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Idealismo e Romanticismo

Romanticismo
Introduzione:

Il Romanticismo è una corrente culturale che si diffonde in Europa nei primi decenni del XIX secolo,
che viene però, in un certo senso, preparato e anticipato in Germania dal movimento dello Sturm und
Drang (traducibile come «Impeto ed Assalto»), convenzionalmente ritenuto attivo fra il 1765 ed il 1785 ed
di cui una delle personalità più note fu il letterato ed intellettuale Johann Goethe.
Conseguentemente, all’epoca, la Germania entrò in competizione con la Francia: entrambi i paesi
volevano infatti avere il primato culturale europeo.

La contrapposizione all’Illuminismo:

C’è poi da aggiungere che prima che accadesse negli altri paesi europei, la cultura tedesco polemizzò
contro il razionalismo illuministico, valorizzando la libertà e la spontaneità creativa del genio
individuale: ciò comporta la rivalutazione dell’arte e del sentimento.

Quest’ultimo aspetto accomuna le varie correnti romantiche di quel periodo.

I Romantici condannarono l’Illuminismo ritenendo che lo stesso abbia prodotto una cultura
eccessivamente materialistica, che ha condotto all’ateismo ed agli eccessi della Rivoluzione Francese (più
specificatamente al Terrore) poi proseguiti con la dominazione di Napoleone.

Il concetto di Nazione:

In un certo senso possiamo quindi constatare sotto l’aspetto ideologico, da parte degli intellettuali romantici,
due comportamenti differenti: in una prima fase gli stessi si dimostrarono favorevoli alla Restaurazione,
ritenendo che la stessa potesse eliminare i già citati eccessi illuministici, mentre in una seconda fase
promossero invece la diffusione del liberalismo.

In particolare in quest’ultimo periodo il Romanticismo introdusse anche il concetto di «nazione»,


contribuendo quindi al senso di identità dei popoli che combatteranno per l’indipendenza o l’unificazione
del territorio.

La storia:

Cambia inoltre la visione della storia, poiché secondo la cultura romantica tutte le epoche hanno una
loro importanza: l’uomo infatti realizza un piano superiore preordinato che rende quindi ogni periodo
necessario.
In tal senso, ancora una volta in contrapposizione all’Illuminismo, viene rivalutato anche il Medioevo che
secondo gli intellettuali romantici si è fatto portavoce di valori spirituali e popolari considerati
importanti per l’identità di una popolazione.
La spiritualità:

Viene quindi anche rivalutata la spiritualità, poiché sia l’arte che la religione sono considerate attività
spirituali che permettono all’uomo di accedere alla vera essenza delle cose, di toccarne alla profondità.
Ciò si contrappone nuovamente alla visione prettamente meccanicistica e materialistica degli illuministi.

L’uomo romantico è, per definizione, colui che avverte una scissione: da un lato tende all’infinito, ma
dall’altro si rende conto che la sua imperfezione non gli consente di raggiungere questa dimensione,
nonostante lo sforzo (streben) che egli compie.
La conseguenza di ciò per molti è il suicidio, tuttavia altri riescono ad accettare tale dimensione finita
esprimendo un lamento verso l’infinito attraverso l’arte e le opere letterarie.

Idealismo

Questo bisogno di infinito viene espresso dalla filosofia idealistica, la quale ha come premessa il dibattito
apertosi tra i seguaci di Kant che, a prescindere dalle loro speculazioni individuali, furono accomunati
dalla critica al Criticismo kantiano.

In particolar modo polemizzano contro alcuni dualismi irrisolti:

- Il dualismo fondamentale della filosofia kantiana, ovvero la contrapposizione fra fenomeno e noumeno
- Il dualismo tra necessità e libertà

I seguaci di Kant non riuscirono tuttavia a superare le suddette opposizioni, in quanto rimasero
ancorati all’ambito gnoseologico.

Gli idealisti invece superarono questa prospettiva andando a recuperare la dimensione metafisica, di
cui il filosofo di Konigsberg si era dichiarato un «innamorato deluso».

Il termine idealismo possiede una molteplicità di significati: nella lingua corrente utilizziamo l’aggettivo
«idealista» per far riferimento a chi possiede dei valori o ideali per cui sarebbe disposto anche a sacrificare la
propria vita, tuttavia in senso filosofico occorre fare alcune precisazioni.

