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Diario di un convertito

Pieter van der Meer von Walcheren


INTRODUZIONE

Ha detto Gesù: «Vobis datum est nosse mystéria regni coe-


lorum: vi è stato concesso di conoscere i misteri del regno dei
cieli».

Coloro che non credono a questo regno, vogliono conoscere


l’altro regno: non ci si può sottrarre al mistero quando si è fatti
ad immagine e somiglianza di Dio. Si vive senza pane, senza
casa, senza amore, senza felicità: non si vive senza mistero. La
natura umana è fatta così.

So anch’io che non pochi animali cosiddetti ragionevoli ven-


gono condotti al cimitero dopo sessanta o settant’ anni di vita
vissuta nel nulla; so anche che non pochi di essi hanno raggiunto
una certa fama durante il cammino che li ha portati dall’utero
al sepolcro: penso alla Sorbona, all’Accademia, al Parlamento.
Questi uomini hanno ignorato il tormento del Mistero: si sono
accontentati delle realtà apparenti.

Gli uomini veri invece, quelli che hanno ricevuto l’anima non
inutilmente, hanno sofferto e pianto fino a che non hanno in-
contrato la custode di ogni mistero, la Chiesa. Questa è stata
la storia di Pierre Matthias van derMeer de Walcheren, mio fi-
glioccio. Io presento il suo libro a tutti i cuori ancora capaci di
entusiasmo.

Quest’uomo è un poeta, uno di quelli di cui qualsiasi nazione


può andare fiera: un abisso di sofferenza, una di quelle creature
che salgono in alto e che attirano la polvere dal basso. Anch’egli,
senza dubbio, tornerà polvere, ma la sua darà nuovo splendore
alla Via Lattea.

Pierre Matthias van der Meer è nato in Olanda, al di là di


quella terribile diga innalzata da Calvino, quattro secoli or
sono, allo scopo di dividere per sempre dalla Chiesa un popolo
già portato per natura a vivere tra la nebbia.

Come ha potuto Van der Meer superare l’ostacolo all’età di


trent’anni? È stato il suo buon sangue aristocratico a spingerlo
a riedificare la Casa spirituale dei suoi lontani antenati? Fu
la sua anima di artista a ribellarsi al grigiore opaco del cal-
vinismo? O non è stata piuttosto questa sua conversione - come
insegna la Comunione dei Santi e com’egli stesso pensa - il dono
misterioso ottenutogli per 1’intercessione di umile e sconosciuta
preghiera, portato dal soffio di Dio, al pari di certi semi venuti
da chi sa dove e che germinano là dove devono germinare, pro-
prio nel luogo giusto?

Nessuno di noi può dirlo con certezza; soltanto in Paradiso


sapremo a quale fratello nello Spirito siamo debitori del dono
di Dio.

Pierre Matthias van der Meer appartiene al gruppo delle an-


ime nobili che hanno conosciuto il tormento. Poche cose sono più
strazianti del grido di questo poeta insoddisfatto di quanto non
è l’lnfinito, del suo grido disperato di non trovare uscite dalla
prigione di creatura.

Egli sa che la Verità gli è sconosciuta, la crede irraggiungi-


bile, si sente prigioniero di una vasta rete misteriosa di cui non
può rompere neppure una maglia, non ha speranza di ricevere
aiuto. Il protestantesimo non perdona. Il giudeo, il maometta-
no, lo scismatico, l’idolatra, il pagano possono cercare Dio senza
disperare: talvolta la loro anima può esprimere la nostalgia con
l’opera d’ arte. Il protestante non ha questa consolazione; la sua
logica lo costringe a basarsi esclusivamente su se stesso.

Il pallido e freddo demone della Mediocrità, ispiratore


dell’eresia, da quattro secoli si sforza di deturpare la faccia di
Dio, di falsarne la parola; sua è l’innominabile lordura delle
innumerevoli sètte nate dalla Riforma, suo il disprezzo per gli
splendori del Cattolicesimo.

L’anima prigioniera di sé invoca Dio dal profondo delle tene-


bre, indaga ovunque con angoscia e tremore, ma non pensa di
cercarlo là dove Egli veramente vive, nella Chiesa indefettibile
di Cristo. La Chiesa è soprannaturale e l’anima prigioniera di
sé è cieca, non la vede, non la capisce, la giudica irreale, infe-
conda, incapace di donare la vita.

È triste, profondamente triste! Queste anime sentono dal pro-


fondo - quasi richiamo di campana la voce di Dio, si aggirano
erranti attorno alla Chiesa e non pensano di entrarvi. Nessuno
meglio di Pierre Matthias van der Meer ha conosciuto l’ attesa
dolorosa, questa pena trafiggente; essa riempie di sé i due terzi
del libro, fino al momento della conversione miracolosa.

Ecco come ragionò un giorno Van der Meer dopo aver ascol-
tato la confessione di uno scellerato: «Non credo in nulla. Non
posso condannare quest’uomo e le sue azioni. In nome di chi o
di che cosa potrei farlo? Perché avrebbe dovuto comportarsi in
modo diverso, visto che gli piacque comportarsi così? Tutto è per-
messo. Non ho forse io pensato a cose più abominevoli ancora e
non mi sono forse compiaciuto di quei pensieri? Quando se ne ha
il coraggio, ci si può comportare come meglio ci aggrada. Costui
non si è lasciato imprigionare da opinioni e da convenienze. A
chi deve rendere conto dei suoi atti? A nessuno, perché non esiste
nessuno al di sopra di lui. Egli ha ragione ed io ho torto. Tutto
è permesso. Non vi sono limiti. Non vi sono leggi.

Non esiste il bene e non esiste il male. Tutto è permesso ... Ma


tu, anima mia, piangi. Perché?

Perché non mi accontento di quanto vive davanti a me,


vero, palpitante, reale? Perché la mia anima invoca l’Infinito,
l’Eternità? Non riesco ad immaginare la Fine, l’Infinito mi ap-
pare come un abisso di cui la mia pietra non toccherà mai il
fondo. La ragione non capisce né l’una né l’altra cosa ... Lo spet-
tacolo di questa notte stellata mi sconvolge. Quanti uomini, pri-
ma di me e al par mio, hanno pensato queste cose da quando
le stelle hanno cominciato a brillare! Nessuno ha sentito una
parola di liberazione! Molto probabilmente noi ci torturiamo in-
vano: non vi sono risposte. Ecco la stranezza, il ridicolo della
nostra situazione! Noi pensiamo: soltanto l’uomo pensa! Non è
impressionante?

Secondo una buona ipotesi, tra qualche migliaio o milioni


di anni, la terra diverrà inabitabile e poi perirà. Sarà come se
l’uomo non fosse mai esistito. Ogni cosa cadrà per sempre nel
nulla. Non rimarrà nessun ricordo di quelle strane creature che
si chiamano uomini, di quanto fanno, di quanto soffrono. Le
guerre, la Bibbia, le Sinfonie di Beethoven, le pazzie dei santi,
Napoleone, Dante, la disperazione, l’amore, gli imperi, Cristo,
ogni cosa sarà stata inutile e questo gigantesco dramma durato
per secoli, e di cui non rimarrà testimonianza alcuna, avrebbe
anche potuto non essere. Non è forse una terribile beffa? Non
resta che urlare di disperazione, che cercare rifugio nella morte
...

La nostra vita non dura più d’un attimo, portiamo nel cuore
la tempesta selvaggia delle passioni, siamo torturati dai desid-
eri e dalla speranza, vogliamo raggiungere l’impossibile e ten-
erlo ben fermo tra le mani. Interroghiamo il passato, leggiamo
quello che gli uomini hanno scritto, ma non comprendiamo. In-
terroghiamo la terra, il cielo, gli astri, gli abissi dello spazio e
gli abissi dell’anima; piangiamo di commozione e di nostalgia
davanti ad ogni cosa bella, compiamo gesti di passione ardente
e poi, all’improvviso, restiamo freddi, immobili. Più nulla, più
nulla ... Le stelle che ora guardiamo con desiderio, non si ricord-
eranno più di noi ... Anne-Marie! ».

«La bellezza è tragica: è il canto di una privazione ».


Già Pascal aveva sentito il pianto degli uomini in modo tanto
profondo. Quanti sono e dove, coloro che possono dire altrettan-
to?

All’inizio dell’introduzione ho parlato del Mistero: è la prima


cosa che balza agli occhi in questo libro, in questo semplice e
bellissimo racconto del pellegrinaggio di un’ anima alla ricerca
di Dio.

Quest’ anima non sa nulla di Lui, non conosce la sua Faccia;


sa però che Egli deve esistere perché non può essere figlia del
Nulla, da Lui deve aver tratto l’ origine e la vita.

Le lacrime, i desideri, i palpiti del cuore dimostrano che Egli


vive, vicino o lontano e che, cercandoLo, essa Lo troverà.

Il cammino è difficile, doloroso. Tenebre di cose, tenebre di


uomini, tenebre conosciute e sconosciute. Ogni luce è spenta, ma
bisogna continuare il cammino: ogni ritorno all’indietro è ormai
impossibile.

Dice l’anima che piange: «Voglio ritornare alla Casa del Pa-
dre. Ho consumato le mie ricchezze e ora muoio di fame assis-
tendo un branco di porci. Penso con nostalgia alla casa lumi-
nosa dove i poveri hanno di che mangiare e dove lo stesso Padre
asciuga le lacrime di chi soffre. Quella casa è la mia, ma non so
dove si trovi. Le Sfingi che ho interrogate si sono burlate di me
e aspettano il momento per divorarmi. Una dice: lo sono il Mis-
tero della Vita. L’altra sussurra: lo sono il Mistero della Morte.
Una terza incalza: lo sono il Mistero del Pensiero. Si fa avanti la
quarta, la più sconcertante: lo sono il Mistero del tuo cuore. Vo-
gliono che mi decida per una di esse e minacciano di sbranarmi.
Padre mio introvabile ed invisibile, abbi pietà di me! ».

Se le parole sono sufficienti, questa fu l’angosciosa agonia d’un


uomo lontano da Dio - disprezzava la mediocrità, non aveva fi-
ducia nella filosofia né nell’arte, fino al momento meraviglioso
in cui il Signore Gesù, manifestandoglisi d’improvviso, lo liber-
erà dal suo vecchio cuore.

Da parte mia dico ancora una volta che è bello e meraviglioso


trovare queste cose nel Diario di Pierre Matthias van der Meer.
Quantunque io occupi in questo libro un posto che posso chia-
mare importante - i soliti critici ben informati non mancheran-
no di giudicarlo ben superiore alla realtà - credo di non potermi
esimere dal presentare questo ottimo scrittore. Affidandosi a
me, Pierre Matthias van der Meer si espone però ad un terribile
rischio: di vedersi coinvolto in quella congiura del Silenzio con
la quale da trent’anni si tenta di uccidermi, e della quale ho già
affossato tutti gli iniziatori.

Léon Bloy

3 marzo 1914
Terram miséril et tenebrarum
ubi umbra mortis et nullus ordo,
sed sempitèrnus horror inhàbitat.
(Gb 10,22).
Quando, quasi ogni giorno, turbato dal tragico spettacolo
dell’umanità che ha smarrito la via del Paradiso, annotavo gli avveni-
menti che mi arrecavano gioia e dolore e gli aneliti cui tendeva il mio
cuore pesante d’angoscia e desideroso di liberazione, io scrivevo sen-
za accorgermene la storia del mio cammino verso la Verità. Prestavo
ascolto a tutte le voci della vita, a quelle che mi parlavano dal di fuori,
a quelle che sentivo salire dalle profondità nascoste dell’anima. Sog-
navo la vita, volevo capirla in ogni sua sfumatura, pensavo di pormi
al di sopra di essa e di dominarla. Volevo costruire con la volontà un
sistema a base di rassegnazione e di ironia che riducesse il mistero
al suo posto giusto, in una sfera inferiore e poco importante. Mi era
impossibile però annegare gli aneliti alla Verità nella nebbia dorata
dell’apparenza. Il mio spirito non aveva né pace né libertà: portava
le catene come un condannato a morte. La nostalgia di Dio lo faceva
soffrire amaramente.

Questo Diario è stato scritto per non essere pubblicato. Avendo


deciso di riunirlo in volume, ho dovuto rimaneggiarne il testo, col-
marne le lacune, togliere le cose superflue, cambiare qualche data
per offrire una visione più completa del pellegrinaggio della mia vita.
Così il Diario s’è mutato nel racconto delle mie avventure spiritu-
ali. Se una forza soprannaturale non mi avesse accompagnato alle
porte della Chiesa, non sarei giunto alla salvezza. Là qualcuno mi at-
tendeva, mi prese per mano, mi accompagnò, mi mostrò la lampada
che brilla e 1’Altare. Da allora io sono in ginocchio, all’ombra della
Croce, e piango di amore.

La mattina del Venerdì Santo, prima della Adorazione della Croce,


la Chiesa prega così: «O Dio onnipotente ed eterno, che salvi tutti
gli uomini e non vuoi la dannazione di nessuno, abbi pietà di queste
anime sedotte dalle frodi del demonio, affinché, abbandonato ogni
errore, i cuori traviati si ravvedano e tornino all’unità della tua verità
».

Chi ha sofferto e pregato per la mia liberazione? Credo di saperlo,


credo di conoscere questa persona. Un uomo dai capelli bianchi, con
due occhi che ripecchiano l’anima, un uomo che ama Dio più di ogni
altra cosa ed al quale la Chiesa m’ha legato per sempre attraverso il
battesimo voglio dire Léon Bloy, mio padrino.

La pubblicazione di questo Diario vuole essere una testimomanza


ogni cosa è inutile e vana se non tende alla Gloria di Dio mediante la
Croce di Nostro Signore. Voglia il Cielo che queste pagine possano
guidare coloro che cercano, mostrare loro la sorgente d’acqua viva
che scaturisce davanti ai loro piedi piagati e stanchi di camminare.

Festa dell’Annunciazione, 1913

6 novembre 1906.- Sono stato tutto il giorno presso un vecchio.


Per undici ore, dalle nove del mattino fino alle otto di sera, egli m’ha
raccontato la sua vita. Mi sento oppresso come se avessi fatto un
sogno cattivo. Ero proprio io quello che gli stava di fronte col cuore
angosciato? Ho capito bene quelle parole pacate che pure racconta-
vano una storia terribile? Non ho forse sognato? È impossibile. Lo
vedo ancora davanti a me vicino alla finestra illuminata da una luce
scialba. Aveva il viso pallido magro ricoperto di rughe come quello
di un morto; i suoi occhi non vedevano, ma dal profondo dell’orbita
mi fissavano stranamente, quasi volessero carpire il mio turbamento
a quel racconto terribile. Faceva paura. Fuori, la tempesta urlava
come un condannato a morte e una pioggia violenta batteva sul selci-
ato. Eravamo noi due soli. Mi pareva di essere affacciato sull’orlo di
un abisso dal quale salivano esalazioni pestilenziali. Volevo respirare
aria pura, pensavo di fuggire, ma una forza oscura mi teneva fermo
in quella stanza. Per la prima volta ho intravisto gli abissi dell’anima
umana, ho provato disprezzo per me e per gli uomini. L’uomo è
dunque soltanto un animale flatulento? Quante ore ho passato per
ascoltare quel racconto diabolico! Mi sentivo strozzare dalla paura!
Dove potevo rifugiarmi?
Credevo che la vita fosse bella: ora la trovo spregevole. Mai più
potrò specchiarmi negli occhi di un uomo so quanta abominazione
possono nascondere. Quale peccato, quale delitto cela il viso sorri-
dente che m’illudo di conoscere? Rubano la felicità, saccheggiano e
insozzano la vita!

Non è tutto. Quest’uomo ha danneggiato se stesso e gli altri ed ora


racconta le sue riprovevoli azioni con compiacenza, in tono annoiato.
Lo fa per nascondere la sua miseria morale? Mi sento umiliato, av-
vilito. Non viviamo più come dèi, con la fronte illuminata da nobili
pensieri. I nostri occhi non riflettono più la luce del cielo.

Voglio ragionare. Perché è male quanto quest’uomo ha commes-


so? Ha peccato contro chi, contro che cosa? Ho scritto: peccato. È as-
surdo. Non so che cosa è bene, che cosa è male. Non credo in nulla.
Non posso condannarlo. In nome di chi o di che cosa potrei farlo?
Perché avrebbe dovuto comportarsi in modo diverso, visto che gli
piacque comportarsi così? Tutto è permesso. Non ho forse pensato
io a cose più abominevoli ancora, non mi sono forse compiaciuto
di questi pensieri? Quando se ne ha il coraggio, ci si può compor-
tare come meglio ci aggrada. Costui non s’è lasciato imprigionare
da opinioni e da convenienze. A chi deve rendere conto dei suoi atti?
A nessuno, perché non esiste nessuno al di sopra di lui. Egli ha ra-
gioné e io ho torto. Tutto è permesso. Non vi sono liiniti. Non esiste
il bene e non esiste il male. Tutto è permesso. Ma tu, anima mia, pi-
angi. Perché? Sogni la purezza, la nobiltà? Sono parole vane, vecchi
pregiudizi da eliminare. È questione di ereditarietà.

Ciononostante, sento qualcosa nel profondo dell’anima. Non può


esser vero esiste una realtà al di fuori di me, nel mondo che mi schi-
accia col suo silenzio, ma quale? Sono un esiliato che ha dimenticato
la Patria, non sono un animale.

Scruto l’anima come un dannato.


Forse è meglio non cercare, non riflettere, vivere senza problemi,
senza la tortura di questi eterni quesiti che non hanno risposta: meg-
lio vivere da bestia soddisfatta.

Ho l’anima lacerata dall’incertezza. Posso chiamare bianco il nero,


ridermi delle cose sacre, prenderle in ridicolo: nulla me lo impe-
disce. Mi compiaccio di questi cattivi pensieri e vorrei possedere la
purezza di un bambino. Quale tormento non sapere a chi chiedere,
dove trovare un medico per l’intelligenza e per il cuore!

Sciocchezze. La vita è un gioco da prendere sorridendo. Ecco il


solo mezzo per non disperare.

10 novembre. - Questa sera è stata da noi Marthe B. Ha detto


d’averla rotta con l’amico perché la vita s’era fatta impossibile. M’è
parsa molto scossa da questa decisione. Dove troverà il coraggio
per vivere? Ho suonato per lei il Tristano e Isotta, pagine dove la
passione si mostra in tutta la sua forza e dove l’amore si placa con
la morte. Questa musica esaspera in me la nostalgia di un mondo
sconosciuto, mi conquista, mi fa male.

Marthe m’ha raccontato del primo incontro con l’amico. Perché


due persone si incontrano?

15 novembre. - Sono stato a passeggio sulla collina dietro la casa.


La giornata era triste. Possiedo l’amore e dovrei essere felice: invece
sono triste.

Ieri sono stato in casa del vecchio. Ho parlato di cose indifferenti


con lui, con la moglie, coi figli; ho anche riso. Mentre ci sedevamo
a tavola pensavo a dieci giorni fa e mi rivedevo solo, risentivo quella
triste storia. Avevo vergogna di parlare e di ridere, ma pure parlavo
e sorseggiavo un ottimo bicchiere di vino.

Talvolta la vita è buffa.


26 novembre. - Ho rivisto alcune opere di Costantin Meunier. Ri-
cordo di essere stato una volta nel suo studio. Era un vecchietto affa-
bile, dal viso triste, con due occhi limpidi come quelli di un bambino.
Questo scultore ha studiato con amore la dura fatica dei lavoratori
e l’ha ritratta in opere monumentali. Per un certo tempo le ho am-
mirate anch’io; oggi non mi soddisfano più. Mancano di mistero,di
sogno, di angoscia. La forza calma e semplice di queste statue non
infonde sentimenti di pace. Sono tormentato dal dubbio, torturato
dal problema che non so risolvere. Costantin Meunier non dona il
brivido del pianto, non ritrae la solitudine dell’uomo sperduto in un
mondo sconosciuto.

1 dicembre. - Le ore più belle della giornata sono quelle che passo
con Anne-Marie, sotto la luce tenue della lampada del mio studio. Gli
oggetti ci stanno attorno come vecchi amici e ci guardano con sim-
patia; l’orologio rompe il silenzio col suo tic tac. Quando non parlia-
mo, faccio lettura per tutti e due. Questa sera ho continuato I Fratelli
Karamazow. Conosco da tempo questo romanzo e ancora una volta
m’ha entusiasmato. Dostojevschij ha capito il mistero dell’uomo, la
miseria della vita, il bisogno di liberazione.

10 dicembre. - Ho ricevuto la visita di due autentici imbecilli. Sono


persone perbene, naturalmente, ma hanno dimostrato di sentirsi a
disagio con me, di non approvare l’arredamento della mia casa. « È
eccentrico », diceva lei. « No – ribatteva lui - riflette la moda inglese
». Non riuscirò mai ad andare d’accordo con persone di tal fatta. Il
vuoto delle loro idee e dei loro ragionamenti, - pallida idea del vuoto
che esiste nel mondo - la mancanza assoluta di ogni pensiero mi
scoraggia: quando discuto con loro non so mai cosa rispondere.
Iddio mi guardi dai loro consigli.

Del resto, nemmeno io non so perché esisto.

Lavoro, dò lezioni, scrivo. Qui talcuno dice: «È logico che sia così
». Altri invece: «È assurdo ». C’è chi mi ammira, c’è chi mi considera
pazzo. Con tutto questo, la terra continua la sua corsa attraverso gli
spazi, gli anni passano, il cielo non cessa di splendere sempre più
bello, al di sopra delle nostre teste. Talvolta penso che questa vita
sia una stupida favola.

Anne-Marie, il nostro amore che cos’è? Che cosa sono la felic-


ità, questo nostro bambino che cresce? Gran belle cose, senz’altro:
ci aiutano e ci donano forza. Ma perché non mi danno tanta forza
di modo che possa scacciare questa crudele inquietudine e questo
problema che continuamente mi tormenta?

Perché vivo?

25 dicembre. - S. ha pranzato con me. Con un buon piatto e un ot-


timo fagiano la vita cambia colore: ci parve addirittura desiderabile.
Abbiamo fatto onore a tutte le portate e poi abbiamo parlato di filoso-
fia. Argomento: l’esistenza e l’immortalità dell’ anima.

S. dice che l’anima è una parola, una parola senza senso: parla di
fluido cosmico, di elettricità,di risultato dell’armonia delle cellule.
Secondo Anne-Marie l’anima esiste. «Ma come lo provi? », le chiese
S. Per conto mio non dò ragione a nessuno: si può sostenere che
l’anima esiste e si può sostenere che non esiste affatto. E’ una dis-
cussione senza senso. Eppure, eccoci qui, tutti e tre, ciascuno col
proprio mondo, ciascuno con sentimenti e passioni proprie che non
hanno alcuna rispondenza nel mondo materiale. L’illusione mi ac-
ceca. È bene? È male?

27 dicembre. - Ho paura del domani. Vivo alla giornata, incurante


del dopo. La Bibbia dice che non bisogna preoccuparsi per l’avvenire,
ma non sono parole per me. Salvo qualche trascurabile difficoltà,
fino ad oggi tutto è andato bene. Del resto, se è vero che la vita è
senza scopo, che importa morire un po’ prima o un po’ dopo?

13 gennaio. - Non accade nulla: nulla che mi interessi. Vivo nell’ at-
tesa. Da sempre, la mia vita è in attesa di qualcosa, d’una catastrofe,
d’una gioia, di qualcosa che sia grande e bello. «Sei poco socievole
», mi è stato detto. È vero: non mi trovo a mio agio in compagnia.
Non ho avuto l’•ambizione o il desiderio di occupare una carica, un
posto di responsabilità. Vivo per qualcosa d’altro. Non so che cosa
sia quest’altro, ma vivo nell’attesa di qualcosa.

È stata mia madre a infondermi questo sentimento. Anne-Marie


mi rassomiglia.

20 gennaio. - Ho visto diversi amici, ho parlato con persone di


cultura, ma non ho imparato nulla. lo cerco le verità fondamentali
e queste persone invece accettano la vita in modo passivo: non sen-
tono la paura di essere circondate da un mondo sconosciuto.

L’esistenza è dolore. Per quanto mi riguarda non posso lamen-


tarmi, ma sento il dolore degli altri. Ci sono uomini che soffrono,
talvolta, in modo atroce, nel corpo e nello spirito. Queste sofferenze
non trovano giustificazione. Ecco un pensiero che mi fa paura.

16 febbraio. - Oggi pare primavera. Nel giardino dietro a casa sono


fioriti gli zafferani gialli, bianchi, violacei; anche le primule stanno
per aprirsi.

Stamane stavo accoccolato al sole quando mi si avvicinò la vecchia


signora che abita vicino a noi: abbiamo parlato del tempo.

Mi sento coraggioso e felice. Una brezza leggera mi sfiora il viso
e le mani. Guardo i fiori con tenerezza, guardo l’azzurro del cielo
curvo come una cupola. Tutto è bello e misterioso. Sento Pieterke
giocare in giardino e vedo Anne-Marie vestita di chiaro che mi viene
incontro sorridente. L’anima canta di gioia.

Chi sono io? lo e tutti gli altri che mai soddisfatti come me, spin-
giamo sogni e desideri verso mondi sconosciuti? Cerchiamo forse
qualcosa che abbiamo perduto?

La mia gioia di prima svanisce; voglio scacciare questo pensiero.


Dalla finestra aperta vedo calare la sera. Dietro 1’olmo del giardi-
no brilla la prima stella. Il cuore si chiude. Addio miei sogni.

20 febbraio. - Sono stato a un pranzo di nozze servito secondo la


più perfetta tradizione delle Fiandre. Ci siamo messi a tavola alle ore
tredici e alle ventuno non avevamo ancora finito: non abbiamo fatto
altro che mangiare. Ho avuto modo di osservare un invitato che si
serviva abbondantemente due volte di ogni portata: faceva pensare
ad un tecnico degli approvvigionamenti. Si era annodato il tovagliolo
al collo e ogni qualvota rideva, riverso sulla sedia, a quache battuta
pepata, tintinnavano bicchieri e bottiglie. Pensavo ai’ dipinti di Jor-
danes e di Brueghel: ogni piatto era una splendida natura morta.
Faceva gli onori di casa una Signora rossa e grassoccia, perfetta-
mente padrona del suo mestiere di cuoca. Filetto di bue, pesce, vi-
tello ai ferri, capretto e piselli, carote, insalata, patatine e zenzero,
formaggio dolce e numerose bottiglie di ottimo vino bianco e nero:
un’epopea. Quando presi commiato erano circa le ventidue.

Nei vassoi facevano ancora bella mostra frutta di rare qualità, e già
le donne servivano il caffè e portavano in tavola molte varietà di li-
quori: il Gargantua, intanto, era alle prese con una gigantesca fetta di
torta. Penso che quel signore non abbia mancato di fare buona acco-
glienza a tutta quella grazia di Dio: ma non ero più presente, e quindi
non vorrei insinuare. So di certo invece che Gargantua, professore
di una scuola media, non sentiva affatto il problema della morte, né
si impensieriva circa il problema della vita. Suo Dio era il ventre: egli
non aveva vergogna ad adorarlo. Avrà anch’egli un’anima?

1 marzo. - È giunta mia madre. La sua vicinanza mi rende con-


tento. Non sono molte le persone della sua età, ancora così spiritu-
almente giovani: in lei, nemmeno l’ombra dei fastidiosi consigli con
cui i vecchi vogliono rendere saggi i giovani. Mia madre è stata la
guida della mia fanciullezza e della mia giovinezza, colei che mi ha
aiutato a scoprire nuovi orizzonti perché ha avuto la forza di liber-
armi dall’angusta concezione borghese. Gli uomini senza emozione
e senza scosse, chiusi nel piccolo guscio comune della vita di ogni
giorno, non furono il suo tipo: l’unica ambizione di questi uomini è
che i loro figli occupino un posto nella società, vederli ben pagati e
sicuri in una vita da animali domestici. Da mia madre e da mio padre
ho ereditato il disprezzo verso la cosiddetta carriera. Mia madre mi
ha insegnato l’avversione per quanto è gretto e meschino, per la vita
vissuta alla giornata, senza sogni di grandezza: debbo ringraziarla se
aspiro alle cime, se desidero l’aria pura delle vette. Questa donna ha
un’intelligenza inquieta. Nessuna dottrina, finora, e nessun libro, ha
saziato la sete del suo spirito: la sua anima porta i segni dell’aridità
del protestantesimo. S’è rivolta allo spiritismo ed io ricordo quando,
bambino, l’accompagnavo talvolta dalla signora Elise van Calcar,
celebre seguace del metodo di Froebel e del suo delizioso aldilà;
s’è rivolta anche alla te 0sofia, ma nessuna di quelle teorie l’ha sod-
disfatta. Ora attende e crede. Crede all’esistenza di uno Spirito che
presiede al governo del mondo. Talvolta dice: «Verrà un giorno in
cui quanto ora è nascosto ci verrà rivelato ».

Fino a qualche mese fa mi capitava di discutere calorosamente con


lei su queste sue idee che giudicavo assurde perché non ammettevo
né soprannaturale né mistero. Ora invece penso che ogni idea, che
ogni convinzione, che il sì e il no abbiano il medesimo diritto di cit-
tadinanza e possano essere difesi con uguale certezza.

Ma sono del tutto certo che la verità non si possa conoscere, che
non esista affatto?

17 marzo. - Sono stato da W., curioso e strano pittore. Ha letto


molto, possiede tutte le opere di Sar Péladan e difende l’idea di
un’arte idealista e mistica. I suoi quadri sono strani: per capirli sono
necessarie molte spiegazioni, ed egli le dispensa volentieri. Non mi
piace Péladan (non conosco tutti i suoi scritti) e penso che un ec-
cessivo entusiasmo per la sua opera sia del tutto fuori luogo: nonos-
tante questo, le idee di W. possiedono una certa efficacia. La nostra
letteratura è soffocata da più di vent’anni di cosiddetto realismo; il
desiderio di qualcosa di nuovo è tanto grande che anche i pensieri
un po’ barocchi appaiono come una liberazione.

25 marzo. - Questa sera è diversa dalle altre.

Dalla finestra aperta e illuminata (la lampada elettrica mi fa pen-


sare ad un crisolito luminoso) entra il silenzio di una notte di prima-
vera. Anne-Marie ed io siamo seduti attorno al tavolo, in silenzio:
abbiamo sospeso la lettura. Nella penombra della stanza, distinguo
il giallo di un grappolo di mimosa: fuori, la terra respira come una
creatura. Questo silenzio è insopportabile: perché non accade qual-
cosa di tragico, di terribile, di impensato? Il cuore mi batte come una
campana a martello, i pensieri danzano davanti a me come ali nere
di uccelli paurosi. Anne-Marie, amore: e luce dei miei occhi, è qui,
davanti a me. Vedo i suoicapelli biondi, i grandi occhi fissi nel vuoto.
A che cosa pensa?

Mi accorgo che sto parlando:

«Siamo due esseri sperduti nell’immensità, seduti l’uno di fronte


all’altro. Questa sera le sensazioni più comuni mi fanno tremare.
Guardo i mori: perché fioriscono? Guardo le nostre mani che si po-
sano con indifferenza su questo tavolo: vivono. Anche noi viviamo,
ma io non so scrutare l’abisso di questa parola.

