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A titolo esemplificativo, do la parafrasi integrale dell’Atto I di Antigone.

È un “modello” che potrete


tenere presente per eseguire la parafrasi degli atti successivi, perfezionando le parafrasi (integrali o
parziali) che darò a voce commentando le slide delle lezioni on-line.

Prima però do qualche ragguaglio.

• La parafrasi è il primo e utilissimo passo per comprendere bene un testo poetico, perché
impone una riflessione profonda sulle parole usate dal poeta e sul loro significato.
• La parafrasi è una “versione in prosa” molto fedele al testo di partenza. Per eseguirla, occorre
innanzitutto fare la costruzione sintattica della frase poetica (è questo un passaggio che qui non
comparirà).
• Dopo la costruzione sintattica si procede con la parafrasi, che possiamo considerare una
“traduzione” (nel senso etimologico di ‘trasferimento’) dalla lingua poetica alla lingua comune.
Tuttavia, nel caso di una parafrasi di un testo tragico, ovvero di genere elevato, la lingua che ho
definito comune non può essere troppo “bassa”. Come per tutte le traduzioni, il traduttore deve
stare attento al registro linguistico del testo di partenza: una cosa, insomma, è tradurre un testo
comico, altra cosa è tradurre un testo tragico.
• Non sempre i termini impiegati da un poeta sono sostituibili con sinonimi; in tal caso essi
rimarranno invariati anche nella parafrasi.
• Sono ammessi: le sostituzioni singolare > plurale e viceversa; i cambiamenti sintattici e nei tempi
verbali, purché corretti e coerenti.
• Nella parafrasi ho mantenuto quasi tutti i segni di punteggiatura alfieriani, ma ho eliminato i
trattini, in corrispondenza dei quali sono andata a capo.
• In alcune note oppure nel corpo del testo, fra parentesi quadre [ ], ho dato qualche versione
alternativa e alcune spiegazioni oppure ho integrato ciò che è sottinteso nel testo alfieriano.

1
PARAFRASI DI ANTIGONE, ATTO I

SCENA PRIMA

ARGIA
Eccoti a Tebe, Argia. Riprendi fiato dopo il viaggio veloce... Oh! come giunsi rapidamente ad Argo!
Il mio fedele Menète, lento perché troppo vecchio, mi seguiva a stento [anche: non riusciva a seguirmi].
Ma ora sono a Tebe. L’oscurità della notte ha favorevolmente nascosto la mia audacia; entrai nella città
non vista da alcuno.
Questa è la reggia orrenda, culla, e tomba, del marito troppo amato. Oh Polinice!... qui il fratello
traditore qui nel tuo sangue ha cessato di provare l’odio ingiusto nutrito per te. Il tuo misero spirito si
aggira ancora intorno alle mura di Tebe e non vuole che la sua tomba sia accanto a quella del fratello
crudele, proprio in questa empia città; e sembra che mi indichi Argo... Argo fu per te un rifugio sicuro:
deh! se tu non ti fossi mai allontanato da là!... Io vengo a prendere le tue sacre ceneri. L’unica che potrà
darmi aiuto in questa azione pietosa è proprio Antigone, fedele sorella che già ti fu tanto cara. Oh,
come la amo! Oh che dolcezza [anche: che dolce consolazione] mi darà vederla, e conoscerla e
abbracciarla! Qui vengo a piangere con lei sopra la fredda urna, che spetta a me [anche: che ho il diritto
di avere]; e la avrò: una sorella non può negarla a una sposa.
O nostro unico figlio, ecco il regalo che ti porto indietro ad Argo; ecco la tua eredità; l’urna con le
ceneri di tuo padre!
Ma dove, me imprudente, il mio dolore mi porta? Sono di Argo, sto a Tebe, e non lo ricordo?
Devo aspettare finché Antigone esca... E come la riconoscerò?... E se io vengo veduta da qualcuno?...
Oh cielo!... Ora comincio a tremare;... essere qui da sola... Oh!... mi sembra che qualcuno si avvicini:
Oimè!... che cosa dire? che cosa fare?... Mi nasconderò.