- Con filosofie idealiste possiamo intendere infatti tutti quei sistemi di pensiero che svalutano la realtà
sensibile, per dare maggiore importanza ad una invece ultraterrena o trascendente (similmente a quanto
aveva fatto Platone con l’Iperuranio)

- Un altro significato più specifico di «idealismo» è quello che invece lo descrive come corrente filosofica
sviluppatasi in Germania, fondata da Fichte ed i cui esponenti furono Schelling ed Hegel (quest’ultimo
rappresentante più importante della corrente stessa poiché ideatore dell’Idealismo assoluto).
Hegel

Biografia

George Wilhelm Friedrich Hegel nacque a Stoccarda nel 1770, città dove diede inizio ai suoi studi
presso il Gymnasium.
Nel 1788 entrò a far parte dello Stift, collegio teologico di Tubinga dove strinse amicizia con il filosofo
idealista Schelling.

Allo scoppio della Rivoluzione francese, il giovane filosofo fu tra i sostenitori più accesi dei nuovi principi.

Completato nel 1793 il ciclo di studi, Hegel lavorò come precettore fino al 1796, trasferendosi prima a
Berna e successivamente a Francoforte: gli scritti di questi anni (pubblicati soltanto tardivamente nel 1907),
per la loro tematica comune, furono riuniti in una raccolta denominata Scritti teologici giovanili.

Nel 1799 il filosofo subì la morte del padre, che tuttavia gli lasciò una consistente eredità consentendo ad
Hegel di abbandonare la professione di precettore e di spostarsi a Jena dove si abilitò all’insegnamento
accademico e permase come libero docente fino al 1807, collaborando contemporaneamente al Giornale
critico della filosofia con Schelling.

Lasciata la cittadina dopo l’occupazione francese, il principale esponente dell’idealismo si spostò dapprima a
Bamberga, dove pubblicò Fenomenologia dello Spirito, e successivamente a Norimberga, dove scrisse la
Propedeutica filosofica.

Nel 1816 Hegel venne nominato professore di filosofia dell’Università di Heidelberg , dove si dedicò ad
un’esposizione organica del proprio sistema nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, opera che subirà poi
una ripubblicazione in una seconda edizione del 1827.

Nel 1818 ottenne invece l’incarico di professore all’Università di Berlino, nuova istituzione che nonostante
la recente fondazione divenne già un importante polo culturale europeo ed in questo stesso periodo pubblica i
Lineamenti della filosofia del diritto.

Hegel si spense il 14 novembre 1831, durante l’epidemia di colera che colpì la capitale prussiana.

Il confronto con gli altri idealisti:


Hegel, come già detto, aveva conosciuto Schelling a Tubinga, in seminario, nello stesso periodo in cui
redasse i suoi primi scritti di carattere prettamente teologico.

Nello scritto intitolato Differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e Schelling, il filosofo si pose a favore
di quest’ultimo: secondo Hegel infatti, Schelling aveva rivalutato la natura che Fichte aveva ridotto ad
un Non-Io, ovvero un momento di negazione che doveva essere superato.

Lo scritto fondamentale di Fichte era la Dottrina della scienza, all’interno della quale il filosofo individuò
tre momenti o principi fondamentali:

- Il primo momento (o Tesi) è «l’Io pone sé stesso», in cui Fichte non allude ad un Io individuale ma
pensa ad uno metafisico, ovvero ad una realtà originaria intesa come attività creatrice infinita che si
manifesta inizialmente creando sé stessa e che conseguentemente è preesistente a tutto.
- Il secondo momento (o Antitesi) è costituito dal principio secondo il quale «l’Io oppone a sé un non-Io»
affinché non si riduca ad una semplice astrazione, tale non-Io corrisponde alla natura che viene
conseguentemente considerata un ostacolo da superare.
L’attività creatrice dell’Io avveniva infatti dapprima in maniera spontanea ed inconsapevole.

- Il terzo momento (o Sintesi) corrisponde al tentativo di Fichte di superare la contrapposizione fra Io e


non-Io: è in questo momento che si giunge alla situazione concreta del mondo, in cui esistono tanti Io
individuali ai quali si contrappongono gli oggetti della natura.

