1797: Con il Trattato di Campoformio termina la campagna in Italia di Napoleone, e con
essa terminano le speranze dei patrioti italiani che avevano visto, nel comandante francese e negli ideali di cui si faceva portavoce, una possibile liberazione dal dominio austriaco. Tra questi patrioti c’è Jacopo Ortis, veneziano; ed è stata la Repubblica di Venezia, venduta agli austriaci, ad essere maggiormente colpita dal «tradimento» di Napoleone. La prima lettera del romanzo epistolare foscoliano, scritta da Jacopo e indirizzata all’amico Lorenzo, allude quindi a quest’ultimo stravolgimento politico («Il sacrificio della patria nostra è consumato»). In quanto patriota, Jacopo ha dovuto rifugiarsi nei Colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni politiche; Lorenzo gli consiglia più prudentemente di scappare in Francia. La risposta che gli fornisce il giovane nella lettera è amara e definitiva: sconfitto per sempre insieme alla propria patria, la vita gli resta soltanto «per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia», e non ha perciò abbastanza valore da compensare un l’esilio. In virtù della mancanza di scopo – e quindi di senso – della propria esistenza, Jacopo può attendere la morte «tranquillamente», dopo aver trascorso in patria i giorni di pace che gli rimangono. Lo stile, sebbene aulico, non difetta di immediatezza comunicativa. La struttura paratattica del testo, infatti, lo rende veloce e diretto: il coinvolgimento di Jacopo in quanto narrato è totale e trascina facilmente il lettore con sé. Allo stesso scopo – trasmettere fino a fondo la profondità della tragedia – concorrono le interrogative retoriche e le antitesi, le prime contribuendo al ritmo incalzante, le seconde denunciando l’irrazionalità di una realtà ormai priva di significato. Anche le frequenti ripetizioni enfatizzano l’intensità patetica di ogni frase, ma – considerato che a ripetersi sono soprattutto aggettivi o pronomi possessivi di prima persona – hanno l’ulteriore funzione di comunicare al lettore quanto sia radicato, in Jacopo, il senso di appartenenza al proprio Paese e ai suoi «compagni». E’ chiaro, infatti, che del giovane sono naufragate le illusioni ma non di certo gli ideali: passione e fede nei propri valori condizionano ancora le sue scelte. Affetto per la madre, nel decidere di scappare sui Colli Eugenei; senso di dignità, nel non accettare di fuggire in Francia; propensione al sacrificio, nel suo aspettare la morte senza opporvisi e senza compromessi. E’ l’attaccamento alla sua terra, però, a essere il principale movente dietro le decisioni di Jacopo: rifiuta di consegnarsi ai francesi non solo perché traditori e quindi per orgoglio patriottico (prime righe: «Vuoi (…) che mi commetta a chi mi ha tradito?), ma più in generale perché stranieri –per amore patriottico (ultime righe: «il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere»). Più importante della morte, per Jacopo, è dove il suo corpo sarà sepolto («le mia ossa poseranno su la terra de’ miei padri») e se i suoi compatrioti («compagni nelle nostre miserie») potranno essere lì a piangerlo.