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Collana

NUOVA ATLANTIDE
Luciano ALBANESE – Pietro MANDER

LA TEURGIA NEL MONDO ANTICO


Mesopotamia, Egitto, Oracoli Caldaici, Misteri Egiziani

Con la collaborazione di
Massimiliano NUZZOLO

ECIG
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ISBN: 978-88-7544-222-4

Dicembre 2010
INDICE

Presentazione (Giancarlo Seri)


7

Capitolo 1
Tradizione teurgica sumero-babilonese (P. M.)
Gli antecedenti dai testi in cuneiforme dei Sumeri e degli Assiro-babilonesi
(III millennio a. C.-III/IV? sec. d. C. in Mesopotamia).
11

Capitolo 2
La Bibbia pagana: gli Oracoli Caldei (L. A.)
(II sec. d. C.). Raccolta completa dei frammenti superstiti in traduzione,
accompagnati da relativo commentario
67

Capitolo 3
Libro condensato: Giamblico, I misteri degli Egiziani (L. A., P. M.)
(II-III sec. d. C.). Versione condensata del trattato di Giamblico e commenti ai singoli libri
in cui il trattato è suddiviso
173

Appendice
La tradizione teurgica Egiziana: il rituale della “Apertura della Bocca”
(Massimiliano Nuzzolo)
275

Indice analitico
299

Illustrazioni e copertina: Francesca Romana Mander

5
APPENDICE

La tradizione teurgica Egiziana:


il rituale della “Apertura della Bocca”.

Massimiliano Nuzzolo.

Non c’è probabilmente altro rituale della civiltà dell’Antico Egitto maggior-
mente noto e diffuso di quello cosiddetto della “Apertura della Bocca” (upet-r).
Tale rituale, dai significati molteplici e a volte apparentemente contraddittori,
come avremo modo di vedere più avanti, è infatti attestato in tutte le fasi delle
lunga storia egizia, seppur sottostando, nel corso degli oltre tre millenni della cul-
tura faraonica, a svariati cambiamenti e modificazioni, tanto nella documentazio-
ne epigrafica e testuale quanto in quella archeologica.
Le motivazioni per l’inserimento di questo breve saggio sul rituale antico
egizio sono sostanzialmente le stesse che sono state già affrontate nel capitolo
relativo alla teurgia sumero-babilonese dove, seppure con riferimento al mondo
mesopotamico, si sono potute intravedere le caratteristiche ideologiche e sim-
boliche e le implicazioni storico-religiose di una tradizione teologica antichissima,
con la sua complessa ritualità, come quella sviluppata a partire almeno dal IV mil-
lennio a.C. nel vasto contesto vicino orientale e nord africano.
In questo discorso, dunque, l’inclusione della controparte egizia sembra ovvio
e scontato per poter dare almeno un primo quadro di riferimento, tutt’altro che
esaustivo, ad una problematica così ampia come quella della visione, della per-
cezione e del contatto con il divino, e degli annessi rituali, nelle prime società
“complesse” della storia dell’umanità. In tal contesto, prendendo spunto dal quasi
omonimo rituale mesopotamico del mēs pî (lavaggio della bocca), si è scelto,
dunque, di focalizzare la nostra attenzione su un particolare aspetto, sebbene cer-
tamente il più pregnante, della tradizione teurgica egizia, quello della cerimonia
della “Apertura della Bocca”.
In tal senso, infatti, il quadro offerto dalla documentazione egizia presenta
aspetti più complessi di quelli mesopotamici. Come già anticipato, in Egitto il
rituale dell’apertura della bocca si praticava, fin dai suoi esordi, non solo sulle
statue divine e/o regali, ma anche su quelle dei privati e soprattutto sulle mummie
e sui sarcofagi antropoidi (d’ora in poi parleremo solo di mummia per comodità),
nella loro autentica natura di statue o meglio, per dirla con Assmann, di “rappre-
sentazioni”, della persona vivente o defunta1.
1
Assmann 2005: 108.
La mummia, infatti, al pari della statua, serviva al defunto come supporto della
sua vita eterna la quale era concepibile, secondo gli Egizi, solo per il tramite del
mezzo corporale. Allo stesso tempo entrambe erano finalizzate a mantenere la
presenza dell’individuo nel mondo dei viventi pur nella piena consapevolezza
della sua assenza2. Ciò che durante l’esistenza corporale era svolto dal corpo in
carne e ossa, dopo la morte era assolto, sul piano tanto simbolico quanto concreto
e sensibile, dalle statue e/o mummie del defunto, che fungevano da moltiplicatori
dell’io individuale sul piano spaziale e temporale3. Tutto ciò è tanto più vero per la
divinità se si considera, per esempio, l’incredibile numero di tombe cenotafio di
Osiride o la moltiplicazione di figurine fittili dello stesso Osiride o di Sokar che
venivano seppellite ritualmente a Karnak e ad Abido durante manifestazioni di
culto di ambito popolare4.
Proprio per questo suo aspetto di trasformazione e trasfigurazione il rituale, nel
prosieguo diacronico della civiltà egizia, verrà praticato sui sarcofagi antropoidi,
sulle mummie degli animali sacri, sugli amuleti teriomorfi e antropomorfi (parti-
colarmente quelli scaraboidi, esplicitamente associati al dio sole Ra nella sua
forma mattutina di Khepri) e persino su interi edifici templari, nella loro qualità di
“rappresentazioni” consacrate ed animate del divino5.
Il rituale si presentava, quindi, come un complesso insieme di formule magiche
tramite le quali animare e far nascere (o meglio rinascere nel caso delle mummie)
le cose viventi, nel senso più ampio che al termine si può dare, conferendo loro la
vita o soffio vitale e permettendo il fondamentale interscambio fra i differenti
piani del cosmo6 (si veda anche quanto detto nel capitolo sulla teurgia sumero-
babilonese a proposito dell’Axis Mundi).
Fin dalla prima esplicita attestazione epigrafica ad oggi nota del rituale, quella
proveniente dalla tomba dell’ufficiale Metjen a Saqqara7 (inizi della IV dinastia –
2600 a.C. circa), la cerimonia, infatti, è associata alla trasformazione e trasfigura-
zione del defunto in un akh8, un concetto teologico – religioso abbastanza com-
plesso che possiamo grosso modo definire, riassumendo le annotazioni di

2
Ginzburg 1999: 110-9, e particolarmente 112.
3
Assmann 1996: 60-2. In questa prospettiva si può comprendere, per esempio, l’esplosione numerica del
fenomeno degli ushabty, le statuine-servitori che il defunto portava con sé nell’aldilà per compiere le
attività lavorative nella vita ultraterrena. Al riguardo si veda quanto detto da Assmann 2005: 110-2 con
ulteriore bibliografia.
4
Assmann 2005: 109
5
Assmann 2001: 45. Per l’analisi del testo relativo a questa particolare tipologia di apertura della bocca si veda
anche Blackman, Fairman 1946: 75-91.
6
Assmann 2001: 40-52; Assmann 2005: 87-101, e particolarmente 93.
7
Lepsius 1850: pls. 4-5. Per la bibliografia completa del personaggio si veda PM III: 493-4. Per un elenco
completo di tutte le citazioni del rituale nell’Antico Regno si veda Hannig 2003: 334. Tutte le datazioni adot-
tate nel presente contributo sono prese da Shaw 2000: 481-9.
8
Goyon 1972: 6. Si veda anche Roth 1993: 74 e 75, nota 80.

276
Englund9, come “uno spirito glorioso e splendente, rinato ed asceso all’ambito
celeste per godere della vita eterna………la coscienza o parte immateriale della
persona a seguito della sua trasfigurazione, ossia dopo aver superato lo stato di
semplice ba”.
Quanto detto sta a significare che la cerimonia era diretta principalmente a ren-
dere fattivo un passaggio spirituale e, di conseguenza anche concettuale, fra due
delle principali forme immateriali degli esseri viventi tutti, divinità e faraone
compresi, ossia quelle di ba e akh un passaggio che poteva avvenire solo se
l’essere animato, rinato (mummia) o creato ex-novo (statua), accoglieva in sé lo
spirito o scintilla vitale di derivazione divina e universale (il cosiddetto ka).
Questo, unendosi al ba, l’anima vera e propria dell’essere animato, consentiva la
rinascita nella vita ultraterrena e il raggiungimento dello stato di spirito perfetto
(akh)10.
Non è certo questa la sede per affrontare nel dettaglio problematiche religiose
così intricate e sfaccettate come quelle dei concetti di ba, ka e akh per i quali si
rimanda alla vasta letteratura scientifica esistente11. Mi preme, però, sottolineare,
per il discorso che ci accingiamo a fare di qui a breve, un aspetto fondamentale e
spesso sottovalutato del rituale dell’apertura della bocca, ossia il suo carattere
polifunzionale e polidirezionale, una caratteristica certo non esclusiva di questo
rituale, essendo condivisa da buona parte della religione e dei culti dell’Antico
Egitto12, ma che trova pieno compimento nel rituale qui in esame in virtù della sua
centralità e delle sue molteplici valenze nella visione teurgica e teologica egizia.
Un rituale come quello dell’apertura della bocca, che aveva come scopo ultimo
e più generale la vivificazione di cose inanimate e, dunque, una loro nuova nascita
e/o creazione, non può essere limitato ad una sola categoria dell’essere e
dell’esistere ma deve piuttosto aprirsi ad una notevole variazione di concetti e
valenze, tanto simboliche e immateriali, quanto reali e concrete, cui il rituale
stesso era in ultima istanza finalizzato. In base a ciò, appare quindi errato il voler
indirizzare le finalità del rituale principalmente al ka piuttosto che al ba, come
pure si è cercato di sostenere da più parti13, dal momento che entrambi andavano a