Se guardo gli uomini e il loro modo di vivere, mi dispero. Alcuni


cercano con ansia, altri urlano nella notte come pazzi; c’è chi ha per-
duto ogni speranza; c’è chi s’è spinto all’estremo limite della cono-
scenza e poi è caduto in ginocchio ba1bettando preghiere; c’è chi s’è
consumato in una vana ricerca. Ad ogni minuto, bambini e uomini
nascono e muoiono. Certi occhi apparentemente calmi nascondono
misteri più profondi degli abissi del mare. Le città sono mostri di
pietra dove gli uomini soffrono e piangono. Ogni giorno, instanca-
bilmente, il sole compie il suo giro. In questo caos, ad un certo mo-
mento, noi due ci siamo incontrati. È possibile che il nostro incontro
sia dovuto al caso? ».
Anne-Marie mi guarda. Ripenso con commozione al momento in
cui la vidi per la prima volta, il mio cuore capì che era lei, e non
un’altra, colei che mi era stata predestinata da sempre, i suoi occhi
sono calmi, pieni di sogno. « Non ti pare meraviglioso? lo non ti con-
oscevo; tu ignoravi la mia esistenza. Pensa: e se le strade della vita
sulle quali noi camminiamo non si fossero mai incontrate? Una ine-
zia, un ostacolo qualunque, e noi saremmo rimasti lontani, non ci
saremmo conosciuti mai. Sono talmente convinto che era necessario
che noi ci incontrassimo, che questo pensiero mi fa paura. Dove-
vamo incontrarci perché qualcuno ci guidava ... ». Mi avvicino alla
finestra. Il cuore è oppresso da troppi desideri. Guardo la notte e
le stelle .. «L’uomo è un essere assurdo. Sento e vedo le tenebre
che mi circondano. Perché non mi accontento di quanto sta davanti
a me, vero, palpabile, reale? Perché il mio spirito invoca l’Infinito,
l’Eter nità? Non riesco a immaginare la Fine, l’Infinito mi appare
come un abisso di cui la mia pietra non toccherà mai il fondo. La
ragione non capisce né l’una né l’altra cosa. È stupido cercare una
risposta, si perde tempo. Ma perché allora questi problemi mi as-
salgono furiosi come una tempesta? Lo spettacolo di questa notte mi
sconvolge. Quanti uomini prima di me e al par mio, hanno pensato
queste stesse cose da quando le stelle hanno cominciato a brillare?
Nessuno ha sentito una parola di liberazione. Noi ci torturiamo in-
vano: non vi sono risposte. Ecco la stranezza, il ridicolo della nostra
situazione. L’uomo e l’universo sono un prodotto di atomi. Eppure
l’uomo ragiona; è l’unico essere che ragiona tra tutte le creature.
Secondo una buona ipotesi, tra qualche migliaio o milioni di anni, la
terra diverrà inabitabile e poi perirà. Sarà come se l’uomo non fosse
mai esistito. Ogni cosa cadrà per sempre nel nulla. Non rimarrà
nessun ricordo quelle strane creature che si chiamano uomini, di
quanto fanno, di quanto soffrono. Le terre, la Bibbia, le sinfonie di
Beethoven, le pazzie dei Santi, Napoleone, Dante, la disperazione,
l’amore, gli imperi, Cristo, ogni cosa sarà stata inutile questo gigan-
tesco dramma durato per secoli, e di noi non rimarrà testimonianza
alcuna, avrebbe anche potuto non essere. Non è forse una terribile
beffa? Non resta che urlare di disperazione, cercare rifugio nella
morte ... La nostra vita non dura più d’un attimo, portiamo nel cuore
la tempesta selvaggia delle passioni, siamo torturati dal desiderio
e dalla speranza, vogliamo raggiungere l’impossibile e tenerlo ben
fermo tra le mani. Interroghiamo il passato, leggiamo quello che
gli uomini hanno scritto, ma non comrendiamo: Interroghiamo la
terra, il cielo, gli astri, gli abissi dello spazio e gli abissi dell’anima;
piangiamo di nostalgia e di compassione davanti ad ogni cosa bella,
compiamo gesti di passione ardente e poi, all’improvviso, restiamo
freddi, immobili. Più nulla, più nulla ... Le stelle che ora guardiamo
con desiderio, non si ricorderanno più di noi ... Anne-Marie! ».

Mi volto. Anne-Marie piange. È il dolore che la fa piangere, lo


sconforto; anch’io scoppio in singhiozzi. Il dolore mi tortura l’anima.
«Non può essere, dice Anne-Marie, non può essere ... Hai distrutto
ogni mio ideale ... , è impossibile ».

Non ho parole di conforto, non posso alleviare la sua sofferenza:


l’anima vive nel dubbio.

Mi avvicino ad Anne-Marie, cerco le sue mani, le stringo tra le


mie: in silenzio ci difendiamo dalla solitudine del mondo.

17 aprile. - Sono stato quindici giorni a Londra, in casa di un ami-


co, ma quando si è trattato di partire non ho pianto di nosta1gia. Sul
battello che mi riportava in Francia, avrei voluto cantare di gioia.
Londra mi è parsa una città maledetta. Non mi sono mai sentito tanto
solo e tanto abbandonato. Le luci, le case, gli uomini, le strade, i mu-
sei, ogni cosa mi opprimeva: mi pareva d’essere in un luogo perduto.
In questa città le case sono un cancro: rosicchiano la terra. Talvolta
il sole buca la nebbia, ma lo sguardo non può spaziare: non esiste
cielo, non si vedono nubi, non v’è pace, né gioia. Vivere in questa
città è una tortura.

Un pomeriggio stavo passeggiando per la City, il quartiere degli


affari e delle sterline; allorquando giunse al mio orecchio un grido
che veniva ripetuto ritmicamente, a intervalli: Japanese loan, Japa-
nese loan ... e vidi aprirsi le porte, uscirne signori vestiti in nero,
senza cappello, e precipitarsi affannosamente nella stessa direzi-
one: si trattava di un prestito giapponese. C’era odore di soldi e quei
signori, altre volte tanto riservati e contegnosi, si buttavano sulla
preda come selvaggi.

Ho anche assistito ad una riunione del Revival.

Due missionari protestanti erano giunti dall’ America e avevano


affittato l’immenso Albert-Hall, in cui tenevano conferenze due volte
la settimana, esortando i fedeli alla penitenza e al rinnovamento inte-
riore. Partecipai con un amico ad una di quelle riunioni cui assiste-
vano più di 15.000 persone. Quei predicatori non dicevano cose nu-
ove, le loro non erano parole di vita, eppure la folla ascoltava attenta
e silenziosa: attendeva qualcosa. Ad un tratto, uno dei predicatori
invitò coloro che sentivano il desiderio di Dio ad alzarsi e portarsi
in centro.

Questo invito venne accolto dapprima da un lungo silenzio, poi


d’improvviso un enorme grido irruppe dalla folla: I will, I will, I will,
e mentre il missionario ripeteva a gran voce le sue parole e tendeva
le braccia verso la folla, centinaia e centinaia di uomini si portavano
al centro attorno al predicatore

L’inglese è un popolo strano. Parla dei problemi . religiosi con una


gravità che non si riscontra presso nessun altro popolo, ma ciò non
gli impedisce di essere abile e tenace nel maneggio del denaro. Dio
e Mammona, quale strano incontro!

Sono sul piroscafo che mi riporta in Francia.

Sento il mare nero al di là del cerchio di luce della nave che pro-
cede tranquilla verso il porto. Scruto con gli occhi l’orizzonte im-
penetrabile della notte. Lo spazio che mi sta davanti non mi 1mpres-
siona: l’anima vorrebbe andare oltre, al di là del mondo reale, ma
non conosce la strada. Le stelle e il mare non bastano a calmarmi:
sono realtà controllabili, troppo piccole. L’anima supera il mondo,
non si appaga di quello che gli occhi vedono, di quello che sa. Piange
di nostalgia.

20 aprile. - Di ritorno da Bruxelles mi sono imbattuto nella folla


che attendeva, davanti al Municipio, i risultati delle elezioni. Ogni
qualvolta risultava eletto un deputato socialista, la folla salutava il
suo nome con urla ed esclamazioni di gioia; i nomi degli altri veniva-
no invece accolti da bordate di fischi e di ingiurie. Non ho perso
tempo con questa turba di idioti, i quali credono che una maggio-
ranza socialista possa governare con saggezza il paese e portarlo
alla conquista della felicità.

Anch’io ho sostenuto un tempo che ll socialismo era la buona no-


vella, la nuova fede che avrebbe realizzato il paradiso in terra. Di-
fendevo le Case del popolo, i Sindacati, i deputati proletari, perché
pensavo tendessero ad una giusta ripartizione delle ricchezze. È in-
concepibile, infatti, che alcune persone muoiano di noia e che altre
si abbrutiscano nel lavoro. Accettavo il socialismo perché amavo i
poveri, i miserabili, gli abbandonati, mi angustiava il pensiero che
migliaia di persone trascinassero l’ esistenza come il condannato la
catena, che vivessero nella miseria e nel dolore. Le ho viste da vi-
cino queste cose. Ho conosciuto i poveri, la plebe, ho visto uomini
come me allo stato di animali. E allora ho pensato che con migliori
condizioni di lavoro, con salari più alti, con abitazioni più sane anche
le esigenze e le necessità sarebbero cambiate: fu uno sbaglio ter-
ribile. È sufficiente un buon vitto e un bell’alloggio a farci diventare
migliori? Credo di no: se lo fosse, anche i cosiddetti borghesi sareb-
bero persone rispettabili. Ho sete di giustizia. Non accetterò mai che
bambini, vecchi e donne muoiano di fame e che altri invece nuotino
nell’ abbondanza.

E come potrebbe calmare l’anima, rasserenare lo spirito una dot-


trina poggiata sul materialismo?

Il risultato non è confortante: il socialismo alleva una classe anti-


patica di pseudo-saggi e di vanitosi. Quando parlano, questi signori,
ripetono vecchi luoghi comuni, li propongono come verità indis-
cutibili, propinano la loro cultura da biblioteca popolare attraverso
teorie e ipotesi di cui non conoscono né la forza né il valore: sono
ridicoli e pericolosi.

Sono rimasto in loro compagnia fin troppo tempo. Soffocavo le


inquietudini, cercavo di non guardare gli abissi che s’aprivano nel
mio cuore, accettavo soltanto la vita concreta, ero socialista fino alle
estreme conseguenze. Ma non potevo soffocare lo spirito: egli invo-
cava ben altro, guardava al di là di quanto è contingente. Violentavo
la mia natura. Ora non ho limiti: vado vagabondando nel tempo e
nello spazio, senza guida, senza sostegno, in solitudine.

Tutte le strade sono mie, ma sento in me l’incertezza. Contemplo


questa tragica bellezza di creatura abbandonata, mi accorgo di vivere
come un re in esilio cosciente della sua forza e della sua debolezza,
tremo di estasi e di spavento quando guardo la Via Lattea, nutro la
mia disperazione con la certezza che non potrò mai liberarmi dalla
materia che mi tiene prigioniero, e tremo.

Dove troverò la terra promessa della felicità e della pace?

2 maggio. - La meravigliosa bellezza di questa primavera mi com-


muove. La natura è in fiore; torna alla vita .. Di dove trae questa
forza.

Il signor C. è un simpaticissimo uomo. Lo conosco appena da sta-


mane, ma non mi sono occorse molte parole per convincermene: del
resto, la presenza di altri invitati m’ha impedito di avere con lui una
lunga conversazione. Abbiamo ascoltato della musica. Accompag-
nato da Marthe, ho suonato alcune parti della Hothe Messe della
quale ammiro soprattutto l’inizio: questo Kyrie eleison è un grido
appassionato verso il Dio della misericordia.

16 maggio. - Ho rivisto il vecchio. Quale significato può ancora


avere la sua vita? È fisicamente e moralmente distrutto. Certi esseri
emanano una specie di luce, un senso di pace: quest’uomo invece
fa presentire la disgrazia. È di famiglia nobile, ora decaduta. Ha un
figlio operaio, sempre ben vestito, ma senza nobili ambizioni: unico
suo sogno è di accumulare abbastanza denaro per comprarsi una
casa. Questa acquiescenza di tipo borghese non mi piace.

4 giugno. - Sono a Vresse, nelle Ardenne, con Anne-Marie.

La gioia di questi giorni è dovuta ad una somma di denaro gi-


unta inaspettata: immediatamente abbiamo deciso di raggiungere
un villaggio della valle del Semoi per godere in tranquillità la pace
della natura. Siamo arrivati ieri pomeriggio, dopo un lungo viaggio
in treno e dopo tre ore di diligenza. Il veicolo, dipinto in giallo e blu,
era trainato da tre cavalli e sostava ad ogni villaggio quel poco che
era necessario per consegnare il sacco della posta e qualche pacco.
Anne-Marie ed io eravamo gli unici viaggiatori. Alti olmi fronzuti fi-
ancheggiavano la strada che procedeva attraverso piccoli boschi e
ampie distese di campi. In lontananza, distanti le une dalle altre, si
intravedevano le fattorie attorniate da alberi. È una vera gioia per-
correre strade sconosciute, lasciare che gli occhi si sazino di sem-
pre nuovi orizzonti. Terminata la pianura, la strada volse in discesa,
tracciando ampie curve per il pendio ombreggiato da piante e là in
fondo, ancora assai lontano, noi intravedemmo il piccolo villaggio
di Vresse, mèta del nostro viaggio. Nel fondo valle, un ruscelletto
brillava al sole. Ora i cavalli non correvano più e le ruote posteriori
cigolavano sotto l’azione dei freni: ad ogni, curva, il villaggio appa-
riva sempre più vicino.

9 giugno. - Questa tranquillità mi fa bene. Penso alla vita della


città e, al confronto, mi pare pesante e triste. Perché non vivere per
sempre qui, a contatto con la natura, lontano dagli uomini, in questa
bella solitudine? Sento la pace inondarmi fin nel profondo dell’anima.
Qual gioia sdraiarsi all’ombra di un albero e contemplare la valle, le
colline, le montagne! Vedo il mondo davanti a me e l’abbraccio in
sogno, con amore.
Se potessi vivere qui, in questo silenzio che ricorda quello delle
chiese, forse si calmerebbe la mia inquietudine. Sento che la pace
sfiora la mia fronte madida di sudore. Non mi giova essere malinco-
nico, ma ho fiducia, ho speranza: chi sa che un giorno non trovi la
soluzione esatta!

15 giugno domenica. - Ho ripreso il lavoro, ma i giorni passati


nella bella valle di Vresse vivono ancora in me come il ricordo di un
luminoso sogno di felicità. Ripenso al pomeriggio passato nei boschi
in cerca di fiori e di fragole selvatiche e mi rivedo seduto, con Anne-
Marie, sul bordo del sentiero che scende a picco nella valle e che si
innesta alla via principale, proprio davanti all’albergo. Da quel luogo,
l’occhio spaziava lontano, fin verso le montagne; al di là del ruscello,
l’ombra copriva i prati, già aveva raggiunto la punta degli alti muc-
chi di fieno e il cielo all’orizzonte mandava riflessi di pietra preziosa.
Sul fianco della montagna, invece, ad occidente, il sole illuminava
ancora gli alberi e li faceva risplendere come enormi mazzi di fiori.
Rapito da questa bellezza contemplavo la campagna, il cielo, il sole al
tramonto. La nostalgia mi faceva sognare, ma che cosa? ... Sussurra-
vano gli alberi cullati dalla brezza, l’acqua del torrente correva silen-
ziosa, l’ombra conquistava lentamente la montagna, l’ultimo raggio
tingeva di rosso la cima degli alberi. Ancora per poco, poi sarebbe
sparito nell’azzurro come un uccello d’oro. Ecco la notte, il silenzio,
la calma.

All’improvviso s’alzò il vento: gli alberi tremarono, la natura si


scosse, e svanì la mia speranza.

23 giugno. - Questa notte è mancato improvvisamente il padre di


Marthe.

Era l’una e stavo mettendomi a letto, quando sentii chiamare e


bussare alla porta. Era Marthe: « Sono sola con la mamma e papà
sta morendo ». Avvertii Anne-Marie e mi precipitai nella via verso la
casa che non era lontana, ma quando vi giunsi tutto era finito. Men-
tre vestivamo il cadavere, sentivamo, in lontananza, i lugubri ululati
di un cane. Tornai a casa appena arrivarono gli altri figli.

Non posso allontanare il pensiero da questa morte. Ieri sera il


padre di Marthe stava benissimo e s’era messo a letto come tutte le
altre sere. Probabilmente nel sonno s’è mosso, ha emesso un res-
piro affannoso, ed è morto. Perché vivere, se alla fine dei giorni v’è
questo baratro nero nel quale tutti precipitiamo e dove scompariamo
per sempre? Se è vero che l’anima non è immortale, è assurdo pren-
dere la vita sul serio. Quanto è bello avere la fede. Ma le religioni al-
tro non sono che sogni, coi quali ci si consola per paura della verità,
per timore della morte. E che cosa è la verità? Dove: abita?

27 giugno. - Sono rimasto in giardino fino a tardi: l’aria calda


odorava di profumi, il cielo era punteggiato di stelle. Il signor C.
mi parlò con entusiasmo del suo viaggio in Italia, particolarmente
dell’Umbria, di Ravenna, di Venezia: le sue parole hanno aumentato
il mio desiderio di conoscere questa nobile terra. Dall’Italia il discor-
so passò al Cattolicesimo e poi ad Anna Caterina Emmerich, alle sue
straordinarie visioni di Gesù e della Madonna, poi ad Huysmans,
celibe e scorbutico, e infine alla fede dei popoli medievali.
Parlammo anche di Bloy, della sua straordinaria bontà e delle sue
idee, perlomeno strane per me che non credo. Il signor C. non con-
osce Bloy ed io gli ho prestato il romanzo « La donna povera ».

1 luglio. - Discussione con S. e con un amico: siamo giunti a queste


conclusioni: Non esiste né il bene né il male. Chi ha coraggio suf-
ficiente può realizzare qualsiasi desiderio, anche il più mostruoso.
L’uomo non deve rendere conto a nessuno delle sue azioni. La vita è
la risultante del caso e di leggi cosmiche: non ha valore né interesse.
Bisogna imparare a disprezzare, ad agire con cinismo e, quando è
necessario, Con estrema durezza.

È strano che si possno pensare tali paradossi ed è più strano an-


cora che queste idee vengano accettate da un certo numero di per-
sone, e rifiutate da altre in nome di Dio. Sento in me queste due
possibilità.
3 luglio. L’opera poetica di Laforgue, sia le Poesie quanto le Moral-
ità, è imperniata sull’idea che la ragione è il solo male dell’uomo. Uni-
co atteggiamento possibile, per liberarsi da questo male, è l’ironia:
burlarsi di tutto, anche di se stessi. Laforgue costruisce magnifici
castelli di sogni e poi li distrugge, sorride degli ideali e non crede in
nulla; le sue pagine lasciano trasparire l’insoddisfazione di giocare
con tutto, di spezzare ogni cosa come oggetto senza valore. Questo
gioco doloroso non guarisce il cuore, non dona la pace: aumenta la
nostalgia.

10 luglio. - Oggi ho scoperto le poesie di Gezelle 1.

Non immaginavo che la sua opera fosse tanto bella!

30 luglio. - Passerò le ferie di quest’anno a Parigi con Anne-Marie,


in casa di mia madre. Questa prospetti va mi incanta. Ho visto Parigi
per la prima volta nel 1901: non la dimenticherò mai ..

2 agosto. - Il pittore W., seguace dell’occultismo e ammiratore


di Péladan e di Rose-Croix, è un bizzarro miscuglio di serietà e di
faciloneria. È curioso assistere alle discussioni che si svolgono tra
lui e un ingegnere che si dice positivista e ateo, sempre sicurissimo
di sé di fronte a ogni problema. Gli amici che io frequento - e credo
anche moltissimi uomini - si sono forgiati, a seconda del loro temper-
amento, un certo sistema filosofico ed hanno sottomano, per ogni
occasione, la clausola buona che li scusa. C’è chi afferma una cosa
e c’è chi afferma il suo contrario, è di:fficile trovare due uomini che
abbiano le medesime idee; un terzo si barcamena destramente e gui-
da l’anima sua tra gli interrogativi, alla ricerca d’un giusto mezzo.

lo vivo nell’ attesa.

3 agosto. - Quando sarò a Parigi visiterò Notre Dame. Per farmi


un’idea chiara circa le origini e gli scopi dell’arte medievale, ho
ripreso la lettura del volume di E. Male: L’Arte religiosa del Duecen-
to. Quando lo lessi per la prima volta avevo la mente svagata: in più
ero ignorante e pensavo che il passato dovesse essere dimenticato.
Ora invece pregusto la gioia e la prossima visita.

4 agosto. - È l’una dopo mezzanotte. Sono in casa di H., giovanotto


piuttosto saccente. Abbiamo appena terminato pranzo. Durante il
banchetto il .. discorso è caduto su Bloy ed io ho espresso la mia
ammirazione per la sua opera Il dottore che era a tavola con noi non
fu del mio parere.

- Bloyè un folle, diceva, un fanatico, le sue idee sono vecchie di


diciotto secoli: non immaginavo che tu fossi suo ammiratore. Bloy
non ha nulla da insegnare e le sue imprecazioni ormai non impres-
sionano nessuno; è un uomo costantemente in collera, si abbatte su
amici e nemici con l’orgoglio reso cieco dal silenzio che lo circonda.
Nemmeno i cattolici lo vedono bene, ed io dò loro ragione. È un
fanatico e folle.

- Ma questo non significa nulla, rispondo io.

Bloy è un artista e ciò mi basta. Egli sa di dire qualcosa e lo dice


in modo magnifico. lo lo ammiro per questo.

- Bloy è un fenomeno patologico; nega il progresso, si comporta


come se la scienza non esistesse, fa professione di fede in un Dio on-
nipotente e provvidente, ha la pretesa di possedere la verità e colma
di ingiurie -. - questo è davvero insopportabile - quelli che non la
pensano come lui. Èun anacronismo, un mammùt letterario!

- In certe cose sono perfettamente d’accordo. lo non accetto la


sua concezione della vita; i suoi libri - quelli almeno che conosco -
giustificano tesi che io giudico insostenibili,assurde, ma nonostante
questo, ammiro la potenza della sua voce, la bellezza del suo stile. Le
sue Parole posseggono una indiscutibile forza, illuminano il mistero
della vita e della morte.
- In verità, io non ho mai trovato in Bloy questa grande luce che tu
dici. E come potrebbe illuminare qualsiasi problema, se la sua mente
è oscurata da una fede che non gli permette di capire la vita? Le sue
idee fanno pensare al più retrivo ed oscuro Medioevo: se fosse vissu-
to a quel tempo, Bloy avrebbe certo esercitato una buona influenza,
soprattutto sulle anime semplici. Oggi nessuno può prenderlo sul
serio. Non nego la limpidità di certe pagine, ma assai spesso il suo
stile è pesante, affaticato dalla retorica, portato a gonfiare i minimi
particolari. Bloy vede la vita da un lato e non riesce ad immaginare
che si possa anche guardarla da altri. Soltanto la religione cattolica
- dice - possiede la verità. Mi fa rabbia: possibile che non valgano
nulla quelli che pensano in modo diverso! Ha l’arte dell’ingiuria e
della canzonatura e la fa giocare abilmente, ma non deve lamentarsi
di non essere preso sul serio. E che cosa dovrebbero fare gli altri per
difendersi da lui?

- Mi pare, gli rispondo io, che tu non entri nel centro della ques-
tione. Se non sei convinto che Bloy è un grande scrittore, non sarò io
che riuscirò a fartelo credere. Ammetto anche che Bloy sia un caso-
limite nelle nostre lettere recenti; egli vede una sola cosa, Dio, e lo
sèrve con i libri e con un cuore ardente di amore e di collera. Ecco
quello che mi piace in lui: questo cuore. È in grazia sua che Bloy
si permette di ridere della nostra psicologia troppo complicata, di
disprezzare la scienza e le sue conquiste che non fanno progredire
l’uomo di un solo passo. Bloy possiede un’ altra fiamma, possiede la
Fede, e quantunque io non la possegga e non la capisca, non posso
f.are a meno di ammirarlo. Io sono lo spettatore e Bloy è lo spet-
tacolo: questo spettacolo mi conquista. Quando apre dinanzi al mio
spirito il ve1ario dell’al di là, io lo giudico più di un poeta. Il mistero
che Bloy propone alla mia mente mi sconvolge nel profondo dell’
anima ...

11 agosto. - Sono a Parigi da una settimana. La mia gioia nasce dal


trovarmi presso mia madre e dal fatto di poter rivedere questa città.
Ho visitato Notre-Dame: è tutta bella. Belli i portali pieni di ombra,
le torri potenti, la nobile magnificenza delle proporzioni armoniose
e audaci, la gravità di sapersi casa di Dio. Ogni forma architettonica
racchiude un’idea: ho capito in questa chiesa che cosa è la dirittura
interiore, il legame tra bontà visibile e mondo spirituale. Chi ha fede
non può essere impressionato da questa chiesa: io mi sento scosso.
Voglio studiare a fondo il Cattolicesimo.

Ieri pomeriggio ero solo in questa basilica: ho visitato il coro, ho


guardato le vetrate, ho ammirato gli archi, poi mi sono seduto e il
mio sguardo s’è fissato sulla lampada accesa, simbolo per i fedeli
della presenza di Gesù ... Non c’era nessuno nella chiesa. Dall’alto
degli archi già nascosti dall’ombra, scendeva sulla mia anima inqui-
eta una stranissima pace. Gli ultimi raggi toccavano ancora gli archi
più alti e li facevano rassomigliare a mani in preghiera: le vetrate e
gli ampi rosoni brillavano quasi fossero di fuoco. Sentivo l’anima gio-
ire di sogni e di desideri sconosciuti, di pace e di inquietudine.

16 agosto. - Sono tornato a casa. Non dimenticherò più le ore pas-


sate in cattedrale. La fede cattolica mi attira. Con Anne-Marie sto
leggendo la Passione dolorosa di Nostro Signore Gesù di Anna Ca-
terina Emmerich: è la storia della Passione, di quanto succede in
quella settimana unica e impensabile. Confesso di non avere mai
letto un libro di altrettanta potenza. Anna Caterina Emmerich, ig-
nota refigiosa sempre malaticcia che soffrì pene indicibili, vede at-
traverso i secoli; per essa il tempo non esiste, è presente ad ogni
avvenimento, testimone oculare: ha avuto rivelazioni di cose misteri-
ose e strane che non sa ripetere. Questa donna portava le stigmate:
anche S. Francesco di Assisi le ha avute. Mi convinco che non esiste
solo la realtà visibile: deve esserci qualche altro mondo che io non
riesco ad immaginare.

18 agosto. - Sono stato da W. e abbiamo parlato di Bloy. Anche S.


era con noi, e W. ne approfittò per leggerci il Lamento della Spada.
Bloy non ha esitazioni. È un poeta straordinario: vede il mistero di
ogni cosa.

22 agosto. - È venuta a trovarmi la sorella con la famiglia. Sono


passati diversi anni dall’ultima volta che ci eravamo visti e duran-
te questo tempo siamo vissuti senza incontrarci, né scriverci. Ora
siamo contenti: ci comprendiamo a meraviglia e abbiamo scoperto
tra noi un’affinità spirituale impensata. Ho parlato della mia visita a
Notre-Dame, de1l’ammirazione che sento per la bellezza che il Cat-
tolicesimo ha saputo esprimere al tempo del Medioevo. Abbiamo an-
che discusso del nostro tempo, dei tormenti, dei sogni, della ricerca
d’una soluzione accettabile per i problemi che ci angustiano. A ques-
to riguardo, ecco quanto ha raccontato mio cognato: «Diversi anni fa
ho conosciuto un uomo stranissimo: lo chiamerò Louis de Koninck.
Eravamo a Parigi in un circolo di amici, intellettuali e studenti. Fin
dal primo incontro, mi fece profonda impressione: la sua personal-
ità emanava un fascino particolare, una forza d’animo straordinaria.
Per spiegarmi meglio ricorro ad un esempio: pensate al turista che
all’improvviso, dopo un viaggio monotono, si trova davanti lo stu-
pendo panorama delle vette e delle valli. Esteriormente, Louis si
presentava come un uomo comune, ma chi l’avesse esàminato pro-
fondamente avrebbe notato in lui una tensione straordinaria, pari ad
una potente molla d’acciaio. I tratti irregolari del viso denotavano
forza, dominio di sé, sicurezza di chi sa ciò che vuole. Ho notato
però che talvolta era scosso da un profondo tormento. I suoi occhi
guardavano dal fondo di un abisso, quasi che tutti i sogni degli uo-
mini avessero lasciato in essi un segno inconfondibile. Era un essere
straordinario. Ora che vi parlo di lui, rivivo ogni particolare, rivedo
le cose, riprovo quello stato d’animo. A quel tempo vivevo un sogno
magnifico: la vita mi sembrava bella, ogni giorno risplendeva d’uno
splendore nuovo: conobbi l’entusiasmo e l’estasi. Quest’uomo cer-
cava di riunire un gruppo di amici che fossero animati dagli stessi
pensieri e spinti dai medesimi desideri, per buttarli alla riconquista
spirituale del mondo; e ci pregava di cercare qualcuno che avesse
coraggio per dedicarsi al suo ideale. lo e gli altri amici miei forma-
vamo il nucleo di un’armata di cui egli era il capo: egli comandava e
noi ubbidivamo. Oggi mi pare impossibile che io l’abbia seguito per
anni, senza esitazioni, che abbia accettato le sue opinioni bizzarre
ed estremiste. La sua volontà e le sue parole segnavano il mio modo
di comportarmi. Esigeva purezza nello spirito e nel corpo, fede as-
soluta in Dio, volontà di potenza. Era cattolico con idee nietzschiane!
Suo scopo era di riformare la Chiesa, di purincarla, di dar vita ad
un regime teocratico, del quale, molto probabilmente, egli sarebbe
stato il capo. Nonostante questo non posso giudicarlo né orgoglioso
né ambizioso. Possedeva il dono del comando, la virtù di dominare
gli animi e di attirarli a sé. Io ero il più intimo tra i suoi fedeli, ma non
conoscevo i suoi pensieri. Probabilmente quest’uomo era torturato
dalla complessità della sua stessa natura, dal desiderio di comando
da una parte e dall’aspirazione alla santità dall’altro. La sua anima
viveva nel tormento. Chiuso in una stanza dalle pareti tinte di rosso,
sdraiato su una poltrona, passava talvolta intere giornate senza par-
lare; in queste occasioni il suo viso era pallido e tormentato: faceva
pensare ad un re tradito. Credo però che fosse sincero e non riesco
ad immaginare questi suoi atteggiamenti come una posa. La sua fier-
ezza ricordava i prìncipi, la sua voce i colpi del martello sull’incudine.
Aveva una sorella che amava teneramente, ma in queste circostanze
non risparmiava nemmeno a lei le parole dure. Normalmente, in-
vece, era di carattere dolce ed affabile. Mostrava particolare am-
mirazione per S. Francesco d’Assisi; sovente sentiva il bisogno di
chiudersi in solitudine e portava con sé, in questi volontari esili, il
breviaro, la Bibbia e un piccolo busto di Napoleone.

Non mi capita spesso di ricordare quest’uomo, ma in questo mo-


mento mi sento turbato. La sua influenza su di me è stata assai forte
fui sul punto di lasciare la scultura per seguire e collaborare al suo
sogno: mi scuoteva, mi lanciava oltre me stesso, mi spingeva a cose
difficili, mi faceva vivere come un esaltato. Ricordo questo partico-
lare della prima sera che ci incontrammo. Era notte alta e, ancora
sotto l’impressione delle sue parole, camminavamo per la strada de-
serta e silenziosa. All’improvviso sbucò dall’ombra una prostituta, si
avvicinò al signor Koninck, pose le mani sulle sue spalle e lo invitò a
seguirla. Noi ci distanziammo alquanto ed io, in cuor mio, ero curioso
di vedere come se la sarebbe cavata. Senza parlare, l’uomo guardò
la donna negli occhi e, lentamente, staccò le mani dalle sue spalle: la
donna si allontanò da lui, come spinta da una forza invisibile.
Ricordo anche sua sorella. Era una creatura dolce e sottomessa.
La sua fede nella missione del fratello non aveva limiti: lo venerava.
Teneva il posto di segretaria, di amico, di confidente: aveva cura di
tutto. Probabilmente non incontrerò più una donna forte di altret-
tanta umiltà, di un cosi alto e profondo disprezzo di sé. A quel tempo
vivevo in Baviera e di là scrivevo al signor Koninck lunghe lettere e
ricordo che era lei, la sorella, a rispondermi.

Vivevo in una casetta isolata e nessuno turbava la mia solitudine.


Un pomeriggio stavo lavorando, quando sentiichiamarmi per nome
da una voce di donna. Non riuscivo a capire chi potesse essere.
Uscii sulla strada e vidi una signorina che mi salutava gentilmente
con la mano: era la sorella Koninck. La sua rassomiglianza col
fratello non era perfetta, ma i suoi occhi erano calmi e buoni. Ci
stringemmo la mano come vecchi amici, e restammo assieme per
tutto il giorno. Parlammo del nostro destino, della missione che
ciascuno di noi deve compiere sulla terra: non scorderò facilmente
quell’incontro. Verso sera l’accompagnai a casa. Il ricordo di quella
conversazione mi perseguitò per lungo tempo: fui sul punto di farmi
cattolico e di chiudermi in convento. Vivevo in uno stato di continua
-esaltazione. Ripensando a quel tempo, ora sorrido e giudico quei
miei sentimenti di allora come frutto di uno spirito non ancora matu-
ro, ma ciononostante debbo considerare quei giorni fondamentali
per la mia formazione. C’era, però, una cosa in questo sistema che
mi infastidiva, e poco alla volta essa mi allontanò da questi amici: era
la necessità di una obbedienza assoluta. Non mi sentivo più padrone
di me stesso, e ciò mi era insopportabile: ecco perché abbandonai il
signor Koninck e me ne andai a Roma senza lasciare il mio indirizzo
a nessuno.

