Gli uomini veri invece, quelli che hanno ricevuto l’anima non
inutilmente, hanno sofferto e pianto fino a che non hanno in-
contrato la custode di ogni mistero, la Chiesa. Questa è stata
la storia di Pierre Matthias van derMeer de Walcheren, mio fi-
glioccio. Io presento il suo libro a tutti i cuori ancora capaci di
entusiasmo.
Ecco come ragionò un giorno Van der Meer dopo aver ascol-
tato la confessione di uno scellerato: «Non credo in nulla. Non
posso condannare quest’uomo e le sue azioni. In nome di chi o
di che cosa potrei farlo? Perché avrebbe dovuto comportarsi in
modo diverso, visto che gli piacque comportarsi così? Tutto è per-
messo. Non ho forse io pensato a cose più abominevoli ancora e
non mi sono forse compiaciuto di quei pensieri? Quando se ne ha
il coraggio, ci si può comportare come meglio ci aggrada. Costui
non si è lasciato imprigionare da opinioni e da convenienze. A
chi deve rendere conto dei suoi atti? A nessuno, perché non esiste
nessuno al di sopra di lui. Egli ha ragione ed io ho torto. Tutto
è permesso. Non vi sono limiti. Non vi sono leggi.
La nostra vita non dura più d’un attimo, portiamo nel cuore
la tempesta selvaggia delle passioni, siamo torturati dai desid-
eri e dalla speranza, vogliamo raggiungere l’impossibile e ten-
erlo ben fermo tra le mani. Interroghiamo il passato, leggiamo
quello che gli uomini hanno scritto, ma non comprendiamo. In-
terroghiamo la terra, il cielo, gli astri, gli abissi dello spazio e
gli abissi dell’anima; piangiamo di commozione e di nostalgia
davanti ad ogni cosa bella, compiamo gesti di passione ardente
e poi, all’improvviso, restiamo freddi, immobili. Più nulla, più
nulla ... Le stelle che ora guardiamo con desiderio, non si ricord-
eranno più di noi ... Anne-Marie! ».
Dice l’anima che piange: «Voglio ritornare alla Casa del Pa-
dre. Ho consumato le mie ricchezze e ora muoio di fame assis-
tendo un branco di porci. Penso con nostalgia alla casa lumi-
nosa dove i poveri hanno di che mangiare e dove lo stesso Padre
asciuga le lacrime di chi soffre. Quella casa è la mia, ma non so
dove si trovi. Le Sfingi che ho interrogate si sono burlate di me
e aspettano il momento per divorarmi. Una dice: lo sono il Mis-
tero della Vita. L’altra sussurra: lo sono il Mistero della Morte.
Una terza incalza: lo sono il Mistero del Pensiero. Si fa avanti la
quarta, la più sconcertante: lo sono il Mistero del tuo cuore. Vo-
gliono che mi decida per una di esse e minacciano di sbranarmi.
Padre mio introvabile ed invisibile, abbi pietà di me! ».
Léon Bloy
3 marzo 1914
Terram miséril et tenebrarum
ubi umbra mortis et nullus ordo,
sed sempitèrnus horror inhàbitat.
(Gb 10,22).
Quando, quasi ogni giorno, turbato dal tragico spettacolo
dell’umanità che ha smarrito la via del Paradiso, annotavo gli avveni-
menti che mi arrecavano gioia e dolore e gli aneliti cui tendeva il mio
cuore pesante d’angoscia e desideroso di liberazione, io scrivevo sen-
za accorgermene la storia del mio cammino verso la Verità. Prestavo
ascolto a tutte le voci della vita, a quelle che mi parlavano dal di fuori,
a quelle che sentivo salire dalle profondità nascoste dell’anima. Sog-
navo la vita, volevo capirla in ogni sua sfumatura, pensavo di pormi
al di sopra di essa e di dominarla. Volevo costruire con la volontà un
sistema a base di rassegnazione e di ironia che riducesse il mistero
al suo posto giusto, in una sfera inferiore e poco importante. Mi era
impossibile però annegare gli aneliti alla Verità nella nebbia dorata
dell’apparenza. Il mio spirito non aveva né pace né libertà: portava
le catene come un condannato a morte. La nostalgia di Dio lo faceva
soffrire amaramente.
1 dicembre. - Le ore più belle della giornata sono quelle che passo
con Anne-Marie, sotto la luce tenue della lampada del mio studio. Gli
oggetti ci stanno attorno come vecchi amici e ci guardano con sim-
patia; l’orologio rompe il silenzio col suo tic tac. Quando non parlia-
mo, faccio lettura per tutti e due. Questa sera ho continuato I Fratelli
Karamazow. Conosco da tempo questo romanzo e ancora una volta
m’ha entusiasmato. Dostojevschij ha capito il mistero dell’uomo, la
miseria della vita, il bisogno di liberazione.