SCENA SECONDA

ANTIGONE
La reggia è tranquilla; la notte è buia: via, ora; si vada... E che? Il coraggio non è saldo? i piedi
imprimono orme insicure? [anche: i passi sono incerti] tremo? per quale motivo, dove nasce questo
terrore? Sto forse per commettere un delitto?... o forse ho paura di morire?
Ah! io ho solo paura di non riuscire a portare a termine la mia impresa. O Polinice, o fratello mio,
pianto inutilmente fino ad adesso...
È finito il tempo di piangere; ora è tempo di agire: io sento di essere diventata più coraggiosa, più
grande di quanto sia una donna: oggi, a infamia [anche: a dispetto] del crudele Creonte, sarai da me
bruciato nonostante il divieto; avrai o le ultime esequie o la mia vita.
O tu, Notte, che dovresti essere perenne in questa città indegna della luce, diventa più buia possibile,
per favorire la realizzazione del mio nobile progetto. Sottraimi all’occhiuta sorveglianza degli sgherri del
re; io confido in te.
O Dei, se voi non avete esplicitamente deciso che a Tebe non si possa mai operare alcun atto pietoso,
io vi chiedo soltanto di concedermi quel po’ di vita che mi sia sufficiente a compiere questo unico atto.
Ormai si vada: [anche: è tempo di andare] l’impresa è santa: e un santo sprone, ovvero il nobile amore
per il fratello, mi stimola a compierla... Ma, chi mi insegue? Oimè! sono tradita... Una donna viene da
me? Oh! chi sei? rispondi.

SCENA TERZA

ARGIA Sono una infelice.


ANTIGONE Che cosa fai alle porte della reggia?
ARGIA Io... cerco... Antigone.

2
ANTIGONE Perché?
Ma tu, chi sei? Conosci Antigone? lei ti conosce? che hai a che fare con lei? che hai in comune con lei?
ARGIA Il dolore, la pietà...
ANTIGONE Pietà? che parola osi pronunciare a Tebe? Creonte è re di Tebe, non lo sai? forse non
conosci Creonte?
ARGIA Sono arrivata poco fa...
ANTIGONE E tu da straniera osi venire di nascosto in questa reggia?
ARGIA Se qui sono una straniera, la colpa è di Tebe: qui non dovrei sentire chiamarmi così.
ANTIGONE Che cosa dici? Dove sei nata?
ARGIA Ad Argo.
ANTIGONE Ah, quale nome! oh, che orrore esso mi ispira! Deh, se non lo avessi mai conosciuto! [anche:
sentito] io non vivrei nel pianto.
ARGIA Argo ti fa piangere? per me, invece, motivo di pianto eterno è Tebe.
ANTIGONE Sento di sicuro che le tue parole sono incrinate dal pianto. [anche: esprimono dolore ma è
versione più generica, perché non restituisce l’idea della voce di Argia rotta dalle lacrime] O donna, se io potessi