Non pensavo di rompere definitivamente ogni relazione con lui:


volevo soltanto provare a vivere lontano da quella personalità eccezi-
onale. A Roma lavorai parecchio. Frugavo in me stesso, cercavo dis-
peratamente la luce: fu una lotta lunga e difficile e aspra, ma infine
ritrovai la libertà. Scrissi al signor Koninck una lunga lettera molto
particolareggiata, con la quale gli spiegavo i miei nuovi sentimenti e
gli dicevo addio senza malinconia. Non ricevetti risposta. Però, alla
vigilia del Natale di quest’anno, mi venne recapitato un pacco: mi
era stato spedito da sua sorella e conteneva una scatola, con molte
candeline. La lettera di accompagnamento mi spiegava di accend-
erle tutte durante la notte di Natale e di riflettere seriamente sulle
mie intenzioni, mentre esse bruciavano. Passai una notte stranis-
sima. Accesi le candeline nel mio laboratorio e rimasi a fissarle fino
a che si consumarono: mi sentivo libero, ma non ero felice. Sentivo
che mi mancava qualcosa: avevo distrutto una grande illusione. Solo
più tardi ritrovai me stesso e capii che potevo rendere bella la vlta
col lavoro e con l’arte. Quanto al signor Koninck ebbi occasione di
vederlo ancora una volta. Ci incontrammo a Berlino, nel mio studio,
dove egli era venuto per un busto. Il lavoro durò tre giorni e per
tutto quel tempo non scambiammo una parola .. La vita dell’uomo
passa tra le tenebre, alcuni si rifugiano nella bellezza, altri si fan-
no sprezzatori di ogni cosa, c’è chi si uccide perché giudica la vita
cosa sporca e inutile, altri bestemmiano, altri ancora s’abbandonano
all’onda nera della disperazione. C’è anche chi vive quasi fosse un re
in esilio che pensa con nostalgia alla bellezza della patria perduta, e
chi si rifugia sull’alto d’un monte donde pensa di lanciare agli uomini
una nuova dottrina: capita sovente però che il suo spirito si spezzi,
e allora la pazzia lo ghermisce e lo fa prigioniero del suo balbettìo
inconcludente. Qualcuno desidera la vita come si desidera la donna
é vorrebbe possederla in tutte le sue fibre, altri si chiudono nel ben
protetto bozzolo di un sogno felice, altri piangono sulle miserie e
sulle sofferenze del prossimo.

Vi sono uomini che invocano Dio con amore e ve ne sono altri


che lo bestemmiano con odio. C’è anche chi crede di spiegare con la
ragione il principio e il fine di ogni cosa.

Dov’è la certezza, l’eterno, l’increato, l’immutabile? Esisterà per


davvero? Forse sì, perché io lo posso pensare. E perché la mia anima
tende verso questa realtà con tutte le sue forze? ».

26 agosto. - Mentre meno l’aspettavo ho ricevuto una forte somma


di denaro; immediatamente, Anne-Marie ed io, abbiamo pensato ad
un viaggio in Italia. Finalmente avrò la gioia di visitare questa nobile
terra: la immagino avvolta nella luce d’oro della sua bellezza. Par-
tiremo il più presto possibile e così godremo ancora di quel mag-
nifico autunno. Quale impressione l’Italia e la sua storia faranno su
di noi, barbari del Nord?

27 agosto. - Ho letto nel Vangelo il racconto della Passione nar-


rata da S. Luca. Non saprei dire perché, ma il terrihile fatto del Ven-
erdì Santo mi pare il centro della storia del mondo. Nel breve spazio
di tempo che corre dall’ora sesta all’ora nona è raccchiusa la luce
- almeno per coloro a cui è concesso di vedere - che rischiara ogni
mistero. Il mondo è stato creato perché potesse compiersi il fatto
unico della morte in Croce dell’Uomo-Dio. La Bibbia è un libro ec-
cezionale.

T. mi ha scritto e mi invita ad accompagnarlo in visita all’Abbazia


trappista di West-Malle (Anversa). Accetto volentieri e scriverò an-
che al Padre Abate per chiedergli se all’Abbazia si concede ospitalità
a tipi come me.

29 agosto. - Ho sfogliato il libro che Loisy dedica ai Vangeli, ma


quella sua critica non mi convince: è una vana chiacchierata filologi-
ca. Conosco abbastanza tale genere di ricerca scientifica per non val-
utarla più di quanto effettivamente meriti. Mi è impossibile pensare
alla Bibbia come all’Iliade o ai quattro libri dei Veda. Nonostante la
sua sottile cultura filologica (e forse appunto a causa di essa), Loisy
non ha capito nulla della grandezza di questo magnifico libro.

2 settembre. - Parto per Anversa dove mi unirò agli amici e di


dove continueremo assieme il viaggio verso l’Abbazia trappista di
West-MalIe. Se qualche tempo fa qualcuno m’avesse predetto che
un certo giorno avrei visitato un convento, e non soltanto per una
curiosità, gli avrei allegramente riso in faccia.

Ieri ho riletto il brano di S. Matteo ove Gesù insegna agli Apostoli


la preghiera del Pater: in quel momento ero assolutamente certo
dell’ esistenza di Dio. Come mai ne ero tanto certo? E perché ora
non lo sono più?

6 settembre. - Giungiamo al convento al tramonto del sole: il cie-


lo riflette la luce calma e luminosa di questo giorno che finisce. Il
monastero è sospeso nel silenzio. Viene ad aprirci un fraticello e gli
diciamo che siamo attesi. Senza parlare egli accenna di sì col capo,
richiude adagio la porta e ci accompagna attraverso il giardino verso
la sala delle visite. Prima però passiamo in chiesa, e appena entrati
il frate ci offre l’acqua benedetta: l’amico nostro si segna ma noi due
- io e l’altro - no; il frate ci fissa per un istante, muove impercettibil-
mente il capo e poi si inginocchia. Al di là della grata si estende la
chiesa dei monaci e intravedo nei banchi del coro una bianca figura
umana rivolta verso l’altare. La preghiera è breve. Il frate portinaio ci
conduce ora in parlatorio, e poi si congeda pregandoci di attendere:
fra poco ci incontreremo col Padre Abate. Aspettiamo in silenzio.
Attraverso la finestra aperta vedo il muro che circonda il giardino
dell’Abbazia, il cielo limpido e immobile: penso alla città, alla sua
vita selvaggia, a me stesso, a tutti gli uomini. Questa calma mi com-
muove.

Il Padre Abate ci accoglie con squisita cortesia e ci offre ampi boc-


cali di birra. Ha il fisico grossolano, ma i suoi occhi sono tranquilli e
calmi come l’acqua, limpidi e puri come quelli di un bambino. Ora il
Padre Abate ci dà istruzioni per la sera: fra non molto saremo a cena,
cui seguirà immediatamente il canto di Compieta e il riposo. Domani
la giornata inizierà di buon mattino: all’una i monaci si alzeranno per
il canto di Mattutino. Anche noi potremo assistere all’ufficio. « Prov-
vederò io stesso a chiamarvi », dice il Padre Abate.

Passeggiamo in giardino e ci scambiamo le nostre impressioni.


In questa Abbazia mi sento fuori dalla realtà e da me stesso, vivo in
una luce diversa, vedo un mondo che prima non conoscevo e non
immaginavo: sento che questa vita deve essere bella. Attendo con
ansia l’ignoto di questa notte.
La campanella avverte che la refezione serale è pronta. Terminata
la cena ritorniamo nella chiesa: i monaci vi entrano a due a due, e
dopo una profonda riverenza all’altare e un inchino al Padre Abate, si
portano ai loro posti. I Padri vestiti di bianco occupano gli scanni del
coro ai due lati della chiesa, mentre i fratelli conversi stanno in cen-
tro, nella penombra. Tutto è silenzio: i monaci stanno in ginocchio e
pregano. Ad un cenno dell’Abate ha inizio il canto di Compieta.

Ascolto con attenzione: non ho mai sentito nulla di più soave.


Non avevo pensato che ai nostri giorni potesse verificarsi un fatto
come questo: di uomini che passano tutta la vita in preghiera per
dare gloria a Dio. Ora i monaci hanno intonato i Salmi: i versetti si
susseguono, regolari e sonori come le onde del mare; questo coro
di voci maschili mi trasporta lontano, in una solitudine luminosa.
D’improvviso, una voce intona la Salve Regina: canto e preghiera
salgono sulle note d’una melodia austera e semplice. Questa musica
elimina la passione e la sensualità, esalta ma non sconvolge, calma
i timori e le inquietudini, sento che mi fa bene e che mi guarisce. Il
suo ritmo ricorda il volo degli uccelli: forte e dolce al tempo stesso,
getta le basi in una luce spirituale.

Dopo il canto di Compieta il Padre Abate ci accompagna nelle


nostre stanze, ci augura la buona notte e ripete la promessa di sveg-
liarci per il canto Mattutino. Ora sono solo: mi siedo e penso. Non
capisco nulla della vita. Se Dio non esistesse l’idea di Dio è stata
creata dall’uomo per il bisogno di vincere la solitudine, ripudiare e
calpestare le gioie della vita è ridicolo e assurdo. Ma ora, in questo
convento, . trovo tranquillità e pace, sento che i pensieri si volgo-
no all’anima, capisco che la mia vita e quella di uomini come me è
un’esistenza caotica, decae senza mèta: qui capisco che fino ad oggi
sono vissuto per cose- effimere, che mi sono accontentato di ciò che
passa. Gli uomini si stordiscono perché hanno paura: la fine di ogni
avventura terrena è la morte.

Il dubbio mi tortura: penso alla vita, medito sulla bellezza, con-


templo le stelle, penso ai monaci di questo convento che ora stanno
riposando, medito sulla forza della fede ... ma il dubbio mette tutto
in discussione. Non ho nulla a cui aggrapparmi: unica certezza, la
morte.

Penso a questa notte ... e mi pare di avere sognato: sento il canto


e ancora vedo i monaci che avanzano verso la chiesa, bianchi come
fantasmi. Ora in piedi, ora seduti, ora in ginocchio cantano parole di
cielo. Dove sono?

Notte e silenzio. D’improvviso, chiaro e argentino, squilla il su-


ono della campanella: attraverso i vetri della finestra vedo le stelle
lontane, inaccessibili; in questa notte brillano di una luce diversa ...
Nella chiesa è quasi buio. Soltanto i banchi su cui siedono i Padri
sono illuminati; la volta e il centro della chiesa dove prendono posto
i fratelli conversi si perdono nell’ oscurità. La luce non giunge fino ai
fratelli laici: essi non hanno il libro dei salmi, non cantano, ascoltano
e pregano in silenzio.

In questo momento il mondo dorme, ma qui davanti a me, in ques-


ta poca luce, uomini vegliano e pregano. Chi si sbaglia, io oppure
loro? Il canto dei Salmi rapisce la mia anima nelle regioni del sogno.
Non mi riesce di esprimere quello che il cuore sente: nostalgia, fe-
licità, tante altre cose.

Ora la musica cessa: mi sento abbandonato e sperduto come un


naufrago su una spiaggia deserta. Davanti a me i monaci in ginoc-
chio hanno faccia e bocca tese nella preghiera. Penso agli uomini,
alla loro miseria, alle sofferenze, al peccato, mi par d’udire il pianto
accorato degli infelici, penso ai conventi sparsi sulla terra e li para-
gono a fuochi accesi nell’oscurità della notte, a labbra che cantano
le cose belle della vita, alle montagne che danno risalto alla magnifi-
cenza delle valli.

Le parole non bastano a descrivere quello che ho provato e quan-


to ancora brucia in me di luce forte e dolce. Ho intravisto un abisso,
un vortice luminoso e accecante. Penso alla fede e capisco che essa
è nemica del dubbio e delle questioni inutili. Mi par di udire una
voce: tieni in alto i pensieri e sii pronto. La luce può manifestarsi nel
momento più buio della disperazione e perciò conquistarti sull’ orlo
della felicità. Sii vigilante.

Ho scritto ad Anne-Marie i pensieri di questa notte. Non posso


credere che al di là di queste parole, di questa musica, di questa
preghiera, vi sia il nulla, che questa realtà non corrisponda ad una
realtà più grande.

8 settembre. - Domani partiremo per l’Italia: facciamo conto di


essere a Firenze per il pomeriggio del giorno 11. AI pari di tutti i
barbari sento nostalgia per questa terra.

15 settembre. - La bellezza e la civiltà di questo paese mi hanno


conquistato immediatamente. Chi non ha visto queste montagne e
queste distese d’ulivo, queste città, questi villaggi e queste case non
può rendersene conto. Il Battistero di Pisa, la Torre, il Duomo, il
Camposanto sono stati la nostra prima tappa. M’ha soprattutto im-
pressionato il carattere sinfonico di quest’ arte e la luce che essa
getta sulla Bibbia e sulle altre leggende cristiane. Ho incontrato una
bellezza sconosciuta. Tutto mi entusiasma: il colore del marmo, le
colonne, la posizione degli edifici sulla piazza, la porta di bronzo del
Bonanno, lo stile e lo spirito di quel tempo lontano, allorché Pisa era
una forte e temuta repubblica. Ma che dire della città d’oggi, delle
sue vie solitarie, dei lungarni, delle case dai tetti sporgenti? Tutto
respira l’aria del ricordo: Pisa vive del suo passato.

Da qualche giorno siamo.a Firenze. Quali profondi e grandi artisti


furono i pittori, gli scultori, gli architetti del Medioevo! Le loro opere
risvegliano in me una gioia assai più profonda di quella che susci-
tano le sole opere d’arte.

Al mattino visitiamo le chiese e i musei, al pomeriggio facciamo


qualche passeggiata nei dintorni, verso Poggio Imperiale, oppure ci
fermiamo in Piazza Michelangelo, attoniti e muti davanti allo spet-
tacolo della città che si estende ai nostri piedi; siamo anche stati a
Fiesole, a Settignano, alla Certosa d’Elma e sempre più ammiriamo
questo paesaggio d’incanto e questa città che gli Appennini circon-
dano con la loro calma serena. Sul cocuzzolo delle colline decine di
villaggi si adagiano al sole e centinaia di cipressi fiancheggiano le
strade che conducono ai cascinali. Quanta luce! Mi sento rivivere,
sento rinascere in me la gioia e la bellezza, capisco quale inestima-
bile fascino questa terra abbia sempre esercitato sugli uomini.

Non mi riesce di distinguere il presente dal passato e la mia im-


maginazione vive il tempo che fu: mi sento contemporaneo di Giotto
e di Dante, mi vedo tra la folla che accompagna il dipinto della Ma-
donna .di Cimabue alla Chiesa di S. Maria Novella, assisto alle feste,
partecipo alle lotte delle fazioni; questo tempo passato mi pare assai
più vero e vivo di quello presente. A confronto degli uomini semplici
del Medioevo, i moderni (la loro noia, il loro orgoglio, quella cosid-
detta disponibilità} mi appaiono come ombre tristi, come fantocci
timidi e senza vita. Quanto ci vediamo spregevoli, noi e il nostro
pesante eclettismo, se ci paragoniamo alla passione violenta e sin-
cera di questi nostri antenati: anche il male a quel tempo possedeva
una dignità! Al di sopra di ogni cosa - del bene e del male - quell’ ep-
oca sentiva la presenza di Dio, godeva di unità nonostante i disaccor-
di: la fede era l’anima della vita. Gli uomini sapevano chi era Gesù e
perché era venuto sulla terra, onoravano Maria e i Santi, ogni avveni-
mento della vita si mutava in occasione spirituale che portava a Dio: i
cuori di quegli uomini palpitavano di dolore, d’amore e di pietà verso
il Figlio di Dio nato da donna e morto in croce per la loro salvezza.
Erano certi di avere un’ anima creata a immagine di Dio e destinata
a ritornare a Lui nella gloria del paradiso. L’arte medievale - pittura,
scultura, musica, poesia, architettura - riflette questa sola e indis-
truttibile nostalgia. L’arte di questi primitivi che vedo per la prima
volta, l’arte di Giotto, di Cimabue, di Orcagna, mi conquista: vedo in
essa un’idea più profonda, un’ispirazione più completa e più mistica
che nei nostri primitivi del Nord. Mi costringono a credere che ogni
cosa sia veramente accaduta così come essi l’hanno descritta, il loro
sogno si concretizza nella mia realtà, il loro amore mi commuove, la
loro forza mi porta lontano verso la verità che ancora non conosco,
verso un mondo ignoto: soltanto la liturgia della Chiesa provoca in
me sentimenti di simile nostalgia.

24 settembre. - Siamo a Siena, stupefatti e incantati da questa città


che nelle vie vecchie e strette, nelle chiese, nelle torri e nei palazzi
ha conservato il carattere e il sogno del Medioevo. L’armonia è per-
fetta e il panorama incantevole. Di quest’arte mi piace la sicurezza
con cui ha unito la forza alla fragilità: penso al Palazzo Comunale,
alla Cattedrale, ai dipinti di Simone Martini.

29 settembre. - Il paesaggio meridionale è un invito alla vita, so-


prattutto per chi è abituato alle nebbie. L’ottimo Chianti brilla nei
bicchieri ricolmi, il sole splende in un cielo terso come il cristallo, la
lingua è sonora e corposa, i giardini, i colli, le montagne conquista-
no l’anima come un luogo di delizie. Sono un terreno arido e bevo
questa pioggia ristoratrice.

30 settembre. - L’arte del Medioevo punta verso l’essenziale. Essa


non obbedisce al principio dell’arte per l’arte, ma racchiude in sé il
pensiero divino da cui è nata la Chiesa. I suoi temi sono il mistero,
la vita, l’eternità. Suo scopo è di parlare di Dio e delle cose sante.
Nella Sala delle Balestre del Palazzo Comunale, mi sono soffermato
davanti alla Vergine col Bambino e i Santi di Simone Mattini: .. due
angioli in ginocchio porgono al Figlio di Dio le offerte, simbolo delle
preghiere degli uomini; la Madonna sta in trono come una Regina e
tiene il Bimbo sulle ginocchia come una Madre. È l’Advocata nostra
della Salve Regina. Appena giunto a casa, ancora sotto l’impressione
di questo dipinto, ho riletto con attenzione nuova le Litanie della
Vergine, le ho lette a voce alta e mi pareva che ogni invocazione
assumesse una forma concreta: vedevo la Madre purissima e la
Vergine forte, vedevo lo Specchio della giustizia e la Fonte della nos-
tra gioia, vedevo la Rosa mistica e la Torre d’avorio, la Casa d’oro, la
Stella del mattino, la Consolatrice dei sofferenti, la Regina degli An-
geli ... Il peso di quelle dolci parole mi soffocava, mi faceva piangere.
I cristiani pregano la Madre purissima del Figlio di Dio con queste
magnifiche invocazioni.

Ho paura: il palazzo della mia gioia trema dalle fondamenta: ques-


ta mia emozione non è forse frutto della bellezza? Non mi sono forse
lasciato commuovere da un magnifico poema? E se queste mie pa-
role non fossero altro che il vestito esteriore d’un sogno bello ma
vano e inutile? Le litanie avvolgono Maria di immagini meravigli-
ose, ma esse sono un tessuto fragile e la ragione critica dell’uomo
non dura fatica a cancellarle per sempre. Queste parole sono state il
sogno con cui l’artista - e che cosa è il Cristianesimo se non arte? - ha
epresso in modo sublime il desiderio delle anime semplici, la paura
che esse provano di fronte alla terribile angoscia d’una esistenza
senza significato. O mio Dio, non voglio più pensare, non voglio dis-
truggere questa mia gioia. Perché non posso accontentarmi d’un bel
dipinto, perché voglio procedere oltre, perché non mi accontento
delle apparenze? Questo mio spirito ha sete di certezza, vuole una
realtà che lo soddisfi in tutto. Potrà Iddio appagarmi, questo Dio che
secondo quanto dice il catechismo è la Perfezione stessa? Non so
rispondere Dio, che cosa è Dio per me? Una parola ... , una parola
vuota, senza eco. Dio è il desiderio che l’uomo ha dell’infinito, del
bello, del sublime. Dio esiste soltanto nella mente dei sognatori e
delle anime semplici. Ma perché allora sentiamo la nostalgia di vette
inaccessibili? Perché questo interrogativo ci tortura? Chi ha posto
nel nostro spirito questa domanda, chi ci fa sentire il desiderio in-
derogabile d’una risposta? Se il mondo è materia, di dove ha origine
l’intelligenza e questa furiosa ricerca di una soluzione? Verso quale
mondo sconosciuto camminano le anime? Eccomi ancora chiuso
nella morsa dei pensieri, ecco svanita la sicurezza che poco fa pos-
sedevo.

Conosco bene il mio male: passare da un estremo all’ altro. A volte


mi pare di possedere la certezza, sento che Dio esiste, regge e gov-
erna il mondo, ne sono talmente certo che piango e mi commuovo a
contemplare un tramonto, a guardare gli occhi di un bimbo, a fissare
le stelle. Altre volte invece rassomiglio ad un animale senza intelli-
genza, mi sento pesante come una pietra. Questa incertezza è triste
e terribile.

2 ottobre . ., Ci siamo fermati a S. Geminiano. Questa cittadina,


cinta di torri, s’erge su una montagna. A guardarla da lontano pare
di leggere una favola: è un autentico borgo medievale. Dalle spac-
cature dei muri e dalle porte aperte si vede la montagna, si contem-
plano gli ulivi: il silenzio è completo. Passano i buoi lenti e tranquilli,
due uomini parlano sotto un portico, da una casa esce una donna
e va ad attingere acqua alla fontana. Passiamo il pomeriggio big-
hellonando per le strade, seduti nei prati all’ombra delle numerose
torri. Nel silenzio della sera sentiamo il rumore dei nostri passi che
si perde per le strade; dall’alto dei campanili gli orologi segnano il
tempo che passa. Le torri si stagliano contro il cielo trapuntato di
stelle. Sono triste. Penso ai secoli passati, penso al presente, cerco di
immaginare il futuro. Le stelle pendono dal cielo come frutti maturi.
Tutto è silenzio. Perché vivo?

4 ottobre. - Domani visiteremo Padova e Venezia, poi andremo a


Perugia, ad Assisi, a Roma. Terra meravigliosa e felice.

8 ottobre. - Penso a Venezia come ad una cosa vista nel crepuscolo


incantato d’un sogno. È una città strana, come un fiore nato dall’
acqua. Questo silenzio - non automobili, non carri o carrette mi dà
l’impressione di camminare nelle sale di un palazzo incantato. La
luce di Venezia è intensa come quella delle pietre preziose, la sua
solitudine sul mare dona una fascino particolare al suo magnifico
sogno.

Siamo giunti in questa città verso il crepuscolo. La gondola striscia-


va sull’acqua che rifletteva la luce del cielo. Viviamo nel tempo pas-
sato, ci pare di leggere una vecchia storia un po’ triste ma molto
bella. Dietro di noi il gondoliere solleva il remo con maestria e canta
una canzone lenta; altre gondole ci incrociano mentre le voci squil-
lano sonore sull’acqua di color verde che lambisce le pietre delle
banchine, gli scali dei battelli. Quale magnifico sogno!
11 ottobre. - Siamo stati a S. Marco diverse volte: non trovo parole
per descrivere la magnificenza d’oro e di marmo. Questa costruzione
è una sintesi di potenza e di grazia, di rudezza e di splendore: la sua
armonia nasce dalla fusione del materiale prezioso con l’abbondanza
dei particolari. S. Marco è un sogno fattosi realtà.

Penso a Bisanzio, al suo impero di oro e di gemme e concludo che


Venezia ha ben imparato da quel maestro. Mi pare di vivere al tempo
dei Dogi e del Basileus, ripenso all’epoca eroica e selvaggia allorché
i secoli erano considerati i giorni di Dio, quando i Santi portavano
gli uomini all’eroismo, quando peccato e virtù si contendevano il
mondo. Mi pare di vivere al centro della storia, non conosco più il
passato, tutto si fa presente: questa città riflette la tumultuosa vita
dei secoli.

12 ottobre. - Il colore del marmo, la snellezza delle colonne e delle


guglie, la linea degli archi che fanno pensare a mani in preghiera
sono simboli nell’architettura gotica della nostalgia dell’ anima; lo
stile bizantino della Basilica di S. Marco ricorda invece l’eternità.

L’arte bizantina ha il dono di farmi pensare al Vangelo, ai fatti so-


prannaturali della Bibbia. Davanti a tanta bellezza mi sento costretto
a pensare a Dio. Scopro in me un mondo nuovo.

Qualche sera fa parlavo ad Anne-Marie dei sentimenti che suscita


in me l’arte ispirata a motivi religiosi. Ella mi disse: « Questo viaggio
segnerà una data importante nella nostra vita. Mi pare che qualcuno
ci guidi ».

Mi fanno impressione la gioia e il rispetto con cui nostro figlio en-


tra in chiesa. I suoi occhi di fanciullo si posano su tutto e vogliono la
spiegazione di ogni particolare. Qualche giorno fa mi disse: «Papà,
perché non ci inginocchiamo mai? ».

Pieterke ha notato la mia ammirazione per questi luoghi, ma come


posso rispondere alla sua domanda?

15 ottobre. - Siamo a Padova: anche questa città ebbe il suo mo-


mento di gloria e ancor oggi, in certe vie tortuose sormontate da
archi, conserva in parte la sua vecchia fisionomia. Abbiamo visitato
la Chiesa della Madonna dell’Arena, celebre per i magnifici affres-
chi di Giotto. La pace, la tranquillità, il carattere sinfonico sono le
qualità più nobili di questa pittura e a me par di vedere in essa la
stesso spirito della vita di Anna Caterina Emmerich: amore appa-
gato e fede profonda. In confronto a questi affreschi certa altra pit-
tura mi pare fredda e vuota, superficiale gioia dei sensi. Ho passato
in questa chiesa diverse ore: mi pare di capire che l’unico oggetto
dell’arte deve essere Dio. Ciò che non è Dio non dà gioia all’uomo: è
passatempo, superficialità, menzogna; non accontenta il nostro sen-
timento, né il nostro desiderio di Bellezza.

16 ottobre. - Domani partiremo per l’Umbria. Tra tutti i monumen-


ti di Venezia.1a Basilica di S. Marco mi ha entusiasmato più di ogni
altro. Mi è piaciuta la nobiltà del Palazzo Ducale -mi ha conquistato
il clima esteriore della città, ma la Basilica, gran libro aperto scritto
a caratteri di mosaico, è un’ altra cosa. Mi accorgo che ho sprecato
gran parte del mio tempo: ora voglio scavare nel profondo, voglio
salire sulle vette, voglio scoprire Dio.

18 ottobre. - È sera e siamo ad Assisi, città evangelica. Ieri invece


siamo stati a Perugia dopo aver visitato la parte meridionale della To-
scana, il Lago Trasimeno e l’Umbria. Avevamo stabilito di fermarci
alcuni giorni in questa città, ma allorché dalla Piazza della Prefettura
vedemmo Assisi in lontananza, bianca nel sole, e il monte Subasio,
non abbiamo resistito al desiderio di giungervi al più presto possi-
bile. Perugia è incantevole, la sua Cattedrale e il Palazzo Comunale
sono magnifici, gli edifici, le vecchie vie a gradinate e le rovine di
mura romane presentano notevoli motivi di interesse, ma ... il desid-
erio di Assisi fu più forte di ogni altra considerazione.

Oggi pomeriggio abbiamo visitato la chiesa bassa: la speranza non


è stata delusa. Le volte, gli affreschi, il canto dei monaci mi hanno
scosso e dolcemente turbato: pensavo di essere in Galilea al passag-
gio di Gesu. Questa terra silenziosa, queste colline riposanti, i1 cielo
azzurro mi fanno rinascere: dimentico ii passato e guardo la vita con
occhio nuovo, quasi rinascessi. Non sento contraddizioni, non ho
dubbi, non cerco soluzioni: penso a S. Francesco e mi basta.

Per quanto tempo godrò di questa pace?

20 ottobre. - Per ammirare meglio gli affreschi ho visitato piu e


piu volte le chiese di Assisi: mai ho veduto dipinti tanto belli! Giotto,
Cimabue, Lorenzetti - sono i pittori della fede appassionata.

Dalla camera dell’Albergo Giotto (il Bedeker lo classifica tra gli


alberghi modesti: e invece moderno e ogre un tono di vita piuttosto
distante da quella del Poverello) lo sguardo spazia per la valle e sulle
montagne. Uliveti, vigne e campi si estendono a vista d’occhio: le
strade bianche corrono a fatica su per le colline. Penso a S. Frances-
co e ai fraticelli e li rivedo su questi colli, in questa terra d’incanto.
Appena ora capisco che ci si può avvicinare a Dio in modo ancora più
perfetto che con 1’arte.

21 ottobre. - Oggi siamo stati al cimitero. Il panorama mi e ormai


abituale: uliveti, terra secca e grigia. Giriamo attorno alla Rocca mag-
giore e vediamo il Subasio davanti a noi. Il letto secco del Tescia pare
una strada abbandonata. A destra, in alto, la vecchia Aorta e poche
case di color grigio attorniate da alberi. Dietro, il monte s’innalza
brullo e gigantesco. Capisco perché Francesco amasse tanto la na-
tura, perché vedesse in essa un raggio del Creatore.

22 ottobre. - Assisi mi fa dimenticare il passato. In questa citta-


dina evangelica ritrovo me stesso e mi sento libero. Ascolto la voce
di Gesù e le sue parole risuonano in me come tocchi di campana:
capisco S. Francesco e il desiderio dei fraticelli di essere simili a lui.
Sento 1’anima sgombra da tormenti, lanciata verso abissi di luce.
S. Francesco ha ripudiato la ricchezza, ha sposato Madonna Pov-
ertà, ha ricevuto le stigmate - al costato, ai piedi, alle mani, - e stato
schernito e vilipeso: eppure ha superato il limite comune dell’uomo,
e giunto sulle vette, verso la bellezza, vicino alla santità, vicino a Dio.
I Santi: la fiamma che illumina la nostra notte.

23 ottobre. - Assisi e S. Francesco hanno oggi ricevuto la visita


di oltre trecento antipatici pellegrini tedeschi: Toro principale occu-
pazione fu di turbare questo silenzio e di mangiare rumorosamente.
Non mi e riuscito di capire in che consistesse la loro venerazione
verso il Poverello: fortunatamente sono già ripartiti, la loro rumoro-
sa allegria non turba più questo religioso silenzio.

A pranzo ho incontrato un americano: si trovavaqui di passaggio


e ne approfittò per visitare Assisi. La sua ammirazione è condensata
in questa frase:

Quite dice. Ma perché gente di tal fatta non se ne sta a casa, e


pretende di girare il mondo?

A sera ho passeggiato lungamente da solo per le vie deserte. Ti-


rava un forte vento e mi pareva di essere in una città sul mare.

24 ottobre. - Stamane ho visitato con Anne-Marie l’Eremo di S.


Damiano ove vissero S. Chiara e le sue consorelle: la casa è piccola
ma quanti ricordi! (Anche S. Francesco vi veniva talvolta e proprio
qui cantava le lodi del creato). Siamo stati anche alle Carceri e vi
siamo giunti per la strada che sale la montagna, di dove si gode uno
splendido panorama su tutta l’Umbria. In lontananza Assisi rassomi-
glia ad una città medievale: si distinguono i conventi, le chiese, la
nera cupola della Cattedrale. All’improvviso, mentre seguitiamo il
cammino, ecco dinanzi a noi un profondo torrente pieno di pietre;
qua e là il verde degli alberi è macchiato di chiazze gialle e brune
che sembrano grandi mazzi di fiori. In fondo, umile e glorioso, sorge
il monastero edificato attorno alla capanna in cui S. Francesco si
ritirava spesso in solitudine.
Ormai ho visto tutto di Assisi eppure vorrei potermici fermare
ancora. Mi pare che in questo luogo si annulli ogni contraddizione,
che vita esteriore e vita interiore trovino la loro perfetta armonia.
Sono certo che se potessi vivere qui non avrei più turbamenti, sono
certo che ritroverei la connessione logica delle cose. La vita di oggi
è agitata (la questioni sociali, è turbata dalle ricerche della scienza
e dal bisogno di godimento sfrenato: opporre questa vita al ricordo
degli antichi solitari costituisce per me un grande conforto. È come
gettare un ponte tra il sogno e la realtà.

Amo Assisi non soltanto per il passato. Anche il presente ha la sua


grandezza.

25 ottobre. - Siamo a Roma, città del Papa. lo non ho fede, ma ques-


to pensiero è l’unico che mi conforti: la Roma non papale è anonima
e senza forza. Un caos.

La prima impressione è stata che Roma manchi di carattere. Fi-


renze, ad esempio, sia pure con i tram e le troppe automobili, appare
come un gioiello, come un’opera d’arte. Roma invece è pesante, ma-
teriale: pensare che il Papa abiti in questa città mi fa impressione.

30 ottobre. - Cerco di capire Roma, passeggio per ore intere nelle


vie e nei giardini, contemplo questo cielo azzurro al di sopra dei tetti
e degli alberi. Ho visitato palazzi, chiese, rovine. Ho visitato anche
la Basilica di S. Pietro e non ho mai visto un edifìcio tanto sgraziato.
La piazza invece e le colonne che la chiudono mi sono piaciute im-
mensamente. Dal Pincio e dal Gianicolo abbraccio d’un solo sguardo
la città che da venti secoli domina il mondo. Ancora oggi Roma è la
Capitale: essa ha contatti spirituali con tutta la terra e di qui partono
vie invisibili in tutte le direzioni. Questo fatto mi sconvolge la mente
e il pensiero.

1 novembre. - Mi è stato comunicato oggi che mia madre è sta-


ta trasportata in clinica a Rotterdam: probabilmente dovrà subire
un’operazione. Secondo quanto spiega il dottore non c’è da temere
e anche se dovrà essere operata potrà lasciare la clinica tra qualche
settimana. Vorrei esserle vicino. Le scriverò comunque ogni giorno,
nella speranza che le mie lettere riescano a rendere meno pesante la
sua solitu~ dine. È calma e non ha timori: spero ardentemente che
ogni cosa si risolva per il meglio.