9
Englund 1978: 61-4. Al riguardo e con alcune significative differenze si vedano anche K. Jansen-Winkeln
1996: 201-15; Friedman 1984-85: 39-46.
10
Assmann 2001: 87-92.
11
I due studi più completi e aggiornati sui concetti di ba e ka sono rispettivamente Žabkar 1968 e Bolshakov
1997 ai quali si rimanda per ulteriori approfondimenti e riferimenti bibliografici. Per il concetto di akh si veda
invece la nota 9 del presente contributo. Merita una menzione particolare anche la recente e approfondita
sintesi in italiano di Bongioanni, Tosi 2002, dove oltre ai tre concetti suddetti vengono affrontate con ampiezza
di documentazione anche altri importanti concetti spirituali e teologici egizi quali il nome (ren), l’ombra (shut),
il cuore (ib) e l’energia (hekau).
12
Shafer 1997: 18-28, e particolarmente 18-21.
13
Bolshakov in particolare sostiene la primaria centralità del concetto di ka rispetto agli altri tanto nei rituali
quanto nella elaborazione teologica egizia, soprattutto nel periodo centrale della costruzione della sua civiltà,
ossia l’Antico Regno (Bolshakov 1997: 282-90). Dal versante opposto Žabkar sembra cedere alla tentazione di

277
confluire in un’unica teologia della salvezza di cui il rituale era passaggio obbli-
gato e vincolante per l’essere vivente nella sua integrità.
Non è un caso, per esempio, che il rituale, tanto nella sfera privata (tomba di
Metjen) quanto in quella regale (Testi delle Piramidi14) venisse ripetuto per quat-
tro volte e fosse indirizzato verso i quattro punti cardinali15, proprio a richiamare
la totalità dell’individuo (quattro sono anche i vasi canopi che contengono le inte-
riora del defunto) sottomesso alla totalità del cosmo, al quale l’individuo stesso (il
sovrano nei Testi delle Piramidi, una fascia sempre più ampia della popolazione16
a partire dal Medio Regno – 2055-1650 a.C. circa – in poi) era destinato a ritor-
nare secondo la concezione escatologica corrente.
Nel caso del rituale antico egizio dell’apertura della bocca, dunque, non si può
parlare di una vera e propria teurgia, almeno non secondo la terminologia cui
siamo stati abituati dalla tradizione neo-platonica e rinascimentale, non esistendo
fra l’altro un vocabolo corrispondente in geroglifico17. Piuttosto, si deve parlare di
un complesso rituale che tramite l’infusione dello spirito o scintilla vitale (il ka)
nella sostanza inanimata, di qualunque genere essa fosse (statua o mummia), ne
consentiva la sua rinascita o “rivitalizzazione”, conferendole una natura vivente e
facendola partecipare di quell’essenza divina universale e di quell’ordine co-
smico, la Maat, cui solo gli esseri viventi, seppur in differenti modalità e gradi,
possono partecipare18.
Quanto detto finora potrebbe far credere, però, che il rituale dell’apertura della
bocca fosse una pratica sostanzialmente limitata all’ambito funerario e mortuario,
ma non è affatto così, dal momento che, come in Mesopotamia, la pratica era for-
temente associata alla consacrazione e creazione delle statue divine e/o regali, e
alla loro collocazione, e conseguente venerazione, all’interno dei templi19. Come

considerare la potenza spirituale del ba come elemento centrale nelle istanze escatologiche egizie, soprattutto
dal Nuovo Regno in poi (Žabkar 1968: 160-3).
14
Si tratta della prima raccolta scritta, nella storia antico egizia, di testi magico – religiosi finalizzati ad indiriz-
zare e favorire il percorso di resurrezione del faraone defunto. I testi furono incisi all’interno delle piramidi
degli ultimi sovrani dell’Antico Regno e di alcune delle loro regine. Non si può esaurire in questa sede la
vastissima letteratura ad essi relativa, per cui si menzionerà qui di seguito solo il testo comunemente impiegato
per la loro traduzione, ossia Faulkner 1969 (per lo scioglimento si veda la bibliografia del presente contributo).
15
Otto 1960: 4-8.
16
Quando parliamo di “fascia ampia della popolazione” intendiamo ovviamente una fascia elitaria dal punto di
vista politico-sociale e culturale, l’unica in grado di potersi avvalere in ambito privato di speculazioni
teologiche e religiose originariamente elaborate in ambito esclusivamente regale. Al riguardo si veda in parti-
colare Baines 1991: 123-200.
17
A tal proposito si veda l’interessante saggio di Magris sulla semplificazione platonica, e conseguentemente
ellenistica e plotiniana della complessità religiosa, spirituale e filosofica egizia (Magris 2002: 163-80), un frain-
tendimento i cui influssi ed echi profondi permearono l’intera civiltà occidentale fino agli inizi della riscoperta
dell’Egitto faraonico in seguito alle campagne napoleoniche. Per ulteriori dettagli si veda anche il saggio di Al-
banese nel presente volume.
18
Sul concetto della Maat e sulle sue interrelazioni con il tema qui trattato, con particolare riguardo alla
partecipazione del ba all’ordine universale costituito, si veda Assmann 1990: 17-39, 114-9.
19
Blackman 1924: 47-59; Otto 1960: 2-4.

278
chiaramente specificato sulla Pietra di Palermo (metà della V dinastia – circa
2450 a.C.), una delle fonti testuali più antiche e autorevoli al riguardo, dato il suo
carattere di documento ufficiale, la cerimonia prevedeva la “nascita e l’apertura
della bocca [della statua] del dio X – meset upet-r (dio X)”20.
Ciò evidenzia, quindi, come il rituale fosse applicabile non solo ad un “sup-
porto” corporeo naturale e reale come la mummia, ma anche ad una creazione ex-
novo (statua o immagine per dirla alla egizia – vedi oltre) di un’altra entità, sia
essa il defunto stesso, un sovrano o un dio, come nel caso della Pietra di Palermo
appena citata.
In tutti i casi, questa immagine/statua viene “generata”, “fatta nascere”, se-
condo quella che è la resa letterale della radice verbale utilizzata (mes)21, in una
forma fisica, concreta e materica che è esplicitamente ed ulteriormente richiamata
dal fatto che molto spesso l’atto rituale avveniva nella hut-nebu (Casa dell’Oro),
una struttura di non chiara origine che probabilmente doveva coincidere con
l’atelier dei principali artigiani addetti all’intaglio e alla lavorazione delle suppel-
lettili templari e funerarie22.
Particolarmente significativo è, infine, il fatto che il termine per indicare tale
supporto statuario o corporeo venisse sottinteso nei testi, essendo del tutto omesso
come nel caso suddetto oppure, come accade in altre occasioni, venendo generi-
camente definito come “immagine” (tut e djet sono i due termini geroglifici più
utilizzati per indicare quest’ultimo termine e possono essere anche tradotti come
“corpo” e “rappresentazione”)23.
Questa connotazione del rituale dell’apertura della bocca come non esclusiva-
mente funerario si riscontra, grosso modo nello stesso periodo della Pietra di
Palermo, anche nel tempio solare di Niuserra24 (sesto faraone della V dinastia:
20
La prima attestazione epigrafica della cerimonia in ambito regale è datata al regno di Cheope (Wilkinson
2000a: 224-5 con ulteriore bibliografia) ma non è escluso che il rituale possa essere stato già precedentemente
in uso. Esempi datati al regno di Aha e Snefru sono basati su elementi epigrafici troppo dubbi per essere presi
in questione (al riguardo si veda Roth 1993: 74 con ulteriore bibliografia). Sulla variante un-r per indicare
l’apertura della bocca nei rituali più recenti, si veda Roth 2001: 606.
21
Riguardo ai differenti piani semantici della redice verbale in questione, si veda Wb II: 137-8.
22
Traunecker 1989: 106-10. Il significato letterale del termine hut-nebu sottintende, da un punto di vista
filologico, un legame stretto con l’oro, la carne degli dèi per eccellenza, spingendoci quindi a supporre che un
simile ambiente fosse legato, almeno nelle sue origini simboliche, al più prestigioso dei templi delle divinità,
ossia quello di Ra ad Eliopoli. Tuttavia, a partire dalla fine dell’Antico Regno, la hut-nebu è esplicitamente as-
sociata al dio Ptah, dio poliade di Menfi, protettore degli artigiani, creatore e plasmatore degli uomini e del
cosmo secondo alcuni filoni mitologici affermatisi a partire dalla fine dell’Antico Regno ma particolarmente
centrali nella religione egizia durante il Nuovo Regno (Quirke 2001, 77-8). Non è quindi escluso che già agli
inizi dell’Antico Regno il tempio di Ptah a Menfi fosse la vera sede della hut-nebu. Non è escluso del tutto,
però, che quest’ultima potesse avere anche una controparte simbolica e concettuale nella tomba, come casa
della rinascita celeste (per una simile interpretazione del valore di hut-nebu si veda Wilkinson 2000: 228-30
con ulteriore bibliografia).
23
Assmann 2005: 106.
24
Il carattere non funerario dei templi solari e le caratteristiche dei culti in esso svolti, sono stati ampiamente
trattati in Nuzzolo 2007: 217-47; Nuzzolo 2010a: 289-312.

