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LUIGI XIV

Nel 1661 morì il cardinale Mazzarino (al potere dal 1642 al 1661) e dal quel momento Luigi XIV (salito al
trono nel 1643, all’età di soli 5 anni) iniziò a regnare da solo, concentrando tutti i poteri nelle proprie mani e
realizzando in Francia l’esempio più riuscito di monarchia assoluta.
Luigi XIV regnò a lungo, fino al 1715, e per la Francia questo fu un periodo di potenza ed egemonia
continentale; non certo un periodo di pace, poiché numerose furono le guerre intraprese dalla Francia; non
certo un periodo di prosperità e benessere per la popolazione francese, soprattutto i ceti più umili, vessati
dal fiscalismo regio che in tal modo alimentava e sosteneva la politica militare. Fu però un periodo di gloria
e di egemonia continentale, egemonia che si manifestò in tutti i campi, per esempio in campo linguistico: il
francese divenne la lingua della diplomazia e della cultura, la lingua conosciuta, parlata e scritta da tutta la
nobiltà europea.

Con il 1661 e la morte di Mazzarino finì l’epoca dei grandi primi ministri. Luigi XIV per quasi mezzo secolo
regnò circondandosi di collaboratori capaci, ma non certo dotati dei poteri di cui avevano goduto Richelieu
e Mazzarino. I ministri più importanti erano quello degli Esteri e della Guerra, quello delle Finanze e il
Guardasigilli, che insieme ad altri consiglieri e al re costituivano il Consiglio superiore, al quale erano
riservate le decisioni più importanti. La carica più importante era quella del ministro delle Finanze, detto
controllore generale delle finanze, che estendeva il suo potere su tutti gli aspetti di politica interna. Per
quasi vent’anni (1665/’83) questa carica fu ricoperta da J.B.Colbert, che fu l’ispiratore della politica
economica del periodo di Luigi XIV, che va sotto il nome di colbertismo o mercantilismo (o protezionismo).

Luigi, proseguendo lungo la strada iniziata da Richelieu e Mazzarino, aumentò l’accentramento


amministrativo ed accentuò i poteri degli intendenti (di giustizia, polizia e finanza), cioè di quel personale
burocratico di origine borghese o di recente nobilitazione (nobiltà di toga) che assicurava al re maggiore
fedeltà ed efficienza della nobiltà di spada. [L’assolutismo francese è stato definito un assolutismo
borghese]. Anche i poteri dei parlamenti furono diminuiti a favore di quelli regi.

Il capolavoro di Luigi XIV fu la costruzione della reggia di Versailles, sia per la rappresentazione del potere
assoluto che forniva, sia perché lì fu concentrato tutto il potere. Dopo circa vent’anni di lavori (a cui presero
parte nei momenti di maggiore sforzo anche 30.000 operai), la reggia accolse il re e la corte nel 1682. La
costruzione della reggia a circa venti chilometri da Parigi difendeva inoltre il re da eventuali sommosse
popolari parigine (ciò che era successo durante la Fronda). La grande nobiltà fu costretta a risiedere a
Versailles ed essa ne trasse grossi vantaggi dal punto di vista economico (pensioni, rendite, donazioni), ma
perse completamente il potere politico e si trasformò in una schiera di cortigiani che faceva da cornice al
sovrano, celebrandone ed esaltandone la magnificenza. Il re cessava di essere, come nella tradizionale
concezione medievale il primo dei nobili, il primo dei gentiluomini (un primus inter pares) e diventava il
vertice assoluto ed irraggiungibile della gerarchia sociale.

Il Re Sole (così chiamato perché scelse come proprio emblema il sole) patrocinò, sempre per fini
autocelebrativi, le attività artistico-letterarie, fondando o potenziando le Accademie delle Scienze, delle Arti,
delle Lettere, dell’Architettura, della Musica e proteggendo uomini di lettere e di teatro come Racine,
Moliere, Corneille, La Fontaine.

Molto importante fu anche la politica religiosa intrapresa dal Re Sole, con la quale il sovrano intendeva
conseguire differenti obiettivi: presentarsi come il paladino della cristianità cattolica; imporre il proprio
controllo sulla chiesa francese (gallicanesimo); eliminare tutte le forme di dissidenza e disobbedienza
religiose in Francia.
A subire l’attacco del re furono soprattutto giansenisti ed ugonotti.