2 novembre. - Ho visitato il cimitero della Basilica di S. Lorenzo:


la folla gremiva la strada e il recinto interno del Camposanto. Ogni
visitatore versava qualche goccia di olio su quattro grandi tripodi
di bronzo: questo gesto ricorda gli usi pagani. Il giorno di oggi è
dedicato ai morti e la Chiesa invita i fedeli a pregare per le anime dei
defunti: è bellissimo! Esistenza e immortalità dell’anima sono per il
cristiano dogmi di fede: questa convinzione aiuta a vivere. L’anima
è creata a immagine di Dio, il suo valore è inestimabile e per essa
il Verbo s’è incarnato ed è morto in croce. So queste cose, ma non
le credo. Voglio essere libero, aperto a tutte le possibilità, pronto
ad ammirare sia la terribile solitudine e la sacrilega audacia di Ni-
etzsche, quanto l’amore di S. Francesco. Vedo la religione come una
limitazione, una specie di prigione o mi sbaglio?

10 novembre. - Delle vecchie chiese di Roma ammiro soprattutto


S. Clemente e S. Maria in Cosmedin: mi fanno pensare all’uomo
come ad un essere che vive in esilio, lontano dalla patria. Tra queste
mura e tra queste colonne decine e decine di generazioni hanno can-
tato il loro amore, hanno detto a Dio la loro nostalgia. Penso ai primi
secoli, a quei tempi fortunati ancora tanto materialmente vicini alla
vita di Gesù, a quelle sue parole che dopo tutto sono ancor oggi la
nostra stessa vita. A quel tempo i fedeli vedevano ancora la Croce sul
Golgota e Gesù crocefisso come un malfattore, ancora sentivano il
respiro della preghiera al Getsemani quando 1’anima sua era triste
fino alla morte, ancora gioivano e piangevano al racconto dei suoi
miracoli e della sua passione, lo pregavano con fede, erano affamati
del suo corpo e assetati del suo sangue. Che cos’erano per i primi
cristiani il dolore e la tortura in confronto alla sofferenza di Gesù, a
quello che egli aveva promesso? L’anima che vive di questi pensieri,
l’anima che cerca di capire l’amore di Gesù per gli uomini, ha innanzi
a sé una luce meravigliosa; essa ha il potere di mutare il valore delle
cose, di ricevere in sé, per illuminarsene, la luce divina. In queste
antiche basiliche rivivo la fede di quei primi secoli.

12 novembre. - Un signore olandese impiegato dell’ambasciata


spagnola presso la S. Sede, mi ha dato tre- biglietti di invito per as-
sistere alla Messa pontificale in S. Pietro, in occasione del Giubileo
del Papa.

16 novembre. - Sono stato in S. Pietro alla Messa del Papa: lo splen-


dore sacro di questa funzione non può trarre origine da un semplice
gioco non può essere un’illusione menzognera. Sento che deve esist-
ere una realtà di cui queste cerimonie sono il segno visibile.

Ho capito appena ora lo strano e misterioso fascino che Roma em-


ana. È la capitale, il punto centrale della terra perché in essa vive il
Papa, simbolo dell’eternità. Roma è eterna.

20 novembre. - È stata operata mia madre. L’intervento risultò


più difficile di quanto si pensasse, ma ho completa fiducia che si
rimetta. Ha volontà di guarire e questo le fa bene. Naturalmente, per
un certo tempo, dovrà osservare assoluto riposo. Appena sarà pos-
sibile verrà trasportata ad Oostwoorne, dove mio padre ha affittato
una casa isoiata e silenziosa. Spero ardentemente di trovrla guarita
al mio ritorno.

Penso alla sofferenza, al cumulo immenso di dolore che grava sul


mondo, giorno per giorno: il cuore trema a questa visione. La sto-
ria dell’uomo è illogica e caotica: non riesco a conciliare il male del
mondo con l’idea di un Dio buono e provvidente.

23 novembre. - Roma è in una posizione incantevole. Con Anne-


Marie ho compiuto diverse scampagnate a Frascati e sui Colli Al-
bani. Dall’alto lo sguardo si posa su questa città, verso la quale tende
il desiderio di milioni di uomini come verso la presenza reale e tan-
gibile di Dio sulla terra.

L’arte del Rinascimento mi lascia freddo. Solo Michelangelo nella


potente visione dei dipinti della Sistina e della statua del Mosè, mi
impressiona profondamente. Raffaello ha una sensualità molle che
non mi tocca: la sua pittura, e in generale quella di tutto il Rinasci-
mento, non raggiunge vette spirituali. Per questi pittori la Madre
del Salvatore è una bella donna simpatica e graziosa, Gesù un ricco
patrizio accuratamente vestito, i terribili fatti della Bibbia innocui
fondali da teatro: manca l’orizzonte spirituale dei pittori del Trecen-
to e degli autori dei mosaici. Quest’arte è gioia di colore e di belle
forme. Il Rinascimento segna l’inizio di quell’arte religiosa confinata
oggi nei pupazzi in legno e in cartapesta tirata a lucido che popolano
e dissacrano la santità delle nostre chiese.

28 novembre. - Oggi sono triste: vedo tutto nero e sento le tenebre


attorno a me. Quello che amo e quello che non riesco a capire, la
storia, il succedersi dei secoli, gli ideali, la morte di intere nazioni,
l’arte, la bellezza, la religione, tutto mi sembra una falsa apparenza.
La vita è un cammino verso l’abisso. Tutto passa, tutto si annulla.
Vivo ed ho un’anima che anela all’immortalità, ma nulla di quanto
ho attorno può appagarla. Mi sento smarrito quando guardo le stelle
del cielo, mi sento solo quando studio la storia: non capisco, non
riesco a trovare il principio. Prendere posizione, accettare una qual-
siasi idea nei confronti dell’uomo e del suo agitarsi mi pare assurdo
e puerile quando penso ai trecento milioni di stelle che ruotano negli
spazi. A che cosa serve il mondo? Gli ultimi re governano amman-
tati di pietre preziose, il Papa benedice folle protese in preghiera,
uomini si combattono e s’ammazzano, l’innamorato sospira sotto
il balcone della sua bella e poi si spara, bambini nascono e vecchi
muoiono, passano le stagioni, un uomo - Dio forse? - è appeso alla
croce, milioni di esseri umani piangono nel deserto del mondo e
aprono le braccia verso le stelle. Tra tutti gli esseri che vivono sulla
terra soltanto l’uomo ragiona. Mi abbandono alla malinconia: nulla
ha valore. Tutto è buio attorno a me. Sono una pietra che cade in
un abisso di cui non toccherà mai il fondo. Potrò spezzare le mie
catene? Potrò fuggire? Potrò vincere questa ossessione?

Penso, non so perché, alle parole che Gesù disse al Buon Ladrone:
hòdie mecum eris in paradìso. Che cosa significano? Son triste come
un bambino abbandonato. L’anima annega nel mondo che mi cir-
conda. Dov’è il paradiso?

Eppure ci deve essere una logica.

5 dicembre. - Dopo un mese di meditazioni, imbottito d’arte e di


impressioni nuove, sento bisogno di solitudine. Lascio Roma e parto
per la Riviera di Levante. Fino a quando le finanze me lo permetter-
anno mi fermerò a S. Margherita Ligure.

Quest’inverno segnerà una tappa decisiva nella mia vita e in quella


di Anne-Marie.

17 dicembre. - Sono a S. Margherita. In compagnia di Anne-Marie


e del bambino resto ore intere a guardare il mare. Il clima è dolce e
tiepido, come in primavera: nei boschi di Portofino fanno capolino le
viole. Il porto nereggia di pescherecci. Boschi, montagne, mare.

23 dicembre. - Ieri ho assistito ad una tempesta.

Il rumore violento delle onde che battevano contro gli scogli gi-
ungeva fino al nostro albergo. Era uno spettacolo grandioso: le on-
date sommergevano le punte meno alte e si spezzavano contro le
rocce. Giungevano da lontano, bianche di spuma, si ingrossavano
a mano a mano che si avvicinavano alla costa, assalivano la terra e
ricadevano con un tonfo secco e profondo. Altre volte invece questo
mare è calmissimo, teso come un filo sotto il sole che manda riflessi
d’oro e di smeraldo e che lascia sull’acqua una striscia scintillante.
Le montagne si drizzano contro il cielo puro, i pini si arrossano nel
tramonto.

Quanto sei bello, sole d’Italia! L’uomo del Nord, abituato ai lunghi
mesi invernali, si entusiasma a questo calore e a questa luce. Chi
non è stato qui non può farsene idea. Quando il sole non brilla, le
cose conservano i loro contorni esatti e si tingono di color perla, ma
quando riappare, la terra è in festa: le montagne paiono incoronate
d’oro, i pini fanno pensare a candelabri immensi, sulle distese di
ulivi quando sono vecchi, questi alberi si curvano come gli uomini!
brilla una polvere d’oro. E al di sopra di tutto - quanti sogni! - il cielo
purissimo.

Questo cielo è la cupola del mio cuore: non ho più paura e mi


sento calmo. Ma quando fisso il tramonto, mentre i battelli tornano
a riva a riposare con le vele raccolte, come uccelli stanchi, nasce in
me la nostalgia.

31 dicembre. - Ultimo giorno dell’anno. Mi sento prigioniero della


vita e la guardo con occhi smarriti. Perché vivere? Cerco di rispon-
dere, ma il mio ragionamento batte contro muri insormontabili.
Perché vive questo vecchio che trascina il suo corpo da un albergo
all’altro, questo vecchio che non pensa a nulla, che non ha idee, che
non sente problemi? Perché s’è verificato il terribile terremoto che
ha sconvolto la città di Messina e seminato duecentomila vittime
umane? Noi non conosciamo la ragione profonda delle cose.

Verso la mezzanotte un vecchio s’è avvicinato al nostro tavolo per


augurarci buon anno. È un tedesco del Reno e vuole parlare fran-
cese. Lo invito a .. sedere, discorriamo del più e del meno, natural-
mente anche del terremoto: dice che la notte scorsa non ha dormito,
assillato dai gravi problemi che dovrà affrontare il catasto di Mes-
sina! Questo signore non conosce nessuno e non vuole amicizie: due
volte l’anno fa una scappata a Neuenahar per curarsi il diabete, passa
l’inverno tra Rapallo, Santa Margherita e Bordighera e il resto dell’
anno a Lucerna (pronuncia la c in modo assai dolce); non si inter-
essa di nulla. Ecco un tipo che mi fa paura. Eppure talvolta invidio
questa vita da animale.

15 gennaio 1909. - Ancora una settimana e poi sarò a casa. La


mamma ha lasciato l’ospedale ed ora si trova ad Oostwoorne assis-
tita da mia sorella e da una suora: sento il bisogno di rivederla. An-
che il Nord mi richiama: in questi giorni ho guardato con nostalgia
le montagne coperte di neve! Amo l’Italia, mi ci trovo bene, eppure
qualcosa mi spinge verso la mia terra fredda e triste dove la vita
è pesante, dove i giorni si confondono con le notti, dove le nebbie
stendono la loro triste malinconia, dove la tempesta urla tra gli alberi
nudi. La felicità non è nell’anima, vive al di là, in quello che non ho,
in quello che non sono.

Ho conosciuto in questo albergo una strana signora non più


giovane: viene dalI’America e una sera, seduta al mio tavolo, m’ha
raccontato la sua vita. Non ha amici, né parenti ... ma sì, uno lo pos-
siede, ben prezioso, e me lo mostra: il libretto degli assegni. Dice di
annoiarsi, ma ciò non le ha impedito di litigare con l’anziano signore
tedesco. «Non posso soffrire i tedeschi - dice - soprattutto quelli calvi
». Mi racconta d’essere stata chiesta in moglie da un inglese e d’aver
rifiutato perché i re non le sono simpatici. Domani partirà per Fi-
renze: ma perché per Firenze e non per un’altra città? Non lo sa.
Viaggia senza mèta, spinta dall’inquietudine, senza gioia. Che cosa
proverà il giorno in cui in una camera d’albergo sentirà approssi-
marsi la morte?

20 gennaio. - Ancora un’ora e poi il treno passando per Genova ci


condurrà a casa: domattina saremo a Bruxelles. È primavera: l’aria è
tiepida, nei giardini fiorisce la mimosa. Voglio tornare a casa, sento
il bisogno di ritrovarmi nell’intimità della mia stanza, desidero rive-
dere mia madre, eppure provo dolore ad abbandonare l’Italia. La
rivedrò? La ritroverò come l’ho vista in questi giorni? Io sarò ancora
quello che sono oggi?

Il direttore dell’ albergo, persona gentile e semplice, m’ha colmato


di provviste e ha regalato ad Anne-Marie uno splendido mazzo di
fiori. Questi mesi sono trascorsi senza inquietudini, pieni di gioia.
Finisce un periodo della mia vita. Sono triste. Aspettavo qualcosa
d’altro.
Omnis qui pètit àccipit, et qui querit ìnve-
nit, et pulsanti aperiètur.
(Le 12,10).
26 gennaio 1909. - Oggi pomeriggio sono giunto ad Oostwoorne.
Dopo la città di Brielle sono rimasto l’unico viaggiatore dello scom-
partimento. Sentivo il vento urlare, guardavo le grandi nuvole nere,
il paesaggio malinconico mi faceva sospirare la stazione di arrivo.
Quando il treno si fermò mi parve di scendere ai confini del mondo
...
Trovo ad attendermi la sorella. Le notizie che mi dà circa la salute
della mamma non sono affatto rassicuranti: la ferita stenta a rimar-
ginarsi e l’inferma si scoraggia.

Camminando giungiamo sulla piazza della chiesa e passiamo da-


vanti ad un gruppo di case. La strada è deserta, il vento giunge da
lontano, urla, fa gemere gli alberi che incontra sul suo cammino.
Quale differenza dalle terre del Sud!

Prima di entrare in casa mi riprendo, compongo il viso alla gioia


ed eccomi nella stanza di mia madre. L’abbraccio di slancio, dal pro-
fondo del cuore e, per nascondere il mio dolore, parlo, parlo con
foga. La sua mano piccola e fredda si perde tra le mie. Non è cam-
biata molto, ma è pallida e debole: la vedo rassegnata e sofferente, e
questo mi fa male. Ora siamo tutti attorno a lei; il papà, la sorella ed
io. Ella mi spiega i particolari dell’operazione, ricorda i giorni che la
precedettero e quelli che la seguirono, parla della casa di cura e mi
dice che ne serba una cattiva impressione perché laggiù i mobili, in
nome dell’igiene, ricevono assai più cure che i malati. È ancora una
donna forte, piena di energia, attenta alla vita dei suoi figli; mi dice di
essere lieta che Anne-Marie ed io abbiamo potuto visitare l’Italia.

Dopo il pranzo l’ho aiutata a cambiare letto: l’ho tenuta in braccio


ed ho provato una sensazione strana a pensare che lei m’aveva por-
tato così per tutto il tempo della mia infanzia.
Desidera guarire, ritornare sana e forte. Il pensiero di aver soppor-
tato tutte queste sofferenze e di essersi sentita, in momenti difficili,
tanto attaccata alla vita, la stupisce. Non ha paura della morte, ma
sente che la vita ci lega a sé, ci lega soprattutto a quelli che amiamo.
Il dottore nutre buone speranze, ma dice che ci vorrà tempo. Ella
dimostra coraggio e pazienza: sopratutto ha fiducia nella primavera.
Ora è molto debole: per il momento la curana il papà e mia sorella B.;
la prossima settimana verrà una suora infermiera.

Questa sera le ho parlato di Roma, del Giubileo del Papa,


dell’impressione che m’ha lasciato questa città. Poi il discorso è
caduto sul Cattolicesimo: mia madre è d’accordo con me nel soste-
nere che il Cattolicesimo è la forma più alta della religione cristiana.
Le nostre intélligenze sentono gli stessi problemi. Vorrei poterla
aiutare, fare qualcosa, farla guarire, alleviare la sua sofferenza. Mi
sento impotente.

28 gennaio. - Fa freddo e piove. Il giardino che avvolge la casa è


grigio e triste. Mi sforzo di far brillare un po’ di sole in queste stanze
e parlo delle bellezze d’Italia, del suo clima tiepido, dei suoi giardini
fioriti. Guardo mia madre che ascolta e all’improvviso provo questa
terribile sensazione: non guarirà più. Mistero di vita e di morte! Pen-
so ad Anne-Marie, a mio figlio, a mio padre, agli amici, a quelli che
non conosco: anche noi fra non molto, distesi su di un letto, attender-
emo la morte. Viviamo e la morte insidia la vita sotto di noi.

Sono rimasto a lungo in camera mia seduto davanti alla finestra


a guardare i vetri bagnati di pioggia. Pensavo a mia madre, a noi
suoi figli ora fatti adulti. Quale mistero è la vita! mi sento solo, senza
speranza.

30 gennaio. - Oggi mia madre è lieta: ride e si diverte al racconto


che le faccio di alcune mie avventure italiane. Quanto sarebbe bello
se potesse riacquistare l’energia e la vitalità di un tempo! Non l’ho
mai amata tanto!
31 gennaio. - Il freddo questa notte è stato intenso: gli alberi e gli
arbusti sono gelati. Un pallido sole brilla nel cielo d’argento. Dal let-
to la mamma guarda il giardino bianco, pieno d’incanto. Prima che
disgeli esco con la sorella e passeggiamo a lungo: fa impressione
camminare sotto gli alberi lucenti di brina. Un pezzetto di ghiaccio
cade per terra e si spezza in mille cristalli, come vetro. I campi e
le case lontane risplendono di uno strano biancore. Non posso go-
dere questa bellezza: penso alla mamma che soffre. Vorrei guarisse
subito, per miracolo. Penso a Lourdes, alle meravigliose cose che vi
accadono.

1 febbraio. - A Rotterdam, nella sala d’aspetto della stazione, at-


tendo il rapido per Bruxelles. Il tempo è pessimo: neve e pioggia.
Ho visitato la città: m’è parsa strana. Il porto e il palazzo della Borsa:
soldi e merci. Nonostante il traffico, le automobili, i tram, il commer-
cio, i treni e le navi, la vita mi pare un’ ombra irreale e vacua.

Penso ad un villaggio lontano sperduto nel silenzio, nascosto da


bufere di neve. Le sue case a quest’ora sono chiuse e scure, ma da
una filtra un raggio di luce: là in una camretta, una donna veglia e
sogna: il silenzio è popolato dai suoi pensieri.

7 febbraio. - Sto riordinando gli appunti del mio viaggio in Italia e


ne leggo qualche brano ad Anne-Marie; quei giorni pieni di sole e
senza pensieri mi paiono un sogno lontano. Già la vita ha ripreso il
suo ritmo normale.

10 marzo. - Sono freddo: le cose che sconvolgono e tormentano


il cuore degli uomini mi lasciano indifferente. Non penso al den-
aro, non desidero essere riverito, non bramo il piacere. Che cosa
voglio dunque? Il lavoro, la bellezza e quelle ore di calma durante le
quali, come bambino spaurito, cerco il significato del mondo: sono
le uniche realtà che fanno tacere la mia inquietudine. Talvolta mi
sento abbagliato da una luce improvvisa. Ecco perché ho speranza.
Il più delle volte però sono roso dal dubbio, sconvolto da una tem-
pesta di pensieri. Ne ho parlato con Anne-Marie ed essa mi ha detto:
«Anch’io conosco la tristezza di queste ore di disperazione. Vorrei
pregare, ma chi? .. Ho il cuore sospeso nel vuoto. La nostra felicità è
legata ad un filo, esposta a mille pericoli. Vorrei pregare e non posso
... » ..

16 marzo. - Ho rivisto il vecchio e m’ha fatto pena: giorno per gior-


no la sua solitudine si colma di angoscia. Fa pensare ad un relitto
buttato sulla spiaggia.

Questa notte ho sognato. Ho visto dinanzi a me un cielo plumbeo


e una moltitudine sterminata di esseri fiancheggiata da abissi. Gli
uomini che componevano questa turba uscivano dall’ ombra e aveva-
no occhi grossi e bianchi. Intorno tutto era silenzio cupo, immenso,
terribile. Qualcuno rideva, ma anche quel riso era silenzioso, fatto di
gesti. Sentivo su di me un peso sproporzionato, come se sorreggessi
una montagna, e non avevo forza per liberarmene. Ai miei lati, a des-
tra e a sinistra, come pere mature, queste forme umane cadevano
nell’abisso. Era uno spettacolo strano, comico e tragico. Bambini e
uomini sparivano nell’abisso mentre la folla continuava il suo cammi-
no, incessantemente, senza darsene cura. Avevo l’impressione che
questo fatto durasse da secoli, non riuscivo a staccarmi da questa
visione crudele. Silenzio, buio, cielo plumbeo, uomini in cammino:
ripenso a questo sogno e mi sento fremere di paura.

20 marzo. - Ho molti amici ma di uno appena, o di due al massimo,


posso dire con certezza che il loro cuore vibri col mio. Nelle loro
parole sento la mia stessa ricerca, capisco che pure essi al pari di me
fremono dinanzi al mistero, so che vivono nell’attesa di qualcosa che
si compia. Gli altri, al pari della folla, si accontentano delle cose co-
muni e superficiali. - È un fatto che rattrista, ma ne debbo costatare
la verità: la maggioranza degli uomini vive senza pensieri e senza in-
quietudini, per nulla turbati; essi portano in giro il loro sorriso di es-
seri ben pasciuti e non pensano che viviamo sull’orlo di un abisso.

Quando mi trovo in presenza di uno di questi uomini perdo la


possibilità di ragionare e mi sento a disagio. Non ci comprendiamo:
le nostre parole hanno significati opposti. Essi vedono tutto bello,
limpido, chiaro, io invece scopro misteri, sensi reconditi, significati
strani. Ai loro occhi figuro un esaltato, un folle, mi disprezzano e
forse mi odiano. Re, pittori, poeti o autisti di taxi che siano, queste
persone rientrano nella categoria di coloro che disprezzano quello
che non capiscono, quello che non fa parte del cerchio chiuso della
loro meschinità. Quante volte ho sentito ripetere, e talvolta persino
da certi che vorrebbero appartenere alla classe degli intellettuali,
che S. Francesco fu un pazzo esaltato e che assai meglio avrebbe
fatto se avesse continuato il commercio del padre! Secondo queste
persone Rembrandt fu un fallito perché non riuscì a costituirsi una
fortuna economica e Verlaine ammesso che lo conoscano un essere
che non seppe guadagnarsi la vita. Ecco il loro ragionamento: per-
ché comportarsi in modo tanto strano? Perché avvelenarsi la vita?
Perché non vivere come tutti vivono senza problemi e senza rompi-
capi?

Dio mio, quanto mi è antipatico questo modo di ragionare! Tutto


è esagerazione per questi signori, anche la religione, anche la bontà,
anche l’amore!

Appena ora capisco quanto abbia dovuto soffrire mia madre in


loro compagnia.

11 aprile Pasqua. - Ho lasciato Anne-Marie e il bambino a Rh.


presso mia sorella e sono tornato ad Oostwoorne. Trovo la mamma
molto cambiata: nella penombra della stanza, appoggiata ai cuscini,
ha un’aria rassegnata, triste e lo sguardo fisso. Mi ha teso le pic-
cole mani fredde, mi ha sorriso, e quel lampo di gioia ha acceso una
tenue luce sulla sua faccia pallida. Stamane, mentre con voce dolce
le stavo parlando, ha chiuso gli occhi, e senza rispondere a quanto
dicevo mi ha afferrato le mani. Il cuore mi batteva forte. Guardavo
la cuffia nera della suora infermiera che cuciva ai piedi del letto. La
lampada spandeva una luce tenue: fuori brillava il sole.

Più tardi mi ha chiesto di Anne-Marie e del bambino: quando le ho


risposto che presto verranno a trovarla, ha scosso il capo e ha fatto
cenno di no. « A che cosa pensi, mamma? », le ho chiesto. «A tutto
», mi ha risposto.

Sono rimasto alcune ore vicino al suo letto, così, col cuore stra-
ziato: non m’illudo più che possa guarire. La primavera è in fiore,
l’aria è tiepida, ma essa ha freddo e non le è sufficiente nemmeno
il pesante scialle di lana; le sue mani sono dure, ruvide; di tanto in
tanto le sfrega l’una contro l’altra, dolcemente, e poi le guarda. Tal-
volta agita le braccia, quasi volesse scacciare pensieri importuni: io
le sono vicino e sento vergogna di me, del mio corpo giovane e forte.
Sento la morte che si avvicina, la vedo come una presenza invisibile.
Gli occhi mi servono a meraviglia, ma mi pare di essere cieco, di non
capire minimamente quanto sta avverandosi davanti a me ...

Sogni, pensieri, ricordi: vorrei dominarli e non posso. Sono loro


prigioniero. Uno però li sovrasta: le mani fredde, lo sguardo assente
e lontano di mia madre che sta morendo.

Non lo dimenticherò mai.

12 aprile lunedì di Pasqua. - Siamo al punto di ieri. Mamma non


tocca quasi più cibo: attende. Sono rimasto accanto a lei tutto il gior-
no, in silenzio. Domani tornerò con Anne-Marie e il bambino. Il dot-
tore dice che si sta spegnendo lentamente. Conosco questa parola
ma mi domando qual è il suo significato esatto. Che cosa è la morte?
Essa viene per tutti, per gli altri e per me, anche per quelli che mi
sono cari e senza dei quali la vita mi parrebbe un tormento.

13 aprile. - Mamma è morta. È mancata oggi pomeriggio alle


13,30: eravamo tutti presenti, le sorelle ed io. Stamane stavo appunto
preparandomi per tornare ad Oostwoorne, quando ricevetti il tele-
gramma di papà: decidemmo di venire noi quattro, le tre figlie ed
io e di lasciare Anne-Marie a governare i bambini. Dal treno, nella
luce indifferente del giorno guardavo le cose e gli uomini: essi non
sapevano nulla del mio dolore.
Trovammo la mamma adagiata sul letto, calma, con gli occhi ap-
erti. Ci avrà riconosciuti? Avrà visto i suoi quattro figli inginocchiati?
Avrà capito le nostre ultime parole d’amore? Avrà sentito la carezza
delle nostre mani calde, il bacio delle nostre labbra sulla sua fronte
pallida?

Prima di entrare in coma aveva baciato per cinque volte la mano di


papà: un bacio per lui e quattro baci per noi. Mi par d’esser tornato
il bambino che invoca la mamma che si allontana. Sono sconvolto:
perdo la cosa più preziosa. Assistere alla morte di una creatura è
sempre straziante, ma seguire l’agonia di chi ci ama, di chi ci è caro
quanto la luce, di chi non si può sostituire, è pesante, troppo pesante!
Ho assistito al mistero della morte: è incomprensibile.

Il suo corpo respirava lentamente, a intervalli lunghi, e grosse lac-


rime rigavano le sue guance scarne. Chi muore piange. Perché? Per-
ché la sua anima è triste? Certo, i nostri occhi non vedono il mistero
profondo delle cose! Viviamo nell’ombra. Attorno a noi si estende la
notte, ed è nell’oscurità della notte che accadono le cose essenziali.

Grosse lacrime bagnavano il suo viso: le lacrime dell’agonia. Mi


pareva d’esser sospeso su di un abisso. La morte: realtà immensa e
semplice.

Il respiro si faceva sempre più debole: avevo l’anima tesa al mo-


mento supremo. All’improvviso una mano, la mano della Morte,
passò sulla sua faccia: cercò gli occhi e li chiuse, toccò i nervi e li
distese, sfiorò il capo e l’adagiò sul cuscino ... Immobilità e silen-
zio. Ai piedi del letto la suora infermiera recitava la preghiera degli
agonizzanti: la guardai tra le lacrime; tutto era finito. Ci alziamo, in-
trecciamo le sue mani sul petto, baciamo la fronte ormai fredda. La
morte: non riesco a rendermene conto. Calma, immobile, serena,
mia madre riposa. Voglio imprimere in me per sempre il ricordo
deI suo viso puro. La guardo e sento che questa contemplazione
mi rinfranca e mi calma, mi accorgo che mia madre morta mi offre
un punto d’appoggio, una certezza nel disordine dei pensieri. Sono
calmo, il mio dolore è composto, le mie lacrime silenziose. Davanti a
me sta il suo corpo immobile, senza vita, senza anima; nella sua carne
la luce s’è spenta: la notte l’ha conquistata. Ma dov’è ora, dove vive
colei che fu la guida del mio spirito? Mi tornano alla mente parole as-
surde: Réquiem etérnam dona ei Dòmine ... Sì, l’anima esiste, non so
spiegarmi perché, non riesco a capire in che modo e come, ma sono
certo che l’anima non muore, che è immortale, che è eterna. Ne sono
certissimo. Non può essere altrimenti. Ma noi siamo nel dolore, tra
le tenebre. Il corpo di mia madre giace sereno e immobile, e accanto
a lei io passo questa notte di vigilia. È primavera: attraverso la notte
buia e profumata mi giunge il canto dell’assiolo. Verrà giorno in cui
anch’io sarà disteso su di un letto, i piedi immobili, le mani incroci-
ate, gli occhi chiusi, morto. Ecco l’unica certezza: la morte. Ma ora
sono vivo, e penso a mia madre, al papà, alle sorelle, ad Anne-Marie,
al bambino, agli amici, a tutti gli uomini. Da questa stanza, al di là
della notte, oltre la primavera e il silenzio, guardo gli uomini vivere
e vedo la morte e il suo viso nobile e triste: esiste qualche relazione
tra queste due realtà? Non so. Non posso però negare l’esistenza
del mistero, non ammettere che la vita non abbia un significato, un
senso più profondo.

Mentre la suora infermiera e un’altra donna preparano la camera


ardente, io passeggio in giardino.

Gli alberi buttano le prime gemme, il cielo ha un colore pallido,


agli arbusti sono già spuntate le foglioline. Sono accorso in questo
villaggio sperduto per vedere mia madre morire; finisce qui una par-
te della mia vita: ecco perché sono triste.

Passeggio sotto la finestra e davanti alla veranda che immette nella


camera ove giace mia madre: ascolto ... «Dobbiamo preparare molti
fiori; non abbiamo candele, non abbiamo crocefisso, non abbiamo
preghiere. Siamo a mani vuote. Nostra madre è tanto sola in questa
camera! ». Domani mia sorella B. partirà per Rotterdam e comprerà
i più bei fiori che troverà sul mercato.
Ancora una volta ci accostiamo al letto ove mia madre giace ves-
tita di bianco - il viso e le mani scoperte paiono scolpiti nell’avorio - e
poi decidiamo sul da farsi. B. ed io restiamo qui ad Oostwoorne, M.
ed E. partono per Rh.; consegno loro uno scritto per, Anne-Marie e
la prego di venire domani con il bambino: sento la loro mancanza.

È notte alta. Il silenzio occupa tutta la casa. Nella camera accanto


giace mia madre con gli occhi chiusi. Che cosa vedono questi occhi ?
Verso quale mondo è rivolto il loro sguardo? Nessuno sa dirmi dove
mia madre sia, in quale mondo continui la sua vita. È ancora qui
vicino a noi, può vedermi oppure riposa in luogo lontano, irraggiun-
gibile, inimmaginabile? In questo silenzio mi pare che tutte le cose
siano vive, stranamente e misteriosamente animate. Devo farmi for-
za per conttollarmi... L’anima è inquieta. Mia madre è morta ed io mi
sento improvvisamente solo, vedo attorno a me l’abissò e l’infinito.
Dov’è Dio? Dov’è l’anima di mia madre? E che cos’è questo rumore?
... Mi pare che qualcosa si muova ... Sono troppo eccitato: vado a
riposare.

14 aprile. - Ho raccontato ad Anne-Marie i particolari della morte


di mia madre, ed ho rivissuto gli avvenimenti di ieri. Mi ha colpito
questa costatazione: «Colui che muore è solo, deve affrontare ques-
ta realtà senza aiuto, non può né evitarla né allontanarla, nemmeno
per un attimo; essa si avvicina, la sua ombra si approssima, e il corpo
deve subirla ». Deve essere terribile assistere all’ agonia di chi è pre-
da dell’inquietudine: il moribondo geme, le sue braccia si contrag-
gono, le mani e le gambe si agitano. Quanto accade tra chi muore e
l’invisibile ci sarà sempre sconosciuto.

Poter conversare con Anne-Marie mi ha dato un certo sollievo.


