
abbondantemente comunicare con Lui. Già si sono esercitati per qualche
tempo nelle virtù; mossi dal piacere che vi trovavano, hanno perseverato
nell'orazione e nella meditazione, si sono distaccati dalle cose del mondo
ed hanno acquistato in Dio un po' di forze spirituali mediante le quali, come
tengono abbastanza a freno gli appetiti verso le creature, così sapranno
soffrire ormai un po' di pena e di aridità per amor di Dio, senza volgere il
passo indietro sul più bello. Orbene, quando essi con più gusto e sapore
godono negli esercizi spirituali, quando più chiaro risplende, a quanto loro
sembra, il sole dei divini favori, allora appunto Dio ottenebra tutta questa
luce e chiude loro la porta e la sorgente delle dolci acque spirituali, che
gustavano in Dio tutte le volte e per tutto il tempo che volevano: ché, invero,
essendo ancor teneri e deboli, non c’era porta chiusa per loro, secondo il detto
di S. Giovanni nell'Apocalisse ( A p 3 , 8 ) . Il Signore, quindi, li lascia al buio, tanto
che non sanno per dove andare con il senso dell'immaginazione e col discorso.
Non sanno più dare un passo nel meditare come prima solevano, essendo già
abnegato il senso interno in questa notte. Li lascia in tanta aridità che, non
solo non ritraggono succo e piacere dalle cose spirituali e dai devoti esercizi
in cui prima provavano gran diletto, ma invece vi trovano disgusto e
amarezza. E la ragione è che Dio, come già ho detto, volendoli un po’
grandicelli, affinché vieppiù si rafforzino ed escano dalle fasce, li stacca dal
suo dolce petto e, calandoli dalle braccia, li stimola a camminare con i loro
piedi: per il che essi restano molto sorpresi della novità della cosa, vedendo
che tutto va a rovescio rispetto di prima.

4 - Ordinariamente, questo fatto alle persone raccolte e ritirate accade più


presto che agli altri, dopo i primi principi, in quanto che, essendo più liberi
dalle occasioni di volgere indietro, riformano più in breve gli appetiti delle
cose del secolo: ciò che si richiede per introdursi in questa fortunata notte
del senso. Anzi, per solito, i più vi entrano non molto tempo dopo aver
incominciato, e se ne possono accorrere dalle aridità a cui soggiacciono.

5 - Intorno a questa purgazione sensitiva, essendo tanto comune, potremmo


qui citare gran numero di testimonianze della Sacra Scrittura, dove ad ogni
tratto, specialmente nei Salmi e nei Profeti, se ne trovano molte che fanno a
proposito. Ma in questo non voglio indugiarmi, perché a chi non avrà agio di
consultare i testi scritturali potrà bastare l'ordinaria esperienza.
1N CAPITOLO 9

SE G NI DA C UI SI PO TRÀ CO NOS CER E CH E L ' UO MO SPIRITUA LE VA PER IL CAMMIN O


DE LLA NO TTE O PU RGA ZION E SEN SITIVA

1 - Stante che le aridità potrebbero procedere, molte volte, non dalla notte o
purgazione dell'appetito, ma da peccati ed imperfezioni, o da tiepidezza, o
da qualche cattivo umore e disposizione corporale, porrò qui alcuni segni
da cui si possa conoscere se l'aridità dipende dalla detta purgazione, ovvero
da qualcuna delle cause accennate. A mio parere, vi sono tre segni principali.

2 - Il primo è che l'uomo, come non sente piacere e consolazione nelle cose
di Dio, così neppure lo sente in alcuna delle cose create. Siccome Dio mette
l'anima in questa notte oscura a fine di inaridirle e purgarle l'appetito
sensitivo, non le lascia trovare sapore in nessuna cosa. Da ciò si conosce
che l'aridità e il disgusto molto probabilmente non provengono da peccati o da
imperfezioni commesse di nuovo: perché, se così fosse, si sentirebbe nel
naturale qualche inclinazione o voglia di assaporare qualche altra cosa diversa
da quelle di Dio. Difatti, ogni volta che, l'appetito si abbandona a qualche
imperfezione, subito rimane inclinato ad essa poco o molto, a misura
dell'affetto che vi applicò. Tuttavia, poiché, il non gustare né delle cose del
cielo né di quelle della terra potrebbe derivare da qualche indisposizione o da
umore melanconico, il quale spesso non permette di trovar piacere in nessuna
cosa, è necessario il secondo segno.

3 - Il secondo segno per credere che si tratti della detta purgazione, è che
l'uomo ordinariamente volge il pensiero a Dio con sollecitudine e cura
penosa temendo di non servirlo ma di tornare indietro, giacché si vede
insipido nelle cose divine. È manifesto che tal dispiacere ed aridità non
procede da tiepidezza, perché è proprio di questa non prendersela tanto e non
darsi pensiero delle cose di Dio. Tra l'aridità e la tiepidezza vi corre gran
differenza: poiché ciò che è tiepidezza importa non poca pigrizia di volontà e
fiacchezza d'animo, senza diligente cura di servire a Dio; invece, ciò che è
semplicemente aridità purgativa trae con sé un'ordinaria sollecitudine, con
penoso dubbio di non servire al Signore. L'aridità, benché alcune volte sia
fomentata dalla malinconia o da altro umore (come realmente può accadere),
non per questo lascia di produrre il suo effetto purgativo nell'appetito, perché
questo resta privo di ogni gusto e s’indirizza a Dio con sollecito pensiero. Al
contrario, quando si tratta di umor nero solamente, tutto si risolve in disgusti
e strazi della natura, senza quei buoni desideri che accompagnano l’aridità
purgativa: con la quale, sebbene la parte sensitiva sia molto abbattuta, debole
e fiacca nell’operare a motivo della poca soddisfazione che vi trova, lo spirito
tuttavia è pronto e forte.

4 - La causa di questa aridità è che Dio trasferisce i beni e le forze del senso
allo spirito; e poiché il senso, con la sua forza naturale, non è capace di cose
di un ordine superiore, resta digiuno, arido e vuoto. La parte sensitiva non ha
abilità per ciò che è puro spirito, e quindi, allorché la carne gusta lo spirito,
diventa insipida e s'indebolisce nell'operare; mentre lo spirito, ricevendo il
proprio cibo, si rafforza e diviene più vigilante e sollecito di prima
nell'attenzione di non mancare a Dio. Però da principio, per la novità della
cosa, lo spirito non sente subito il diletto spirituale, ma aridità e disgusto,
perché avendo avuto sinora il palato assuefatto ai sapori sensibili, su di questi
posa tuttavia lo sguardo. Di più, poiché il palato spirituale non è purgato e
disposto per un gusto sì sottile, ma ha bisogno di disporsi a mano a mano per
mezzo della notte oscura, non può ancora sentire il sapore dei bene spirituale,
ma sperimenta aridità e disgusto, per mancanza del piacere che prima godeva
con tanta facilità.
5 - Coloro che Dio comincia a condurre per queste solitudini del deserto, sono
simili ai figli di Israele i quali, benché ricevessero dal Signore la manna
celeste che in sé conteneva ogni sapore, secondo il desiderio di ciascuno,
nondimeno sentivano più la privazione delle carni e delle cipolle d'Egitto alle
quali erano avvezzi, che non la delicata dolcezza dell'angelico alimento, tanto
da lamentarsi e rimpiangere quei cibi volgari, mentre avevano dinanzi il pane
celeste ( N m 11 , 5 ) . A tanto estremo giunge la bassezza del nostro appetito, da
farci desiderare le nostre miserie e avere in fastidio il bene incommutabile del
cielo!

6 - Ma, ripeto, quando le aridità provengono dalla via purgativa dell'appetito


sensibile, quantunque al principio lo spirito non trovi gusto per le cause
anzidette, attinge però forza e coraggio per operare nella sostanza che riceve
dal cibo interiore, il quale è principio di contemplazione oscura ed arida per il
senso, occulta e segreta per quegli stesso che l'ha. Questa contemplazione,
ordinariamente, oltre all'aridità e al vuoto che crea nel senso, dà all'anima
inclinazione e desiderio di starsene sola e quieta, senza potere né voler
pensare, ad alcuna cosa particolare. Allora, se quelli a cui ciò accade
sapessero mettersi in santa pace, liberandosi dalle brighe di qualsiasi opera
interiore ed esteriore, senza sollecitudine di fare lì cosa alcuna, subito in
quell'oblio e riposo gusterebbero dolcemente l'interno ristoro. Questo è tanto
delicato che per solito, se si ha desiderio e cura di sentirlo, non si sente,
perché, ripeto, esso opera nel maggior ozio ed oblio dell'anima, ed è come
l'aria, che sfugge quando la si vuole stringere in pugno.

7 - A questo proposito possiamo intendere quelle parole che lo Sposo dei


Cantici disse alla Sposa, cioè: Volgi da me i tuoi occhi, perché mi fanno
divagare ( C t 5 ,8 ) . Dio, infatti, mette l'anima in questo stato in modo tale, e la
conduce per sì differente cammino, che se ella vuole operare con le sue
potenze, disturba l'opera che Dio in essa va facendo, piuttosto che
coadiuvarla, mentre prima accadeva tutto all'opposto. La causa è perché ormai
in questo stato di contemplazione, cioè, quando l'anima dal discorso passa
allo stato dei proficienti, Dio è quegli che opera in lei, e perciò ne lega le
potenze interiori non lasciando ad essa alcun appoggio nell'intelletto, né
succo nella volontà, né discorso nella memoria. In questo tempo, ciò che
l'anima può mettervi da parte sua non serve che a turbare la pace interiore e
l'opera che in quell'aridità del senso Dio compie nello spirito: la quale opera,
spirituale e delicata com’è, agisce in modo quieto e pacifico, e dà un'intima
soddisfazione ben diversa da tutti i gusti di prima, troppo palpabili e sensibili.
Questa è la pace che, come dice Davide, Dio parla nell’anima per renderla
spirituale ( S a l 8 4 , 8 - 9 ) . Ed ora passiamo al terzo segno.

8 - Il terzo segno da cui l'anima viene a conoscere che si trova nella


purgazione del senso, è il non poter più meditare né discorrere valendosi
del senso dell'immaginazione, come soleva, per quanto faccia da parte sua.
Dio ormai comincia a comunicarsi a lei, non già per via del senso e per mezzo
del discorso col quale l'anima prima componeva e divideva le idee, ma per
mezzo del puro spirito, in cui non v'è discorso successivo: le si comunica,
cioè, con atto di semplice contemplazione, alla quale i sensi esterni e interni
della parte inferiore non possono giungere. Quindi è che 1'immaginazione e la
fantasia non trovano appoggio in alcuna considerazione, né, più in avvenire
potranno fermarvi il piede.

9 - Si avverta in questo terzo segno che tale impedimento e disgusto delle


potenze non deriva da alcun cattivo umore: perché, quando è così, cessato che
sia quell'umore che non dura mai in uno stesso modo di essere, l'anima,
usando un po' di diligenza, subito ritorna a potere ciò che prima poteva, e le
sue facoltà trovano i loro appoggi. Ma non così avviene nella purgazione
dell'appetito: perché quando l'anima ha cominciato ad entrarvi, sempre più va
crescendo per lei l'impossibilità di discorrere per mezzo delle potenze. È
vero che, sulle prime, in alcuni la purgazione sensitiva non è così continua da
non permettere loro talvolta qualche discorso e gusto sensibile (e buon per
essi, ché per la loro fiacchezza non conviene divezzarli tutt’a un tratto);
nondimeno è pur vero che sempre più s'inoltrano nella suddetta purgazione,
allontanandosi dall'esercizio sensitivo, posto che debbano andare avanti. Dico
così perché in quelli che non battono la strada della contemplazione, le
cose vanno in modo molto diverso. In essi la notte dell'aridità non suole
essere continua nel senso, ma alcune volte l'hanno, altre no; ed ora non
possono discorrere, ora lo possono come prima: perché Dio li colloca in
questa notte soltanto per esercitarli e umiliarli, e per riformare il loro
appetito, affinché non si vadano allevando con golosità viziosa nelle cose
spirituali, non già per condurli sulla via dello spirito, ossia alla
contemplazione. E si noti bene che non tutti quegli che si esercitano di
proposito nel cammino dello spirito sono portati da Dio sino alla
contemplazione; anzi neppure la metà, e il perché è noto a Lui solo. Quindi è
che a questi non è dato di poter distaccare completamente il senso dalle
considerazioni e dai discorsi, ma solo di quando in quando e per qualche
tempo, come abbiamo detto.

1N Capitolo 10

COME CO STORO DEVONO CO MP ORTARSI NE LLA NO TTE OSCU RA

1 - Nel tempo dunque delle aridità della notte sensitiva Dio opera il suddetto
cambiamento, trasferendo l'anima dalla vita del senso a quella dello
spirito, cioè dallo stato meditativo a quello contemplativo, dove ormai
l'anima con le sue potenze non può più operare e discorrere nelle cose di Dio.
Quivi gli spirituali patiscono grandi pene, non tanto per le aridità che
soffrono, quanto per il timore di andar perduti in questo cammino,
pensando che per loro sia finito ogni bene spirituale e che Dio li abbia
abbandonati, stante che non trovano appoggio né piacere in nessuna cosa
buona. Allora si affaticano, procurando (secondo il costume che avevano) di
sostentare e pascere le potenze con il gusto di qualche oggetto di discorso,
credendo di stare in ozio se ciò non fanno, e se non sono ben sicuri di
operare; ma a tali sforzi l'anima, che si compiaceva di starsene in quella
pacifica quiete delle potenze, prova non poco dispiacere e ripugnanza. Mentre
perciò si affannano nel discorso, non profittano nella contemplazione, perché
volendo cercare il loro spirito, perdono lo spirito di calma e tranquillità che
avevano. Rassomigliano proprio a chi lascia ciò che ha fatto per tornare a
farlo, o a chi esce dalla città per rientrarvi, o a chi lascia la preda per andare a
caccia; anzi, nel nostro caso, ogni loro fatica è affatto inutile, perché non
otterranno più nulla, con que1 primiero modo di procedere.

2 - Se costoro in questo tempo non hanno chi li intenda, tornano indietro,


lasciando l'intrapreso cammino o divenendo tiepidi in esso; se non altro, da se
stessi pongono ostacolo al loro progresso, a cagione delle molte industrie che
usano per seguire il primo cammino della meditazione e del discorso,
stancando eccessivamente la natura, e attribuendo la vanità dei loro sforzi ai
propri peccati o alla propria negligenza. Ma, ripeto, è inutile che essi
ritornino sui loro passi, perché Dio ormai li mena per la strada della
contemplazione che è differentissima da quella di prima, perché l'uno è di
meditazione e discorso, mentre l'altra non cade sotto l'immaginazione o il
discorso.

3 - Si consolino, dunque, perseverando nella pazienza e, senza angustiarsi


confidino in Dio, che non abbandona mai quelli che lo cercano con cuore
semplice e retto, né ometterà di somministrare loro il necessario per il
viaggio, sino a condurli alla chiara e pura luce di amore, che loro darà per
mezzo dell'altra notte oscura dello spirito, se meriteranno da Dio sì alto
favore.

4 - Il metodo che devono usare in questa notte del senso, è di non


camminare per via di discorso e di meditazione, perché non è più tempo
d'insistervi; ma lascino l'anima in riposo, benché loro sembri di non far
niente, di perdere tempo, e di non aver neppure la voglia di pensare a cosa
alcuna, causa la propria tiepidezza. Già faranno molto, se avranno pazienza
perseverando nell'orazione senza far niente. Quello che dovranno fare è
solamente questo: lascino l'anima libera e tranquilla, sbarazzata da ogni
notizia e pensiero, e non si preoccupino di ciò che penseranno o mediteranno.
Si contentino solo di una quieta ed amorosa avvertenza in Dio, senza
sollecitudine, sforzi e desideri di sentirlo e goderlo, perché tutte queste
pretensioni inquietano e distraggono l'anima dalla pacifica quiete, dal soave
riposo di contemplazione, che qui le si concede.

5 - Inoltre, quantunque nascessero loro moltissimi scrupoli di sciupare tempo,


e che sarebbe meglio impiegarsi in altre cose giacché nell'orazione non
possono fare né pensare niente, sappiano sopportarsi e rimanere calmi, perché
ora è tempo di starsene a bell’agio e con grande larghezza di spirito. Che se
dal canto loro volessero operare alcunché con le potenze interne, ciò sarebbe
un impedire e distruggere i beni che Dio imprime nell'anima per mezzo di
quella tranquilla pace; sarebbe come se una immagine dipinta si dimenasse
mentre il pittore la va ritoccando: certo non gli lascerebbe far nulla e gli
guasterebbe l'opera che stava facendo. Similmente, quando l'anima sta in pace
e in ozio interiore, qualsiasi operazione o affetto o sollecita avvertenza
ch'essa allora voglia avere, le sarà di distrazione e inquietudine, e le dovrà far
sentire l'aridità e il vuoto dei sensi; e quanto più pretenderà di avere appoggio
in qualche affetto o notizia, tanto più sentirà il vuoto, il quale non può essere
più colmato per quella via.

6 - Bisogna, quindi, che l'anima non si dia alcun pensiero se perde le


operazioni delle sue potenze, anzi dev'essere contenta di perderle presto. Se
l'anima non disturba I' atto della contemplazione infusa da Dio, la riceve con
più abbondanza pacifica, e fa sì che arda del fuoco di amore, che questa
oscura e segreta contemplazione trae con sé e appicca all'anima; perché la
contemplazione non è altro che una infusione segreta, pacifica e amorosa
di Dio, la quale, se le si apre la strada, infiamma l'anima nello spirito
d'amore, secondo che ella fa intendere nel verso seguente:

Con ansie, d'amor tutta infiammata.

1N CAPITOLO 11

SI DICHI ARAN O I TRE VERS I DELIA STROFA

1 - Questa fiamma d'amore, in via ordinaria, al principio non si sente, o


perché non ha incominciato ad appigliarsi a cagione dell'impurezza della
natura, o perché l'anima, non intendendola, non le fa luogo pacifico in sé,
come si è detto. Però alle volte comincia subito a sentirsi qualche ansioso
ardore verso Dio, e quanto più cresce, tanto più l'anima si sente accesa
dall'amore divino, senza sapere né intendere come e donde le derivi un tale
affetto; se non che alle volte vede crescere tanto in sé questa fiamma, che con
vive ansie amorose desidera Dio, secondo ciò che Davide, posto in questa
notte, dice di sé con le seguenti parole: Poiché s'infiammò il mio cuore (cioè
in amore di contemplazione), anche i miei reni si mutarono (S a l 7 2 , 2 1 - 2 2 ) : vale a
dire, i miei appetiti di affezioni sensitive si trasferirono dalla via sensitiva
alla via spirituale, in cui essi tutti inaridiscono e cessano. Ed io, soggiunge
Davide, mi sciolsi in nulla, rimasi annichilito, né seppi come: perché l'anima,
senza sapere per dove cammini, si vede annichilita circa tutte le cose celesti e
terrene che soleva gustare, e soltanto si vede innamorata, non intendendo
come. E poiché alle volte la fiamma di amore cresce a dismisura nello spirito,
gli ansiosi ardori verso Dio sono sì veementi da sembrare che s'inaridiscano le
ossa, e che il calore e le forze naturali vengano meno per la vivezza della sete
di amore. L'anima sente che questa sete è eccessivamente viva, come la
sentiva Davide quando disse: L'anima mia fu assetata di Dio Vivo ( S a l 4 1 , 3 ) ; che
è quanto dire: la sete che ebbe l'anima mia fu viva. La qual sete, essendo viva,
possiamo dire che faccia morire di sete. È da notarsi, però, che la veemenza di
questa sete non è continua, ma si prova di quando in quando, benché per
solito un po' resti sempre.

2 - Ma, ritornando a quanto dicevo poc'anzi, ordinariamente questo amore al


principio non si sente, ma solo aridità e vuoto; ed allora, invece di questo
amore che di poi si andrà accendendo sempre più, ciò che l'anima sente in
mezzo a quella aridità e vuoto delle potenze è un'ordinaria sollecitudine di
Dio, con pena e timore di non servirlo: e certamente è un sacrificio non poco
gradito al cospetto di Dio che lo spirito sia tribolato e sollecito, per amor suo.
Questa sollecitudine è immessa nell'anima dall'oscura e segreta
contemplazione, la quale in progresso di tempo, dopo aver purgato un poco il
senso, ossia la parte sensitiva, dalle forze e dagli affetti naturali per mezzo
dell'aridità che vi pone, va accendendo nello spirito l'amor divino. Ma
frattanto, in questa oscura notte e arida purgazione dell'appetito, l'anima,
come un malato sottoposto a cura, non fa che patire. In pari tempo però si
monda da molte imperfezioni e si esercita in molte virtù, per rendersi capace
del divino amore, come adesso diremo intorno al seguente verso:

Oh felice ventura!

3 - Dio introduce l'anima nella notte sensitiva a fine di purgare il senso della
parte inferiore, e per assoggettarlo e unirlo allo spirito, oscurandolo e
facendolo cessare dai discorsi: alla stessa guisa che in seguito, a fine di
purificare lo spirito e unirlo a Dio, lo farà passare per la notte spirituale.
L'anima quindi riporta (quantunque non le sembri) tali e tanti vantaggi, che
reputa sorte avventurata l'essersi svincolata dai lacci e dalle strette del senso
della parte inferiore per mezzo di questa notte fortunata, e non può fare a
meno di esclamare col presente verso: Oh felice ventura! Intorno a che,
conviene ora riferire le utilità che l'anima ricava in questa notte, a motivo
delle quali stima felice sorte il passaggio per essa: utilità che sono tutte
racchiuse nel seguente verso:

Uscii né fui notata

4 - Per questa uscita s'intende che l'anima si è sottratta dall'essere soggetta


alla parte sensitiva, ossia dal cercare Dio per mezzo di operazioni sì deboli,
limitate e pericolose come sono quelle della parte inferiore. Ad ogni passo,
infatti, s'imbatteva in mille imperfezioni ed errori, come più sopra abbiamo
notato rispetto a ciascuno dei sette vizi capitali. Da tutti questi ella si libera,
perché la notte del senso estingue in lei tutti i gusti celesti e terreni, le oscura
qualunque discorso, e le apporta altri innumerevoli beni con l'acquisto delle
virtù, come ora diremo. E di certo, sarà cosa di grande consolazione e diletto,
per chi batte tale strada, il vedere quanti beni nascono da ciò che a prima
vista parrebbe tanto aspro e contrario all'anima e sì opposto al gusto
spirituale. L'anima consegue questa abbondanza di beni appunto per mezzo
della notte oscura, uscendo secondo l'affetto e l'operazione da tutte le cose
create, per camminare all'eterno. Il che è somma felicità e ventura:
primieramente, per il gran bene che è lo spegnere l'appetito e l'affetto circa
tutte le cose; in secondo luogo, perché molto pochi sono coloro che resistono
e perseverano nell'entrare per l'angusta porta e per lo stretto sentiero che,
secondo il detto del Nostro Salvatore, conduce alla vita (Mt 7,14). L'angusta
porta è precisamente la notte del senso, del quale l'anima si spoglia per
entrarvi, appoggiandosi sulla fede che trascende ogni senso, per poi calcare lo
stretto cammino dell'altra notte, quella dello spirito, in cui l'anima s'indirizza
a Dio con pura fede, che è mezzo di unione con Lui. Questo sentiero è tanto
stretto, questa notte dello spirito è sì oscura e spaventosa, che le pene e i
tormenti suoi superano di gran lunga quelli della notte del senso: quindi è che
sono assai meno coloro che vi camminano. Tuttavia, se gli strazi che vi si
soffrono sono molto più gravi, anche i vantaggi sono in proporzione molto
maggiori, Ma, prima di passare a parlar di questi, diremo adesso qualche cosa
circa i vantaggi della notte del senso, il più brevemente possibile.

1N CAPITOLO 12

VAN TAG GI CH E LA NO TTE D EL SEN SO ARRE CA ALL ' AN IMA

1 - Questa notte o purgazione dell’appetito è tanto felice per l’anima, a


motivo dei grandi beni e vantaggi che le apporta (quantunque a lei sembri
piuttosto di andarne priva), che come Abramo fece gran festa quando il suo
figliolo Isacco fu slattato (Gen 21,8), così il Cielo si rallegra che Dio sciolga
ormai l'anima dalle fasce, calandola dalle braccia per farla camminare coi
suoi piedi; e che togliendole il latte e il dolce e delicato cibo dei bambini, le
faccia mangiare il pane dalla dura crosta, il pane dei forti, il quale in queste
aridità e tenebre del senso si comincia a porgere allo spirito arido e vuoto di
succhi sensibili, ed è la suddetta contemplazione infusa.

2 - Il primo e principale vantaggio che l'anima ritrae da questa notte arida e


oscura, è questo: il conoscimento di sé e della propria miseria. Poiché, oltre
che tutte le grazie sparse da Dio sull’anima sono d'ordinario accompagnate da
questo conoscimento, si aggiunge che le aridità delle potenze, la privazione
dell'abbondanza di cui prima l'anima godeva, e la difficoltà che essa ora trova
nelle cose buone, di per sé le fanno conoscere la propria bassezza e miseria,
che nel tempo della sua prosperità non riusciva a vedere. Troviamo
un'appropriata figura di ciò nell'Esodo, dove volendo Dio umiliare i figli
d'Israele affinché si conoscessero, comandò loro di deporre l'abito e gli
ornamenti festivi che per lo più indossavano nel deserto, dicendo: Orsù, da
qui innanzi spogliatevi degli ornamenti festivi, e indossate vesti comuni e da
lavoro, affinché sappiate il trattamento che vi meritate ( E s 3 3 , 5 ) . Il che è come se
dicesse: Poiché il vestito che portate, essendo da festa, vi porge occasione di
non sentire bassamente di voi stessi secondo quel che siete, lasciatelo dunque,
acciocché d'ora in poi, vedendovi coperti di vili panni, conosciate alfine chi
siete voi, e che non meritate di più. L'anima, dunque, comprende la verità
della propria miseria, che per l'addietro non comprendeva. Infatti, al tempo
che se la passava quasi in festa, trovando in Dio molto piacere, consolazione e
appoggio, viveva un po' più soddisfatta e contenta, parendole di servire a Dio
abbastanza, anzi che no. Che se non aveva espressamente tale convinzione.
pure qualcosa di simile si nascondeva in quella soddisfazione che provava.
Ma adesso, indossato l'abito di fatica, di aridità e di abbandono, mentre si è
offuscata la sua primiera luce, molto più veramente la possiede nell'eccellente
e necessaria virtù della propria cognizione, non avendo più alcuna stima e
soddisfazione di se stessa; perché vede chiaramente che dal canto suo niente
fa, e niente può. Ora, questa scontentezza di sé e lo sconforto che ha di non
servire a Dio, sono da Lui tenuti in maggior pregio che tutte le opere che
l'anima faceva e tutti i diletti che godeva, per quanto grandi fossero. Quelle
opere, quei diletti di prima, le erano di occasione a mille imperfezioni ed
errori; mentre ora che è rivestita del nuovo abito di aridità, oltre i suddetti
vantaggi, ritrae quelli che stiamo per dire e molti altri ancora che per brevità
tralasciamo, i quali tutti nascono dal conoscimento di sé, come da propria
origine e fonte.