Il giansenismo era una corrente religiosa cattolica che prendeva il suo nome dal teologo e vescovo olandese
Giansenio (Cornelius Jansen – il titolo della sua opera principale è, significativamente, Augustinus, nella
quale muove dall’attenta lettura degli scritti agostiniani), che visse a cavallo tra il ‘500 e il ‘600 e che ebbe
largo seguito in Francia, Italia, Germania e Paesi Bassi.
Questo movimento riprendeva le posizioni più radicali di Sant’Agostino sulla grazia e sulla salvezza e
sosteneva che la grazia era esclusivo dono di Dio, elargito solo ai predestinati e che solo essa rendeva
pienamente libera la volontà dell’individuo e l’uomo capace di collaborare con Dio per il conseguimento
della salvezza eterna. (Teorie molto vicine al protestantesimo che sembrano mettere in discussione le
conclusioni tridentine intorno al problema dei rapporti tra grazia, opere, libertà e salvezza, ma il
giansenismo rimase una corrente cattolica e lo stesso Jansen dichiarò sempre la propria sottomissione a
Roma). Già Richelieu intravide nel giansenismo un potenziale pericolo e fece arrestare uno dei più
conosciuti discepoli di Jansen, liberato poi in seguito alla morte del potente cardinale.
Il giansenismo predicava un duro rigorismo morale, denunciava il lassismo dell’epoca ed era in forte
polemica con i gesuiti. Il lassismo dei costumi si manifestava tanto sul piano pratico quanto su quello
teorico: nel primo caso, i giansenisti criticavano lo stile di vita mondano non solo di molti fedeli, ma anche di
alti prelati della Chiesa; nel secondo caso, denunciavano la cosiddetta casistica teorizzata e applicata
soprattutto dai gesuiti. Essa consisteva in una definizione generale dei principi morali, che però potevano e
dovevano essere applicati con una certa indulgenza (per i giansenisti eccessiva e colpevole) ai singoli casi
specifici e particolari. Questo portava all’accettazione e alla giustificazione di comportamenti non consoni
alla morale cristiana. In tal modo però i gesuiti erano riusciti a guadagnarsi la fiducia di molti signori e
uomini potenti del tempo in qualità di confessori e guide spirituali.
In opposizione a questa situazione della Chiesa i giansenisti predicavano una morale austera che rifiutava le
lusinghe del mondo, svalutavano le opere ai fini della salvezza, richiedevano condizioni rigorose per
l’accesso ai sacramenti.
In Francia il movimento si diffuse soprattutto presso i due monasteri di Port-Royal (uno a Parigi e l’altro nei
pressi della città) nei quali confluirono anche alcuni dei più importanti intellettuali francesi del tempo, è il
caso di Racine e il filosofo Pascal, il quale nelle Lettere provinciali difendeva le idee gianseniste, criticando
contemporaneamente le morale gesuitica.
Il giansenismo fu ripetutamente condannato dalla Chiesa e i suoi esponenti furono richiamati all’ordine
dalla curia romana, fino a quando nel 1713 con la bolla pontificia Unigenitus la Chiesa definì eretiche le idee
gianseniste e le censurò definitivamente e completamente.
In Francia l’intervento di Luigi XIV nei confronti del giansenismo anticipò la decisione della Chiesa stessa.
Infatti il sovrano, temendo che tale movimento, con i suoi continui richiami ai diritti della coscienza anche
rispetto all’autorità pubblica, potesse diventare un centro di opposizione al potere regio, ordinò la chiusura
con la forza dei conventi di Port-Royal nel 1709.

Luigi XIV, intervenendo pesantemente nelle questioni religiose, dimostrava di voler intraprendere una
politica gallicana, per controllare la nomina dei vescovi e i benefici ecclesiastici. Gallicanesimo: controllo
della chiesa da parte del potere secolare, politico e sottrazione della chiesa francese dal centralismo
romano.

Anche nei confronti degli ugonotti Luigi XIV praticò una politica repressiva.
Richelieu, espugnando la fortezza di La Rochelle nel 1628, aveva eliminato i privilegi militari che l’editto di
Nantes di Enrico IV aveva concesso agli ugonotti nel 1598; Luigi XIV decise di riportare la Francia all’unità ed
omogeneità religiose, in parte per presentarsi al mondo cattolico come paladino della fede e in parte per
bilanciare, agli occhi di Roma, la politica gallicana.
Si decise pertanto di favorire ed incentivare in ogni modo, anche attraverso compensi in denaro, la
conversione al cattolicesimo degli ugonotti, che furono sottoposti a vessazioni e discriminazioni. Si arrivò
poi, nel 1685, all’emanazione dell’editto di Fontainebleau, che revocava quello di Nantes. I
ministri del culto protestanti furono espulsi dal paese, ma si vietò di lasciare il regno ai fedeli, i quali però
riuscirono in buon numero a fuggire in Olanda, Inghilterra e Prussia (2/300.000) nonostante lo stanziamento
di truppe ai confini francesi. [Nello stesso periodo vi fu la cacciata da parte dei Savoia dei valdesi dalle valli
alpine piemontesi, dove però questi fecero ritorno dopo qualche tempo].
L’editto di Fontainebleau dal punto di vista politico può anche essere considerato un successo della politica
assolutistica, ma sul piano economico portò ad una grave perdita per il paese, poiché molti degli ugonotti
appartenevano alla borghesia del commercio o dell’artigianato e il loro esodo comportò per la Francia una
perdita di risorse umane e ricchezze.