Il compito dell’uomo è quindi quello di superare tali ostacoli come se dovesse realizzare una sorta di
missione per affermare la propria libertà sulla natura, tuttavia non vi riesce completamente: ogni
qualvolta un ostacolo viene superato, essendo l’attività creatrice dell’Io infinita, vengono creati nuovi infiniti
ostacoli.

Hegel, sulla base di tali considerazioni, prese le distanze da Fichte criticandolo per aver creato una
contraddizione che il filosofo di Stoccarda definì «cattiva infinità».

Inizialmente Hegel predilisse Schelling, in quanto egli concepì l’assoluto come unità indifferenziata di
Spirito e Natura: conseguentemente l’attività creatrice, da intendersi come l’Io originario di Fichte, non
riguarda soltanto lo spirito ma anche la natura.
Natura e Spirito hanno quindi la stessa importanza, o dignità.

Come abbiamo già detto Schelling parlò però di un’unità indifferenziata, che rende quindi la Natura
indistinguibile dallo Spirito e viceversa: conseguentemente nel pensiero schellingiano è insito il
panteismo.

Proprio il panteismo portò Hegel, in un secondo momento, a prendere le distanze da Schelling:


quest’ultimo venne infatti aspramente criticato ed il suo «assoluto» venne metaforicamente paragonato «alla
notte in cui tutte le vacche sembrano nere».

Il sistema filosofico hegeliano:

Nel sistema filosofico di Hegel, sono tre i principi o capisaldi fondamentali:

1. La risoluzione del finito nell’infinito


2. L’identità tra realtà e razionalità
3. La funzione giustificatrice della filosofia

1. Per quanto concerne il primo aspetto, il filosofo affermò che il finito esiste solo in relazione all’infinito,
poiché esso è una manifestazione parziale ma necessaria dello stesso.

2. Riguardo al secondo aspetto, esso si può cogliere da un noto aforisma contenuto nella prefazione dei
Lineamenti di filosofia del diritto che recita: «tutto ciò che è razionale è reale, e tutto ciò che è reale è
razionale». In questo modo Hegel intendeva affermare che la razionalità non è pura astrazione, ma è
completa in quanto si configura come realtà.
Di conseguenza la realtà non è il dispiegarsi di qualcosa di caotico, ma si configura come una
processualità ordinata.

3. In merito al terzo aspetto, la funzione della filosofia secondo Hegel (e secondo gli idealisti in generale)
non è quella di razionalizzare il mondo, semmai di giustificarne la razionalità.
In questo modo quindi il filosofo si contrappose quindi all’Illuminismo.
Tale funzione giustificatrice è paragonata da Hegel alla «nottola di minerva», un uccello che si alza in volo
sul far del crepuscolo, quando il giorno ormai è già compiuto.
La Dialettica

Il termine dialettica, usato da Kant con accezione negativa all’interno della Critica della ragion pura,
venne invece impiegato con valenza positiva da Hegel che lo intese con il significato di processualità.
In particolare, secondo il filosofo, l’intera realtà è divenire: bisogna tuttavia precisare che si tratta di una
processualità ordinata, che non produce caos, in quanto in essa è insito un ordine razionale.

La dialettica non riguarda però solamente la realtà, ma anche il pensiero.


In tal senso Hegel riprende la scansione triadica già affrontata da Fichte, conferendo però a
ciascun momento una denominazione differente:

- Il primo momento (Tesi) è chiamato «intellettuale astratto»


- Il secondo momento (Antitesi) è quello «negativo razionale»
- Il terzo momento è denominato (Sintesi) «positivo razionale»

Nell’analizzare nel dettaglio questi tre momenti è possibile riconoscere una netta contrapposizione sia con
Kant che con Fichte: il filosofo di Konigsberg in particolare aveva infatti affermato che l’intelletto fosse la
struttura conoscitiva dell’uomo in grado di avere una conoscenza scientifica del fenomeno, invece in
Hegel lo stesso intelletto possiede una visione finita della realtà.

Comparendo il termine «razionale» nel secondo e terzo momento, si comprende quindi che l’intelletto sia
relegato unicamente al primo momento, che per facilità di trattazione può essere anche definito Tesi,
mentre gli altri due ricorrono alla ragione.