3 - E primieramente, avviene che l'anima impara a comportarsi verso Dio con


miglio garbo e con più riverenza, quali nel tratto coli l'Altissimo devono
sempre usarsi: il che ella non faceva al tempo della prosperità e della sua
consolazione, perché i gustosi favori che godeva, rendevano l'appetito un po'
troppo ardito e meno riguardoso verso il Signore. Così accadde a Mosè,
quando udì che Dio gli parlava: poiché facendosi trascinare dall'appetito,
senza troppa considerazione osava di avvicinarsi al roveto ardente, e l'avrebbe
fatto, se Dio non gli avesse comandato di fermarsi e togliersi i calzari ( E s 3 , 5 ) :
il quale comando mette in rilievo il rispetto col quale l'uomo, spogliandosi
dell'appetito, deve trattare con Dio. Allorché, quindi, Mosè obbedì su questo
punto, rimase così ritenuto e circospetto, che non solo, come dice la Scrittura,
non ardì di accostarsi. ma nemmeno osava, alzare lo sguardo ( E s 3 ,6 ) ; e ciò
perché, deposti i calzari degli appetiti e dei gusti, conobbe molto bene la sua
miseria dinanzi a Dio, e che gli conveniva comportarsi in quel modo per udire
le divine parole. Similmente, la disposizione che Dio volle in Giobbe prima di
ammetterlo a parlare con Lui, non furono quei diletti e quella gloria che
Giobbe, come egli stesso riferisce, soleva godere col suo Dio, ma fu il
metterlo nudo in un letamaio, abbandonato e anche schernito dai suoi amici,
pieno di angustie e di amarezze, sul suolo sparso di vermi all'intorno. Allora,
in sì miserabile condizione, quel Dio che solleva il povero dal fango si degnò
di discendere e di parlargli familiarmente, scoprendogli le sublimi altezze
della sua Sapienza, ciò che mai aveva fatto con lui nel tempo della prosperità.

4 - E qui, giacché è venduto a proposito, bisogna notare un'altra eccellente


utilità che si ritrae dall'aridità dell'appetito sensitivo, ed è che in questa notte
oscura (affinché si verifichi ciò che dice il Profeta: Risplenderà la tua luce fra
le tenebre [ I s 5 8 ,1 0 ] ) Dio illumina l'anima dandole non solo cognizione della
propria miseria e bassezza, ma anche della divina grandezza ed eccellenza.
Poiché, da una parte, essendo spenti gli appetiti, i gusti e gli appoggi
sensibili, l'intelletto rimane libero e limpido per comprendere la verità,
mentre prima era offuscato ed impedito da quelli, ancorché fossero di cose
spirituali; dall'altra poi, la stessa penuria e aridità del senso illustra e ravviva
l'intelletto, secondo il detto d'Isaia ( I s 2 8 ,1 9 ) . L’angustia fa intendere come Dio
vada istruendo soprannaturalmente l'anima nuda e sgombra (condizione
richiesta per il divino influsso) nella sua divina sapienza, mediante l'oscura e
arida notte della contemplazione: il che non faceva per mezzo dei gusti e
diletti di prima.

5 - Più chiaramente ancora il medesimo profeta Isaia ci fa intendere ciò,


dicendo: A chi insegnerà Dio la sua scienza, e a chi farà udire le sue parole? A
coloro che sono già divezzati dal latte e staccati dal petto ( I s , 2 8 , 9 ) . Queste
parole significano che la disposizione per ricevere il divino influsso, non è il
primo latte della soavità spirituale, né l'accostarsi al petto dei saporiti
discorsi delle potenze sensitive, ma la privazione dell'uno e il distacco
dall'altro. Pertanto, per udire il Signore, conviene che l'anima sua bene in
piedi e senza il sostegno dell'affetto e del senso, come il Profeta Abacuc,
parlando di sé, dice: Starò in piedi sul mio posto di guardia (cioè sarò
distaccato dall'appetito); e fermerò il passo (ossia non discorrerò col senso),
per contemplare ed intendere ciò che da parte di Dio mi si dirà ( A b 2 , 1 ) .
Insomma, rimane fermo che dalla notte oscura nasce primieramente il
conoscimento di sé, e da questo, come da fonte, scaturisce il conoscimento
di Dio. Per la qual cosa S. Agostino diceva: Deh fate, o Signore, che io
conosca me, e conoscerò pure Voi ( S o l i l . l . 2 , c . 1 : M L 3 2 , 8 8 5 ) : poiché, come dicono i
filosofi, un estremo si conosce bene per mezzo dell'altro.
6 - Ed a fine di provare compiutamente l'efficacia che la notte sensitiva
possiede con la sua aridità e il suo distacco per attirare di più la luce che qui
l'anima riceve da Dio, citeremo quel testo di Davide, in cui egli dichiara
molto bene a proposito la grande virtù di questa notte, rispetto all'alto
conoscimento di Dio. Dice adunque così: In una terra deserta, non irrigata,
arida e fuori di strada comparii dinanzi a Te, per poter vedere la tua virtù e la
tua gloria (S a l 6 2 , 3 ) . Ed è cosa veramente ammirabile che qui Davide non dice
che i molti diletti e gusti spirituali già goduti fossero disposizione e mezzo
per conoscere la gloria di Dio, ma il distacco e l'aridità della parte sensitiva,
il che è qui significato dalla terra secca e deserta. Come pure fa meraviglia
che egli nemmeno dica che i divini concetti e discorsi, di cui si era molto
servito, fossero la strada per sentire e vedere la virtù di Dio, bensì il non
poter fissare il concetto in Dio, né procedere col discorso della
considerazione immaginaria, il che è significato dalla terra fuori di strada. Di
modo che questa notte oscura del senso, con le sue aridità e col suo vuoto, è il
mezzo per conoscere Dio e se stesso, quantunque non con quella pienezza e
abbondanza come nella notte dello spirito, poiché questo conoscimento è
principio dell'altro.

7 - Nelle aridità e nel vuoto della notte dell'appetito, l'anima acquista anche
l'umiltà spirituale, che è la virtù contraria al primo vizio capitale che è la
superbia spirituale: e quindi mediante questa umiltà, nata dal proprio
conoscimento, si purga da tutte quelle imperfezioni in cui cadeva intorno a
quel vizio, al tempo della sua prosperità. Vedendosi tanto arida e miserabile,
neanche per primo moto le passa in pensiero di essere migliore degli altri e di
superarli in qualche cosa, come prima credeva; anzi, al contrario, è convinta
che gli altri camminino meglio di lei.

8 - Di qui nasce l'amore verso il prossimo, perché lo stima e non lo giudica,


come prima soleva, quando cioè vedeva se stessa con gran fervore e gli altri
no. Ora conosce solamente la sua miseria, e la tiene sempre davanti agli
occhi, tanto da non aver agio di fissarli in alcuno: il che Davide, posto
anch'esso in questa notte, mirabilmente dichiara dicendo: Ammutolii e mi
umiliai, e tacqui circa i beni, e si rinnovò il mio dolore (Sal 38,3). Dice così
perché gli sembrava che i beni dell'anima sua fossero ridotti al nulla, tanto
che non solo non trovava modo di parlarne, ma per il dolore cagionatogli dalla
cognizione della propria miseria, taceva anche dei beni altrui.

9 - Per mezzo della notte del senso l'anima si rende anche soggetta ed
obbediente nel cammino spirituale; poiché, vedendosi sì misera e vile, non
soltanto ascolta ciò che le viene insegnato, ma desidera altresì che qualsiasi
persona l'indirizzi e le suggerisca ciò che deve fare. Si spoglia della
presunzione affettiva che talvolta aveva nella prosperità; e finalmente il suo
cammino viene sgombrato da tutte quelle imperfezioni che intorno alla
superbia spirituale abbiamo notate a suo luogo.

1N CAPITOLO 13

A LT RI VAN TAG GI CH E LA NO TTE D EL SEN SO APP ORTA ALL ' AN IMA

1 - Molte erano le imperfezioni che l'anima commetteva rispetto all'avarizia


spirituale, bramando or queste or quelle cose devote, senza mai essere
soddisfatta, a cagione dell'avidità dell'appetito e del diletto che vi prendeva;
adesso invece in questa notte oscura e arida ella è ben riformata. Poiché, non
trovando più nelle cose di spirito il piacere e il sapore di prima, ma piuttosto
pena e disgusto, ne fa uso con tanta moderazione, che ora forse potrebbe
mancare più per difetto che per eccesso. Però, a coloro che mette in questa
notte, Dio ordinariamente concede umiltà e prontezza nell'operare, sebbene
senza propria soddisfazione, affinché solo per amor suo adempiano ciò che
viene loro comandato, e trascurino molte cose, non trovandovi gusto.

2 - Anche circa la lussuria spirituale si vede chiaro che, per mezzo


dell'aridità e scipitezza sensibile che l'anima incontra nelle cose spirituali, si
libera dalle impurità che altrove abbiamo notate; poiché, come ivi dicemmo,
erano causate dal piacere che dallo spirito ridondava nel senso.

3 - In quanto poi alle imperfezioni da cui l'anima si libera in questa notte


oscura circa il quarto vizio, cioè la gola spirituale, il lettore potrà vederle
dove ne abbiamo parlato, quantunque non siano state annoverate tutte, perché
sono innumerevoli; quindi non starò qui a riferirle, perché vorrei ormai
concludere con questa notte del senso per passare all'altra dello spirito,
circa la quale dovremo esporre una dottrina molto importante. Perciò, per
intendere gli immensi vantaggi che l'anima riporta circa il vizio della gola
spirituale, basterà dire che si libera da tutte le enumerate imperfezioni e da
molti altri e maggiori mali non menzionati da noi, in cui non pochi incorsero
(e lo sappiamo per esperienza) per non aver riformato l'appetito nel suddetto
vizio. Collocando l’anima in questa arida e oscura notte, Dio tiene a freno la
concupiscenza e l'appetito, in modo che non possano cibarsi di alcun sapore
sensibile di cose celesti e terrene. Quindi è che finalmente l'anima giunge al
punto di essere così composta, riformata e mortificata nei suoi appetiti, da
perdere la forza delle passioni e della concupiscenza. Divezzandosi da ogni
gusto, diventa sterile, alla stessa guisa che s'inaridiscono i naturali decorsi del
latte, cessata che sia l'azione di prenderlo. Inariditi così gli appetiti e le
concupiscenze per mezzo della sua sobrietà spirituale, l'anima fa progressi
meravigliosi, vive in pace e tranquillità di spirito, perché dove quelli non
regnano, non c’è turbamento, ma perfetta calma e consolazione di Dio.

4 - Di qui ne segue un altro profitto, ed è che l'anima ordinariamente si


ricorda di Dio, e teme di volgere indietro nel cammino spirituale: e questo è
uno dei maggiori beni che la purgazione dell'appetito possa apportare, perché
l'anima si purifica dalle imperfezioni che prima le aderivano, per mezzo degli
appetiti e delle passioni, che di per sé offuscano l'anima e la rendono ottusa.

5 - Ma un altro bene inestimabile si trova nella notte del senso, ed è che


l'anima si esercita allo stesso tempo in molte virtù, come ad esempio nella
pazienza e longanimità, perché, messa a dura prova con le aridità, ella tuttavia
persevera negli spirituali esercizi, sopportando la privazione di ogni gusto e
conforto: come pure nella carità verso Dio, perché si muove ad operare, non
già per il gustoso sapore che vi trova, ma soltanto per amore di Lui. Si
esercita del pari nella virtù della fortezza, perché nelle difficoltà e nei
disgusti che incontra nell'operare trae forze, per così dire, da fiacchezza, e
diviene robusta. Insomma, per mezzo della aridità si addestra in tutte le virtù,
sì teologali che cardinali e morali, con atti interni ed esterni.

6 - Ora, che l'anima ritragga tutte le quattro utilità accennate, ossia diletto di
pace, costante e premuroso pensiero di Dio, limpidezza e purità di spirito, e
l'esercizio delle virtù, anche Davide, sapendolo per propria esperienza, lo
attesta con queste parole: L'anima mia rifiutò le consolazioni; mi ricordai di
Dio e n'ebbi conforto, mi esercitai, e il mio spirito venne meno ( S a l 7 6 , 3 ) . E
subito soggiunge: Meditavo di notte dentro il mio cuore e mi esercitavo,
ripurgando il mio spirito ( S a l 7 6 , 6 ) ; vale a dire tutti gli affetti.

7 - In quanto alle imperfezioni degli altri tre vizi spirituali cioè invidia, ira e
accidia, nell'aridità dell'appetito l'anima si purifica anche da esse, facendo
acquisto delle virtù contrarie. Poiché, ammansita e umiliata dalle aridità,
dalle tentazioni e pene in cui Dio la esercita con l'occasione della notte
oscura, diventa dolce o e mansueta con Dio, con se stessa; e con il prossimo.
Di modo che non si sdegna più contro di sé per le proprie mancanze, né contro
i prossimi per le loro; verso il Signore poi non si mostra dispiacente, né se
n'esce in lamentele poco riverenti, quando non la contenta presto.

8 - Rispetto poi all' invidia, anche su questo punto conserva la carità verso gli
altri; e se pur avesse qualche invidia, questa non è viziosa come soleva essere
per l'addietro, quando le dava pena che altri fossero preferiti a lei e facessero
maggior profitto. Adesso, vedendosi tanto umiliata e misera, si dà per vinta, e
l'invidia che ha verso gli altri (se pur ne ha), è santa, desidera d'imitarli: il
che è indizio di non poca virtù.

9 - Così pure riguardo all'accidia, le noie che l'anima ora patisce nelle cose
spirituali non sono viziose come prima; infatti, quelle procedevano dai gusti
spirituali che a volte godeva, e che pretendeva di avere quando non li trovava.
Ma i tedi presenti non derivano più dalla fiacchezza del gusto, perché Dio lo
ha sottratto interamente nell'attuale purgazione dell'appetito.

10 - Oltre a questi vantaggi, l'anima ne consegue infiniti altri per mezzo di


quest'arida contemplazione. Poiché tra tante aridità e privazioni spesso, e
quando meno ci pensa, Dio le comunica gran soavità di spirito e un amore
molto puro, e a volte spirituali notizie molto delicate, ciascuna delle quali è
assai più utile e preziosa di tutto ciò che ella godeva prima: quantunque al
principio l'anima non la pensi così, perché l'influsso spirituale che ora viene
comunicato è molto delicato e non è percepito dal senso.

11 - Finalmente, l'anima purgandosi dagli affetti e dagli appetiti sensitivi,


acquista libertà di spirito, e con essa i dodici frutti dello Spirito Santo. Si
libera mirabilmente dalle mani dei tre suoi nemici, demonio, mondo e carne;
poiché estinguendosi il gusto sensitivo in tutte le cose, nessuno di essi può
avere armi e forze contro lo spirito.

I2 - Le aridità, dunque, fanno sì che l'anima cammini con purezza nel divino
amore, perché ella non si muove più ad agire per il gusto e sapore dell'opera,
ma soltanto per piacere a Dio. Non presume più, né è contenta di sé, come
forse soleva al tempo della prosperità, ma va timorosa e mai soddisfatta di sé
stessa: ed in ciò consiste il santo timore che conserva ed aumenta le virtù.
L'aridità, dunque, spegne anche le concupiscenze e la vivacità naturale. Ora
infatti, se non è Dio stesso che talvolta infonde all'anima qualche gusto, è un
miracolo che ella con la propria industria trovi consolazione sensibile in
qualche atto od esercizio spirituale.

13 - In quest'arida notte crescono in lei il sollecito pensiero di Dio e le brame


di servirlo: poiché disseccandosi il seno della sensualità col quale alimentava
gli appetiti a cui andava appresso, vi rimane soltanto il secco e puro ardore di
servire a Dio: il che è cosa assai gradita al Signore, perché, dice il Salmista:
Lo spirito tribolato è un sacrificio a Dio ( S a l 5 0 , 1 9 ) .

14 - Poiché, adunque, l'anima ben conosce che, passando in quest'arida


purgazione, ha ottenuto tanti e così preziosi vantaggi quanti ne abbiamo qui
riferiti, non è meraviglia che nella strofa che andiamo dichiarando esclami:
Oh felice ventura! Uscii né fui notata. Sono uscita dai lacci e dalla schiavitù
degli appetiti sensitivi e delle passioni, furtivamente, cioè senza che i tre
spirituali nemici me lo potessero impedire. Sono essi, i nemici, che legano
l'anima con i lacci degli appetiti e dei piaceri, impedendole perciò di uscire da
sé alla libertà dell'amore di Dio: se così non fosse, non potrebbero altrimenti
combattere contro di lei.
15 - Pertanto, l'anima vede ormai che le sue quattro passioni, cioè il gaudio,
il dolore, la speranza e il timore, si sono calmate mediante la costante
mortificazione; che gli appetiti naturali della sensualità sono assopiti per le
continue aridità; che i sensi e le potenze interne hanno cessato dalle loro
operazioni discorsive. Vedendo, dunque, tutta la gente di casa sua (com'essa
chiama la parte inferiore) in perfetta tranquillità, chiude la strofa con questo
verso:

Stando già la mia casa addormentata.

1N CAPITOLO 14

SI DICH IA RA L ' ULTIMO VER SO DE LLA PRIMA STROFA

1 - Mentre la casa della sensualità era già addormentata, ossia dopo aver
mortificate le passioni, spenti i desideri e assopiti gli appetiti per mezzo della
fortunata notte della purgazione sensitiva, l'anima uscì per intraprendere il
cammino dello spirito, quello dei proficienti, il quale con altro nome è
chiamato via illuminativa o di contemplazione infusa, dove Dio per sé solo
va pascendo e ristorando l'anima, senza che questa vi cooperi attivamente,
né con discorso, né con altre sue industrie. La notte o purgazione del senso è
molto amara, specialmente in coloro (e sono ben pochi) che dopo dovranno
entrare nell'altra più terribile, quella dello spirito, mediante la quale si
giunge all'unione amorosa con Dio. Ordinariamente la notte del senso è
accompagnata da grandi pene e da sensitive tentazioni che durano molto
tempo, sebbene in alcuni più, in altri meno. L'angelo di Satana che è lo
spirito di fornicazione, si avventa contro alcuni, sferzandoli nei sensi con
abominevoli e forti stimoli, e tribolandoli nello spirito con turpi riflessioni e
immagini molto vive nella fantasia: cose tutte che alle volte danno loro
maggior pena della morte stessa.

2 - Non di rado sopraggiunge lo spirito di bestemmia, il quale in tutti i loro


concetti e pensieri si attraversa con bestemmie orribili, talora suggerite con
tanta forza nell'immaginazione, che essi si trovano quasi sul punto di
pronunziarle, con grave loro tormento.

3 - Altre volte ad essi viene dato (a fine di esser provati, non già perché
cadano) un altro abominevole spirito chiamato da Isaia spiritus vertiginis, il
quale oscura loro il senso e li riempie di mille scrupoli e di dubbi tanto
intricati a loro parere, che non possono mai essere soddisfatti di nessuna cosa,
né appoggiare il loro giudizio a consiglio o riflessione alcuna. Questo è uno
dei peggiori tormenti e orrori di questa notte, e si avvicina molto a ciò che
avviene nella notte spirituale.

4 - In questa notte del senso, Dio per solito manda simili tempeste e travagli a
coloro che di poi dovranno essere introdotti in quella dello spirito (a cui non
tutti passano), affinché castigati e schiaffeggiati, si esercitino indurendo i
sensi e le potenze, e si dispongano così all'unione della Sapienza, che loro
verrà comunicata. Se l'anima non è. tentata, esercitata e provata con
tentazioni e pene, il suo senso non può arrivare alla Sapienza. Onde
l'Ecclesiastico disse: Chi non è stato tentato, che cosa sa? E chi non ha
esperienza, di che può giudicare? (S i r 3 4 ,9 -1 0 ) . Della quale verità anche Geremia
dà buona testimonianza, dicendo: Mi castigasti, o Signore, e fui ammaestrato
( G e r 3 1 ,1 8 )
. La maniera più propria di questo castigo per giungere alla Sapienza
sono gli interni travagli di cui parliamo, perché sono quelli che più
efficacemente purgano il senso a tutti i gusti e consolazioni a cui per naturale
debolezza esso era affezionato, e nei quali l'anima viene profondamente
umiliata, perché sia disposta all'esaltazione che l'aspetta.
5 - In quanto poi al tempo che l'anima deve trascorrere nel digiuno e nella
penitenza del senso, non si può dire con certezza, perché la prova non dura in
tutti ugualmente, né con le stesse tentazioni essendo ciò determinato dalla
volontà di Dio. Ciascuno sarà umiliato, più o meno intensamente, per più o
meno tempo, secondo il maggiore o minor numero d'imperfezioni che deve
purgare; e anche secondo il grado di unione di amore a cui Dio vorrà
innalzarlo. Dio purifica con più intensità e più presto coloro che hanno più
abilità e forza per soffrire; al contrario, guida i più fiacchi con molta lentezza
e con deboli tentazioni, porgendo loro frequenti ristori al senso, affinché non
tornino indietro; sicché tardi arrivano alla purezza della perfezione in questa
vita, e alcuni di essi mai. Costoro né si trovano bene nella notte oscura, né
bene fuori di essa: poiché, quantunque non passino avanti, Dio li esercita di
quando in quando e per breve tempo nelle aridità e nelle tentazioni, acciocché
si conservino nell'umile conoscimento di sé stessi; di tratto in tratto poi li
visita con la sua consolazione, affinché, scoraggiati, non si volgano a cercare
quella del mondo. Ad altre anime più deboli Dio quasi si nasconde, per
esercitarle nel suo amore; perché, se non si allontanasse da loro, non
imparerebbero ad accostarsi a Lui.

6 - Ma le anime che hanno da passare a sì felice e sublime stato qual è quello


dell'unione di amore, per quanto presto Dio le conduca, sogliono rimanere
lungamente tra le aridità e le tentazioni della notte del senso, come si è visto
per esperienza. Ma è tempo ormai che incominciamo a trattare della seconda
notte, quella dello spirito.

Fine del primo libro della Notte Oscura


LIBRO SECONDO

DELLA NOTTE OSCURA

NOTTE OSCURA DELLO SPIRITO

2N CAPITOLO 1

INCO MINC IA A TRATTA RE DE LLA NO TTE DEL LO SPIRITO DICE IN CH E TEMPO ABBIA
PRINCIP IO

1 - Allorché l'anima che Dio vuol condurre innanzi, esce dalle aridità e dai
travagli della prima purgazione e notte del senso, non è subito posta da Sua
Divina Maestà nella notte dello spirito; anzi suole passare molto tempo ed
anche molti anni, in cui essendo uscita dallo stato dei principianti, si esercita
in quello dei proficienti. In tale stato, a guisa di chi evase da un angusto
carcere, procede nelle cose di Dio con maggior soddisfazione e larghezza di
cuore, e con interno diletto più abbondante di quello che godeva da principio,
prima di entrare nella notte del senso. Non ha più l'immaginazione e le
potenze legate al discorso e ai pensieri spirituali, ma con grande facilità trova
subito nel suo spirito molto serena e amorosa contemplazione e sapore
spirituale, senza la fatica del discorso. Tuttavia conviene riflettere che la
purgazione dell'anima non è completa, perché manca la parte principale,
quella dello spirito, senza la quale (a motivo della comunicazione esistente
tra le due parti che formano insieme un solo supposto), nemmeno la
purgazione sensitiva, per quanto forte sia stata, può dirsi perfetta. 1 Quindi
è che l'anima non è affatto immune da aridità, tenebre e oppressioni, alle volte
molto più intense che in passato, quasi foriere della futura notte dello spirito;
esse però non sono sì prolungate come sarà la notte che l'aspetta. Difatti dopo
aver trascorso un certo periodo o alcuni giorni di tempesta, l'anima subito
ritorna alla sua abituale serenità. In tal maniera Dio purifica alcune anime che
non dovranno ascendere ad un sublime grado di amore come altre, mettendole
di quando in quando nella notte di contemplazione o purgazione spirituale,
facendo spesso annottare e aggiornare, affinché si adempia quel che Davide
dice, che Dio cioè manda il suo cristallo, ossia infonde la sua contemplazione,
quasi a bocconi ( S a l 1 4 7 , 1 7 ) . Quantunque . questi bocconi di oscura
contemplazione non sono mai così intensi, come lo è quell'orrenda notte dello
spirito, in cui Dio di proposito mette l'anima per elevarla alla divina unione.

2 - Ora, l'interno sapore e godimento da noi accennato poc'anzi, che con


facilità e abbondanza i proficienti trovano e gustano nel loro spirito, viene
loro comunicato in molto maggior copia che per l'addietro, e ridonda nel
senso più che non soleva prima della purgazione sensitiva: poiché il senso,
essendo ormai più puro, con maggiore facilità può provare, a suo modo, i
gusti dello spirito. Ma, poiché la parte sensitiva dell'anima è debole e
incapace delle forti impressioni dello spirito, ne segue che i proficienti, a
causa della comunicazione di cui partecipa la parte sensitiva, patiscono in
questa molte debolezze, detrimenti e languore di stomaco; e, per conseguenza,
lo spirito ne resta affaticato, perché come dice il Savio: Il corpo corruttibile è
1
Anche la completa purificazione del senso avviene nell’imminenza del
matrimonio spirituale: «Lo Sposo pertanto, volendo concludere la cosa, dice
le due strofe seguenti, in cui finisce di purificare, rendere forte e disporre
l'anima, sia secondo la parte sensitiva, sia secondo la spirituale, per questo
stato» (Cantico strofe 20-21, n. 3).
di aggravio all'anima ( S ap 9 , 1 5 ) . Ond'è che le comunicazioni dei proficienti non
possono essere molto forti, né molto intense, né molto spirituali, quali si
richiedono per l'unione divina, a cagione della fiacchezza e della corruzione
della parte sensitiva che è fatta partecipe di quelle. Di qui hanno origine le
estasi, gli svenimenti e i slogamenti di ossa, che sempre accadono quando
le comunicazioni non sono puramente spirituali, fatte cioè allo spirito
soltanto, come sono quelle dei perfetti, già purificati dalla notte seconda dello
spirito: nei quali cessano i rapimenti e i tormenti del corpo, godendo essi la
libertà dello spirito, senza che il senso si oscuri e venga meno.

3 - E affinché s'intenda la necessità che i proficienti hanno di entrare nella


notte dello spirito, noteremo qui alcune imperfezioni e pericoli in cui essi
sogliono incorrere.

2N CAPITOLO 2

ALC UN E IMP ERFE ZIO NI CH E 1 PRO FICIENTI SOGL ION O CO MMETTE RE

1 - I proficienti hanno due sorta d'imperfezioni: alcune abituali, altre attuali.


Le abituali sono le passioni e gli abiti imperfetti che ancora sono rimasti nello
spirito a guisa di radici, dove la purgazione del senso non poté arrivare. La
differenza che corre tra l'attuale purgazione di essi e la precedente, è quella
che passa tra estirpare una radice e tagliare un ramo, ovvero cavare una
macchia penetrata e vecchia e pulirne un'altra fresca e superficiale. La
purgazione del senso, rispetto a quella, dello spirito, è soltanto la porta e il
principio della contemplazione, e serve più ad accomodare il senso allo
spirito, che non ad unire quest'ultimo a Dio. Quindi restano ancora nello
spirito le macchie dell'uomo vecchio, quantunque ad esso non sembri, né,
riesca a vederle: se queste non si cavano col sapone e col forte ranno della
purgazione della presente notte, lo spirito non potrà mai pervenire alla
purezza dell'unione divina.

2 - Costoro hanno anche la cosiddetta hebetudo mentis o rozzezza naturale,


che ogni uomo contrae per il peccato, e la divagazione dello spirito alle cose
esteriori, la quale conviene che s'illustri, rischiari e raccolga con le pene e le
angustie della notte spirituale. Tutti coloro che non sono usciti dallo stato di
proficienti, hanno queste imperfezioni abituali, che sono incompatibili con
lo stato perfetto di unione amorosa con Dio.