IL COLBERTISMO

Per affermare la sua piena autorità, Luigi XIV si assicura il sostegno dei ceti più potenti: l’antica aristocrazia
di sangue, detentrice di grandi proprietà terriere, e la nascente borghesia commerciale e finanziaria. La
strategia che persegue per ottenere il consenso di questi ceti consiste nell’intervenire a difesa dei loro
interessi minacciati: all’aristocrazia offre l’impegno del suo esercito nel reprimere le rivolte contadine che
serpeggiano nelle campagne e minacciano le rendite dei grandi proprietari; alla borghesia offre una politica
di concreto sostegno dell’economia, di potenziamento delle infrastrutture necessarie al movimento delle
merci.

Alla borghesia manifatturiera e mercantile Luigi XIV offre, oltre che l’ordine e la pace interni e necessari allo
sviluppo dei traffici, la politica mercantilistica varata dal Controllore delle Finanze Jean-Baptiste Colbert
(1619-1683). Colbert si dedica immediatamente ad una vasta opera di riorganizzazione finanziaria: imposta
la contabilità di Stato sul modello di quella delle aziende commerciali, in modo da poter disporre di un
quadro chiaro e verificabile delle entrate e delle uscite; garantisce al tesoro reale una quota più ampia dei
tributi, riducendo le percentuali degli incaricati della riscossione e sopprimendo gli uffici inutili; addirittura,
avvia una verifica delle ascendenze nobiliari per mezzo della quale smaschera migliaia di evasori che
godevano di privilegi illegittimi. I risultati di questa politica non tardano: ben presto viene raggiunto il
pareggio del bilancio e nel 1667 gli introiti della corona sono più che raddoppiati.

Lo Stato però deve affrontare complessivamente i limiti dell’economia nazionale, e intervenire per
difenderla dalla concorrenza straniera e favorirne la crescita. Colbert utilizza a tal fine le armi del
mercantilismo1, con una determinazione ed una sistematicità che hanno fatto del termine “colbertismo”,
un sinonimo deciso di “mercantilismo”. Nel 1664 e nel 1667 impone tariffe doganali volte a scoraggiare
l’importazione di manufatti e a favorirne l’esportazione. Nel contempo, istituisce dazi sui vascelli stranieri
che attraccano nei porti francesi, una misura volta a penalizzare particolarmente gli olandesi protagonisti di
circa tre quarti
dei traffici che in quei porti si svolgono. In realtà è proprio questa dipendenza dall’Olanda che Colbert
intende liquidare.

E per rendere la Francia capace di contrastare la supremazia economica olandese è indispensabile


promuovere l’espansione del commercio e delle manifatture. Relativamente al commercio, oltre alla
promozione della marina, sono da ricordare le efficaci misure per migliorare le comunicazione interne:
Colbert investe risorse nella costruzione di nuove strade e nella manutenzione delle vecchie, si interessa alle
vie fluviali, approvando anche la costruzione del Canale del Mezzogiorno che collega la costa mediterranea
con quella atlantica. Non trascura il commercio internazionale: per far acquisire alla Francia un ruolo degno
della sua potenza in questo settore, Colbert favorisce la costituzione di compagnie privilegiate -la
Compagnia della Indie Orientali e quella delle Indie Occidentali, fondate nel 1664.

Significativi successi sono colti in campo manifatturiero. Colbert mira a migliorare la qualità della
produzione delle industrie esistenti: a tal fine emana oltre 150 decreti volti ad orientare anche i più minuti
dettagli de processo produttivo e incarica uno stuolo di ispettori per verificarne l’effettiva attuazione.

1 Il mercantilismo è contemporaneamente una teoria ed una politica economica. Dal punto di vista teorico affermava
che la ricchezza di una nazione era data dalla quantità di metalli preziosi presente all’interno dei confini; dal punto di
vista pratico il mercantilismo cercò di incentivare i commerci e le attività manifatturiere e di aumentare le esportazioni,
diminuendo le importazioni attraverso l’intervento dello stato in economia. Questo avveniva attraverso la protezione
(protezionismo) dei prodotti nazionali con dazi d’entrata, con barriere doganali e attraverso sovvenzioni statali alle
manifatture che producevano per l’esportazione.
Soprattutto attraverso le Corporazioni il ministro si propone di conseguire un controllo centrale dell’attività
manifatturiera.