279
2445 – 2421 a.C. circa) dove la citazione del rituale, con la stessa medesima for-
mula vista in precedenza, è presente nelle iscrizioni ufficiali di consacrazione del
tempio, ritrovate nel tempio a valle ma riferite ad ambienti di culto del tempio
superiore in cui tale rituale doveva essere esplicato25.
Ma gli esempi, espliciti o indiretti, di rituale di apertura della bocca su statue di
divinità e sovrani all’interno dei templi non finiscono certo qui, accompagnando
anzi la storia egizia fino alla sua conclusione. Solo per citare alcuni significativi
esempi, si possono ricordare i “Papiri di Abusir”26, con le svariate attestazioni della
strumentazione impiegata per tali rituali, le statue osiriache del primo sovrano del
Medio Regno, Mentuhotep II (2055 – 2004 a.C. circa), avvolte in pregiate bende di
lino e ritualmente sepolte in una fossa secondaria della sua tomba a Deir el Bahari27,
o, in epoca molto più recente, la dettagliata descrizione testuale ed iconografica del
tempio tolemaico di Edfu28.
A dispetto di questa ampia documentazione, che ci fornisce un quadro abba-
stanza preciso e affidabile sul significato e sulle implicazioni teologico – religiose
del rituale, non sono affatto chiare, invece, le sue origini, né le modalità e le
tempistiche di diffusione.
Eberhard Otto, nella ad oggi più completa enucleazione dello svolgimento del
rituale, basata quasi esclusivamente sulle versioni conosciute dai Libri dei Morti29
del Nuovo Regno (1550 – 1069 a.C. circa), conclude affermando che l’apertura
della bocca riuniva in sé tradizioni cultuali e rituali assai eterogenee, provenienti
da almeno 6 campi diversi: rituali per le statue, rituali d’offerta funeraria, rituali di
mummificazione, rituali di sepoltura, rituali di macellazione, e più generici rituali
di purificazione praticati nel culto ordinario templare30.
Sulla base della centralità d’uso di un particolare strumento cultuale (l’asta
dua-ur) di cui si dirà oltre, solitamente utilizzato per il culto delle statue nel
Nuovo Regno, e in mancanza di ulteriori, precisi indizi cronologici, Otto conclude
che l’apertura della bocca doveva aver avuto il suo primo impiego e ragion
d’essere nei rituali di preparazione e consacrazione delle statue delle divinità, sia

25
Per l’immagine del frammento in considerazione si veda Bissing 1928, Bl. 30, nr. 463. Per le annotazioni
sullo svolgimento del rituale e sul suo significato nell’ambito delle cerimonie religiose svolte nei templi solari
si veda invece Helck 1977: 68-72.
26
Si tratta di un grosso corpus di documenti papiracei ritrovati nel tempio della piramide di Neferirkara e datati
fra la fine della V e la fine della VI dinastia (2350 – 2150 a.C. circa): cfr. P. Posener-Kriéger 1976.
27
Arnold 1974: 51-3.
28
Blackman, Fairman 1946: 75-91.
29
Si tratta di una raccolta di papiri con formule magico – religiose che dovevano servire al defunto, sia in am-
bito privato che regale, di accedere al mondo ultraterreno e alla vita eterna. Anche in questo caso, come per i
Testi delle Piramidi (si veda sopra), essendo la letteratura in merito sterminata, si rimanda ad uno dei testi prin-
cipali e più antichi sull’argomento, testo citato nella bibliografia del presente contributo come: Naville 1886.
30
Otto 1960 (II): 2.

280
nello svolgimento delle principali festività religiose che del culto templare quoti-
diano31.
Assmann concorda con questa visione affermando che il rituale aveva certa-
mente avuto origine nella preparazione delle statue di culto, non solo di carattere
divino ma anche regale, pur affermando che il contesto di questo originario culto
sulle statue fosse di natura prettamente funeraria32. La sua opinione, nelle linee
generali, è condivisa da molti altri studiosi pur essendosi questi concentrati piut-
tosto sulla descrizione dello svolgimento del rituale, che non sulle sue origini. Fra
questi, mi preme ricordare in particolar modo i contribuiti di Blackman, Helck,
Goyon, van Walsem, Smith, nonché il più recente e ampio contributo di Lorton33.
Tutte queste ipotesi, però, non prendono in considerazione, se non en passant,
le evidenze archeologiche e testuali precedenti alla precisa e sistematica codifi-
cazione scritta del rituale stesso, codificazione avvenuta, come ricordato in pre-
cedenza, solo nel Nuovo Regno.
In realtà, nella documentazione archeologica ed epigrafica più antica, di cui si
è già parlato, non ci sono solo le prove sicure dell’esistenza del rituale, ma anche
ulteriori e precisi indizi sulle modalità di svolgimento del rituale stesso e su quale
dovesse essere la sua finalità ultima.
In tal senso, in anni relativamente recenti, Ann Macy Roth ha fatto notare, con
ottime argomentazioni e con puntuali riscontri archeologici e testuali, come il
rituale si svolgesse fin da epoche molto antiche principalmente sulle mummie e
fosse modulato, a livello simbolico e concettuale, sulle fasi di nascita, maturazio-
ne e crescita del bambino34. La sua analisi parte dalla strumentazione nota ar-
cheologicamente dalle sepolture predinastiche dell’epoca di Naqada I (4000 –
3500 a.C. circa) per arrivare a quelle dell’Antico Regno (2686 – 2160 a.C. circa) a
Giza e Saqqara. Tale strumentazione trova ulteriori, specifici riscontri anche nella
documentazione scritta (Papiri di Abusir35) dove, seppure non esplicitamente
menzionata in relazione al rituale dell’apertura della bocca, forse anche a causa
del lacunoso stato di conservazione del materiale papiraceo, viene citata a propo-
sito delle suppellettili di culto in dotazione al tempio funerario.
Fra queste suppellettili, le principali erano certamente due: il peshes-kaf, un
coltello rituale in selce, dalla forma allungata e sottile e con una terminazione a
coda di pesce; le lamine netjeruy36, una sorta di lastrine piatte di ferro meteorico
dalle estremità ricurve, simboleggianti dita umane.

31
Otto 1960 (II): 2-3.
32
Assmann 2005: 108, 312.
33
Per i riferimenti ai testi summenzionati si veda la bibliografia finale.
34
Roth 1992: 113-47; Roth 1993: 57-79.
35
Posener-Kriéger, Cenival 1968: pls. 12-14. La terminologia della strumentazione templare è anche riassunta
e discussa in dettaglio in: Posener-Kriéger 1976: 190-1.
36
Questi oggetti vengono chiamati sebay nei Papiri di Abusir. Cfr. Posener-Kriéger 1976: 190.

281
Come testimoniato sia dalle evidenze archeologiche citate in precedenza che
dai Papiri di Abusir, e soprattutto dai Testi delle Piramidi in ambito regale37,
questi due strumenti rituali, che avranno (soprattutto il peshes-kaf) molteplici im-
pieghi nei rituali di culto del Nuovo Regno, essendo principalmente utilizzati
durante il processo di mummificazione, dovevano avere avuto originariamente
significati molto diversi, legati ad ancestrali pratiche rituali connesse con la na-
scita di un individuo38.
Per quanto riguarda in particolare il coltello peshes-kaf, che risulta essere il più
documentato a livello archeologico e testuale (Testi delle Piramidi in particolar
modo), Roth ha dimostrato che esso doveva essere stato usato originariamente per
tagliare il cordone ombelicale del neonato39.
Come argomentato da Hornung40, questo gesto apparentemente semplice e abi-
tudinario, in una società prolifica come quella egizia, doveva assumere un aspetto
rituale e simbolico di assoluta centralità: staccare il neonato (intendendolo, in
senso letterale, come “essere vivente appena nato”) dalla placenta della madre che
lo aveva nutrito per i nove mesi di gestazione41. Tale placenta, però, non era solo
una parte dell’anatomia femminile, ma aveva un suo corrispettivo a livello sim-
bolico: essa rappresentava, infatti, il caos primordiale, quell’oceano indistinto e
omogeneo (in egizio nun)42, espresso iconograficamente dal serpente Apophis av-
volto sulle sue spire43, da cui all’origine dei tempi il dio sole Atum-Ra era sorto
per dare vita all’universo intero, secondo numerose versioni del mito conosciute
fin dall’Antico Regno (Testi delle Piramidi) e dettagliatamente descritte e raffigu-
rate, nel Nuovo Regno, negli inni religiosi e nelle tombe dei sovrani nella Valle
dei Re44. L’atto rituale del tagliare il cordone ombelicale assumeva, quindi, un
significato cosmico e creativo: dar forma alla vita differenziandola
dall’indifferenziato, o per dirla con le parole di Hornung: “dar vita al molteplice a
partire dall’uno”45.