3 - Nelle imperfezioni attuali non cadono tutti allo stesso modo. Quelli che
traggono questi beni spirituali all'esterno, rendendoli molto familiari al senso,
vanno soggetti più che altri agli inconvenienti e ai pericoli da noi enumerati
in principio. Poiché, avendo essi a piene mani tante comunicazioni e
apprensioni nel senso e nello spirito, bene spesso accade che ricevano visioni
immaginarie e spirituali, e provino gustosi sentimenti da parte del demonio o
della loro immaginazione. Anzi il demonio suole imprimere e suscitare quelle
apprensioni e sentimenti con tanto gusto che, se essi non usano cautela con
umiliarsi e difendersi fortemente in fede, assai facilmente sono rapiti fuori di
sé e tratti in inganno. Sovente, infatti, il maligno li induce ad accogliere per
vere molte vane visioni e false profezie, procurando di far loro credere che
Dio e i Santi parlino con essi; molte volte poi credono alla propria fantasia.
Di più il demonio suole riempirli di presunzione e di superbia, di modo che,
spinti dalla vanità e dall'arroganza si lasciano vedere in atti esterni che
sembrano di santità, quali sono le estasi ed altre apparenze. Diventano altresì
arditi con Dio, perdendo quel santo timore che è la chiave e la custodia di
tutte le virtù. In certuni poi la falsità e gli inganni sogliono moltiplicarsi ed
invecchiarsi a tal segno, che è molto dubbio il loro ritorno al puro cammino
della virtù e del vero spirito: e in tale abisso di miserie vengono a cadere,
perché. si diedero con eccessiva sicurezza alle apprensioni e ai sentimenti
spirituali, mentre cominciavano a progredire nel cammino dello spirito.

4 - Avrei tanto da dire circa le imperfezioni di costoro, e vorrei dimostrare


come esse sono più incurabili, perché da loro sono credute più spirituali delle
prime; ma preferisco non aggiungere altro. Solamente, a provare la necessità
della notte spirituale per chi deve passare avanti, dirò che nessuno, almeno di
questi proficienti, per quanto bene si sia tenuto a freno, è immune da molte di
quelle passioni naturali e abiti imperfetti, per i quali abbiamo già detto essere
necessaria che preceda la purificazione per disporsi all'unione divina.

5 - Oltre a ciò si noti, come abbiamo già detto, che partecipando ancora la
parte inferiore nelle comunicazioni spirituali, queste non possono essere così
intense, pure e forti, come si richiedono per l'unione con Dio. Quindi, per
giungere a questa, bisogna che l'anima passi nella seconda notte dello spirito,
dove spogliando perfettamente il senso e lo spirito di ogni apprensione e
gusto, viene fatta camminare in oscura e pura fede; la quale è il mezzo
proprio e adeguato con cui l'anima si unisce a Dio, secondo il detto del
Profeta Osea: Io ti sposerò, ossia ti unirò a me, per mezzo della fede ( O s 2 , 2 0 ) .

2N CAPITOLO 3

AN NO TA ZION I PER LE CO SE SEG UE NTI

1 - I proficienti, adunque, hanno ormai trascorso del tempo nutrendo la parte


sensitiva di dolci comunicazioni, affinché adescata e addolcita dal gusto
spirituale che riceveva dallo spirito, si conformasse ed unisse a questo,
mangiando, per così dire, ciascuno a modo suo, uno stesso cibo e ad uno
stesso piatto di un solo supposto e soggetto. Adesso, quindi, essendo il senso
e lo spirito in certo modo uniti e conformi, si trovano disposti a soffrire
l'aspra e dura purgazione che li aspetta, nella quale queste due parti
dell'anima dovranno completamente purificarsi: perché l'una non si purifica
mai bene senza l'altra, e la purgazione del senso non è efficace, se non
quando incomincia di proposito quella dello spirito. Perciò la notte del
senso può e deve chiamarsi una certa riforma e un raffrenamento degli
appetiti, piuttosto che purgazione. La ragione è che tutte le imperfezioni e
i disordini della parte sensitiva attingono la loro forza nello spirito [ h a n n o l a
l o ro fo r z a e ra d i c e n e l l o s p i ri t o ]
, dove hanno radice gli abiti buoni e cattivi; e perciò,
finché questi ultimi non si purgano, nemmeno le ribellioni e i sinistri del
senso si possono ben purgare.

2 - Nella notte seguente si purificano ambedue le parti insieme: e a questo


fine era necessario che il senso passasse per la riforma della prima notte e
giungesse alla calma che ne seguì, acciocché, unito con lo spirito, tutt'e due
ora si purghino e patiscano con maggior fortezza. Ed invero, per sì gagliarda e
amara purificazione occorre una disposizione tanto grande che, se la
fiacchezza della parte inferiore non si fosse prima riformata, e non avesse
preso vigore in Dio col dolce e dilettevole tratto che in seguito ebbe con Lui,
la natura non avrebbe capacità e forza per sopportarla.

3 - Il tratto che i proficienti hanno con Dio è ancora molto basso, non avendo
essi purificato e illuminato l'oro dello spirito. Ancora intendono, parlano e
sanno di Dio come fanciulli, per dirla con le parole di San Paolo ( 1 C o r 1 3 , 11 ) ,
perché non sono giunti alla perfezione, cioè all'unione di amore con Dio, per
la quale come adulti opereranno grandi cose nel loro spirito, quando ormai le
loro opere e potenze saranno più divine che umane. Il Signore volendo
spogliarli di fatto dell'uomo vecchio e rivestirli del nuovo che, al dire
dell'Apostolo ( E f 4 , 2 3 - 2 4 ) , è creato secondo Dio nella novità del senso, denuda
loro le potenze, le affezioni e i sentimenti, sì spirituali che sensibili, esterni
ed interni, lasciando l'intelletto al buio, la volontà all'asciutto, vuota la
memoria e gli affetti dell'anima in somma afflizione, amarezza ed angustia,
privando la medesima del sapore dei beni spirituali che prima gustava: la
quale privazione è uno dei principi che si richiedono nello spirito, perché
s'introduca in esso la forma spirituale dello spirito, che è l'unione di amore.
Tutto ciò il Signore opera nell’anima per mezzo di una pura ed oscura
contemplazione, come ella lo spiega nella prima strofa. Questa, benché sia
stata dichiarata a proposito della prima notte del senso, l'anima
principalmente l'intende rispetto alla seconda [quella] dello spirito, la quale
è la parte principale della sua purificazione. Pertanto riporteremo qui la
strofa, dichiarandola un'altra volta.

2N CAPITOLO 4

SI RIPOR TA LA PRIMA STROFA CO N LA SUA DICH IARAZION E

In una notte oscura,


Con ansie, d'amor tutta infiammata,
Oh felice ventura!
Uscii né fui notata,
Stando già la mia casa addormentato.

1 - Intendendo ora questa strofa a proposito della purgazione, contemplazione,


nudità o povertà di spirito (che qui tutto ciò è quasi una stessa cosa), la
possiamo dichiarare nella seguente maniera, immaginando che l'anima dica
così: Nella povertà, nell'abbandono e nel distacco da tutte le mie apprensioni,
mentre cioè era ottenebrato il mio intelletto, angustiata la volontà, afflitta la
memoria, mi affidai all'oscurità della pura Fede, che è notte buia per queste
mie potenze. E con la sola volontà, tocca dal dolore, dagli affanni e dalle
ansie di amore di Dio, uscii da me stessa, ossia dal mio basso modo
d'intendere, e dalla mia fiacca e scarsa maniera di amare e gustare Dio, senza
che né la sensualità né il demonio me lo impedissero.

2 - Ciò fu per me una grande fortuna, una sorte felicissima; poiché, essendosi
annichilite le mie potenze e calmate le passioni, gli appetiti e gli affetti miei,
con cui bassamente sentivo e gustavo di Dio, uscii dalla mia meschina
operazione e dal tratto umano ad un più vero commercio con Dio. In altre
parole, il mio intelletto uscì da sé, cangiandosi da umano e naturale in
divino; perché, unendosi a Dio per mezzo della purgazione, non intende più
per proprio vigore e lume naturale, ma per la divina sapienza con la quale
si unì. La mia volontà uscì da sé diventando divina, perché, unita col divino
amore, non più ama bassamente con la sua virtù naturale, ma con la forza e
la purezza dello spirito Santo: e perciò intorno a Dio non opera più
umanamente. Del pari la memoria si è trasformata in eterne apprensioni di
gloria. Finalmente tutte le forze e gli affetti dell'anima, per mezzo di questa
notte e purgazione dell'uomo vecchio, si rinnovano con diletti di tempra
divina.

Segue il verso:
In una notte oscura.

2N CAPITOLO 5

SI CO MINC IA A DICH IARAR E COME QU ESTA CO NTEMPL AZION E OSCU RA , NO N SOL O È


NO TTE PER L ' AN IMA , MA ANCH E PEN A E TORMEN TO
1 - Questa notte oscura è un influsso di Dio nell'anima che la purga dalle
sue ignoranze e imperfezioni abituali, naturali e spirituali, e che i
contemplativi chiamano contemplazione infusa o mistica teologia. In essa
Dio segretamente ammaestra I' anima nella perfezione dell'amore, senza che
ella faccia alcunché né intenda come sia questa contemplazione. La sapienza
amorosa di Dio è quella che produce meravigliosi effetti nell'anima, poiché,
purgandola e illuminandola, la dispone all'unione di amore con Dio; e
quindi la stessa amorosa sapienza, che purga gli spiriti beati
illuminandoli, è quella che purifica e illumina l'anima in questa notte.

2 - Ma qui nasce un dubbio. Perché mai l'anima chiama notte oscura quella
luce divina che la rischiara e purga dalle sue ignoranze? Rispondo che per
due ragioni la divina Sapienza non solo è notte e tenebre per l'anima, ma
anche pena e tormento. La prima, per l'altezza della Sapienza divina che
eccede la capacità dell'anima, ed è perciò tenebre per essa: la seconda, per la
bassezza e impurezza dell'anima stessa, onde la detta sapienza le diventa
penosa, afflittiva, ed anche oscura.

3 - Per prova della prima, conviene riferirsi alla dottrina del Filosofo, il quale
afferma che quanto più le cose divine sono chiare e manifesta in se stesse,
tanto più sono naturalmente oscure e occulte per l'anima: come la luce, quanto
più è, viva, tanto più abbaglia la pupilla della civetta; o come il sole che,
mirato in pieno meriggio, acceca la potenza visiva per l'eccesso del suo
splendore. Per la qual cosa, quando la divina luce di contemplazione investe
l'anima non ancora pienamente illuminata produce in lei tenebre spirituali,
perché non solo la soverchia, ma anche le toglie ed oscura l'atto della sua
intelligenza naturale. Quindi S. Dionigi e altri teologi mistici chiamano la
contemplazione infusa raggio di tenebra per l'anima non illuminata e purgata,
perché la forza naturale dell'intelletto viene vinta e privata del proprio
lume dalla gran luce soprannaturale di quel raggio. Per il che anche
Davide disse: Intorno a Dio v'è oscura nube ( S a l 9 6 , 2 ) non perché in sé sia così,
ma rispetto al nostro debole intelletto, che in una luce tanto immensa resta
offuscato, accecato, non potendo riceverla. E altrove lo stesso Davide dichiara
meglio la cosa, dicendo: Per il grande splendore di sua presenza si frapposero
le nubi ( S a l 1 7 , 1 3 ) ; cioè tra Dio e il nostro intelletto. Allorché, dunque, Dio invia
all'anima non ancora trasformata un raggio della sua segreta sapienza, le
sparge tenebre nell'intelletto.

4 - Che poi l'oscura contemplazione sia anche penosa per l'anima in questi
principi è evidente. Infatti, mentre questa divina contemplazione infusa ha
molti pregi eccellenti al sommo, l'anima che la riceve invece, non essendo
purgata, ha molte ed estreme miserie; quindi è che, non potendo due contrari
trovarsi in un medesimo soggetto, l'anima necessariamente deve patire,
perché essa è il soggetto in cui quei due estremi opposti si cozzano tra loro, a
motivo della purgazione che sta avvenendo in lei per mezzo della
contemplazione. Il che proveremo per via d'induzione in questo modo.

5 - Primieramente, essendo la luce e la sapienza della contemplazione molto


chiara e pura, l'anima da essa investita, fosca ed immonda com'è, deve soffrire
gran pena nel riceverla, come gli occhi malati o impuri per qualche cattivo
umore patiscono grave molestia sotto l'impressione di una viva luce. Ma la
pena che l'anima prova a causa della sua impurezza, quando è illuminata
davvero della divina luce, è addirittura immensa; perché, mentre questo puro
raggio tutta l'investe a fine di nettarla dalle sue macchie, l'anima si sente a tal
punto miserabile e impura da sembrarle che Dio si sia messo contro di lei, e
che essa sia divenuta contraria a Lui. Questo dubbio d'essere ributtata da Dio
è causa d'indicibile affanno e dolore; anzi aggiungo che uno dei più gravi
tormenti che il santo Giobbe soffriva, mentre era duramente provato dal
Signore, era appunto quell'angoscioso pensiero che lo fece esclamare: Perché
mi hai posto come contrario a te, e sono diventato grave a me stesso? ( G b 7 , 2 0 ) .
L'anima, vedendo chiaramente (benché al buio) la sua impurezza per mezzo di
quella limpida e pura luce divina conosce ad evidenza di non essere degna di
Dio, né di creatura alcuna; e quel che più l'affligge è il pensare che non lo
sarà mai, e che già è finito per lei ogni bene. Tutto ciò dipende dal fatto che
la sua mente è immersa nella profonda cognizione e sentimento dei suoi mali
e delle sue miserie: poiché la divina luce gliele mette tutte sott'occhio,
affinché si persuada che di suo non potrà mai avere altro di meglio. Possiamo
intendere in questo senso quel testo di Davide che dice: Per mezzo
dell'iniquità hai corretto l'uomo, ed hai fatto sì che l'anima sua si consumasse
a guisa di ragno ( S a l 3 8 , 1 2 ) .

6 - La seconda causa per cui l'anima soffre è la sua debolezza naturale,


morale e spirituale. Difatti, poiché la divina contemplazione l'investe con
qualche forza a fine di domarla e rinvigorirla, l'anima patisce tanto nella sua
fiacchezza, che viene quasi a mancare, specialmente alcune volte quando è
investita con un po' di violenza. Allora il senso e lo spirito, come oppressi da
un peso sconosciuto e immenso, talmente agonizzano che preferirebbero la
morte, come il sollievo e il partito migliore. Avendo sperimentato ciò, il santo
Giobbe diceva: Non voglio che Egli mi tratti con molta forza, perché non mi
opprima sotto il peso di sua grandezza ( G b 2 3 , 6 ) .

7 - Per l'oppressione di questo peso, l'anima si sente tanto lontana dall'essere


favorita da sembrarle, ed è così, che anche le cose stesse in cui trovava
qualche appoggio siano sparite con tutto il resto e che nessuno si muova a
pietà di lei. Al qual proposito Giobbe dice anche: Abbiate compassione di me,
almeno voi, amici miei, perché la mano del Signore mi ha toccato ( G b 1 9 , 2 1 ) .
Veramente è cosa che fa molta meraviglia e pietà insieme che la debolezza e
l'impurezza dell'anima sia tanta che, pur essendo la mano del Signore per se
stessa blanda e soave, l'anima nondimeno la senta sì grave e contraria; e ciò,
quando Dio non già, posa o calca la mano su di lei. ma la tocca soltanto, e con
tocco di misericordia, per favorirla, e non per castigarla.

2N CAPITOLO 6

ALTRE PEN E CH E L ' AN IMA PATISCE IN QU ESTA NO TTE

1 - L'anima patisce anche in una terza maniera, cioè a causa dei due estremi,
il divino e l'umano, che qui si uniscono: il divino è la contemplazione
purgativa, l'umano è il soggetto dell'anima stessa. Ora, poiché il divino
investe l'anima a fine di rinnovarla e renderla divina, mentre la spoglia delle
affezioni abituati e delle proprietà dell'uomo vecchio col quale ella è molto
unita e conformata, non solo l'assorbe in profonde tenebre, ma anche le
sminuzzane disfà là sostanza spirituale, in guisa che l'anima si sente
consumare e struggere alla vista delle sue miserie, provando una crudele
morte di spirito. Le accade come se, inghiottita da una bestia, si sentisse
digerire nel ventre tenebroso di essa, soffrendo terribili angustie come Giona
nel ventre di quel mostro marino ( G n 2 , 1 ) : eppure le conviene stare in questo
sepolcro di oscura morte, per la spirituale risurrezione che l'aspetta.

2 - Davide descrive il modo di queste pene, quantunque in verità esse siano


fuori di modo, dicendo: Mi circondarono i dolori della morte, i dolori
dell'inferno mi attorniarono, e nel tempo della mia tribolazione alzai grida al
Signore ( S a l 1 7 , 5 - 7 ) . Ciò che per altro affligge di più l'anima in tale stato, è il
sembrarle evidente che Dio l'abbia riprovata e, aborrendola, l'abbia gettata
nelle tenebre: e certamente, non v'è pena tanto grave per lei, quanto il
pensiero di essere stata abbandonata da Dio. Anche Davide sperimentò una
pena simile, e l'espresse in questi termini: Alla maniera che gli uccisi
dormono nei sepolcri, dimenticati da te ed esclusi dalla tua cura: così posero
me in una fossa profonda, in luoghi tenebrosi e nell’ombra di morte; il tuo
furore si aggravò sopra di me, e tutte le tue procelle scaricasti sul mio capo
(S al 87 .5- 7)
. E veramente, quando la contemplazione purgativa opprime, l'anima
prova molto al vivo l'ombra di morte e i gemiti di morte e i dolori.
dell'inferno, che consistono in sentirsi senza Dio, punita, ripudiata e indegna
di Lui, e nel credere che Egli sia sommamente sdegnato contro di lei. Tutto
ciò l'anima sente in questo stato. Ma v’è di più: le sembra che così sarà per
sempre.

3 - Sente poi il medesimo abbandono e disprezzo da tutte le creature,


particolarmente da parte degli amici. Onde nel citato salmo Davide prosegue,
dicendo: Allontanasti da me i miei amici e conoscenti; ed essi mi ebbero in
abominio (Sal 87,9). Il Profeta Giona, come quegli che ben aveva
sperimentato corporalmente e spiritualmente le surriferite pene, così le
descrive: Mi gettasti nel profondo, nell'abisso del mare, e la corrente mi
circondò; tutti i suoi gorghi, tutti i suoi flutti passarono sul mio capo, e dissi:
Sono scacciato dalla presenza dei tuoi occhi; nondimeno vedrò un'altra volta
il Tempio tuo santo (il che dice, perché Dio qui purifica l'anima affinché
possa vederlo). Le acque da ogni parte mi penetrarono fino all'anima, l'abisso
mi cinse, il pelago mi coprì la testa; discesi alle estreme radici dei monti, i
chiavistelli della terra si chiusero su di me per sempre ( G n 2 , 4 - 7 ) . Per questi
chiavistelli s'intendono, al nostro proposito, le imperfezioni dell'anima, che le
impediscono di godere la saporosa contemplazione.

4 - La quarta maniera di pena è cagionata da un'altra eccellente proprietà


dell'oscura contemplazione, cioè dalla sua maestà e grandezza, che fa nascere
nell'anima il sentimento dell'altro estremo, del suo estremo d'intima povertà e
miseria: il qual sentimento è una delle principali pene che ella soffre in questa
purgazione. Sente in sé, un profondo vuoto e povertà circa le tre sorta di
beni che sono ordinati a dilettare l'anima, cioè temporali, naturali e
spirituali; perché si vede posta nei mali contrari, ossia nelle miserie
d'imperfezioni e aridità, nei vuoti delle apprensioni delle potenze, e
nell’abbandono dello spirito fra le tenebre. Stante che, infatti, Dio purga qui
l'anima secondo la sostanza sensitiva e spirituale, e secondo le potenze
interne ed esterne, è necessario che la lasci arida, vuota e in tenebre: la parte
sensitiva si purifica nelle aridità, le potenze nel vuoto delle loro
apprensioni, lo spirito in fitte tenebre.

5 - Tutto ciò Dio opera per mezzo di questa oscura contemplazione. Qui
l'anima, non solo patisce la mancanza e la sospensione di quei naturali
appoggi ed apprensioni (il che è un patire molto angoscioso, come se uno
fosse impiccato o tenuto in aria in modo che non possa respirare), ma anche si
purifica, come fa il fuoco con la ruggine e l'ossido del metallo, dalle scorie di
tutte le passioni e abiti imperfetti che ha contratto nella vita trascorsa.
Essendo questi molto radicati nella sostanza dell'anima, ella suole patire, oltre
la detta povertà e vuoto naturale e spirituale, un grande e tormentoso
disfacimento interiore, acciocché si avveri qui il testo di Ezechiele che dice:
Raduna e accatasta le ossa a cui darò fuoco; si consumeranno le carni e si
cuocerà tutto l'insieme e le ossa si sfarineranno ( E z 2 4 , 1 0 ) . Nelle quali parole
s'intende la pena che si soffre per il vuoto e la povertà della sostanza
dell'anima sensitiva e spirituale. E intorno a ciò subito soggiunge: Mettila
pure così vuota sopra i carboni accesi, affinché il suo rame si arroventi e si
fonda, e in mezzo di essa si strugga il suo sudiciume, e si consumi la sua
ruggine (Ez 11,). Da ciò si può inferire il grave tormento che l'anima patisce
nella purgazione del fuoco di questa contemplazione; poiché il profeta dice
che, per purificare e distruggere la ruggine delle affezioni che risiedono in
mezzo all'anima, è necessario in certo modo che ella stessa si annichili e
disfaccia, secondo che è connaturata con quelle passioni e imperfezioni.
6 - In tale fucina l'anima si purifica come l'oro nel crogiolo, secondo il detto
del Savio ( S a p 3 , 6 ) , e sente liquefarsi grandemente nella propria sostanza
consumandosi quasi in estrema povertà. Ciò può anche dedursi da quello che a
tal proposito Davide dice di sé, gridando a Dio con queste parole: Salvami, o
Signore, poiché le acque mi sono entrate fino all'anima; sono fitto in
profondissimo fango che non ha consistenza; sono calato negli abissi del
mare, e la tempesta mi ha sommerso; sono stanco di gridare, la mia voce è
affievolita, gli occhi mi si sciolsero in pianto, ma spero nel mio Dio ( S al 6 8 , 1 - 4 ) .
Con tali pene Dio umilia molto l'anima, ma per poi innalzarla altrettanto. Del
resto la sua provvidenza dispone che, quando i penosi sentimenti si ravvivano
con più veemenza nell'anima, presto anche si assopiscano, perché se così non
fosse, ella in breve si scioglierebbe dal corpo; ma, ripeto, i tratti di tempo nei
quali l'anima sente tutta la sua intima viltà sono ad intervalli. Alcune volte
però ella prova così al vivo il sentimento della sua bassezza, che le sembra di
vedersi aperto dinanzi l'inferno e la perdizione. E davvero può dirsi che
coloro che sono provati in tal guisa, discendano all’Inferno da vivi, e che
facciano in questa vita quel purgatorio che dovrebbero fare nell'altra. E perciò
l'anima che passa per lo stato di contemplazione di cui parliamo, o non
entrerà in purgatorio, o vi sarà trattenuta ben poco, perché giova più
un'ora di pena di qua che molte di là.

2N CAPITOLO 7

PRO SEGU END O LA STESSA MATER IA SI PARLA DI ALTRE AFF LIZIO NI E ANG UST IE DE LLA
VO LON TÀ

1 - Nella notte dello spirito le afflizioni e le angustie della volontà sono


immense, tanto che alcune volte trafiggono l’anima con l’improvvisa memoria
dei mali in cui si vede, e con l’incertezza del rimedio. Aggiungasi a ciò il
ricordo delle passate prosperità, poiché ordinariamente quelli che entrano in
questa notte hanno già goduto molti diletti in Dio, e gli hanno reso parecchi
servizi, e quindi provano maggior dolore al vedersi tanto lontani da quel bene,
senza più speranza di ricuperarlo. Anche il santo Giobbe sperimentò alcunché
di simile e lo espresse in questi termini: Io, quello stesso che una volta ero sì
ricco e felice, all’improvviso fui ridotto in polvere. Egli mi afferrò per la
nuca, m’infranse e mi pose a suo bersaglio. Mi ha cinto con le sue lance, ha
impiagati i miei fianchi: non mi risparmiò, e sparse in terra le mie viscere. Mi
ha lacerato con ferite sopra ferite; mi si avventò contro, qual forte gigante.
Ho cucito un sacco sulla mia pelle, e ricoperto di cenere la mia carne; il mio
volto è gonfio dal pianto e mi si offuscarono gli occhi

2 - Così numerose e acerbe sono le pene di questa notte, e tanti sono i testi
della Scrittura che a tal proposito si potrebbero allegare, che ci
mancherebbero il tempo e le forze per scriverli, e poi senza dubbio tutto ciò
che si può dire è sempre poco; però dai testi già citati potremo farcene una
qualche idea. Per concludere questo verso e per far meglio comprendere ciò
che è questa notte dello spirito, riporterò quello che ne dice Geremia, con le
seguenti parole piene di pianto: Io sono tal uomo che vedo la mia povertà
sotto la verga dell'ira sua. Mi ha condotto e tratto dalle tenebre, e non alla
luce. Non ha fatto altro che voltarmi e rivoltarmi tra le sue mani
continuamente: ha fatto invecchiare la mia pelle e la mia carne: ha stritolato
le mie ossa; ha alzato un muro intorno a me, e mi ha circondato di amarezze e
di affanni. Mi collocò in luoghi tenebrosi, come quei che sono morti per
sempre. Mi serrò con mura all'intorno, perché io non ne esca; aggravò i ceppi
al mio piede. Ed oltre a ciò, quando io con alte grida lo pregherò, avrà già
escluso la mia orazione. Chiuse le mie vie con grosse pietre squadrate,
disperse le tracce dei miei sentieri. Egli è divenuto per me qual orso che sta in
agguato, come leone nel suo nascondiglio. Ha disperso le tracce dei miei
sentieri, e mi ha stritolato: mi ha abbandonato alla desolazione. Tese il suo
arco e mi pose come segno ai suoi strali: nei miei reni ha confitto le frecce
della sua faretra. Sono divenuto il ludibrio di tutto il mio popolo, la loro
canzone per tutto il giorno. Mi ha riempito di amarezza e inebriato di
assenzio. Ad uno ad uno mi ha spezzato i denti, mi ha cibato di cenere. La
pace è, bandita dall'anima mia: non mi ricordo più che cosa sia il bene. Ed io
dissi: Andò a vuoto il mio fine e ciò che mi aspettavo dal Signore. Ricordati
della mia miseria, miseria senza limite, e dell'assenzio e del fiele. Queste cose
avrò di continuo alla memoria, e l'anima mia si struggerà, dentro di me ( T h r e n .
3,1-20)
.

