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Il concetto di politica da Dante a Machiavelli

La politica ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale nella vita degli uomini. Il suo
significato etimologico deriva dalla parola greca polis, con la quale si indicava tutto quello
che avveniva all’interno della città, di una comunità. Proprio nell’antico mondo greco, molti
filosofi si interessarono alla politica. Tra i più importanti esponenti, ricordiamo sicuramente
Platone ed Aristotele, con la concezione di uno Stato ideale da parte del primo e
l’attenzione alla politica in un intero libro (Politica) da parte del secondo.

Durante l’intero corso della storia il concetto di politica è cambiato più volte, naturalmente
in base ai differenti contesti in cui si trovò ad essere applicata. Nel Medioevo, Dio era
messo al centro di tutto e la vita ultraterrena risultava di gran lunga più importante rispetto
a quella terrena. In quel periodo, la Chiesa prese il “sopravvento”, sfruttando tutti i bisogni
spirituali ai quali uomini e donne si ancoravano. Il potere religioso, identificato soprattutto
in questo momento storico nella figura del papa, riusciva a tenere sotto il suo controllo non
solo la vita spirituale di ogni uomo, ma anche quella terrena. Così facendo, questo potere
risultava un fondamentale “instrumentum regni”, che permetteva alla Chiesa di controllare
il potere politico, dominando le coscienze degli uomini e assoggettandole alle proprie
esigenze. Nel Medioevo, di notevole importanza fu la figura di Dante Alighieri, che proprio
a causa della supremazia della Chiesa dovette abbandonare Firenze. Infatti, durante la
fine del 1200, il conflitto tra guelfi bianchi (ai quali apparteneva Dante) e guelfi neri
(appoggiati dalla Chiesa), indusse il papa Bonifacio VIII ad intervenire militarmente e a
costringere all’esilio i maggiori esponenti della parte bianca. Nonostante il suo
allontanamento dalla diretta attività politica, Dante trattò questo tema in alcuni suoi scritti,
fra cui il De Monarchia, opera scritta in latino e rivolta ad una ristretta élite di intellettuali. In
questa, l’autore volle sottolineare l’idea che l’impero e il papato, entrambi voluti da Dio,
godessero di luce propria e che fossero autonomi l’uno dall’altro. Infatti, il compito
dell’imperatore era quello di garantire la felicità degli uomini sulla terra, mentre quello del
papa di assicurare la felicità degli uomini nella vita ultraterrena. L’idea di due diverse
felicità che presupponeva l’autonomia dei poteri, fu considerata dalla stessa Chiesa
eretica e l’opera andò incontro alla censura. Anche nella Divina Commedia Dante riservò
una parte alla questione politica. Nei sesti canti dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso
troviamo un climax ascendente, dove il sommo poeta, partendo dalla situazione politica di
Firenze e passando per quella dell’intera Italia, arriva a parlare dell’Impero. Nel canto
dell’Inferno, Dante affida al fiorentino Ciacco il compito di esprimere il proprio personale
giudizio sulle vicende politiche della sua città. La corruzione, il malgoverno e gli interessi
di parte sono aspramente condannati, perché impediscono una giusta vita sociale.
Tuttavia, il concetto di politica, in questo periodo storico, cambiò radicalmente faccia,
soprattutto grazie alla nuova visione del mondo e al pensiero di Niccolò Machiavelli. Infatti
con l’Umanesimo e poi con il Rinascimento, l’uomo, dotato della ragione, veniva messo al
centro di tutto. In più, vi era una concreta volontà di vivere la vita terrena. Machiavelli,
crescendo in una culla del Rinascimento come Firenze, formulò idee riguardanti la politica
del tutto innovative. L’intellettuale fiorentino fu considerato uno dei primi saggisti moderni,
non interessato a realizzare trattati riguardanti stati utopistici. Lo scopo di Machiavelli,
infatti, era quello di partire dalla cosiddetta verità effettuale, ovvero capire cosa si potesse
fare realmente. Grazie a questa caratteristica, per la prima volta, si poté parlare di scienza
della politica, scissa da ogni carattere religioso o morale. Il modello politico di Machiavelli
era sicuramente quello della repubblica romana, capace di dare maggior rappresentanza
all’intera comunità. Questa poteva formarsi e svilupparsi solo sulla base di forti e salde
radici, rappresentate dalle leggi. In mancanza di queste, era necessario che un uomo
carismatico prendesse il potere e agisse da un lato come un leone e dall’altro come una
volpe. La forza e l’astuzia erano consentiti ad una sola condizione: il bene dello Stato. In
questo contesto è interessante comprendere i diversi “bestiari politici” di Machiavelli e di
Dante. Nell'Inferno dantesco troviamo le tre fiere, la lonza, il leone e la lupa che
rappresentano allegoricamente la lussuria, la superbia e l’avidità. Nel Principe, Machiavelli
utilizza il leone e la volpe, indicando la forza e l’astuzia per indicare quei comportamenti
necessari al principe per garantire l’ordine. Dunque, se nel primo le bestie rappresentano
peccati imperdonabili, al contrario, nel secondo risultano qualità alle quali l’uomo può fare
affidamento.

Senza dubbio, il pensiero di Niccolò Machiavelli ha rappresentato uno spartiacque


decisivo per il proseguimento della storia e dello sviluppo del potere politico, che ha
cercato, non sempre riuscendoci, di liberarsi dalla manipolazione del potere religioso.

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