37
Una delle formule dove si citano entrambi gli strumenti è la numero 30, attestata nelle piramidi dei faraoni
Unas e Pepi II e delle regine Neith e Oudjebten. Si veda Faulkner 1969: 8.
38
Roth 1992: 123-6; Roth 1993: 63-6.
39
Roth 1992: 127. Diversa l’opinione di Van Walsem, secondo il quale lo strumento sarebbe stato usato, anche
in epoca antica, esclusivamente nell’ambito delle pratiche di imbalsamazione (van Walsem 1978: 200).
40
Hornung 1992: 127-48.
41
In tal senso e con un processo inverso, ossia di ritorno all’utero e alla placenta, il defunto doveva rigenerarsi
prima di poter rinascere verso l’aldilà. Da questo concetto deriva molto probabilmente l’idea del sarcofago di
forma ovale particolarmente in voga nelle sepolture regali della XVIII dinastia (Thutmosi III è il caso più noto
e meglio conservato) ma espresso, dal punto di vista testuale, fin dall’epoca dei Testi delle Piramidi. Si veda
Assmann 1989: 139-40.
42
Per l’associazione della placenta con il ka dell’individuo, e particolarmente del sovrano, si vedano Blackman
1916: 241, nota 3 e Frankfort 1948: 70-4. Schweitzer, però, sulla base dell’iconografia di alcune scene rituali,
critica questa ipotesi ritenendo inverosimile tale associazione (Schweitzer 1956: 15).
43
Un’immagine molto precisa e completa in tal senso si trova in Hornung 1992: 147, fig. 18.
44
Hornung 1992: 130-33.
45
Hornung 1992: I53.

282
Sempre allo svezzamento e alle primissime fasi di vita del bambino appena
nato vengono associate anche le lamine netjeruy. Queste due lamine dovevano
servire a “purificare” la bocca del defunto risorto per consentirgli di poter ricevere
e mangiare le offerte allestite per lui, iniziando così la vera e propria vita eterna46;
un atto dal forte valore simbolico e dalle evidenti implicazioni pratiche sia nella
quotidianità della vita umana, nel caso dei neonati, che nel culto divino e funera-
rio delle statue e/o del defunto rinato, come si dice in riferimento al sovrano nei
Testi delle Piramidi47.
Altrettanto significativi sono anche alcuni passi successivi dei Testi stessi, lad-
dove si parla delle offerte che venivano portate al faraone rinato subito dopo aver
compiuto l’apertura della bocca. Dalla tipologia di offerte, si evidenzia chiara-
mente che si tratta di alimenti “iniziatici”, ossia cibi dalle valenze sia simboliche
che soprattutto pratiche, che avevano il compito di consentire la dentizione e lo
svezzamento del defunto rinato (e chiaramente del neonato e/o delle statue negli
altri casi) al fine di prepararne la vita autonoma. Solo in seguito, infatti, il defunto
riceveva la vera e propria offerta funeraria, solitamente la coscia anteriore del bue,
da cui iniziava il rituale di offerta vero e proprio48.
A questo rituale di intrinseco valore simbolico ma con esplicite ed ovvie impli-
cazioni pratiche, si deve essere aggiunto, sovrapposto ed amalgamato, un ul-
teriore, antichissimo rituale, probabilmente sviluppatosi in parallelo a quello
dell’apertura della bocca fin dalla prima epoca dinastica e definito, come abbiamo
visto in apertura, la “nascita” (meset) della divinità in questione49. Il rituale, prati-
cato originariamente sulle sole statue divine50, era finalizzato a consentir loro di
accogliere lo spirito vitale della divinità stessa ed usufruire delle offerte alimentari
che venivano loro fornite.

46
Nei Testi delle Piramidi, essendo in un contesto regale, le due lamine netjeruy rappresentano l’Alto e Basso
Egitto che danno la vita al sovrano aprendogli la bocca, con ovvio riferimento alle origini duali del successivo,
unitario stato egizio. Questa dualità simbolica rimane però anche in ambito privato e divino con chiaro riferi-
mento ai concetti cosmici di bene e male, sole e oscurità, e quant’altro che sono alla base di tutta la elaborazio-
ne teologica antico-egizia. Si veda al riguardo anche Roth 1993: 69-74.
47
Si veda Roth 1993: 118-21, con le citazioni dei relativi passi nei Testi delle Piramidi.
48
Roth 1993: 121-2.
49
Lorton 1999: 151-2. Le prime attestazioni della “creazione” o “nascita” di una statua provengono dalla Pietra
di Palermo (si veda Wilkinson 2000: 90-1) in riferimento al regno di Aha (3200 a.C. circa), primo sovrano
dell’Egitto unificato, probabilmente da identificare con il mitico Menes della tradizione erodotea (per una più
ampia analisi della cronologia, degli eventi politici e delle origini dell’Egitto dinastico, si veda Wilkinson
2000b: 377-95.
50
Dal punto di vista epigrafico (Pietra di Palermo) il rituale è testimoniato anche sulle statue regali solo a par-
tire dalla IV dinastia (Wilkinson 2000: 140-1. Una diversa interpretazione del passo in questione è data invece
da Roccati 1982: 39. Riguardo alla datazione del rituale su statue regali nell’Antico Regno si veda anche nota
20 nel presente contributo). È logico supporre, tuttavia, che esso potesse essere praticato sia sulle statue regali
che su quelle private almeno a partire dalla III dinastia, quando si verifica, infatti, un notevole incremento della
produzione statuaria privata.

283
Le finalità e la simbologia del rituale sono grosso modo equivalenti a quelle
dell’apertura della bocca ma le sue peculiari modalità di adempimento differi-
scono in alcuni aspetti. Per quello che possiamo apprendere dalle scene e dai testi
del Nuovo Regno51 punto centrale della cerimonia era la presentazione alla statua
della coscia anteriore del bovino (khepesh), la principale offerta alimentare di
qualsiasi rito funerario fin da epoca predinastica, accompagnata, o secondo alcuni
sostituita in epoca successiva, da una sorta di asta o cesello cerimoniale chiamato
dua-ur, principale strumento di culto, come ricordato in precedenza, anche del
rituale dell'apertura della bocca, come si può chiaramente constatare in una delle
scene più note della tomba di Tutankhamon52. Quest’ultimo utensile di culto, in
particolare, implica immediate connotazioni divine e stellari essendo la duat, da
cui la parola dua-ur deriva, nient’altro che il cielo stellato o meglio l’universo ce-
leste ultraterreno da cui gli dèi discendono e a cui ritornerà in ultima analisi il de-
funto risorto. La forma stessa dello strumento, una chiara stilizzazione della
costellazione dell’Orsa Maggiore53, avvalora e completa la natura divina e celeste
del rituale e dei suoi destinatari.
Ultimo momento di questo rituale, era la consacrazione delle statue che veni-
vano lavate e purificate con acqua e oli sacri e finalmente “vitalizzate” tramite il
contatto fisico, ovviamente traslato anche al piano simbolico, dell’officiante
(sacerdote o sovrano che fosse) con la statua divina per mezzo dei due mignoli
delle mani, secondo una gestualità che abbiamo già incontrata nel rituale
dell’apertura della bocca54.
È dunque probabile, per riassumere, che identici gesti simbolici fossero usati,
fin da tempo immemore, per differenti finalità rituali55, probabilmente con lo
scopo di sottolineare la loro complementarità religiosa56 e, allo stesso tempo, di
rafforzare il ruolo cultuale, ed indirettamente anche politico, del faraone, e della
classe sacerdotale che lo rappresentava, attraverso la ripetizione e cementazione di
un identico rituale57.
La creazione dell’essere vivente, con la nascita e il conseguente “svez-
zamento”, si configurava, dunque, come un momento catartico e rigenerativo58, di

51
Una delle immagini più note e meglio conservate del rituale si trova nel Libro dei Morti di Hunnefer conser-
vato al British Museum di Londra. L’immagine è pubblicata in Naville 1886: pl. 2.
52
Per l'immagine in questione si veda Reeves 1990: 72-3 con ulteriore bibliografia.
53
In tal senso si veda Roth 1993: 70. La studiosa americana associa anche la coscia bovina, nella sua forma
stilizzata, alla stessa costellazione, con analoghe implicazioni religiose e particolarmente cosmologiche.
54
Roth 1993: 67-9.
55
Roth 1992: 146-7; Roth 1993: 78.
56
Roth 1993: 69.
57
Bell, con numerosi esempi, amplia l’orizzonte di questa preposizione estendendolo alla teorizzazione e alla
pratica rituale antico egizia tout court. Si veda Bell 1992: 81-5, 170, 196-201, 218.
58
Anche a questo proposito, Bell parla di ritualità e pratica cultuale catartica come elemento basilare dell’intera
concezione religiosa egizia (Bell 1992: 70-4, 90-3, 220). Nel caso del rituale dell’apertura della bocca, però,
data l’eccezionale importanza delle sue finalità, ossia il pieno compimento della vita eterna, siamo sicuramente

284
carattere universale, in cui si ripeteva continuamente ed eternamente, sebbene in
forme specifiche e parziali nel tempo e nello spazio, l’originale atto creativo del
mondo59. Tramite queste suppellettili rituali (coltello peshes-kaf) di grande pre-
gnanza simbolica, l’essere vivente appena creato e/o rigenerato alla vita, come nel
caso del defunto, sconfiggeva il caos primordiale raffigurato da Apophis60, divi-
dendo in due quello che originariamente era unito (placenta e neonato da un lato –
defunto e caso primordiale dall’altro), ossia moltiplicando l’unità e dando forma e
vita all’informe, in ciò riproponendo, nel microcosmo della sua esistenza, la na-
scita del sole all’interno del dramma cosmico della creazione61. In seguito, il de-
funto/statua tramite le lamine netjeruy e/o l’asta dua-ur, acquisiva la sua natura
divina62, o meglio partecipava di quella scintilla vitale che era stata donata agli
uomini dagli dèi e che era simboleggiata dal materiale stesso in cui erano intaglia-
te queste ultime due suppellettili, il ferro meteorico di origine celeste e, dunque,
soprannaturale63.
A questo punto, resta da dirimere, però, la questione del come due rituali così
simili nelle funzionalità e nelle implicazioni religiose ma molto diversi, almeno
originariamente, nella pratica liturgica (se si eccettua, come abbiamo visto, la
parte del contatto con il dito mignolo delle mani) si siano incontrati per confluire
in un unico e complesso rituale così come attestato senza ombra di dubbio dal
Nuovo Regno in poi. Per far ciò bisogna brevemente ritornare all’ambito storico –
archeologico, focalizzandosi sull’evoluzione di un concetto apparentemente
estraneo alla discussione in esame, quello della definizione della regalità egizia64.