provare il dolore di un altro [anche: se potessi provare un dolore diverso da quello che io provo], lo
condividerei consolandoti con le mie lacrime: sarebbe per me tanto gradito sentire le vicende del tuo
dolore quanto a te [sottinteso: sarebbe gradito oppure di sollievo] raccontarle: ma, non è il momento,
adesso che io piango un fratello...
ARGIA Ah! Tu sei proprio lei; tu sei Antigone...
ANTIGONE ... Ma... tu...
ARGIA Sei proprio lei. Io sono Argia; la vedova infelice del fratello da te più amato.
ANTIGONE Oimè!... che cosa sento?...
ARGIA Unica mia speranza, unico sostegno, amata sorella, finalmente ti posso abbracciare.
Non appena ti sentii parlare, mi sembrava di sentire il suono della voce di Polinice: la tua voce ha dato
coraggio al mio animo pauroso e incerto: perciò osai farmi vedere da te.... Me felice!... ti trovo
finalmente... Permettimi di sfogare liberamente il mio pianto finora trattenuto sul tuo petto, dolcemente
abbracciate.
ANTIGONE Oh quale timore provo! O tu, figlia di Adrasto, sei a Tebe? in questo palazzo e alla mercé
del feroce Creonte?... Oh che visione inattesa! oh che visione gradita non meno che dolorosa!
ARGIA Così mi accogli in questa reggia nella quale tu sperasti di avermi come compagna (e anch’io lo
sperai)?
ANTIGONE Tu mi sei più cara di una sorella... Ah! Polinice sapeva quanto io già ti amassi: soltanto il tuo
viso (anche: aspetto] non conoscevo; io già conoscevo perfettamente tutto di te, i tuoi atteggiamenti, il
carattere, la bontà e il tuo sconfinato amore per Polinice. Io già ti amavo quanto lui: ma non avrei mai
voluto vederti qui a Tebe; e non lo voglio nemmeno adesso... Sei circondata qui (ah! abbi timore) da
moltissimi pericoli mortali.
ARGIA Il mio Polinice è morto e tu pretendi che io abbia paura? Che cosa altro di più importante ho da
perdere, che cosa mi resta da desiderare? Abbracciarti e morire.
ANTIGONE Tu potresti avere qui una morte indegna di te.
ARGIA Sarà degna sempre, purché io la abbia sulla tomba del mio amato marito.1
ANTIGONE Che cosa dici?... Oimè!... La tomba?... Oggi a Tebe, nella sua reggia, è proibito a tuo marito,
a mio fratello di essere ricoperto da una manciata di polvere.
ARGIA Oh cielo! Ma il corpo privo di vita [anche: il cadavere]...
ANTIGONE Giace, in preda agli animali selvatici , sul campo di battaglia...
ARGIA Io corro al campo.
ANTIGONE Ah! fermati.