3 - Con tutti questi pianti che Geremia fa sopra i suoi dolori e travagli,
dipinge molto al vivo ciò che l'anima patisce nella purgazione della notte
spirituale. Ben merita tutta la nostra compassione l'anima confinata da Dio in
questa tempestosa e orrenda notte. È vero, sì, che ella ha incontrato una sorte
assai felice, a motivo degli inestimabili beni che da tal notte le dovranno
provenire allorché, come dice Giobbe, Dio susciterà dalle tenebre, beni
immensi, e convertirà in luce l'ombra di morte ( G b 1 2 , 2 2 ) ; di modo che, secondo
il detto di Davide, la luce dell'anima sarà uguale alle precedenti sue tenebre
(Sal 138,12)
. Ma, ciò nonostante, e per la pena atroce che soffre attualmente, e per
la grande incertezza del rimedio, è degna di grande commiserazione e pietà.
Ella crede, al pari di Geremia, che i suoi mali non dovranno aver fine,
sembrandole, come dice anche Davide, che Dio l'abbia collocata nelle tenebre
come i morti in eterno; ond'è che il suo spirito n'è angustiato e il cuore
turbato dentro di lei ( S a l 1 4 2 ,4 ) . Inoltre, a cagione del solitario abbandono della
presente notte, si aggiunge il non trovare consolazione e appoggio in alcuna
dottrina, né in nessun maestro spirituale; poiché, quand'anche altri faccia tutto
il possibile per dimostrarle i motivi che essa ha di confortarsi in vista dei beni
racchiusi nelle sue pene, non riesce a persuadersi. Essendo affatto assorbita e
immersa in quel sentimento di mali, nel quale vede in modo chiarissimo le
proprie miserie, pensa che coloro che le suggeriscono parole
d'incoraggiamento, lo facciano perché, non vedendo ciò ch'ella vede e sente,
non possono arrivare ad intenderla, e quindi, invece di conforto, ne ricava
piuttosto nuovo dolore, sembrandole che non sia quello il rimedio del suo
male. Ed invero è proprio così, perché fintanto che il Signore non finisce di
purgarla nella maniera da Lui voluta, non c'è alcun rimedio che valga a lenire
il suo dolore. Tanto più se si rifletta che l'anima in queste condizioni può
molto poco, a guisa di chi è rinchiuso in un oscuro sotterraneo con i piedi e le
mani legate, senza potersi muovere né vedere, né ricevere alcun aiuto da
chicchessia: e ciò, finché lo spirito non si ammorbidisca, si umili e purifichi,
e si renda tanto sottile, semplice e delicato che possa divenire tutta una cosa
con lo spirito di Dio, secondo il grado di amorosa unione, che la divina
misericordia vorrà concedergli: ché, in conformità di questo grado, la
purgazione è più o meno intensa, di maggiore o minore durata.

4 - Ma se la purgazione ha da essere efficace e vera, per forte che sia, dura


alcuni anni. Però, frattanto, vi sono intervalli di sollievo, nei quali l'oscura
contemplazione, così disponendo il Signore, lascia di investire l'anima in
modo purgativo, e l'investe in maniera illuminativa e amorosa. Allora l'anima,
come libera dal carcere e sciolta dalle catene, si ricrea in santa libertà e
larghezza di spirito, e gusta grande soavità di pace e di amorosa familiarità
con Dio, con facile abbondanza di comunicazioni spirituali. Questo è per lei
un indizio della salute che la purgazione va operando in lei, e un presagio
dell'abbondanza che essa spera; tanto anzi, che alle volte le sembrerà che
ormai tutti i suoi travagli siano finiti. Poiché le cose spirituali, quando più
duramente lo sono, sogliono essere di tal fatta, che se si tratta di pene, l'anima
crede di non doverne più uscire, e che non vi sarà più bene per lei, come si è
visto dai testi scritturali che abbiamo riportati; quando poi ella si trova tra i
beni spirituali, le sembra che ormai i suoi mali abbiano avuto termine e che i
suoi beni non verranno mai meno; il che Davide confessa di aver creduto nel
tempo della prosperità dicendo: Io dissi nella mia abbondanza: non mi
muoverò giammai ( S a l 2 9 , 7 ) .

5 - Questo accade, perché l’attuale possesso di un contrario nello spirito, di


per sé rimuove l’attuale possesso e il sentimento dell'altro contrario, ciò che
non avviene allo stesso grado nella parte sensitiva, perché la sua apprensione
è debole. Ora, non essendo lo spirito ancora ben purgato dalle affezioni che ha
contratto dalla parte inferiore, benché in quanto spirito non si muti, tuttavia,
in quanto è affetto da esse, potrà mutarsi col soggiacere a gravi pene, come
avvenne a Davide, che dopo il tempo della sua abbondanza da cui gli pareva
di non dover essere più rimosso, passò a soffrire molte afflizioni e dolori.
Così pure, quando l'anima si vede fornita di beni spirituali in gran copia, non
riuscendo a vedere la radice dell'imperfezione e dell’impurezza che le resta,
pensa che i suoi travagli siano finiti.

6 - Però questo pensiero le passa in mente il meno delle volte, poiché fino a
quando la purgazione spirituale non sia perfetta, assai di rado la soave
comunicazione suol essere tanto abbondante da nasconderle quella radice
d'impurezza rimasta, e da far sì che l'anima non senta nel suo interno che le
manca o sta per succederle un non so che, il quale non le permette di gustare
completamente di quel sollievo. Sente dentro di sé, direi quasi, un nemico
che, sebbene sua quieto e addormentato, fa temere che tornerà a destarsi e
farne qualcuna delle sue. Infatti così è, poiché quando l'anima è più sicura e
meno se l'aspetta, il nemico di nuovo l'assale e l'ingoia, riducendola in
condizioni peggiori, più dure e lacrimevoli del passato, le quali dureranno un
altro spazio di tempo, forse più lungo del primo. E qui l'anima viene a credere
un’altra volta che tutti i beni siano scomparsi per sempre: ché l'esperienza del
bene goduto dopo il primo travaglio, durante il quale era afflitta dal
medesimo pensiero, non basta a rassicurarla, in questo secondo affanno, che
tutto il bene non è finito per lei, ma tornerà come l'altra volta. Quella triste
persuasione dell'anima nasce, ripeto, dall'attuale apprensione dello spirito, la
quale annichila in esso ogni opposto sentimento di gaudio.

7 - Questa è la causa per cui le anime del purgatorio sono tormentate da gravi
dubbi circa la loro liberazione e il termine delle loro pene. Sebbene abbiano
abitualmente le tre virtù teologali, fede, speranza e carità, nondimeno l'attuale
sentimento delle pene e della privazione di Dio, non permette loro di godere
dell'attuale conforto di queste virtù. E quantunque conoscano di amare il
Signore, questa cognizione non le consola, perché ad esse non sembra di
esserne riamate, reputandosi indegne di amore. Che anzi, vedendosi prive di
Lui e oppresse dalle loro miserie, credono di avere in sé tanto male da
meritare di essere aborrite e scacciate per sempre da Dio con molta ragione
[ O g n u n o è l i b e r o d i d i s s en t i r e d a c i ò ch e si d i c e i n q u es t o b r a n o . F o r s e i l S . D o t t o r e , p i ù c h e u n ' o p i n i o n e p r o p r i a ,
riferisce quella di pochi teologi, e se ne serve per istituire una comparazione adatta e utile al suo intento. Comunque

.
c e r t o è c h e e g l i q u i n o n t r a t t a d i p r o p o s i t o d e l l e p e n e d e l P u rg a t o r i o , m a d e l l e p e n e d e l l ' a n i m a n e l l a N o t t e o s c u r a ]

Non altrimenti, l'anima posta nella purgazione della notte oscura, ancorché
sappia che vuol bene a Dio e che darebbe mille vite per Lui (ed infatti tali
anime nei loro patimenti amano veramente il Signore di un amore efficace),
tuttavia non trae conforto da questo pensiero, anzi pena maggiore. Poiché,
mentre ella ama il Signore, tanto che non ha altra cosa più a cuore, d'altra
parte si vede troppo miserabile per credere che Dio l’ami e, lungi dal trovare
in sé qualche merito per essere amata, scopre piuttosto molti motivi di essere
aborrita, non solo da Lui, ma da qualsivoglia creatura; e quindi si duole di
scorgere in sé ragioni tali, che la rendono degna di essere ripudiata da Colui
che essa pur tanto ama e desidera.
2N CAPITOLO 8

ALTRE PEN E CH E AFFL IGG ON O L ' AN IMA NE LLA NO TTE DEL LO SPIRITO

1 - Un'altra cosa che molto contrista e tormenta l’anima è che l'oscura notte le
tiene le potenze e gli affetti così impediti, che non può innalzare come prima
l’affetto e la mente a Dio, né lo può pregare, sembrando a lei, come a
Geremia, che Dio le abbia posto una nube davanti, perché non passi la sua
orazione ( T h r e n . 3 , 4 4 ) : il che equivale a ciò che lo stesso Profeta dice nel testo già
allegato: Chiuse le mie vie con grosse pietre squadrate ( T h r e n . 3 , 9 ) . Se poi alcune
volte prega, ciò avviene con tanta aridità e insipidezza, che le pare che Dio
non l'ascolti e non faccia caso di lei, come il Profeta aggiunge nel medesimo
testo, dicendo: Quando io con alte grida lo pregherò, avrà già escluso la mia
orazione (T h re n . 3 , 8 ) . In verità, non è questo il tempo di parlare con Dio, ma di
mettere, a detta di Geremia, la bocca nella polvere ( T h r e n . 3 , 2 9 ) , e vedere sei mai
spuntasse qualche barlume di attuale speranza, soffrendo con pazienza la
propria purgazione. Dio è quegli che ora agisce nell'anima: e perciò essa non
può nulla. Non è capace di pregare o assistere con attenzione alle cose
divine, e neppure di attendere a qualsiasi faccenda temporale ; anzi bene
spesso va soggetta a tali divagazioni e sì profondi oblii nella memoria, che le
trascorrono molti tratti di tempo senza sapere poi ciò che abbia fatto o
pensato, né che cosa sia quello che sta facendo od è per fare, né può stare
attenta, per quanto voglia, a cosa alcuna che faccia.

2 - La ragione è che in questo stato, non solo l'intelletto si purga dal suo lume
e la volontà dai suoi affetti, ma anche la memoria dai suoi discorsi e notizie; e
perciò conviene che pure la memoria sia annichilita intorno a dette cose,
affinché si adempia ciò che Davide afferma essergli accaduto in questa
purgazione: Io fui annichilito, e non seppi ( S a l 7 2 , 2 1 ) . Questo non sapere si
riferisce alle alienazioni e dimenticanze della memoria, le quali sono causate
dall'interno raccoglimento in cui la contemplazione assorbe l'anima. Ed
invero, affinché l'anima sia temprata e disposta alla divina unione di amore,
era necessario che primieramente ella fosse immersa con le sue potenze
nell'oscura luce spirituale di contemplazione, e così fosse astratta da tutti gli
affetti ed apprensioni delle creature: il che regolarmente dura a seconda
dell'intensità di essa luce. Onde, quanto più semplicemente e puramente
questa divina luce investe l'anima, tanto più l'ottenebra, la vuota e l'annichila
circa le sue apprensioni e i suoi affetti particolari, riguardanti sì le cose
celesti che le terrene; ed all'opposto, quanto meno è pura e semplice
nell'investirla, tanto meno la priva, e le si rende meno oscura. Pare incredibile
che la luce soprannaturale e divina tanto più offuschi l'anima quanto più
possiede di splendore e purezza, e viceversa: ma ciò ben s'intenderà, se si
rifletta a quello che più sopra abbiamo provato circa la sentenza del Filosofo,
vale a dire che le cose soprannaturali riescono oscure al nostro intelletto, a
misura che in sé sono chiare e manifeste.

3 - Ed affinché ciò s'intenda meglio, ci serviremo d'un paragone tra la luce


divina e quella naturale. Osserviamo un raggio di sole che entra da una
finestra. Quanto più esso è limpido e puro di atomi, tanto meno chiaramente si
vede; e quanto più l'aria è ingombra di pulviscoli, tanto più il raggio sembra
luminoso al nostro occhio. La causa, di ciò è perché la luce non si vede per
se stessa, ma è, il mezzo col quale si vedono le altre cose, quando le investe;
in questo caso, anch'essa si vede, ma solamente per il riverbero che in quelle
produce. Di modo che, se, per ipotesi, un raggio solare, entrando da una
finestra di una stanza, passasse dall'una all'altra parte senza incontrare alcun
oggetto, neppure i pulviscoli dell'aria, il raggio non si vedrebbe affatto, né la
stanza sarebbe più illuminata di prima; anzi, se si osserva bene, vi è più
oscurità là dove c'è il raggio, perché questo attenua e oscura un po' l'altra
luce, mentre esso non si vede, perché, come abbiamo detto, non vi sono
oggetti visibili in cui possa rifrangersi.

4 - Alla stessa guisa il divino raggio della contemplazione opera nell'anima.


Investendola con la sua luce divina, eccede la luce naturale di essa, e con ciò
la offusca e priva di tutte le apprensioni e affetti naturali che prima
apprendeva mediante il lume naturale; e così non solo la lascia oscura, ma
anche vuota secondo le potenze e gli appetiti, sì spirituali che naturali.
Quindi, rimanendo l'anima nuda e al buio, viene purificata ed illuminata dalla
divina luce spirituale, senza che ella si accorga di averla, ma sembrandole
piuttosto di vivere fra le tenebre, precisamente come abbiamo detto del raggio
che, se è puro e non ha dove battere, non appare. Ma, quando la luce divina da
cui l'anima è investita trova in che riverberare, quando cioè all’anima si offre
d'intendere qualche cosa anche minima di spirituale perfezione, o di proferire
qualche giudizio intorno al vero o al falso, ella subito vede la cosa e la
capisce molto più chiaramente di quel che avrebbe fatto prima di trovarsi tra
le presenti oscurità. Così pure, conoscendo con facilità un'imperfezione che le
si presenti, si accorge anche della luce spirituale che ha: come il raggio di cui
abbiamo parlato, il quale non si vede quando sta oscuro nella stanza, ma se
una mano o altro oggetto lo attraversa, tosto si vede la mano e ci si accorge
che c'era quella luce solare.

5 - Inoltre, essendo la luce spirituale semplice, pura e generale, non


particolarizzata a nessun determinato intelligibile naturale o divino (poiché ha
reso le potenze dell'anima annichilite e vuote di tutte le apprensioni), ne
segue che l'anima con grande universalità e agevolezza conosce e penetra
qualunque cosa terrena o celeste che le si offra. Onde l’Apostolo disse:
L'uomo spirituale penetra tutte le cose, anche i profondi arcani di Dio ( 1 C o r
2,10)
. A questa sapienza generale e semplice si riferisce ciò che lo Spirito Santo
per bocca del Savio dice: Arriva dovunque per la sua purezza ( S ap 7 , 2 4 ) ; perché
non si particolarizza in nessun determinato intelligibile, né in alcun affetto
particolare. E questa è la proprietà dello spirito purgato e annichilito circa
tutte le affezioni e intelligenze singolari, che cioè non intendendo e non
gustando niente in particolare, giacendo nel suo vuoto e nelle sue tenebre, ha
grande disposizione per abbracciare tutto, acciocché in lui si verifichi il detto
di S. Paolo: «Nihil habentes et omnia possidentes» (2 C o r 6 , 1 0 ) ; la quale felicità
ben si conviene ad una tale povertà di spirito.

2N CAPITOLO 9

SI DICE CH E LA NO TTE DE LLA CO NTEMPL AZION E , BEN CH É OSC URI LO SPIRITO , LO FA


PER INFO NDE RGLI LUC E

1 - Resta ora da dire come la notte oscura, ancorché ottenebri lo spirito, non
lo fa che per illuminarlo circa tutte le cose; se lo umilia e lo rende miserabile,
non è che per esaltarlo; lo impoverisce e vuota di ogni possesso ed effetto
naturale, ma solo perché possa divinamente estendersi a godere di tutto ciò
che è celeste e terreno, con grandissima libertà in ogni cosa. Come gli
elementi, a fine di comunicarsi in tutti i composti ed enti naturali, è
necessario che non abbiano alcun particolare colore, odore o sapore, perché
possano concorrere con tutti i sapori, odori e colori; così conviene che lo
spirito sia semplice, puro e nudo di ogni sorta di affetti naturali, sì attuali che
abituali, per poter comunicare con libertà e larghezza di spirito con la divina
sapienza, in cui per la sua limpidezza gusta in modo eminente i sapori di tutte
le cose. Ma, senza la purgazione, in nessuna maniera lo spirito potrà
gustare tutta l'abbondanza dei sapori spirituali sino ad esserne
soddisfatto; perché un solo affetto che abbia, o una cosa particolare a cui sia
legato attualmente o abitualmente, basta perché non senta né riceva il delicato
e intimo sapore dello spirito di amore, che in modo eminente contiene in sé
tutti i sapori.

2 - Sappiamo infatti che i figli d'Israele solo per il memore affetto che
portavano alle carni ed ad altri cibi mangiati in Egitto ( E s 1 6 , 3 ) , diventavano
incapaci di trovare soddisfazione nel delicato pane degli angeli, ossia nella
manna che, come dice la Scrittura, conteneva la soavità di tutti i sapori,
adattandosi al gusto di ciascuno che ne mangiava ( S a p 1 6 , 2 1 ) . Orbene, in maniera
simile, l'anima che è legata a qualche attuale o abituale affetto, a idee e
apprensioni particolari, non può giungere a godere i diletti dello spirito di
libertà, secondo che la volontà desidera. La ragione di questo è che le
apprensioni, gli affetti e i sentimenti dello spirito perfetto, essendo divini,
sono di genere ben diverso ed eminentemente superiori a quelli naturali; e
quindi per possedere attualmente e abitualmente gli uni, si devono espellere e
annientare gli altri, perché due contrari non possono andare uniti in un
medesimo soggetto. Pertanto, affinché l'anima passi al godimento delle divine
grandezze, è necessario primieramente che la notte oscura di contemplazione
l'annichili e distrugga circa le sue bassezze, mettendola al buio, nell'aridità e
nel vuoto di ogni cosa; perché la luce che le si dovrà infondere è veramente
un'altissima luce divina che sorpassa ogni altra naturale, e non può essere
accolta naturalmente nell’intelletto.

3 - Ne segue, quindi, che l'intelletto, a fine di unirsi alla superna luce e


diventare divino nello stato di perfezione, si deve anzitutto purificare e
annichilire nel suo lume naturale, ponendosi attualmente al buio per mezzo
dell'oscura contemplazione. Questa oscurità, queste tenebre, devono durare
tanto nell'intelletto quanto è necessario perché sia distrutto l'abito ch'esso
ha contratto da gran tempo nella sua maniera d'intendere, ed in luogo di
questo vi rimanga l'illuminazione della luce divina. Stante poi che quella
forza d'intendere usata fin qui dall'intelletto è naturale, di necessità le tenebre
che esso ora patisce sono profonde, orribili e oltremodo penose, perché
sentendosi nell'intima sostanza dello spirito, sembrano tenebre sostanziali.
Similmente, poiché l'affezione di amore che l'anima dovrà avere è divina, e
perciò del tutto spirituale, sottile, delicata, anzi eccedente ogni affetto e
appetito naturale della volontà, conviene che questa sia purgata e annichilita
in tutti i suoi affetti e sentimenti, prima che passi a gustare in unione di
amore quella divina affezione, quel diletto tanto sublime, di cui non è
naturalmente capace. Deve poi rimanere nella sua aridità tanto tempo, quanto
e necessario a seconda dell'abito di affetti naturali che si era formato circa le
cose divine ed umane: affinché, disseccata e purgata nel fuoco dell'oscura
contemplazione da ogni genere di demoni (come il cuore del pesce di Tobia
nella brace), abbia una disposizione pura e semplice, e il palato sano e adatto
a sentire i sublimi tocchi del divino amore, nel quale si vedrà divinamente
trasformata, espulse ormai tutte le cose che contrarie sia attuali che abituali
che prima aveva.

4 - Notiamo altresì che, per mezzo dell'unione divina a cui viene disposta
dalla notte oscura, l'anima dovrà essere dotata di una certa gloriosa
magnificenza, perché la comunicazione con Dio racchiude in sé innumerevoli
beni e diletti che eccedono tutta l'abbondanza che l'anima, fiacca ed impura
com'è, può possedere naturalmente, secondo il detto d'Isaia: Né occhio vide,
né orecchio udì, né cadde in pensiero umano quello che Dio preparò a coloro
che lo amano ( I s 6 4 , 4 ) . Ciò posto, bisogna che primieramente l'anima sia ridotta
in povertà di spirito, privata di ogni sostegno, conforto e apprensione naturale
di qualsiasi cosa celeste e terrena, affinché così spogliata dell'uomo vecchio
possa vivere una vita nuova e beata che si ottiene per mezzo della notte
oscura, ed è lo stato di unione con Dio.
5 - Di più, l'anima dovrà giungere ad avere un sentimento ed una cognizione
divina molto sublime e saporosa, intorno a tutte le cose divine e umane che
non cadono nel sentimento comune e nel naturale sapere di lei: le mirerà,
infatti, con occhio tanto diverso da quello di prima, quanto differisce la luce e
la grazia dello Spirito Santo dal senso, il divino dall'umano. Perciò è,
necessario che lo spirito si raffini e si ritiri dal comune, e naturale modo di
sentire, e per mezzo della contemplazione purgativa si ponga in grande
angustia e strettezza, e che la memoria sia remota da ogni amichevole, e
pacifica notizia, abbia un senso molto intimo di lontananza da tutte le cose, di
modo che queste le paiano affatto estranee e differenti da prima. Difatti, la
notte oscura va cavando lo spirito dalla ordinaria e comune maniera di
sentire le cose, per trasferirlo a quella divina, che è lontana e diversa da ogni
maniera umana. Qui all'anima sembra di andare fuori di sé, in pena. Alcune
volte dubita se quello che prova sia un incanto o intontimento, e si meraviglia
delle cose che vede e ascolta, parendole molto strane e insolite, quantunque
siano le medesime che prima ordinariamente soleva trattare. Ciò dipende
appunto dal fatto che l'anima si va facendo sempre più remota dalla notizia e
dal senso comune delle cose, acciocché, annichilita in questo, resti informata
nel senso divino, che è più proprio dell'altra vita che della presente.

6 - L'anima patisce tutte queste afflittive purgazioni spirituali, affinché per


mezzo del divino influsso si rigeneri alla vita dello spirito, e con questi dolori
venga a partorire lo spirito di salute, adempiendosi così la sentenza di Isaia il
quale dice: Dalla tua faccia, o Signore, abbiamo concepito, e con dolore
abbiamo partorito lo spirito di salute ( I s 2 6 , 1 7 - 1 8 ) . Oltre di ciò, poiché per mezzo
della notte contemplativa l'anima si dispone per arrivare alla pace interiore,
che è di tal natura e tanto dilettevole che, come dice la Scrittura, sorpassa
ogni senso ( F i l 4 , 7 ) , è necessario che l'anima lasci la sua primiera pace. Ed
invero, poiché questa andava accompagnata da non poche imperfezioni, non
era vera pace, quantunque all'anima sembrasse tale, essendo confacente al suo
gusto: era pace due volte, in quanto l'anima si sentiva ricolma delle
abbondanze spirituali di questa pace del senso e dello spirito. Da questa pace
imperfetta, dunque, bisogna che l'anima sia strappata, e ne senta il distacco
come lo sentiva Geremia, tra le cui lamentevoli espressioni sopra ricordate
leggiamo anche questa: La pace è bandita dall'anima mia (Thren. 3,17. Questa
è una penosa purgazione dove ella soffre intimamente aspre battaglie e dubbi
tormentosi, perché il vivo sentimento delle miserie in cui giace, le fa temere
di essere perduta, e che ogni suo bene sia finito per sempre.

7 - Quindi il suo spirito è penetrato da un dolore sì profondo che la fa


prorompere in forti ruggiti e urli spirituali, che sfuggono alle volte dalla
bocca, e la fa sciogliere in lagrime, quando ha la forza e il potere di farlo; ma
raramente gode di questo sollievo. Davide, che purtroppo aveva sperimentato
un simile effetto, lo descrive molto bene in un Salmo, dicendo: Fui molto
afflitto ed umiliato; ruggivo per il gemito del mio cuore ( S al 3 7 , 9 ) . Questo
ruggito è l'espressione di un dolore immenso. Non di rado, infatti, per
l'improvvisa e viva memoria della sua miseria, l'anima si trova tanto oppressa
e stretta da penoso affanno, che non saprei come farlo comprendere, se non
con la similitudine che il santo Giobbe, posto nelle medesime condizioni, usa
in questi termini: Alla guisa della piena delle acque, così è il mio ruggito ( G b
3,24)
. Come alcune volte i fiumi straripano in modo da invadere e allagare ogni
luogo, così il ruggito dell'anima alcune volte cresce a tal segno che tutta la
penetra e sommerge, riempiendo d'inenarrabili angustie e dolori spirituali tutti
i suoi più profondi affetti, le più intime fibre.

8 - Questi sono gli effetti prodotti nell'anima dalla notte oscura, che ricopre le
speranze della luce del giorno. A questo proposito anche il Profeta Giobbe
dice: Durante la notte la mia bocca è perforata dai dolori, e coloro che mi
divorano, non dormono ( G b 3 0 , 1 7 ) . Qui per bocca s'intende la volontà, la quale è
trafitta dalle pene, ossia dai dubbi e dai timori, che non cessano mai di
lacerare l'anima.

9 - Il conflitto che l'anima sostiene è profondo, perché molto profonda dovrà


essere la pace che ella aspetta; anche il dolore spirituale è intimo, sottile e
puro, perché l'amore che ella possederà, sarà molto intimo e puro. Quanto più
l'opera dovrà riuscire squisita e perfetta, tanto più accurato e fine deve essere
il lavoro; e tanto più solide hanno da essere le fondamenta, quanto più stabile
l'edificio. Perciò come dice Giobbe, l'anima languisce e si strugge nelle sue
viscere, senza alcuna speranza ( G b 3 0 , 1 6 ) . Di più, poiché l'anima è destinata a
possedere nello stato di perfezione, a cui s'indirizza per mezzo della notte
purgativa, innumerevoli beni, doni e virtù, sia nella sua sostanza come nelle
sue potenze, è necessario che dapprima se ne veda generalmente spogliata,
povera e vuota, e che le sembri di esserne sì lontana che non possa
persuadersi di raggiungerli mai, ma che piuttosto ogni bene sia finito per lei:
il che Geremia volle intendere nel riferito testo, ove dice: Non mi ricordo più
cosa sia il bene ( T h r e n . 3 , 1 7 ) .

10 - Ma vediamo ora perché mai da principio la luce della contemplazione,


investendo l'anima, produca i penosi effetti che abbiamo descritto: eppure è
una luce sì soave e amichevole che non si può desiderare di meglio, giacché è
la stessa a cui l’anima dovrà unirsi, e che le farà trovare nello stato di
perfezione tutti i beni che bramò.

11 - A questo dubbio si risponde facilmente col ripetere ciò che in parte


abbiamo detto, ossia che l'infusione della divina luce, di per sé, non può
recare pena all'anima, ma piuttosto molta dolcezza e diletto, come in
appresso si dirà. Causa della pena sono soltanto la fiacchezza e le
imperfezioni dell'anima. stessa, che costituiscono una disposizione contraria
a ricevere i buoni effetti: e quindi l'anima, investita dal lume divino, non può
non patire nella maniera sopra descritta.

2N CAPITOLO 10

SI SPIEG A A FO NDO LA PU RGAZION E DE LLA NO TTE DEL LO SPIRITO MEDIAN TE UN A


SIMILITUD IN E

1 - Per maggior chiarezza di ciò che si è detto e si dirà, giova qui notare che
la purgativa e amorosa notizia o luce divina di cui parliamo, così opera
nell'anima, purgandola e disponendola per unirla a sé perfettamente, come il
fuoco in un legno per trasformarlo in sé. Quando il fuoco materiale si applica
al legno, prima di ogni altra cosa comincia a disseccarlo, traendone fuori
l'umidità e facendo gemere l'umore che contiene. Di poi lo annerisce e gli fa
tramandare anche cattivo odore: e mentre a poco a poco lo dissecca, ne trae
alla luce e toglie tutti gli spiacevoli ed oscuri accidenti, contrari al fuoco.
Finalmente comincia a riscaldarlo al di fuori, l'infiamma, lo trasforma in
sé, rendendolo tanto bello come il fuoco stesso. Ridotto a questo termine, il
legno ormai non ha più alcuna azione o passione sua propria, ma eccetto la
gravità e la quantità che è più densa, del fuoco possiede tutte le proprietà
ed azioni: è secco e dissecca; è caldo e riscalda; è chiaro e rischiara, ed è
molto più leggero di prima, avendogli il fuoco comunicato tutte queste
proprietà.