Il momento «negativo razionale» è importante, secondo il filosofo, in quanto soltanto la presenza di


questa opposizione consente di giungere ad una successiva sintesi superiore, compiuta dalla ragione
che tuttavia non elimina le due fasi precedenti, ma piuttosto le ripropone in maniera arricchita dalla
negazione.
E’ bene ricordare che la Sintesi non porta a conclusione il processo, poiché da essa può svilupparsi una
nuova tesi ed una nuova antitesi, che di fatto portano ad un nuovo inizio del ciclo.

Quest’ultimo aspetto potrebbe indurre a pensare che nella dialettica hegeliana sia presente quella «cattiva
infinità» criticata dallo stesso filosofo di Stoccarda, è necessario però tener conto che proprio la dialettica è
intesa da Hegel in senso circolare: per ogni cosa vi è una conclusione.
Ad esempio per la storia del pensiero essa corrisponde alla sua stessa filosofia, mentre dal punto di vista
politico è lo Stato prussiano.

Sia la filosofia hegeliana che lo Stato prussiano non necessitano quindi di essere migliorati, ed è per questo
che gli esponenti della «Sinistra hegeliana» criticheranno il loro maestro accusandolo di essersi rivelato
contraddittorio, poiché stabilendo questi limiti avrebbe bloccato la dinamicità della dialettica.
La Fenomenologia dello spirito

La Fenomenologia dello spirito, pubblicato per la prima volta nel 1807, è universalmente considerata una
delle opere maggiori del filosofo di Stoccarda e può essere definito come la «storia romanzata» del
percorso che la coscienza individuale compie, partendo dalla conoscenza sensibile, per giungere
attraverso una serie di tappe al sapere assoluto.

Lo scritto è suddiviso in due comparti:

- Una prima parte, a sua volta costituita da tre sezioni:


Coscienza
Autocoscienza
Ragione

- Una seconda parte che tratta temi che saranno ripresi da Hegel nella Filosofia dello spirito.

Coscienza e Autocoscienza

Nella sezione che riguarda la coscienza, l’attenzione è rivolta alla conoscenza dell’oggetto: attraverso
quest’ultima l’uomo acquista consapevolezza di sé, diventando perciò autocosciente.

Nel pensiero di Hegel troviamo tuttavia un significato innovativo del concetto stesso di autocoscienza:
fino ad allora con tale termine si era soliti intendere la consapevolezza di sé stessi, il filosofo invece le
conferì anche un valore sociale e politico in quanto ritenne che il raggiungimento della medesima
potesse avvenire soltanto mediante il confronto con le altre autocoscienze, per un bisogno di
riconoscimento.

Tale riconoscimento non avviene tuttavia in maniera pacifica, bensì attraverso la conflittualità da cui
si sviluppa la nascita del rapporto di potere, basato dallo scontro fra due entità.
Lo scontro fra queste ultime è portato all’estremo, addirittura entrambe rischiano la loro incolumità.

Signoria e servitù

L’autocoscienza che è risposta a rischiare la propria vita, e non teme perciò la morte, sarà quindi
riconosciuta come signore dall’altra autocoscienza che, invece, avendo avuto paura del conflitto, ha
salva la vita ma perde la sua autonomia venendo quindi riconosciuta come servo.
Questo rapporto signoria-servitù verrà poi ripreso da altri pensatori, soprattutto Marx che lo reinterpreterà in
maniera estremamente originale.

Il filosofo di Stoccarda affermò tuttavia che attraverso il lavoro si verifica una inversione dei ruoli, con
uno stravolgimento della precedente subordinazione: il servo riesce infatti ad emanciparsi, mentre il
padrone deve la propria esistenza proprio al lavoro del servo, con una conseguente riduzione della sua
autonomia.
La dinamicità di questo rapporto consentì ad Hegel di definire una «dialettica servo-padrone».

Il lavoro inoltre è avvalorato di una grande valenza formativa dal filosofo: il servo investe tutto sé
stesso (non soltanto quindi forza materiale, ma anche la sua creatività e razionalità) nella produzione delle
cose, che conseguentemente non è considerata un’attività istintiva, ma serve invece proprio a disciplinare gli
istinti e le passioni umane.
Di fatto nel lavoro l’uomo manipola la realtà esterna al fine di soddisfare i propri bisogni,
contemporaneamente liberandosi dal giogo del padrone.