Lavoro, dò lezioni, scrivo. Qui talcuno dice: «È logico che sia così
». Altri invece: «È assurdo ». C’è chi mi ammira, c’è chi mi considera
pazzo. Con tutto questo, la terra continua la sua corsa attraverso gli
spazi, gli anni passano, il cielo non cessa di splendere sempre più
bello, al di sopra delle nostre teste. Talvolta penso che questa vita
sia una stupida favola.
Perché vivo?
S. dice che l’anima è una parola, una parola senza senso: parla di
fluido cosmico, di elettricità,di risultato dell’armonia delle cellule.
Secondo Anne-Marie l’anima esiste. «Ma come lo provi? », le chiese
S. Per conto mio non dò ragione a nessuno: si può sostenere che
l’anima esiste e si può sostenere che non esiste affatto. E’ una dis-
cussione senza senso. Eppure, eccoci qui, tutti e tre, ciascuno col
proprio mondo, ciascuno con sentimenti e passioni proprie che non
hanno alcuna rispondenza nel mondo materiale. L’illusione mi ac-
ceca. È bene? È male?
13 gennaio. - Non accade nulla: nulla che mi interessi. Vivo nell’ at-
tesa. Da sempre, la mia vita è in attesa di qualcosa, d’una catastrofe,
d’una gioia, di qualcosa che sia grande e bello. «Sei poco socievole
», mi è stato detto. È vero: non mi trovo a mio agio in compagnia.
Non ho avuto l’•ambizione o il desiderio di occupare una carica, un
posto di responsabilità. Vivo per qualcosa d’altro. Non so che cosa
sia quest’altro, ma vivo nell’attesa di qualcosa.
Chi sono io? lo e tutti gli altri che mai soddisfatti come me, spin-
giamo sogni e desideri verso mondi sconosciuti? Cerchiamo forse
qualcosa che abbiamo perduto?
Nei vassoi facevano ancora bella mostra frutta di rare qualità, e già
le donne servivano il caffè e portavano in tavola molte varietà di li-
quori: il Gargantua, intanto, era alle prese con una gigantesca fetta di
torta. Penso che quel signore non abbia mancato di fare buona acco-
glienza a tutta quella grazia di Dio: ma non ero più presente, e quindi
non vorrei insinuare. So di certo invece che Gargantua, professore
di una scuola media, non sentiva affatto il problema della morte, né
si impensieriva circa il problema della vita. Suo Dio era il ventre: egli
non aveva vergogna ad adorarlo. Avrà anch’egli un’anima?
Ma sono del tutto certo che la verità non si possa conoscere, che
non esista affatto?
Sento il mare nero al di là del cerchio di luce della nave che pro-
cede tranquilla verso il porto. Scruto con gli occhi l’orizzonte im-
penetrabile della notte. Lo spazio che mi sta davanti non mi 1mpres-
siona: l’anima vorrebbe andare oltre, al di là del mondo reale, ma
non conosce la strada. Le stelle e il mare non bastano a calmarmi:
sono realtà controllabili, troppo piccole. L’anima supera il mondo,
non si appaga di quello che gli occhi vedono, di quello che sa. Piange
di nostalgia.
- Mi pare, gli rispondo io, che tu non entri nel centro della ques-
tione. Se non sei convinto che Bloy è un grande scrittore, non sarò io
che riuscirò a fartelo credere. Ammetto anche che Bloy sia un caso-
limite nelle nostre lettere recenti; egli vede una sola cosa, Dio, e lo
sèrve con i libri e con un cuore ardente di amore e di collera. Ecco
quello che mi piace in lui: questo cuore. È in grazia sua che Bloy
si permette di ridere della nostra psicologia troppo complicata, di
disprezzare la scienza e le sue conquiste che non fanno progredire
l’uomo di un solo passo. Bloy possiede un’ altra fiamma, possiede la
Fede, e quantunque io non la possegga e non la capisca, non posso
f.are a meno di ammirarlo. Io sono lo spettatore e Bloy è lo spet-
tacolo: questo spettacolo mi conquista. Quando apre dinanzi al mio
spirito il ve1ario dell’al di là, io lo giudico più di un poeta. Il mistero
che Bloy propone alla mia mente mi sconvolge nel profondo dell’
anima ...
Penso, non so perché, alle parole che Gesù disse al Buon Ladrone:
hòdie mecum eris in paradìso. Che cosa significano? Son triste come
un bambino abbandonato. L’anima annega nel mondo che mi cir-
conda. Dov’è il paradiso?