2 - Ora, lo stesso dobbiamo dire del fuoco amoroso della contemplazione: il


quale, prima di unire e trasformare l'anima in sé, la purga da tutte le qualità
contrarie. Le cava fuori le sue sozzure e la rende brutta e nera, tanto da
sembrare peggiore, più abominevole di prima. La divina purgazione cava fuori
tutti i cattivi e viziosi umori, che l'anima non riusciva a vedere, perché
erano troppo radicati in lei. Non capiva di avere in sé tanti mali, ma adesso
che il fuoco divino glieli pone sott'occhio traendoli fuori per distruggerli, li
discerne assai chiaramente alla luce oscura della contemplazione; e,
quantunque ella non sia peggiore di prima, né in sé, né dinanzi a Dio, tuttavia
vedendo ciò che prima non arrivava a scoprire, le sembra che Dio, non che
mirarla, abbia piuttosto motivo di aborrirla, e che già di fatto l'aborrisca. Da
questa comparazione possiamo ora intendere molte cose, intorno a ciò che
andiamo dicendo e che ci proponiamo di dire.

3 - Primo: Possiamo dedurre che la luce e la sapienza amorosa, da cui


l'anima dovrà essere trasformata, è la stessa che al principio la purga e
dispone: come lo stesso fuoco che trasforma in sé il legno incorporandosi in
esso, è quello che prima lo disponeva a tale effetto.

4 - Secondo: Comprenderemo che le pene dell'anima non vengono da parte


della divina Sapienza, poiché come dice il Savio: Insieme con la Sapienza mi
vennero tutti i beni ( S a p 7 , 11 ) ; ma da parte della fiacchezza e imperfezione
dell'anima, la quale è incapace di accogliere senza purgazione la sua luce
divina con la soavità e il diletto che l'accompagnano, e quindi soffre assai:
come il legno non può essere trasformato appena gli si avvicina il fuoco,
perché non è ancora disposto. Il che anche l'Ecclesiastico conferma,
descrivendo ciò che egli patì per giungere ad unirsi con la sapienza e goderla:
L'anima mia agonizzò per lei; e le mie viscere si conturbarono per acquistarla;
perciò possederò un gran bene ( S i r 5 1 , 2 9 ) .

5 - Terzo: Noteremo di passaggio il modo di penare delle anime del


purgatorio. Il fuoco nulla potrebbe in esse (per quanto se ne applicasse loro),
se non avessero imperfezioni in cui patire. Queste sono la materia a cui il
fuoco si appiglia, consumata la quale, non rimane altro da ardere: come, per il
caso nostro, distrutte le imperfezioni, l'anima cessa di penare e non le
resta che il godere.

6 - Quarto: Possiamo inferire che, mentre l’anima si purifica per mezzo del
fuoco d'amore, in esso s’infiamma sempre più: come il legno a mano a mano
che si dispone ad accendersi, si riscalda sempre più. Però l'anima non sempre
si accorge di questa infiammazione d'amore, ma le sole volte che la
contemplazione l'investe meno intensamente. Allora l'anima ha la possibilità
di contemplare, godendone, il lavoro che si va facendo, perché le viene
mostrato. Sembra, infatti, che qualcuno levi la mano dall'opera e tragga fuori
il ferro dalla fornace, affinché appaia in qualche modo il lavoro che è stato
fatto intorno ad esso; e allora l'anima ha campo di osservare in sé il bene che
non vedeva nel corso dell'opera: non altrimenti, quando la fiamma cessa di
agire nel legno, si scorge bene quanto lo abbia acceso.

7 - Quinto: Capiremo sempre meglio quello che abbiamo già detto, cioè
quanto sia vero che, dopo il temporaneo alleggerimento di pena, l'anima
ritorna a patire più intensamente e sottilmente di prima, poiché, dopo quella
mostra che le si fa quando sono già purificate le sue imperfezioni più esterne,
il fuoco di amore torna a investirla per purificarla più addentro. Ed allora le
pene dell'anima sono tanto più intime, sottili e spirituali, quanto più il fuoco
le va consumando le più minute e spirituali imperfezioni, radicate nelle sue
più riposte fibre. Alla stessa maniera accade nel legno: quanto più il fuoco vi
penetra, tanto con maggior forza e furore ne dispone le parti più interne per
possederle.

8 - Sesto: Appare chiaramente che la causa per cui all'anima sembra di aver
perduto ogni bene ed essere piena di mali, è che nessun'altra cosa la tocca
ma tutto le è amarezza: come il legno che, mentre arde, non è avvicinato né
dall'aria né da altro refrigerio, ma solo da fiamme divoratrici. Ma, dopo che
saranno state fatte altre mostre [= manifestazioni?] come le prime, l’anima
godrà più intimamente, perché più profonda fu la purificazione.

9 - Settimo: Infine noteremo che, quantunque negli intervalli di tregua l'anima


goda moltissimo, tanto da sembrarle che i suoi dolori siano scomparsi per
sempre, nondimeno, quando questi invece dovranno presto ritornare, ella non
cessa di sentire, se ci bada (e alle volte l'avverte anche senza badarci), una
radice che rimane e non le permette di avere un perfetto godimento: sente,
insomma, la minaccia di un nuovo attacco, e quando è così, è chiaro indizio
che tornerà presto. Infine, ciò che resta da purgare ed illuminare più addentro
non può essere coperto e nascosto all'anima dalla parte già purificata: come
nel legno ben si vede la differenza che passa tra la parte esterna già accesa
e quella interna che non lo è ancora. Quando poi questa purificazione torna
ad investire più internamente, non v'è da meravigliarsi se l'anima crede
un'altra volta di aver perduto ogni bene e non pensa più di riaverlo, perché
ella soffre pene più intime, e quindi tutto il bene esteriore sfugge al suo
sguardo.

11 - Pur tenendo dinanzi agli occhi della mente la suesposta similitudine, e


tutto ciò che abbiamo detto circa la natura e le terribili proprietà dell'oscura
notte dello spirito, sarà bene uscire da un argomento sì triste. È tempo ormai
che l'anima veda il frutto di tante sue lagrime e le meravigliose doti di cui
andrà adorna; le quali si cominciano a cantare sin da questo secondo verso:

Con ansie, d'amor tutta infiammata.

2N CAPITOLO 11

SI CO MINC IA A SPIEGA RE IL SECO ND O VER SO DE LLA PRIMA STROFA - SI DICE CH E


L ' AN IMA , CO GLIEN DO IL FRU TTO DE LLE PRE CED ENTI RIGOR OSE ANG UST IE , SI TR OVA
CO N VEE MEN TE PASSION E DI AMOR DIVIN O

1 - Nel secondo verso l'anima ci fa conoscere il fuoco di amore che, alla


maniera del fuoco materiale nel legno, gli si va appigliando in questa notte di
penosa contemplazione. Questa infiammazione, quantunque abbia qualche
rassomiglianza con quella che accadeva nella parte sensitiva dell'anima, è
nondimeno tanto differente, quanto lo è l'anima dal corpo, la parte spirituale
dalla sensitiva. È un'infiammazione di amore nello spirito, nella quale in
mezzo a tante oscure pene l'anima si sente acutamente ferita d'un forte amor
divino, unito ad un non so quale senso e traccia di Dio, senza però intendere
alcuna cosa particolare, perché, come dicemmo, l'intelletto si trova all'oscuro.

2 - Lo spirito si sente qui appassionato da un grande amore, perché


l'infiammazione spirituale produce passione d'amore. Infatti questo, essendo
infuso, è più passivo che attivo , e quindi ingenera nell'anima una forte
passione di amore. Tale amore partecipa già alquanto dell'unione con Dio, e
perciò gode un po' delle proprietà di essa, che sono piuttosto azioni di Dio
assoggettate passivamente nell'anima, che non fatte da lei. L'anima altro non
fa che prestare il suo consenso: mentre tutto il calore, la forza, la tempra e
la passione di amore o infiammazione, come qui l'anima la chiama, vengono
soltanto dall'amore di Dio che si va unendo con essa. Questo amore tanto più
trova luogo e disposizione nell'anima per ferirla e unirsi con lei, quanto più
essa ha tutti gli appetiti mortificati e incapaci di poter gustare le cose sì della
terra che del cielo.

3 - Il che avviene nell'oscura purgazione in un modo affatto singolare, poiché


Dio tiene le potenze dell'anima sì raccolte e divezzate dagli antichi gusti, che
non potrebbero trovar sapore in qualsiasi cosa volessero. Dio le separa da
tutto e le raccoglie tutte per sé, affinché l'anima abbia maggiore energia e
abilità a ricevere la forte unione di amore divino, che con questo mezzo
purgativo Egli già incomincia a comunicarle; nella quale unione l’anima
dovrà amarlo con tutte le sue forze e con tutti i suoi appetiti spirituali e
sensitivi: ciò che non potrebbe avvenire, se essi si diffondessero nel
compiacersi di altre cose. E perciò Davide, per poter ricevere la forza
dell'amore dell'unione divina, diceva al Signore: Custodirò la mia fortezza
per te ( S a l 5 8 , 1 0 ) : cioè tutta la capacità, gli appetiti e le forze delle mie
potenze, non volendo impiegare le loro operazioni in altra cosa fuori di te.

4 - Possiamo, quindi, in qualche modo immaginare quanto grande e forte sarà


l'infiammazione di amore in quello spirito in cui Dio mantiene raccolte in
bell'armonia tutte le forze, le potenze e gli appetiti, sì spirituali che sensitivi,
affinché tutti s'impieghino in amarlo, e quindi l'anima riesca ad osservare
davvero il primo precetto; il quale, non rifiutando né escludendo dall'amore
divino cosa alcuna dell'uomo, dice: Amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore,
con tutta la tua mente, con tutta l'anima tua, e con tutte le tue forze ( D t 6 , 5 ) .

5 - Poiché, dunque, in questa infiammazione di amore tutte le forze e gli


appetiti dell'anima sono raccolti, ed ella si trova tocca, appassionata, ferita in
ciascuno di essi, quali saranno i loro movimenti, i loro trasporti, vedendosi
accesi e piagati da sì forte amore, ma senza esserne soddisfatti, trovandosi
anzi nell'oscurità e nel dubbio? Certamente, poiché l'amore non li sazia,
urlano alla maniera dei cani che, come dice Davide, vanno attorno per la
città straziati dalla fame ( S a l 5 8 ,7 ) . Il tocco dell'amoroso fuoco divino dissecca
talmente lo spirito e ne accende tanto gli appetiti per estinguerne la sete di
amore, che lo spirito si rivolge continuamente in se stesso e in mille modi
anela a Dio, con quelle vive brame, che Davide espresse molto bene in un
salmo, dicendo: L'anima mia ha sete di te: in quante maniere la mia carne
spasima per te! ( S al 6 2 , 2 ) . Ed un'altra versione dello stesso passo dice: L'anima
mia ebbe sete di te, l'anima mia muore per te.

6 - Questa è la causa per cui l'anima nel verso dice: Con ansie, d'amor tutta
infiammata. Poiché, e in tutti i pensieri che tra sé volge, e in tutte le faccende
e casi che le si presentano, ama e desidera in molti modi, e desiderando soffre
in mille guise, in ogni tempo e luogo, senza mai trovare riposo in cosa alcuna,
sempre infiammata e ferita dall'amore. Tali ansie amorose sono bellamente
descritte dal santo Giobbe con queste parole: Come il servo desidera la sera, e
il mercenario aspetta la fine del suo lavoro così io il ristoro: ma io, invece,
trascorsi mesi vuoti di ogni sollievo, e contai notti lunghe e dolorose. Se mi
metto a dormire, dico: Quando mi leverò? E di poi bramerò di nuovo che torni
la sera, e sarò pieno di affanni sino alle tenebre della notte ( G b 7 , 2 - 4 ) . Per
l'anima che si trova in tali condizioni, tutto diventa angusto: non cape in sé,
né in cielo né in terra, e, come dice Giobbe, si riempie di dolori fino alle
tenebre, le quali, parlando spiritualmente e al nostro proposito, consistono nel
soffrire senza conforto di speranza certa di qualche luce e bene spirituale.
Quindi l'anima nelle sue ansie penose doppiamente patisce: primo, da parte
delle tenebre spirituali in cui si vede, che con i loro dubbi e timori
l'affliggono; secondo, da parte dell'amore di Dio che l'infiamma e ferisce con
la sua freccia amorosa, attizzandola meravigliosamente. Queste due maniere
di patire sono assai bene espresse dal Profeta Isaia che dice: L'anima mia
desidera te durante la notte ( I s 2 6 , 9 ) , cioè nella miseria.

7 - E questa è la prima maniera di patire, da parte dell'oscura notte di


contemplazione. Però soggiunge: Col mio spirito, nelle mie viscere, di buon
mattino veglierò per te. E questa è la seconda maniera di penare, da parte
dell'amore, per mezzo di vivissimi, desideri nelle viscere dello spirito, che
sono le affezioni spirituali. Ma, in mezzo a queste pene oscure e amorose,
l'anima sente nel suo interno una certa compagnia che l'assiste, e una forza
che la rinvigorisce tanto, che se il grave peso delle sue dense tenebre viene a
mancarle, spesso ella si trova sola, vuota e indebolita. Ciò avviene perché la
forza dell'anima era comunicata passivamente dal fuoco tenebroso dell'amore
che la investiva; e quindi, cessando in essa l'azione di questo fuoco, insieme
con le tenebre cessa anche il calore e la forza dell'amore.

2N CAPITOLO 12

SI DICE CH E QU ESTA ORR IB ILE NO TTE È UN VER O PU RGATO RIO , N EL QU ALE LA DIVINA
SAPIEN ZA ILLUMIN A GL I U OMIN I IN TER RA CO N LA STESSA ILLUST RAZION E CO N C UI
PURG A E ILLUMIN A GL I AN GELI IN CIELO

1 - Da quanto abbiamo detto si potrà comprendere che questa oscura notte di


fuoco amoroso, come al buio purga l'anima, così al buio l'accende. Inoltre
possiamo conoscere che, come gli spiriti si purgano nell'altra vita con fuoco
tenebroso e materiale, così nella presente si purificano con fuoco amoroso,
oscuro e spirituale: v'è però una differenza, ed è che di là col fuoco, e di qua
sono mondati e illuminati soltanto con l'amore. Quest'amore Davide
domandò quando disse: «Cor mundum crea in me, Deus, etc ...» ( S al 5 0 , 1 2 ) ;
poiché la purezza del cuore non è meno che l'amore e la grazia di Dio.
Perciò i mondi di cuore dal nostro Divin Salvatore sono chiamati beati, il che
è lo stesso che dire innamorati, perché la beatitudine non si dà per meno
che per amore.

2 - Che poi l'anima si purghi mentre è illuminata dal fuoco di amorosa


sapienza (e si noti che Dio mai comunica la sapienza mistica senza l'amore,
perché l'amore stesso la infonde), ben lo dichiara Geremia dove dice: Dall'alto
mandò fuoco nelle mie ossa e mi ammaestrò ( T h r e n . 1 , 1 3 ) . E Davide dice che la
sapienza di Dio è argento provato nel fuoco, ossia in quello purgativo
dell'amore ( S a l 11 , 7 ) : poiché l'oscura contemplazione infonde unitamente
nell'anima amore e sapienza, in ciascuna secondo la propria capacità e il
proprio bisogno, illuminando l'anima e purgandola dalle sue ignoranze, come
il Savio dice essere accaduto in lui.

3 - Onde possiamo anche inferire che le anime sono illuminate quaggiù dalla
medesima Sapienza Divina, che purga gli angeli dalle loro ignoranze (dando
loro a conoscere ciò che prima non sapevano), derivando essa da Dio alle
supreme gerarchie, da queste sino alle ultime, e da esse agli uomini. Perciò
nella Scrittura con verità e proprietà si dice che tutte le ispirazioni angeliche
provengono da Dio e dagli angeli insieme; perché ordinariamente Dio le
comunica per loro mezzo ed essi le trasmettono gli uni agli altri, senza alcun
indugio: come un raggio di sole che passi per molte invetriate disposte in fila.
In tale ipotesi, benché il raggio passasse da sé per tutte, nondimeno ciascuna
lo trasmetterebbe all'altra più modificato secondo la propria qualità, e più o
meno intensamente, secondo che è più o meno vicina al sole.

4 - Donde ne segue che gli spiriti superiori e inferiori, più sono vicini a Dio, e
più sono purgati e illuminati con una più generale purificazione; gli ultimi poi
la riceveranno molto più tenue e remota. Ora, poiché l'uomo occupa l'ultimo
posto o grado nella scala degli esseri spirituali riceverà, quando Dio vorrà
derivarla sino a lui, l’amorosa contemplazione in un modo assai limitato e con
pena. Mentre la luce di Dio, illuminando l'angelo, lo rischiara e soavizza in
amore come puro spirito disposto a tale infusione, al contrario, illuminando
l'uomo, l'oscura e gli dà pena, a cagione della di lui impurità e fiacchezza,
come fa il sole con l'occhio infermo. Lo innamora con pena e afflizione fino a
che questo medesimo fuoco amoroso lo spiritualizza e lo assottiglia,
purificandolo fino al punto che possa ricevere con soavità l’unione
dell'amoroso influsso a modo degli angeli, come in seguito si vedrà. Ma
frattanto, prima di giungere a tal punto, l'anima riceve l'amorosa notizia di
contemplazione con quell'angustia ed ansia di amore che stiamo dicendo.

5 - Non sempre l'anima sente l'infiammazione e l'ansia amorosa. Al principio


della purgazione spirituale, il fuoco divino volge tutta l'opera sua più a
disseccare e disporre l'anima che a riscaldarla; ma, in progresso di tempo,
quando già l'ha riscaldata abbastanza, l'anima molto spesso sente l'amoroso
ardore. D'altra parte, l'intelletto per mezzo delle tenebre si va sempre più
purgando, ed allora alcune volte accade che la mistica e amorosa teologia,
mentre infiamma la volontà, ferisce anche l’intelletto, illuminandolo con
qualche notizia e luce divina tanto saporosa e delicata, che la volontà, con
l’aiuto di essa, meravigliosamente s’infervora. In questo fuoco divino la
volontà, senza far niente di suo, arde di vive fiamme tanto da sembrare
all'anima, per la viva intelligenza che le si comunica, un fuoco vivo, quello di
cui parla Davide in un Salmo, dicendo: Si riscaldò il mio cuore dentro di me,
e un certo fuoco divampò mentre io intendevo. ( S a l 3 8 , 4 )

6 - Questa intelligenza di amore, con l’unione delle due potenze, intelletto e


volontà, che qui si uniscono, è per l'anima una sorgente di grande ricchezza e
diletto: è un certo tocco nella divinità, e principio già della perfezione
dell'unione di amore che l'anima spera. Perciò ad un tocco di sì alto senso di
amore di Dio non si giunge, se non dopo aver sofferti molti travagli e gran
parte della purgazione. Ma per altri gradi più bassi di amore che
ordinariamente accadono, non c'è bisogno di tanta purgazione.

7 - Da ciò che abbiamo detto, si deduce che nei beni spirituali passivamente
infusi nell'anima da Dio, la volontà ben può amare senza che l'intelletto
intenda: come pure l'intelletto può intendere senza che la volontà ami;
perché la notte oscura di contemplazione consta di luce divina e amore, come
il fuoco contiene luce e calore. Può darsi quindi benissimo che alcune volte la
luce amorosa ferisca la volontà infiammandola col suo amore, ma lasci al buio
l'intelletto, senza ferirlo con la sua luce; viceversa, altre volte potrà accadere
che illumini l'intelletto con luce d'intelligenza, lasciando arida la volontà:
come si può ricevere il calore dal fuoco senza vederne la luce, oppure vedere
la sua luce senza riceverne il calore. Del resto, tutto ciò è opera del Signore,
che infonde come vuole.

2N CAPITOLO 13

ALTRI GU STOSI EFF ETTI CH E LA NO TTE OSCU RA DI CO NTEMPL AZION E PRO DUC E
NE LL ' AN IMA

1 - Da questo modo d'infiammazione possiamo intendere alcuni effetti, che


l'oscura notte di contemplazione va ormai producendo nell'anima. In mezzo a
queste oscurità, a volte, come abbiamo detto, l'anima viene rischiarata, la luce
risplende nelle tenebre ( G v 1 , 5 ) , la mistica intelligenza si comunica all'intelletto
(restando arida la volontà, vale a dire senza unione attuale di amore), con una
serenità e purezza estremamente delicata e dilettevole, che non si sa con qual
nome esprimere, e che offre all'anima ora un modo di sentire di Dio, ora un
altro.

2 - Non di rado la luce divina ferisce, oltre che l'intelletto, anche la volontà; e
allora il fuoco dell'amore si apprende in una maniera elevata, tenera e forte.
Abbiamo già detto, infatti, che talora le due potenze si uniscono, e tanto più
perfettamente e delicatamente, quanto più l'intelletto si va purgando. Ma,
prima di arrivare a questo punto, è cosa più ordinaria sentire il tocco
dell'infiammazione nella volontà, che non quello dell'intelligenza
nell'intelletto.
3 - Ma qui può sorgere un dubbio: Se, dunque, queste due potenze si vanno
purgando insieme, perché al principio si sente nella volontà l'amoroso ardore
della contemplazione purgativa, più spesso che l'intelligenza di questa
nell'intelletto ? A tale obbiezione rispondo che l'amore passivo non ferisce
direttamente la volontà, perché questa è libera. L'infiammazione amorosa è
più passione di amore che atto libero della volontà, perché va a ferire la
sostanza dell'anima, e quindi muove gli affetti passivamente; e così questa si
chiama meglio passione di amore che atto libero della volontà, perché questo
in tanto si chiama atto della volontà in quanto è libero. Ma, poiché queste
passioni e affetti si riducono alla volontà, quando l'anima è appassionata con
qualche affezione, si dice che lo è la volontà; la quale, invero, in tal caso
diventa schiava, perde la sua libertà, e viene trascinata dal forte impeto
della passione. Pertanto possiamo dire che l'infiammazione di amore è nella
volontà, ossia accende l'appetito di essa, e perciò, si chiama, ripeto, passione
di amore piuttosto che atto libero della volontà. D'altra parte, soltanto la
facoltà ricettiva dell'intelletto può ricevere l'intelligenza nudamente e
passivamente, e ciò non può, se non e purgato. Quindi, prima che questo
avvenga, l'anima sente il tocco dell'intelligenza meno spesso che quello
dell'amore; per sentire il quale non è necessario che la volontà sia molto
purgata dalle passioni, perché anche queste l'aiutano a sentire amore
appassionato.

4 - Questa infiammazione e sete di amore, essendo ormai dello spirito, è


differentissima dall'altra che abbiamo descritto nella notte del senso. Poiché,
quantunque anche adesso il senso vi prenda la sua parte, non lasciando di
partecipare del lavoro dello spirito, tuttavia la radice e il vivo della sete di
amore si sente nella parte superiore dell'anima, cioè nello spirito, la cui sete è
sì ardente che stima un nulla tutte le pene del senso, benché siano di gran
lunga maggiori che nella notte sensitiva, perché conosce nel suo interno la
mancanza di un gran bene, un vuoto che nessuna cosa può colmare.

5 - Ma qui bisogna notare che, sebbene al principio della notte spirituale


l'anima non avverta l'infiammazione di amore perché il fuoco divino non ha
ancora operato, tuttavia, invece di ciò, Dio sin d'allora le infonde subito un sì
grande amore estimativo di Lui, che il più grave tra i patimenti dell'anima in
questa notte consiste nel dubbio tormentoso di aver perduto Dio e di esserne
stata abbandonata. Possiamo dire, quindi, che fin dal principio l'anima è
sempre tocca da ansie di amore, ora estimativo, ora anche, d'infiammazione. È
pure manifesto che la maggior pena che l'anima soffre tra tanti patimenti è
l'accennato dubbio o timore; poiché se allora si potesse assicurare che tutto
non è perduto e finito, ma che quello che prova è per il suo maggior bene
(com'è veramente) e che Dio non è sdegnato contro di lei, non si curerebbe
affatto di tutte quelle pene, anzi ne gioirebbe, sapendo che è Dio che si serve
di esse. E invero, è tanto grande l'amore estimativo che gli porta, benché
all'oscuro e senza sentirlo, che non solo sopporterebbe lieta i suoi patimenti,
ma ben volentieri darebbe mille volte la vita per compiacerlo. Però, dopo che
l'anima è stata accesa dalla fiamma amorosa, oltre all'estimazione che già
aveva di Dio, suole acquistare tal forza, vivacità e ardore per Lui,
comunicatole dal calore di amore, che con grande ardire, senza alcun riguardo
e senza troppo considerare le sue azioni, nell'impeto e nell'ebbrezza
dell'amore farebbe anche le cose più stravaganti e insolite, e in qualsiasi
modo che le si presentassero, pur di andare incontro al suo Amato.

6 - Questa è la causa per cui Maria Maddalena, quantunque di nobile


condizione, non fece caso della turba degli uomini, maggiorenti o no, che
stavano nel convito, né si mise a considerare che non era cosa ben fatta
andare là a sciogliersi in lagrime, tra i convitati; ma, senza differire di un'ora,
né aspettare altra occasione, volle giungere davanti a Colui dal cui amore
l'anima sua era già ferita. Per la stessa audace ebbrezza di amore, benché ella
sapesse che il suo Diletto era deposto nel sepolcro, chiuso da una grossa
pietra e sorvegliato dai soldati ( G v 2 0 , 1 ) perché i discepoli non lo rapissero, non
rifletté su nessuno di questi ostacoli, ma andò prima dello spuntar del giorno
per ungerlo con preziosi aromi.

7 - E finalmente la stessa ebbrezza e ansia di amore la spinse a domandare a


Colui che ella credeva il giardiniere del luogo, se lo aveva involato e dove lo
aveva nascosto, affinché ella potesse prenderlo ( G v 2 0 , 1 5 ) non considerava che
una tale domanda in una persona di mente sana era una vera sciocchezza,
perché certamente, se l'altro avesse rubato davvero il Corpo del Signore, non
lo avrebbe detto, e molto meno glielo avrebbe lasciato prendere. Ma l'amore
veemente ha questo di proprio che per esso tutto è possibile, e gli sembra
che tutti camminino per la sua strada; crede che non vi sia al mondo altra
cosa a cui si possa attendere o si debba volere, all'infuori di quella che esso
cerca e ama. Per questo la Sposa dei Cantici, quando uscì in traccia del suo
Diletto per le piazze e i sobborghi, s'immaginava che pure gli altri girassero
allo stesso scopo, e quindi disse loro che, se mai lo avessero incontrato, gli
dicessero che ella penava per suo amore ( C t 5 ,8 ) . E poiché ci è occorso di far
menzione di Maria Maddalena, aggiungo che il suo amore era sì ardente da
sembrarle che, se il giardiniere le avesse detto dov’era il Corpo di Cristo, le
sarebbe bastato l'animo di andare a prenderlo, ancorché glielo avessero
impedito con la forza.