di fronte ad un rito di significato più ampio e capillare rispetto ad altri, per i quali, probabilmente, l’elemento
catartico e cosmologico era minoritario e secondario.
59
Assmann 2002: 59-68, e particolarmente 61.
60
Stricker 1975: 287-8.
61
Hornung 1992: 154. Al riguardo, e con ulteriori argomenti tratti dalla vasta produzione letterario – salvifica
dei Libri dei Morti, si veda anche l’excursus di Hornung sui fondamenti ontologici dell’unicità e molteplicità
del divino (Hornung 1992: 155-64).
62
Roth 1993: 70-4.
63
È interessante notare come la scelta del materiale di origine divina per queste due suppellettili non sia affatto
casuale ma evidentemente motivata dalla necessità di comunicare con la divinità in senso tangibile e concreto,
e non solo spirituale e concettuale, tramite “frammenti corporei” della divinità stessa. Non è escluso, perciò,
che simili oggetti fossero conservati come delle reliquie all’interno dei santuari, soprattutto quelli di epoca
pre/protodinastica, per essere poi usati nelle cerimonie cultuali quotidiane ed extraordinarie, come è ancora
oggi d’uso, mutatis mutandis, nelle religioni monoteiste. A questo proposito, con particolare riferimento al
tempio di Elefantina, Kemp fa notare come nei templi pre/protodinastici d’Egitto, a differenza delle epoche
successive, non vi fosse alcuna specifica caratterizzazione iconografica (statue/oggetti di culto) né testuale della
divinità se non attraverso piccole immagini fittili, in svariati materiali, relative alle forze animali della natura,
solo talvolta vagamente antropomorfizzate (Kemp 2000: 72-7). Questa sorta di panteismo latente nella reli-
gione egizia viene richiamato, con altre argomentazioni di carattere filologico, anche da Hornung 1992: 110-3.
Riguardo allo status differente della prima religione egizia e dei suoi templi si veda anche O’Connor 1992: 83-
98.
64
Sul concetto di regalità nell’Antico Egitto e sulle svariate implicazioni ad esso legate a livello culturale e re-
ligioso in senso lato, si vedano in particolare i due recenti contributi di Baines 1995: 3-42 e Silverman 1995:
49-92 dove si troverà anche una ampia bibliografia sull’argomento.

285
È stato fatto notare, infatti, come, in virtù dell’alto numero di ritrovamenti della
strumentazione cultuale relativa alla cerimonia dell’apertura della bocca (peshes-
kaf in particolare) nelle primitive comunità tribali, poi divenute “chiefdom”65, del
periodo Naqada I-III, sia ipotizzabile che la cerimonia dell’apertura della bocca
fosse stata originariamente appannaggio di una consistente elite politica del
paese66.
Con la graduale unificazione della terra del Nilo e con la sacralizzazione della
figura del sovrano, connotazioni “divine” devono essere state aggiunte al rituale,
verosimilmente allo scopo di rendere palese la differente, celeste natura del suo
primo destinatario67. Queste connotazioni vennero molto probabilmente prese dal
parallelo, e più importante, rituale templare delle statue, dove elementi di carattere
divino e soprannaturale (le lamine netjeruy e l’asta dua-ur) andavano a comple-
tare la cerimonia della “creazione/nascita” della statua della divinità68.
Per marcare ulteriormente questa distinzione e renderla comunitariamente ri-
conosciuta e consacrata, il tutto venne trasferito e unificato in alcuni rituali diretti
alla persona del faraone69, nella cui dualità intrinseca di umano e divino, Alto e
Basso Egitto, immagine e forma degli dèi ma corpo mortale lui stesso, si venivano
concentrando tutte le possibili implicazioni terrene e ultraterrene dei più svariati
rituali.
L’occasione e la motivazione di un tale trasferimento concettuale, se da un lato
può essere stata dovuta a necessità di culto di carattere ordinario, quali la com-
plessa gestione quotidiana del culto regale e la pratica delle offerte alimentari a lui
dedicate all’interno dei templi delle piramidi, dall’altro deve aver avuto, a mio av-
viso, una primaria motivazione di legittimazione simbolica e teologica della re-
galità, e soprattutto della sua natura divina, trascendente ed immanente allo stesso
tempo, e va quindi ricercata nelle principali e più antiche celebrazioni della re-
galità nella civiltà egizia70, in primo luogo la festa sed.
Come nel caso dei concetti religiosi di ba, ka, e akh, cui si è accennato prima,
anche nel caso della festa sed entriamo in un campo ampio e variegato, di cui è
difficile tracciare una descrizione storica uniforme e lineare, trattandosi di un
rituale che è stato molto probabilmente il risultato graduale di un insieme di più
tradizioni religiose e cultuali provenienti da differenti substrati etnici. Esula

65
Riguardo alla definizione di chiefdom e alla loro evoluzione in stato unitario, si veda Kemp 2000: 33-8.
66
Roth 1992: 133.
67
Riguardo alla trasformazione delle pratiche rituali e delle simbologie comunitarie in elementi elitari e regali
del successivo stato egizio unificato si veda in particolare Kemp 2000: 38-53.
68
È probabilmente per il loro carattere templare e non funerario che le lamine netjeruy e l’asta dua-ur sono
completamente assenti dalla documentazione archeologica predinastica e dinastica laddove, al contrario, sono
spesso citate, nella V e VI dinastia, sia nei Papiri di Abusir che nei Testi delle Piramidi.
69
Kemp 2000: 53-64, e particolarmente 59-62.
70
Si veda anche quanto detto da Bleeker 1967: 23-6 sulle differenti tipologie di festività.

286
d’altronde dagli orizzonti del presente contributo una sua trattazione specifica, per
la quale, ancora una volta, si rimanda alla amplissima produzione scientifica71.
Sta di fatto, però, che il momento saliente della festa era la corsa rituale del
sovrano intorno al campo consacrato, da ripetersi quattro volte come abbiamo
visto anche nel caso dell’apertura della bocca e del rituale di culto sulle statue72.
La corsa era accompagnata e preceduta dallo stendardo di Upuaut, il dio sciacallo
“che apre le vie”, in epoche successive spesso identificato con Anubis e, dunque,
dai chiari connotati funerari73.
Uno dei momenti simbolicamente più pregnanti di questo rituale, che im-
mediatamente precede la corsa vera e propria ed è chiaramente raffigurato in un
rilievo della festa sed nel tempio solare di Niuserra, era il contatto simbolico fra
i due mignoli del sovrano e il suddetto stendardo divino, dotato di un ureo
(valenza regale) e retto dal sacerdote (rappresentante) delle “Anime di Ieracom-
poli”, sostanzialmente le anime degli antenati defunti divinizzati, ossia, in senso
traslato, le divinità tutte74.
È molto probabile, quindi, che il faraone sia qui raffigurato mentre sta com-
piendo allo stesso tempo l’apertura della bocca e la consacrazione, secondo le due
tipologie di rituale di cui si è detto in precedenza, di una insegna/stendardo divino
che rappresenta ed impersona, in senso simbolico e corporeo allo stesso tempo,
l’intera comunità degli dèi. Questi precedono e assistono il sovrano nel più deli-
cato momento del rituale, quello della rinascita tramite la corsa rituale, avvaloran-
done la sua legittimità dinastica75. Il sovrano, dal canto suo, compiendo la corsa
dimostra di aver riacquisito le forze vitali e cosmiche della creazione originaria,
confermando il proprio diritto divino a governare76. Il carattere allo stesso tempo
funerario e regale dello stendardo (vedi quanto detto sopra) completa il quadro af-
fermando, in un sola sequenza scenica, la compenetrazione del sovrano con le
divinità e il passaggio di consegne, e di natura, dalle une all’altro. Il fatto che la
celebrazione della festa Sed si concluda con la visita delle cappelle divine da parte

71
Si vedano soprattutto Bleeker 1967: 96-123 e Hornung, Staehelin 1992 con ulteriore bibliografia.
72
Bissing, Kees 1922: 85-90, e particolarmente 89.
73
Sulle più ampie implicazioni di Upuaut nelle origini della religione egizia e delle sue celebrazioni festive si
veda anche Kees 1956: 26-37.
74
Per il disegno del frammento in questione si veda Bissing 1923, Bl. 13, nr. 33b.
75
Nuzzolo 2010b: 85-99, e particolarmente 94.
76
Si deve notare, inoltre, che in queste scene delle corsa rituale (e non solo nel caso delle scene provenienti dal
tempio solare) il sovrano reca nelle mani il cosiddetto scettro mekes, un particolare tipo di scettro, di piccole
dimensioni e con le estremità appuntite, che viene comunemente interpretato come un’arma/bastone da com-
battimento (per maggiori dettagli sul significato e sulla forma del mekes si veda Kees 1986: 1375-6). Conside-
rando la palesa somiglianza di questo oggetto con il peshes-kaf, nonché il particolare contesto rituale in cui
ricorre all’interno della festa Sed (vedi quanto detto sopra), non è escluso che anch’esso (mekes) possa avere
avuto a che fare, almeno originariamente, con la celebrazione del rituale dell’apertura della bocca e che possa
essere, quindi, interpretato, alla pari del peshes-kaf, come una sorta di coltello/strumento rituale. Uno studio più
approfondito sulla questione è in fase di realizzazione da parte di chi scrive.

