VITA
Publio Cornelio Tacito nacque attorno al 55 d.C. nella Gallia Narbonese (anche
se c’è chi pensa sia originario della Gallia Cisalpina) da una famiglia nobile.
Frequentò le scuole di oratoria a Roma (probabilmente quella di Marco Apro e
Giulio Secondo) e strinse amicizia con Plinio il Giovane.
Nel 77 d.C. il matrimonio con la figlia di Giulio Agricola, importante generale del
tempo, diede un grosso impulso alla sua carriera politica, che iniziò sotto
Vespasiano e non si interruppe nemmeno sotto la tirannide di Domiziano, periodo
in cui esercitò la sua carica con molta prudenza.
I due momenti più importanti della sua carriera politica furono: il consolato
(consul suffectus) del 97 ed il proconsolato della provincia d’Asia (112-113).
Come era solito, alla carriera politica, Tacito affiancò quella oratoria (lo troviamo
insieme a Plinio in processo per corruzione contro Mario Prisco, proconsole
d’Asia nel 100) e letteraria. Egli, però, iniziò a scrivere solo dopo che Nerva salì
al potere, pubblicando nel 98 due monografie: Agricola, in ricordo dell’illustre
suocero morto nel 93; Germania, descrizione etnologica del paese; più il trattato
Dialogus de oratoribus (100 d.C.)
Gli ultimi quindici anni della sua vita furono poi occupati dalla composizione delle
sue due opere maggiori:
- Annales (storia di roma dal 14 al 68)
- Historiae (storia di roma dal 69 al 96)
Morì attorno al 120 d.C.
DIALOGUS DE ORATORIBUS
Controversie sulla paternità dell’opera hanno fatto discutere a lungo gli studiosi,
che si sono poi trovati d’accordo nell’affermare, alla luce delle idee esposte,
molto vicine a quelle trattate nelle opere storiografiche, che sia Tacito l’autore.
Secondo alcuni l’opera fu scritta nel 70 e pubblicata in un secondo momento,
secondo altri, invece, fu scritta nel 102, appena prima del consolato di Fabio, a
cui è dedicata.
Il Dialogus de oratoribus descrive un dibattito -databile attorno al 75- avvenuto
tra i maggiori oratori dell’epoca (Giulio Secondo, Marco Apro, Vipstano
Messalla) in casa dell’oratore e drammaturgo Curiazio Materno, riguardo la
decadenza dell’oratoria, tema ormai noto e già trattato alcune volte in passato.
L’autore, lungo la scia del dialogo ciceroniano, afferma di aver assistito alla
discussione e riporta le opinioni degli oratori, dando particolare spazio a quelle di
Curiazio Materno e Vipstano Messalla. Questi attribuisce la crisi dell’oratoria
alla corrotta educazione moderna; Materno, invece, afferma che sia stata
causata dall’avvento del principato e dalla conseguente perdita della libertà.
Materno riconosce che non ci sono alternative all’impero, ma ricorda anche i
tempi della repubblica e la vivace lotta politica che caratterizzava l’epoca. Ed è
proprio la ricerca della causa profonda del fenomeno che avvicina Materno al
Tacito degli Annales e delle Historiae che fa concludere che l’opera sia sua.
Per quanto riguarda la ripartizione delle due opere la tesi più accreditata è quella
che le vede divise in 18 e 12 libri in quanto si pensa ad una divisione in esadi.
La tempistica della composizione, però, non corrisponde a quella della
narrazione; infatti le historiae furono scritte prima degli annales.
Inizialmente Tacito aveva intenzione di continuare la narrazione con eventi a lui
contemporanei, ma questo ritorno a tempi ancor precedenti ci fa riflettere sui
motivi di questo cambio di rotta: c’è chi sostiene che l’autore volesse evitare di
narrare eventi contemporanei per l’imbarazzo di non poterli descrivere
chiaramente; altri pensano che la felicitas temporum instaurata da Nerva e
Traiano fosse soltanto apparente; altri ancora credono che l’avvicinamento al
potere della figura vagamente autocratica di Adriano abbia distolto lo storico dal
progetto. Fatto sta che, a prescindere dalla causa, questa decisione rappresenta
il suo disagio nei confronti del presente.
Lo storico, però, non si risparmia di lodare le buone azioni di figure illustri quali
quella dello stesso suocero Agricola; i generali Germanico (sotto Tiberio) e
Corbulone (sotto Nerone); e Virginio Rufo, che nel 68-69 rifiutò l’acclamazione
imperatoria da parte dei suoi soldati per evitare ulteriori sconvolgimenti in un
periodo infiammato dalla crisi politica.
Ma gli exempla virtutis più alti sono i cosiddetti exitus virorum inlustrium, primo fra
tutti quello di Trasea Peto, importante membro del Senato obbligato al suicidio
nel 66, il quale, accogliendo la condanna, prima di togliersi la vita volle parlare
con i filosofo cinico Demetrio della natura dell’anima e della sua separazione dal
corpo. Arrivato il momento, Peto si avvicinava alla morte con un’espressione
quasi gioiosa nella consapevolezza di star dando l’esempio alle generazioni più
giovani. C’è da ribadire, però, che tutte le scelte etiche fatte in vita da questi
uomini di rilievo, servono solo come modelli per la virtù dei posteri e non
possono risolvere i mali del loro tempo.
LINGUA E STILE
PREMESSA: i diversi generi e tempi in cui sono state scritte le opere influenzano
di molto lo stile.
AGRICOLA
Comprende numerose sezioni storico-narrative, e altre, quali i dialoghi, retoriche.
I modelli stilistici di queste ultime sono Cicerone e Livio, mentre per quanto
riguarda le parti storiche, Tacito si rifà a Sallustio per l’asimmetria, la variatio,
l’ellissi del verbo, le frasi nominali, e una tendenza arcaizzante della lingua.
GERMANIA
Più regolare ed elaborato è lo stile di quest’opera, tanto da far sentire l’eco delle
sententiae senecane.
DIALOGUS DE ORATORIBUS
Opera dallo stile lineare e piano (periodare simmetrico, limpidezza linguistica),
molto probabilmente causato dall’appartenenza al genere della trattatistica
retorica.
LE OPERE ANNALISTICHE: IL VERTICE DELLA PROSA D’ARTE LATINA
Ma la fama di Tacito è dovuta soprattutto alle sue opere storiografiche,
fortemente caratterizzate da inconcinnitas. Figure retoriche frequenti sono
l’ellissi del verbo, la coordinazione per asindeto, l’uso frequente della variatio.
Le proposizioni sono brevi e apparentemente slegate, le frasi sono spesso
nominali e i costrutti impliciti, mentre frequente è l’uso dell’infinito storico. Inoltre
le sententiae dello storico, a differenza di quelle di Seneca, non vogliono stupire il
pubblico, ma metterlo a conoscenza della gravità dei mali che affliggono l’impero.
Lo stile irregolare e imprevedibile serviva a riportare in prosa la disarmonia ed
il caos che contraddistingueva l’epoca in cui Tacito è vissuto.
Per quanto riguarda la lingua, l’autore sviluppa un particolare gusto per gli
arcaismi, che sfrutta per rendere l’opera più solenne; inoltre preferisce i termini
astratti a quelli concreti, e non si risparmia di inserire anche qualche termine
d’uso tipicamente poetico.