Abbiamo passeggiato a lungo in giardino, mentre Pieterke giocava e
raccoglieva fiori per la Nonna Maria (così egli chiama mia madre).
Ecco quanto ho detto ad Anne-Marie: penso al corpo e lo trovo una
cosa strana: noi conosciamo l’anima soltanto attraverso di esso. Non
si può immaginare l’anima senza la forma materiale del corpo. Ep-
pure nel caso di mia madre ho costatato che l’anima ha abbandonato
il corpo. Qual è dunque il suo valore? Deve essere certamente assai
più grande di quanto io pensi. I cristiani dicono che esso un giorno
risusciterà: se è così, il corpo non si può disprezzare. Deve esserci
un legame tra l’anima e questo suo involucro visibile. Il desiderio del
corpo dell’essere amato non è in fondo che una ricerca dell’anima.
Mistero! Anche il corpo di mia madre si decomporrà, si ridurrà in
polvere, eppure un giorno risusciterà, l’anima lo rifarà suo. Pensiero
magnifico, profondo, bello oltre ogni desiderio. Questa nostra carne
gli occhi, le mani, i piedi parteciperanno al destino eterno dell’ ani-
ma, alla sua gloria o alla sua ignominia. Nel rito cristiano l’Olio Santo
viene usato per gli organi dei sensi. La liturgia cristiana dice: Et Ver-
bum caro factum est. Per farsi simile all’uomo Dio si è incarnato, ha
assunto un corpo: di conseguenza la nostra carne è stata santificata.
Mediante l’immersione nel Giordano, col contatto del Suo corpo,
Gesù ha santificato l’acqua, le ha dato quella forza purificatrice sim-
boleggiata dal Battesimo. Mi pare di capire la misteriosa bellezza di
questi segni: forse essi racchiudono la Verità.

Ho anche raccontato ad Anne-Marie l’incubo di questa notte. Mi


pareva che il silenzio vivesse una vita invisibile: sentivo scricchiolii,
passi felpati, sospiri, rumori. Non sono un tipo eccitabile, ma questa
notte ho avuto la sensazione di essere circondato da esseri invisibili,
di trovarmi in contatto con mondi sconosciuti. Ascoltavo immobile,
perfettamente sveglio: ad un certo punto l’angoscia si fece tanto
forte che fui costretto ad accendere la luce. Non vidi nulla, natural-
mente, ma ero certo che qualcosa esistesse, qualcosa che gli occhi
non potevano vedere, mi pareva di trovarmi prigioniero tra muri sen-
za aperture. È la stessa sensazione che si prova quando si dorme in
una casa al centro di una grande città; tutto è silenzio, ma qualcosa
giunge al nostro orecchio: attraverso i muri le mille voci dell’abitato
non dànno tregua all’orecchio. Così è stata la prima notte dopo la
morte di mia madre: strana, misteriosa, enigmatica, tormentata dall’
angoscia.

Mentre passeggiavo, grosse nuvole bianche veleggiavano per il


cielo portate dal vento.

Appena B. fu di ritorno coi fiori, rientrammo in casa e l’aiutammo a


disporli nella camera ardente: tulipani rossi, lillà, viole, narcisi, rose,
giaggioli, gicheri e gigli bianchi. Splendida era mia madre in quella
cornice di fiori. Eppure qualcosa mancava. Nonostante la devozione
e l’amore, noi non abbiamo contatti con la sua anima. Cercai di spie-
garlo, ma soltanto Anne-Marie capì quello che volevo dire.

16 aprile. - Stamane ho accompagnato mia madre al cimitero. Sono


calmo. Il mio pensiero è rivolto a problemi gravi. Questi giorni mi av-
volgono come la cupola di una chiesa. La vita ha il suo centro in ques-
ta morte, per essa ho dimenticato il passato e non penso all’avvenire.
Soltanto ora capisco la verità del versetto dell’Ecclesiaste: Òmnia
vànitas.

La bara scese lentamente nella fossa, trattenuta dalle corde. Ap-


pena toccò fondo vi feci cadere una manciata di fiori. Poi udii il tonfo
sordo della prima palata di terra. Se è vero che l’anima non esiste, la
vita è completamente assurda, il mondo non ha senso, le gioie e le
pene sono illusione, menzogne nel vuoto.

Rimarrò ad Oostwoorne fin che mi sarà possibile. Mi pare, res-


tando qui, di essere più vicino a mia madre.

30 aprile. - I giorni passati ad Oostwoorne sono stati tristi. Ab-


biamo parlato del tempo lontano, abbiamo rievocato l’infanzia - ri-
cordi? chiedevamo a vicenda - ma ogni discorso si concludeva con
la morte.

Domani ognuno tornerà a casa, al proprio lavoro.

Il tempo dolce e amaro del raccoglimento è finito: la vita ci rich-


iama. Vorrei rimanere ancora qui con colei che ora sarà sola davve-
ro. Noi, suoi figli, che siamo cresciuti assieme, che abbiamo amato
la casa, che ci siamo scambiati le nostre idee, ora l’abbiamo vista
morire, assieme abbiamo scoperto il mondo, assieme abbiamo mat-
urato le intelligenze, talvolta ci siamo urtati e offesi - quante cose si
commettono da giovani in nome della libertà - e ora ci separiamo,
ritorniamo alle nostre fatiche: non ha forse ciascuno di noi una mis-
sione da compiere? Capisco tutto di mia madre e per questo l’amo.
L’amo perché si è ribellata alla menzogna e alle apparenze quanto
ha sofferto! L’hanno accusata di essere eccentrica e pazza - l’amo
perché ha cercato la verità - adesso la conosce e forse è assai diversa
da quella che essa -immaginò - con passione, con cuore assetato. È
stata il mio unico aiuto, mi ha insegnato ad essere libero, a prestar
fede soltanto alla voce dello spirito, a compiere ciò che essa mi co-
mandava, senza falsi pudori di quanto gli altri avrebbero detto, senza
eccessive preoccupazioni di ordine materiale. Non soltanto: devo a
lei questo desiderio di abbandono totale a questa inquietudine che
non mi permette di vivere soddisfatto tra i muri di una prigione sen-
za orizzonti: per merito suo ho nostalgia delle stelle, dell’infinito.

16 agosto. - La mia situazione finanziaria è allo stremo: non guad-


agno quasi nulla, vivo di quanto mi si regala e della fortuna dell’anno
passato. Ho intenzione di trasferirmi a Parigi ove spero di trovare
lavoro. Guardo l’avvenire e lo vedo molto scuro. Se non avessi il con-
forto di Anne~Marie, se l’amore non illuminasse i miei giorni come
il sole illumina il bosco, se non conoscessi la gioia del mio impegno
e della bellezza non avrei .la forza di continuare.

Mi sono deciso: scriverò a certi amici olandesi che vivono a Parigi.


L’anno passato mi avevano proposto di affittare un appartamento; mi
auguro che non abbiano cambiato idea.

1 settembre. - Parto con Anne-Marie per Parigi.

Tentiamo. Fino al 15 ottobre saremo ospiti di amici in un villaggio


presso Barbizon, poi ci stabiliremo nella capitale.

6 settembre. - Sono giunto a Parigi col rapido della notte: Anne-


Marie e il bambino mi seguiranno appena avrò trovato un alloggio.
La mia prima impressione della città è stata poco confortevole. Sui
boulevards Rochechouart e Clichy mi sono imbattuto con la miseria
e con la felicità da pochi soldi. In un caffè ancora si ballava al ritmo
d’un pianoforte: s’udiva di tanto in tanto il ridere sguaiato di una
ragazza. Uomini e donne in abito da sera uscivano allora dai locali
notturni: l’oscurità della notte li avvolgeva, parevano smarriti, i loro
gesti erano timidi, quasi timorosi. Su una panchina invece dormiva
una donna coperta di stracci. Accanto a lei un mendicante stava sveg-
liandosi: spalancò la bocca e sputò per terra con disprezzo. S’apriva
un nuovo giorno dopo una notte di baldoria e di fame. Il cielo si tin-
geva di pallido e in lontananza il rumore saliva come una minaccia.

Mi sento abbattuto e triste: vorrei un soffio d’aria di montagna, il


cinguettio di un uccello, il silenzio che precede l’aurora ... Qui, tutte
le strade sono aperte: il cuore è tentato d’affogarsi e di perdersi. Per
il momento sanguina di compassione.

11 settembre. - Da quattro giorni siamo a Fleury, villaggio a quar-


antacinque minuti di cammino da Barbizon. Vi giungemmo la notte
di mercoledì dopo un viaggio magnifico: ricordo, dopo Melun, il
treno in corsa sotto un temporale spaventoso e i fischi acuti e prol-
ungati della locomotiva; poi, il monotono dondolio di una diligenza,
debolmente illuminata dalla luna, quindi finalmente il villaggio, le
case silenziose, la strada bianca che continuava chi sa dove e, su
tutto, il silenzio.

Ho visitato con Anne-Marie la foresta di Fontainebleau e mi piace


questa bellezza romantica. Ho passeggiato per sentieri deserti, mi
sono spinto sulle colline, ho gustato l’ombra di questi viali intermi-
nabili.

12 settembre. - Domenica. Oggi pomeriggio ho passeggiato lungo


il muro di cinta del parco che fu un tempo del cardinale di Riche-
lieu. Là dove il muro svolta, si presenta un magnifico panorama.
S’incrociano in questo luogo cinque vie e quattro vecchi alberi le
sorvegliano dall’alto: una semplice croce di legno si drizza alla loro
ombra. Penso a quanto ha detto Alberto Magno: «La vita è 1’ombra
della croce, il resto è morte ». Tutto è silenzio e solitudine: al di là
della croce si estendono i campi fino alla foresta.

Durante il ritorno venni sorpreso da un temporale. Grosse nuvole


grigiastre invasero il cielo e tinsero l’orizzonte di nero: scendeva
dall’alto una luce strana, che illuminava sinistramente la terra e i
grossi tronchi degli alberi. Le nuvole avevano forme curiose, mi
facevano pensare a vecchie città medievali, a torri di castelli, a guglie
di cattedrali: il mio pensiero correva lontano. Come è strana la vita!
Sono in Francia, in un villaggio sconosciuto, e presto sarò a Parigi,
al centro di quell’incendio di cui arde la nostra civiltà. Che cosa sarà
di me?

18 settembre. - Non succede nulla: vivere In campagna mi svuo-


ta.

Guardo con sorpresa quanto mi circonda: la sera avvolge il cortile


della casa come una nuvola, un albero innalza immobile i suoi rami,
il giorno succede alla notte, mia madre è morta, lassù nel Nord c’è
una piccola città. Sono fatti comuni, ma confesso di non capirli: guar-
do le cose di tutti i giorni come se le vedessi per la prima volta.

La base della vita attiva è la disciplina: lo so.

Ma per quale ragione faticare se tutto è senza scopo? Abban-


donarsi, cercare il godimento, giustificare la miseria come se fosse
uno spettacolo è assai più comodo, lo ammetto. E perché non dovrei
comportarmi così? Non ammetto limiti, non accetto leggi; ma so
pure che nessuna regola ha tanto magnificato la disciplina - ordine,
desiderio di purezza nel pensiero e- nell’azione - quanto il cristian-
esimo. Voglio giungere alla verità, ma ormai questa mia lotta dura
troppo tempo. Sono ferito, non posso più sorridere.

21 settembre. - Papà m’ha scritto; capisco la tristezza della sua vec-


chiaia solitaria, ma l’affanno che lo rode in questo suo tramonto mi
pare del tutto inutile. Potessi in qualche modo aiutarlo! Invece non
so nulla, non capisco, non vedo il significato del male e del dolore.
Come posso vivere?

A notte il cielo è splendido. La via Lattea traccia una linea curva


di pulviscolo luminoso: questa magnificenza - il cielo è un giardino
e le stelle ne sono i fiori - calma il mio tormento. Sono un bambino
che piange di nostalgia: non conosco il Padre, non so quale sia la
mia Casa.

27 settembre. - Ho passeggiato a lungo - due interi giorni - per i


boschi in compagnia di R.

29 settembre. - Sto leggendo le Confessioni di S. Agostino: prima


di giungere al porto della fede, anche S. Agostino ha sentito questo
tormento, ha assaporato questi dubbi.

1 ottobre. - Ieri sono stato a Parigi all’inaugurazione del Salone


d’Autunno. Ecco la mia impressione: assenza di nobiltà, trionfo del
grossolano. e del ripugnante. Se almeno l’artista si avvicinasse a
questa realtà deteriore con dolorosa pietà! Si deve dire invece che
ne gioisce e che ne gode. Nessuno di questi quadri è stato creato per
un impulso spirituale: sono nati tutti sotto il segno del commercio,
della volontà di impressionare. Ho parlato con persone per le quali
tutto era bello: «Magnifico, ecco il realismo », sospiravano. Idioti!
credono che la realtà vera sia quella che colpisce gli occhi. Anche chi
ha steso la prefazione al catalogo, un certo signor Mirbeau, si picca
di sostenere che l’artista non ha bisogno di alzare gli occhi verso il
Cielo per scoprire la realtà. Il livello spirituale è oggi molto basso.
La fantasia non ha più posto. Se qualche valore spirituale cerca di
affiorare, tutti sono pronti a scacciarlo, a nasconderlo: si preferisce
vivere come animali che conoscono soltanto il corpo e i suoi bisogni
fisici.

Che può essere l’arte per uomini di tale levatura?


È certo che nascerà una forte reazione contro questa grossolana
infatuazione per quanto è banale e trita; ma affinché essa possa influ-
ire decisamente sulle sorti dell’arte, sarà necessario che sia basata
su una visione metafisica della vita. E quale dottrina può offrirla,
solida e indistruttibile, se non il cattolicesimo?

È sera, penso a mia madre. Dove sarà? Mi vedrà?

Può difendermi con il suo amore? La sua morte mi appare sempre


più incomprensibile. Non entrerà più nella mia camera, non si pre-
senterà più a me con la sua figura grave e serena, mai più mi verrà
incontro. Vorrei partire, spingermi nello spazio, alla sua ricerca. Ma
dove?

3 ottobre. - Passano i giorni e non accade nulla.

Ieri mi sono spinto fin oltre Arbonne per una landa deserta, ove il
Battista non avrebbe sfigurato col suo vestito di pelle di cammello.

Ritornai quando già il sole tramontava: non so dire quante cose ris-
veglia in me questo momento del giorno. Malinconia, dolce tristezza,
desiderio di raggiungere la luce che scompare? Ora il sole illumina
altri mondi. Non si potrà mai aprire la porta luminosa dell’orizzonte?
Mi pare di contemplare l’anima in uno specchio e di camminare ol-
tre questa porta, verso l’eternità divina. Il mio cuore è un incendio,
soffro, eppure provo una grande i gioia: il pensiero corre ai miei
morti, scruta la terra, la vita, gli spazi infiniti; l’inquietudine si placa,
posseggo per un attimo la certezza, ho fiducia, mi sento vicino
all’Assoluto. Poi il sole tramonta, la luce si spegne, scende il silenzio.
Riprendo, triste; la mia via.

16 ottobre. - Giovedì scorso, in treno verso Melun, ho letto sul gior-


nale i particolari della dimostrazione di protesta, inscenata a Parigi
in seguito alla morte di Ferrer, lo spagnolo che ha dato vita alla co-
siddetta scuola moderna. Ferrer è stato fucilato. I liberi pensatori
che seguono il suo metodo, e tutti coloro che sostengono la neces-
sità di sradicare completamente il sentimento religioso dall’animo
del bambino, ne fanno un martire. La libertà questa vuota parola
senza senso - fu la sua bandiera, i più vecchi luoghi comuni del sedi-
cente libero pensiero furono le sue idee. Con esse Ferrer cercò di
distruggere nell’ animo infantile il desiderio di grandezza, lo sforzo
verso la perfezione e giudicò il cristianesimo una superstizione or-
mai sorpassata. Non fa stupire quindi che i suoi seguaci abbiano
dato vita all’inutile manifestazione di ieri e abbiano incendiato tre
autobus in segno di protesta contro la forza pubblica che ha difeso
l’Ambasciata spagnola. Ferrer ha buttato il seme del male: fu sciocco
e superficiale perché pensava che la vita avesse un valore assoluto,
che la natura fosse la divinità che tuttì debbono adorare. Si dice che
il Papa abbia intercesso a suo favore, ma la politica ha fatto sentire
il suo peso. Quanto si dice oggi in favore di Ferrer mi pare altret-
tanto insensato dei vituperi che gli si mandano. Il livello spirituale
dell’uomo scende. Un tempo gli uomini capivano la bellezza della
vita claustrale, veneravano i Santi, si sentivano in contatto col mis-
tero. Paragono l’insurrezione di ieri alle Crociate e la trovo grottesca
e disgustosa. Il nostro tempo è spregevole.

23 ottobre. - Domenica. Sono a Parigi. Finalmente ho trovato una


casa. Mi fa senso vivere in questa città. Sono stato da X. Stupidità,
assurdità assoluta.

Entusiasmo per l’aviazione, per i motori, per il volo. Dico chiara-


mente che tutte queste cose non mi interessano: per quanto perfet-
ta, la tecnica non mi porterà nel mondo luminoso di S. Francesco, di
Angela da Foligno, di Ruysbroeck, di Caterina Emmerich. Non con-
osciamo più il valore dello spirito. Gli uomini vedono soltanto con
gli occhi del corpo. Ultimamente in libreria ho trovato un volume
con questo titolo: La follia di Gesù. Inutile dire che un tale grado
di stupidità non ha bisogno di commento. L’ideale dell’uomo mod-
erno è un droghiere che vola. Dio invece è folle. La follia di Gesù!
Quello che è grande, santo, solitario, sublime non ha valore per noi.
Il Monte Bianco, le. sue distese di neve, gli immani ghiacciai ci ap-
paiono una esagerazione inutile; disprezziamo quello che ci supera,
giudichiamo. il genio una malattia dello spirito, i mistici e i Santi i
falliti della vita, degni della casa di riposo. Soddisfatti e contenti ci
contempliamo perché noi, soltanto noi, siamo gli uomini veri. Guaz-
ziamo nello sterco, con gioia.

28 ottobre. - La vita senza fede è nulla. Gli orizzonti sono chiusi.


Vorrei superare le tenebre, vedere - finalmente! - la gran luce e sa-
pere. Vi sono altre cose da scoprire, lo sento. Sarà un desiderio in-
gannevole?

29 ottobre. - Ho rivisto alcuni quadri di Puvis de Chavannes. Quale


splendore! Questi dipinti fanno pensare alla vittoria, e chi li guarda
se la vede davanti in una luce di sogno, trasfigurata. La concezione è
grandiosa e ricorda le sinfonie: quantunque risenta dell’influenza di
Giotto e della sua scuola, l’interpretazione e l’esecuzione è propria
di Puvis. Sono anche stato al Louvre e ho contemplato con profonda
emozione la solitaria magnificenza di Rembrandt.

All’uscita dal Museo la campana del Sacro Cuore lanciava nel cie-
lo i rintocchi dell’Angelus. Il richiamo profondo di questa voce si
stende su tutta la città.

Ci sarà qualcuno che l’ascolta? Questi colpi lenti e sordi mi pen-


etrano nell’ anima.

3 novembre. - Sono due giorni che assisto alla Messa in San Sul-
pizio, ieri e l’altro ieri, in occasione della festa dei Santi e dei Morti.
Durante il rito, mentre sull’altare si compiva il sacrificio, cullato dal
canto gregoriano che dice cose inesprimibili con parole sublimi, ho
pensato a mia madre. Me la sentivo vicina e mi sentivo vicino a lei.
Quando uscii dalla chiesa ero ancora sotto l’impressione di quella
pace solenne: guardavo gli uomini perdersi nel tumultuoso viavai
delle strade, e mi parevano pazzi. Non capisco perché si agitino tan-
to, verso che cosa tendano col loro moto da marionette. Vedo ancora
i gesti del sacerdote, so perché alza l’ostia, perché si inginocchia,
perché si sposta dall’una all’altra parte dell’altare. L’altare è il Gol-
gota sul quale Dio è crocifisso.

Oggi ho vissuto in un’atmosfera bizzarra ed irreale.

6 novembre. - Ho il cuore aperto a tutte le voci: l’inquietudine


mi spinge a conoscere, ma quello che la vita offre non è sempre
edificante. È di questi giorni il processo contro la signora Steinheil:
vecchi e giovani, poveri e ricchi vi si tuffano, saziano la curiosità
morbosa delle stranezze e dei vizi della protagonista. I giornali vi
dedicano intere pagine, i resoconti scendono a particolari innomina-
bili: la parola libertà protegge ogni cosa. È stomachevole.

Ho rivisto Vildrac e per mezzo, suo -mi sono incontrato col gruppo
d’artisti dell’Abbazia, giovani di buone capacità ma troppo legati, a
parer mio, al progresso scientinco, alla perversità del nostro tempo.
Ho ascoltato - alcune poesie lette da Apollinaire: mi sono piaciute
come tecnica, ma non oserei dire che siano capolavori: sono povere
di vita interiore e assai di rado l’idea si muta in canto. Vildrac mi pare
il migliore del gruppo.

8 novembre. - Vorrei scrivere a Léon Bloy e sarei lieto di con-


oscerlo. Bloy è un solitario: accetta Dio e la Chiesa, non si cura del
giudizio del prossimo, si scaglia con parole violente contro ogni
forma di bassezza, difende la sua fede da ogni attacco da qualsiasi
parte provenga, spinge la sua religione alle estreme conseguenze
senza esitazione, parla del dolore e della gioia con espressioni calde
d’amore. Bloy si innalza sui contemporanei come un gigante. Molti
accettano la sua testimonianza di scrittore, conoscono la sua opera,
l’apprezzano, ma giudicano come superata la sua concezione della
vita: siccome accetta il Cattolicesimo come verità assoluta, alzano le
spalle e lo considerano un fissato. Qualcuno dice: « È scorbutico e
si rovina da solo. Il suo Cattolicesimo è impraticabile ». È possibile:
a me però quest’uomo piace. Ha il coraggio della verità, vive per
amore e, a confronto del chiacchierio mellifluo di certi scrittori alla
moda che titillano il gusto del lettore, accomodanti, discreti e medi-
ocri, la sua voce rimbomba come tuono.
È dolce godere la sera accanto ad Anne-Marie, dopo una giornata
faticosa, stanco di troppe persone, di parole vane, di cose vuote. Ho
appeso ai muri della stanza alcune riproduzioni di Giotto, sul divano
è stesa la coperta verde, dolce ricordo d’Italia, alcuni libri sono al-
lineati nello scaffale: soltanto il tavolo è in piena luce. Nel camino,
sormontato dalla statuetta del monaco che piange, scoppietta un
focherello allegro. Alla parete una riproduzione della Madonna di
Duccio. Attorno a noi è silenzio. In lontananza il brontolio sordo e
indistinto della città.

14 novembre. - Da Drouet è stata aperta una Mostra di alcuni dip-


inti di Van Gogh. Sicuro e pieno di passione, Van Gogh manca di mi-
sura; quanta forza, però! Si sente che non poteva dipingere in altro
modo. Colori e tecnica dànno la misura del dolore. Seppure discon-
tinuo, il lavoro di Van Gogh è sempre interessante; non si può dire
altrettanto della piatta mediocrità della pittura contemporanea.

24 novembre. - Vivo come in un turbine, proteso verso tutto ciò


che mi circonda. Ieri ho assistito ad un concerto di musica da cam-
era e per organo di Franck: anima nostalgica, pianto e,dolore tramu-
tati in gioia, passeggiata mattutina in una domenica di estate.

Giorni fa ho partecipato in casa di Eshmer Aldor ad una riunione


degli Amici delle Lettere e delle Arti. Pittori, scultori, scrittori, poeti,
nomi noti e ignoti, artisti dai capelli folti, uomini calvi, giovani intel-
lettuali, anziani signori decorati: gli uni addosso agli altri, gomito a
gomito, schiacciati nel corridoio e nella cucina, questi signori pas-
sano ore intere a chiacchierare e a ridere. Ho notato Bourdelle, Han
Ryner, Saint Pol-Roux (detto Il Magnifico), Paul Fort, cubisti, editori
e diversi stranieri; l’importanza di tali riunioni mi sfugge. Soprattutto
adesso che so come si giudicano a vicenda.

Sono stato a pranzo, ospite di un ricco commerciante di Halle che


amministra le sue fortune in modo del tutto particolare: figli, cog-
nati, cognate, fratelli, cugini, nipoti tutti partecipano alla direzione
dell’ Azienda. Fu una colazione eccellente, ma tanta abbondanza di
portate e di vini mi ha intontito per tutta la giornata. Io mi chiedo a
che cosa pensi questa gente. Sono persone stimate, lavorano dura-
mente, hanno raggiunto una buona posizione, ma non sono uscite
dalla mediocrità: appartengono a quella maggioranza che disprezza
i valori dello spirito.

Ho rivisto il pittore olandese che avevo conosciuto qualche anno


fa mentre si trovava in dura miseria ... Ora è a posto: possiede uno
studio magnifico al centro della città per il quale paga migliaia di
lire d’affitto, e vende i suoi quadri a prezzo altissimo. Sono lieto che
abbia fatto fortuna, ma non capisco perché la sua pittura abbia tanto
successo.

Ho assistito anche alla rappresentazione dei Sette contro Tebe


presentata dal celebre critico Ledrain. Non voglio parlare della sua
noiosissima chiacchierata: nonostante la pessima regìa e il tono fi-
acco della recitazione, la bellezza di questa antica tragedia ha su-
perato ogni ostacolo.

Ho comperato due libri di Bloy, il Castello interiore di S. Teresa, la


Vita della Beata Angela da Foligno e il volume sull’Avvento di Dom
Guéranger. Mi prometto di leggerli presto.

27 novembre. - Questa sera con due amici farò un’esperienza sin-


golare: ingoieremo alcune pillole di hascisc. Sono impaziente di pr-
ovare, e farò il possibile per stendere alcune note. Forse non è bene
eccitare lo spirito con questi mezzi artificiali. Ma perché non dovrei
farlo? Questa esperienza potrebbe essere utile per il mio lavoro!
Tento in nome dell’Arte!

Ho scritto a Bloy e gli ho chiesto di ricevermi: so che vive in soli-


tudine dietro la Basilica del Sacro Cuore.

29 novembre. - Per poco l’esperimento dell’altro ieri non finiva in


tragedia. La dose era troppo forte e abbiamo dovuto chiamare un
medico d’urgenza. Ho passato momenti terribili: temevo d’essere
avvelenato. Queste imprudenze possono costare la vita. Quello che
ho tentato è goffo e puerile. Ma perché non avrei dovuto farlo, sia
pure a rischio di morire, se non credo in Dio?

2 dicembre. - Sono stato da Bloy. Sono lieto di essermi incontrato


con quest’uomo. È venuto lui stesso ad aprire il cancello che im-
mette nel piccolo giardino circondato da un muricciolo, in fondo al
quale c’è la casa dove egli abita. Siamo sulla collina di Montmartre,
dietro la Basilica del Sacro Cuore.

Mi presento: Bloy mi accoglie sorridendo e mi accompagna,


precedendo mi con passo lento. La camera è alta, poveramente arre-
data, - uno scaffale, alcune sedie, un divano, qualche quadro, uno
scrittoio - illuminata da una lampada che pende dal soffitto. Ci sedi-
amo accanto al divano, e finalmente posso contemplare il suo volto.
La faccia di Bloy mi fa pensare a Rembrandt vecchio, meno tragico
però e meno solo: semplice e forte, quest’uomo comunica un senso
di pace e di chiarezza. I suoi grandi occhi limpidi mi guardano: so
che questi occhi hanno conosciuto la sofferenza e il tormento, ep-
pure m’avvedo che posseggono anche la pace dello spirito; già le sue
opere me lo facevano supporre, ma oggi ne ho piena conferma. La
sua voce è dolce ma talvolta si fa rude, e allora i suoi occhi brillano
come fiamma sotto la fronte spaziosa divisa da una ruga che scende
tra le sopracciglia.

Ora parliamo. Spiego il motivo che mi ha spinto a fargli visita, gli


dico l’ammirazione che sento per la sua opera, gli dico pure che non
sono cattolico, ma che i suoi libri mi piacciono perché trovo in essi
qualche cosa di più grande che la sola bellezza. Bloy mi guarda e
con molta dolcezza, risponde: «Amico, se non sei nella Chiesa sei
nell’errore ».

Prima di accomiatarmi mi regala l’ultimo suo volume Il Sangue


del Povero e mi mette a parte di un segreto: scriverà presto un libro
su Napoleone e in quella vita tormentata cercherà la presenza di
Dio.

Non è vero che Bloy sia acido e amaro. Anche se i suoi amici
sono pochi e pure ammesso che non nutra simpatia per il mondo
contemporaneo, è uomo semplice, umile e gentile. Non si occupa di
letteratura: «La vita è breve; - dice - ho ben altro da fare »

Sono stato un’ora con lui e la testimonianza di quest’uomo che


vive solo e povero, al di là delle CODventicole letterarie e del caos,
fermo nella fede nonostante la povertà e il dolore, è molto significati-
va. Nessuno meglio di questo povero ha parlato della povertà - faccio
eccezione per qualche santo - con tanto equilibrio. Ogni occasione
acquista per Bloy un significato religioso, è il mistero attraverso il
quale Dio si manifesta.

Bloy non è vecchio. Nonostante i capelli bianchi e i sessantatré


anni, ha uno spiccato senso del ridicolo, ha il gusto dell’umorismo:
già me n’ero accorto dalle pagine dell’Esegesi dei luoghi comuni, e
questo incontro me lo ha confermato.

Sono lieto di sapere che a Parigi vive un uomo di questa statura,


cristiano e cattolico integrale. Ora che lo conosco, sento di amare
più ancora questa già cara città.

Quale influenza eserciterà su di me questo incontro?

4 dicembre. - Sono stato nella chiesa delle Benedettine di via Mon-


sieur. Bello! Sento ancora le voci modulate nel canto gregoriano e
mutate in musica lievissima: le note alte di questo canto mi fanno
pensare all’offerta, al cuore che si dona a Dio. Silenzio e raccogli-
mento. Durante la celebrazione della Messa, allorché il sacerdote
ebbe pronunziato sul pane e sul vino le parole della consacrazione,
ho avuto una sensazione strana: non so come abbia potuto pensarlo,
ma sapevo, ero certo che là, sull’altare, era successo qualcosa.

Nel pomeriggio con Anne-Marie e col bambino ho assistito alla


funzione dei Vespri. Chi ha ragione? Queste donne che hanno ri-
nunziato a quanto noi stimiamo indispensabile - amore, libertà, figli,
gloria, che si sono consacrate a Dio, che allontanano il desiderio che
sempre rinasce, che pregano e cantano la gloria dell’Essere invisi-
bile? Oppure noi che nella dispersione di ogni giorno gridiamo con
pianto disperato, noi che attendiamo nel domani il compiersi della
nostra speranza, che soffochiamo l’angoscia con gioie raffinate, che
ci accechiamo alla luce cruenta del mondo visibile? Sono due modi
di vivere completamente opposti. Uno dei due è basato sulla menzo-
gna: ma quale?

Il coro delle monache è separato dal posto riservato ai fedeli da


un’alta grata. Allorché le ho viste prendere posto - nere figure si-
lenziose - non ho potuto allontanare questo pensiero: «E se queste
donne sacrificassero la loro vita in nome di una illusione? ». Sarebbe
terribile. Eppure Gesù ha detto: «lo sono vita e verità ». È lecito du-
bitare? Ma allora perché molti uomini hanno visto la Verità, l’hanno
guardata coi loro occhi di carne, e poi non hanno creduto? Pilato ha
chiesto a Gesù: «Che cosa è la verità? », e l’aveva davanti.

Quanto è pesante il dubbio, quanto è angosciosa la lacerazione


dell’anima che non può dire sì e che continua a vivere nell’incertezza.
Gioia disperata della ricerca e dell’analisi minuta di ogni pensiero!
Voluttà orgogliosa che crede di salvarti, portandoti oltre l’angoscia,
là dove con atteggiamento scettico e sorriso di sufficienza tu guardi
la vita come se fosse il dramma recitato unicamente per te: non mi
piacete, non mi soddisfate, non calmate la nostalgia dell’anima. Mi
sento miserabile.

14 dicembre. - Partecipo talvolta alle riunioni di Vers et Prose che


si tengono al martedì nel bar Closerie des Lilas: vi ho conosciuto
molti pittori, scrittori e poeti. Talvolta ci si diverte: non sempre però,
soprattutto a notte alta i discorsi sono d’indole spirituale. Vi parte-
cipano artisti d’ogni razza. Capo del gruppo è Paul Fort. Ho bisogno
ogni tanto di trovarmi in compagnia di questi sognatori.
20 dicembre. - Quando mi è possibile mi reco nella chiesa delle
Benedettine e cerco di seguire esse recitano un breviario particolare
- le loro preghiere, servendomi del volume dell’Abate di Solesmes
Dom Guéranger, restauratore dell’ordine benedettino in Francia.
Accettando le istruzioni e i precisi consigli contenuti in quest’opera,
si potrebbe scrivere un magnifico poema sull’anno liturgico della
Chiesa e paragonarlo ad una splendida cattedrale: le feste sono gli
altari, le domeniche le colonne, i giorni le vetrate, i tempi liturgici
- Avvento, Natale, Quaresima, Settimana di Passione, Pasqua - i por-
tali, Natale e Pasqua sono le torri, le feste della Madonna le cappelle
laterali nelle quali trovano accoglienza coloro che sono stanchi e sof-
ferenti; Divina è questa bellezza: in essa i1 tempo si fa immagine e
simbolo dell’eternità.