287
del sovrano che rende loro omaggio con offerte del tutto simili a quelle normal-
mente impiegate in ambito funerario, momento cultuale ancora presente nelle
scene di epoca tolemaica, completa la quadratura del cerchio, assimilando, in
un’unità semantica unica, le istanze funerarie con quelle della regalità e del culto
divino77.
È evidente, tuttavia, come nel prosieguo temporale della storia egizia questo
complesso rituale (apertura della bocca + rituale sulle statue, la festa Sed rima-
nendo sempre ed unicamente una prerogativa regale), fra l’altro oramai assimilato
in un unico modulo celebrativo come detto in precedenza, sia gradatamente pas-
sato dall’ambito regale a quello privato, seguendo, con modalità e tempistiche di
cui è qui superfluo parlare, il più graduale e noto fenomeno storico – antropo-
logico della “democratizzazione” dell’aldilà o, per dirla con le parole di Assmann,
della “demotizzazione” delle pratiche e delle simbologie funerarie78.
Un ultimo aspetto di carattere socio – culturale merita, infine, d’esser ricordato:
la presenza e centralità nel rituale dell’apertura della bocca del “figlio amato” del
defunto, menzionato sia nella forma testuale più antica della cerimonia, i Testi
delle Piramidi, che nei più recenti Libri dei Morti, e presente fin nelle ultimissime
versioni dell’epoca tarda79. Se da un lato la sua presenza appare scontata, con-
siderando il fatto che in tutte le società antiche il figlio primogenito era destinato
alla successione patrilineare dell’eredità e del potere familiare, dall’altro, come
sottolineato da più parti, costui ha immediati ed espliciti richiami con il paradigma
osiriaco e con i misteri della sua morte e resurrezione80, richiami che arrivano in
molte versioni dei Libri dei Morti, anche in contesto privato, a citare esplicita-
mente come Horus il figlio del defunto, protagonista della parte centrale della
cerimonia, un ruolo cerimoniale e mito-poietico un tempo prerogativa esclusiva
del sovrano e/o del sacerdote ritualista81.
Ancora una volta, dunque, un archetipo regale viene messo a disposizione di
una moltitudine di “persone comuni” la cui perpetuazione del rituale diventa di
per se stessa garanzia e convalida della sua costante efficacia ed eterna validità.
Quanto detto, d’altro canto, testimonia ulteriormente della natura multiforme e
sfaccettata della concezione religiosa e della speculazione teologica egizia, in cui
il sincretismo di metafore e significati, continuamente arricchiti, reinterpretati e

77
Nuzzolo 2010b: 121-2. Sulle implicazioni escatologiche ed ultraterrene di quest’ultima parete della cerimo-
nia, ossia la visita alle cappelle divine, si veda anche Hornung, Staehlin 1992: 41-6.
78
Assmann 2005: 73-75 con ulteriore bibliografia. Il termine “demotizzazione”, recentemente introdotto da
Assmann, appare evidentemente più consono al contesto storico-religioso e sociale dell’Antico Egitto, laddove
il precedente termine “democratizzazione”, coniato nei primi del Novecento, implica connotazioni politico-
sociali evidentemente anacronistiche e fuorvianti.
79
Per l’analisi della sequenza completa del rituale nelle vignette dei Libri dei Morti, si veda Assmann 2005:
310-7.
80
Griffith 1980: 234.
81
Goyon 1972: 96-7; Schmitz 1984: 833-6.

288
vivificati, non inficiava la pratica cultuale e rituale ma la rendeva, anzi, sempre
più viva ed efficace perché legittimata dalla potenza e dal prestigio della tradizio-
ne.

289
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Indice analitico

Aba-Ninnu-dari (Abba-Ninznu-dāri), 44-45


Abammone, 174, 177, 189, 197, 204, 226, 234, 239, 241, 256-57, 264, 270
Abido, 245, 246, 276
Abiesuh, 44, 46
Abusch, Tzvi, 39
Abusir, Papiri di, 280-81, 286
Abzu v. Apsû
Accademia, 15
Adad (Hadad), 25, 28, 48, 140
Adad-apla-iddina, 44, 46, 51
Adapa, 43, 45, 47, 49, 51, 55-57
Adler, A., 67, 141
Afrodite, 31
Agostino da Ippona S., 11, 69, 142, 225
Agrippa, Enrico Cornelio di Nettesheim, 71, 134, 271, 258
Aha, 279, 283
Ahiqar (Ahuqar, Ahu’uqâri), 44, 45, 47, 49
Ahlamu, 44-45
Albanese, Luciano, 16, 67, 94, 109, 119, 142, 235
Albino/Alcinoo, 67
Alessandria d’Egitto, 12, 14, 173
Alessandro Magno, 15, 40, 210
Alessandro Tolomeo, 40
Alighieri, Dante v. Dante (Alighieri)
Alto Egitto, 245
Amaletê, 218
Ammone, Amon, 210, 256, 258
Ammonio Sacca, 14
Amon v. Ammone
An (Anum), 26-28, 32, 44, 55-56
Anassagora, 233, 238
Anebo, 30, 173-74
Anima Mundi, 14
Antalia, 15
Antico Testamento, 12, 49, 173
Antioco di Ascalona, 68
Antioco VII, 40
Antro delle ninfe (l’), De Antro Nimpharum, 16, 173
Anubis, 234, 287
Anum v. An

299
Apamea, 14
Aphutis, 210
Apollo, 19, 251
Apophis 282, 285
Apsû, Abzu, 28, 32-33
Apuleio, 67-68, 85, 111, 252
Ares, 31
Aristotele, 77, 79, 86, 91, 103, 116, 125, 127, 179, 182, 194, 256, 260
Arnobio, 69, 101
Artemide Prasia, 211
Asaluhi, 17, 20-23, 25, 28-29, 31. 36, 42
Asclepio, 214
Assagioli, Roberto, 270
Assiri, gli (soprannome dei due Giuliani), 105, 140, 154, 193, 253
Assmann, Jan, 13, 30-31, 246, 275, 281, 288
Assur, 47
Atra-hasīs, 43
Attis, 16
Atum-Ra, 282
Augusto, 12
Babilonia, 20, 40, 46
Babyloniakà, 40, 52
Bacco, 210, 212
Bad-tibira, 53
Basilide, 13
Bazan, G., 72
Beierwaltes, W., 95
Bell, Catherine, 284
Berkeley, G., 71, 147
Bernabé, A., 121, 128
Bernal, Martin, 13
Berosso, 40, 52, 54, 55
Bidez, J., 69
Bieler, L., 116
Bikini, 56
Bitys v. Bytus
Black, Jeremy, 37
Blackman, Alyward Manley, 281
Boezio, S., 70, 94, 116
Boissonade, J.-F., 114, 148
Bolshakov, Andrey Oleg, 277
Bovillus, C., 100, 144
Branchide, 213
Broze, Michèle, 188, 228, 241, 246, 256-58, 27-72

300
Bruno, G., 71, 115
Bytus, profeta egiziano, 258, 272, 262, 272-73
Calcide, 7
Cappadocia, 211
Castabala, 211
Celso di Alessandria, 67, 138
Cesare, Caio Giulio, 215
Champollion, Jean-François, 13
Cheope, 279
Cheremone, 245, 247, 255, 257, 261-62, 265
Chiara (S.), 211
Chiaradonna, Riccardo, 14
Cibele, 212
Cicerone, M. T., 116, 212, 224
Clario, 213
Clarke, Emma C., 184, 188, 226, 228, 230, 236-37, 239-41, 244-45, 248, 251, 256-58,
264-66, 272
Claudio, 12
Colonia, 258
Colophone, 213
Commodo, 14
Coribanti, 212-13
Corpus Hermeticum, 11, 13, 78, 87, 97, 106, 119, 124, 173, 177, 251, 243, 247, 256,
258, 260, 264, 268-69, 273
Cousin, V., 87, 93, 95-97, 101, 110, 130-31, 144
Couvreur, P., 141
Cramer, J. A., 126
Cremer, F. W., 107, 109, 193, 205-06, 208, 243, 247
Cristo, 12, 19, 27, 30
Cudworth, Ralph, 13
D’Anna, Nuccio, 30
Damascio, 15, 70-73, 86, 88-90, 92, 96, 99, 104-07, 109-10, 135, 138, 141-42, 146,
147, 193, 197, 205
Damgalnuna, Damkina, 20-21, 42
Damkina v. Damgalnuna
Dante (Alighieri), 13, 226, 228, 271
De Antro Nimpharum v. Antro delle ninfe
Decani, 261, 268
Decio, 115
Deir el Bahari, 280
De Iside et Osiride, 13, 234
De Lachenal. L., 115
Delfi, Delphi, 213, 270
De Mysteriis Aegyptiorum v. Misteri degli Egizi (I)