Bisogna però precisare che i ruoli originali non vengono eliminati del tutto, in quanto nel servo è
effettivamente insita la consapevolezza delle proprie capacità, tuttavia l’analisi hegeliana si limita
soltanto all’aspetto teoretico.
Proprio per la mancanza di concretizzazione di tale dialettica Marx criticherà aspramente Hegel,
conferendogli il merito di essere stato il primo a dare importanza filosofia al lavoro, ma accusandolo di non
aver avanzato alcuna proposta per mettere in pratica la dialettica servo-padrone.

La coscienza infelice

Un’altra figura, anch’essa facente parte della sezione dell’autocoscienza, è quella della coscienza infelice
che viene trattata dal filosofo prendendo in considerazione la religione giudaica e quella cristiana.

Secondo Hegel, almeno in tale ambito, la coscienza risulta essere scissa in due: da una parte vi è quella
dell’uomo (negativa), limitata e che gli fa avvertire le cose del mondo come caduche ed inessenziali,
dall’altra si trova invece una immutabile e superiore (positiva) che l’uomo attribuisce alla trascendenza.
Questa lacerazione susciterà in particolare l’attenzione di un pensatore appartenente alla «Sinistra
hegeliana», ovvero Feuerbach, che riprenderà l’argomentazione del maestro per spiegare l’origine della
religione.

La coscienza, avvertendosi scissa, è conseguentemente infelice.

Hegel affermò che il Dio degli ebrei si qualifica solamente come entità trascendente, portando lo scarto
immanenza-trascendenza ad essere avvertito dalla coscienza con maggiore dolore, invece nella
religione cristiana la venuta di Cristo sembra, almeno apparentemente, ricucire tale lacerazione.
In realtà quest’ultimo ragionamento si rivela fallace poiché la morte e successiva risurrezione
stabilisce nuovamente la distanza fra la coscienza terrena e quella trascendente.

La coscienza, che permane nell’infelicità, cerca quindi di avvicinarsi a Dio attraverso la devozione che
spinge l’uomo a compiere opere di bene, tuttavia ciò non risulta ancora sufficiente: l’uomo giunge quindi
il punto più oscuro della sua infelicità attraverso la mortificazione corporale e l’ascetismo, riconoscendo
tutto in Dio e niente in sé.

Dopo aver toccato il punto più basso avviene però la riconquista di sé stesso, fase che inizia durante il
Rinascimento: l’uomo, facendo affidamento sulla ragione, comprende le proprie potenzialità.

Il sistema filosofico hegeliano

Il sistema filosofico hegeliano, definibile tale in quanto dialetticamente articolato e compiutamente


delineato dall’autore nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817), può essere ripartito in tre ambiti
principali:

- Logica: si occupa dell’«idea in-sé» ovvero della razionalità o idea astratta, priva di determinazioni
- Filosofia della natura: si occupa dell’«idea fuori-di-sé», ovvero l’idea si aliena o concretizza nella natura
- Filosofia dello spirito: si occupa dell’«idea in-sé e per-sé», derivante dal superamento delle prime due
parti

Queste tre sezioni, come si può notare trovano corrispondenza rispettivamente nei momenti di Tesi,
Antitesi e Sintesi già esposti nella dialettica del filosofo.
La Filosofia dello spirito

Nella Filosofia dello spirito, momento conclusivo del sistema filosofico hegeliano, il filosofo di Stoccarda
trattò dell’idea che, dopo essersi alienata nella natura, ritorna in sé (ovvero raggiunge la
consapevolezza), arricchita però dalle precedenti esperienze.

Questa consapevolezza dell’idea raggiunge il suo culmine nell’uomo: il termine «spirito» non viene
infatti utilizzato in riferimento ad un essere trascendente, ma come umanità, da non considerarsi razza
biologica bensì entità autocosciente, razionale e libera.

Spirito soggettivo
Prima di occuparsi dell’umanità in generale, Hegel prese in considerazione il singolo individuo nella
sezione del cosiddetto Spirito soggettivo, da noi però non trattata.

Spirito oggettivo
Secondo Hegel, lo spirito si realizza nella dimensione metaindividuale (sovraindividuale) che il filosofo
trattò nella sezione dello Spirito oggettivo in cui viene analizzata la relazione fra l’uomo ed i suoi simili.
Questa sezione è quella filosoficamente più importante: ciò è dimostrato dal fatto che il filosofo ne discute
non soltanto nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, ma anche negli scritti intitolati Lineamenti di
filosofia del diritto e Sistema dell’eticità.