Ho terminato di leggere Il Dominatore del mondo di H. Benson.


Dello stesso autore leggerò presto La luce invisibile.

27 dicembre. - Ho atteso Natale nella chiesa delle Benedettine e


ho preso parte al canto di Mattutino, alla Messa di mezzanotte, alle
Lodi e alla Messa dell’aurora. Sono scosso dalla divina bellezza di
questa preghiera. Il canto, le parole, la Messa solenne con tre sacer-
doti, tutto è stato magnifico: penso soprattutto al profondo mistero
che si nasconde al di là di queste cerimonie. Ogni gesto, ogni parola
ha un significato più alto, è la fiamma di un fuoco invisibile, realtà
controllabile di un mistero, lontana immagine dei disegni di Dio.

Sono tornato a casa al mattino, solo, attraverso la città in festa. Al


Moulin Rouge e nei ritrovi, uomini e donne si divertivano in modo
grossolano e volgare. Quale contrasto! Chi pensa in questa città,
mentre la luna solitaria voga lentamente come uno strano vascello
nella solitudine del cielo; alla stalla di Betlemme, a quanto vi accadde
sotto lo sguardo d’una stella prodigiosa, in presenza, di pochi pastori
e di alcuni animali? Non capisco. Gesù è nato per tutti, e questi uo-
mini, al pari di cani, mordono le loro anime, lentamente le uccidono.
Non c’è equilibrio.
8 gennaio 1910. - Il tempo vola: un altro anno è passato. Che cosa
ho fatto? Che significato ha la mia vita? Il caos mi trasporta sulle sue
onde. Non so dove afferrarmi, non ho certezza.

10 gennaio. - Sembra primavera: l’aria è dolce, piena di profumi. A


sera, piccole nuvole viola veleggiano in un cielo dal color verde mare.
Gli alberi si drizzano neri e immobili, le case gocciolano umidità,
porte e finestre aperte al sole riflettono la luce tenera e meravigliosa
di questa primavera precoce. L’anima trabocca di desideri dolci e
amari.

Alcuni giorni or sono, mentre ero nella chiesa delle Benedettine,


ho sentito un tuffo al cuore: Dio esiste, immenso, eterno, principio e
fine di ogni cosa; in quel momento avevo la certezza che un giorno
tutto sarà armonia, sentivo fiducia e gioia. Ahimé, quanto fu breve!
Perché il mio spirito si rode nel dubbio? Perché non posso credere
in Dio onnipotente? È forse assurdo, insensato, ridicolo, credere a
queste cose?

La vita è buia e impenetrabile. Non posso liberarmi dal tormento


che distrugge la certezza, eppure sento che la forza della fede cat-
tolica s’impadronisce del mio cuore. Questa fede mi fa vedere Dio,
mi libera dalla materia, rompe le mie catene, porta lo spirito come
aquila verso la luce. Dio mio, non è possibile che tutto sia inutile, che
la vita sia un sogno della nostra fantasia: sì, Dio esiste, Dio è il centro
del mondo. E allora, perché non mi dichiaro sconfitto, perché non
credo ancora, perché non prego?

Questa intuizione di Dio nasce dal sentimento: verrà giorno in cui


sarà sostenuta dalla ragione. Allora si staccherà da me come frutto
maturo, e di esso si nutrirà l’anima mia.

25 gennaio. - Ieri ho assistito ad un fatto pietoso. Una donna già


anziana, malamente coperta, tutta tremante dal freddo si trascinava
per via Bach. I1 suo corpo era malamente velato da uno straccio
imbrattato di fango, aveva i piedi riparati in strisce di stoffa, e il viso
coperto di sangue all’altezza dell’occhio sinistro. Faceva pena e or-
rore. Il freddo scuoteva il suo corpo misero e vecchio. Mi avvicinai
e le chiesi dove andasse, ma non capii la sua risposta. Non aveva
più forza, tanto che per salire sul marciapiede dovette aiutarsi con
le mani. Lo straccio che l’avvolgeva ai fianchi e alle gambe di tanto
in tanto s’apriva e lasciava trasparire la carne nuda. Con una mano
essa tentava di tenerlo stretto a sé, mentre con l’altra sorreggeva un
canestro pieno di pane secco: aveva un aspetto feroce e idiota. Nes-
suno si fermò ad aiutarla, nessuno le disse parola, nessuno le tese la
mano: essa si voltava e guardava gli uomini come un cane tignoso.
Non sapevo che cosa fare, e l’accompagnai per qualche passo: pen-
savo a S. Francesco che abbracciava i lebbrosi. Quale misteriosa for-
za sostiene in vita questi esseri abbandonati? Quando lasciai quella
donna mi sentivo in colpa, profondamente triste. Avevo in mente
quanto ho sentito o letto non so più dove: Cercate nel povero e in chi
soffre vostro fratello Gesù. Allora mi voltai per tornare indietro, ma
la donna era scomparsa.

8 febbraio. - Niente di nuovo, la solita vita agitata e a strappi.

Innegabile segno del tempo è il chiasso che si sta facendo attorno


a Cantachiaro. Tutti i giornali ne parlano come si trattasse di opera
fondamentale. Ho tentato di leggerlo, l’ho sfogliato qua e là: è una
nullità completa. Tutti dicono e scrivono che è un capolavoro, e nes-
suno mostra di sapere che un solo verso di Baudelaire o di Verlaine,
che una sola pagina di Bloy e di Claudel è immensamente superiore
a tutta l’opera inconsistente e vuota di questo antipatico Rostand.
Tutti lo leggono e tutti lo capiscono e questo basta. Rostand non
cerca le ragioni profonde, non è difficile, non è complicato, è il gen-
io dell’insignificante: ecco quanto basta per guadagnare soldi, per
far parte di quella scuderia di Pègasi senza ali che è l’Accademia di
Francia, per rappresentare all’estero (!) la nostra letteratura contem-
poranea, per essere amico di tutti!

14 febbraio. - Penso da qualche tempo di trasferirmi in centro,


dall’altra parte della Senna, presso il Giardino del Lussemburgo.
13 marzo. - Ho vissuto giorni dissipati, ma sono tornato in me, e
stamane ho assistito alla Messa del1a domenica di Passione nella
chiesa delle monache di San Benedetto. Il simbolismo delle cerimo-
nie e della liturgia di questi giorni abbraccia tutto il mondo. La vita di
Gesù sta al centro della storia: attorno ad essa gli anni si susseguono
e si ripetono in un alternarsi di giorni santi e di feste.

19 marzo. - Aperta la mostra degli lndépendants.

Inutile cercare la bellezza in questi quadri. La novità di oggi si


chiama Cubismo: nei suoi confronti Van Donghen, Rouault e gli altri
Fauves sono già vecchi, possono considerarsi classici. Quale strana
città è Parigi: ogni anno inventa qualcosa di nuovo, di impensabile.
Picasso ha fatto scuola, e i suoi discepoli e i suoi imitatori - bisogna
ammettere che ve n’è qualcuno di valore - ora dipingono gli oggetti,
i paesaggi e gli uomini, immaginandoli composti di gran numero di
cubi, di coni, di cilindri, di piramidi; di sfere. Capisco il loro pensiero:
dipingere è creare, non riprodurre passivamente la realtà. Questi
pittori vedono il mondo sotto forme geometriche. Ma perché han-
no voluto esporre questi loro tentativi? Meglio assai tenerli ancora
negli studi. In questa esposizione non ci sono capolavori, ma penso
che questo sforzo debba essere guardato con fiducia: è una reazione
violenta alle forme ormai vuote dell’impressionismo.

Domani inizia la Settimana Santa, la Major hebdòmada. Seguirò le


funzioni nella chiesa delle Benedettine.

28 marzo. - Il Figlio di Dio è stato crocefisso.

Tragedia incomparabile e grande, centro di tutta l’eternità, il solo


avvenimento della storia umana dal giorno della creazione: la Set-
timana Santa mi ha portato questi pensieri. La sofferenza aumenta
poco alla volta, di giorno in giorno si fa cruda, fino ad esplodere in
quella notte terribile. I venti secoli che ci separano da quei giorni
di passione si dissolvono come polvere: ogni cosa accade in questo
momento; il tempo non esiste più. Gesù spezza il pane, offre il Suo
corpo come cibo e il Suo sangue come bevanda, Gesù prega e suda
sangue nell’uliveto del Getsemani, Gesù viene oltraggiato, tradito,
percosso, flagellato, condannato a morte, Gesù trascina la croce sul
Golgota, cade per tre volte sotto il peso di questo legno ignominioso,
sotto il peso infinitamente più pesante dei peccati degli uomini, Gesù
è inchiodato alla -croce, issato tra il cielo e la terra, la Sua Madre
purissima piange lacrime amare. E ancora una volta muore, e di nu-
ovo risorge al terzo giorno.

Non trovo parole per esprimere la bellezza della liturgia: santa


magnificenza! Bellezza incomparabile di un culto che esprime
l’inesprimibile - la Divinità - che fa brillare nella nera notte lo splen-
dore di una fiamma bianca e inesauribile. Quanto è superficiale e
povera la nostra arte, quanto è insignificante a confronto di queste
parole, a paragone di questi testi sacri, di questa musica, di questo
poema! Sento ancora il canto col quale ha termine l’ufficio delle Lodi:
Christus factus est pro nobis oboédiens usque ad mortem mortem
autem crucis, e le parole che vi vengono aggiunte l’ultima notte:
propter quod et Deus exaltàvit illum et dedit illi nomen quod est
super omne nomen. Oh, la musica lenta, triste, bagnata di lacrime,
piena di mistero di questo passo! Come posso dimenticare le parole
del profeta Geremia, riportate nel primo notturno dell’ufficio delle
Tenebre? E l’Ecce lignum crucis di quando la Chiesa toglie il velo
violaceo dalla Croce? E gli improperi, divini rimproveri di un Dio
crocefisso al suo popolo?

Il Sabato Santo è il giorno del nuovo fuoco. Il sacerdote procede


adagio verso l’altare, e ripete per tre volte, sempre in tono più alto,
queste parole: Lumen Christi; e la luce s’accresce e diventa fuoco
dell’anima. Il cuore si fa libero. Quale altro canto può dirsi bello
come l’Exultet, dove parole e musica dicono il desiderio dell’anima,
e la gioia s’innalza come arcobaleno tra la terra e il cielo? E che dire
del Prefazio e di quel grido sublime: O certe necessàrium Adae pec-
càtum! ... O felix culpa! ... Vorrei possedere la gioia della certezza, e
credere che tutte queste cerimonie non sono uno spettacolo o un bel
sogno, ma segni e simboli della inesprimibile realtà di Dio. Eppure
l’illusione e l’apparenza non hanno la forza di commuovermi fino a
questo punto! Dietro queste cose tangibili vedo la strada luminosa
che porta a Dio. Voglio credere.

Dove mi condurrà questa profonda ammirazione, il sentimento


indistruttibile che proprio qui abita la verità, dove mi porterà la sim-
patia verso il Cattolicesimo, verso la Chiesa una e santa? Per ora
sono appena spettatore inutile, ma sento una forza che mi spinge.
Non mi riesce più di ordinare i pensieri e i sentimenti. Sarò capace di
chiudere la mia intelligenza nel dogma, non ho sperimentato forse
troppe cose per poter gustare la pace della fede? O piuttosto questi
miei dubbi sono causati dalla sottile voluttà di giocare con tutto, con
la vita e con la morte, di sorridere di ogni certezza?

La mia anima ha fame, geme di tormento. Non capisco il perché


di questa sofferenza. Sono circondato dalle tenebre, non distinguo
il sentiero della vita. Ma è proprio necessario che io lo conosca? Tal-
volta ho la strana sensazione di essere la posta in gioco.

Mi trascino da un’estremo all’altro. Come finirà?

15 aprile. - Sono sul treno che mi porterà a Bruxelles dove già


mi attendono Anne-Marie e il bambino. L’ultima notte di Parigi l’ho
passata con gli amici in giro per la città. Sarei curioso di conoscere
il mio avvenire.

3 luglio. - Sono a Bruxelles da tre mesi. Ad Oostwoorne, dove


mi sono fermato per qualche giorno, ho rivissuto con papà e con la
sorella le emozioni dell’anno scorso. Di giorno in giorno cresce in
me l’insoddisfazione; le realtà che un tempo mi stupivano e mi en-
tusiasmavano, ora mi lasciano freddo. Or ilon è molto, al teatro Le
Monnaye ho assistito a diverse rappresentazoni di drammi di Wag-
ner, portate in scena da un’eccellente compagnia. Ricordo ancora
l’entusiasmo con cui avevo seguito quelle stesse opere a Bayreuth
nel 19,01: 1’ambiente, la mia eccitazione, i costumi, le scene rese
ancor più luminose dal sole, tutto contribuiva ad aumentare la forza
delle parole e della musica. Oggi le opere di Wagner non mi dicono
nulla: queste espressioni d’arte non mi turbano e non mi colpiscono,
né riesce a commuovermi il gioco selvaggio delle passioni; sono
cose magnifiche, ma umane. Voglio trovare Dio oltre le parole. La
Bibbia, le opere dei mistici e di Bloy suscitano invece un’eco nel mio
cuore.

Sono senza Dio, ma la Bibbia è per me la parola di Dio. So che


essa è il libro della verità e quantunque non riesca ad afferrarne il
significato profondo, sento al di là di queste parole la presenza del
Mistero. Mi fermo su di un versetto, lo rileggo Uno a che vengo af-
ferrato da vertigine come se mi affacciassi su di un abisso, ma non
sento paura: questa lettura desta in me una immensa gioia.

La vita dei mistici - di Angela da Foligno, di Ruisbroeck di Caterina


Emmerich - e la vita dei Santi - penso a S. Francesco - mi aiuta a capire
cose insospettate e meravigliose, fa scendere nell’anima uno spec-
chio attraverso il quale io mi vedo; Bloy mi fa conoscere la potenza
divina che abbraccia ogni cosa, la sublime unità del Cattolicesimo,
che cosa vuol dire amare Dio. Ho imparato da lui il significato della
Comunione dei Santi, l’invisibile legame che unisce le anime, il per-
ché della sofferenza, la bellezza della pace, gioia dell’anima. Le opere
di Bloy hanno il potere di farmi riflettere, le sue parole illuminano di
luce chiarissima le cose difficili. Il suo parlare, caldo d’amore, tocca
il cuore. Desidero rivederlo per discutere con lui di religione.

L’eccezione, lo straordinario, la santità, quello che gli uomini co-


muni giudicano assurdo, ecco la vera grandezza: i pazzi, i poeti, i
Santi. Il resto è miseria. Mi piacciono gli uomini che cercano, quelli
che indagano, gli uomini che non si accontentano delle cose comuni,
che gridano verso Dio. Disprezzo i tiepidi e i fiacchi. So che cos’è
questa follìa di grandezza. Non mi accontento della vita di tutti i
giorni.

8 luglio. - All’Esposizione universale di Bruxelles ho visitato la


sezione del lavoro a domicilio. Quale terribile miseria! Ogni giorno,
per tutti gli anni della vita, fino alla morte, uomini e donne lavorano
in putridi ambienti senza luce né aria. Chi avesse dimenticato il sig-
nificato della parola miseria venga a documentarsi in questo posto.
Mi domando perché questi uomini vivano, di dove traggano forza
per sopportare questo crudo destino. Lavorano 12, 13, fino a 14 ore
al giorno, fabbricano chiodi e intrecciano corde fino a quando, com-
pletamente abbrutiti, cadranno senza forza, come animali. Il loro
posto non sarà mai vuoto: innumerevoli altri affamati come loro, lo
desiderano con cupidigia. Mi sono informato sugli orari di lavoro e
sulle paghe. Un uomo fabbrica corde aiutato da due figli, il maschio
di 14 anni, la ragazza di 12: i ragazzi lavorano 66 ore settimanali, il
padre 84: il loro salario oscilla tra i 18 e i 20 franchi. Una lavoratrice
di trine guadagna 12 franchi e 62 centesimi per 60 ore di lavoro,
un’altra riceve 7,98 per 78. Le medesime vengono rivendute a prezzo
altissimo.

Il tanfo che esala da questi ambienti è insopportabile, vi si respira


appena, tanta è la polvere. Un uomo e un ragazzo lavorano in uno
sgabuzzino strettissimo, e due donne nella stanza accanto che serve
pure da cucina e da dormitorio. Raggiungono le 60 ore settimanali
per ciascuno: l’uomo guadagna 21 franchi, la donna 12, il ragazzo 9.
Non oso dire che i visitatori prestassero molta attenzione a quella
miseria. lo pensavo alle pagine che Bloy ha scritto ne Il Sangue del
Povero. Ora capisco il significato delle parole di Gesù: guai a voi
o ricchi! Le vie degli uomini sono incomprensibili. Gesù, Dio fatto
uomo, è il centro di tutto.

«La schiavitù fu una specie di cristianesimo interiore per i pagani


». Queste parole di Blanc de Saint-Bonnet, costituirono per Bloy
un’autentica rivelazione.

13 luglio. - Senza intervento da parte mia, sta realizzandosi la spe-


ranza di trasferirmi ancora a Parigi. Quanto è strana la vita!

20 luglio. - Ho deciso definitivamente di stabilirmi a Parigi. Non


so con sicurezza che cosa mi spinga a tale passo. Sono vissuto qui
per lunghi anni, ho qui tutti gli amici, il pensiero di allontanarmi da
loro e da molte cose care mi fa soffrire. Si direbbe che qualcuno mi
spinga contro la mia volontà.

Dedico quasi tutto il mio tempo a cose insignificanti, e ben poco


alle realtà essenziali, a quanto è veramente importante.

In questi giorni è arrivato mio padre. Passiamo intere ore a suon-


are il pianoforte: sente la musica dal profondo del cuore.

30 luglio. - Sono di ritorno da Parigi, dove, dopo lunghe ricerche, ho


trovato un appartamentino al quinto piano, nei dintorni del Giardino
del Lussemburgo. Ho fiducia nell’imprevedibile. Se non fosse così,
come potrei pensare a vivere in quella grande città? Per prima cosa
farò visita a Bloy. Il pensiero di quest’uomo che interpreta ogni av-
venimento alla luce di Dio, quasi sradicato dalle cose umane, che
glorifica Dio con la sua vita di cattolico integrale e imperturbabile,
mi dona coraggio. Sento che non sono ancora giunto alla fine delle
mie avventure.

19 agosto. - L’imprevedibile si compie, si mette in moto. Fino a


ieri non sapevo come trovare il denaro necessario al trasloco e in-
dispensabile a vivere in questa città dove nessuno mi conosce, ed
ecco che oggi brucia il Salone dell’Esposizione universale di Brux-
elles, e tutti i quadri in essa contenuti. Fra essi ve n’erano alcuni di
Anne-Marie e questo mi dispiace, ma quei quadri erano assicurati
per una somma che basta a risolvere a meraviglia il problema che
mi angustia.

Le fiamme hanno divorato il palazzo per ore e ore: fu uno spet-


tacolo magnifico.

29 agosto. - Ho incontrato molte persone, troppe.

Nessuno ha la mia ansia, nessuno cerca una parola di salvezza:


vivono in superficie, non sanno il tormento della nostalgia, non con-
oscono il desiderio delle cose grandi. La loro presenza spinge la mia
anima verso la solitudine; si appassionano a cose insignificanti, si
muovono nel nulla, i loro interessi non mi toccano. Eppure vengono
giudicati saggi, artefici del progresso e della bellezza. Nessuno di
loro sa darmi ciò di cui ho bisogno, quello che cerco da anni.

Sento il desiderio che si fa di giorno in giorno più imperioso,


l’amore e l’interesse volgersi a cose spirituali, tendere verso lo
spirito. Soltanto l’eterna sorgente della verità può spegnere la sete
dell’anima.

Ma quanta incostanza in me! Desidero le vette e intanto vivo nella


valle, voglio salire e rischio di precipitare nell’abisso, ho il passo vac-
illante e ho bisogno di certezza. Sono dilaniato dal dubbio, vorrei
raggiungere le vette della santità illuminate dallo splendore di Dio,
e sento il richiamo del peccato. Non ho pace. Non posso vivere così,
in bilico tra un estremo e l’altro, lacerato nell’anima.

9 settembre. - Domani compio trent’anni, ma non so ancora che


cosa vuol dire vivere. C’è chi si agita, c’è chi gésticola, c’è chi grida,
c’è chi si chiude nel silenzio, c’è chi bestemmia: nessuno sa dare
la risposta definitiva. Il tempo si consuma rapido come il giorno.
Per sette anni ho vissuto ad Uuccle e presto sarò a Parigi. Perché?
Quale sarà la conclusione di questo nuovo periodo di vita che s’apre
dinanzi a me? Comunque sia, verrà giorno in cui anch’io - non è
forse vero? - sarò ingoiato dalla morte! Che cosa mi chiede la vita e
perché devo vivere se poi dovrò morire, se questi occhi chiusi nella
faccia senza moto non saranno che silenzio? Azioni, sogni, amore,
desiderio, tutto sarà stato vano. Qualcuno piangerà accanto al mio
cadavere, ma per poco: poi più nessuno si ricorderà di me. Non è
assurdo il soffrire? Forse che non è da preferire il nulla a questa
inanità del tutto?
Ecco la salvezza: credere che la vita ha un senso, credere che è
basata su di un solido fondamento.
Colui che vive nel raccoglimento e che non si lascia stordire dalle
cose e dagli uomini, colui che guarda al di là delle apparenze deve
convincersi dell’esistenza d’un Principio, deve accettare l’ordine, la
presenza dello Spirito di Dio. lo ho provato la calma di questi mo-
menti di certezza; sento sulle rovine del cuore, il grido di questa
indistruggibile speranza.

Sono solo, cerco la strada buona e non trovo chi me la indichi.


Penso alla chiesa delle Benedettine, vedo il sacerdote che celebra
la Messa, sento la dolcezza del canto che sale la scala nostalgica
dell’armonia. Ricordo la pace di quella chiesa, il silenzio, il cuore
ricolmo di gioia, la lampada dell’altare. I cristiani credono alla pre-
senza reale di Gesù. Busserò a questa porta. Pulsànti aperiétur.

Ieri ho assistito alla rappresentazione di Elckerlyc e ne sono


rimasto impressionato. La morte avvolge il cielo e la terra: nessuno
e nulla le sfugge. Nessuno ci aiuta contro di essa. In quel momento
l’uomo è solo, si prepara a presentarsi a Dio e a rendere conto della
sua anima.

La vita e gli uomini, gli animali e le piante e gli astri sono specchi
ingannatori: la realtà vera è al di là, nascosta ai nostri occhi.

15 settembre. - Domenica. È tornato l’autunno, e i giorni silenziosi


e grigi. Tutto è calmo. Gli alberi guardano immobili il manto di fo-
glie che si disperde. Questa morte dell’estate spande sulle cose una
tristezza buia. Non ho forza per vivere!

9 novembre. - Oggi è mercoledì: sono a Parigi.

Ho occupato il mio nuovo appartamento, e mi trovo bene tra i


libri e i mobili che mi sono familiari. La prima sera, però, seduto alla
scrivania, ho sentito una punta di tristezza: mi vedevo solo in questa
enorme città. Perché ho deciso di vivere qui? Sono in attesa, sento
che deve verificarsi qualche cosa di grande. Forse un miracolo. Non
posso continuare così, col cuore che sanguina, con l’anima che pi-
ange. Mi sento prigioniero. Solo un miracolo mi libererà? Quale?
Quando? Compiuto da chi? L’uomo che non ha Dio è amaramente
solo!

Domenica scorsa sono ritornato nella chiesa delle’ Benedettine,


e immediatamente ho risentito in me i sentimenti di gioia e di fe-
licità già provati altre volte in questa stessa chiesa. Inquietudine,
dubbio, vertigine, tutto scompare: sento l’anima tranquilla come il
mare calmo, limpida come il cielo e come gli abissi. Mentre il sac-
erdote recitava le preghiere del Canone ho avuto questo pensiero:
quanto deve essere profonda la gioia di colui che, all’improvviso,
dopo aver camminato a lungo e cercato la pace inutilmente, capisce
che lui pure è figlio di un Padre che lo conosce e che lo ama, e non
un atomo sperduto nell’immensità dello spazio! Quest’uomo cam-
minava disperato nel vuoto, e ora la coscienza gli dice con parole di
fuoco che la sua vita non è inutile che Dio lo vede, che Gesù lo ama,
che la mia angoscia è compresa e amorevolmente seguita da una
mano divina; ora i suoi pensieri e i suoi sentimenti hanno uno sbocco
nell’infinito e nel mistero, sa che gli è affidato un tesoro immenso
e che questo tesoro è la sua anima. Oh, gioia liberatrice di questa
certezza! Sarò io un chiamato?

Comunemente viene definita inumana razione che supera i confini


dell’uomo: non si pensa affatto che anche Dio ha le sue esigenze. Ad
esempio, viene giudicata poco corretta l’azione dell’uomo che cerca
di riportare alla fede 1’amico moribondo sposato con una donna os-
tile alla religione. La salvezza dell’anima deve essere posta, secondo
me, al di sopra di tutto. Mi sembra molto chiaro.

Sono da noi in visita di cortesia il signor Vildrac e la moglie. Guar-


diamo le fotografie che ho portato dall’Italia, parliamo del nostro vi-
aggio, e poi il discorso si sposta sulla letteratura. I giovani vogliono
dare vita a qualche cosa di nuovo, ma Bloy e Claudel sono sempre
grandi, pieni di fascino. L’ultima novità letteraria si chiama Unani-
mismo: fondatore e capo, Jules Romains.
Poco alla volta scopro i miei sentimenti profondi: ho bisogno di
Dio, di Unità, di Bellezza. Tutto quello che è grande è manifestazi-
one di Dio, non in senso letterario, gioco di parole, ma segno, figu-
ra, simbolo della realtà eterna ed immutabile. La bellezza è il canto
tragico di una privazione. L’uomo e i suoi pensieri e i sentimenti e
le gioie e i sogni sono occhi gonfi. di lacrime. L’anima ha perso Dio
e ora piange e lo invoca. La gioia vera è l’annullamento, l’estasi dei
Santi.

I poeti cercano nel presente, nel passato e nell’avvenire: la loro


voce è il canto di questa nostalgia inconsolabile. Nelle opere degli
artisti cristiani pittori, poeti, architetti - del primo Medioevo, questo
sentimento ha raggiunto il massimo grado di intensità. I moderni,
scossi dal dubbio e rosi dall’incertezza, non hanno più la calma e la
fortezza con la quale i sogni acquistano forma di bellezza. Soltanto
Bloy, tra i moderni, ha raggiunto quella primitiva grandezza. A loro
confronto, le fanfaronate di Romains mi fanno pensare al balbettio
dei deficienti: che significato possono avere le loro stravaganze di
fronte all’eternità?

Quale valore avrebbero la vita, il pensiero, le :azioni se non vi fosse


un punto fisso, eterno e sta,.. bile dal quale tutto ha avuto principio e
verso il ~uale tutto tende come a suo fine?

10 novembre. - Penso alla vita del mondo e il -mio stupore aumen-


ta ognor più: quello che vedo - gli alberi, i bambini, il cielo, le donne
- riceve vita dal di fuori. Gli occhi del corpo non vedono la realtà. Rip-
enso - e mi par di sognare - a una sera di primavera dell’anno scorso,
in Olanda: rivedo il giardino, la casa, la diga, la luna nel cielo. Mia
sorella B. cantava accompagnandosi al pianoforte: quella voce calda
e il silenzio immobile della notte portavano nell’anima una tristezza
amara, un’angoscia disperata; piangevo come un bambino abbando-
nato.

25 novembre. - Da qualche giorno sono stato afferrato dalla vana


agitazione di uscire, di parlare, di incontrarmi con gli amici, di as-
coltare il solito nulla delle loro parole, occupazioni che normalmente
non mi soddisfano. Spreco tempo prezioso, mentre tante altre cose
urgono: me ne rendo conto perfettamente, soprattutto quando mi
raccolgo nella cappella delle suore Benedettine. Domani ha inizio il
tempo di Avvento, le quattro settimane di preparazione alla nascita
di Gesù, alla venuta del Cristo in nubibus cteli, cum virtù te multa
et majestàte. Che cos’è la cosiddetta vita a paragone di questi fatti
meravigliosi che conquistano l’anima? La vera realtà del mondo è
quella di cui parla l’Anno liturgico della Chiesa: l’altra è illusione e
cecità.

11 dicembre. - Domenica. Ho visto Bloy. Sono stato a casa sua in


compagnia di amici, e quando tutti se ne furono andati gli ho chiesto
- è da tanto tempo che ci penso - di presentarmi a un sacerdote. Vo-
glio discutere sulla religione cattolica. Non posso - e sento anche che
non dovrei - resistere oltre ai sentimenti che mi agitano. Qualcosa
deve succedere: al punto in cui sono mi è impossibile andare oltre
da solo, così come mi è impossibile tornare sulle vecchie posizioni.
Sono anni ormai da che vivo nell’atmosfera del Cattolicesimo: nel si-
lenzio delle chiese, davanti all’altare, trovo la pace dello spirito, vedo
le ragioni che guidano il mondo. Sento in me la necessità di quel
cristianesimo integrale di cui Bloy ha riempito i suoi libri; so quale è
la verità, ma ancora non la posseggo. Ho avuto molte peripezie, ma
ora capisco che la Chiesa cattolica è la custode della verità, che al di
fuori dei suoi insegnamenti gli uomini si smarriscono nel buio e non
trovano il significato delle cose. Provo anche sentimenti di dubbio,
è vero: a volte questa Chiesa mi appare un magnirfico inganno fab-
bricato dagli uomini, e penso che sia debolezza considerare realtà
i sogni degli uomini del Medioevo. Ma nonostante tutto mi sento
spinto da una forza misteriosa. Voglio scuotermi in ogni fibra. È im-
possibile continuare a vivere in questo modo. Il sacerdote mi dirà
che cosa devo fare; per conto mio, confesso di non saperlo.

La mia richiesta è giunta a Bloy inaspettata. Ha ascoltato le mie


parole con commozione, quasi -piangendo: i suoi grandi occhi bril-
lavano di gioia. Stringendomi le mani, m’ha detto: «Abbi fede, amico;
Dio ti donerà pace e aiuto ». Il nome di Dio m’ha dato una fitta al
cuore. Che cosa succederà?

16 dicembre. - Ricevo una lettera di Bloy, nella quale egli dice


di avermi raccomandato a Don L., Rettore della Basilica del Sacro
Cuore: l’appuntamento è fissato per domani. Sarà per questo incon-
tro che sono venuto a vivere a Parigi?

17 dicembre. - Accompagnato da Bloy, stamane mi sono portato


alla Basilica del Sacro Cuore per incontrarmi con Don L. Appena
giunti, ci fecero accomodare in un ufficio, e quando si presentò il
sacerdote io rimasi solo con lui. Gli ho parlato di me, del mio lavoro,
dei dubbi e delle ricerche. Le parole mi sgorgavano con facilità dalla
bocca e ho detto tutto, anche le cose più oscure e nascoste: ero felice
di specchiarmi negli occhi di un uomo che conosce Dio; mi sentivo
vivere in un mondo sconosciuto. Avevo preparato delle obiezioni, e
a mano a mano che le svolgevo capivo che erano logore e stupide.
Il sacerdote mi ha parlato dell’amore di Dio: ogni qualvolta egli pro-
nunziava questo nome, sentivo in me una vertigine strana, un senso
di capogiro, mentre l’anima si struggeva dal desiderio di perders
in Lui, di annullarsi, di chiamarlo Padre. Il sacerdote mi ha dato il
Catechismo del Concilio di Trento e mi ha detto di leggere le pag-
ine che riguardano il Credo, i Sacramenti e soprattutto il Battesimo.
L’essenziale però - mi ha detto - è la preghiera: reciti il Padre Nostro
e l’Ave Maria. Con la preghiera, lei busserà alla porta della Chiesa e
Gesù le aprirà. Non abbia timore di mettersi in ginocchio, di farsi il
segno della Croce: in nòmine Patris et Fìlii et Spìritus Sancti. Pregh-
erò per lei.