301
Della sapienza riposta nella letteratura antica seguita da Dante, 13
Delta, 250
Democrito, 177
Des Places, E., 68-70, 73, 78-82, 89, 91, 107, 111, 120, 147, 150, 193, 224, 253, 261
Didimo il Cieco, 88, 150-51
Diehl, E., 78, 85-88, 90-91, 95-96, 98-99, 101-05, 111, 113-15, 122, 125, 127, 130-31,
142-47, 149, 154, 261
Diels, H:, 102, 131, 144, 148
DiIllon, John M., 184, 188, 226, 228, 230, 236-37, 239-41, 244-45, 248, 251, 256-58,
264-66, 272
Dingir-mah, 33
Dionigi Aeropagita, Pseudo, 142, 145
Dioniso, 212
Discesa di Inana agli inferi, 22
Disciplina etrusca, 120
Dodd, C. H., 87
Dodds, E., 68, 72-73, 88, 99
Dracula, 31
Duffy J. M., 154
Dumuzi, 16
E’engura (E2-engur-ra), 21
E2-Ninkarnuna, 48
Ea, Enki, 20-24, 26-28, 31-33, 42-43, 47-48, 50, 56-57
Eana (tempio), 44
Ebla, 27
Ebraismo, 77, 80, 87-88, 93, 118, 128, 130, 134, 139-40, 155
Ecate, 14, 16
Eckhart, M., 76, 93
Edfu, 280
Efesto, 256
Egeo (mare), 212
Egitto, 12-14, 40, 49, 240, 258, 270, 272, 273, 275, 277-78, 281, 281, 283, 285-86, 288
Elagabalo, 253
Elefantina, 285
Eliade, Mircea, 26, 79
Eliano, 234, 247
Eliopoli, 279
Emeph, 214
Emesa, 15
Empedocle, 238
Englund, Gertrude, 277
Enki v. Ea
Enlil, 22, 26-29, 43, 56
Enlil e Namzitarra, 22

302
Enlil-ibni, 44-45, 47, 51
Enmeduranki, 25, 43-44, 50
Enmer-kar (En-mer-kar2), 42, 44, 48, 51
Enneadi, 236-37
Enūma eliš, 56
Ephesia grammata, 134, 253
Eraclito, 127
Eresh-ki-gal, 25
Eridu, 21, 26, 47, 48, 53
Eritreo (mare), 53
Ermete (Hermes), 177, 240, 255-58
Ermete Trismegisto, vedi Corpus Hermeticum
Ermia di Alessandria, 141
Erra v. Poema di Erra
Esaggil-kinapla (Esangil-kīn-apla), 44-45
Esaggil-kinubba (Esangil-kīn-ubbab), 44-45
Esarhaddon (Aszszur-ahiddina, Aszszur-ah-iddina), 44, 46
Esculapio, 210
Esiodo, 42
Essenza del male (Sull’), 228
Etana, 43
Euclide, 67
Eudosso, 177
Eunapio, 207, 224, 244
Eusebio di Cesarea, 69, 72, 108, 152-53, 157
Faust, 214
Fedone, 12, 237
Fedro, 213, 230, 236-37, 248, 266
Fenicia, 12, 15
Festugière, A. J., 91, 145
Feuerbach, L., 261
Ficino, M., 70-71, 174, 247
Filone Alessandrino, 12, 173
Filopono, Giovanni, 153, 157
Filosofia occulta o la magia (la), 258
Finamore, John F., 180
Firmico Materno, 268
Foster, George M., 19
Fowden, Garth, 260
Francesco (S.), 211
Friedlein, G., 84, 110, 134, 139
Frigia, 212
Genesi di Eridu (la), 43
Geroglifici, 115

303
Gershevitch, I., 138
Gesù v. Cristo
Giamblico, 7-8, 11-12, 15-16, 28, 30, 34, 68-69, 75, 78, 91, 102, 107, 109, 113, 120,
123, 129-30, 133-34, 137, 174, 177, 189, 193-94, 197, 201-04, 211, 221, 225-26,
231, 234, 239, 241-44, 247, 252-53, 256-58, 264, 268, 270, 273
Giappone, 30
Gilgamesh (Gilgameš), 25, 44-46
Ginzburg, Carlo, 40
Giove, 31
Giuliani (i due: il caldeo e il Teurgo), 16, 13
Giuliano il Caldeo, 67, 69, 70,73, 75, 105, 108, 110, 113, 115, 130, 139-40, 193, 205,
225, 242, 253, 273
Giuliano il Teurgo, 67, 70, 73, 75, 105, 108, 110, 113, 115, 130, 139, 140, 193, 205,
225, 242, 253, 273
Giuliano Imperatore, 11, 16, 69, 81, 102, 145, 156, 253
Giustiniano, 15
Giza, 281
Glassner, Jean-Jacques, 24-25, 29
Gnosticismo, 77-78, 85-86, 94, 96-97, 100, 260
Goethe, Johann Wolfgang, 214
Gordiano III, 14
Goyon, Jean-Claude, 281
Grande Madre, 211, 213
Green, Anthony, 37
Grenoble, 9, 258
Gudea, 25
Guénon, René, 52
Gula, 51
Gundel, W., 261
Hadot, P., 77, 89, 140
Haussperger, Martha, 37
Hegel, G. W. F., 78, 96, 118, 261
Heiberg, J. L., 80
Heidelberg, 246
Heka, 256
Helck, Wolfgang, 281
Helios, 251
Hermes v. Ermete
Hershbell, Jackson, 228
Hillman, James, 196
Hornung, Erik, 282, 285, 287
Horus 246, 251, 288
Hume, D., 208
Hunnefer, 284

304
Ibbi-Sîn, 44, 46
I Ching, 209
Ieracompoli, 287
Ierocle di Alessandria, 119, 124
Igigi, 43
Ikhtôn, 256
Iliade, 19
Imopht, 214
Inana, 16, 28, 37, 43, 48
Inana e Szukalletuda, 43
India, 14
Inno della perla, 77, 121, 148
Ir-ta, 256
Ireneo di Lione, 80
Ishkur (Iškur), 25, 28, 48
Iside (Isis), 234, 245-46, 255, 118, 128
Isin, 46, 52
Isis v. Iside
Išbi-Erra, 44, 46
Ištar, 28, 38, 44, 48
Išum, 36
Jacobsen, Thorkild, 30, 32, 34, 55
Jiménez San Cristóbal, A., 121, 128
Johnston, S. I., 76, 100, 112, 132, 273
Kabti-ilāni-Marduk (Kabtuilâni-Marduk), 44-45, 51
Kali (in: Kali yuga), 42
Karnak, 276
Kematef, 256
Kemp, Barry, 285
Keplero, G., 102
Kern, O., 116
Khepri, 276
Kieszowski, B., 71
Kiš, 48
Klibansky, R., 82
Klutstein, I., 71
Kmeph, 256
Kovács, P., 67
Kroll, W., 67-157, 152
Labowsky, C., 81-82
Lanzi, S., 67, 70, 77, 87, 91, 95, 99-100, 113, 136, 139, 161
Larak, 54
Lenaz, L., 69
Lethê, 218

305
Levante, 12
Lewy, H., 61, 67-157, 193
Libro dei morti, 247, 252
Libro delle Piramidi, 247, 252
Licia, 15
Licopoli (Egitto), 173
Lido, G., 69-70, 89, 97, 102, 123, 135, 141, 143, 149, 151
Lisandro, 210
Lista Reale Sumerica (SKL), 41, 43, 52, 54-55
Liturgi, 268
Londra, 284
Lorton, David, 281
Lu-Nanna (Lu2-Nanna), 48, 51
Luna, 188, 234, 245, 257
Maat, 278
Macedoni, 40
Macrobio, 71, 78, 140
Madre degli dèi, 212
Maestro di casa (v. anche Signore della casa), 264-65
Magris, A., 278
Mahé, J.-P., 260, 262
Majercik, R., 71, 75, 78, 81-83, 85, 99, 149
Mander, P., 154
Marco Aurelio, 13, 67
Marduk, 17, 20-23, 25, 28, 31, 36, 40, 42, 56
Marino di Neapoli, 148
Mario Vittorino, 69
Marsia, 212
Marte, 31, 189
Martinez de Pasqually, 9
Marziano Capella, 69, 77, 102, 144, 268
Mediterraneo Orientale, 13
Mefistofele, 214
Meme, 51
Menes, 283
Menfi, 279
Mentuhotep II, 280
Mercurio, 13, 38
Mesopotamia, 16-17, 20, 40-41, 43, 50, 52, 278
Metafisica, 256
Metjen, 276, 278
Michele Italico, 77, 87, 126
Minturno, 173
Mischwesen, 41, 53