1Il testo dice amata tomba: si tratta di una figura retorica di tipo grammaticale, che si chiama ipallage e che
consiste nel riferire grammaticalmente una parte di una frase o una parola a una parte di una frase o a una parola
diversa da quella cui dovrebbe riferirsi semanticamente, cioè in relazione al significato.

3
L’ingiusto Creonte, superbo per essere asceso con l’usurpazione al trono, quell’empio disprezza e non
rispetta nulla, né le leggi, né la natura, né gli Dei; e non soltanto rifiuta le esequie agli Argivi ma anche
commina una morte atroce a chi le celebra.
ARGIA Mio marito ancora [sottinteso: giace] sul campo di battaglia, preda degli animali selvatici?... e io
sono appena passata davanti al campo!... e tu ce lo lasci?... sono già trascorsi sei giorni da quando egli
morì trafitto dal fratello traditore; e giace ancora insepolto e nudo? e ancora il suo cadavere è obbligato
con la forza a essere lasciato fuori dalla reggia paterna? e una madre tollera tutto ciò?...
ANTIGONE Cara Argia, ancora tu non conosci tutte le nostre disgrazie.
Non appena Giocasta vede compiersi l’orribile fratricidio, (ahi misera lei!) non versa una lacrima, né si
lamenta [letteralmente: né fa risuonare l’aria dei suoi lamenti]: un dolore grandissimo la ammutolisce;
abbassa gli occhi, fissi e asciutti, [letteralmente: tiene gli occhi, fissi e asciutti, puntati] sulla dura terra;
emettendo un suono flebile e terribile nello stesso tempo, già invoca dall’oltretomba i fantasmi dei figli
appena morti e di Laio assassinato. Già essi avanzano davanti a lei;2 così la sua fantasia eccitata e
sconvolta vaga a lungo fra i tristi spettri del suo dolore: poi, a fatica, torna in sé; si vede circondata
[oppure: attorniata] da me, figlia afflitta e sconsolata, e dalle sue dame di compagnie. Ella ha deciso di
morire, ma non lo dice; e finge di essere tranquilla, per sviarci... Ahi misera me!... Me incauta [oppure:
sprovveduta]!... Vengo ingannata: non avrei mai dovuto lasciarla da sola.
La sento invocare un sonno tranquillo, le credo e ci allontaniamo: ecco, ha estratto la spada dal fianco
ancora palpitante di Polinice, e, in men che non si dica, [letteralmente: in meno tempo di quanto io ho
bisogno per dirlo] la immerge nel proprio petto; e cade, e muore.
E io che cosa faccio?... Io, ultima superstite [letteralmente: ultimo resto] di questa stirpe impura, anch’io
avrei dovuto svenarmi con quella stessa spada; ma provai pietà per il padre cieco, né vivo né morto. Per
lui ho tollerato la vita detestata; io mi ero conservata [anche: risparmiata] per la sua debole vecchiaia...
ARGIA Edipo?... Ah, avrebbe dovuto ricadere interamente su di lui l’orrore del suo delitto. Egli vive? e
Polinice muore?
ANTIGONE Oh! se tu lo avessi visto! Povero Edipo! egli, insomma, è il padre del nostro Polinice; egli
patisce una pena più severa e maggiore del suo sbaglio. [cioè, patisce una pena sproporzionata al suo
errore] Costretto a errare senza meta, cieco, povero, dolente, egli viene bandito da Tebe. Il colpevole
tiranno osa scacciarlo. Povero Edipo! non oserà mai dire il suo nome: [anche: dire chi è] egli scaglierà
maledizioni orribili contro il cielo, [cioè: contro gli Dei] contro Creonte, Tebe, tutti noi.
Io avevo scelto di andarmene con lui per sostenere nella sua debole vecchiaia; ma fui costretta a
rimanere qui: ah! forse era questo il volere degli Dei; perché non appena il padre si fu allontanato,
Creonte promulgò quella legge nuova e indegna per Tebe. 3 Chi qui avrebbe avuto il coraggio di
infrangerla; che, se non io?
ARGIA Chi avrebbe potuto condividere l’impresa con te, chi, se non io? Il cielo opportunamente mi ha
condotto qui. Io sono venuta per avere da te le ceneri dell’amato sposo: superando le mie speranze, io
arrivo ancora in tempo per rivedere, riabbracciare il caro corpo; e per lavare con le mie lacrime quella
crudele e orribile ferita mortale; e per placare con il rogo lo spirito errante... Ora, perché indugiamo?
Sorella, andiamocene; io per prima...
ANTIGONE Si va a compiere una impresa santa; ma si va a morire: io devo, e voglio morire: non ho
nient’altro al mondo che il padre, e mi viene sottratto; aspetto la morte, e la desidero ardentemente.
Lascia che sia io, e non tu che non devi morire, ad accendere quel rogo, sul quale voglio ardere insieme
al mio amato fratello. In vita fummo due corpi e una sola anima, [perciò] una sola fiamma consumi
anche i nostri cadaveri e li unisca in una sola cenere.4

2 Cioè: già li vede; si tratta, come si capisce subito dopo, di immagini mentali.
3 Ho tradotto con nuova e indegna l’aggettivo inaudita che nel testo alfieriano riesce a concentrare i due significati:
l’editto di Creonte, infatti, è inaudito perché non c’è mai stata prima a Tebe una legge simile, ed è inaudito perché
suscita indignazione.
4 Questo rogo, sul quale Antigone vorrebbe bruciare insieme a Polinice, sarebbe l’esatto opposto del rogo che,