Appena uscito sono corso in chiesa e mi sono inginocchiato di-


nanzi al SS. Sacramento. Ho guardato quell’Ostia pura, prigioniera
dell’Ostensorio ... Gesù vivo e vero, nascosto per amore sotto le spe-
cie del pane, Dio presente all’uomo, Dio che mi ascolta, Dio che
guarda e scruta nelle tenebre del cuore ... Non ho osato fissarlo, ho
piegato la testa, ho chiuso gli occhi, ho pregato dal fondo della mia
miseria, ho invocato misericordia.
Gesù, aiutami. Tu hai detto: chi cerca troverà, a chi bussa sarà ap-
erto e io non ho forse cercato, non ho forse bussato con i battiti del
mio cuore? Dammi fede, Gesù, dammi certezza, dammi amore. Apri-
mi gli occhi affinché Ti veda. Tu sei Dio, Tu hai creato l’universo,
Tu hai fatto sorgere dal nulla la Via Lattea, Tu mi hai dato un’anima
creata a tua immagine: oggi voglio ridartela, voglio rimetterla nel
Tuo cuore perché si riscaldi e si faccia fuoco d’amore. lo non vedo
la Tua immagine nell’Ostia, ma sono cieco, e non potrei sopport-
are la grandezza. del Tuo splendore, l’intensità del Tuo amore; gli
occhi non Ti vedono, ma so che seì presente, Corpo, Sangue e Di-
vinità. L’intelligenza non capisce il mistero, ma io credo: Gesù, mio
Signore, sei qui vicino a me. Non sei una forma vana, non sei un
sogno: mi ami, ami tutte le creature e per quest’amore vivi prigion-
iero nell’altare. Aiutami a pregare, sorreggi questa mia debolezza.
Ti offro l’anima: purificala, segnala, donale la vita. Sono stato solo
troppo tempo, sono vissuto senza di Te e non so più che cosa fare.
Ora mi abbandono in Te, o fratello Gesù. Sono povero, il più povero
dei poveri, e non so che cosa chiedere. Tendi verso di me le braccia
inchiodate alla Croce, dammi una delle Tue mani e mi affererò al
Tuo corpo. Quante parole mi sgorgano dal cuore! È male gridare
così verso di Te? So che sei venuto per chi è malato ed io muoio, fac-
cio parte di quelli che Ti hanno flagellato, io Ti ho crocefisso, io ho
riso di Te, del Tuo sangue, della Tua passione, del Tuo cammino do-
loroso. Mi avresti potuto schiacciare e invece Ti sei degnato di chia-
marmi, di attirarmi a Te. O Dio, aiutami, il cammino è stato lungo,
sono sporco di sangue, la mia bocca non ha il diritto di pronunziare
il Tuo nome: Tu sei santo, sei Dio; eppure chiami questo miserabile
verso di Te: mi sento felice e piango, sono schiacciato dalla viltà e
invoco la Tua misericordia, ho peccato con tutte le facoltà, mi sento
ricoperto di luridume e Tu solo puoi mondarmi col Tuo sangue.
Abbi pietà di me.

Appena uscito di chiesa, sono tornato da Bloy e gli ho raccontato


- era presente anche sua moglie: la vedevo per la prima volta, ma già
attraverso le opere di suo marito ne conoscevo la forte personalità
- del mio incontro col sacerdote. Bloy invece mi parlò del Battesimo
e della forza soprannaturale dei sacramenti: la realtà visibile è un
simbolo, l’effetto è reale. « Ora sei morto - mi disse - ma quando av-
rai ricevuto il Battesimo entrerai nel numero dei vivi; ora sei nudo,
ma il Battesimo ti rivestirà di Cristo. Se ancora ti tormentano i dubbi,
allorché il sacerdote avrà pronunziàto su di te le parole sante: Ego
te baptìzo in nòmine Patris et Fìlii et Spìritus Sancti, ti sentirai libero
da ogni catena ».

Accetto. Voglio la verità. Il mio spirito è conquistato da queste


cose meravigliose. Come uomo non capisco, ma l’anima sente. Mi
abbandono a Dio. Fiat volùntas Tua.

Ho ricevuto in prestito da Bloy la vita di Caterina Emmerich scritta


da Schmoeger: mi pare un libro meraviglioso.

23 dicembre. - Da che ho trovato Dio, le comuni cose della vita


mi appaiono sotto un aspetto diverso; benché esteriormente tutto
sia come prima - strade, uomini, case e cielo - mi pare; di Vivere in
una nube d’oro. Parlo di Dio e di queste giornate meravigliose con
Anne-Marie, recito le preghiere col bambino, e mi sento accanto una
Presenza invisibile: piango di gioia, come chi ha ritrovato la casa.

Non tutti i giorni sono casi sereni; a volte la certezza si sbriciola, e


temo di essere vittima di una illusione gentile ma senza verità.

L’impazienza e il desiderio di prima mi appaiono, in questi mo-


menti, deboli e lontani. Perdo forza e ricado nelle tenebre. L’essere
si ribella, si rifiuta, non accetta la voce interiore che raccomanda
costanza, preghiera, volontà di bussare con tutte e due le mani alla
porta di Dio. Momenti terribili, durante i quali l’anima agonizza e
recita confuse preghiere come un morente. Esse non bastano a lib-
erarmi dall’incertezza. Nelle profondità dell’essere, si svolge un dia-
logo tra l’anima che vuole proseguire e lo spirito beffardo che ride di
ogni sforzo: sono spettatore e attore di una strana lotta interiore.
- Il tuo spirito trema al pensare alla ferrea logica cui dovrai sot-
tostare se accetterai il Cattolicesimo. Ti sarà difficile piegare le tue
idee .. Non disprezzare la vita.

- La vita? È illusione. Vera vita è conoscere Dio, tendere a Lui al


pari dell’albero che cerca la luce.

- Dio, parola vuota e insigmficante! Sacrificherai la vita ad una im-


magine senza volto? Sei certo di credere alla sua esistenza, o non
piuttosto ti sforzi per accettarla? E sei altrettanto certo che la vita
sia davvero una illusione? L’afferri, la vivi, la possiedi e puoi perder-
la. Il racconto del Genesi, il Peccato, l’Incarnazione, l’ Annunzio
dell’Angelo, il potere del sacerdote, l’immortalità dell’anima sono
leggende, belle parole per spiriti non emancipati. Come credere che
la terra sia il centro dell’universo per il semplice fatto che vi abita
l’uomo? Se accetti il cristianesimo ti sottoponi ad un giogo.

- No affatto, la verità cristiana ti libererà, aprirà al tuo sguardo la


realtà dello spirito: avrai certezza, pace, gioia, conoscerai il mistero
della vita. Non ti rendi conto che la ragione da sola è impotente? Non
capisci che quanto chiamiamo vita ci lascia insoddisfatti e delusi?
Dio soltanto può renderti felice. Ne sei certo, eppure non vuoi ar-
renderti.

- E tu vorresti affidarti ad una Chiesa i cui dogmi e i cui sacerdoti


sono chiusi ,ad ogni aspirazione di libertà? Ecco un modo certissimo
di rovinarti. La tua intelligenza rifiuta tale rinuncia: il Cattolicesimo
non è adatto alla tua mentalità, per quanto ti avvinca quando lo con-
sideri dal di fuori. Il Cattolicesimo non è l’unico fenomeno della sto-
ria, è uno dei tanti, e se tu l’accetterai dovrai negare tutti gli altri,
quasi fossero errori grossolani. Non è possibile che tu sia cieco fino
a questo Punto.

- La Chiesa possiede Gesù Cristo, quindi ha la verità. Gesù vive


nel Sacramento dell’Altare, e il suo corpo che dona la vita si può
ricevere soltanto qui, dalle mani di un prete. Non pensare al prete
come uomo: peccatore e grossolano, le sue sono parole di vita, il sac-
erdozio che rappresenta è eterno: Gesù, Dio al pari del Padre e dello
Spirito Santo, si umilia fino a nascondersi sotto le apparenze del pane.
Egli ti attende, ha bisogno di te, s’è annichilito per non atterrirti, per
non distruggerti con la potenza della sua maestà. Corrigli incontro
come l’assetato verso la sorgente, come l’affamato verso il pane. O
preferisci morire? No, l’anima ha bisogno di Dio. Voglio essere bat-
tezzato per liberarmi dalle catene del dubbio e dell’ignoranza.

Sì, se iddio vorrà - oh gioia di poter pronunziare questa parola con


piena coscienza! - mio figlio ed io riceveremo il battesimo il 6 gen-
naio, in festo Epiphaniée; quello stesso giorno, il sacerdote mi unirà
in matrimonio con Anne-Marie.

28 dicembre. - Anna Caterina Emmerich ha visvuto una meravi-


gliosa vita di preghiera e di sofferenza. Quale profondo significato
acquista ogni minuto particolare, quando l’anima che lo compie si
annulla in Dio! La vita di questa suora mi sconvolge. Giorno per
giorno il Cattolicesimo mi presenta nuove meraviglie: lo paragono
ad una grande cattedrale nello spirito della quale - finalmente -la mia
anima può riposare. Ora sono certo che soltanto la Chiesa conosce
la strada che porta a Dio. Nel prestarmi questo libro, Bloy m’ha det-
to che esso mi avrebbe aiutato a fare luce nell’anima, a capire molte
cose ancora nascoste; debbo riconoscere che ha avuto ragione.

5 gennaio 1911. - Sento che quest’anno sarà decisivo per me: ha


inizio una vita nuova, quella vera. Domani si compirà un avvenimen-
to di cui ora non afferro tutta l’importanza: la mia anima riceverà
il segno indelebile del carattere. Passo giorni in ansia. Ogni mat-
tina e ogni sera ci inginocchiamo tutti e tre davanti ad un piccolo
crocefisso: mentre recito le preghiere, tento di afferrarne l’intimo
significato.

Mi pare di destarmi da un sogno: dopo lungo errare attraverso


la notte vuota e oscura, ho ritrovato l’anima. Recito il Pater, e al
suo confronto tutta la scienza dell’uomo mi pare vuota e assurda.
L’anima ha fame, e la semplice preghiera insegnata da Gesù ha il
potere di saziarla. Traccio il segno di Croce, e sento in me la pace.
Non capisco, non so spiegare, ma questa è la realtà. Mi sento infini-
tamente debole e immensamente grande. Ero arido al pari di terra
bruciata, ed ecco che la pioggia benefica mi irrora. Che cosa ho
fatto per meritare questa grazia? Perché è statà concessa a me e
alla mia famig1ia e non ad altri? Ho cercato a lungo una risposta ai
problemi e non ho capito questa semplice verità: basta mettersi in
ginocchio, offrire il cuore a Dio, e ogni mistero si fa luminoso come
il sole. L’intelletto non spiega quello che si opera dentro di me, ma io
so, sento, ho questa certezza: la Chiesa prega con me, gli occhi che
prima erano chusi ora vedono. Il centro di gravità si è spostato. Ogni
miracolo è possibile. Non mi sento più sperduto, vedo gli angioli
attorno a Dio al pari di stelle luminose. Studio la storia e vedo che
il passato si cancella. Gesù cammina ancora per le strade di Gali-
lea ed io lo seguo, ascolto quelle parole, ciascuna delle quali rivela
verità nascoste. Giudico la terra all’ombra della Croce. Gli astronomi
sostengono che essa è uno dei tanti corpi celesti che ruotano nello
spazio, pianeta senza importanza tra gli innumerevoli cicli di stelle:
quanto sono assurde queste affermazioni! Gesù, Figlio di Dio, Uni-
genito del Padre, l’ha toccata coi suoi piedi divini, l’ha bagnata col
suo sangue, l’ha redenta con la sua Croce: la sua grandezza supera
la nostra immaginazione. La terra è stata creata perché in essa pot-
esse manifestarsi, reale e visibile, l’amore di Dio. Quanto sono stato
sciocco a pensare che il cristianesimo rappresentasse un regresso,
che la fede riportasse l’uomo all’età primitiva.

La Chiesa. abbraccia i secoli quasi fossero attimi, ed io che vivo


quest’attimo non guardo indietro ma sono proiettato in avanti, verso
i Santi, verso la Madre di Gesù, mi sento contemporaneo di Fran-
cesco e di Benedetto, degli Eremiti e di Padre Labre, delle Crociate
e dei fedeli delle Catacombe. Dio mio, tutto ciò è grande e bello e tra-
boccante di gioia! Dal profondo dell’ anima desidero il Battesimo e la
Santa Comunione: quando avrò ricevuto questi Sacramenti non mi
sentirò soltanto spettatore entusiasta, ma sarò partecipe della gra-
zia meravigliosa che Iddio dona con tanta abbondanza, conoscerò
il suo amore infinito, sperimenterò la sua misericordia e la sua on-
nipotenza.

Anna Caterina Emmerich ebbe una vita umile e sacrificata. Unico


suo desiderio - e dovrebbe essere desiderio di ogni cristiano - fu
quello di rendersi conforme a Gesù mediante la sofferenza, dono
misterioso che ci porta l’ineffabile dolcezza della presenza di Dio:
la vita di questa religiosa mi fa capire la grandezza del Cattolicesi-
mo. Il cristiano deve rassomigliare al fuoco, deve essere il braciere
d’amore che riscalda coloro che cercano, soli e tremanti, attraverso
le solitudini ghiacciate.

Léon Bloy e la moglie saranno padrini al mio Battesimo e lo stesso


Bloy e la più giovane delle figlie fungeranno da padrini per Pieterke.
Tra Bloy e me sta nascendo una salda amicizia. A sentirlo parlare di
Dio, della Chiesa, del mistero della fede mi commuovo. Bloy mi aiuta
a capire gli abissi di luce, dirige la mia attenzione impaziente verso
il soprannaturale, verso i misteri adombrati dai segni esteriori della
religione cristiana. Commùnio Sanetòrum. Quale anima ha sofferto
per me, pure senza conoscermi? Quale anima s’è nutrita d’amarezza
e di cenere affinché io gustassi la gioia della liberazione, la felicità
della fede? lo non conosco questo fratello misterioso, non so quanto
abbia sofferto per liberarmi.

Gli insegnamenti di Bloy alimentano in me il fuoco di Dio.

Poco alla volta scopro le montagne dello spirito, ogni giorno nu-
ove cime si profilano al mio orizzonte, e già intravedo i disegni di
Dio. I giorni sono doni benedetti. La Chiesa parla incessantemente
di Dio. Domenica scorsa, primo gennaio, mi trovavo presso i Bloy
con Anne-Marie, allorché la Savoyarde, la grande campana del Sacro
Cuore, lasciò cadere nell’aria i suoi rintocchi sonori. A quel suono,
Bloy, la moglie e le figlie si inginocchiarono e recitarono la preghiera
dell’ Angelus; difficilmente dimenticherò questo episodio.

La notte di Natale sono stato nella chiesa delle Benedettine, e ho


partecipato all’ufficio di Mattutino e poi alla Messa di Mezzanotte e
quindi al canto di Lodi. La profondità delle parole e della musica mi
investivàno da ogni parte, come fa il vento nelle case vuote: subivo
questa violenza con gioia, mentre l’anima stava in ascolto, al pari del
bambino che segue la favola con occhi aperti e le labbra tremanti.
La Chiesa è l’ombra di Dio sulla terra. Allorché la Madre Superiora
lesse in tono di monotona melopea il nome degli antenati di Gesù - la
Sua voce stridula era senza fremiti, ormai priva di impeti di passione
- mentre nomi di uomini e donne si susseguivano-dinanzi al mio pen-
siero, capii, d’improvviso, la forza dell’Amore: le parole trascinavano
1’anima verso le vette, la tensione dello spirito si faceva di momen-
to in momento più irresistibile; poi la suora cantò l’ultimo versetto
della genealogia: Jacob àutem génuit Jòseph virum Marite de qua
natus est Jesus qui vocàtur Christus: fu come se una luce si fosse
accesa inaspettata, come se la calma avesse dominato la profondità
dei mari. In queI momento mi vedevo presente a BetIemme, vicino
al Bambino, ero nella stalla tra gli animili e i pastori, sentivo il canto
degli Angeli. Chino suII’altare, il sacerdote obbligava Gesù a scend-
ere nell’Ostia: le sue mani erano la nuova mangiatoia.

Mille e mille pensieri s’agitano in me. Le parole, al pari delle mani


del cieco, raggiungono appena l’esteriore delle cose. Il mio parlare
di uomo è materiale e imperfetto: non posso capire Dio. La fede dice
che esiste, ma gli occhi non lo vedono. Egli è grande, forte, glorioso,
sapiente più di quanto l’uomo possa immaginare: supera ogni misu-
ra umana. Dio abbraccia ogni cosa: conosce la realtà nascosta, guida
la terra e gli uomini. La Sua misericordia è infinita. Il Suo Amore è
tanto grande che Egli ci dona suo Figlio. Il mistero di Dio si chiama
silenzio, il Suo pensiero mi avvolge come una nube luminosa: tento
di perdermi in lui e mi trovo nel buio. Non si può parlare di Dio con
parole umane: soltanto l’amore assoluto ne gusta la grandezza.

Pieterke è stato colpito da una forma di pertosse. A causa di ques-


to contrattempo, abbiamo tramandato la data del Battesimo e deI
Matrimonio.
12 gennaio. - L’uomo vecchio che è in me dubbi, esitazioni, pas-
sioni - tarda a morire. La fede mi conquista sempre più, ma non sono
riuscito a superare del tutto i terribili momenti dell’aridità interiore,
le tenebre, 1’orgoglio della cattiva volontà. La vecchia prigionedeIIa
superficialità ancora mi chiude coi suoi muri: vorrei fuggire e non
ho forza di rompere le Catene che mi legano; la preghiera stessa si
rivela insufficiente, talora tutto mi pare un inganno. Altre volte in-
vece la voce del nemico non mi tocca, caccio le malvage tentazioni,
le noto appena: sono i momenti in cui l’anima ascolta una musica
soave ..

Da quanto tempo posseggo la fede? Non lo so.

Ricordo il giorno in cui mi sono inginocchiato, il momento in cui


ho tracciato su di me con piena coscienza il segno della Croce: In
nòmine Patris -la mano toccava la fronte, - et Fìlii -la mano si spostava
sul petto, - et Spìritus Sancti la mano congiungeva le spalle, - Amen;
poi ho recitato le preghiere. Quel giorno mi sono arreso.

Aumenta il fascino delle parole: se un giorno mi attirava, ora mi


conquista. La parola è nube luminosa, dietro la quale si nasconde la
realtà che dona luce, e che gli occhi del corpo non vedono: soltanto
lo spirito se ne rende conto in certi momenti di grazia. La parola è
il segno della Sostanza. Verbum caro factum est. Il Verbe che si fa
carne è Gesù, seconda Persona della Trinità. Et in hac Trinitàte nihil
prius aut postérius, nihil maius aut minus; sed totae persònae coae-
térnae sibi sunt et coequàles: ecco quanto dice il Simbolo di S. Ata-
nasio. La parola è la proiezione di Dio nel mondo visibile. Quale sarà
allora il significato profondo della Bibbia, della preghiera liturgica,
della Messa, delle parabole? Il mistero che si nasconde dietro le pa-
role della Scrittura mi acceca con la sua luce divina, mi annienta con
la sua grandezza, getta l’anima mia nel vuoto dell’estasi... Adoro.

Di giorno in giorno cresce in me la devozione alla Madre di Gesù.


Regìna sine labe originàli concépta. Intravedo la grandezza della sua
dignità. È un miracolo avere coscienza di queste virtù tanto supe-
riori alla forza della nostra intelligenza. Sento la mano di Dio che mi
stringe il cuore con forza: i nomi di Gesù e di Maria risuonano in me
come rintocchi di campana, piango di gioia e di riconoscenza per
l’incomparabile grazia che Dio mi concede.

Spesso penso a mia madre, a tutto l’amore col quale ha cercato


la verità: eppure non l’ha trovata! Educata all’idea del protestant-
esimo che considera i cattolici come resti fossilizzati di un’età or-
mai morta, non poté giungere alla luce. Quando l’inquietudine si fa
troppo pesante, l’anima cresciuta alla scuola della sètta protestante,
è disposta ad accettare qualsiasi soluzione, ma non si umilierà mai
dinanzi alla religione cattolica che essa considera un paganesimo
evoluto, buono per gli ignoranti e i bambini. Anch’io pensavo cosi
quando frequentavo l’Università di Amsterdam, dodici anni fa.

Quale enorme responsabilità per gli uomini della Riforma: milioni


e milioni di persone vivono senza luce, muoiono nelle tenebre! Devo
pregare per mia madre: soltanto cosi posso aiutarla.

16 gennaio. - Ho sostenuto una lunga ed inutile discussione con


alcune persone che, pur non essendo ostili al Cattolicesimo, lo con-
siderano un fenomeno storico alla stregua, per esempio, del Bud-
dismo. Anch’io avuto - e non è passato molto tempo da allora - di
queste idee sacrileghe: mi sentivo anche generoso, disposto a capire
queste fantasie metafisiche - in fondo, la mia era una generosità fatta
d’orgoglio - ad accettarle come indispensabili alle persone deboli:
pensavo di essere un re ed ero uno straccione cieco. Poco alla volta
mi libero dell’uomo vécchio, e attendo che Dio mi rivesta di abiti
nuovi. Depongo i pensieri come vestiti usati.

Un amico mi ha chiesto se non ho paura di sentirmi coartato dai


dogmi della Chiesa. Gli ho risposto così: da quando ho deciso di rice-
vere il Battesimo, questo timore mi ha abbandonato: anzi, mi sento
totalmente libero. Quando ancora non conoscevo Dio e cercavo dis-
peratamente, ero schiavo, prigioniero della mia cellula: ora invece
mi sento libero, senza barriere e senza limiti. Ho l’impressione di
lasciare un paese nebbioso, dall’atmosfera pesante e triste e di cam-
minare verso montagne luminose: i dogmi sono i castelli cl’ oro che
indicano il cammino. E come potrebbe sentirsi a disagio il mio spiri-
to, se respira nell’infinita grandezza di Dio? Devo confessare che
per quanto ammirassi il Cattolicesimo, ero ben lontano dall’averne
capito la magnificenza e la profondità. Non sapevo che cosa fosse
l’umiltà, virtù somma dei Santi, non attribuivo valore alla sofferenza.
Le difficoltà che allora avanzavo nei confronti della fede, a giudicarle
ora, mostrano tutto il peso della loro grossolana assurdità, perché
erano frutto di una ignoranza imperdonabile. La fede: ecco la libera-
zione. Per ora vivo ancora nell’àttesa, al di fuori della Chiesa, ma
già intravedo il mondo dello spirito ove l’anima incontra Dio- Abys-
sus abyssum ìnvocat - al cui confronto la vita materiale vede avvilirsi
il suo valore, la sua stessa esistenza. La Chiesa nasconde in sé un
mondo magnifico e insospettato.

Studio la religione cattolica sul Catechismo del Concilio di Trento,


leggo Bloy, la Bibbia, vite di Santi, la meravigliosa biografia di Anna
Caterina Emmerich e queste cose mi pare di saperle da sempre: le
riconosco, le ricordo. L’anima che prima era morta, ora rivive. Veni
foras. Dio, come ho potuto vivere fino ad oggi senza amarti?

23 gennaio. - Ora capisco il perché della mia sistemazione a Parigi:


Iddio mi ha guidato in questa città perché avevo bisogno che Bloy
mi aiutasse al passo decisivo. È meraviglioso ripensarci. Senza Bloy,
probabilmente avrei continuato ancora il mio viaggio errabondo sen-
za decidermi mai ad entrate nella Chiesa. Bloy mi ha insegnato la
strada che conduce a Dio, prima con i libri, poi con la parola. L’anima
sua vive dell’amore di Dio, tutto il suo essere è quest’amore: s’è do-
nato a Lui in modo totale. Nonostante l’incomprensione suscitata
dal suo cristianesimo, a dispetto della dolorosa congiura del silenzio
con la quale gli amici - sono un nulla al suo confronto! - e gli stessi
correligionari tentano di soffocarlo, Bloy resta saldamente fedele a
Gesù, alla Madonna, alla Chiesa: canta l’estasi e lo sbigottimento
che l’anima prova davanti al mistero di Dio, adora e piange mentre
spiega le Sacre Scritture, flagella i deboli e i farisei e tutti coloro che
mancano di entusiasmo, si drizza a difensore della Gloria di fronte
agli uomini che non danno tutto a Gesù. La sua violenza è pari alla
sua tenerezza. Quando pensa all’Amore di Dio e alla grandezza della
Madonna, egli piange: i suoi libri e la sua vita formano una sola poe-
sia, quale ben raramente è scaturita da anima umana. È umile, è
cristiano nel significato profondo della parola, è innamorato di Gesù,
e nessuna sofferenza, nessuna minaccia basterebbe ad allontanarlo
dal suo amore.

Bloy si dona in modo totale, senza esitazione, sia nei libri che nella
vita; è generoso in modo eroico, e la nobiltà e la comprensione sono
le doti fondamentali del suo spirito. Nessuno meglio di lui facciamo
eccezione per il Vangelo e per i Santi ha parlato dei poveri, simbolo
del Povero per eccellenza: paura e calcolo non infìrmano la sua testi-
monianza. I libri di Bloy colpiscono le anime perché egli parla di Dio,
perché la sua anima è ricolma della sua grandezza.

Bloy m’ha insegnato che il Cattolicesimo non è sentimento, ma


virile accettazione della vita. Sto leggendo, proprio in questi giorni,
un Suo libro che porta per titolo La salvezza viene dai Giudei e lo
trovo una analisi acùta della parola di Dio: anche Bello è stato col-
pito da queste pagine. Le parole di Bloy sono l’eco dell’amore, sono
come il vento che scuote le piante, spiegano la grandezza di Dio e
l’Unità della sua Parola. La Bibbia è la storia della Trinità. Quale
superba visione, quale estasi! Non sempre risulta facile la compren-
sione di queste pagine e non sempre se ne afferra il significato pro-
fondo; ma il lettore sente che esse nascondono la gloria di Dio, la
luce che acceca. È stato Bloy ad insegnarmi che queste parole sono
vita dell’anima, misterioso nutrimento dello spirito. Solo la Chiesa
possiede questa verità, perché la Chiesa è custode del Pane e dis-
pensatrice di Gesù Cristo.

Appena ora mi è svelato il profondo mistero della solidarietà tra le


anime: un legame misterioso le unisce le une alle altre. Tutti siamo
responsabili delle sofferenze degli altri e ciascuno di noi rende con-
to dei peccati che sono e che saranno commessi; le anime debbono
aiutarsi tra di loro, possono implorare Dio con preghiere e sacrifici. I
Santi hanno converto molte persone con la sofferenza e con le opere
buone. La Comunione dei Santi ci lega gli uni agIi altri come una
catena. Mio Dio, quanto è bello! Ti ringrazio, o Signore, del dono
della fede, Ti ringrazio di tutte le buone cose di cui ci ricolmi e che
non avremmo mai avute senza il tuo aiuto. Gran Dio, quanto è bello
conoscerti, avvicinarsi a te in ginocchio, piangere di gioia! Per cam-
mini lunghi e tenebrosi mi hai condotto verso tuo Figlio, verso Gesù
tuo amore.

Gli amici mi dicono che non è necessario appartenere alla Chiesa;


anche rimanendo al di fuori di ogni religione positiva sarebbe pos-
sibile giungere a Dio e annullarsi in Lui.

Mi accorgo che ho mutato profondamente i pensieri: queste


obiezioni non mi toccano, le giudico. lontane dalle mie convinzioni.
Soltanto la Chiesa aiuta a capire Dio, perché solo la Chiesa lo possie-
de sotto la forma dell’Ostia. Qualsiasi altra vita interiore non porta
a Dio, perché 1’anima cercherebbe soltanto se stessa, adorerebbe il
suo io.

4 febbraio. - Il discorso cade. sui nostri amici ed Anne-Marie dice


che essi vivono in un mondo irreale: è perfettamente vero. Ripenso
a me stesso prima che ricevessi il dono della fede: mi muovevo nella
vita in modo inutile e vuoto. Gli amici miei abitano una spelonca
buia, sono convinti di vivere perchè i loro corpi camminano e perché
le loro intelligenze pensano: sono invece prigionieri di alte torri e i
loro passi conoscono la sola via della disperazione. Li ricordo con
simpatia perché’ mi sento legato a loro dal vincolo della Comunione
dei Santi.

Poco alla volta imparo, a pregare: le parole della preghiera sono


vive, gli atti del culto sono reali. Chiedo alla Madonna di insegnarmi,
le domando di aiutarmi ad amare Gesù.

Ho letto ancora una volta la meravigliosa vita di Anna Caterina


Emmerich: questa donna ha contemplato la verità.

13 febbraio. - Lunedì mattina, a Courcelle.

Ieri sono giunto in questo villaggio, dove mi è stata offerta ospitalità


in un castello, affinché Pieterke si rimetta presto dalla sua malattia:
dopo aver riaccompagnato gli amici alla stazione, sono rientrato solo
in una magnifica notte di luna. Fra poco partirò per Méréville e là at-
tenderò Pieterke ed Anne-Marie. Il sole è tramontato e già il freddo
si fa sentire negli ampi saloni. Ho acceso il fuoco. Sono lieto di tro-
varmi in questo silenzio. Né rumori né folla: la primavera avvolge
cielo e terra nella sua luce. Passerò qui otto giorni in una specie di
ritiro, per prepararmi con tutto 1’amore di cui sarò capace al grande
avvenimento della settimana prossima: il 24 febbraio nella chiesa di
S. Matthias riceverò il Battesimo assieme a mio figlio e consacrerò
l’amore che mi lega ad Anne-Marie col sacramento del Matrimonio.
Questa pace e questa solitudine mi aiutano. L’alto muro che cinge il
cortile serve ad isolarmi, raccoglie il mio spirito e mi spinge verso
le realtà supreme. Pregherò e rifletterò. Quando si è puri nell’anima
e neI corpo al pari dei Santi, la potenza della preghiera è davvero
senza limiti. lo balbetto appena, ma capisco che la vera preghiera
riesce a violentare Dio. Et òmnia quecùmque petiéritis in oratiòne
c.redéntes accipiétis.

Gesù ... , appena pronunzio il Tuo nome tremo d’emozione; Tu


sei grande e Santo e la mia intelligenza prova vertigine quando
s’affaccia al Tuo abisso; Tu soltanto doni pace e gioia; Tu superi le
parole e sei il pane di tutti i giorni: sono ignorante e accecato dalla
luce bianca dell’Ostia. Tu offri il Corpo e il Sangue e io non ho nulla
da donarTi, se non la mia fame di Te. Ecco, depongo quest’anima
neI palmo della Tua mano: per quanto ferita e stanca, il suo valore è
pur sempre grande e incalcolabile. Non senti quanto pesa sulla Tua
mano? Anche per essa hai saldato il debito verso Dio, Tuo Padre.
Vedo drizzarsi neI cielo la Croce luminosa dalla quale pende il trofeo
sanguinante del Tuo Corpo martoriato. Il Tuo Sangue mi ha aperto
gli occhi. lo sono vile, ripugnante e pieno di miseria e Tu non hai esi-
tato a toccarmi: ed exultàvit spìritus meus in Deo salutàri meo. Il tuo
amore non indietreggia mai! La Chiesa è il regalo che hai fatto agli
UQmini; i gesti, le parole della Messa, del Breviario e della Liturgia
tendono verso di Te come i numi-all’Oceano. La volta del cielo av-
volge la terra e Tu sei la cupola della mia anima.

17 febbraio. - Venerdì. Prego e penso alle meraviglie che tra pochi


giorni si compiranno in me. La primavera fa sbocciare i fiori e la mia
anima pregusta la gioia del Sacramento. Prego la Vergine Madre di
Gesù, Tempio immacolato che custodì il Bambino avanti la nascita,
Cuore trafitto dai sette dolori prima, dopo e durante la Passione,
Madre sofferente e divina soccorritrice: aiutaci, Vergine forte, in-
segnaci a pregare ed amare Dio con tutte le forze, con tutta l’anima.

Attendo con ansia il Battesimo: dopo averlo ricevuto potrò dire


di vivere per davvero; per ora non sono ancora un membro vivente
della Chiesa di Gesù. Quello che sta per verificarsi supera la mia
intelligenza, ma io m’abbandono a Dio, alle sue mani: Signore, fa’ di
me quello che vuoi. Qualsiasi cosa accadrà sarà dono Tuo, dono di
Dio.

Quando entro in chiesa mi pare di tornare a casa.

La lampada che brilla dinanzi all’ altare mi dice che Gesù è pre-
sente: la sua misericordia mi inonda come pioggia ristoratrice.

20 febbraio. - Sono uscito per chiudere la porta che immette sulla


strada e m’ha colpito lo splendore di questa notte. Ho chiamato Anne-
Marie e assieme abbiamo contemplato questa bellezza. La terra è
nera, piena di mistero come gli occhi chiusi, ma in alto lo sguardo
trova le stelle, lampade del cielo: la loro luce è dolce e luminosa. Se
il mondo visibile è già tanto bello, che cosa sarà il mondo invisibile
non contaminato dallo spazio né dal tempo,’ e in cui brilleranno gli
astri dello spirito e dove la gloria di Dio rifulgerà per sempre? Sento
nostalgia del Paradiso.
Domani torneremo a Parigi: i giorni passati lontano dalla città, nel
silenzio di questa primavera, mi sono. stati utili. Nulla ha turbato i
sogni e le preghiere. Ora capisco il mio passato. Sono in attesa di
Dio.

23 febbraio. - Giovedì. Vivo giorni di emozione intensa. La forza


soprannaturale dell’Amore mi divora al pari del gorgo che attira le
navi: in quelle profondità troverò Dio. È terribile e nel medesimo
tempo dolce sentirsi annullare nella gratitudine e nell’adorazione.
Non avevo mai capito la potenza della Grazia: mi sento morire di
gioia, di desiderio, di amore ... Questo cuore vuole tutto: Dio e la sua
grandezza, Gesù e Maria, Anne-Marie, Pieterke, i parenti, gli amici,
Bloy, quelli che conosco e quelli che non ho mai conosciuto.