306
Misteri degli Egizi (I), De Mysteriis Aegyptiorum, 7-8, 11, 16, 174
Mitraismo, 73, 75, 78, 81, 91, 99, 102, 106, 115, 125, 130, 133-34, 138, 143, 145-46,
154-55, 253
Moreschini, Claudio, 7, 179, 187-88, 186, 211-13, 226, 228, 236, 240-41, 245, 257-58,
266-67, 272
Mullach, C., 124
Musa, 248
Nabû, 38
Nabucododonosor (Nabû-kudurusyur, Nabû-kudurrî-usyur), 44, 46
Nanna, 26, 28
Nanshe, 25
Napoli, 13
Naqada, 281, 286
Navaho, 19
Neferirkara, 280
Neith, 282
Nergal, 25
Nerone, 261
Nettesheim, 258
Nettuno, 31
Niceforo Gregora, 108, 134, 148, 152-54
Nicomaco di Gerasa, 212
Nilo, 248, 255, 258
Nin-hursang, 16, 28, 33
Nin-ildu, 32
Nin-kura, 32
Nin-zadim, 32
Ningirsu, 25
Ninive, 47, 49
Nintu, 43
Niuserra, 279, 287
Noè, 43
Norden, E., 68
Norvin, W., 98, 103, 113, 128, 130, 143, 148
Numenio di Apamea, 14, 67-69, 78, 80-81, 84, 87, 91, 111, 120, 252-53, 258, 260-61
Nun-gal-pirig-gal-dim2 (Nun-gal-pirig-gal), 44, 48
Oannes, 41, 43, 53-55
Odissea, 173, 238
Olimpiodoro, 98, 103, 113, 128, 130, 143
Olimpo, 212
Omero, 93, 173, 238, 259
Opere e i giorni (le), 42
Oracoli caldaici (Oracula Chaldaica), passim e 7, 11-14, 16, 173, 177, 193-94, 201,
205-08, 224-25, 231, 235, 237, 241-43, 247, 251-53, 268-69, 273

307
Orfici, 77, 111, 113-14, 116, 121, 125-26, 128, 140, 145, 147
Oriente, 11, 15
Origene, 258
Orsa Maggiore, 284
Osiride (Osiris), 234, 245-46, 255, 257, 276
Ostiliano, 115
Otto, Eberhard, 280
Oudjebten, 287
Ozaki, Thoru, 30
Palermo, Pietra di, 279, 283
Paracelso, 215
Parmenide, 14
Parthey, 174
Parti, 40
Pascoli, Giovanni, 229
Pasquali, G., 81, 85-86, 92, 101, 106, 112, 120, 124, 128, 132, 135, 139-40, 145, 147-
49
Patrizi, F., 71, 76, 79-80, 87, 95, 99, 101, 108, 120, 142
Persico (golfo), 56
Pazuzu, 36
Pepi II, 282
Persia, 40
Pico della Mirandola, 71
Pimandro, 271
Pio da Pietralcina S., 19
Pirig-gal-abzu, 48
Pirig-gal-nun-gal, 48
Pitagora, 177, 212
Pitra, J. B., 119, 125, 140-411, 147
Pizia v. Pythia
Platone, 12, 14, 68, 70, 73, 79, 85, 91, 93-94, 97, 102, 105, 109, 114-16, 123, 125-127,
137, 152, 173, 177, 182, 184, 187, 196, 205, 213, 226, 228, 230, 234, 236-37, 239,
241, 248, 253, 257-58, 260-61, 265, 267-68, 272-73
Platonici di Cambridge, 71
Pletone, Giorgio Gemisto, 70, 76-77, 81, 83-84, 100, 108-10, 112-13, 116-23, 126-27,
130, 133, 136-39
Plotino, 9, 14, 68-69, 75, 77, 79, 81, 83, 86-87, 93, 95-96, 100, 109, 119, 122, 124, 137,
139, 142, 173, 187-88, 194-95, 204, 208, 210, 217-18, 227, 236-37, 239, 242, 252-
53, 256, 260, 263, 266, 270
Plutarco di Cheronea, 13, 102, 234
Poema di Adapa, 43, 56
Poema di Erra, 36, 42, 46
Porfirio, 9, 11, 14-16, 30, 68-69, 71, 73, 77, 85, 98, 108-109, 115, 117-19, 127, 134,
137, 140, 150, 152, 172-74, 177-79, 182-84, 187-88, 190-91, 193-95, 197, 202-04,

308
207-10, 212-14, 216-18, 222, 224-26, 234, 236-37, 239, 242-45, 247-48, 253, 255,
261-62, 264-68, 270-71, 273
Porto, E., 106, 110-11, 118, 123, 126, 144
Poseidone, 31
Proclo, 11, 15, 67-68, 70, 73, 76, 78, 81, 84-85, 88-89, 92-93, 95, 97, 99-100, 102, 105,
108-11, 113, 115, 140-150, 151, 154, 187, 197, 202, 205, 228, 241, 261, 273
Psello, M., 67, 70-71, 73, 76, 78, 80-81, 83-84, 87, 91, 100, 108- 14, 116-23, 125-27,
133-34, 136-39, 143, 148, 150, 154, 193, 206, 236, 242, 258
Ptah, 256, 261, 279
Pugliese Carratelli, G., 96
Pythia, 213
Quandt, W., 111, 114
Râ, Ra, 183, 251, 258, 276, 279
Re primordiali, 43-44, 53
Reale, Giovanni, 12
Reghini, Arturo, 258, 271
Regno delle due Sicilie, 13
Reichardt, G., 153
Reiner, Erica, 35, 37, 47-48
Repubblica, 237, 248, 266, 272
Rinascimento, 13
Roma, 14, 173
Rosenkranz, K., 78
Ross, W. D., 77
Roth, Ann Macy, 281-82
Ruelle, C.-A., 76-77, 86-88, 90, 92, 96, 99, 103, 104-07, 109-10, 135, 138, 141-42, 145,
147-48
Sabazio, 212-13
Saffrey, H. D., 81-82, 97, 111, 129, 149
Saggi primordiali, 44, 51
Saggil-kīnam-ubbib, 51
Sais, 258
Salustio, Saturnino Secondo, 81
Salmescoiniakà, 255, 260-61
Santo Domingo, 9
Sapienti primordiali, 44, 51, 53-54
Saqqara, 276, 281
Sargonidi, 46
Sassanidi, 14, 17
Sathas, K. N., 242
Saturno, 189, 212
Scarpi, P., 260
Schelling, F. 96
Schenkl, H., 136

309
Schnabel, Paul, 41
Schoell, R., 135-36
Scholem, G., 80, 130
Schweitzer, Ursula, 282
Seleucidi, 40
Seleuco, 40
Seng, H:, 144-45
Senocrate, 116
Servio, 144
Seth, 245, 250
Sette (i), 36
Sha naqba imuru (Ša naqba imuru), 25, 46
Sidu (Si-du3), 44-45, 51
Signore della casa (v. anche: Maestro di casa), 268
Silenzio, 256
Simplicio, 80, 132, 145, 148
Sîn, 26, 28, 38
Sîn-liqe-unnini, 51
Sinesio di Cirene, 69, 113, 124, 127, 130, 151
Sînliqeunnini (Sîn-liqê-unninî), 44-45
Sippar (Zimbir), 25, 54
Siria, 12, 15
Siriano, 69
Smith, Mark, 281
Snefru, 279
Socrate, 182
Sodano, A. R., 115, 181, 189, 196-97, 205, 212, 224-25, 228, 234-41, 242-43, 245, 247,
250-51, 256, 260, 265, 270, 272
Sogno di Scipione, 212
Sokar, 276
Sole, 188, 234, 245, 249, 255, 257
Solone, 258
Steel, C., 82-83, 140
Steuco, A., 71, 155
Stoicismo, 68, 79, 86, 90, 92, 94, 118, 131, 261
Suen v. Sîn
Šamaš, 25, 28, 31, 38
Šukalletuda, 43
Šulgi, 48
Šumeme (Šu-Meme), 44
Tambrun-Krasker, B., 71, 81, 100, 158
Taqiš-Meme (Taqiš-Gula), 44
Tarda Antichità, 13, 16
Tardieu, M., 72, 83, 89, 99-100, 116, 130, 140, 148

310
Tarocchi, 209
Taylor, Thomas, 71, 178, 187, 202, 212, 215, 228
Teeteto, 228
Teodicea Babilonese, 46
Teodoreto di Ciro, 152-54
Terzaghi, N., 124, 136, 152-53
Theiler, W., 82-83, 102, 140, 144
Thilo, G., 102
Thot, 13, 257
Thutmosi III, 282
Ti’amat, 56
Tibullo, 113
Tifone, 245, 250
Timeo, 184, 226, 248, 257-58, 265
Tiro, 15, 173
Tolomei, 40
Tolomeo, C., 193, 268
Tonelli, A., 72
Totti, M., 128
Traiano, 67
Turchia, 15
Turner, J.D., 78
Tutankhamon, 284
Uan (U4-An), Uanadapa, 44-45, 51, 55
Ugolino (conte), 225
Unas, 282
Upuaut, 287
Ur, 26, 46, 49, 52
Uruk, 41, 43-44
Utanapisztim, 43
Utu, 25, 28, 31
Utukku, 23
Valentino (gnostico), 13, 85-86, 94
Van den Berg, R. M., 100, 273
van Dijk, Jean, 43, 53, 55
van Liefferinge, Carine, 188, 228, 241, 246, 256-58, 271-72
van Walsem, René, 281-82
Vecchione, Carlo, 13
Vedanta, 14
Venere, 31
Vento del Sud, 56
Vicino Oriente (Antico), 12, 15, 49-50
Vita di Plotino, 239
Vittorino, Mario, vedi Mario Vittorino.

311
Westerink, L. G., 78, 83, 97-98, 111, 124, 129, 135, 143-44, 149
Wiggerman, Frans A. M., 35
Wilder, Alexander, 178-79, 183, 187, 212, 214-15, 220, 228
Wolff, G., 66, 147-8, 150-2.
Wuensch, R., 69, 89, 97, 102, 123, 135, 140-41, 143, 148-151
Yoshikawa, Mamoru, 38
Žabkar, Louis Vico, 277-78
Zeus, 31
Zintzen, C., 141
Ziusudra, 43
Zoroastrismo, 79, 130, 155
Zoroastro, 70
Zosimo di Panopoli, 262

312
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