8 - Di tal tempra, dunque, sono le ansie amorose che prova l'anima già
progredita nel cammino della purgazione spirituale. Infatti, si leva di
nottetempo (ossia durante le tenebre purgative) secondo gli affetti della
volontà; e, come una leonessa o l'orsa corre ansiosa in cerca dei suoi nati
allorché le furono rapiti e non li trova, così l'anima ferita di amore va in
traccia del suo Dio, perché nelle tenebre in cui giace le pare di esserne priva,
e muore dal desiderio di Lui. Questo è l'amore impaziente, in cui l'uomo
non può durare a lungo senza ottenere o morire: amore simile a quello che
Rachele dimostrò per i figli quando disse a Giacobbe: Dammi dei figli, perché
altrimenti morrò ( G e n 3 0 , 1 ) .

9 - Bisogna però riflettere perché mai l'anima, pur sentendosi così miserabile
e indegna di Dio nel suo stato di tenebre purgative, abbia nondimeno tanto
coraggio e ardire di aspirare all'unione divina. La ragione è che l'amore stesso
le dà forze per amare davvero, ed è proprio dell'amore che l'amante si
voglia unire, uguagliare e rendere simile alla cosa amata, per
perfezionarsi nel bene dell'amore. Ora, se da una parte l'anima non è
perfetta in amore, non essendo ancora giunta all'unione, dall'altra però,
mediante le forze che l'amore stesso le ha già infuso nella volontà, sente fame
e sete di ciò che le manca, cioè dell'unione a cui l'amore tende. Quindi non fa
meraviglia che l'anima, così appassionata, si faccia audace secondo la volontà
infiammata, malgrado che, secondo l'intelletto non ancora illuminato, si reputi
misera e indegna.

10 - Non voglio qui lasciar di dire la ragione per cui la luce divina,
quantunque sia sempre luce per l'anima, non le si comunica subito appena
l'investe (come avviene in seguito), anzi le causa le tenebre e i travagli che
abbiamo descritti. Intorno a ciò già si disse qualche cosa; però in particolare
risponderemo che le tenebre e tutti gli altri mali che l'anima sente quando
la divina luce l'investe, non sono inerenti alla luce, ma all'anima stessa;
anzi la luce l'illumina perché li discerna. La luce divina sin dal principio
risplende; però con essa l'anima dapprima non può vedere se non quello che
ha più vicino a sé, o per meglio dire, in sé, ossia le sue tenebre e miserie, le
quali ormai conosce per grazia e misericordia di Dio, mentre prima non le
vedeva, perché non era illuminata dalla luce soprannaturale: e questa è la
causa per cui, al principio, nient'altro si sente che tenebre e mali. Ma, dopo
che l'anima sarà purgata mediante la cognizione e il sentimento di questi mali,
allora sì che avrà occhi per vedere i beni ineffabili della luce divina; ed
espulse le imperfezioni e diradate tutte le tenebre, andrà conoscendo
gl'immensi beni e vantaggi che riporta dalla fortunata notte della
contemplazione.

11 - Da tutto ciò che abbiamo detto, si potrà comprendere quanto grande sia la
grazia che Dio fa all'anima nel purificarla e curarla con sì forte ranno e amara
purga, secondo la parte sensitiva e spirituale, da tutte le affezioni e abiti
imperfetti che in sé aveva circa le cose temporali e naturali, sensitive e
spirituali. Le oscura, dunque, e vuota le potenze interne; reprime e inaridisce
in lei gli affetti sensitivi e spirituali, debilitando e assottigliando le sue forze
naturali, il che l'anima non potrebbe mai conseguire da se stessa, come
appresso diremo. Insomma, fa sì che l'anima naturalmente venga meno
rispetto a tutto ciò che non è Dio; affinché, spogliata e scorticata della sua
antica pelle, rinnovi come l’aquila la sua gioventù ( S al 1 0 3 , 5 ) , rivestendosi
dell'uomo nuovo che al dire dell'Apostolo, è creato secondo Dio (E f 4 , 2 4 ) . Ciò
non altro significa, se non che l’anima viene illuminata dalla luce
soprannaturale in modo che l'intelletto umano, unito al divino, diventi
divino. Parimenti Dio infiamma la volontà con divino amore, di maniera che
essa ormai non sia meno che divina, ma ami divinamente, divenuta una sola
cosa con la volontà e l'amore di Dio. Lo stesso dicasi della memoria, come
pure degli affetti e degli appetiti, tutti divinamente trasformati secondo
Dio. Onde una tale anima potrà chiamarsi celeste, più divina che umana.
Dio, dunque, per mezzo della notte dello spirito, produce nell'anima tutti i
meravigliosi effetti che abbiamo descritto, illuminandola e accendendola di
ardenti brame di solo amor divino, non di alcun'altra cosa. Pertanto, lieta
della sua fortunata sorte, l'anima a buon diritto esclama: O felice ventura!

2N CAPITOLO 14

SI RIPORTA NO E SI SPIEGAN O I TRE U LTIMI VERS I DE LLA PRIMA STROFA

1 - Nel primo dei seguenti versi l'anima esprime l'impeto della sua gioia per la
felice sorte che le è toccata e che ella descrive negli altri due:

Oh felice ventura!
Uscii né fui notata,
Stando già la mia casa addormentata.

Quindi l'anima prende la metafora di colui che, per meglio sbrigare le sue
faccende, esce di casa nel cuor della notte, mentre i suoi familiari sono
immersi nel sonno, affinché nessuno glielo impedisca. Dovendo l'anima
uscire a compiere un'impresa così eroica e rara, qual è unirsi col suo Amato
divino, esce fuori, perché Egli non si trova se non fuori, solo, nella
solitudine. E per questo la Sposa dei Cantici desiderava trovarlo solo,
dicendo: Chi mi darà di trovarti fuori, fratello mio, e comunicare con te il mio
amore? ( C t 8 ,1 ) Era pur necessario all'anima innamorata, per conseguire il suo
fine bramato, che facesse precisamente così, che uscisse cioè di nottetempo,
addormentato che fossero tutti i familiari, ossia le sue basse operazioni, le
passioni e gli appetiti, sopiti e spenti per mezzo della notte oscura. Essi
sono la gente di casa sua, e finché sono desti, sempre le impediscono il suo
vero bene, e mal sopportano ch'ella se n'esca libera dalle loro mani. Proprio
essi sono i domestici che il nostro Salvatore nel Santo Vangelo chiama nemici
dell'uomo ( M t 1 0 , 3 6 ) . Quindi conveniva che questi domestici fossero
addormentati, perché non impedissero all'anima i beni soprannaturali
dell'amorosa unione con Dio, la quale fintanto che quelli sono svegli ed
operano, non si può ottenere. Tutte le loro operazioni e movimenti naturali,
anziché aiutare, sono di ostacolo a ricevere i beni spirituali dell'unione di
amore, perché rispetto a questi, qualunque abilità naturale è del tutto
insufficiente: Dio solo è quegli che li infonde nell'anima passivamente e
segretamente ed in silenzio. È necessario, quindi, che tutte le potenze li
ricevano in modo passivo, senza cioè intromettervi la propria bassa opera e
vile inclinazione.

2 - Fu, dunque, per l'anima una felice ventura che Dio nella notte oscura le
assopisse tutta la gente di casa sua, cioè tutte le potenze, le passioni, gli
affetti e gli appetiti che vivono nella parte sensitiva e spirituale, affinché
ella senza essere notata, ossia senza essere trattenuta da loro (poiché
rimangono addormentati, cioè mortificati e al buio, affinché di niente si
accorgano, ne sentano secondo il loro modo basso e naturale, e perciò non
impediscano all'anima di uscire di sé e dalla casa della sua sensualità),
potesse giungere all'unione spirituale del perfetto amor di Dio.

3 - O che sorte beata è per l'anima il potersi liberare dalla casa della sua
sensualità! Non lo può bene intendere, a mio avviso, se non l'anima che lo
prova. Questa vedrà chiaramente a qual dura servitù era sottoposta e a quante
miserie andava soggetta, quando era schiava dell'opera delle sue potenze e
appetiti; conoscerà come la vita dello spirito è vera libertà e ricchezza che
trae con sé beni inestimabili. Di alcuni di questi faremo cenno nelle strofe
seguenti, in cui meglio s'intenderà con quanta ragione l'anima reputi felice
ventura il passaggio dell'orrenda notte dello spirito.

2N CAPITOLO 15

SI PO NE LA SEC OND A STROFA E LA SUA DICH IARAZION E

Nel buio, e ben sicura


Per la segreta scala trasformata,
Oh felice ventura!
Nel buio, e ben celata,
Stando già la mia casa addormentata.

1 - In questa strofa l'anima canta ancora alcune proprietà della notte


spirituale, ripetendo la buona sorte che le toccò per mezzo di esse. Le
descrive, e rispondendo ad una tacita obiezione, avverte che non si pensi che,
essendo passata nella notte tenebrosa per tante burrasche ed angustie, dubbi
ed orrori, abbia corso maggior pericolo di perdersi: ché anzi nel buio di
questa notte guadagnò se stessa, perché si liberò e sfuggì abilmente dalle
mani dei suoi avversari, i quali sempre le impedivano il passo. Nell'oscurità
della notte indossò un altro costume, e si travestì con tre livree, ciascuna di
colore diverso (delle quali in appresso parleremo); di poi, passando per una
scala molto segreta e ignota a tutti i familiari (la quale, come vedremo a
suo luogo, è la viva fede), silenziosamente uscì per condurre a buon termine
la sua impresa. Era così ben coperta e celata ad ogni sguardo, che non poteva
camminare più sicura: tanto più che in quella profonda notte purgativa tutte le
sue passioni e appetiti e affetti erano assopiti, mortificati e spenti, mentre se
fossero stati vivi e svegli non le avrebbero consentito di uscire.
Segue dunque il verso che dice così:

Nel buio, e ben sicura.

2N CAPITOLO 16
SI SPIEG A COME L ' AN IMA , PU R CAMMIN AND O AL BU IO , VADA SICU RA

1 - Già abbiamo detto che l'oscurità a cui l'anima qui allude, riguarda gli
appetiti e le potenze sensitive, interiori e spirituali, perché tutte in questa
notte si oscurano del proprio lume naturale, affinché purgandosi rispetto a
questo, possano essere illuminate dalla luce soprannaturale. Ora, infatti, gli
appetiti sensitivi e spirituali sono sopiti e mortificati, senza poter gustare di
cosa alcuna, né divina ne umana; le affezioni dell'anima sono oppresse, e non
possono muoversi, ne trovare appoggio in nessuna cosa; l'immaginazione è
legata e non può fare un discorso concludente; la memoria estinta;
l'intelletto offuscato, e quindi anche la volontà arida e angustiata, e tutte
le potenze vuote; ma, quel che è più, una densa e pesante nube grava
sull'anima e la tiene in mille affanni, quasi fosse lontana da Dio. Eppure
l'anima dice che andava sicura nel buio.

2 - La ragione di ciò, chiara del resto, è che ordinariamente l'anima non


erra se non a causa dei suoi appetiti, gusti, discorsi, intelligenza e affetti,
nelle quali cose per lo più eccede o manca o muta o sbaglia, e quindi si
piega a ciò che non conviene. Ma, impedite che siano tutte queste operazioni
e movimenti, è evidente che l'anima resta sicura di non errare, perché non
solo si libera da se medesima, ma anche dagli altri nemici che sono il mondo e
il demonio, i quali, trovando estinte le passioni e le operazioni dell'anima,
non le possono muovere guerra da altra parte, né in alcun'altra maniera.

3 - Ne segue, quindi, che quanto più l'anima è all'oscuro e vuota delle sue
operazioni naturali, tanto più va sicura. Ben a ragione il Profeta Osea disse
che la perdizione dell'anima proviene da lei stessa ( O s 1 3 , 9 ) , cioè dalle sue
operazioni e dagli appetiti interiori e sensitivi disordinati; e il bene, dice il
Signore, [proviene] solamente da me. Pertanto impediti che siano in lei i suoi
mali, resta che subito subentrino i beni dell'unione divina nelle sue potenze e
appetiti, che perciò si renderanno celesti e divini. Ed invero, nel tempo di
queste tenebre, se l'anima vi fa attenzione, riuscirà molto bene a vedere
quanto poco l'appetito e le potenze divaghino in cose inutili e dannose; e
quanto ella stia sicura dalla vanagloria, dalla superbia, dalla presunzione, dal
vano e falso gaudio, e da molte altre miserie. Onde giustamente si conclude
che, andando al buio, l'anima non solo non si perde, ma per così dire
guadagna, poiché fa acquisto di molte virtù.

4 - Ma qui si presenta subito un dubbio. Se le cose di Dio per se stesse sono


di giovamento e sicurezza all'anima, perché mai nella notte purgativa Dio le
oscura gli appetiti e le potenze anche circa le cose buone, di modo che
nemmeno in queste trova gusto, né può trattarle come non può le altre, anzi in
certo modo meno ancora? Rispondo che è necessario che allora l'anima resti
priva delle operazioni e dei gusti anche intorno alle cose spirituali, perché ha
le potenze e gli appetiti impuri, bassi e molto naturali, ai quali benché si
desse l'uso e il diletto delle cose soprannaturali e divine, non se ne
servirebbero e godrebbero che in un modo molto basso e naturale, cioè molto
a modo loro; poiché, come dice il Filosofo, qualsiasi cosa è ricevuta alla
maniera di chi la riceve. Adunque, giacché le potenze naturali non hanno
purezza, né forza, né capacità per ricevere e gustare le cose soprannaturali
secondo il modo di queste, che è divino, ma solo secondo il modo loro proprio
che è umano e basso, bisogna che da questo siano divezzate e purgate,
affinché perdendo l'umana e bassa maniera di operare e ricevere, rimangano
disposte e temprate per ricevere, sentire e gustare altissimamente secondo la
divina maniera: il che non può accadere, se prima l'uomo vecchio non muore.

5 - Qualunque cosa spirituale, se non viene dall'alto e non è comunicata dal


Padre dei lumi al di sopra del libero arbitrio e dell'appetito umano, per quanto
le potenze dell'uomo si esercitino con Dio e credano di gustare di Lui, non
può essere da loro gustata divinamente, ma solo umanamente come ogni altra
cosa, perché i beni non vanno dall'uomo a Dio, ma da Dio vengono
all'uomo. Intorno a ciò (se questo fosse il luogo opportuno) potremmo
dichiarare come vi sono non poche persone, che nelle loro potenze provano
molti gusti, affetti e operazioni intorno a Dio e alle cose spirituali, e forse
penseranno che tutti questi effetti siano soprannaturali e spirituali, mentre non
saranno che atti e appetiti naturali e umani; i quali, come rispetto alle altre
cose, così si producono di ugual tempra anche rispetto alle buone anzidette,
per una certa facilità naturale che coloro hanno nel muovere l'appetito e le
potenze a qualsivoglia cosa.

6 - Se mai in seguito ci si presenterà l'occasione, ci intratterremo su questo


punto, parlando di alcuni segni da cui si può conoscere se, nel tratto con Dio,
i movimenti e le azioni interiori dell'anima sono soltanto naturali, o solamente
soprannaturali, ovvero l'uno e l'altro insieme. Frattanto basti sapere questo:
acciocché gli atti e moti interni possano essere altamente e divinamente diretti
da Dio, prima devono addormentarsi e oscurarsi circa ogni loro capacità
naturale, fino a che questa venga a mancare.

7 - Adunque, o anima spirituale, quando vedrai il tuo appetito offuscato, i tuoi


affetti aridi, le tue potenze rese inabili a qualunque esercizio interiore, non ti
prendere pena di ciò, anzi tienilo per buona sorte. Sappi che allora Dio ti va
liberando da te medesima, togliendoti ogni maniera di attività naturale, con la
quale, per quanto ti andassero bene le faccende, a causa dell'impurezza e
lentezza delle tue potenze non opereresti in modo così giusto, perfetto e
sicuro come adesso che Dio, prendendoti per mano, ti guida come se fossi un
cieco, tra le tenebre e per dove tu non sai, né giammai sapresti passare, per
quanto bene camminassi con i tuoi piedi e ad occhi aperti.

8 - Inoltre, la causa per cui l'anima, andando al buio, non solo cammina
sicura, ma anche ritrae molto profitto, è perché ordinariamente essa riceve
nuovi miglioramenti e vantaggi per quei mezzi che meno intende, per i quali
anzi molto spesso giudica di trovarsi sulla strada della perdizione. Non
avendo mai sperimentato quella novità che la sconcerta e la fa uscire dal suo
primiero modo di procedere, non è meraviglia se crede di perdersi piuttosto
che battere una via sicura, poiché vede che certamente si perde intorno a ciò
che sapeva e gustava, e cammina per dove non sa né gusta. Immaginiamo un
viandante che muove alla volta di un paese lontano. Egli è costretto a
camminare per strade sconosciute, sempre dubbioso e incerto, non guidato
dalla propria esperienza, ma solo attenendosi alle indicazioni altrui. È
evidente che costui non potrebbe giungere in quella contrada, se non passando
per vie ignote, lasciando quelle che conosceva. Così pure, chi vuol
perfezionarsi in un'arte o scienza, necessariamente esce dall'ambito delle
prime cognizioni per acquistarne delle nuove, e quindi anch'esso va
incontro a ciò che ignora. Orbene, alla stessa guisa, l'anima allora fa maggior
profitto, quando cammina al buio e senza saper dove. Pertanto, essendo ora
Dio il maestro e la guida del cieco, ossia dell'anima, questa ben può, giacché
ormai lo comprende, con verità rallegrarsi e dire:

Nel buio, e ben sicura!

9 - Vi è poi un'altra ragione per cui l'anima andò sicura tra queste tenebre, ed
è perché vi ha molto sofferto. La via del patire è più sicura ed anche più
profittevole di quella del godere e dell'operare: primo, perché nel patire,
l'anima riceve nuove forze da Dio, mentre nel fare e godere esercita le
proprie debolezze e imperfezioni; secondo, perché nel patire si esercitano ed
acquistano le virtù, e l'anima si purifica e si rende più saggia e prudente.
10 - Ma la causa principale per cui l'anima va sicura al buio, è da parte della
suddetta luce o sapienza oscura: poiché la notte della contemplazione l'astrae
talmente e la mette così vicino a Dio, che la protegge e libera da tutto ciò che
non è Lui. E invero, essendo posta sotto cura a fine di conseguire la propria
salute, che è Dio stesso, Sua Divina Maestà la tiene a digiuno di tutte le cose,
e gliene fa perdere l'appetito: precisamente come facciamo noi con una
persona inferma molto cara, che teniamo ben custodita in casa, senza lasciarle
prendere aria, né veder luce né udire alcun calpestio o rumore,
somministrandole cibi molto delicati e con misura, più sostanziosi che
saporiti.

11 - Si può dire che nell'oscura contemplazione l'anima riceve le stesse


benefiche cure, tutte rivolte alla sua custodia e sicurezza, per il fatto che ella
si trova più vicina a Dio. Quanto più l'anima si accosta a Dio, tanto più si
trova in profonde tenebre, a cagione della propria debolezza: come chi si
avvicinasse di più al sole, più avrebbe gli occhi offesi dal grande splendore, e
non vedrebbe che oscurità maggiore, per la fiacchezza della propria vista. È
così immensa la luce spirituale di Dio e tanto eccede l'intelletto che, quando
questo più le si avvicina, lo acceca ed oscura. Questa è la ragione per cui nel
Salmo 17 Davide dice che Dio pose per suo nascondiglio le tenebre, e per suo
padiglione intorno a sé l'acqua tenebrosa nelle nubi dell'aria ( S al 1 7 , 1 2 ) . L'acqua
tenebrosa nelle nubi dell'aria è l'oscura contemplazione e la Sapienza Divina
infusa nelle anime, che la sentono come cosa che sta presso di Lui, come
tabernacolo dove dimora, allorché Egli maggiormente a sé le unisce. Quindi,
ciò che in Dio è luce e chiarezza più sublime è, a detta di S. Paolo, tenebra
più oscura per l'uomo, come Davide lo dichiara subito nel medesimo Salmo,
soggiungendo: Per lo splendore di sua presenza, passarono le nubi ( S a l 1 7 , 1 3 ) :
cioè sull'intelletto naturale, la cui luce, al dire di Isaia: Obtenebrata est in
caligine eius» ( I s 5 , 3 0 ) .

12 - O misera condizione della nostra vita, in cui si vive con tanto pericolo
e così difficilmente si conosce la verità! Poiché, ciò che è più chiaro e vero
diventa per noi più oscuro e dubbio, e per questo lo fuggiamo, mentre è quello
che più ci conviene; viceversa, ciò che più risplende e sazia il nostro occhio,
lo abbracciamo e gli andiamo appresso, mentre è per noi la cosa peggiore che
ad ogni passo ci fa inciampare. In quanto pericolo e timore vive l'uomo,
poiché la stessa luce naturale dei suoi occhi, con la quale dovrebbe
guidarsi, è la prima che l'abbaglia ed inganna nell'andare a Dio! E se pur
vuole riuscire a scorgere per dove passa, è necessario che cammini ad occhi
chiusi ed al buio, per essere sicuri dai nemici domestici, che sono i suoi sensi
e le sue potenze!

I3 - L'anima, dunque, sta ben nascosta e protetta nell'acqua tenebrosa che


circonda il Signore; e come questa serve di padiglione a Dio stesso, così
servirà di dimora e perfetta protezione e sicurezza all'anima, quantunque ella
resti in tenebre: in esse ben si nasconde e difende, tanto da se medesima,
quanto da tutti gli altri danni che potrebbero provenirle dalle creature. A tal
proposito cadono opportune le parole che Davide dice in un altro Salmo: Li
nasconderai nel segreto del tuo volto dal turbamento degli uomini, e li
proteggerai nel tuo tabernacolo dalla contraddizione delle lingue ( S a l 3 0 , 2 1 ) . In
queste parole s'intende ogni sorta di protezione; poiché lo starsene nascosti
nel volto di Dio dal turbamento degli uomini vuol dire essere fortificati,
mediante l'oscura contemplazione, contro tutte le male occasioni che da parte
degli uomini potrebbero sovrastare. E l'essere protetti nel suo tabernacolo
dalla contraddizione delle lingue significa che l'anima è immersa in
quell'acqua tenebrosa, che è il divino tabernacolo di cui Davide fa menzione.
Quindi l'anima, avendo tutti gli appetiti e gli affetti mortificati e le potenze
oscurate, è libera da tutte le imperfezioni che contraddicono allo spirito e che
potrebbero trarre origine sì dalla sua carne come dalle altre creature: e perciò
ben si può dire che l'anima va nel buio e ben sicura.

14 - Non manca un'altra ragione non meno valida della precedente, per
intendere sempre meglio come l'anima cammini con sicurezza al buio, ed è
che la penosa e tenebrosa acqua di Dio le infonde gran forza, sin dal
principio: poiché alla fine, benché sia tenebrosa, è acqua; e perciò non lascerà
di ristorare e fortificare l'anima in ciò che più le conviene, quantunque ciò
accada al buio e con pena. Difatti l'anima ben presto vede in sé una vera ed
efficace determinazione a non fare ciò che intende essere offesa di Dio, né
di omettere alcuna cosa che riguardi il di Lui servizio. Imbevuta di
quell'amore oscuro, nutre un pensiero assai vigilante e sollecito di ciò che
deve fare o lasciare per piacere al Signore, esaminando e scrutando mille
volte se stessa per vedere se mai in qualche modo lo avesse offeso: e tutto ciò
con molto maggior cura e attenzione di prima, come sopra abbiamo detto a
proposito delle ansie di amore. Tutti gli appetiti, tutte le forze e le potenze
dell'anima, essendo ora raccolte e aliene da ogni altra cosa, impiegano tutta la
loro virtù soltanto in ossequio del loro Dio. In tal guisa l'anima esce da se
stessa e da tutte le, cose create, avviandosi alla dolce e dilettevole unione di
amor di Dio:

Nel buio, e ben sicura


Per la segreta scala, trasformata.

2N CAPTOLO 17

SI SPIEG A COME L ' OSCU RA CO NTEMPL AZION E SIA SEG RETA

1 - Dobbiamo commentare le singole parti che compongono il presente verso.


Le due parole: segreta e scala indicano due proprietà della notte oscura di
contemplazione; l'altra parola trasformata riguarda il modo osservato
dall'anima in questa notte. Quanto alle due prime parole, è da sapersi che
l'anima chiama l'oscura contemplazione, per la quale va all'unione d'amore,
segreta scala, per queste due proprietà che in essa si trovano, cioè che è
segreta e che è scala, e che dichiareremo distintamente.

2 - In primo luogo chiama segreta la contemplazione tenebrosa perché, come


altrove abbiamo accennato, essa è la mistica teologia, detta anche dai teologi
sapienza segreta che, dice S. Tommaso , viene comunicata e infusa
nell'anima per via di amore. Ciò accade segretamente, all'oscuro di ogni
opera naturale dell'intelletto e delle altre potenze: e quindi, poiché le dette
potenze non valgono a conseguirla, ma solo lo Spirito Santo la infonde
nell'anima (a detta della Sposa dei Cantici) senza che ella sappia come ciò
avvenga ( C t 6 , 11 ) , si chiama segreta. E invero, non solo l'anima non lo intende,
ma nessun altro, neppure il demonio stesso, in quanto che il Maestro che
insegna quella sapienza risiede nell'anima sostanzialmente, dove né il
demonio, né il senso, né l'intelletto possono arrivare.

3 - Ma non solo si può chiamare segreta per questa ragione, ma anche per gli
effetti che produce nell'anima. Oltre ad essere segreta allorché in modo
occulto ed inesplicabile purifica l'anima con tenebre e patimenti, rimane
segreta pure in seguito, al tempo della illuminazione, quando più chiaramente
viene comunicata; anche allora, dico, l'anima non la sa discernere, né con qual
nome chiamare, anzi nemmeno desidera di parlarne con alcuno. Del resto poi,
se pur volesse, non saprebbe trovare parole o similitudini adatte ad esprimere
un'intelligenza tanto sublime e un sentimento spirituale così delicato. Dunque,
per quanto l'anima bramasse di spiegarsi ed escogitasse vocaboli a tal fine,
sempre quella sapienza resterebbe segreta ed ineffabile. Essendo la detta
sapienza tanto generale, semplice e spirituale, che non penetrò nell'intelletto
rivestita di alcuna specie o immagine sensibile, ne segue che il senso e
l'immaginativa (non essendo entrata per essi quella cognizione) non ne sanno
niente, e neanche possono figurarsela, benché l'anima veda chiaramente che
intende e gusta quella saporosa e sublime sapienza. Avviene non altrimenti
che se taluno vedesse per la prima volta una cosa del tutto nuova, di cui
neppure avesse mai visto alcunché di simile: di certo, quantunque la
intendesse e gustasse, non la saprebbe nominare, né dire ciò che sia, per
quanto si adoperasse a farsi capire. Che se questo accade, pur trattandosi di
cosa percepita dal sensi, quanto meno dunque si potrà manifestare ciò che
non. si percepì per mezzo loro? Il linguaggio di Dio ha questo di proprio che,
essendo molto intimo, spirituale ed eccedente ogni senso, subito fa cessare e
ammutolire tutta l'armonia e l'abilità dei sensi esterni ed interni.

4 - Intorno a ciò abbiamo nella Sacra Scrittura testi ed esempi insieme.