Lo Spirito oggettivo è, ancora una volta, strutturato in maniera triadica:

- il diritto, che ne costituisce la Tesi


- la morale, che corrisponde all’Antitesi
- l’eticità, che ne costituisce la Sintesi

Questa è anche considerabile a sua volta triade fondamentale della filosofia del diritto.

Il Diritto e la Morale

Il diritto, all’interno dello Spirito oggettivo, viene denominato «astratto» in quanto con esso si intende
l’insieme delle norme, che possono essere scritte (diritto positivo) o consuetudinarie.

Nel diritto l’uomo realizza, quantomeno in parte, la propria libertà: da un lato la razionalità del diritto
stesso mette a tacere la parte sensibile degli individui, consentendogli attraverso l’obbedienza alle leggi di
«obbedire a sé stessi», dall’altro invece il diritto impone delle limitazioni che tutelano le libertà dei
singoli.

Proprio perché titolare di alcuni diritti, l’individuo in tale ambito viene considerato «persona giuridica».

Tra i diritti di cui gode l’uomo, quello analizzato con maggiore attenzione da Hegel è quello della proprietà:
l’uomo entra in contatto con le cose e ne prende inizialmente soltanto possesso, tuttavia quest’ultimo
non può essere lasciato all’arbitrio dei singoli ma deve essere regolarizzato attraverso un contratto, che
garantisce peraltro l’applicazione di una sanzione a colui che ne viola i termini compiendo un torto.

Il diritto si configura però come un’adesione esterna alle leggi, altro motivo per cui venne definito
«astratto», tuttavia quando la legge viene interiorizzata, portando l’individuo ad agire
intenzionalmente nel rispetto della legge, quest’ultimo diviene «persona morale».

La moralità, essendo il momento di adesione interiore alla legge, genera conseguentemente una
contrapposizione con il diritto (principio ravvisabile anche nella filosofia di Kant).
Tale contrapposizione viene superata dall’ultimo momento, quello dell’eticità, in cui viene superato
l’interesse individuale per realizzare un bene più alto.

L’Eticità

Quest’ultimo momento è a sua volta articolato in:

- Famiglia
- Società civile
- Stato

 La famiglia è la prima istituzione in cui l’egoismo individuale viene messo a tacere, per questo
motivo il filosofo ne ebbe un’alta considerazione: egli non la ritenne un semplice contratto, bensì
una comunità spirituale basata su amore e consenso, poiché all’interno della stessa due
individui scelgono liberamente di unirsi in matrimonio per educare la prole e gestire il
patrimonio.
Conseguentemente agiscono per il bene di questo nucleo, mettendo da parte i propri interessi.
Una volta cresciuti, i figli abbandoneranno la famiglia d’origine per costituirne una propria.

 L’insieme delle famiglie comporta la nascita della società civile, dal filosofo anche chiamata
«società dei bisogni»: proprio per soddisfare questi ultimi viene determinata la suddivisione in
classi, a ciascuna delle quali è affidato un determinato lavoro.
Le classi o corporazioni professionali sono quella sostanziale, formata dagli agricoltori, quella
formale, costituita da artigiani,commercianti ed industriali, ed infine quella generale, composta da
funzionari che si occupano dell’amministrazione dello Stato e della trasgressione delle leggi.
Si può intendere quindi come il potere giudiziario sia competenza della società civile.