In sintesi, per favorire lo sviluppo di una attività manifatturiera nazionale e allargare in mercato interno,
Colbert emana una enorme quantità di provvedimenti di natura protezionistica, con cui alleggerisce i
pedaggi interni e introduce dazi sulle importazioni di prodotti finiti, incentiva la creazione di manifatture di
stato (con prestiti, sgravi, premi di produzione), impone un controllo della qualità dei prodotti francesi,
stimola la costituzione di compagnie privilegiate per il commercio con i mercati orientali e con quelli
americani, sviluppa le comunicazioni interne (strade, canali, poste), rinnova e potenzia la flotta mercantile 2.

Fu imponete lo sforzo sostenuto dall’economia francese per finanziare l’esercito e quindi la politica militare
di potenza intrapresa dal Re Sole in Europa.

Le guerre di Luigi XIV

In politica estera Luigi XIV tentò di attuare un piano di egemonia continentale, che per ambizioni può essere
paragonato a quello che già gli Asburgo avevano tentato e che era fallito con la guerra dei Trent'anni.
Durante il regno di Luigi XIV la Francia era la prima potenza europea ed ottenne vittorie e successi
importanti, ma alla fine del regno del Re sole (1715) il progetto egemonico era sostanzialmente fallito.
1. La guerra di devoluzione (1667) con cui la Francia intendeva conquistare i Paesi Bassi spagnoli. La guerra
si risolse con la vittoria della Francia anche se non portò ai risultati sperati e Luigi riuscì ad ottenere solo
alcune città (12) dei Paesi Bassi.
2. La guerra contro la Repubblica delle Province unite (1672-'78). Per la Francia sconfiggere l'Olanda
avrebbe rappresentato una grande vittoria sia dal punto di vista della politica espansionistica, sia dal punto
di visto economico. L'Olanda si trovò in grandissima difficoltà e sotto il comando di Guglielmo III d'Orange
(futuro re d'Inghilterra) aprì le dighe allagando le sue pianure pur di bloccare l'avanzata delle fanterie
francesi. Alla fine la guerra si concluse con un compromesso tra le due principali contendenti: l'Olanda
mantenne la propria integrità territoriale, ma la Francia strappò alla Spagna, alleata dell’Olanda, alcune
zone dei Paesi Bassi (Franca Contea e parti delle Fiandre e dell'Artois).

Nel 1702 scoppiò la guerra di successione spagnola: in Spagna regnava il debole e malato Carlo II, privo di
eredi e questo accese gli interessi delle potenze europee che intendevano conquistare il trono di Spagna. La
Spagna era ormai un paese debole in costante declino, ma il suo impero rimaneva sterminato (America
latina, possedimenti italiani, Filippine, ecc …). I candidati alla successione erano Filippo d'Angiò, francese,
nipote di Luigi XIV, imparentato con il ramo spagnolo degli Asburgo, Carlo d'Asburgo, figlio dell'imperatore
Leopoldo ed altri. Carlo II prima di morire nel 1700 redasse un testamento in cui nominava suo erede Filippo
d'Angiò a patto che egli rinunciasse a qualsiasi diritto sul trono di Francia [Carlo voleva evitare l'unione delle
due corone e la sottomissione della Spagna alla Francia]. Poco dopo Carlo II morì e Filippo d'Angiò divenne
re di Spagna, dando inizio alla dinastia spagnola dei Borbone. Luigi XIV non rispettò però i patti e decise di
sfruttare l'occasione di un nipote sul trono di Spagna per fare di questa una sua pedina. Reagirono a questo
progetto francese Inghilterra, Olanda, Austria e parti della Germania, come il Brandeburgo. Dalla parte della
Francia si schierarono la Spagna (e altri stati minori come il Piemonte).
Il conflitto fu lungo e inizialmente volse a favore della Francia, ma in seguito le sorti si invertirono e Luigi XIV
si trovò in grandi difficoltà. Si salvò e riuscì ad ottenere una pace onorevole. La corona spagnola rimase a
Filippo V (d'Angiò) Borbone. Fu però la Spagna a fare le spese del principio di equilibrio che doveva
bilanciare Francia e Austria: perse i territori europei pur mantenendo quelli coloniali. L'Austria ottenne i
Paesi Bassi, il ducato di Milano, il regno di Napoli e la Sardegna. La Sicilia fu data inizialmente ai Savoia, in
seguito, nel 1720, la Sardegna passò ai Savoia che cedettero la Sicilia all'Austria. Così in Italia al dominio
spagnolo si sostituiva quello austriaco. Un risultato importante fu ottenuto anche dall'elettore del
Brandeburgo Federico I di Hohenzollern che allargò i suoi domini e ottenne il titolo di re di Prussia.

2 Anche la politica inglese dell’Atto di navigazione di Cromwell (1651) è un esempio di politica mercantilistica

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