Il rumore violento delle onde che battevano contro gli scogli gi-
ungeva fino al nostro albergo. Era uno spettacolo grandioso: le on-
date sommergevano le punte meno alte e si spezzavano contro le
rocce. Giungevano da lontano, bianche di spuma, si ingrossavano
a mano a mano che si avvicinavano alla costa, assalivano la terra e
ricadevano con un tonfo secco e profondo. Altre volte invece questo
mare è calmissimo, teso come un filo sotto il sole che manda riflessi
d’oro e di smeraldo e che lascia sull’acqua una striscia scintillante.
Le montagne si drizzano contro il cielo puro, i pini si arrossano nel
tramonto.
Quanto sei bello, sole d’Italia! L’uomo del Nord, abituato ai lunghi
mesi invernali, si entusiasma a questo calore e a questa luce. Chi
non è stato qui non può farsene idea. Quando il sole non brilla, le
cose conservano i loro contorni esatti e si tingono di color perla, ma
quando riappare, la terra è in festa: le montagne paiono incoronate
d’oro, i pini fanno pensare a candelabri immensi, sulle distese di
ulivi quando sono vecchi, questi alberi si curvano come gli uomini!
brilla una polvere d’oro. E al di sopra di tutto - quanti sogni! - il cielo
purissimo.
Sono rimasto alcune ore vicino al suo letto, così, col cuore stra-
ziato: non m’illudo più che possa guarire. La primavera è in fiore,
l’aria è tiepida, ma essa ha freddo e non le è sufficiente nemmeno
il pesante scialle di lana; le sue mani sono dure, ruvide; di tanto in
tanto le sfrega l’una contro l’altra, dolcemente, e poi le guarda. Tal-
volta agita le braccia, quasi volesse scacciare pensieri importuni: io
le sono vicino e sento vergogna di me, del mio corpo giovane e forte.
Sento la morte che si avvicina, la vedo come una presenza invisibile.
Gli occhi mi servono a meraviglia, ma mi pare di essere cieco, di non
capire minimamente quanto sta avverandosi davanti a me ...
Ieri mi sono spinto fin oltre Arbonne per una landa deserta, ove il
Battista non avrebbe sfigurato col suo vestito di pelle di cammello.
Ritornai quando già il sole tramontava: non so dire quante cose ris-
veglia in me questo momento del giorno. Malinconia, dolce tristezza,
desiderio di raggiungere la luce che scompare? Ora il sole illumina
altri mondi. Non si potrà mai aprire la porta luminosa dell’orizzonte?
Mi pare di contemplare l’anima in uno specchio e di camminare ol-
tre questa porta, verso l’eternità divina. Il mio cuore è un incendio,
soffro, eppure provo una grande i gioia: il pensiero corre ai miei
morti, scruta la terra, la vita, gli spazi infiniti; l’inquietudine si placa,
posseggo per un attimo la certezza, ho fiducia, mi sento vicino
all’Assoluto. Poi il sole tramonta, la luce si spegne, scende il silenzio.
Riprendo, triste; la mia via.
All’uscita dal Museo la campana del Sacro Cuore lanciava nel cie-
lo i rintocchi dell’Angelus. Il richiamo profondo di questa voce si
stende su tutta la città.
3 novembre. - Sono due giorni che assisto alla Messa in San Sul-
pizio, ieri e l’altro ieri, in occasione della festa dei Santi e dei Morti.
Durante il rito, mentre sull’altare si compiva il sacrificio, cullato dal
canto gregoriano che dice cose inesprimibili con parole sublimi, ho
pensato a mia madre. Me la sentivo vicina e mi sentivo vicino a lei.
Quando uscii dalla chiesa ero ancora sotto l’impressione di quella
pace solenne: guardavo gli uomini perdersi nel tumultuoso viavai
delle strade, e mi parevano pazzi. Non capisco perché si agitino tan-
to, verso che cosa tendano col loro moto da marionette. Vedo ancora
i gesti del sacerdote, so perché alza l’ostia, perché si inginocchia,
perché si sposta dall’una all’altra parte dell’altare. L’altare è il Gol-
gota sul quale Dio è crocifisso.
Ho rivisto Vildrac e per mezzo, suo -mi sono incontrato col gruppo
d’artisti dell’Abbazia, giovani di buone capacità ma troppo legati, a
parer mio, al progresso scientinco, alla perversità del nostro tempo.
Ho ascoltato - alcune poesie lette da Apollinaire: mi sono piaciute
come tecnica, ma non oserei dire che siano capolavori: sono povere
di vita interiore e assai di rado l’idea si muta in canto. Vildrac mi pare
il migliore del gruppo.