L'impotenza di manifestare esteriormente un tale linguaggio si scorge nel
Profeta Geremia il quale, dopo aver parlato con Dio, disse: A, a, a; e non
seppe dire altro ( G e r 1 , 6 ) . L'incapacità interiore poi, cioè del senso interno
dell'immaginazione, unitamente a quella esteriore, la vediamo in Mosè il
quale, alla presenza di Dio apparso nel roveto ardente, non solo disse che
dacché il Signore gli parlava non indovinava a proferire parola ( E s 4 , 1 0 ) , ma,
come si legge negli Atti degli Apostoli, neanche osò di considerare con
l'immaginazione ( A t 7 , 3 2 ) , persuaso che questa era troppo lontana e muta per
formare e ricevere alcunché di quello che egli intendeva in Dio. Essendo la
sapienza della contemplazione il linguaggio di Dio all'anima, e un parlare di
puro spirito a spirito puro, i sensi (come tutto ciò che è da meno dello spirito)
non lo percepiscono, e quindi non possono esprimerlo, né desiderarlo: il
divino linguaggio è per essi affatto segreto.

5 - Da ciò possiamo dedurre quale sia la causa per cui alcune persone buone e
timorose, incamminate nella via della contemplazione, mentre vorrebbero dar
conto di ciò che provano a chi le dirige, non sanno né possono farlo. Hanno
quindi grande ripugnanza a manifestarsi, maggiormente poi quando la
contemplazione è un po' più semplice, tanto che l'anima stessa appena
l'avverte. In tal caso, sanno dire solamente che l'anima loro è soddisfatta,
quieta e contenta, che sentono Dio, e che, a loro giudizio, se la passano bene;
ma non dicono ciò che l'anima possiede, se non in termini generali, simili alle
dette espressioni. Diversamente avviene, però, quando le grazie godute
dall'anima sono particolari (come visioni, sentimenti, ecc.), le quali, essendo
di solito ricevute sotto qualche specie o figura, di cui il senso è partecipe, si
possono riferire sotto quella specie o altra simile. Ma questo poterlo riferire
non appartiene alla pura contemplazione, perché questa è semplicemente
inesprimibile, e perciò si chiama segreta.

6 - Né solamente per questo la sapienza mistica si chiama ed è segreta, ma


anche perché ha la proprietà di nascondere l'anima in sé. Poiché, oltre agli
effetti ordinari, alcune volte assorbe e immerge talmente l'anima nel segreto
abisso, che questa conosce chiaramente di trovarsi remotissima da ogni
creatura; di modo che le sembra di essere collocata quasi in una vastissima
solitudine, dove nessuna creatura umana può giungere; o come in un deserto
sterminato, in cui tanto più gode dolcezza e amore, quanto più esso è spazioso
e solitario; nel quale ella si vede tanto segregata quanto si sente elevata al
disopra di ogni creatura temporale. Allora l'abisso di sapienza innalza e
ingrandisce l'anima ponendola nella vena della scienza di amore, tanto da
farle conoscere, non solo che ogni condizione di creature è troppo vile
rispetto a questo supremo sapere e sentire divino, ma anche quanto bassi,
insufficienti e, in certa maniera, impropri siano tutti i termini e vocaboli, con
i quali in questa vita si ragiona delle cose divine; e che, per quanto altamente
e sapientemente se ne parli, non è possibile per via naturale intenderle e
sentirle come sono, ma solo mediante illuminazione della mistica teologia.
Quindi è che, al lume di questa, l'anima ben conoscendo quanto sia vero che
le cose divine non si possono comprendere e nemmeno dichiarare con umano
linguaggio, con tutta ragione la chiama segreta.

7 - La divina contemplazione ha questa proprietà di essere segreta e superiore


ad ogni umana capacità, non solo perché è cosa soprannaturale, ma anche in
quanto è via che conduce l'anima alle perfezioni dell'unione divina; verso le
quali, stante che sono cose che non si sanno umanamente, l'anima deve
camminare umanamente non sapendo e divinamente ignorando. Per usare la
frase dei mistici, le cose divine non s'intendono come esse sono mentre si
cercano o si esercitano, ma quando si sono trovate ed esercitate. A questo
proposito il Profeta Baruch, parlando della Sapienza Divina, così dice: Non
v'è chi possa sapere le sue vie, né chi intenda i suoi sentieri (Bar. 3,31).
Anche il Reale Profeta, alludendo al cammino dell'anima, così dice al
Signore: Le tue illustrazioni splendettero ed illuminarono la terra, la quale si
scosse e tremò: nel mare è la tua via, e i tuoi sentieri tra molte acque, e perciò
le tue orme non si vedranno ( S a l 7 6 , 1 9 - 2 0 ) .

8 - Tutto questo, spiritualmente parlando, fa a proposito di ciò che stiamo


dicendo. L'illustrazione di Dio che illumina la terra è quella che la divina
contemplazione produce nelle potenze dell'anima; lo scuotersi e il tremare
della terra significa la purgazione penosa dello spirito. Il dire poi che la via di
Dio, per dove l'anima va a Lui, è nel mare e in molte acque, e che perciò le di
lui orme non si vedranno, ci fa intendere che il cammino che mena a Dio è
tanto segreto e occulto per il senso dell'anima, quanto lo sono per il senso del
corpo le vestigia del cammino fatto per mare, delle quali non resta traccia. Ed
infatti, le orme che Dio va stampando nelle anime che vuole attirare a se e far
grandi nell'unione della sua Sapienza, hanno la proprietà di non essere
conosciute. Per la qual cosa nel libro di Giobbe, quasi a rafforzare il nostro
asserto, si leggono queste parole: Forsecché hai tu conosciuto le grandi vie
delle nubi e appreso le scienze perfette? ( G b 3 7 , 1 6 ) ; intendendo con ciò le strade
per dove Dio ingrandisce le anime (qui simboleggiate dalle nubi),
perfezionandole nella sua sapienza. R sta, dunque, provato che la
contemplazione che guida l’anima a Dio, è sapienza segreta.

2N CAPITOLO 18

SI DICH IA RA COME LA SAPIEN ZA SEG RETA SIA ANCH E SCA LA

1 - Passiamo ora a trattare della seconda proprietà della sapienza mistica,


ossia vediamo come essa, oltre che segreta, è anche scala. Intorno a ciò, è da
sapersi che tale possiamo chiamarla per molte ragioni. Primieramente perché,
come con la scala si ascende e si dà la scalata alle fortezze per rapirne i tesori
che vi si trovano, così pure per mezzo della segreta contemplazione, senza
sapere come, l'anima sale e s'innalza per conoscere e possedere i beni e i
tesori del cielo. A ciò chiaramente allude il Profeta Davide, quando dice:
Beato colui che gode del tuo favore ed aiuto, perché in questa valle di lagrime
egli ha disposto in cuore suo le ascensioni al luogo che si è eletto; di modo
che il Signore della legge lo benedirà, ed egli andrà di virtù in virtù, come di
grado in grado, e vedrà in Sion il Dio degli dèi, che è il tesoro della fortezza
di Sion, ossia la beatitudine ( S a l 8 3 , 6 - 8 ) .

2 - Possiamo chiamarla scala anche perché, come nella scala gli stessi gradini
servono per salire e scendere, così pure la segreta contemplazione innalza
l'anima a Dio con le medesime comunicazioni con cui la umilia in se
stessa. Infatti, le comunicazioni che veramente sono da Dio, hanno questo di
particolare che umiliano e innalzano l'anima in pari tempo; poiché in
questo cammino il discendere è salire, e viceversa, cioè chi si umilia è
esaltato, e chi si esalta è umiliato ( L c 1 4 , 11 ) . Oltre che poi la virtù dell'umiltà è
grandezza, Dio suole far salire l'anima su detta scala affinché discenda, e
farla discendere perché salga, acciò si adempia quel che il Savio dice: Prima
che l'anima sia esaltata, è umiliata; e prima di essere umiliata, viene esaltata
(Pro 18,12)
.

3 - E invero, parlando ora naturalmente (lasciato da parte ciò che è spirituale


e non si sente), l'anima, se ben consideri, riuscirà a comprendere quanti alti e
bassi patisce in questo cammino, e come dopo aver goduta la prosperità,
subito va incontro a qualche tempesta e travaglio, tanto da sembrarle che la
precedente calma le sia stata concessa, acciocché fosse più forte e preparata
all'affanno seguente. E similmente, dopo la miseria e la burrasca segue
l'abbondanza e la tranquillità, di maniera che all'anima pare che non dovesse
godere tal festa senza far prima quella vigilia. E così è per l'appunto, secondo
il modo ordinario dello stato di contemplazione, fino a che non si giunga allo
stato di quiete: le cose non vanno sempre ad un modo, ma tutto consiste in
salire e discendere.

4 - La causa di questo è che lo stato di perfezione, essendo riposto nel


perfetto amore di Dio e nel disprezzo di se stesso , include necessariamente
due cose: il conoscimento di Dio e quello di se medesimo. Quindi l'anima,
dovendo essere dapprima esercitata ora nell'uno e ora nell'altro, nel primo
caso s'ingrandisce e nel secondo si umilia. Alla fine però, quando avrà
acquistati gli abiti perfetti, cesserà l'alternativa dello scendere e salire, perché
sarà giunta ormai ad unirsi con Dio, il quale sta alla sommità della scala che a
Lui si appoggia. Questa scala di contemplazione che si parte da Dio è figurata
da quella che Giacobbe vide in sogno, per la quale gli angeli discendevano da
Dio all'uomo, e salivano dall'uomo a Dio, il quale era appoggiato
all'estremità di essa ( G e n 2 8 , 1 2 ) . Tutto questo, come dice la sacra Scrittura,
succedeva di notte e mentre Giacobbe dormiva, per farci intendere che il
cammino che conduce a Dio è molto segreto e diverso dall'umano sapere.
L'uomo, infatti, ordinariamente reputa peggiore per sé ciò che è di suo
maggior profitto (com'è l'annichilare se stesso); e ciò che meno gli giova
(ossia il procacciarsi consolazione e piacere, in che per solito perde piuttosto
che guadagnare), lo stima migliore.

5 - Ma, parlando adesso un po' più sostanzialmente e propriamente della


segreta contemplazione, diremo che la principale proprietà per cui si chiama
scala è che la contemplazione è scienza di amore, amorosa notizia di Dio, la
quale insieme illumina e innamora l'anima sino ad elevarla di grado in grado
al suo Creatore; poiché solo l'amore è quello che unisce l'anima con Dio.
Pertanto, perché più chiaramente s'intenda questa verità, andremo qui
accennando i vari gradi della divina scala, dicendo con brevità i segni e gli
effetti di ciascuno, affinché l'anima da ciò possa congetturare in quale di
essi gradi si trovi. Li distingueremo perciò dai loro effetti, come fanno S.
Bernardo e S. Tommaso, perché conoscerli in sé non è possibile per via
naturale, essendo questa scala di amore così segreta che solo Dio è colui che
la misura e la pesa.

2N CAPITOLO 19

CO MINC IA A SPIEGA RE I DIE CI G RA DI DE LL A SC ALA MIST IC A DI AMORE DIVIN O


SECO ND O S . BERN ARD O E S . TOMMA SO PARLA Q UI DE I PR IMI CIN QU E

1 - Diciamo anzitutto che i gradi della scala amorosa per dove l'anima sale a
Dio, sono dieci. Il primo fa sì che l'anima ammali di amore, con suo
profitto; e in questo grado parla la Sposa quando dice: Vi scongiuro, figlie di
Gerusalemme, che se mai incontraste il mio Diletto, gli diciate che io
languisco di amore Questa infermità però non tende alla morte, ma alla gloria
di Dio, poiché in essa l'anima viene meno al peccato e a tutte le cose che
non sono Dio, per amore di Lui, secondo il detto di Davide: L'anima mia
venne meno cioè intorno a tutte le cose, aspettando da te la salute ( S a l 11 8 , 8 1 ) .
Come l'infermo perde l'appetito e il gusto di tutti i cibi e cambia colore, così
in questo grado di amore l'anima perde il piacere e il desiderio di tutte le
cose, e a guisa degli amanti muta colore, cioè il costume della vita passata.
L'anima non cade in questa infermità, se l'eccesso del calore non le viene
dall'alto, secondo che Davide dice in questo versetto: « pluviam voluntariam
segregabis, Deus, haereditati tuae et infirmata est; tu vero perfecisti eam» ( S a l
67,10)
. Questa malattia, questo mancare a. tutte le cose, che è il principio e il
primo grado per salire a Dio, ben lo abbiamo spiegato più sopra, dove
parlammo dell'annichilimento in cui l'anima si vede, allorché comincia ad
entrare nella purgazione contemplativa, quando in nessuna cosa può trovare
appoggio o piacere, né conforto o riposo. Sicché da questo grado subito
comincia a salire al secondo.

2 - Il secondo grado fa sì che l'anima cerchi Dio incessantemente . Onde,


quando la Sposa disse che, cercatolo di notte nel suo letto (dov'ella languiva
secondo il primo grado), non lo trovò, soggiunse: Mi leverò per andare in
traccia del Diletto dell’anima mia ( C t 3 , 2 ) . Il che, ripeto, l'anima fa senza posa,
seguendo il consiglio di Davide: Cercate sempre la faccia, del Signore; e
cercandolo in tutte le cose non vi fermate in nessuna, finché non l'abbiate
trovato ( S a l 1 0 4 , 4 ) . Così fece la Sposa che, dopo aver domandato dello Sposo alle
guardie, subito le lasciò e passò oltre; o come fece Maria Maddalena che non
si fermò a guardare nemmeno gli angeli del sepolcro ( G v 2 0 , 1 4 ) . In questo grado
l'anima è così sollecita che in tutte le cose cerca l'Amato: in tutto ciò che
pensa, subito corre col pensiero all'Amato; in tutto ciò che dice, in tutti gli
affari che le capitano, subito parla e tratta dell'Amato; sia che mangi, sia che
dorma, o vegli o faccia qualunque altra cosa, tutta la sua sollecitudine è
riposta nell’Amato, secondo che è già stato detto a proposito delle ansie di
amore. E poiché in questo secondo grado l'amore sempre più cresce e,
acquista maggiori forze, l'anima comincia a salire al terzo, per mezzo di
qualche nuova prova della notte purgativa, come in appresso vedremo, che
produce nell'anima gli effetti seguenti.

3 - Il terzo grado della scala amorosa è quello che spinge l'anima ad operare
e le infonde calore perché non manchi. Di questo grado il Reale Profeta così
dice: Beato l'uomo che teme il Signore, poiché brama di operare molto per
adempiere i divini comandamenti ( S al 111 , 1 ) . Che se il timore, che nasce
dall'amore, gl'infonde tal ardente desiderio, che cosa non farà l'amore stesso?
In questo grado, a cagione dell'amoroso incendio che in lei tanto divampa,
l'anima giudica piccole le opere grandi intraprese per l'Amato, poche le
molte, e breve il lungo tempo passato nel servirlo: a quella guisa che
Giacobbe, dopo aver servito Labano per sette anni, gli parve poco e giudicò
doverlo servire altri sette, per il grande affetto che portava a Rachele ( G e n 2 9 , 2 0 ) .
Se, dunque, in Giacobbe tanto poteva l'amore verso una creatura, che cosa non
farà, quello verso il Creatore, allorché nel terzo grado prende possesso
dell'anima? Per il grande amore che porta a Dio, ella prova grandi affanni e
pene per il poco che fa per Dio, e se le fosse lecito disfarsi mille volte per
Lui, sarebbe soddisfatta. Per conseguenza si reputa inutile in tutto quello che
fa, e le sembra di vivere invano. Di qui nasce in lei un altro effetto mirabile,
ed è che con grande persuasione si giudica per più cattiva di tutti: primo,
perché l'amore le insegna ciò che Dio merita; secondo, perché essendo molte
le opere che fa in servizio di Lui e conoscendole difettose e imperfette, da
tutte ritrae somma confusione e pena, e comprende che il suo basso modo di
procedere è troppo indegno di un così alto Signore. In questo terzo grado,
l'anima è ben lungi dall'avere vanagloria o presunzione, e dal condannare gli
altri. Tali sono, insieme a molti altri simili, i meravigliosi effetti di amorosa
sollecitudine che il terzo grado produce nell'anima, la quale perciò in esso
acquista vigore e forze per salire al quarto grado.

4 - Il quarto grado della scala di amore è quello in cui si produce nell'anima


un ordinario soffrire per cagione dell'Amato, senza mai stancarsi. Poiché,
come dice S. Agostino, l'amore rende facili e quasi un nulla anche le cose
più grandi e gravose. 2 In questo grado parlava la Sposa allorché, desiderando
di trovarsi già nell'ultimo, disse al suo Diletto: Mettimi qual sigillo sul tuo
cuore, qual sigillo sul tuo braccio, poiché la dilezione (cioè l'atto e l'opera
dell'amore) è forte come la morte, e l'emulazione è dura come l'inferno ( C t 8 , 6 ) .
In tal grado lo spirito ha tanta forza che tiene soggetta la carne, e ne fa così
poco conto, quanto un albero ne farebbe di una delle sue foglie; e in nessun
modo cerca conforto e piacere, né in Dio né in altra cosa. Non chiede
ricompense al Signore, perché ben vede di aver già ricevuto molte grazie da
Lui; piuttosto, ogni suo pensiero è volto a dargli piacere e a servirlo in
qualche maniera, per il molto che Egli merita e per i favori da Lui ottenuti,
anche a costo di qualunque disagio e patimento. Dice in cuor suo: O mio Dio
e Signore! quanti sono coloro che in te non cercano che la propria
consolazione, solo desiderando da te grazie e doni! Invece, quelli che
vogliono dar piacere a te e offrirti qualcosa a prezzo di sacrifici, posposto
il proprio interesse, quanto mai sono pochi! Dal canto tuo, mio Dio, non
manca la volontà di spargere a piene mani i tuoi benefizi; ma noi purtroppo
manchiamo di usare in tuo servizio quelli ricevuti, per impegnarti a farcene
continuamente dei nuovi. Questo grado di amore è molto elevato. Infatti,
poiché l'anima sempre segue il suo Dio con sì vero amore e con spirito di
patire per Lui, Sua Divina Maestà assai spesso le concede il godere,
visitandola dilettevolmente nello spirito; essendo che l'immenso amore di
Cristo Verbo non può soffrire che la sua amante peni senza il di Lui
conforto. Il che per bocca di Geremia Egli affermò dicendo: Mi sono
ricordato di te, ebbi pietà della tua adolescenza, quando mi seguisti nel
deserto ( G e r 2 , 2 ) : e questo, parlando spiritualmente, significa che l'anima è priva
dell'appoggio delle creature, non fermandosi né trovando riposo in alcuna di
esse. Nel quarto grado, infine, l'anima è accesa da tal desiderio di Dio che
non tarda a salire al quinto.

5 - Il quinto grado fa sì che l'anima brami Dio impazientemente. Quivi ella


prova un desiderio così veemente di raggiungere il suo Diletto e di unirsi con
Lui, che ogni dilazione, per minima che sia, le diventa troppo lunga, grave e
molesta. Sempre crede di trovare l'Amato; e quando si vede delusa nella
speranza (il che avviene quasi ad ogni passo), si strugge nella sua brama,
secondo il detto del Salmista che dice: L'anima mia si consuma per il
desiderio della dimora del Signore ( S a l 8 3 ,3 ) . In questo grado, l'amante non
può a meno o di conseguire ciò che brama, o di morire, come si vede in
Rachele che per il gran desiderio di aver figli disse a Giacobbe suo sposo:
Dammi dei figlioli, altrimenti morirò ( G e n 3 0 , 1 ) . Inoltre qui l'anima, affamata
come i cani, va in giro per la città di Dio e s’impingua d'amore, poiché la
sazietà è in proporzione della fame: perciò ella può salire al sesto grado, i cui
effetti vedremo nel seguente capitolo.

2N CAPITOLO 20

SI DE SCRIVON O GL I ALTRI CINQU E GR ADI DI AMORE

1 - Nel sesto grado l'anima corre speditamente a Dio, ha frequenti contatti


con Lui, e per mezzo della speranza vola agilmente senza stancarsi, perché
l'amore l'ha fortificata e resa leggera al volo. Di questo grado Isaia dice: I
2
Serm. 70 (al. 9 de verbis Domini) n. 3. ML 38,444.
santi che sperano in Dio acquisteranno nuove forze, metteranno ali quasi di
aquila, voleranno senza stancarsi mai ( I s 4 0 , 3 1 ) , come facevano nel quinto grado.
A questo grado si riferisce anche quel detto del Salmo: Come il cervo desidera
la fonte delle acque, così l'anima mia ha desiderio di te, mio Dio ( S a l 4 1 , 2 ) ;
poiché il cervo quando è. assetato corre alle acque con grande velocità. La
causa di tale agilità di amore che l'anima prova nel presente grado, è perché
ormai si è molto dilatata in lei la carità, ed anche perché ella è quasi
interamente purificata, secondo il detto di un Salmo: « Sine iniquitate
cucurri» ( S a l 5 8 , 5 ) . E in un altro: Corsi la via dei tuoi comandamenti, quando
dilatasti il mio cuore. Così da questo sesto grado l'anima passa subito al
settimo.

2 - Il settimo grado rende l'anima straordinariamente ardita. Quivi l'amore


è tale che non fa uso di giudizio o consiglio, non conosce indugi, non sa
retrocedere, né raffrenarsi per vergogna : poiché l'immenso favore che Dio
concede all'anima, la rende oltremodo audace. Da ciò ne segue quel che dice
l'apostolo, cioè che la carità tutto crede, tutto spera e tutto può ( 1 C o r 1 3 , 7 )
Questo grado appare nelle parole di Mosè, quando disse a Dio che o
perdonasse al suo popolo, o altrimenti cancellasse lui dal libro della vita, in
cui lo aveva scritto ( E s 3 2 , 3 2 ) . L'anima qui ottiene da Dio quello che più le sta a
cuore, secondo le parole di Davide: Dilettati nel Signore, e ti darà quello che
il tuo cuore domanda (Sal 36,4). in questo grado la Sposa dei Cantici si fece
ardita dicendo: «Osculetur me osculo oris sui» (Ct 1,1). Però bisogna
avvertire che non sarebbe lecito all'anima fare l'ardita, se non sentisse
l'interno favore dello scettro della Maestà Divina inclinato verso di lei ( E s t
8,4)
; affinché forse non le avvenga di decadere dagli alti gradi saliti fin qui,
nei quali sempre si deve conservare in umiltà. Da questo settimo grado, in
cui ha ricevuto il coraggio di tutto osare con veemenza di affetto nelle cose
divine, l'anima passa all'ottavo, nel quale fa preda dell'Amato e si unisce con
Lui.

3 - L'ottavo grado di amore fa che l'anima raggiunga e stringa il Diletto


senza lasciarlo, secondo che la Sposa dice in questi termini: Ho trovato, colui
che il mio cuore ama; l'ho preso, e non lo lascerò ( C t 3 ,4 ) . In questo grado di
unione l'anima soddisfa il suo desiderio, ma non di continuo: giunge a porvi il
piede e subito lo ritrae, poiché se così non fosse, ma persistesse in questo
grado, avrebbe nella presente vita alcunché della gloria eterna; e perciò vi
si ferma per brevi spazi di tempo. Al Profeta Daniele, come quegli che era
uomo di desideri, fu comandato da parte di Dio che si fermasse in questo
grado, allorché l'angelo gli disse: Sta nel grado tuo, poiché sei uomo di
desideri ( D n 1 0 , 11 ) . Passiamo ora al nono grado che è quello dei perfetti.

4 - Il nono grado fa che l'anima arda di amore soavemente, ed è proprio dei


perfetti: perché lo Spirito Santo è Colui che loro comunica il suo soave e
dilettevole ardore in conseguenza della loro unione con Dio. Per la qual cosa
S. Gregorio, parlando degli Apostoli, dice che quando lo Spirito Santo discese
visibilmente sopra di essi, soavemente arsero di amore ( H o m . 3 0 i n E v a n . n . 1 . M L 7 6 ,
1220)
. È impossibile trovare parole per esprimere i beni e le ricchezze divine
che l'anima gode in questo grado: per quanti volumi si scrivessero intorno a
ciò, resterebbe sempre il più da dire. Per questa ragione, ed anche perché in
seguito ne parleremo alquanto, qui non aggiungo altro. Passiamo quindi al
decimo ed ultimo grado della segreta scala di amore, il quale grado è già
proprio dell'altra vita.

5 - Il decimo ed ultimo grado della scala segreta di amore rende l'anima del
tutto simile a Dio, a cagione della chiara visione di Lui, la quale ella subito
possiede, quando, giunta in questa vita al nono grado, se ne parte dal corpo.
Tali anime (e sono poche), essendo già purgatissime per l'amore, non
entrano in purgatorio; e perciò S. Matteo dice: «Beati mundo corde,
quoniam ipsi Deum videbunt» ( M t 5 , 8 ) . Questa visione, ripeto, è causa della
totale somiglianza dell'anima con Dio, secondo la testimonianza di S.
Giovanni, che dice: Sappiamo che saremo simili a Lui (1Gv 3,2). Non già che
l'anima acquisterà le infinite perfezioni di Dio, il che è impossibile, ma
perché tutto quanto essa è, diverrà simile a Dio; e quindi si chiamerà e
sarà Dio per partecipazione.

6 - Questa, dunque, è la scala segreta di cui parla l'anima: scala, però, che nei
supremi gradi non è più tanto segreta per lei, perché l'amore molto le si
discopre, per i grandi effetti che in essa produce. Ma nella chiara visione,
che è l'ultimo grado della scala che poggia in Dio, non v'è più alcuna cosa
nascosta per l'anima, a cagione della sua perfetta rassomiglianza con Lui.
Onde il nostro Salvatore dice: In quel giorno non mi domanderete più niente
(Gv 16,23 )
. Però, sino a quel giorno, per quanto l'anima salga in alto, le resta
sempre alcunché di nascosto, a proporzione di ciò che le manca alla totale
similitudine con la divina essenza. In tal guisa, dunque, per mezzo della
teologia mistica e dell'amore segreto, l'anima va uscendo da tutte le cose e
da se stessa salendo a Dio: perché l'amore è simile al fuoco che sempre sale
verso l'alto, tendendo al centro della sua sfera.

2N CAPITOLO 21

DICH IA RA LA PARO LA : TRASF ORMATA ; E RIFERISCE I C OLORI D EL TRAVESTIMEN TO


DE LL ' AN IMA NE LLA NO TTE DI CO NTEMPL AZION E

1 - Dopo aver dichiarate le cause per cui l'anima chiamava la contemplazione


scala segreta, ci resta ora da spiegare l'ultima parola del verso, e dire per qual
motivo l'anima affermi di essere uscita trasformata, cioè travestita, per la
scala segreta.

2 - Per meglio intendere tutto ciò, premettiamo che il travestirsi non è altro
che coprirsi di un abito o costume, diverso dal proprio e ordinario, o per
mostrare esternamente la volontà che alcuno ha di conquistarsi le grazie e il
favore della persona amata, ovvero per nascondersi ai propri emuli, e così
compiere meglio il fatto suo: ed allora prende quel vestito o divisa che più
significhi l'affetto del suo cuore, e col quale possa meglio occultarsi ai suoi
avversari.

3 - L'anima dunque, tocca dall'amore di Cristo suo Sposo, desiderando


entrargli in grazia e guadagnarne la volontà, se n'esce travestita con quel
costume che più al vivo rappresenti gli affetti del suo spirito, e col quale vada
più sicura dai suoi nemici che sono il demonio, il mondo e la carne. La divisa
che indossa è di tre colori principali, cioè bianco, verde e rosso: che
denotano le tre virtù teologali, ossia la fede, la speranza e la carità, con le
quali non solamente si concilierà l'animo e le grazie del suo Amato, ma potrà
essere sicura e difesa dagli attacchi dei suoi tre nemici. La fede è una tunica
interna tanto candida, che abbaglia la vista di ogni intelletto. Per la qual
cosa, andando l'anima vestita di fede, il demonio non la vede e non riesce a
farle danno, perché la fede la protegge più che le altre virtù contro di lui, che
è il più forte e astuto nemico.