Stamane nella Basilica del Sacro Cuore ho pregato con fervore


nuovo: voglio perire nel rogo dell’amore di Gesù, ma mi sento impo-
tente e povero. Vorrei nascondermi tra le sue braccia, vorrei spro-
fondare nell’ abisso di questo Cuore da cui scaturisce il Sangue della
salvezza.

Penso con tristezza a mia madre e vorrei poterle dire che ho tro-
vato la verità e la vita: sono certo che mi capirebbe. So anche però
che essa vede e che io posso riparare i suoi errori e la sua ignoranza:
ecco la bellezza della Comunione dei Santi.

Léon Bloy è ora il mio migliore amico. È impossibile non vol-


er bene a quest’uomo che si consuma nel fuoco dolce e terribile
dell’amore di Dio.

25 febbraio. - Devo parlare di ieri, festa di San Mattia, l’apostolo


scelto dallo Spirito Santo in sostituzione di Giuda occorrerebbero
parole di Angeli per descrivere quanto è accaduto. Il Battesimo mi
ha fatto cristiano, il Matrimonio mi ha unito ad Anne-Marie: la mia
anima vive ora la vita di Dio.

Che cosa posso dire di questo fatto soprannaturale? Le parole del


sacerdote mi hanno liberato dalla vecchia vita e mi hanno vestito di
un abito nuovo, hanno cancellato le tenebre del passato, hanno reso
l’anima mia pura come alabastro.

Allorché di buon mattino, in compagnia di Anne-Marie e di Pieter-


ke, raggiunsi la chiesa parrocchiale di S. Médard, sentivo nell’ anima
desiderio e timore. Non dimenticherò questo giorno. Ora sono cris-
tiano. Dio mio, quanto è grande la tua Grazia! L’anima si protende
verso di te come la montagna verso il cielo. No, non m’inganno; sono
cristiano per sempre.

La cerimonia del Battesimo si svolse in questo modo: dopo che


Bloy e Padre L. - essi stavano all’interno del Battistero - ebbero reci-
tato i versetti del Salmo, io - che ero rimasto fuori del recinto - risposi
alle domande di rito e recitai la preghiera del Padre Nostro; a questo
punto venni ammesso al Fonte battesimale e là ricevetti l’acqua puri-
ficatrice. Durante il rito, sentivo su di me la forza consacratrice delle
mani del sacerdote, avvertivo la potenza del Sacramento inondarmi
il corpo e l’anima e io, da parte mia, accettavo tutto, senza riserve e
senza restrizioni. Con quelle parole e con quei gesti il sacerdote ha
liberato la mia anima, - ha allontanato da me il dominio del Maligno,
mi ha reso puro e bello come un bambino: Ego te baptìzo in nòmine
Patris et Fìlii et Spìritus Sancti. Avevo l’impressione di stringere tra
le mani il soprannaturale. Quale strana impressione sentirsi accanto
l’amore di Dio! Ora Gesù Cristo vive in me. Dopo il Battesimo di Pi-
eterke - i suoi puri occhi di bambino riflettevano l’anima - ci recammo
in un’ altra cappella e là venni unito in matrimonio con AnneMarie,
con vincolo indissolubile, al pari del vincolo che unisce Cristo alla
Chiesa. Terminata la cerimonia ci siamo recatati tutti a Montmartre,
in casa di Bloy, dove venne servito un rinfresco. Ora soltanto posso
dire di sapere che cosa è la gioia, che cosa è l’amore. Quel giorno,
gli occhi di tutti brillavano di felicità.

Tutto è mutato in me. Quello che prima giudicavo degno di


grande attenzione ora non mi interessa più. Ripenso al tempo pas-
sato e non mi riconosco: ero io l’infelice, l’inquieto che cercava con
ansia e che giocava con la sua angoscia perché non trovava pace?
Ero io l’ignorante che tentava di saziare la sua fame di Dio con cibi
terreni e che ingannava se stesso con menzogne nutrite d’orgoglio?
Si, ero proprio io. La disperazione mi faceva sanguinare, gli uomini
che incontravo mi davano la sensazione del caos, eppure giudicavo
la religione come il sogno fatuo, sorpassato e inutile, di uomini -fuori
tempo, e mi credevo generoso e sapiente perché ero disposto ad
accordare diritto di cittadinanza a tutte le idee. Ero ridicolo e cieco.
Ora invece vedo. Sono in ginocchio e inizio cosi la mia nuova vita:
rinunzio al passato, ai pensieri, alle parole, alle azioni di un tempo;
d’ora in avanti apparterrò a Dio, a Dio soltanto. Conquistami, fa’ di
me quello che vuoi: fiat volùntas tua!

Eppure, sento in cuore una tristezza: cerco di amare Iddio, s’o


che Egli è Verità e Amore, ma penso che, probabilmente, ancora lo
farò soffrire, che ancora infiggerò i chiodi nelle Mani che mi hanno
dato la vita e nei Piedi che hanno purificato la terra, che ancora in-
treccerò la corona di spine sul Suo Capo adorabile, che altre volte
rinnoverò la tristezza e il sangue della Sua preghiera al Getsemani.
Debbo rinunziare a tutto, debbo seguirlo. Nel brano del Vangelo del-
la Messa di oggi si legge: «Tòllite jugum meum super vas ... Jugum
enim meum suàve est et onus meum leve ».

San Mattia, l’apostolo designato dallo Spirito Santo, è il mio pro-


tettore, ho ricevuto il Battesimo e il Sacramento del Matrimonio in
prossimità del tempo di Quaresima: quale significato nascondono
questi avvenimenti? Bloy s’è unito a me da un legame misterioso:
ringrazio Dio di avermi fatto conoscere quest’uomo.

Oggi, 25 febbraio, per la prima volta da quando ho ricevuto il Bat-


tesimo, ho assistito alla Messa nella chiesa delle suore Benedettine.
Sentivo la presenza del Mistero. Voglio amare Gesù, farmi simile a
Lui che accettò la sofferenza e la strinse a sé come Sua Sposa. O Dio,
donami Amore e Dolore, fammi soffrire, dammi la Gioia.

Dopo gli intensi avvenimenti di questi giorni, provo difficoltà ad


abituarmi alla vita normale, ma sento che il Sign’Ore illumina il mi’O
cammino. È necessario continuare, portare a termine l’ ‘Opera che
mi è stata affidata: ogni cosa è facile e ogni peso si fa leggero, quan-
do lo si accetta come un dono di Dio, nel pensiero di Gesù che soffre
per salvare le anime.

Viviamo un miracolo d’amore, mi ha detto Anne-Marie: ci amiamo


più di prima, amiamo i vivi e i morti, preghiamo per quelli che non
conoscono Dio e per quelli che hanno bisogno di Lui, abbracciamo
quelli che soffrono e quelli che mancano di tutto. Chi più dona, più
riceve.

7 marzo. - Martedì. Il Battesimo ha cancellato tutti i dubbi: accetto


senza riserve quanto la Chiesa insegna. È un fatto strano: appena
nasce in me una abiezione, ecco che il dogma mi aiuta a scioglierla.
Ogni legge della Chiesa corrisponde ad una necessità dell’ anima.
Mi sento libero e leggero: tutto è facile; vivo a contatto col sopranna-
turale, la terribile lotta tra vita apparente e vita reale che prima non
riuscivo a capire, ora ha cessato di essere. Ogni cosa è di Dio.

Gli aerei vincono lo spazio, la scienza spiega l’origine dei mondi,


i popoli preparano le guerre, i geni scrivono volumi, i politici gover-
nano ... questi fatti non hanno assolutamente importanza se parago-
nati alla forza della preghiera, se posti accanto all’ attimo in cui un
bambino o un Santo - siano pure trascorsi dieci secoli! - dice a Dio:
sia fatta la Tua volontà.

Mi dono a Gesù Cristo. Voglio seguirlo e amarlo. Tutto il resto è


miseria e vanità.

9 marzo. - Ho letto, ho pregato, mi sono accostato con umiltà al


Mistero dell’Eucarestia, Corpo e Sangue di Nostro Signore incar-
nato e morto per noi. Mistero inaccessibile, testimonianza di amore
sconfinato! Chi si accosta alla Comunione riceve Dio. L’Ostia non
è un simbolo, è il Corpo vivo e reale di Gesù. lo mi nutrirò di Lui,
la mia anima riceverà la Sua Divinità. Quanto timore e quale gioia!
Che cosa è il mondo di fronte a questo mistero? Perché l’uomo non
piange di gioia e di paura, perché non trema al pensiero della sua
indegnità, al pensiero della bontà di Dio che non si rifiuta mai? Oh,
come capisco coloro che abbandonano il mondo per seguire Dio!

10 marzo. - Stamane, dopo essermi intrattenuto per qualche ora


con Padre L., ho fatto visita a Bloy: era suo ospite, proprio in quel
momento, un simpatico sacerdote, ex cappellano della marina fran-
cese. Fu un pomeriggio delizioso. Bloy parlava della Bibbia ed io
ascoltavo con gioia e con ansia: le sue parole sono lo specchio in cui
si riflette la verità. Nel racconto della Bibbia gli avvenimenti tendono
verso un unico fatto: l’anima mia si illumina mentre Bloy mi mostra
gli abissi dell’infinita gloria di Dio. Nel pensiero di Bloy, Iddio è il
centro, la luce che illumina le azioni e i sentimenti. Sono pochi gli
uomini che posseggono una fede altrettanto sicura, un abbandono a
Dio altrettanto completo, un amore altrettanto grande.

Quando ci raccogliemmo per la cena, e nel silenzio non turbato


dalle voci della città parlammo della Chiesa, de La Salette, di Mé-
lanie, dell’indifferenza e dell’ostilità che molte persone nutrono ver-
so il Cattolicesimo, provai l’impressione di vivere al tempo dei primi
cristiani, all’epoca della catacombe.

La nostalgia è un sentimento sottile, eppure forte.

Quando ne sentivo l’influsso non sapevo dove essa mi avrebbe


condotto: ora capisco che mi spingeva verso Dio. L’uomo porta nas-
costo in sé il ricordo del Paradiso terrestre, e la selvaggia inquietu-
dine di chi non crede e non accetta Dio non è altro che l’affannosa
ricerca di quel Paradiso perduto. L’anima è stata creata per tornare
a Dio, e lo invoca e lo cerca anche quando guazza nel fango.

Quanto è bello sentire e capire queste cose che superano la nostra


statura di uomini! I miei occhi scrutano il mistero, ed io so che al di
là del mondo visibile brilla la luce che non si spegne. So queste cose
perché le dice la fede, e la sua testimonianza è per me più sicura
della prova che mi forniscono gli occhi e le màni.

Maria, Torre d’avorio, Casa d’oro, Rifugio dei peccatori, prega per
me il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

27 marzo. - Se fosse stato un uomo ad istituire la confessione,


quest’uomo avrebbe dato prova di conoscere molto a fondo l’anima
dei suoi simili e avrebbe fatto loro un grande regalo. Ma io so che la
confessione è qualcosa di ben più grande e l’ho sperimentato allor-
ché, in ginocchio, dopo aver manifestato le cose più nascoste e seg-
rete, mi son sentito ripetere le parole: «Ego te absòlvo ... in nòmine
Patris et Fìlii et Spìritus Sancti »; sono parole che hanno il potere di
liberare da ogni peso, di cacciare le tenebre del peccato, di rendere
l’uomo libero e lieto. La confessione è il sacramento che fa toccare
con mano la forza soprannaturale del prete. Il penitente parla a Gesù
ed è Gesù stesso che assolve, che spezza le catene del peccato, che
ridona all’anima la luce e la vita. lo conosco la bellezza di questo cam-
biamento interiore. È meraviglioso e commovente che Iddio abbia
donato agli uomini questo mezzo, perché essi se ne servano nella
lotta contro il male. La natura umana, nella sua fragilità, non potreb-
be seguire il cammino che porta verso Dio: essa ha bisogno di aiuto,
ed ecco che Dio le viene incontro con i Sacramenti.

Tra quindici giorni, nella ricorrenza del Mercoledi Santo, Pieter-


ke ed io ci accosteremo per la prima volta alla Santa Comunione
ed anche Anne-Marie, che ormai da molti anni non frequentava più
la chiesa, riceverà il Corpo di Gesù. Saranno con noi i Bloy e tutti
assieme riceveremo la Comunione da Padre L. nella Basilica del Sa-
cro Cuore.

Passo gran parte del tempo in compagnia di Bloy: mi piace


quest’unione di anime nell’amore di Gesù e di Maria. Quando, per
forza maggiore, devo trascorrere qualche ora con amici il cui cuore
non è orientato verso Dio, mi annoio e capisco di perdere un tempo
prezioso.
L’uomo ha bisogno di vivere nel silenzio per sentire nell’ anima la
voce di Dio e dei Santi.

31 marzo. - Oggi, festa del Preziosissimo Sangue di Nostro Si-


gnore, sono stato a Messa nella chiesa delle Benedettine. Penso al
sacerdote che tiene tra il pollice e l’indice il Corpo di Gesù: Cor-
pus Dòmini nostri Jesu Christi ... Tremo: la mente non sopporta
quest’altro miracolo. Guardo l’Ostia e so che non è più pane, ma
Corpo di Gesù, Gesù stesso.

Sempre più stupisco d’essere vissuto per tanti anni lontano da Dio.
I giorni, i pensieri, gli avvenimenti hanno un valore profondo e mis-
terioso: ciascun istante della vita ne è colmo fino all’orlo. Paragono
la storia degli uomini al Golgota e vedo, trionfatrice su di essa, la
Croce di Gesù, il Corpo rosso di sangue del Re dei re. L’intelligenza
non sviscera il mistero, ma la mia ragione è appagata: ho posto la pa-
rola fine al vagabondaggio intellettuale. La Liturgia cambia il tempo
in una cattedrale di preghiere, di lezioni, di salmi di feste e dona ad
ogni giorno valore, bellezza e significato: ogni cosa tende a Dio.

Chiedo a Gesù, vittima volontaria per amore, di accettare l’amore


mio. Il Re degli Angeli si è umiliato, ha voluto conoscere la Paura e
l’Agonia. Chi sono io di fronte a Lui?

3 aprile. - Tra pochi giorni avrà inizio la Settimana di Passione.


Non so dire quello che provo. Vorrei poter pensare sempre a Gesù,
perdermi nel suo Amore, meditare la Sua Vita, adorare la Sua Incar-
nazione, piangere la Sua Morte.

Domenica scorsa mentre assistevo alla Messa, ho avuto una sen-


sazione strana. Mi pareva che qualcosa di pesante e di tetro gravasse
sull’anima: non potevo pregare e mi era impossibile formulare un
solo pensiero. L’aridità spirituale era tanto forte che mi sentivo
soffocare e non avevo forza per allontanare questa terribile e nera
inquietudine: premeva su di me il peso delle tenebre. Finalmente,
dopo lunga lotta, riuscii a recitare una giaculatoria: Jesu àdiuva me,
Jesu, mi Jesu, àdiuva me; Sancta Marìa defénde me, e poco alla volta
l’inquietudine si calmò e scomparve del tutto al momento della de-
vozione.

La forza di questa potenza malvagia, che all’improvviso assale lo


spirito, è davvero grande e temibile. L’anima la sente crescere e sali-
re, la volontà si vede paralizzata, lo spirito non reagisce più, preda
di una potenza sconosciuta: il Nemico sta per vincere. L’anima ha
appena il tempo di aggrapparsi alla Croce.

4 aprile. - Quando il sacerdote distribuisce la Comunionee dice:


Corpus Dòmini nostri Jesu Christi custòdiat ànimam tuam in vitam
Eeternam, l’anima si perde nel silenzio; le tempeste si calmano e
tacciono. Il Corpo di Gesù irradia una luce vivissima; scompaiono
i timori e le inquietudini, l’anima si muta in un Ostensorio che rac-
chiude il Corpo glorioso del nostro Dio.

10 aprile. - Tormentarsi, non scavare l’anima con gli scrupoli, non


analizzare troppo i pensieri, ma dimenticare se stessi, cercare Dio
con sincerità e con amore: ecco il risultato della fede.

11 aprile. - La vita dell’uomo si ripercuote nell’invisibile e l’Invisibile,


a sua volta, si riflette sulla terra: ogni nostra azione, per conseguen-
za, deve essere compiuta nel modo più perfetto possibile.

La religione cattolica spinge gli uomini - sono lieto di sentire su di


me questa dolce pressione - a fermare l’attenzione in Dio e nel suo
mistero, e la Liturgia li aiuta a portare a termine questo impegno.

Domani riceverò la Comunione: vorrei che la divinità di Gesù ac-


cendesse in me un fuoco inestinguibile. Come potrà il mio debole e
fragile cuore di uomo ospitare Colui che è Luce, Vita e Verità? Gesù
si nasconde sotto la Specie del pane per amore: la creatura umana
non potrebbe sopportare la grandezza della Sua divinità, lo splen-
dore del Suo Essere glorioso! È difficile abituarsi al pensiero che
Dio venga a vivere in noi: il cuore trabocca di estasi e di pace.
Eccoci nella Settimana di Passione: la grande notte si fa vicina, le
tenebre minacciano la terra; avvolto nel rosso manto del Suo sangue,
il Re avanza sotto il peso della Croce verso il Calvario, dove verrà de-
nudato e crocifisso. Ora la Croce è alta nel cielo, Gesù ripete le Sette
parole e muore. Gesù, la Tua sofferenza è stata immensa, il Tuo
Amore infinito. lo invece non ho nulla da donarti: vorrei essere con-
quistato dal Tuo Amore, vorrei donar ti il sangue dell’anima. Gesù,
Tu hai patito per salvarmi: mai più potrò sorridere, ma soltanto dovrò
piangere di riconoscenza. Eppure l’anima si rifiuta di essere triste:
Tu sei il Salvatore, la Casa della salvezza, la Beatitudine eterna.

Feria IV della Settimana Santa - Stamane ho ricevuto la Comu-


nione. Gesù ha vìsitato l’anima mia. Prima che la Messa avesse in-
izio mi ero confessato, e avevo chiesto a Maria di preparare l’anima a
ricevere il Re. Ho seguito la Messa secondo le parole della Liturgia,
ho recitato l’Oremus, ho letto l’Epistola e il Vangelo, ho assistito al
ripetersi della Passione di Gesù, e poi mi sono accostato alla mensa
eucaristica: i Bloy, Anne-Marie e Pieterke erano accanto a me. In
quel momento il tempo non esisteva più, pensavo a Gesù che si av-
vicinava. Mi sentivo liberato dal corpo e pregavo la Madonna affin-
ché accogliesse Gesù in vece mia. Dòmine non sum dignus ut intres
sub tectum meum sed tantum dic verbo et sanàbitur ànima mea!
Mi sentivo annullare e vedevo la luce crescermi attorno. Gesù era
davanti a me, Gesù si posava tra le mie labbra, Gesù penetrava il
mio essere ed io non sapevo come ringraziarlo, non trovavo parole
per dirgli il mio amore. Quando lasciai la balaustra e ritornai al mio
posto, mi sentivo insensibile e quasi vuoto. Gesù era solo in me.
Poi, dolcemente, poco alla volta, fui conquistato da una pace inde-
scrivibile: mi sentivo felice, permeato della Sua presenza. Ripetevo
frasi senza senso, folle di ebbrezza: grazie, Gesù, grazie! Dopo la
colazione consumata presso i Bloy, dalla Visione di Anna Caterina
Emmerich, Léon lesse il capitolo in cui si parla dei discepoli di Em-
maus: ascoltavo commosso e in silenzio. Nel mio spirito s’è accesa
una luce nuova: essa è come la lampada che brilla presso l’ altare e
che non si spegnerà mai.
Ho ricevuto il Battesimo all’inizio della Quaresima e mi sono ac-
costato per la prima volta alla Comunione alla vigilia della tragedia
del Golgota: seguo Gesù sulla via dolorosa. Quale significato avrà
questa coincidenza? Sono entrato nella Chiesa attraverso la porta
della Passione.

Le vie di Dio sono nascoste e imperscrutabili: la Sua bontà cambia


in bene ogni cosa, anche il male. Anne-Marie era, da bambina, molto
pia, ma poi aveva abbandonato la Chiesa perché aveva perduto la
fede: ora anch’essa è tornata a Dio, e con me e con Pieterke prega il
Padre che è nei cieli, affinché non permetta che si esaurisca in noi il
dono misterioso della sua grazia.

Péria V in Cena Dòmini. - Ho ripetuto la Comunione nella chiesa


delle Benedettine. Ricorre oggi l’anniversario della morte di mia
madre: ho pregato in suffragio della sua anima. Ella ora sa di quanti
benefici Iddio mi ha colmato. Non conosco l’avvenire, ma so con
certezza che la mano di Dio mi accompagna.

Péria VI. Vivo la Liturgia di questi giorm In modo assai più pro-
fondo e reale dell’anno passato. L’anima appartiene a Dio.

Mi stupisce la gioia con cui Pietrke accetta la religione. Tutto gli


è facile, il soprannaturale è per lui reale e presente. Quale profonda
intuizione ha avuto il Papa quando ha permesso ai fanciulli di rice-
vere Gesù, appena - raggiunta l’età della ragione! Questo atto non
mancherà di influire in modo favorevole sulla nostra epoca.

4 maggio. - Siamo tutti a Bures, da una settimana. Dalla casa dove


abito, lo sguardo si spinge lungo la valle, fino alle colline ricoperte
di boschi. La mia situazione finanziaria è sempre molto incerta, ma
questo fatto non mi preoccupa: non posseggo forse Gesù? La mat-
tina, dopo aver ascoltato la S. Messa e ricevuto la Comunione, me ne
torno per i campi rorididi rugiada, tra le siepi di biancospino in nore
che costeggiano le acque dell’Yvette, mentre dall’alto del cielo can-
tano le allodole: in quel momento non mi preoccupo delle difficoltà
economiche. Sia lodato Iddio ora e sempre.

10 maggio. - Scopro per la prima volta la bellezza della primavera: i


miei occhi sono puri. Una bianca nebbiolina nasconde, in lontananza,
l’azzurro del cielo, l’aria brulica di insetti e risuona del gorgheggio
degli uccelli: di notte, al chiaro di luna, canta l’usignolo.

Questi giorni purificati dalla Comunione quotidiana risplendono


di porpora e d’oro. L’anima sente la nostalgia del Paradiso perduto,
aspira alla contemplazione di Dio. Ecco i soli momenti importanti
della vita: pregare Gesù e riceverlo nella Comunione. Essi sono le
colonne di luce che sorreggono l’esistenza.

In féria II Rogatiònum. Stamane mi sono sentito parte viva della


grande e invisibile armata dei Santi. Nello splendore di una luce ab-
bagliante, ho provato l’inesprimibile violenza dell’ Amore di Gesù.
Mi rendo conto che il cristianesimo è lotta e conquista: combatterò
con gioia per adempiere la volontà del Padre. Appartengo a Dio dal
profondo dell’essere. Il peccato è il parassita che distrugge lenta-
mente le meravigliose forze dell’anima.

Maggio è il mese della Madonna, e noi ogni sera recitiamo il ro-


sario. Questa magnifica preghiera calma il cuore e l’anima: mi sba-
gliavo profondamente quando la giudicavo un ripetersi monotono e
infantile di parole sempre uguali. La sua potenza è immensa: Maria è
la porta del cielo, è la Regina dei Santi, è la creatura quale uscì dalle
mani di Dio, non contaminata dal peccato: Mater doloròsa, Mater
nostra ora pro nobis et doee me amàre Fìlium tuum et Deum tuum.

26 maggio. - Ieri, festa dell’Ascensione, i Bloy sono stati miei os-


piti: l’amicizia che ci lega è profonda e sincera. La vita che i Bloy con-
ducono non è senza spine, e pare che Iddio non voglia permettere
loro un’esistenza tranquilla, libera da incertezze e da dolori. Non so
per quale miracolo il cuore di quest’uomo non si sia ancora spez-
zato! Sono debitore di molte cose verso Bloy. Come vorrei poterlo
aiutare!

Sentire Bloy parlare di Dio è una vera gioia: in quei momenti, gli
occhi contemplano il mistero.

Gli uomini che non amano Dio si agitano per stordirsi, per non
pensare alla morte. L’anima vive in proporzione dell’amore che la
divora.

Festa del 55. Cuore di Gesù. Il cuore di Gesù mi fa pensare ad un


incendio e alla rugiada. Esso ha portato il peso dei nostri peccati,
è dilaniato dalle spine delle nostre infedeltà, e ciononostante è sor-
gente inesauribile di misericordia. Cor Jesu sacratìssimum flammis
Caritàtis tua eor meum exùre.

23 giugno. - L’Ostia si consuma, ma Gesù continua a vivere nel


cuore dell’uomo, fattosi come campana di chiesa che suona senza
stancarsi.

Stamane mentre tornavo da Messa - 1’anima era ancora rapita


dalla gioia d’aver ricevuto il Pane quotidiano: Panem nostrum quo-
tidiànum super substantiàlem da nobis hòdie - Anne-Marie m’ha rac-
contato lo strano sogno di questa notte: un lebbroso dall’aspetto or-
ribile e tutto coperto di piaghe, d’improvviso s’era cambiato in una
luce fortissima e accecante.

Adoràmus te Christe et benedìcimus tibi quia pér sanctam Cru-


cem tuam redemìsti mundum.

Vigilia Pesti Ss. Petri et Pauli. - Dalla finestra della mia camera
contemplo questa sera d’estate. La terra è invasa dal silenzio, il ven-
to muove le foglie, un uccello cinguetta tra i rami. Il mio cuore canta
di gioia.

Ho conosciuto l’inquietudine e il dubbio, ho sperimentato il potere


delle tenebre e della disperazione, ho cercato la verità e la libera-
zione, fino a che mi è apparsa la luce: allora sono caduto in ginoc-
chio. Oh Bontà, oh Misericordia, oh Gesù! Sono Tuo e Ti voglio
amare.

Deus meus et omnia.


Abbazia di S. Paul, Oosterhout, Natale 1954

L’anno di grazia 1954 ancora una volta m’ha fatto toccare con mano
che il dolore che Dio manda agli uomini aumenta in noi la forza della
grazia e dell’amore. Persino la morte dell’essere che mi era caro più
di ogni altro e che rendeva bello e abitabile il mondo, ha contribuito
a purificare la mia gioia, anche se il cuore è oppresso da un dolore
indicibile. La presenza di Dio è un dono sempre nuovo. La morte fa
soffrire perché separa i corpi, ma per essa le anime si uniscono in
modo più profondo, nella realtà di un mondo nuovo.

È triste il costatare che 1’anima che ci è più cara - la nostra stessa


anima - a poco a poco si perde nel silenzio e viene rapita in Dio: il
tempo non misura questi attimi, questi cicli che lo superano.

Ho vegliato Anne-Marie dal tempo della Messa di mezzanotte fino


al giorno di S. Stefano, le sono stato accanto fino al momento supre-
mo in cui essa ha ripreso la via verso casa sua, calma, bella, serena.

In quel momento supremo i miei pensieri scrutavano la vita del


mondo, salivano dal dolore che fa sanguinare fino al rapimento in
Dio, fino alla certezza della Sua presenza.

Stesa nel suo letto, Anne-Marie giaceva innanzi a me, immobile,


gli occhi chiusi, le mani raccolte in grembo lo le ero accanto, la chia-
mavo per nome, le sussurravo parole d’amore - le solite, semplici,
eterne parole d’amore - così come avevo fatto durante i cinquant’anni
della nostra vita in comune: le parole che ripetevo in quel momento
superavano la realtà del nostro amore e si perdevano in Dio.

Avevo l’impressione di morire, la vita mi spingeva nel silenzio in


cui Anne-Marie si rifugiava con passo lento, quasi scalasse una mon-
tagna.

lo continuavo a parlare; le ricordavo la notte di Natale, l’Abbazia,


Anne-Marieke che avevo visitata quel mattino stesso, le avventure
della nostra vita tanto strana, il nostro amore, la morte, Dio; guar-
davo le sue mani, carezzavo e contavo ad una ad una, quasi fossero
gioielli, le dita pure della sua gentile mano di donna.

È passato un anno da quel giorno, e adesso capisco il significato


profondo di tante cose: quando ci cercavamo, al di là di noi stessi,
noi cercavamo Dio; questo fu il miracolo del nostro amore.

A quel tempo però, allorché Dio mi chiese il sacrificio di Anne-Ma-


rie, soffrii amaramente. Ero ben certo - e ce l’eravamo ripetuto non
poche volte - che un giorno uno di noi. sarebbe stato solo, ma quando
quella triste realtà si presentò cruda e inevitabile, durai fatica ad ac-
cettarla. Pregavo e pensavo che nulla poteva separarci. Come avrei
potuto vivere senza di lei? Quale scopo avrebbe avuto la vita? Che
cosa avrei fatto senza Anne-Marie. Ella m’aveva dato tutto: la comp-
rensione, la fedeltà, la preghiera. Il suo corpo vivo e reale - simile a
grano biondeggiante - si allontanava da me e mi pareva che tutto il
mondo mi abbandonasse. Urlava sul mio capo la tempesta di Dio.

Padre Hans e Padre Frans, già compagni di Pieterke, hanno


portato ad Anne-Marie il Corpo di Gesù e le hanno amministrato
l’Estrema Unzione: essa è immobile, ma il suo sorriso è ancora vivo
e sereno.

Ora ha inizio la notte suprema: sta per compiersi un altro mira-


colo. Smarrito in questa solitudine, io recito il Magnificat: le parole
della preghiera popolano il silenzio della presenza di Dio. Ho il cuore
che brucia.

Mentre recito le Litanie degli agonizzanti alla presenza di tutta la


Chiesa e di Dio - sogno forse, oppure scruto la ragione profonda del
mio essere? - mi sorprendo in questo pensiero: la donna

è il ricordo del Paradiso, l’unico frammento che l’uomo conserva,


nel deserto del mondo, dell’Eden. perduto. L’uomo è il consacratore
della donna, il costruttore della sua santità, ma da quando s’è las-
ciato sedurre è decaduto dal suo rango di guida. Il desiderio della
donna nasce dallo stesso amore - l’Amore è uno solo - con cui essa
ama l’uomo e lo vuole alto e perfetto, ricordo e nostalgia del Para-
diso. La donna desidera il Redentore, il Cristo, il consacratore che
la riconduca con la sua potenza alla sua vera patria d’origine e di
nascita. La donna è nata in Paradiso, l’uomo invece vi è stato sveg-
liato alla vita: ecco perché in essa il ricordo di questo luogo perduto
è più vivo e profondo. Ma la donna sente anche nostalgia del prete,
perché è a causa sua che il primo prete, il primo consacratore, ha
fallito la sua missione. Ogni donna e ogni madre sente il bisogno di
un figlio prete: appello confuso e lontano, questo desiderio è l’eco di
quanto la Vergine ha provato in sé al pensiero del Messia, Pacifica-
tore, Salvatore, Unico Sacerdote, Agnello dell’Amore.

Anne-Marie non c’è più, mai più la cercherò, mai più la troverò su
questa magnifica terra dove, amandoci, abbiamo scoperto l’amore
di Dio.

Vedo un muro dinanzi a me, e so che al di là di esso vive la gioia:


è il muro di Dio; mentre sento la presenza dell’Invisibile, della sua
forza e della sua tenerezza vi appoggio le mani e recito ancora una
volta il Magnificat.

Non sono più su questa terra: mi sento lacerato. Il Dio Vivo è an-
che il Dio terribile, è anche crudele e inesprimibile gioia.

Sono le ore cinque e venti minuti del giorno di S. Stefano: . Anne-


Marie cessa di vivere. Il suo corpo è senza respiro, ma io non penso
alla morte. Sono solo con Dio, il Signore è qui accanto a me, ha
spento la luce della vita, ha chiuso il mio orizonte.

L’ufficio funebre celebrato dal Padre Abate di Oosterhout, assistito


da due monaci benedettini nella chiesa di S. Martin de Prinsenhage,
in questo giorno d’inverno che fa pensare alla primavera, dà vita a
una festa meravigliosa nella quale la gioia si confonde col dolore.
Dove andrò ora? Anne-Marie mi ha preceduto sempre e ancora
una volta capisco che devo seguire i suoi passi. Anne-Marie ha rag-
giunto i suoi figli: sono investito da una tempesta d’amore. Penso ad
Anne- Marieke - ella sola mi resta sulla terra penso ad Anne-Marie
e sento che debbo raggiungerla. L’unica via che mi rimane è quella
di spingermi verso le altezze, vicino a Dio, chiedere di perfezion-
armi nell’ Amore, di donarmi a Dio per servire gli uomini. Sento che
Anne-Marie mi chiama.

Ogni altra soluzione sarebbe un diminuire la mia vita,costituirèbbe


un arresto, un regresso, un abbassarmi verso la mediocrità. Non
potrei farlo: l’anima ne ha orrore.

La sola possibilità che mi rimane è quella di donarmi totalmente


a Dio.

Ora vivo nell’attesa e prego: Padre, ogni cosa è bella perché tutto
è amore!

Padre Pieter van der Meer de Walcheren

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