Non è vero che Bloy sia acido e amaro. Anche se i suoi amici
sono pochi e pure ammesso che non nutra simpatia per il mondo
contemporaneo, è uomo semplice, umile e gentile. Non si occupa di
letteratura: «La vita è breve; - dice - ho ben altro da fare »
La vita e gli uomini, gli animali e le piante e gli astri sono specchi
ingannatori: la realtà vera è al di là, nascosta ai nostri occhi.
Poco alla volta scopro le montagne dello spirito, ogni giorno nu-
ove cime si profilano al mio orizzonte, e già intravedo i disegni di
Dio. I giorni sono doni benedetti. La Chiesa parla incessantemente
di Dio. Domenica scorsa, primo gennaio, mi trovavo presso i Bloy
con Anne-Marie, allorché la Savoyarde, la grande campana del Sacro
Cuore, lasciò cadere nell’aria i suoi rintocchi sonori. A quel suono,
Bloy, la moglie e le figlie si inginocchiarono e recitarono la preghiera
dell’ Angelus; difficilmente dimenticherò questo episodio.
Bloy si dona in modo totale, senza esitazione, sia nei libri che nella
vita; è generoso in modo eroico, e la nobiltà e la comprensione sono
le doti fondamentali del suo spirito. Nessuno meglio di lui facciamo
eccezione per il Vangelo e per i Santi ha parlato dei poveri, simbolo
del Povero per eccellenza: paura e calcolo non infìrmano la sua testi-
monianza. I libri di Bloy colpiscono le anime perché egli parla di Dio,
perché la sua anima è ricolma della sua grandezza.
La lampada che brilla dinanzi all’ altare mi dice che Gesù è pre-
sente: la sua misericordia mi inonda come pioggia ristoratrice.
Penso con tristezza a mia madre e vorrei poterle dire che ho tro-
vato la verità e la vita: sono certo che mi capirebbe. So anche però
che essa vede e che io posso riparare i suoi errori e la sua ignoranza:
ecco la bellezza della Comunione dei Santi.
Maria, Torre d’avorio, Casa d’oro, Rifugio dei peccatori, prega per
me il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Sempre più stupisco d’essere vissuto per tanti anni lontano da Dio.
I giorni, i pensieri, gli avvenimenti hanno un valore profondo e mis-
terioso: ciascun istante della vita ne è colmo fino all’orlo. Paragono
la storia degli uomini al Golgota e vedo, trionfatrice su di essa, la
Croce di Gesù, il Corpo rosso di sangue del Re dei re. L’intelligenza
non sviscera il mistero, ma la mia ragione è appagata: ho posto la pa-
rola fine al vagabondaggio intellettuale. La Liturgia cambia il tempo
in una cattedrale di preghiere, di lezioni, di salmi di feste e dona ad
ogni giorno valore, bellezza e significato: ogni cosa tende a Dio.
Péria VI. Vivo la Liturgia di questi giorm In modo assai più pro-
fondo e reale dell’anno passato. L’anima appartiene a Dio.
Sentire Bloy parlare di Dio è una vera gioia: in quei momenti, gli
occhi contemplano il mistero.
Gli uomini che non amano Dio si agitano per stordirsi, per non
pensare alla morte. L’anima vive in proporzione dell’amore che la
divora.
Vigilia Pesti Ss. Petri et Pauli. - Dalla finestra della mia camera
contemplo questa sera d’estate. La terra è invasa dal silenzio, il ven-
to muove le foglie, un uccello cinguetta tra i rami. Il mio cuore canta
di gioia.
L’anno di grazia 1954 ancora una volta m’ha fatto toccare con mano
che il dolore che Dio manda agli uomini aumenta in noi la forza della
grazia e dell’amore. Persino la morte dell’essere che mi era caro più
di ogni altro e che rendeva bello e abitabile il mondo, ha contribuito
a purificare la mia gioia, anche se il cuore è oppresso da un dolore
indicibile. La presenza di Dio è un dono sempre nuovo. La morte fa
soffrire perché separa i corpi, ma per essa le anime si uniscono in
modo più profondo, nella realtà di un mondo nuovo.
Anne-Marie non c’è più, mai più la cercherò, mai più la troverò su
questa magnifica terra dove, amandoci, abbiamo scoperto l’amore
di Dio.
Non sono più su questa terra: mi sento lacerato. Il Dio Vivo è an-
che il Dio terribile, è anche crudele e inesprimibile gioia.
Ora vivo nell’attesa e prego: Padre, ogni cosa è bella perché tutto
è amore!