4 - E perciò S. Pietro non indicò altra arma migliore della fede per difenderci
dal demonio, quando disse: «Cui resistite fortes in fide» ( 1 P t 5 , 9 ) . Per
conseguire poi la grazia e l'unione dell'Amato, l'anima non può mettersi
(come principio di tutti gli altri abiti di virtù) una tunica più bella della
bianca fede, perché senza di essa, come dice l'apostolo, è impossibile piacere
a Dio ( E b 11 , 6 ) : al contrario, con essa, è impossibile non piacergli, poiché Egli
stesso dice per bocca di un Profeta. «Sponsabo te mihi in fide » ( O s 2 , 2 0 ) . Come se
dicesse: Se tu, anima, vuoi unirti e sposarti con me, devi venire vestita
interiormente di fede.

5 - L'anima indossò il bianco vestito della fede, quando uscì nella notte
oscura. Allora dovette camminare in tenebre ed angustie interiori, senza
ricevere conforto da nessuno: non dal suo intelletto, che era privo di luce; non
dall'alto, perché il cielo le pareva chiuso e Dio nascosto; non dagli uomini,
perché i suoi maestri non la soddisfacevano. Ma tutto soffrì con costanza,
passando per quei travagli senza stancarsi e mancare all'Amato; il quale nelle
pene e nelle tribolazioni mette, a prova la fede della sua Sposa, di modo che
ella possa dire poi con tutta verità quel versetto di Davide: Per le parole del
tuo labbro, io ho perseverato per aspro cammino ( S a l 1 6 , 4 ) .

6 - Sulla bianca tunica della fede l'anima subito sovrappone la seconda veste,
di colore verde, il quale significa la virtù della speranza, con cui l'anima
principalmente si difende e libera dal secondo nemico, cioè il mondo. Questo
verde di viva speranza in Dio dà all'anima una tale vivezza, coraggio ed
elevazione alle cose della vita eterna, che a confronto di ciò che lassù si
aspetta, tutte le cose del mondo le sembrano, come sono in verità, appassite,
aride, morte, e di nessun valore. Qui l'anima si spoglia di tutte le gale e
costumi del mondo, non ripone il suo cuore in alcuna cosa, niente sperando di
ciò che si trova o vi può essere quaggiù, vivendo solamente vestita della
speranza di vita eterna. Per il che, avendo il cuore così sollevato dal mondo,
non solo questo non la può accalappiare, ma neppure seguire di vista.

7 - Quindi, con questa verde divisa, l'anima cammina più sicura dal suo
secondo nemico, che è il mondo. S. Paolo chiama la speranza elmo di salute
(1Ts 5,8): e l'elmo è un'armatura che protegge tutta la testa, e la copre in
modo che non le rimane altra parte scoperta, se non la visiera per vedere. Lo
stesso fa la speranza, che protegge tutti i sensi del capo dell'anima dalle cose
del secolo, di modo che le saette di questo non giungano a ferirli in nessuna
parte. Soltanto le lascia una visiera, affinché gli occhi possano mirare il cielo,
e non altro, poiché è ufficio ordinario della speranza far sollevare all'anima lo
Sguardo a Dio solo, come Davide afferma di aver fatto, dicendo : «Oculi mei
semper ad Dominum» (Sal 24,15), non sperando alcun bene da altra parte.
Onde il medesimo in un altro salmo dice: Come gli occhi della serva si posano
nelle mani della sua padrona, così i nostri si fermano nel nostro Signore Dio,
fino a che abbia pietà di noi che speriamo in Lui ( S a l 1 2 2 , 2 ) .

8 - A causa di questa verde divisa (nella quale l'anima sempre sta mirando
Dio, e non fissa lo sguardo in altra cosa, né si appaga se non di Lui solo),
l'Amato si compiace talmente dell'anima, che con tutta verità si può dire che
essa tanto da 1ui ottiene, quanto ne spera. E perciò lo Sposo nei Cantici le
dice che col solo mirare di un occhio le piagò il cuore ( C t 4 , 9 ) . Senza la verde
divisa di sola speranza in Dio, non conveniva che l'anima uscisse con amorosi
disegni, perché non avrebbe ottenuto nulla, in quanto che ciò che muove e
vince ogni ostacolo è una ferma speranza.

9 - Travestita invece con tale divisa, l’anima va sicura per la segreta e oscura
notte della contemplazione; perché è così vuota di ogni possesso e appoggio,
che non alza gli occhi della mente in altra cosa che in Dio, ponendo la bocca
nella polvere ( T h r e n . 3 , 2 9 ) , per vedere se mai vi sia qualche speranza, conforme
all'espressione di Geremia già ricordata.

10 - Per avere un travestimento perfetto, sopra il bianco e il verde l'anima


indossa una splendida toga purpurea, la quale denota la terza virtù, cioè la
carità. Questa toga non solamente aggiunge grazia agli altri due colori, ma ad
un tratto innalza l'anima e la rende presso Dio così bella e gradevole, che
ardisce di dire: Benché io sia bruna, o figlie di Gerusalemme, sono bella, e
perciò il Re mi ha amata e mi ha introdotto nel suo talamo ( C t 1 ,3 ) . La livrea
della carità, ossia quella dell'amore, che nell'Amato suscita più amore, non
solo nasconde e difende l'anima dal terzo nemico che è la carne (poiché dove
è vero amore di Dio, non entra amore di se stesso, né delle proprie cose), ma
anche avvalora le altre virtù, dando loro forza e vigore a protezione
dell'anima, e grazia e bellezza, affinché con esse ella possa piacere all'Amato:
ché, senza la carità, nessuna virtù è grata agli occhi di Dio. Essa è la
porpora, di cui si parla nei Cantici, ove sta adagiato il Signore ( C t 3 , 1 0 ) . Di così
vaga divisa purpurea l'anima si riveste, quando (come è stato dichiarato nella
prima strofa) nella notte oscura esce da sé e da tutte le cose create: Con
ansie, d'amor tutta infiammata, passando per la segreta scala della
contemplazione alla perfetta unione d'amore di Dio, che è sua vera salute.

11 - Ecco, dunque, qual è il travestimento di cui l'anima fa uso nella notte di


fede, passando per la scala segreta. I tre colori di esso sono una disposizione
adattissima perché l'anima si unisca a Dio, secondo le sue tre potenze,
intelletto, memoria e volontà. La fede, infatti, offusca e vuota l'intelletto di
ogni sua intelligenza naturale, e con ciò lo dispone per unirlo con la Sapienza
divina. La speranza vuota e allontana la memoria da ogni possesso di
creature; poiché, come dice S. Paolo, la speranza è di ciò che non si
possiede ( R m 8 , 2 4 ) : e quindi distacca la memoria da quello che può possedere e
la mette in ciò che spera, disponendola puramente all'unione con Dio. La
carità, similmente, vuota gli affetti e gli appetiti della volontà di qualunque
cosa che non sia Dio, e solamente li volge a Lui, e quindi tale virtù dispone
detta potenza per via di amore e l'unisce con Dio. Pertanto, poiché le tre
virtù teologali hanno l'ufficio di separare l'anima da tutto ciò che è meno
di Dio, hanno per conseguenza quello di unirlo a Lui.

12 - Se non si cammina davvero con la divisa di queste tre virtù, è


impossibile pervenire alla perfezione di unione con Dio per amore.
Affinché, dunque, l'anima conseguisse il suo intento, cioè l'amorosa e dolce
unione col suo Amato, era molto necessario che si travestisse come fece.
L'essere riuscita a ciò, e il perseverarvi sino ad ottenere lo scopo tanto
desiderato, fu per lei una felicità senza pari, che la fa esclamare: Oh, felice
ventura!

2N CAPITOLO 22

SI SPIEG A IL TERZ O VER SO DE LLA SEC OND A STROFA

1 - È chiaro che per l'anima fu felice ventura l'essere riuscita in un'impresa,


quale fu questa, in cui si liberò dal demonio, dal mondo e dalla sua sensualità.
Avendo acquistata la libertà dello spirito così preziosa e desiderata da tutti,
salì dalle cose basse alle sublimi, da terrena divenne celeste, da umana
divina, fissando la sua conversazione nei cieli ( F i l 3 , 2 0 ) : il che è proprio dello
stato di perfezione, come anche in seguito si andrà dicendo, sebbene un po'
più brevemente.

2 - Ormai le cose più importanti rispetto al mio scopo principale (che era
quello d'istruire non poche anime che, pur trovandosi nella notte oscura, come
si dice nel prologo [Prologo della Salita] non ne avevano cognizione) sono già
mediocremente dichiarate. Mi sembra di aver fatto intendere, quantunque
molto al disotto della realtà delle cose, quanti siano i beni che l'anima porta
con sé nella notte oscura, e quanto fortunata sia la sorte di chi vi passa;
affinché qualora le anime si spaventassero per l'orrore di tante pene, si
facciano coraggio con la certa speranza di riportarne altrettanti vantaggi e
beni divini. Oltre a ciò, l'anima canta la sua sorte felice per il motivo espresso
nel seguente verso:
Nel buio, e ben celata.

2N CAPITOLO 23

SI DICH IA RA IL QU ARTO VER SO - SI DICE QU ANTO SIA AMMIRA BILE IL NASC OND IG LIO
DO VE L ' AN IMA SI CE LA NE LLA NO TTE OSCU RA , E COME IL DE MO NIO , QU ANTU NQU E
ABBIA INGRE SSO IN ALTRI NA SCON DIGLI MOLTO PRO FO NDI , NO N L ' ABBIA PER Ò IN
QU ESTO

1 - Essere ben celata è lo stesso che andare coperta e di nascosto, e perciò qui
l'anima, ritornando al concetto già espresso nel primo verso della seconda
strofa, vuol farci comprendere sempre meglio la perfetta sicurezza che gode
per mezzo dell'oscura contemplazione nella via dell'unione amorosa con Dio.

2 - Il dire dunque: nel buio, e ben celata, è come se ella dicesse che,
camminando all'oscuro nel modo sopra descritto, era coperta e nascosta al
demonio e alle sue astuzie e insidie. La causa per cui l'anima nell'oscurità di
questa contemplazione va 1ibera e celata dalle insidie del demonio, è che la
contemplazione s'infonde passivamente e segretamente nell'anima, all'oscuro
dei sensi e delle potenze esterne ed interne della parte sensitiva. Quindi è
che l'anima, non solo è immune e libera dall'impedimento che possono mettere
queste potenze della parte sensitiva per la loro naturale debolezza, ma anche
dal demonio, il quale, se non è per mezzo di esse, non può arrivare a
conoscere quel che vi è o accade nell'anima: onde, quanto più la
comunicazione è spirituale, interiore e remota dai sensi, tanto meno il
demonio riesce ad intenderla.

3 - Perciò importa molto, per la sicurezza dell'anima, che il tratto interiore


con Dio sia in modo tale, che i sensi stessi della parte inferiore rimangano al
buio e digiuni dei divini favori: primo, affinché la comunicazione spirituale
sia più abbondante, non essendo la libertà dello spirito impedita dalla
fiacchezza della parte sensitiva; secondo, perché l'anima va più sicura, non
arrivando il demonio così addentro. Possiamo intendere a questo proposito,
prendendole in senso spirituale, quelle parole del nostro :Salvatore: Non
sappia la tua sinistra quel che fa la destra (M t 6 , 3 ) . Come se dicesse: Ciò che
avviene nella parte destra, che è la parte superiore e spirituale dell'anima, non
lo sappia la sinistra; cioè sia di tal natura che la parte inferiore o sensitiva
non vi arrivi: sia soltanto un segreto tra lo spirito e Dio.

4- È ben vero che spesso, quando l'anima riceve comunicazioni spirituali e


segrete, quantunque il demonio non sappia quali e come siano, a motivo della
grande quiete che esse producono nella parte sensitiva, pure, appunto da
questa calma profonda, giudica che vi sono, e che l'anima sta ricevendo
qualche gran bene spirituale. E allora, vedendo che non può giungere
all'intimo dell'anima per impedirle quel bene, fa di tutto per creare scompiglio
e turbamento nella parte sensitiva dov'egli arriva, sia con dolori, sia con paure
e spaventi, allo scopo d'inquietare così la parte superiore e spirituale
dell'anima, e distoglierla dal bene che allora riceve e gode. Molte volte però,
quando la comunicazione investe lo spirito puramente o con forza, il demonio
con tutte le sue arti non riesce a disturbarlo; anzi allora l'anima ne ricava
nuovo profitto, nuovo amore, e più sicura pace. Poiché sentendo la presenza
turbatrice del nemico, - cosa ammirabile! senza saper come, e senza che ella
faccia alcuno forzo da parte sua, si ritira nel suo intimo più profondo, come in
sicuro rifugio, dove si vede ben nascosta e lontana dal nemico, e sente
aumentare in sé quella tranquilla quiete che il demonio pretendeva di rapirle.
Allora tutto quel timore le svanisce al di fuori, ed ella si rallegra nel vedere
che tanto al sicuro gode di quella pace deliziosa dello Sposo nascosto, che né
il mondo né il demonio le possono dare o togliere. Quivi l'anima, sente la
verità di ciò che la Sposa a questo proposito dice nei Cantici ( C t 3 , 7 - 8 ) :
Osservate, sessanta uomini forti circondano il letto di Salomone per, timore
delle insidie notturne. E l'anima gode questa forza e pace, benché molte volte
si senta tormentare esteriormente la carne e le ossa.

5 - Quando la comunicazione spirituale non comunica molto allo spirito ma ne


fa partecipe il senso, con più facilità il demonio riesce per mezzo di esso a
turbare lo spirito e a metterlo in subbuglio con vani terrori. In tal caso, il
tormento che causa nello spirito è assai grave, talora più di quanto si possa
esprimere; perché passando la cosa nudamente tra spirito e spirito, è
intollerabile l'orrore che col suo turbamento lo spirito malvagio apporta al
buono, ossia a quello dell'anima quando è raggiunta dal suo baccano. Il che
anche la Sposa dei Cantici ci fa intendere, quando racconta che così le
avvenne nel tempo che voleva discendere all'interno raccoglimento per godere
dei suoi beni, dicendo: Discesi nell'orto delle noci per veder i pomi delle valli
e se fosse fiorita la vigna; non seppi, e l'anima mia si conturbò per lo strepito
dei cocchi di Aminadab ( C t 6 , 1 0 - 11 ) che è il demonio.

6 - Non di rado il demonio riesce a vedere alcune grazie che Dio fa all'anima
per mezzo dell'angelo buono, perché il Signore ordinariamente permette che
queste siano conosciute dall’avversario e ciò massimamente perché costui
faccia contro di esse i suoi sforzi, secondo la proporzione della giustizia, e
così non possa affacciare i suoi diritti, dicendo che non gli hanno dato campo
di conquistare l'anima, come disse rispetto a Giobbe ( G b 1 , 9 - 11 ) . Ciò sarebbe
vero, se Dio non permettesse che vi fosse una certa parità tra i due
contendenti, cioè tra l'angelo buono e il cattivo, affinché la vittoria di
qualsiasi parte sia più pregevole, e l'anima vincitrice e fedele nella tentazione
ne riporti maggior premio.

7 - Questa, infatti, è la causa per cui Dio, usando un dato genere di mezzi nel
guidare un'anima, dà licenza al demonio di adoperarne di simili per tentarla.
Quindi, se le concede visioni vere per mezzo dell'angelo buono (e di solito
accadono per questo mezzo, ancorché appaia Cristo, perché egli in persona
quasi mai si mostra), in pari tempo lascia che l'angelo delle tenebre gliene
rappresenti delle false: di modo che, essendo verosimili, l'anima facilmente
può restare ingannata, come a molte è successo. Di ciò abbiamo una figura
nell'Esodo ( E s 7 , 11 - 1 2 ; 8 , 7 ) , dove si legge che tutti i prodigi veri operati da Mosè
erano contraffatti anche dai maghi del Faraone: che se egli traeva fuori rane
dal fiume, anche quelli facevano altrettanto; se mutava l'acqua in sangue,
anche quelli la cambiavano.

8 - Di più, non solo il demonio sa imitare questo genere di visioni corporee,


ma anche imita e s'intromette nelle comunicazioni spirituali mandate da Dio
per mezzo di angeli, riuscendo a vederle; poiché, dice Giobbe: « Omne
sublime videt» ( G b 4 1 , 2 5 ) . Tuttavia, essendo quest’ultime senza forma e figura
(perché è proprio dello spirito non averne), non le può contraffare così bene
come le altre che si presentano sotto qualche specie sensibile. Quindi, per
impugnare l'anima al modo stesso che è visitata, le rappresenta il suo
spaventoso spirito, cercando di distruggere spirituale con spirituale. Quando
ciò avviene nel tempo stesso che l'angelo buono sta per infondere all'anima la
comunicazione spirituale, ella non può riparare nel nascondiglio della
contemplazione tanto presto da non essere adocchiata dal demonio, e assalita
con qualche turbamento e terrore spirituale, talora assai penoso. A volte però
l'anima presto si libera, senza che gli spaventi del maligno le facciano alcuna
impressione, raccogliendosi dentro di sé, favorita in ciò dall'efficace grazia
spirituale che in quel mentre l'angelo buono le offre.
9 - In alcuni casi, invece, il demonio prevale, e allora il turbamento e il
terrore invade l'anima, la quale soffre un tormento maggiore di qualunque
altro in questa vita; perché, siccome l'orrenda comunicazione passa da spirito
a spirito, direttamente, escluso tutto ciò che è corporeo, essa è penosa sopra
ogni dire. Il triste effetto dura alquanto, non molto, perché altrimenti l'anima
uscirebbe dal corpo per la veemente comunicazione diabolica: ma anche dopo
ne resta la memoria, che basta ad affliggere grandemente.

10 - Tutto ciò che abbiamo detto avviene nell’anima passivamente, senza che
ella vi cooperi o l'impedisca. Si deve però avvertire che, quando l'angelo
buono permette al demonio di toccare l'anima con quel terrore, lo fa per
purificarla e disporla con questa spirituale vigilia a qualche gran festa e
grazia spirituale, che le vuol concedere Colui che mai mortifica se non per
dar vita, né umilia se non per esaltare. Difatti, non molto dopo avviene che
l'anima, a seconda della tenebrosa e orribile purgazione sofferta, gode di una
mirabile e dolce contemplazione spirituale, a volte tanto sublime che non c'è
linguaggio per esprimerla. Anzi possiamo dire che l'antecedente attacco del
nemico le assottigliò lo spirito, affinché divenisse atto a ricevere il bene
susseguente: poiché le visioni spirituali, più proprie dell'altra vita che di
questa, sono tali che una dispone all'altra.

11 - Quello che si è detto finora, riguarda i casi in cui Dio visita l'anima per
mezzo dell'angelo buono, quando cioè ella non va così perfettamente al buio e
nascosta che il nemico non la raggiunga in qualche modo. Ma quando Dio per
se stesso la visita, allora sì che ella riceve grazie e favori spirituali totalmente
all'oscuro e all’insaputa del nemico, avverandosi appieno il suddetto verso. E
la causa è che Sua Divina Maestà dimora sostanzialmente nell'anima, dove
né angelo né demonio possono giungere ad intendere ciò che succede, e quindi
il nemico non può conoscere le intime e segrete comunicazioni che passano
tra lei e Dio. Provenendo esse direttamente dal Signore, sono affatto divine e
sovrane, perché sono tutti tocchi sostanziali di unione divina tra l'anima e
Dio; in uno solo dei quali, l'anima riceve maggior bene che in tutto il resto,
poiché in essi consiste il più alto grado di orazione che all'uomo sia concesso.

12 - Essi sono i tocchi che la Sposa chiede sin dal principio dei Cantici,
dicendo : «Osculetur me osculo oris sui» ( C t 1 , 1 ) ed essendo cosa che tanto
strettamente passa con Dio, ed a cui l’anima ardentemente desidera di
arrivare, ella stima e brama più uno di questi tocchi divini che tutti gli altri
favori che Dio le concede. Per la qual cosa, dopo elle la Sposa aveva cantato
le molte grazie ricevute dal suo Diletto, non trovandosi soddisfatta, gli
domandò questi divini tocchi, dicendo: Chi mi darà, fratello mio, che io ti
trovi sola di fuori mentre succhi il petto della madre mia, affinché con la
bocca della mia anima ti baci, e così nessuno ardisca disprezzarmi? ( C t 8 , 1 ) . Con
ciò fa intendere che il suo desiderio era che Dio le facesse la comunicazione
per sé solo, di fuori e all'oscuro di tutte le creature, il che è significato da
quelle parole: sola e di fuori; e, mentre succhi il petto, cioè mentre prosciughi
il petto degli appetiti e delle affezioni della parte sensitiva. Questo avviene
quando ormai l'anima gode quei beni divini con gustosa e intima pace e con
grande libertà di spirito, senza che la parte sensitiva, o il demonio per mezzo
di questa, valgano ad impedirlo. Il demonio allora non osa accostarsi
all'anima e, se volesse, non vi riuscirebbe, né potrebbe arrivare ad intendere i
divini tocchi dell'amorosa sostanza di Dio nella sostanza dell'anima.

13 - Nessuno giunge a questo bene, se non per mezzo dell'intima purgazione e


nudità e nascondimento spirituale da tutte le creature. Soltanto all'oscuro, ben
celata e nascosta, l'anima si conferma nell'unione con Dio per amore, e perciò
canta nel quarto verso

Nel buio, e ben celata.


I4 - Quando quelle grazie vengono fatte all'anima nascostamente, cioè solo
nello spirito, in alcune di esse l'anima suole vedersi, senza saper come, molto
separata e lontana, secondo la parte superiore, da quella inferiore e sensitiva;
di modo che conosce in sé due parti ben distinte, tanto da sembrarle che l'una
non abbia che vedere con l'altra, anzi siano assai disgiunte e distanti tra loro.
Ed invero, in certo modo, è così: poiché secondo l'operazione che allora è
tutta spirituale, non comunica affatto con la parte sensitiva. In tal maniera
l'anima si va facendo tutta spirituale e, per conseguenza, in questo
nascondiglio di contemplazione unitiva finisce di spogliarsi, in grado molto
elevato, delle sue passioni e appetiti spirituali; e quindi, parlando della sua
parte superiore, l'anima soggiunge l'ultimo verso:

Stando già la mia casa addormentata.

2N CAPITOLO 24

SI FINISCE DI SPIEGA RE LA SEC OND A STROFA

1 - In altre parole l'anima vuol dire: Stando la mia porzione superiore, come
anche l'inferiore, addormentata secondo i suoi appetiti e potenze, uscii alla
divina nell'unione dell'amor di Dio.

2 - Come per mezzo della guerra della notte oscura l'anima è combattuta e
purgata in due maniere, cioè secondo la parte sensitiva e la spirituale con i
loro sensi, potenze e passioni, così anche in due maniere, ossia secondo le
stesse due parti con tutte le loro potenze e appetiti, l'anima giunge a
conseguire pace e tranquillità. Per questo ripete per due volte il detto verso,
in questa strofa e nella precedente, a motivo delle due parti, spirituale e
sensitiva: le quali, acciocché pervengano alla divina unione di amore, è
necessario che prima siano riformate, ordinate e tranquille, intorno a
tutto ciò che è sensitivo e spirituale, conforme allo stato d'innocenza in cui
era Adamo. Perciò questo verso, che nella prima strofa s'intendeva della
calma della parte inferiore e sensitiva, ora s'intende particolarmente di
quella superiore e spirituale.

3 - L’anima alfine consegue la tranquillità e il riposo della sua casa spirituale,


in modo abituale e perfetto (quanto però lo permette la condizione della vita
presente), per mezzo dei tocchi sostanziali della divina unione or ora
descritti, che andò ricevendo dal Signore in segreto e lungi dal turbamento del
demonio, dei sensi e delle passioni. Onde ella a poco a poco si purificò e
riposò, si rinvigorì, e si rese capace di ricevere stabilmente la detta unione,
che è lo sposalizio divino tra l'anima e il Figlio di Dio. Non appena le due
case dell'anima finiscono di addormentarsi e fortificarsi insieme con i loro
domestici, che sono le potenze e gli appetiti, in modo che tutti giacciano
immersi in un sonno profondo rispetto a tutte le cose celesti e terrene,
immediatamente la divina Sapienza si unisce all'anima con un nuovo nodo
di possessione di amore, e si adempie ciò che si legge nel libro della
Sapienza: «Cum quietum silentium contineret omnia, et nox in suo, cursu
medium iter haberet, omnipotens sermo tuus de caelo a regalibus sedibus
prosilivit» ( S a p 1 8 , 1 4 - 1 5 ) . E la Sposa dei Cantici (C t 3 , 3 -4 ) dimostra la stessa cosa,
quando dice che trovò colui che l'anima sua desiderava, dopo però avere
oltrepassati coloro che di nottetempo l’avevano ferita e spogliata del suo
manto.

4 - Non si può giungere a tale unione senza grande purezza, e questa non
si ottiene senza grande spogliamento di ogni cosa creata, e senza una viva
mortificazione. Ciò è significato dall'essere la Sposa spogliata del suo manto
e dall'essere piagata di notte, mentre andava ansiosa in traccia dello Sposo;
poiché non avrebbe potuto indossare il nuovo manto dello sposalizio, se prima
non fosse stata spogliata del vecchio. Pertanto, chi rifiutasse d'uscire nella
detta notte in cerca dell'Amato e di spogliarsi della propria volontà e di essere
mortificato, ma lo cercasse nel proprio letto, in mezzo ai propri agi, come da
principio la Sposa faceva, non arriverà a trovarlo; poiché la medesima Sposa
afferma di non averlo trovato, se non quando uscì all'oscuro e con ansie
d'amore.

2N CAPITOLO 25

S TRO FA TE RZA

In quella avventurosa
Notte, in segreto che nessun vedea,
Né io mirava cosa,
Né luce o guida avea
Fuori di quella che nel cor mi ardea.

DICH IAR AZION E

1 - L'anima, continuando ancora la similitudine della notte temporale,


prosegue a cantare magnificando le ottime proprietà della notte dello spirito,
per mezzo delle quali poté ottenere in breve e sicuramente il suo desiderato
fine. Di queste proprietà ne menziona qui tre.

2 - La prima è che in questa fortunata notte di contemplazione, Dio guida


l'anima per una strada così solitaria, segreta e remota dal senso, che nessuna
cosa appartenente a questo, né tocco alcuno di creatura riesce a disturbare
l'anima tanto da impedirle il cammino dell'unione di amore,

3 - La seconda proprietà consiste nelle tenebre spirituali di questa notte, in


cui tutte le potenze della parte superiore dell'anima sono al buio. Quivi
l'anima, nulla mirando né potendo mirare, non si ferma in altra cosa fuori di
Dio, per andare a Lui: perché è libera dagli ostacoli di forme e figure e dalle
apprensioni naturali, che sogliono distogliere l'anima dall'unirsi all'Eterno
Dio.

4 - La terza è che, quantunque l'anima non vada appoggiata ad alcuna


particolare luce interiore dell'intelletto, né in così alto cammino trovi
sostegno e soddisfazione in alcuna guida esteriore, avendola le tenebre privata
di tutto ciò; nondimeno il solo amore che ora arde nel suo petto verso l'Amato
è quello che la spinge e guida, anzi la fa volare al suo Dio, senza saper come,
per il cammino della solitudine.
Segue il verso:

In quella avventurosa notte.

[Nota: E qui termina il Trattato della Notte oscura nella forma incompleta... Delle otto strofe
che il S. Dottore si era proposto di spiegare, due soltanto ne ha interpretate; e al principio
della terza rimaniamo privi d'inestimabili tesori di dottrina].

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