 All’interno della società civile si scontrano tuttavia i vari egoismi che tornano nuovamente ad
emergere, poiché ciascuno vuole realizzare i propri interessi: ecco perché Hegel introdusse una
terza istituzione in grado di trovare sintesi e conciliare famiglia e società civile, ovvero lo Stato.
Quest’ultimo infatti supera la conflittualità presente nei rapporti fra gli uomini della società
civile, per creare l’unità, differente tuttavia da quella familiare poiché basata sulla razionalità (e
non sull’amore), che affonda le proprie radici in un «comune sentire», anche denominato ethos.
Il filosofo di Stoccarda si pose, in tale ambito, in contrasto con il pensiero liberale, i cui principali
esponenti sostennero l’esistenza di una condizione prestatuale o «stato di natura» da cui l’uomo
sarebbe uscito attraverso la stipula di un patto o contratto che a sua volta avrebbe dato origine allo
Stato, il cui compito sarebbe la tutela dei diritti degli uomini.
Hegel infatti criticò il contrattualismo affermando che non è l’uomo a creare lo Stato, bensì che
quest’ultimo sia anteriore agli individui contribuendone peraltro alla formazione e dando
conseguentemente senso all’identità del singolo individuo ed anche a quella comunitaria.
L’insieme di valori che costituisce quel «comune sentire» alla base dello Stato si trasmette alle
varie generazioni, tuttavia bisogna comunque tener conto che spesso i popoli hanno identità
diverse che generano tensione e conflittualità.
Per quanto concerne il rapporto fra gli Stati, il filosofo ritenne che gli scontri tra gli stessi non
possano risolversi in maniera pacifica attraverso il diritto internazionale (critica al
cosmopolitismo), ma considerò unico strumento utile alla risoluzione delle tensioni la guerra, in
quanto in grado di permettere allo stato migliore di emergere.
Nella riflessione hegeliana lo Stato migliore è la Prussia, denotando un accenno nazionalista,
inoltre è anche ravvisabile una prospettiva storicista, vicina al Romanticismo: secondo il filosofo
infatti, come già detto, lo Stato non nasce da un contratto, bensì ò.
Il fatto poi che l’individuo sia subordinato allo Stato si predispone a due possibili
interpretazioni: da un lato una organicistica, secondo cui ogni singolo individuo ha importanza
solo in funzione dello Stato, dall’altra una totalitaria, non realizzata dal filosofo e derivante
dall’adesione dell’individuo allo Stato stesso.
Se nella dottrina liberale si costituirono quindi i presupposti di uno «Stato minimo», a cui
spettava di occuparsi unicamente di quelle mansioni non realizzabili dal singolo, in quella di
Hegel invece si verifica esattamente il contrario: allo Stato spettano quasi tutte le funzioni volte a
tutelare la famiglia e la società civile.
Questa fusione tra l’individuo e lo Stato sarebbe avvenuta, secondo il filosofo, nella polis greca
dove non esisteva alcuna separazione fra la sfera pubblica e la sfera privata.
Sarebbe però scorretto identificare il pensiero del filosofo di Stoccarda con il totalitarismo, in
quanto in Hegel si parla di «Stato etico», ovvero di una forma di governo rispettosa delle leggi e che
non si comporta in maniera arbitraria.

È necessario aggiungere che, come forma di governo migliore, Hegel individuò la monarchia
costituzionale all’interno della quale distinse il potere legislativo, da quello esecutivo e
«sovrano», quest’ultimo col compito di coordinare i vari poteri.
Il simbolo dell’unità dello Stato diventa quindi il sovrano stesso.

La Filosofia della storia

Lo storicismo è un tratto fondamentale del pensiero di Hegel: egli stesso gli dedicò una serie di corsi
universitari, al pari di quanto fece anche con estetica e religione, non lasciando personalmente però mai
nulla di scritto, saranno infatti i suoi discenti a pubblicare successivamente i loro appunti raccogliendoli
nelle Lezioni di filosofia della storia, Lezioni di estetica e Lezioni sulla religione.

Il soggetto della storia, secondo il filosofo, è lo Spirito, che si incarna nei popoli.
La storia di ogni popolo va contestualizzata all’epoca alla quale il popolo stesso appartiene, tuttavia è
bene tener conto che ciascuna popolazione rappresenta soltanto un aspetto parziale di un progetto più
vasto, denominato da Hegel «storia universale».

Lo scopo della «storia universale» è quello di realizzare un valore fondamentale che il filosofo
identificò nella libertà,sulla base della quale attuò inoltre una distinzione della storia in tre epoche:

- Un’epoca orientale, durante la quale la libertà apparteneva solamente a pochi uomini e caratterizzata
quindi da una forma di dispotismo in cui non esisteva il diritto, ma soltanto l’arbitrio.
- Un’epoca (o civiltà) greco-romana, all’interno della quale comincia ad emergere il bisogno di libertà e
di tutela del diritto, che rimane tuttavia relegato soltanto ad una cerchia ristretta di individui.
- Un’epoca moderna, in cui la libertà trova affermazione e rivendicazione a partire già dalla
Rivoluzione Francese.