secondo un’antica versione del mito – ripresa da Dante, come ricordo nel commento alle slide della prima parte
della lezione 1 –, bruciando i cadaveri di Eteocle e Polinice, divise la sua fiamma in due, a simboleggiare l’odio fra
i fratelli che non cessò neppure dopo la morte.
4
ARGIA Non devo morire? Oh! che cosa dici? vuoi forse superarmi quanto a dolore? Noi lo [cioè:
Polinice complemento oggetto] amammo nella stessa misura; nella stessa misura; o di più io. Diverso è
l’amore di una moglie da quello di una sorella.
ANTIGONE Argia, non voglio competere con te nell’amore; nella morte, sì. Sei vedova; so quale marito
hai perduto: ma tu non sei nata da un incesto; tua madre vive ancora; non hai un padre esule né cieco
né mendico né colpevole: il cielo più clemente [con te] non ti ha dato fratelli che empiamente facessero
a gara per uccidersi. Deh! non ti offendere, se io voglio morire da sola; io, che ero degna di morire
ancora prima della mia nascita. Deh! ritorna ad Argo... Oh! non lo ricordi? là hai la testimonianza del
tuo amore; là, in tuo figlio, hai l’immagine vivente di Polinice: ah! torna; allieta con la tua presenza il
padre disperato, che non ha alcuna notizia di te; deh! vattene: non ti ha visto nessuno qui; sei ancora in
tempo. Io da sola basto a infrangere il divieto.
ARGIA ... Il figlio? certo che l’amo; ma pure tu vuoi che io fugga quando si deve morire per Polinice? Mi
conosci male e poco.
Il figlioletto è affidato alle cure di Adrasto; egli gli farà da padre. [anche: egli sarà un padre per lui] Io
potrei crescerlo soltanto nel dolore; mentre egli deve essere educato alla vendetta e alla guerra.
Non c’è paura che possa distogliermi dal vedere il corpo amato.
O mio Polinice, che debba essere un’altra [donna] a renderti i funebri onori?...
ANTIGONE Vuoi tu offrire il collo alla scure tebana? [cioè: vuoi farti uccidere dai Tebani, da Creonte?]
ARGIA L’infamia risiede nel delitto, non nella pena [anche: è infame il delitto, non la pena]. Sempre
Creonte sarà l’infame: tutti proveranno orrore a sentire pronunciare il suo nome, mentre proveranno
pietà quando si pronuncerà il nostro...
ANTIGONE E tu vuoi sottrarmi una gloria così grande?
ARGIA Io voglio vedere mio marito e morire sopra il suo cadavere.
E tu, che diritto hai tu di impedirmi di esercitare il mio diritto? [anche: di disputare con me il mio diritto]
proprio tu, che lo vedesti morire, eppure vivi ancora...
ANTIGONE Sono convinta ormai che tu abbia una grandezza d’animo non minore della mia. Pure, ero
costretta a ben verificare prima quanta paura da donna tu avessi: non dubitavo del tuo dolore, ma del
tuo valore sì.
ARGIA Chi potrebbe non essere reso coraggioso da un dolore inconsolabile e senza speranza? Ma,
avendo io meritato l’amore di tuo fratello, [anche: se ho meritato l’amore di tuo fratello] potevo essere
una donna comune?5
ANTIGONE Perdonami: io ti amo; io ho paura [per te]; e mi dispiace per il tuo destino. Ma lo vuoi?
allora si vada. Mi auguro che il cielo non confonda te con i Labdacidi!6
La notte mi sembra più buia del solito; gli Dei di certo l’hanno resa più scura per noi. Sorella, stai ben
attenta a trattenere il pianto; il pianto più di ogni altra cosa ci può tradire. Il campo di battaglia è
attentamente sorvegliato dalle infami guardie di Creonte: niente deve farci scoprire da loro prima che si
sia levata la fiamma che consumerà il cadavere di Polinice.
ARGIA Io non piangerò;... ma tu,... riuscirai a non piangere?
ANTIGONE Piangeremo piano.
ARGIA Sai in quale parte del campo di battaglia giace Polinice?
ANTIGONE Andiamo: so dove gli empi lo hanno gettato. Vieni. Io porto con me fiaccole funebri:7 lì
[cioè: sul campo di battaglia] faremo sprigionare qualche scintilla da una selce, affinché esse prendano
fuoco.
Seguimi silenziosamente risoluta.


5 Argia vuol dire che Polinice non avrebbe potuto amarla se lei fosse stata una donna come le altre.
6 Antigone spera che Argia non debba subire lo stesso marchio d’infamia della sua famiglia, della famiglia
“maledetta” di Edipo.
7 Le fiaccole sono necessarie alla celebrazione del rito funebre e hanno anche qui un’utilità pratica: e con esse che

Antigone intende accendere il rogo su cui ardere Polinice.


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