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PURGATORIO-VI CANTO
Ci troviamo nella seconda balza dell’antipurgatorio, dove si trovano le anime
dei negligenti morti per violenza che si sono pentiti in fin di vita e che, per
potere essere ammessi nel Purgatorio, sono costrette ad attendere
nell’antipurgatorio tanto tempo quanto vissero nel peccato. Questo canto
si può suddividere in quattro momenti:
- Vi è un primo momento narrativo: che va dal primo verso al 24º, in cui
Dante racconta l’incontro con diverse anime purganti
- Vi è un secondo momento di carattere argomentativo: in cui il poeta
dialoga con Virgilio riguardo l’utilità delle preghiere ai defunti
- Un terzo momento narrativo: dove Dante e Virgilio incontrano Sordello.
- L’ultimo momento, di natura argomentativa: in cui Dante pronuncia
un’invettiva sulla decadenza politica italiana.
Questo sesto canto, come i sesti di ogni cantica, è dedicato al tema politico.
All’inizio del canto Dante viene attorniato dalle anime di coloro che sono stati uccisi
violentemente. Queste anime chiedono a Dante, una volta che sarà tornato nel
mondo dei vivi, di ottenere preghiere, in modo da abbreviare le loro pene nel
purgatorio. Nella seconda parte Dante, oltrepassata la folla, si trova solo con Virgilio
e viene colto da un dubbio. Si chiede, infatti, se le preghiere possano davvero
accelerare il cammino verso la salvezza. Virgilio cerca di dargli una risposta,
dicendogli che questa questione sarà chiarita da Beatrice. Nella terza parte
appare ai due uno spirito, e Virgilio gli chiede informazioni sul cammino. Prima di
rispondere, l’anima vuole sapere chi siano i due e Virgilio dice di essere di Mantova.
Una volta sentita la provenienza di Virgilio, ecco che l’anima lo abbraccia dicendo di
essere il suo concittadino Sordello. A vedere questa dimostrazione di affetto, e così
inizia l’ultimo momento del canto, Dante impartisce una feroce invettiva contro
la decadenza dell’Italia, abbandonata dall’imperatore e in balia dello strapotere
della chiesa. In una seconda invettiva conclusiva, Dante rivolge la sua invettiva
alla città di Firenze, e in modo ironico riporta questa situazione.
DANTE E L’IMPERO
All’interno dello scontro tra Guelfi e Ghibellini, Dante si trovò, innanzitutto per
ragioni familiari, nella parte guelfa. I guelfi erano i sostenitori del Papa,
mentre i ghibellini sostenevano l’impero.
Nella concezione di Dante esiste un solo Impero, quello romano, poiché sin dai
tempi di Costantino, il mondo cristiano si basava sull’idea che ci fosse un solo Dio
in cielo e un solo imperatore in terra.
Dante chiarisce la sua posizione riguardo ai due poteri, nel De Monarchia. Infatti
afferma che impero e papato siano complementari, perché l’uno non potrebbe
esistere senza l’altro, e inoltre hanno anche la stessa funzione. Il compito
dell’Impero è permettere la realizzazione della felicità terrena, mentre
quello del Papato è di operare per assicurare la beatitudine eterna. Il
potere imperiale e quello papale sono dunque autonomi, infatti Dante utilizza
l’immagine di due soli; ma la loro azione è complementare, poiché entrambi
devono agire per il bene dell’umanità.
Per quanto riguarda, invece, la suddivisione dei guelfi, Dante faceva parte dei
guelfi bianchi, che erano a favore dell’indipendenza della città dallo
strapotere del Papa. A questo si aggiunge la grande fiducia che Dante ha
nell’Impero, che è per lui necessario, e lo dimostra nel VI canto.
In certi sensi, infatti, Dante si avvicina ai ghibellini, in particolare durante
l’esilio. In apparenza, dunque, sembrò che Dante avesse tradito i guelfi e si
fosse alleato con i ghibellini. In realtà non era così, in quanto Dante riteneva
solo che i Guelfi dovessero rispettare anche l’impero. Inoltre Dante
conosce bene la Bibbia, citando spesso i libri profetici (Isaia e Geremia).
Dante cita più volte il profeta Geremia, identificandosi con lui. Il profeta
Geremia aveva, infatti, detto che aveva spezzato dei vasi mentre stava
denunciando la corruzione dei sacerdoti. Dante racconta che anche lui
capitò, nel battistero di Firenze, mentre stava denunciando la corruzione della
chiesa, di spezzare un vaso riempito di acqua santa, in cui un bambino
stava annegando. Dante ebbe, anche solo per un momento, la sensazione di
avere il ruolo di profeta.