Nel considerare la storia, Hegel credette quindi nel progresso in maniera ottimistica e ritenne che la
stessa sia razionalità, conseguentemente tutto ciò che accade ha un senso e costituisce una tappa necessaria
alla realizzazione del piano universale.

Secondo il filosofo di Stoccarda, nel corso della storia, gli uomini si illudono di agire per scopi
personali: in realtà, in maniera del tutto inconsapevole, essi partecipano alla realizzazione di un progetto
di più vasto, ovvero proprio la «storia universale», ed alcuni degli stessi (denominati «individui cosmici»)
risultano dotati di un particolare carisma che gli consente di creare grandi eventi storici.
Fra questi individui cosmici Hegel annoverò, ad esempio, Napoleone.
Si può dedurre quindi come nella storia sia presente un fine superiore, che l’uomo non conosce ma di
cui è comunque strumento per la sua realizzazione.

In questo progetto di «storia universale», secondo il filosofo, la Germania occupa un ruolo preminente:
ancora una volta è possibile quindi scorgere il nazionalismo che caratterizzò il suo pensiero, e che lo
porta ad esaltare l’importanza della propria patria.
Una impostazione simile, in tal senso, può essere trovata anche in Fichte.
La Filosofia dello Spirito assoluto

Lo Spirito, dopo essersi realizzato nella storia attraverso le varie istituzioni, acquista consapevolezza di sé
e può essere colto e compreso attraverso tre distinte manifestazioni:

- l’Arte
- la Religione
- la Filosofia

Esse si distinguono fra loro non per il contenuto, che è identico, ma per il modo in cui lo stesso viene
espresso: la prima infatti lo fa attraverso l’intuizione sensibile, la seconda ricorre alla rappresentazione
e l’ultima invece si serve del concetto.

 Hegel conferì importanza all’arte, tuttavia ritenne che essa non potesse esprimere
completamente lo Spirito assoluto in quanto lo stesso è unicamente razionalità: in ogni caso
l’arte può però farsi portavoce dei valori di una determinata civiltà, conseguentemente anche la
lettura di un’opera deve essere contestualizzata alla sua epoca di realizzazione.
Inoltre, come già aveva affermato Kant, secondo il filosofo l’arte non possiede una finalità
esteriore, ma è autonoma non perseguendo fini differenti.
Il filosofo di Stoccarda distinse tre forme d’arte: arte simbolica, classica e romantica.

Nella prima di queste,tipica dell’arte orientale e poi acquisita da quella occidentale, per esprimere
lo Spirito viene utilizzato un simbolo, che risulta tuttavia inadeguato a tale scopo.

Nella seconda invece si ricorre ad un equilibrio fra forma e contenuto che viene espresso
principalmente attraverso la figura umana, ma che è destinato ad essere superato.

Nella terza invece si giunge alla dissoluzione dell’arte, non nel senso di una conclusione della
stessa ma di incapacità, ancora una volta, di poter esprimere adeguatamente il contenuto.

 Proprio questa incapacità di espressione rese necessario il passaggio al momento successivo


ovvero la religione, che costituisce una fase di interiorizzazione dello Spirito.
Anche questa volta il filosofo attuò una separazione conseguenziale fra: naturalismo orientale
(feticci o totem), politeismo greco-romano e cristianesimo, che costituisce la religione per
eccellenza in quanto col dogma della Trinità sembra rappresentare in maniera adeguata le
articolazioni dello Spirito (Padre = idea in-sé / Figlio = idea fuori-di-sé / Spirito santo = idea in-sé e
per-sé).

 Nonostante l’adeguatezza del cristianesimo, Hegel tuttavia superò il momento della religione
giungendo alla filosofia, ritenendo che la prima esprima lo Spirito soltanto come trascendenza.
Proprio la filosofia lo esprime invece adeguatamente nella sua immanenza come realtà storica,
in quanto lo Spirito si incarna nei popoli e nelle istituzioni.
Nell’analizzare la filosofia il filosofo di Stoccarda non tenne in considerazione i sistemi di
pensiero orientale, in quanto non considerabili filosofie poiché non basati sulla razionalità pura.
In tale ambito il filosofo distinse quindi due età: l’età greca e l’età germanica, accusando la
prima di eccessiva astrattezza e facendo coincidere l’inizio della seconda con la diffusione del
cristianesimo.

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